Dopo l’annucio che il film era in
fase di sviluppo mesi fa, sono usciti nuovi aggiornamenti su
Man of Steel 2 che aiutano a chiarire lo stato
del progetto ai DC Studios. Henry
Cavill è tornato ufficialmente nell’universo DC
quest’anno dopo essere stato assente dal franchise dal 2017.
Sebbene breve, il Superman di Cavill sia apparso durante la scena
post-crediti di Black Adam in cui ha condiviso un
breve incontro con l’antieroe di Dwayne Johnson.
Non molto tempo dopo l’uscita del film, Man of Steel 2 è stato messo in fase di
sviluppo iniziale.
Tuttavia, i report sul prossimo film
di Superman sono stati ora messi in discussione a seguito di nuove
affermazioni secondo cui DC Studios sta
effettuando una revisione significativa della DCU. Deadline ha fornito ulteriori
dettagli su ciò che sta accadendo con Man of Steel 2.
Prima che James
Gunn e Peter Safran venissero scelti
per dirigere i DC Studios, Michael De Luca e
Pam Abdy della Warner Bros. Pictures hanno
approvato l’apparizione di Cavill in Black Adam,
con la speranza di averlo nel suo film solista nei prossimi anni. A
questa speranza ha fatto eco un post social di Henry
Cavill stesso, che ha fatto molto rumore, in cui
annunciava di “essere tornato” come Superman, pubblicazione fatta
però in autonomia dopo l’uscita di Black Adam e
non in coordinazione con la Warner Bros.
Questo è avvenuto poco prima
dell’annuncio di Gunn e Safran a capo della DC
Films. De Luca e Abdy, tuttavia, avevano ricevuto una presentazione
di Man of Steel 2 da uno sceneggiatore senza nome,
ma non ne erano contenti. Man of Steel 2 non ha mai ricevuto un via
libera ufficiale e non aveva un regista associato, e la Warner
Bros. sta aspettando una presentazione migliore.
Al momento, non è chiaro cosa stia
succedendo con nessuno degli attori della Justice League, poiché Wonder Woman 3 di Gal
Gadot è stato, anche se sembra che lo studio voglia far
fuori solo Jenkins e non l’attrice. Secondo quanto riferito, il
franchise Aquaman di
Jason Momoa non dovrebbe avere un seguito dopo il
film che arriverà a dicembre 2023, e nessuno sa cosa accadrà con
Ezra Miller dopo l’uscita del film The
Flash. Ecco perché è impossibile sapere cosa succederà
al Superman di Cavill nel DCU, insieme ai suoi colleghi membri del cast
della Justice League.
James McAvoy torna a parlare dei suoi giorni
da Charles Xavier per il franchise Fox degli X-Men e spiega perché
voleva che la sua incarnazione del Professor X degli anni ’70 in
X-Men: Giorni di un futuro passato avesse
un’estetica nettamente diversa dalla versione di Patrick
Stewart. Il film del 2014 ha messo in scena prima di
Endgame, ma sicuramente con meno eco mediatica, un viaggio nel
tempo per un maxi evento crossover nell’ambito dei film di
supereroi e vedeva il Wolverine di Hugh Jackman
tornare nel passato per reclutare versioni più giovani del
Professor X e Magneto per fermare un assassinio che avrebbe portato
alla distruzione del suo mondo nel presente.
Dall’inizio del franchise sappiamo
che la figura del Professor X incarnata da Patrick
Stewart è saggia ed equilibrata, un mentore e un padre per
tutti i giovani mutanti della storia, ma nel film del 2014, la
versione giovane del personaggio, con il volto di James McAvoy, è tutt’altro che equilibrata.
Parlando con GQ , l’attore ha
spiegato di aver insistito per avere questa incarnazione più
giovane del personaggio che sembra essere nelle fasi della prima
tossicodipendenza e molto lontana dall’aura calmante e saggia del
Professor X con cui i fan avevano familiarità.
“Quando ho scoperto che Patrick
sarebbe stato nel film, e guarda come Patrick interpreta il
Professor X, volevo avere i capelli lunghi e dare l’impressione di
fumare molta erba. E forse anche prendere di qualcosa di più forte,
visto che il mio personaggio era negli anni ’70. Solo per mostrare
che tipo di viaggio ha compiuto Xavier per trasformarsi nella
versione di Patrick Stewart… Avevo così pochi capelli a questo
punto e abbiamo finito per fare una sessione di estensione dei
capelli di 18 ore in una sola seduta… Ma alla fine avevo i capelli
che ha Xavier in Giorni di un futuro
passato.”
Diretto da Brian
Singer, il film ha avuto un grande successo ed ha
presentato un ricchissimo cast che ha messo in scena i mutanti a
cavallo delle epoche. Purtroppo è stato l’ultimo film riuscito che
ha visto sullo schermo i mutanti marvel, mentre ora si aspetta la
versione MCU degli stessi personaggi.
A seguito delle notizie riguardanti
l’annullamento di Wonder Woman 3 ai DC Studios, la
regista Patty Jenkins ha dichiarato di non voler
sviluppare una nuova storia per il terzo capitolo della trilogia
dedicata al personaggio. Dopo l’uscita nel 2020 di Wonder Woman 1984, Warner Bros. ha
portato avanti un progetto su Wonder Woman 3. Dall’annuncio iniziale,
Jenkins ha lavorato attivamente alla sceneggiatura, con
Gal Gadot confermata come unico
membro del cast di ritorno. Nessuna data di uscita era stata
fissata, ma Wonder Woman 3 era ancora sulla buona
strada come uno dei prossimi film del DC
Universe.
Tuttavia, nuovi report di questa
settimana hanno rivelato che i DC Studios hanno bloccato e
annullato lo sviluppo di Wonder Woman 3 dopo che
Jenkins aveva presentato un trattamento che non si adattava bene
agli imminenti piani DCU. Mentre Gadot e Jenkins devono ancora
commentare la notizia, IndieWire ha appreso che la
regista non sarebbe più interessata a ri-sviluppare il trequel di
Wonder Woman. A partire da ora, Jenkins si sta
allontanando dal franchise DCU per perseguire altri progetti. Inoltre,
secondo The Wrap, Jenkins ha deciso di abbandonare il
treequel dopo che i capi della Warner Bros. Michael De
Luca e Pamela Abdy hanno rifiutato il suo
trattamento iniziale e le hanno chiesto di proporre qualcos’altro.
Il giornale riporta che Jenkins voleva che “sapessero che si
sbagliavano, che non la capivano, non capivano il personaggio, non
capivano gli archi dei personaggi e non capivano cosa Jenkins
stesse cercando di fare”.
Tuttavia, mentre Patty
Jenkins si allontana sempre di più dal terzo film dedicato
a Wonder Woman, Warner Bros. e DC Studios vogliono
ancora realizzare il film con Gal Gadot come protagonista. Il franchise
cinematografico di Wonder Woman è iniziato come il
gioiello della corona dell’Universo DC. Il successo del suo sequel
è più difficile da determinare a causa della sua uscita in
pandemia, ma l’annuncio da parte di WB che Wonder Woman
3 era in fase di sviluppo poco dopo la sua uscita sembrava
aver ratificato il suo successo. Due anni dopo, tuttavia, il cambio
di leadership dei DC Studios ha portato dei cambiamenti alla fase
di pre-produzione.
Ieri sono iniziate a circolare
notizie secondo cui Wonder Woman 3 sarebbe stato cancellato da
Warner Bros. e DC poiché il film non si adattava alla visione che
James
Gunn e Peter Safran hanno per il
futuro dell’universo cinematografico. Ora, un report di Deadline
(via SR) fornisce un
aggiornamento sullo stato del film, che include l’affermazione che
c’è ancora interesse a realizzare un altro film di Wonder
Woman alla DC.
Il rapporto conferma le recenti
notizie secondo cui Patty Jenkins ha rifiutato di rielaborare
la sua sceneggiatura di Wonder Woman 3 per adattarla alla nuova
visione DCU. Quindi l’esito di queste voci che si
susseguono senza ufficialità alcuna sembra portare verso la
direzione di un terzo film su Wonder Woman, con Gal Gadot ma senza Patty Jenkins.
Gli account Instagram ufficiali di
Netflix e della serie Mercoledì,
diretta da Tim Burton, hanno pubblicato un
esilarante anche se breve video di bloopers dal set, ovvero gli
errori degli attori durante le riprese. Sembra strano, visto quanto
l’abbiamo vista seria e impassibile nella serie, ma anche
Jenna Ortega si è lasciata andare a dei sorrisi e a qualche
errore!
La serie si muove a
cavallo di un crocevia di generi, spostandosi tra la commedia,
l’horror, il mistery e ovviamente, il coming of are con elementi
teen, dal momento che protagonista assoluta dello show è una
sedicenne Mercoledì Addams,
alle prese con le difficoltà di “trovare un suo posto nel mondo”.
Il cliché dell’adolescente difficile è qui aumentato all’ennesima
potenza, dal momento che la casa Mercoledì
non è soltanto un’adolescente, ma è una Addams, per cui possiede
tutta una serie di caratteristiche che non sono proprio “alla moda”
tra gli adolescenti.
Innanzitutto è allergica
ai colori, per cui veste solo di bianco e nero, poi non ride mai,
né mostra alcuna emozione, anche se non è escluso che ne provi
qualcuna, come il desiderio di giustizia, che per lei è più voglia
di vendetta, oppure fascinazione per cose macabre, nonché uno
spiccato odio verso la madre Morticia (Catherine
Zeta-Jones) e verso tutto ciò che lei rappresenta.
A 9 mesi di distanza da
quell’increscioso incidete durante la Notte degli Oscar che lo ha
visto protagonista attivo, Will Smith rompe il suo
silenzio e lo fa con Emancipation – Oltre la
libertà, mettendo in primo piano non solo la sua arte
prima di qualsiasi dichiarazione apologetica, ma anche
confrontandosi con una storia fortissima, di ribellione, tenacia,
forza d’animo e fame di libertà. Lo fa accompagnato da
Antoine Fuqua che lo dirige e ne esalta viso e
fisicità in un one man show straziante e catartico.
Emancipation – Oltre la
libertà, la grande fuga
Emancipation –
Oltre la libertà racconta la storia incredibile di Peter
(Will
Smith), un uomo nato schiavo che fugge dalla
schiavitù affidandosi al suo ingegno, alla sua fede incrollabile e
all’amore profondo per la sua famiglia per tentare in tutti i modi
di eludere i cacciatori a sangue freddo e sopravvivere alle
spietate paludi della Louisiana alla ricerca della libertà.
Il film si ispira alle foto della schiena di “Whipped Peter”
(Peter il fustigato) delle immagini scattate alla schiena di uno
schiavo liberato nel corso di una visita medica dell’esercito
dell’Unione e pubblicate nel 1863 su Harper’s Weekly (la scena
viene anche ricreata e mostrata nel film); in particolare, una
delle immagini nota come “La schiena flagellata” (The Scourged
Back), che mostra la schiena nuda di Peter completamente ricoperta
da cicatrici, frutto di tutte le frustate ricevute dai suoi
schiavisti, contribuì alla crescente opposizione
pubblica alla schiavitù.
Come accennato, il
film, in un bianco e nero densissimo, si affida completamente a
Will Smith, quasi sempre unico
attore in scena, che si fa strada tra cacciatori, bestie e natura
ostile. Un animale braccato che cerca la libertà, oltre che la via
per tornare dalla sua famiglia, dalla quale è stato separato perché
“venduto altrove”. Fuqua si immerge con l’occhio
della macchina da presa dentro alle selvagge paludi della Louisiana
per mettersi allo stesso livello del suo protagonista,
letteralmente, dal momento che lo sventurato Peter le tenterà
davvero tutte per rimanere in vita, dalle apnee insidiose, alle
arrampicate sugli alberi, fino agli agognati soccorsi dell’esercito
dell’Unione che però gli fa imbracciare un fucile, cosa che il
protagonista fa con riluttanza: il suo desiderio è quello di
famiglia e libertà, appunto, non quello di vendetta, seppure
umanamente parlando potrebbe averne desiderio.
Un survival movie
Il racconto di fuga e
ricerca di liberazione diventa quindi una lotta di sopravvivenza,
un vero e proprio survival movie che ricorda tanto cinema
precedente ma da cui non riesce a prendere il meglio, né
l’eccellenza tecnica di Revenant – Redivivo, ad esempio, né lo
spessore morale di 12 anni schiavo, con il quale condivide gran
parte delle dinamiche e delle tematiche.
E come Peter cerca di
trascinarsi fuori dalle paludi, lontano dai cacciatori, verso la
libertà, così anche Will Smith, forse casualmente
con questo film, disponibile dal 9 dicembre su Apple
TV+, cerca di scivolare lontano dalla bufera che lo ha
travolto nel momento in cui la sua stella sarebbe dovuta brillare
più di ogni altra sul tetto di Hollywood.
La rinascita hollywoodiana di
Smith?
Molta della pubblicità
intorno di Emancipation – Oltre la libertà ruota
infatti sulle dichiarazioni di Will Smith, relative al grande
lavoro della crew e di Antoine Fuqua, e invece
defilate per quello che riguarda la sua esperienza e la sua
performance. La verità però è che più di ogni dichiarazione, di
tentativo nobile di raccontare storie coraggiose e necessarie, di
voltare pagina e di portare avanti un’idea di cinema, è il
film stesso a parlare di sé, mostrandosi. E purtroppo quello
che palesa è un racconto tiepido dal punto di vista emotivo e
accanito dal punto di vista spirituale, una storia che si trascina
proprio come il coraggioso Peter, verso una fine che dovrebbe
essere trionfante ma è soltanto liberatoria, e non nel miglior
senso possibile.
Il regista James
Gunn ha rilasciato la sua prima lunga dichiarazione
pubblica sul futuro dei DC Studios dopo che lui e il produttore
Peter Safran hanno preso le redini della divisione
Warner Bros. Discovery a ottobre.
“Peter ed io abbiamo scelto di
dirigere i DC Studios sapendo che stavamo entrando in un ambiente
litigioso, sia nelle storie che venivano raccontate che nel
pubblico stesso e ci sarebbe stato un inevitabile periodo di
transizione mentre ci muovevamo nel raccontare una storia coerente
attraverso film, TV, animazione e giochi”, ha twittato Gunn
“Ma, alla fine, gli svantaggi di quel periodo di transizione
sono stati sminuiti dalle possibilità creative e dall’opportunità
di costruire su ciò che ha funzionato finora in DC e di aiutare a
correggere ciò che non ha funzionato”.
La decisione di Gunn di parlare è
stata catalizzata da una lunga storia pubblicata mercoledì da
The Hollywood Reporter, che ha dato la notizia che
un sequel di Wonder Woman 1984 del 2020 non stava andando avanti
alla Warner Bros. Variety ha confermato questo aspetto del
report di THR, ma le fonti hanno segnalato che molte altre
affermazioni al suo interno – che i potenziali sequel di
Man of Steel con
Henry Cavill e Black
Adam con Dwayne Johnson erano
probabilmente morti e che Jason Momoa potrebbe
passare da interpretare Aquaman per l’antieroe DC
Lobo – erano molto più speculative.
Gunn ha commentato il report di THR
dicendo che “in parte è vero, in parte è vero per metà, in
parte non è vero, e in parte non abbiamo ancora deciso se sia vero
o no”. Gunn e Safran la prossima settimana presenteranno i
loro piani attuali per l’universo DC attraverso film, televisione e
giochi al
CEO di Warner Bros. Discovery, David
Zaslav, e gli addetti ai lavori affermano di aver
mantenuto la loro strategia vicina all’interno dell’azienda.
Qualunque via Gunn e Safran scelgano
di intraprendere, dovrà intersecarsi con l’universo narrativo DC
inaugurato dal regista Zack Snyder, a partire da
Man of Steel del 2013. Diversi film all’interno di
quell’universo dovrebbero ancora debuttare nel 2023, tra cui
Shazam! Fury
of the Gods, The
Flash, Blue
Beetle e Aquaman e il
Regno Perduto, ma sono stati sviluppati e prodotti
dalla precedente dirigenza dello studio.
Gunn e Safran hanno il mandato di
creare, nelle parole di Gunn, “i prossimi 10 anni di storia”, in
modo che l’Universo DC possa eguagliare il gigantesco successo
dell’Universo Cinematografico Marvel della Disney, e rimane una
domanda aperta su quali, in caso, elementi da lo Snyderverse
sarebbe sopravvissuti.
Gunn ha affrontato quella tensione a
testa alta nella sua dichiarazione su Twitter: “Sappiamo che
non renderemo ogni singola persona felice in ogni fase del
percorso, ma possiamo promettere che tutto ciò che facciamo è fatto
al servizio della STORIA e al servizio dei PERSONAGGI DC, che
amiamo e che abbiamo amato tutta la nostra vita”, ha scritto.
“Per quanto riguarda ulteriori risposte sul futuro del DCU, purtroppo dovrò chiederti di aspettare.
Stiamo dedicando a questi personaggi e alle storie il tempo e
l’attenzione che meritano, e noi stessi abbiamo ancora molte altre
domande da porre e a cui rispondere”.
Negli ultimi 30 anni, il vincitore
del miglior film ha ricevuto una nomination all’Oscar per il
miglior film, tranne una volta ogni decennio: A Most
Violent Year del 2014, Quills del 2000 e
Gods and Monsters del 1998.
Le più recenti migliori selezioni
cinematografiche della NBR sono state The
Irishman di Martin Scorsese,
Green Book di Peter Farrelly
e Mad Max: Fury Road di George
Miller. L’anno scorso, Da 5 Bloods di
Spike Lee ha vinto il primo premio ma è stato in
grado di raccogliere un solo candidato all’Oscar, per la colonna
sonora originale (Terence Blanchard), quindi la
giuria è ancora fuori se quella rappresenterà gli anni ’20.
Presentato il 2 dicembre al
Torino Film Festival come fuori concorso, Lotta
continua è un documentario prodotto da Rai documentari e
rai play, diretto da Tony Saccucci. Il film si basa su fatti
realmente accaduti, su testimonianze dirette di alcuni ex militanti
e sul libro I ragazzi che volevano fare la rivoluzione di
Aldo Cazzullo. Lotta continua
racconta, attraverso figure come i giornalisti Giampiero
Mughini ed Erri De Luca o l’ex
parlamentare Marco Boato, la creazione di Lotta continua, una delle maggiori formazioni
extraparlamentari di orientamento comunista rivoluzionario nel
periodo tra il 1969 ed il 1976
Lotta continua: gli inizi
Gli albori di Lotta continua si
ritrovano non tra gli studenti universitari, che poi ne prenderanno
la direzione, bensì nelle fabbriche. Nel 1969 a Torino sorge una
delle maggiori fabbriche a livello nazionale: l’industria Fiat.
Basata sul modello di industria fordista, in questa fabbrica
lavorano operai poco specializzati, provenienti dalle classi più
povere, spesso immigrati dal sud Italia. Costretti a lavorare per
lunghi turni, svolgendo sempre la stessa mansione in una ferrea
catena di montaggio, alienandosi nel loro stesso lavoro, producendo
beni che non gli potranno mai appartenere. La situazione di
tensione e malcontento sfocia nei primi scioperi e tentativi di
sabotaggio della produzione, con ingenti perdite da parte della
Fiat. A questi si affiancheranno gli studenti universitari, i
giovani che lottano per una società più equa e per i loro
diritti.
I militanti di Lotta continua durante una
manifestazione
Una parabola discendente:
dall’inizio degli scontri allo scioglimento di LC
3 luglio 1969: gruppi studenteschi
ed operai della Fiat organizzano una grande manifestazione a Torino
per denunciare le condizioni dei lavoratori. A Corso Traiano
vengono caricati con forza dalle forze di polizia con particolare
violenza, con idranti, lacrimogeni. Da questo momento, parte
un’escalation di lotta armata che porterà alla morte di numerosi
“compagni”, tra cui l’appena diciottenne Piero Bruno nel 1975,
durante una piccola manifestazione contro l’ambasciata dello Zaire
(attuale Repubblica del Congo), e il ferroviere Giuseppe Pinelli
nel 1969. Per vendicare quest’ultimo, nel 1972 venne ucciso il
commissario Luigi Calabresi da alcuni militanti di Lotta Continua
perché considerato responsabile della morte del compagno Pinelli.
La morte del ferroviere durante il suo fermo in questura resta
ancora un mistero.
Dal 69 la militanza di Lotta
continua si espande da Torino a tutta l’Italia e viene appoggiata
da altri gruppi di lavoratori, operai di altre fabbriche che vivono
nelle stesse alienanti condizioni di lavoro. Per quanto le forze
armate provino a portare avanti dure repressioni delle
manifestazioni, la lotta continua tramite manifestazioni, volantini
ed un giornale, in cui vengono espresse in maniera esaltata tutte
le idee del gruppo politico.
Con lo svilupparsi da un lato dei
gruppi radicali di impronta terrorista, le Brigate rosse, e
dall’altro dei movimenti femministi, il cerchio di vita di Lotta
continua si chiude con il secondo congresso generale a Rimini nel
1976. Sconfitti alle elezioni politiche, ottenendo solo il due
percento, non volendosi schierare né con le forze nazionali, né con
i militanti terroristi, il gruppo di sinistra finisce per
disgregarsi.
La forza di un’idea
Lotta continua è un
articolato docufilm che alterna vecchi video, spezzoni di
telegiornali o video di militanti, agli interventi di coloro che
hanno vissuto quegli anni, hanno vissuto dentro il movimento. Il
documentario trasmette molto allo spettatore: il coraggio, la forza
di volontà di dare tutto, in alcuni casi anche la vita per una
causa, per un’idea. Ciò non significa che il film in sé sia un
semplice inneggiare a Lotta continua ed alla bontà dei loro
principi: gli stessi intervistati fanno emergere quelle che
divennero le problematiche maggiori del movimento. Si trattava pur
sempre di giovani, esaltati dalla lotta per la giustizia, che
manifestavano per avere una società migliore, che però agivano
guidati dalla loro rabbia. Per quanto l’ideale della salvaguardia
dei diritti dei lavoratori fosse un giusto motivo per manifestare
ed agire, la militanza di Lotta continua è negli anni sfuggita di
mano, causando la morte di molte persone e non ottenendo i
risultati sperati. Documentari come questo ci permettono di
ricordare una parentesi molto buia della storia del nostro paese
dopo la Seconda guerra mondiale, ma anche di riflettere sulla
rilevanza che può avere il diritto a manifestare pubblicamente la
propria opinione per portare il cambiamento. Alla fine, le vere
riforme partono sempre, dal deviante, dal dissenziente.
Oltre ad essere un attore molto
amato, celebre e dalle grandi doti, Tom Cruise si è costruito negli anni anche una
solida carriera di produttore e, in segno di riconoscimento a
questo aspetto della sua carriera, Tom Cruise riceverà il David O.
Selznick Achievement Award 2023 dalla Producers Guild of America
(PGA). Accetterà l’onore alla 34a edizione dei Producers
Guild Awards il 25 febbraio 2023 al Beverly Hilton.
Si tratta quasi di un segno di
gratitudine da parte del mondo della produzione cinematografica per
aver salvato, quasi da solo con il suo Top Gun: Maverick, il mondo dell’incasso
cinematografico nel 2022. Colui da cui i premio prende il nome,
David O. Selznick, è una vera leggenda di Hollywood, avendo
prodotto, tra gli altri film, anche Via col Vento. I precedenti
vincitori del Selznick Award includono Steven Spielberg; Barbara
Broccoli, il nome alla guida del franchise di James
Bond; Brian Grazer, co-fondatore di Imagine
Entertainment; e Kevin Feige, maestro del MCU.
“A partire da ‘Mission:
Impossible’, Tom Cruise ha sviluppato un talento per la produzione
pari al suo straordinario talento di attore. Tom si avvicina alla
produzione con la stessa meticolosa attenzione ai dettagli che
mette in tutti i suoi sforzi professionali”, hanno dichiarato
i presidenti della Producers Guild Donald De Line
e Stephanie Allain. “Il suo impegno nel
raccontare storie audaci, cinematografiche e divertenti ha elevato
l’esperienza in sala globale e ha portato ad alcuni dei film più
popolari della storia. Siamo entusiasti di onorarlo con il David O.
Selznick Award per la sua eccellenza nella produzione”.
I film di Tom
Cruise hanno incassato oltre 11 miliardi di dollari al
botteghino mondiale. I suoi crediti di produzione includono le
serie di Mission: Impossible e Jack
Reacher, Vanilla Sky,L’ultimo Samurai e
Elizabethtown. Cruise produrrà e reciterà in
Mission: Impossible – Dead Reckoning Part 1 e
Mission: Impossible – Dead Reckoning Part 2.
Il creatore di The Haunting
of Hill House e Midnight
MassMike
Flanagan e il suo partner di produzione Trevor
Macy hanno acquisito i diritti per adattare La
Torre Nera di Stephen King in una serie
TV.
Flanagan e Macy hanno rivelato la
notizia in un’intervista con Deadline, che ha approfondito la
recente decisione della coppia di spostare l’accordo generale della
loro Intrepid Pictures da Netflix ad Amazon.
“Prima del nostro accordo con
Amazon, abbiamo acquisito i diritti di ‘The Dark Tower’, che se sai
qualcosa di me, sai che è stato il mio Santo Graal di un progetto
per la maggior parte della mia vita”, ha detto Flanagan.
“In realtà abbiamo quei diritti ricavati dal nostro accordo con
Amazon, il che non significa che non possano o non lo faranno a un
certo punto – non lo sai. Ma è qualcosa che abbiamo sviluppato noi
stessi e siamo davvero entusiasti di rimetterci finalmente in piedi
a un certo punto.”
Flanagan afferma di immaginare
La Torre Nera come una serie di cinque stagioni,
con due lungometraggi indipendenti come follow-up. E sì, ha parlato
con lo stesso King dei piani per l’adattamento, visto che non è la
prima volta che Hollywood ha provato a portare sullo schermo questo
lavoro dello scrittore, il più recente è stato il film del 2017 con
Idris Elba e
Matthew
McConaughey.
“Questo è successo perché gli ho
inviato uno schema molto, molto dettagliato di ciò che volevo
farne”, ha detto Flanagan. “Ed è stato in risposta a ciò
che ci ha concesso i diritti. Un progetto come questo, non vorrei
assolutamente esserne coinvolto se lo stessimo portando in una
direzione che sarebbe stata blasfema per il materiale di Stephen
King, ma lui è stato molto, molto di supporto e molto entusiasta di
quello che abbiamo mi piacerebbe farne a meno.”
13 film in anteprima europea o
italiana, 5 eventi speciali per il cinema, 20 tra romanzi e graphic
novel presentati dagli autori nelle
affollate conversazioni tra la Casa del Manzoni
e la Libreria Rizzoli, 7 premi assegnati tra cinema e letteratura
tra cui spiccano il Raymond Chandler
Award a un gigante del nuovo noir multimediale
come Harlan Coben adesso in libreria
con The Stranger (edito da Longanesi),
il Premio Scerbanenco a Enrico Pandiani
con Fuoco (edito da Rizzoli), il Black
Panther Award al film di Patricia
Mazuy Bowling
Saturne, raro esempio di Noir al femminile, e
il Premio
Caligari per Piove di Paolo
Strippoli, una giornata di studi promossa
dall’Università IULM sullo Stivale
Giallo della narrazione italiana di genere.
Questo il sintetico bilancio della
fortunata 32ma edizione del Noir in
festival che si conclude oggi a Milano nel segno
di Quentin Tarantino e del suo film
d’esordio Reservoir Dogs che proprio 30 anni fa
si rivelava al festival con la consegna di uno “speciale” Raymond
Chandler Award al folgorante talento di un regista non ancora
trentenne destinato a diventare il più famoso autore della sua
generazione. Per questo l’immagine dell’anno 2022, affidata alla
matita dell’artista e fumettista Paolo
Bacilieri, rappresenta un ponte ideale tra la
tradizione del noir e i suoi nuovi orizzonti del nuovo millennio.
Al festival del 1992, illuminata dalla presenza di maestri come
Jules Dassin o James G. Ballard, è stata dedicata nei giorni scorsi
l’anteprima assoluta work in progress del documentario di Davide
Rapp e Michele Boroni C’era una volta a
Viareggio.
“Thank you, thank you, thank
you” ripeteva incessantemente Quentin Tarantino 30 anni fa a
Viareggio dove è nato il nostro festival”, dicono
oggi Giorgio
Gosetti e Marina
Fabbri che lo dirigono insieme a Gianni
Canova per la IULM che della rassegna diventata la
“casa” a Milano, “Grazie, grazie, grazie diciamo adesso al
pubblico, agli studenti, agli appassionati, al Ministero della
Cultura e a CinecittàNews, alla Cineteca di Milano, a Casa Manzoni,
alla Rizzoli Duomo, all’Institut français e all’Instituto Cervantes
che ci hanno accolti con straordinario calore. Firmiamo un’edizione
fortunata come quella del 1992 che abbiamo voluto rievocare, perché
siamo convinti che anche quella del 2022 rimarrà nella
piccola/grande storia del genere grazie a protagonisti d’eccezione
come Maurizio De Giovanni, Vicente Vallés, Donato Carrisi, Maria
Oruña, Irvine Welsh, Steven Soderbergh, Patricia Mazuy, Alessio
Cremonini, Mark Cousins, Lee Jung-jae e Park Chan-wook. Un festival
che oggi nasce e cresce in un campus universitario (unico esempio
al mondo) e conquista la città di Milano nei suoi luoghi iconici;
un festival dedicato alla scoperta e alle trasformazioni del noir
di oggi; un festival che celebra la memoria ma si proietta nel
futuro con la nuova sezione del programma dedicata al gaming
multimediale; un festival che ha parlato di spie, di Russia e
Ucraina, di serialità e cinema, di letteratura italiana ed europea,
del maestro del brivido con il memorabile film-ritratto di Mark
Cousins My Name is Alfred Hitchcock. Un festival che
ci consegna infine una nuova generazione di talenti italiani come
Alessio Cremonini con il suo sorprendente nuovo
film, Profeti, Enrico Pandiani con gli
indimenticabili antieroi del suo nuovo romanzo Fuoco,
il giovanissimo Paolo Strippoli che
con Piove rinnova la tradizione di maestri come
Bava Fulci, Lenzi. Appuntamento quindi già fissato al 2023 quando
festeggeremo i 30 anni del Premio intitolato a Giorgio Scerbanenco,
il pioniere del noir italiano”.
Abbiamo da poco visto il
The Menu di Mark Mylod nel
quale la cucina veniva rappresentata come un vero e proprio inferno
sulla Terra, qualcosa che ricorda i tanti cooking show tanto di
moda da anni e decisamente più intrigante di altre che si vedono
spesso. Come quella che anche il francese Louis-Julien Petit sceglie per il suo
Sì, Chef! – La Brigade, nei cinema italiani dal 7
dicembre con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.
Le tensioni che si
sviluppano in un ristorante, le sfide che pone, la necessità di
adattarsi, integrarsi o crescere per superarle forniscono spesso
espedienti narrativi a film, italiani o internazionali, che
vogliamo raccontare storie edificanti. O socialmente utili. Come
nel caso del regista in questione, non nuovo a queste ‘missioni’. E
che dopo il Discount del 2014, dove delle
casse automatiche minacciavano l’impiego dei dipendenti, il
Carole Matthieu del 2016, con
Isabelle Adjani al centro di un inquieto dramma su
mobbing e depressione professionale, e Le
invisibili del 2018, ambientato in un centro di
accoglienza femminile, stavolta punta l’obiettivo sull’integrazione
di giovani migranti in una struttura della Francia
settentrionale.
“Sì, Chef!”, agli
ordini di chef Audrey Lamy
Tutto parte dalla
conoscenza della sous-chef Cathy di Audrey Lamy,
vera chiave di volta della vicenda, dalla grande passione e
consapevolezza del suo valore al punto da farsi cacciare da uno dei
ristoranti migliori del Paese. Il sogno è sempre lo stesso, aprire
qualcosa di proprio e conquistare la stella Michelin, ma come?
Trovare un lavoro non è facile come sembra, e quando la necessità
la spinge ad accettare un’offerta piuttosto creativa in una
sperduta località fuori città finisce per ritrovarsi nella mensa di
un centro di accoglienza per giovani migranti. Inizialmente poco
convinta, e per nulla entusiasta, in breve tempo riuscirà a
ritrovare una straordinaria verve e a cambiare le regole del gioco.
Riuscendo a imparare una importante lezione e a raggiungere un
obiettivo che non avrebbe mai immaginato.
A tutti i
costi
Attratto da sempre dalla
commedia sociale, Petit resta su un territorio ben noto, insistendo
su etica e seconde possibilità come temi portante del film, non
così originale come lo si presenta – nonostante l’ispirazione sia
quella della storia vera della chef Catherine Grosjean del lycée
hôtelier di Treignac – eppure ricco di trovate gradevoli e di
alcune interpretazioni convincenti. Da alcune delle
caratterizzazioni dei meno esperti ospiti della struttura, a quella
del François Cluzet di Quasi Amici e la Audrey
Lamy intorno alla quale ruota tutto – e che tutto sostiene
– già agli ordini del regista nel suo precedente film.
A parte l’istintiva
simpatia e partecipazione, però, sono pochi gli appigli cui
aggrapparsi per restare nel film e farsene conquistare
completamente. Soprattutto con una storia che puntando tutto su
genuinità e buone intenzioni procede per scorciatoie ed ellissi
piuttosto importanti. In primis, quella – esagerata al punto da
esser impossibile da giustificare – che porta al finale, perfetto
per la favola moderna che sembra proporsi di essere, ma
narrativamente forzato e dimentico di fin troppi fili abbandonati a
sé stessi.
L’ultimo verdetto è infine arrivato:
dopo i due vincitori legati al
Premio Caligari 2022, Piove di
Paolo Strippoli premiato da una giuria
composta da 80 tra studenti IULM e appassionati di cinema, e
Una femmina di Francesco Costabile, cui
va la Menzione Speciale 2022conferita dalla
redazione di Cinecittà News, Main Media Partner
del festival, si è espressa la giuria del Concorso
Internazionale. La scrittrice e sceneggiatrice Cinzia
Bomoll, il direttore artistico del Festival europeo del
cinema fantastico di Strasburgo Daniel Cohen e
l’attrice Manuela Velasco hanno attribuito
all’unanimità il Black Panther 2022
per il miglior film a
BOWLING
SATURNE di Patricia Mazuy
con la seguente
motivazione: “Per averci accompagnato in un viaggio
interiore che conduce all’istinto omicida, attraverso un realistico
e potente utilizzo del noir.”
Il film racconta come dopo morte del
padre, Guillaume erediti la pista da bowling di famiglia che dona
al fratellastro Armand. Un luogo carico di ricordi, segreti e
fantasmi interiori, dove si scatena una serie di omicidi. I due
fratelli verranno trascinati in un abisso pieno di demoni e
dovranno fare i conti con la loro eredità. L’oscurità regna su un
mondo nel quale vale solo la regola della caccia.
La Giuria, segnalata l’alta qualità dei film in gara, ha inoltre
deciso di conferire una
Menzione speciale
a
Profeti
di Alessio Cremonini
con la seguente motivazione:
“Per la sua facoltà di sviluppare la delicata tematica della fede
dal punto di vista di due donne e di rappresentare i diversi tipi
di prigionia a cui siamo soggetti.”
Protagoniste della storia sono Sara,
una giornalista italiana free lance che si trova in Medio Oriente
per raccontare la guerra dello Stato Islamico e Nur,
una foreign fighter radicalizzata a Londra che
ha sposato un miliziano e ora vive nel Califfato Daesh. Sara è
rapita dall’Isis, ma in quanto donna, in quanto essere inferiore
che ha dignità solo se sottomessa al maschio, non può stare in una
prigione dove sono presenti anche gli uomini. Per questo motivo, è
consegnata in custodia a una sua “pari”: a una donna. Nur diventa
la sua carceriera, la casa di Nur la sua prigione. E sarà proprio
quella dimora, nel mezzo di un campo di addestramento dello Stato
Islamico, il luogo dove Sara e Nur si scontreranno. Un confronto
quasi impossibile che si trasforma in confronto psicologico, mentre
attorno scoppiano le bombe e i nemici sono mandati al rogo per
vendetta. Un confronto fatto di silenzi, di sottili ricatti e di
rivelazioni, con Nur che tenta progressivamente di convertire
Sara.
I due premi sono stati consegnati
alla presenza degli autori nella serata finale di Noir in festival
2022.
L’attesa è quella snervante di una
finale arrivata ai calci di rigore. Davanti alla porta a giocarsi
tutto rimangono solo i grandi campioni e Corso Manni, procuratore
sportivo fra i più bravi in circolazione, sta per battere il suo
rigore decisivo, quello che ne decreterà la vittoria – e quindi la
riabilitazione definitiva – o la sconfitta… In esclusiva su Sky e
in streaming solo su NOW torna per il gran finale Il grande gioco, la serie Sky Original
prodotta da Sky Studios e Èliseo entertainment sui segreti del
calciomercato: settimo e ottavo episodio domani, venerdì 9
dicembre, in prima serata su Sky Atlantic (saranno
disponibili anche on demand).
Francesco
Montanari (Il cacciatore, I Medici – Nel nome
della famiglia) interpreta Corso Manni, procuratore caduto in
disgrazia per un presunto legame con il mondo delle scommesse
clandestine. Con lui Elena Radonicich
(1992, La porta rossa, Fabrizio De André –
Principe libero) nei panni di Elena De Gregorio, ex moglie di
Manni e procuratrice a sua volta, e il vincitore del David di
Donatello nonché candidato all’Oscar Giancarlo
Giannini (Casino Royale, Il cuore
altrove, Pasqualino Settebellezze), che nella serie
interpreta Dino De Gregorio, il padre di Elena, fondatore e CEO
dell’agenzia di calciatori più potente in Italia contro cui Corso
medita vendetta.
Nel cast anche Lorenzo
Cervasio (Come un gatto in tangenziale – Ritorno a
Coccia di Morto, Il Capitale Umano) nei panni di
Federico De Gregorio, fratello minore di Elena, Jesus
Mosquera Bernal (Toy Boy), che qui interpreta il
campione Carlos Quintana, Lorenzo Aloi
(Lasciarsi un giorno a Roma, Fedeltà, La
compagnia del Cigno 2) nei panni di Marco Assari, giovane e
talentuosissimo procuratore, Giovanni Crozza
Signoris (Il Traditore, Zero), che
presterà il suo volto alla giovane promessa del calcio Antonio
Lagioia, e Vladimir Aleksic nei panni di Sasha
Kirillov, procuratore russo senza scrupoli.
Il grande gioco, la trama del
settimo e ottavo episodio
Nel settimo e ottavo episodio
Kirillov riesce a portare Quintana al Milan ed Elena per vendetta
fa circolare il video di Quintana e Valeria, causando
l’allontanamento del giocatore dalla squadra. Corso coglie
l’occasione per riportare, grazie ad Assari e Valeria, Quintana
all’Atletico Madrid, e si procura con l’inganno le prove della
responsabilità di Elena nella pubblicazione del video. Intanto
Lagioia è insofferente verso la gestione della ISG sulla sua
immagine. Allo stadio San Siro si gioca Atletico Madrid vs Milan:
Lagioia e Quintana si fronteggiano con immensa sportività. Lagioia
ha un infortunio e si riavvicina ad Assari. Negli skybox Corso
mette Elena con le spalle al muro e la costringe a dimettersi dalla
ISG, mentre Dino offre a Kirillov i terreni in cambio del suo
allontanamento. Dino è di nuovo CEO e prima di morire fa delle
scelte inaspettate, ribaltando la situazione.
IL GRANDE GIOCO è creata da Tommaso Capolicchio, Giacomo Durzi,
Filippo Kalomenidis, Marcello Olivieri. Da un’idea di Alessandro
Roia, con la collaborazione di Riccardo Grandi. Regia di Fabio
Resinaro & Nico Marzano.
Nella prima grande audace mossa dei
nuovi capi della DC, James
Gunn e Peter Safran, Deadline ha confermato di aver
messo la parola fine sul trattamento di Patty Jenkins per Wonder Woman 3. La regista avrebbe dovuto
consegnare una sceneggiatura, e invece i nuovi capi hanno ricevuto
testi che proprio non erano adatti.
Tutto questo accade un giorno dopo
un
curioso tweet della star di Wonder WomanGal Gadot, che ha ringraziato i fan e ha
detto loro: “Non vedo l’ora di condividere il suo prossimo
capitolo con voi”.
È un segno evidente che Gunn e
Safran vogliono ricominciare da capo e ripulire i personaggi Warner
Bros. dai precedenti franchise progettati da Zack
Snyder. Qual è il prossimo? Una rifusione completa dei
principali supereroi DC? Detto questo, il duo non ha fatto sapere
agli addetti ai lavori dello studio quale sia il loro grande
progetto per gli altri personaggi DC. Questa versione di
Wonder Woman 3 non era adatta in questo
momento.
Una fonte vicina alla situazione ha detto a Deadline che Jenkins
potrebbe benissimo consegnare un’altra interpretazione del
supereroe, ma non è detto che ciò accadrà.
Ci sono state voci sparse che i
colloqui si sono interrotti con Henry Cavill in
merito al suo ritorno nel ruolo di Superman, nonostante il suo
annuncio su Instagram prima dell’annuncio di Safran e Gunn al
timone, ma non c’è sceneggiatura o regista o via libera per il
prossimo film dell’Uomo d’Acciaio. Ci sono membri dello staff della
Warner che rimangono all’oscuro di quale sia il grande progetto di
Gunn e Safran, ma si stanno concentrando esattamente sulla storia e
su come i film si interconnetteranno con le serie TV.
In occasione del Noir in Festival
32° edizione, il Premio Caligari per il miglior film noir
italiano dell’anno, giunto alla sua settima edizione, è stato
assegnato a
In una competizione serrata che ha
visto ben quattro film separati da pochissimi voti, l’opera seconda
del regista di A classic horror story è risultata il film
più votato dalla Giuria del Premio, composta da 80 tra studenti
IULM e appassionati di cinema affiancati daManlio
Gomarasca (Presidente), Maurizio Di
Rienzo (coordinatore) e Anna Maria
Pasetti (tutor), che nel corso di tre giorni di proiezioni
all’Università IULM si sono confrontati e hanno dibattuto sui sei
titoli in concorso.
La Menzione Speciale
2022 conferita dalla redazione di Cinecittà
News, Main Media Partner del festival, va invece a
Una
femmina di Francesco Costabile
con la seguente motivazione:
“Dal romanzo di Lirio Abbate, Fimmini ribelli,
Francesco Costabile ha tratto un gangster movie ancestrale che ci
trasporta dentro la tragedia di un personaggio femminile vittima di
‘Ndrangheta. Rosa, interpretata magistralmente dalla debuttante
Lina Siciliano, è immersa in una nefasta rete di potere tessuta da
donne. Un film dal forte impatto nel denunciare i soprusi familiari
con echi del mafia movie americano e al contempo con tratti di
intenso lirismo, un’efficace parabola cinematografica sul non
riuscire a mettere a fuoco ciò che è intollerabile e persino
impensabile.”
CinecittàNews è il
quotidiano online di cinema italiano e internazionale edito da
Cinecittà SpA e realizzato dalla Direzione
Comunicazione e Attività editoriali di
Cinecittà,riferimento per l’industria del settore grazie
al suo linguaggio dinamico e generalista e alla sua attenzione
all’attualità.
Dopo aver regalato al mondo uno dei
suoi capolavori, il crepuscolare western Glispietati,
vero e proprio film spartiacque nella sua carriera, il premio Oscar
Clint Eastwood ha dato vita nel 1997
ad un nuovo complesso thriller, ricco di suspence e colpi di scena.
Si tratta di Potere assoluto, incentrato
sulle vicende di un ladro che assiste ad un brutale omicidio,
diventandone involontario testimone e unico a conoscere l’identità
degli assassini. Per l’occasione, Eastwood ha non solo ricoperto il
ruolo di regista ma anche quello di protagonista. A scrivere il
film, invece, è stato William Goldman, premio
Oscar per le sceneggiature di Butch Cassidy e Tutti
gli uomini del presidente.
La storia non è però basata su una
storia originale, bensì sull’omonimo romanzo di David
Baldacci, pubblicato per la prima volta nel 1996. Questo
divenne da subito un grande successo, attirando l’attenzione di
numerosi produttori che desideravano trarne un film. Ad ottenerne i
diritti, però, fu proprio Eastwood, dichiaratosi un fan del libro.
Per realizzarne la trasposizione, questi pose però una condizione:
tutti i personaggi che nel libro muoiono, e che lui riteneva i più
affascinanti, sarebbero dovuti rimanere in vita nel film. Con il
consenso dell’autore prese dunque vita il progetto.
Ad oggi Potere assoluto
risulta essere tra i film meno noti e citati del premio Oscar, ma
si tratta di un’interessante riflessione sul potere e sul suo
esercizio. Per questo motivo, il film meriterebbe di essere
riscoperto e apprezzato. Prima di intraprendere una visione del
film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle
principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Potere assoluto: la trama
del film
Protagonista del film è
Luther Whitney, un formidabile ladro
professionista ormai un po’ troppo in là con gli anni per il suo
mestiere. Prima di abbandonare il proprio stile di vita
spericolato, e godere dei frutti del proprio operato, decide però
di mettere a segno un ultimo colpo. Il suo obiettivo è il caveau
del filantropo Walter Sullivan, da svaligiare nel
minor tempo possibile. Introdottosi senza problemi nell’abitazione,
dove però si imbatte nella moglie dell’uomo. Questa, però, non si
accorge del ladro, troppo impegnata a ricevere un ospite speciale.
Si tratta di Alan Richmond, Presidente degli Stati
Uniti d’America.
Mentre raccoglie quanto presente nel
caveau, Luther avverte il degenerare della situazione tra i due
amanti. La lite termina nell’uccisione, da parte delle guardie del
corpo del Presidente, della donna. Nel tentativo di ripulire la
scena del crimine, questi dimenticano un elemento che potrebbe
essere fatale ad incastrare Richmond. Impadronitosi di questo,
Whitney si ritroverà ad essere intercettato e inseguito senza
pietà. In quanto unico testimone della vicenda, egli è ora un
soggetto estremamente pericoloso e va eliminato quanto prima. Per
lui ha così inizio una disperata fuga, dalla quale potrà salvarsi
solo dando prova della sua innocenza.
Potere assoluto: il cast
del film
Ad interpretare il ladro Luther,
come accennato, vi è l’attore Clint Eastwood.
Per lui si tratta soltanto della seconda volta nei panni di un
criminale, avendo sempre dato vita a uomini di legge o figure
eroiche. Egli era però particolarmente affascinato proprio da come
anche questo personaggio passi dall’essere un fuori legge al
difensore della verità e della giustizia. Accanto a lui, nei panni
del detective Seth Frank, che indaga sulla vicenda, vi è invece
l’attore Ed Harris,
celebre per film come The Truman Show e The Hour.
E. G. Marshall, noto attore televisivo degli anni
Sessanta e Settanta e qui al suo ultimo ruolo, interpreta il
filantropo Walter Sullivan.
Il Presidente degli Stati Uniti Alan
Richmond ha invece il volto di Gene Hackman.
Questi aveva già collaborato con Eastwood per Gli
spietati, grazie a cui aveva vinto il suo secondo Oscar. Per
interpretare il personaggio, Hackman non ha mai condiviso nessuna
scena con il personaggio di Eastwood. L’attrice Laura Linney,
invece, è qui presente nei panni dell’avvocato Kate Whitney, mentre
Scott Glenn e Dennis Haysbert
interpretano rispettivamente gli agenti segreti Bill Burton e Tim
Collin. Nel film è inoltre presente con un piccolo cameo anche
Alison Eastwood, figlia del regista. Questa aveva
già lavorato con il padre per il film Corda tesa, e tornerà
ad interpretare sua figlia nel recente Il corriere – The
Mule.
Potere assoluto: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Potere assoluto grazie alla sua presenza
su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili
Cinema, Google Play, Infinity, e Apple iTunes. Per
vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà
noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo
di mercoledì 7 dicembre alle ore
21:00 sul canale Iris.
Apple
TV+ ha svelato oggi la prima immagine della terza
stagione di Truth Be Told, la serie vincitrice del NAACP
Image Award, con protagonista la vincitrice del premio Oscar
Octavia Spencer e la new entry, pluripremiata,
Gabrielle Union. La terza stagione, composta da 10
episodi, è stata ideata dalla scrittrice, showrunner e produttrice
esecutiva Nichelle Tramble Spellman e vede la Spencer riprendere il
ruolo di Poppy Scoville, reporter investigativa trasformatasi in
podcaster di cronaca nera, per occuparsi di un nuovo caso.
Truth Be Told 3: quando
esce e dove vederla in streaming
La nuova stagione di
Truth Be Told farà il suo debutto su Apple TV+ il 20 gennaio
con il primo episodio, seguito da un nuovo episodio ogni venerdì
fino al 24 marzo.
Truth Be Told 3: trama e
cast
Basata sul romanzo “While You Were
Sleeping” di Kathleen Barber, “Truth Be Told” offre uno sguardo
unico sull’ossessione americana per i podcast true crime e conduce
il pubblico a considerare quale sia il risvolto della medaglia
quando la ricerca della giustizia viene data in pasto all’opinione
pubblica. Nella terza stagione, Poppy (Octavia Spencer), frustrata
per la mancanza di attenzione da parte dei media nei confronti
della scomparsa di alcune giovani ragazze nere, si allea con una
preside dai modi poco ortodossi (Gabrielle Union) per mantenere i
nomi delle vittime ben visibili agli occhi di tutti, mentre segue
le tracce di un sospetto giro di traffico sessuale di cui
potrebbero essere rimaste vittime. Oltre a Gabrielle Union, nel
cast della terza stagione tornano Mekhi Phifer, David
Lyons, Ron Cephas Jones, Merle Dandridge, Tracie Thoms, Haneefah
Wood, Mychala Faith Lee e Tami Roman.
Truth Be Told è
creata da Nichelle Tramble Spellman, che è anche produttrice
esecutiva. Maisha Closson è la showrunner della terza stagione. Tra
i produttori esecutivi insieme a Maisha Closson e Octavia Spencer
ci sono Mikkel Nørgaard, Reese Witherspoon e Lauren Neustadter per
Hello Sunshine, Peter Chernin e Jenno Topping per Chernin
Entertainment e Brian Clisham per Orit Entertainment. “Truth
Be Told” è prodotto per Apple da Hello Sunshine, Chernin
Entertainment, Orit Entertainment e Fifth Season.
Maggie Friedman è tornata a
raccontare i drammi delle inseparabili Kate e Tully con
L’estate in cui imparammo a volare 2, adattamento
dell’omonimo romanzo drammatico-sentimentale di Kristin
Hannah. Fedeli, come nel rapporto dei loro personaggi,
anche le rispettive interpreti,
Katherine Heigl e Sarah Chalcke, le
quali sembrano nate per interpretarne i ruoli grazie soprattutto
alla chimica sullo schermo.
In questa seconda stagione le
attrici hanno dovuto confrontarsi con una storia dall’evoluzione
molto più angosciosa e intricata rispetto alla prima stagione in
cui Tully e Kate devono affrontare una crisi profonda che rischia
di distruggere irreparabilmente il loro legame. Netflix
ha rilasciato la prima parte della serie il
2 dicembre, mentre la seconda è prevista
per l’8 giugno 2023.
L’estate in cui imparammo a volare
2, la trama
Sono gli anni ’70. Tully (Katherine
Heigl) non vive più a Firefly Lane e perciò è
costretta a scambiarsi delle lettere con Kate (Sarah
Chalke) per poterle parlare. Il ritrovo di una foto però
fa nascere in Tully il dubbio che l’uomo sull’immagine insieme a
sua madre Nuvola (Beau Garrett) possa essere il
padre, e così decide di partire insieme a Kate per poterlo
conoscere. Negli anni ’90, le due giovani amiche sono alle prese
con amori che sbocciano, contrasti e carriera, specialmente quella
di Tully, che con l’aiuto dell’amica vuole arrivare ad avere il
posto come conduttrice nel programma della redazione per cui
lavorano, decisa a sfondare nei talk show.
Nel presente, datato 2004, Kate
soffre per la separazione dal marito Johnny (Ben
Lawson), mentre Tully deve affrontare la dura verità
riguardo alla famiglia del padre e il suo passato, decidendo
perfino di realizzare un documentario sulla ricerca. Un incidente
improvviso mette però in crisi il rapporto fra le due donne, che
dopo trent’anni di amicizia si trovano di fronte ad un vero e
proprio bivio.
Il punto di rottura
La storia si riaggancia agli eventi
lasciati in sospeso nella prima stagione, riprendendo la
struttura dei tre archi temporali: 1970, 1990 e
gli anni 2000. Le date, mostrate in sovrimpressione solo in
determinate sequenze, scandiscono il periodo adolescenziale e
adulto delle protagoniste, mentre si destreggiano nei problemi
prima scolastici e poi lavorativi che le forgiano in quanto donne.
La struttura narrativa della prima parte di L’estate in cui
imparammo a volare 2 ha come punto di rottura principale
un incidente, del quale alla fine di ogni episodio viene raccontato
uno specifico momento, fino a quando non si arriva allo svelamento
nel finale. È attorno a questa vicenda che ruotano tutte le altre,
e mentre la lancetta del tempo scorre avanti e indietro,
tutti i dissapori di Tully e Kate vengono svelati
fino alla crisi ultima delle due.
Questo meccanismo di navigazione, in
cui sono i flashback a prevalere, è servito per dare ancor più
tridimensionalità alle protagoniste, spiegando le ragioni delle
loro scelte e permettendo a chi le guarda di entrare a
trecentosessanta gradi nel loro rapporto intimo, identificandosi
con loro e rendendo così il climax finale più emotivamente
sconvolgente. Seppur la trama si basa su una sceneggiatura fluida
ed efficace nella sua semplicità, non è esente da alcune pecche a
livello di diegesi.
L’esplorare continuamente il passato
di Tully e Kate, specie quello adolescenziale, si perde in alcune
dinamiche già analizzate nella prima stagione. Nonostante
l’intreccio delle tre fasi del loro percorso sia la caratteristica
più peculiare della serie, è anche vero che alcune sequenze
l’abbiano appesantita e rallentata, restituendo un prodotto
decisamente troppo lungo, che si sarebbe potuto evitare tagliando i
segmenti non essenziali della storia.
Un’amicizia in cui “non bisogna
dire mi dispiace”
In amore non bisogna dire mi
dispiace. È questa la frase che Tully e Kate si ripetono spesso
negli episodi della prima parte di L’estate in cui
imparammo a volare 2. Le protagoniste hanno alle spalle un
rapporto di più di trent’anni e questo, come spesso ribadiscono, è
paragonabile ad una relazione sentimentale e come tale il prezzo da
pagare è sempre alto.
La cifra dominante di tutta
la serieèla loro radicata
amicizia, analizzata in tutte le sue sfaccettature e
incrinature per coglierne l’aspetto positivo e negativo. Tully e
Kate sono due facce della stessa medaglia, l’una l’opposto
dell’altra, ed è grazie al loro essere agli antipodi che riescono a
rimanere unite, completandosi. Ma un’amicizia così forte, in cui si
vive in simbiosi, non può che portare ad emozioni eccessive, siano
queste piacevoli o meno.
È su questo concetto dell’eccesso
che si gioca tutta la partita, poiché se è vero che un’amicizia
tanto solida può essere una salvezza, è anche vero che allo stesso
modo sia fonte di distruzione. Attraverso i loro diverbi, le
rinunce, i sacrifici, la serie lancia un messaggio specifico: poter
condividere un legame così intimo con una persona è un dono raro,
purché con essa si trovi un equilibrio che freni, quando è
necessario, il sovrastare di una sull’altra seppur
inconsciamente.
Tully, uno schiaffo in faccia al
patriarcato
L’estate in cui imparammo a
volare 2, esattamente come accadeva nella prima stagione,
è piena di cliché. A volte la loro presenza spegne la vivacità
della narrazione, ma molto spesso queste dinamiche comuni sono
inserite in modo funzionale nel contesto trattato e servono per
avvalorarne lo sviluppo. La serie punta a essere un
manifesto del femminismo, in questo caso rappresentato
dalla sagace e avvenente Tully Hart. Molto della trama decide di
virare sulla crescita della giornalista, attraversando i suoi
momenti di up e di down, ponendo molta attenzione sul suo cammino
alla ricerca di se stessa.
In un mondo maschilista e
patriarcale, in cui le donne sono viste come oggetto del desiderio
di un uomo e, ancora peggio, incapaci di potersi cimentare in
determinate carriere, Tully diventa la dimostrazione che solo non
assoggettandosi a qualcosa o qualcuno ma piuttosto lottando per i
propri principi e ideali, si può dimostrare l’esatto opposto. Nel
suo percorso a ostacoli, Tully riesce ad arrivare al traguardo
nonostante le ferite, il sudore e le lacrime, trasformando le
cicatrici nel suo punto di forza. La protagonista dimostra così che
il pregiudizio e le critiche spronano a combattere ancor
più ferocemente per quello in cui si crede, se lo si
crede, e non ad arrendersi alle provocazioni.
L’estate in cui imparammo a
volare 2 è un prodotto che continua a portare avanti
tematiche ancora essenziali e contemporanee, come l’indipendenza
delle donne e l’importanza della loro voce nel mondo, oltre che
veicolare un bel messaggio d’amicizia. È chiaro però che la palese
diluizione degli eventi è il segnale che la storia sente il bisogno
di trovare una degna conclusione.
Genoma Films è
orgogliosa celebrare la lunga carriera di Raffaele Pisu – scomparso
nel 2019 a 94 anni – con il progetto “Raffaele Pisu Mattatori
Brava Gente” – un evento itinerante in diverse città italiane
che vuole ripercorrere i 70 anni di attività del poliedrico
artista, attraverso una mostra fotografica, una video
installazione, la proiezione del restaurato Italiani Brava Gente, e
anche l’esposizione dei suoi quadri: in pochi sanno sua passione
per il disegno e per la pittura.
Dopo l’inaugurazione
avvenuta a Pesaro il 25 novembre allo Spazio
Bianco/Fondazione Pescheria, la tappa successiva dell’omaggio
arriva ora l’8 dicembre alla Casa del Cinema diRoma,
quindi alla Cineteca di Bologna per concludersi infine in
Sardegna (la famiglia di Pisu era originaria di
Guspini).
Raffaele Pisu è stato un
prolifico showman, attore radiofonico, teatrale cinematografico e
televisivo, comico, conduttore, un vero simbolo dell’Italia del
dopoguerra e delle decadi a seguire. Ha attraversato il periodo
d’oro della radio, della televisione e del cinema
italiano.
Grazie a questo evento
celebrativo, verrà ripercorsa la sua effervescente carriera con una
mostra di fotografie tratte dall’archivio privato Pisu, con una
video installazione che proporrà in loop volti ed espressioni
dell’artista e con un secondo video in cui è montata una sequenza
di brani tratti da un’intervista realizzata nel 2019 dal figlio
Antonio quando Raffaele aveva 92 anni. Inoltre, una sezione della
mostra è dedicata alle sue molteplici interpretazioni
cinematografiche e in particolare ad un celebre film in cui
l’attore si distingue in un inedito e straordinario ruolo
drammatico: Italiani brava gente (1964) di Giuseppe De Santis.
Saranno esposte rare foto di back stage scattate durante le
riprese.
In ogni location l’evento
gratuito sarà sempre accompagnato dalla proiezione della versione
restaurata del film, presentata nel 2018 alla Festa del cinema di
Roma grazie al finanziamento di Genoma Films e al restauro del
Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca
Nazionale.
Il progetto è di Genoma
Films dei fratelli Paolo Rossi Pisu e Antonio Pisu e
Marta Miniucchi, quest’ultima ne ha curato anche la
direzione artistica. L’evento è realizzato con il sostegno del
MIC-Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, dopo aver vinto
il bando “Progetti speciali per il cinema e l’audiovisivo anno
2021”
L’evento è realizzato in
collaborazione con: Comune di Pesaro, Pesaro 24-Capitale Italiana
della Cultura, AMAT, Spazio Bianco – Fondazione Pescheria, CSC
Cineteca Nazionale, Intramovies, Casa del Cinema di Roma, Istituto
Luce Cinecittà, Fondazione Cineteca di Bologna, Fondazione Sardegna
Film Commission, Calzanetto, Zen, Zig Zag, Ebano.
Si avvicina sempre di più il 14
dicembre, data in cui le sale italiane accoglieranno Avatar: la
via dell’acqua e in occasione della conferenza
stampa mondiale del film, i protagonisti, guidati dal prode
capitano James Cameron, hanno raccontato la loro
esperienza relativa al film/evento di questa fine del 2022.
Un sequel di uno dei film che hanno
fatto la storia del cinema non è impresa semplice, e per
James Cameron i requisiti da rispettare erano due:
“Penso che sia importante per un sequel onorare quello che il
pubblico ha amato del film precedente, ma bisogna anche costruire e
regalare agli spettatori cose che non si aspettano. Ci sono
sorprese sulla storia che abbiamo tenute nascoste e che non abbiamo
mostrato nei trailer, ma il film racconta anche elementi molto
profondi dell’essere vivente – ha spiegato lo sceneggiatore e
regista, che poi è sceso nel dettaglio di ciò che lo ha ispirato a
raccontare questa nuova storia – Il primo film era molto
più semplice in quando ad arco narrativo e in questo caso mi sono
ispirato al fatto che sia Zoe che Sam sono diventati genitori, nel
frattempo. Io stesso sono padre di cinque figli, e ho voluto
affondare le mani in queste dinamiche famigliari. Ma non solo, mi
interessava anche raccontare la storia dal punto di vista dei
figli, non solo dei genitori.”
Al suo fianco, come negli ultimi 20
anni, Jon Landau, il suo produttore, che in merito a
Avatar: la
via dell’acquaha raccontato
quale, per lui, è la parte più emozionante dell’intero progetto:
“La parte emozionante di questo progetto erano i temi che abbiamo
portato dentro alla storia. Questo film ha un grande cuore e un
messaggio in merito al mondo, non solo da un punto di vista
ecologico e ambientale, ma anche per le persone, in merito
all’accettarsi. Il primo film mostrava che i personaggi “si
vedevano” e noi vogliamo dire proprio questo alle persone, che le
vediamo e che altri allo stesso modo li vedono.”
Ma non solo la squadra dietro alla
macchina da presa torna al mondo di Pandora, perché Avatar: la
via dell’acquaè una vera e
propria reunion per
Zoe Saldana e
Sam Worthington. Entrambi gli attori devono il lancio
delle loro carriere al film di Cameron, ed entrambi tornano nella
loro pelle blu, questa volta completamente trasformati, dal tempo e
dai figli che sono arrivati per entrambi, sia nella vita reale, sia
nella finzione di Jake Sully e Neytiri.
Ma cosa è accaduto ai
nostri eroi nel salto temporale che separa il primo film da
Avatar:
la via dell’acqua? “James Cameron mi ha dato un
plico di fogli così, una sceneggiatura vera e propria che
raccontava cosa ha fatto Jake Sully negli anni che separano il
primo film dal secondo – ha spiegato
Sam Worthington – Un mucchio di dettagli e di
tutto quello che il personaggio ha attraversato in questi anni. Le
battaglie, le esperienze e la naturale estensione di questa storia
d’amore. Molte persone avrebbero cominciato la storiava dove
comincia il film, ma non Jim, lui è meraviglioso.”
Zoe Saldana è andata a fondo di ciò che è significato
12 anni fa e di cosa significa oggi essere Neytiri: “Essere di
nuovo Neitiry è stato terrificante, perché quando interpreti
qualcosa di così simile a te è troppo vicino a te. Io e neytiri
abbiamo vissuto vite parallele, c’è in entrambe lo spirito alla
ribellione, entrambe abbiamo questo spirito. Poi il salto
nell’innamorarsi di qualcuno di esterno al tuo cerchio, di
arrendersi a questo amore e portare avanti frutti in questo amore.
Per lei è stata sempre una sfida, perché la forza a proteggere e
amare qualcosa che invece le è stato insegnato di odiare. È molto
difficile e spaventoso. Quando sono diventata madre ho imparato a
capire cos’è la paura. La paura di avere qualcuno che ami così
tanto, passando un sacco di tempo a creare questo scenario
ipotetico in cui tutti sono al sicuro. E quando ho letto la
sceneggiatura mi sono rivista in lei.”
A sorpresa, Avatar: la
via dell’acqua riporta in scena, non proprio come
lo ricordavamo, anche il colonnello Miles Quaritch, che torna a
essere interpretato da
Stephen Lang, con una nuova veste. “È stato
elettrizzante tornare in questa nuova versione, anche per
approfondire questo personaggio – spiega Lang – Nel primo
film ha personalità e sfaccettature, ma si muove nella storia come
uno squalo senza cervello. In questo film invece c’è una magnifica
irono nel fatto che lui sia tornato in questa forma che è quella
che fino a quel momento ha tentato di distruggere. Adattarsi a
questo per me è stato un totale piacere.”
Dopo l’immenso successo
di Titanic,
Kate Winslet ha detto di nuovo sì a James
Cameron, cosa che, dal suo punto di vista era inevitabile,
dato l’entusiasmo e la gioia con cui ha accolto l’invito del
regista a unirsi al progetto: “A lavorare con Jim mi aspetto il
meglio di tutto. Precisione, pensiero, visione, meticolosità. Ma la
cosa che mi ha spinta più di tutte ad accettare è il personaggio
che ha creato. Jim ha sempre scritto per le donne dei personaggi
che non sono solo forti, ma che sono leader, con la loro testa,
hanno un’integrità, sostengono la loro verità, possiedono il potere
e hanno forza fisica, ed è ammirevole. Ed è stato bello essere
inclusi in questo progetto, in realtà mi ha lusingata molto che mi
abbia chiesto di partecipare, perché Jim non si fa prendere per il
naso e sapeva che avrei colto la sfida di quello che stava
chiedendo per il personaggio. E non si aspettava di me. Quindi sono
stata entusiasta che mi abbia chiesto di partecipare e quando sono
stata accolta in questo mondo che era stato creato da questi
ragazzi. Zoe e Sam, hanno costruito tutto nel primo film. Una cosa
è scrivere quello che ha scritto Jim, ma un’altra è dare una vera
vita a tutto quello che era stato scritto. È stato davvero
straordinario stare in quell’ambiente, non si tratta solo di una
performance, non sono cose che escono durante la giornata, è un
universo, è amore, è qualcosa di palpabile, lo senti. Entri in
questo spazio vuoto che però è totalmente carico di verità,
dinamicità e impulsi che questi due ragazzi hanno costruito e hanno
condiviso. E in tutta onestà è stato davvero speciale essere parte
di tutto questo.”
E lo stesso entusiasmo di Winslet si
intercetta nelle parole di
Sigourney Weaver, veterana del lavoro con
James Cameron e sorprendente ritorno nel mondo di
Pandora. Grace Augustine è morta nel primo film, ma la storia ha
trovato il modo di riportare indietro la sua interprete nei panni
di Kiri, adolescente Na’vi molto particolare: “Per fortuna c’è
una connessione trai personaggi (Kiri e la dottoressa Augustine)
che ho interpretato e che interpreto adesso. Ne abbiamo parlato per
la prima volta nel 2010 di questo personaggio selvaggio, che amava
vivere nella foresta. Ma penso che Jim volesse creare un
personaggio molto complesso con lati meravigliosi e con altri più
carenti. Ero proprio onorata di essere questo personaggio, ma per
fortuna ho avuto un sacco di tempo per prepararmi. Sono andata a
scuola, ho studiato la voce, c’è un range enorme di emozioni e fasi
che attraversa un adolescente tra i 12 e il 16 anni, e io ho amato
avere a che fare con questo tipo di emozioni. E solo dopo aver
avuto la possibilità di mettere tutto insieme ho potuto far uscire
Kiri e vedere come fosse realmente, combinandola con chi ero io a
14 anni. Mi ha dato un sacco di materiale su cui
lavorare.”
L’attesa sta per terminare, mentre
il mondo resta con il fiato sospeso per scoprire le meraviglie di
Avatar: la
via dell’acqua, dal 14 dicembre nelle sale
italiane.
Affermatosi come una delle maggiori
rivelazioni del Festival
di Cannes del 2019, dove il suo film d’esordio
Girl
ha vinto ben tre premi, il regista belga Lukas Dhont è ora pronto a portare al
cinema la sua opera seconda: Close.
Anch’esso presentato a Cannes, stavolta nel concorso ufficiale,
dove ha vinto il Grand Prix Speciale della giuria (il più
importante premio dopo la Palma d’Oro), il film ha per protagonisti
due ragazzi di nome Léo e Rémi,
la cui amicizia fraterna viene improvvisamente messa in crisi da
alcune novità nella loro vita. Con Close, Dhont torna
dunque ad indagare il mondo emotivo dei più giovani con uno sguardo
attento ad ogni sua sfumatura.
Dopo essere stato presentato ad
Alice nella Città, sezione parallela e autonoma
della Festa del Cinema di Roma, il film arriverà
finalmente nelle sale italiane a partire dal 4 gennaio
2023, distribuito da Lucky Red. Giunto a
Roma per presentare il film, Dhont ha avuto l’occasione non solo di
parlare di esso ma anche della sua idea di cinema e dei suoi
principali interessi come regista. “Tutti abbiamo fatto
esperienza di un’amicizia e di come il cuore si spezza quando
questa finisce. – racconta Dhont – Probabilmente quando il
cuore ci viene spezzato in tale ambito di solito non se ne parla,
abituati a vivere in una società che dà poco importanza ai rapporti
che non siano di tipo romantico.”
“Oggi ai ragazzi che crescono e
diventano uomini viene infatti insegnato che devono prendere la
distanza dalle emozioni ed essere più competitivi ed indipendenti.
Queste sono le caratteristiche che contraddistinguerebbero la
mascolinità, mentre tutto il resto finisce soffocato. I ragazzi
imparano a trovare intimità solo nel sesso e non nell’amicizia,
verso cui si prende sempre più distanza. Andando controcorrente, è
questo quello che ho cercato di raccontare con Close.”,
afferma il regista introducendo il film. Prima di voler fare il
regista, volevo fare il ballerino. – spiega poi, interrogato
sul suo metodo di lavoro – Quindi quando scrivo, il ballerino
dentro di me prende vita e finisco per scrivere più come un
coreografo che non come uno sceneggiatore.”
Close e la ricerca del vero nelle emozioni
“Pertanto scrivo principalmente
intenzioni di movimento, di distanza, di vicinanza e tutto ciò
diventa l’elemento portante del film. Nel corso di sei
mesi, – continua poi Dhont – io e i due giovani
protagonisti abbiamo trascorso molti tempo insieme, senza mai
provare una singola scena. Non è una cosa che faccio, provare prima
le scene, perché penso che tolga spontaneità. Quindi facevamo altre
attività, come passeggiare lungo la spiaggia o organizzare serate a
tema e di tanto in tanto con molta informalità chiedevo loro cosa
ne pensassero dei loro personaggi, se fossero curiosi di sapere
perché si comportavano come gli si vede fare poi nel
film.”
“Li ho fatti diventare dei
detective alla ricerca del perché succede ciò che è stato scritto
nella sceneggiatura. Volevo che capissero davvero quale è il loro
ruolo, – spiega il regista – che vi entrassero dentro e
sentissero anche la libertà di esprimersi. Non voglio che le
persone davanti la macchina da presa abbiano troppa consapevolezza
di essa e di ciò che vi accade dietro. Con il mio direttore della
fotografia prepariamo dunque nel minimo dettaglio ogni scena, dai
colori all’atmosfera e fino alle intenzioni, così da poter poi
permettere massima libertà agli attori. È come se fossimo una
troupe documentaristica perdutasi in un set di fiction.”
Raccontare il non detto
“Il desiderio sin dall’inizio
era quello di fare un film su due ragazzini ma anche sulle loro
madri, due donne che cercano un modo per gestire ed affrontare i
propri sentimenti. In particolare la madre di Rémi indossa una
specie di armatura, non mostra i propri sentimenti. Lei è molto
simile a Léo in questo. Entrambi si ritrovano a dover portare il
peso di aver perso una persona loro carissima, rapportandosi con
tale fardello e il senso di colpa. Non tutte le cose però possono
essere comprese e molto spesso può capitare che ci troviamo davanti
a situazioni di cui non possiamo comprendere tutto”
“Credo dunque che il non detto
sia un tema importante di questo film. – conclude Dhont –
I giovani sperimentano sempre qualcosa per la prima volta, come
i sentimenti o il senso di colpa. Tutte queste sensazioni poi
crescono dentro di noi ma spesso non siamo capaci di esprimerle.
Credo sia importante cercare di rappresentare tutto ciò sullo
schermo, perché potrebbe essere un modo per invitare gli spettatori
a parlare della propria interiorità. Trascorriamo la vita andando a
scuola e studiando materie come matematica e grammatica, ma non
impariamo mai a trovare il linguaggio per esprimere quello che
abbiamo dentro e questo penso che sia una forte mancanza per la
nostra società.”
È più di una semplice bambola. Fa parte della
famiglia. Dalle menti più prolifiche dell’horror – James
Wan, il regista dei franchise
Saw,
Insidious e
The Conjuring, e Blumhouse, il produttore dei film
Halloween, The Black
Phone e The Invisible
Man – arriva un nuovo volto del terrore. M3GAN
è una meraviglia di intelligenza artificiale, una bambola a
grandezza naturale programmata per essere la più grande compagna
dei bambini e la più grande alleata dei genitori. Progettata da
Gemma (Allison
Williams di Get Out), brillante robotica di
un’azienda di giocattoli, M3GAN
è in grado di ascoltare, guardare e imparare, diventando amica e
insegnante, compagna di giochi e protettrice del bambino a cui è
legata.
Quando Gemma diventa improvvisamente la tutrice
della nipote orfana di 8 anni, Cady (Violet McGraw, The Haunting of
Hill House), è insicura e impreparata a diventare genitore.
Sottoposta a forti pressioni sul lavoro, Gemma decide di abbinare
il suo prototipo M3GAN con Cady nel tentativo di risolvere entrambi
i problemi: una decisione che avrà conseguenze inimmaginabili.
Prodotto da Jason Blum e James Wan, M3GAN è
diretto dal pluripremiato regista Gerard Johnstone (Housebound),
sceneggiatura di Akela Cooper (Malignant, The Nun 2) basata su una
storia di Akela Cooper e James Wan.
M3GAN
è interpretato anche da Ronny Chieng (Shang-Chi e la leggenda
dei dieci anelli), Brian Jordan Alvarez (Will & Grace), Jen Van
Epps (Cowboy Bebop), Lori Dungey (Il Signore degli Anelli: La
Compagnia dell’Anello, edizione estesa) e Stephane Garneau-Monten
(Straight Forward). Universal Pictures e Blumhouse presentano una
produzione Atomic Monster in associazione con Divide/Conquer. I
produttori esecutivi del film sono Allison Williams, Mark Katchur,
Ryan Turek, Michael Clear, Judson Scott, Adam Hendricks e Greg
Gilreath.
Si è conclusa la 40° edizione del
Torino Film Festival, diretto da Steve Della Casa
e inaugurato con un messaggio del Presidente della Repubblica
Italiana Sergio Mattarella. L’edizione 2022 si è
svolta completamente in presenza nella prospettiva del ritorno in
sala del pubblico e coinvolgendo attivamente la città. Sono stati
173 i film presentati nei quattro cinema coinvolti, oltre agli
appuntamenti dislocati in numerose location cittadine tra cui Casa
Festival in Cavallerizza Reale, cuore pulsante della
manifestazione.
I dati dell’edizione 2022 sono i
seguenti: 49.622 presenze suddivise in
37.622 spettatori agli eventi a pagamento e
12.000 spettatori agli eventi gratuiti (tra cui
masterclass, anticipate stampa, altre proiezioni ed eventi), 2074
accrediti rilasciati (stampa e professionali/industry), 411
abbonamenti e 224 pass giornalieri
venduti e un incasso di 151.632 euro a fronte di
64.699 posti a sedere nelle sale cinematografiche contro i 98.963
dell’edizione 2019 (ultima pre pandemia).
Tante le proiezioni sold out tra
cui: Dry Ground Burning di Joana Pimenta
e Adirley Queirós, Eo di Jerzy
Skolimowski, Empire of Light di Sam Mendes,
Magical Girl e
Mantìcora di Carlos Vermut,
Nocebo di Lorcan Finnegan, O
Acidente di Bruno Carboni,
Pacifiction di Albert Serra,
Palm Trees and Power Lines di Jamie Dack,
Pinball di Austin e Meredith Bragg,
Plan 75 di Chie Hayakawa,
Riotsville, Usa di Sierra Pettengill,
Runner di Marian Mathias, The
Woodcutter Story di Mikko Myllylahti, Un
Varón di Fabian Hernández, Urban
Myths di Won-Ki Hong.
La copertura
social del TFF è stata di circa 600
mila utenti unici, con dati di assoluta eccellenza
per le piattaforme Facebook e
Instagram con oltre 116 mila
interazioni con i canali del festival. Tutti i canali
social del TFF – Instagram, Facebook, Twitter e Youtube – hanno
prodotto oltre 2.000.000 di impression
totali e 330 mila visualizzazioni di
video.
Molto significativo anche il dato
del canale Instagram con impression
organiche durante il festival che si
attestano oltre quota 1.335.000 mila,
trainate da oltre 145.000 views dei 24
video postati durante eventi, presentazioni e masterclass, e
un incrementodi oltre il
45% del numero di follower.
Durante il TFF40 sono stati inoltre realizzati diversi TikTok a
tema Torino Film Festival sul canale TikTok del Museo Nazionale del
Cinema con un totale di oltre 122.000 views. Alla
luce di queste considerazioni, i dati del 40° Torino Film Festival
sono testimonianza di un importante segnale di ripresa, a conferma
del valore della manifestazione e della sua capacità di
coinvolgimento della città.
Dal cuore di Milano all’estremo
oriente, dagli intrighi di spionaggio raccontati da Vicente Vallés
in galleria a due passi da Teatro la Scala ai brividi del cinema
coreano, le ultime due giornate del 32° Noir in Festival sono ad
alta tensione.
Nel pomeriggio di oggi, a partire
dalle ore 17.00 presso Rizzoli Galleria, si parlerà infatti di
politica e conflitti con Vicente Vallés e
lo storico e scrittore Aldo
Giannuli a partire dai loro nuovi
romaniOperazione
Kazan (Salani) e Spie in
Ucraina(Ponte alle Grazie).
Il grande cinema del Noir, per le
ultime giornate di festival, presenta invece due pellicole made in
Corea. Da una parte l’esordio dietro la macchina da presa di Lee
Jung-jae, noto al grande pubblico per il ruolo da protagonista di
Squid
Game, con il suo Hunt, spy
thriller nella Corea del Sud degli anni ‘80 (mercoledì 7
dicembre ore 21.00, Cineteca Milano Arlecchino). L’anteprima sarà
preceduta dalla consegna del Premio Caligari
2022.
Dall’altra la chiusura del festival
nella serata di giovedì 8 dicembre è affidata a uno degli esponenti
più influenti del cinema coreano, Park
Chan-wook, con l’anteprima del suo ultimo
film Decision
to Leave (ore 21.00, Cineteca Milano
Arlecchino). Vincitore del Premio per la Migliore Regia all’ultimo
festival
di Cannes, Decision to Leave è un thriller noir
di chiara ispirazione hitchcockiana che arriverà prossimamente in
sala con Lucky Red.
La serata di giovedì 8 celebrerà il
miglior film noir di questa edizione con la cerimonia di
premiazione del Black Panther Award, assegnato
dalla giuria a uno degli 8 titoli in concorso.
(Photo by Gareth
Cattermole/Getty Images for Disney)
Director James Cameron
attends the World Premiere of James Cameron's "Avatar: The Way of
Water" at the Odeon Luxe Leicester Square on December 06, 2022 in
London, England. (Photo by StillMoving.net for Disney)
Sigourney Weaver e Kate
Winslet attend the world premiere of James Cameron's "Avatar: The
Way of Water" at the Odeon Luxe Leicester Square on December 06,
2022 in London, England. (Photo by Gareth Cattermole/Getty Images
for Disney)
Kate Winslet attends the
world premiere of James Cameron's "Avatar: The Way of Water" at the
Odeon Luxe Leicester Square on December 06, 2022 in London,
England. (Photo by Gareth Cattermole/Getty Images for Disney)
LONDON, ENGLAND - DECEMBER
06: Sam Worthington and Sigourney Weaver attend the world premiere
of James Cameron's "Avatar: The Way of Water" at the Odeon Luxe
Leicester Square on December 06, 2022 in London, England. (Photo by
Gareth Cattermole/Getty Images for Disney)
Sam Worthington and Lara
Worthington attend the world premiere of James Cameron's "Avatar:
The Way of Water" at the Odeon Luxe Leicester Square on December
06, 2022 in London, England. (Photo by Gareth Cattermole/Getty
Images for Disney)
Sigourney Weaver attends
the World Premiere of James Cameron's "Avatar: The Way of Water" at
the Odeon Luxe Leicester Square on December 06, 2022 in London,
England. (Photo by StillMoving.net for Disney)
Stephen Lang attends the
World Premiere of James Cameron's "Avatar: The Way of Water" at the
Odeon Luxe Leicester Square on December 06, 2022 in London,
England. (Photo by StillMoving.net for Disney)
Zoe Saldana attends the
World Premiere of James Cameron's "Avatar: The Way of Water" at the
Odeon Luxe Leicester Square on December 06, 2022 in London,
England. (Photo by StillMoving.net for Disney)
(Photo by Gareth
Cattermole/Getty Images for Disney)
Avatar: la via dell’acqua si svolge dentro e intorno
all’oceano. Sully (Sam
Worthington) e Neytiri (Zoe
Saldana) hanno dei figli. “Ovunque andiamo”, dice
Sully, “so una cosa, questa famiglia è la nostra fortezza”. Il
sequel sembra ancora più sbalorditivo nella sua grafica blu intenso
rispetto al film del 2009. Creature tutte nuove: vediamo i Na’vi su
pesci volanti, uccelli, creature che comunicano con una balena,
eppure in qualche modo divisi nonostante la loro affinità con la
natura: le persone aliene sono divise, combattono l’una contro
l’altra in una lotta tra pistole e frecce. È davvero un mondo
completamente nuovo che alza la posta in gioco del precedente film
3 volte vincitore di Oscar.
Avatar: la via dell’acqua debutterà il 14
dicembre 2022, seguito dal terzo capitolo il 20
dicembre 2024. Per il quarto e quinto capitolo, invece, si
dovrà attendere ancora qualche anno: 18 dicembre
2026 e 22 dicembre 2028.
Il cast della serie di film è
formato da
Kate Winslet, Edie Falco,
Michelle Yeoh,
Vin Diesel, insieme ad un gruppo di attori che
interpretano le nuove generazioni di Na’vi. Nei film torneranno
anche i protagonisti del primo film, ossia
Sam Worthington,
Zoe Saldana,
Stephen Lang,
Sigourney Weaver, Joel David Moore,
Dileep Rao e Matt Gerald.
L’ultimo dramma di Wes AndersonAsteroid
Cityarriverà nei cinema la prossima
estate. Focus Features, lo
studio dietro il film, ha fissato un’uscita nelle sale con una
tiratura limitata il 16 giugno 2023 con un’espansione più ampia
prevista per il 23 giugno. Universal Pictures, la
società madre di Focus Features, si occuperà della
distribuzione internazionale.
Nella sua data di uscita limitata,
Asteroid
City uscirà lo stesso giorno del cinecomics Warner Bros. The
Flash. Una settimana dopo il debutto del film di
Anderson a livello nazionale, la Disney lancerà il quinto capitolo
di Indiana Jones che si intitolerà Indiana
Jones e la ruota del destino.
Quello che sappiamo su Asteroid
City di Wes Anderson
L’ambientazione degli anni ’50
“Asteroid
City” è descritta come una “meditazione poetica sul significato
della vita”. Il film è ambientato in un’immaginaria città del
deserto americano durante una convention di Junior Stargazer/Space
Cadet. Segue il caos quando l’evento, organizzato per riunire
studenti e genitori di tutto il paese per borse di studio e
competizioni accademiche, viene sconvolto in modo spettacolare da
eventi che cambiano il mondo.
A poco più di sei mesi prima della
sua uscita, la data di uscita del film The
Flash della DC è stata
anticipata dalla Warner Bros Discovery. Originariamente previsto
per l’uscita nelle sale il 23 giugno 2023, The
Flash debutterà ora nelle sale il 16 giugno 2023. In
particolare, questa mossa dà al film un po’ di respiro, in quanto
gli concede un’altra settimana nelle sale prima di Indiana
Jones e la ruota del destino che uscirà il 30
giugno 2023.
The
Flash uscirà nelle sale il 16 giugno 2023. Il
film è diretto da Andy Muschietti
di IT e si baserà sull’ultima sceneggiatura
scritta da Christina Hodson (Birds
of Prey). La produzione esecutiva è di Marianne
Jenkins con Michael Disco e Barbara Muschietti come produttori.
Il film
The Flash
The
Flash arriverà finalmente nelle sale il 16 giugno
2023. Il film vede
Ezra Miller riprendere il ruolo di Barry Allen da
Justice League e sarà affiancato da
Sasha Callie nei panni di Supergirl e Michael Keaton nel suo grande ritorno nei
panni di Batman, 31 anni dopo la sua ultima apparizione in
Batman Il Ritorno.
Tutto quello che c’è da sapere su
The Flash con Ezra Miller
Confermata anche la presenza
di Michael
Keaton e Ben
Affleck, che torneranno entrambi a vestire i panni di
Batman. Kiersey Clemons tornerà nei
panni di Irish West dopo essere apparsa in Zack
Snyder’s Justice League (il personaggio era stato
tagliato dalla versione theatrical). Nel cast ci saranno anche
l’attrice spagnola Maribel Verdú (Il
labirinto del fauno), che interpreterà Nora Allen (la
madre di Barry) e l’attrice statunitense Sasha
Calle(Febbre d’amore) che interpreterà
Supergirl.
The Bad Guy è la
nuova serie Prime Original italiana creata e scritta da
Ludovica Rampoldi, Davide Serino e Giuseppe G.
Stasi, diretta da Giuseppe G. Stasi e Giancarlo
Fontana e prodotta da Nicola Giuliano, Francesca
Cima e Carlotta Calori per Indigo Film con Amazon Studios,
ed è stata presentata in anteprima mondiale – fuori concorso – alla
40a edizione del Torino Film Festival.
The Bad Guy: quando esce e dove vederla in
streaming
The Bad Guy in streaming uscirà il
15 dicembre in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel
mondo i primi tre episodi della serie Original italiana
The Bad Guy: trama e cast
The Bad Guy, con
Luigi Lo Cascio, Claudia Pandolfi, Vincenzo Pirrotta,
Selene Caramazza, Giulia Maenza, Antonio Catania,Fabrizio Ferracane. The Bad Guy è una
serie in sei episodi diretta da Giuseppe G. Stasi e
Giancarlo Fontana. Gli ultimi tre episodi saranno
disponibili dal 15 dicembre.
The Bad Guy unisce il
crime con la dark comedy e racconta l’incredibile
storia di Nino Scotellaro (Luigi
Lo Cascio), pubblico ministero siciliano che ha dedicato tutta
la sua vita alla lotta contro la mafia e che improvvisamente viene
accusato di essere uno di coloro che ha sempre combattuto: un
mafioso. Dopo la condanna, senza più nulla da perdere, Nino decide
di mettere a segno un machiavellico piano di vendetta, diventando
il “bad guy” in cui è stato ingiustamente trasformato.
Hanno collaborato a The
Bad Guy anche i cantautori Colapesce Dimartino
firmando per la colonna sonora il brano originale “Cose da Pazzi”
– nuovo singolo disponibile su tutte le piattaforme digitali
– e il jingle originale “Wowterworld” che compare nella serie.
The Bad Guy si unirà a migliaia di film, show e serie
già presenti nel catalogo di Prime Video, tra cui le produzioni
italiane Original Autumn Beat,
Prisma, Bang Bang Baby, Gianluca Vacchi: Mucho Más, Laura
Pausini – Piacere di conoscerti, The Ferragnez – La serie, All or
Nothing: Juventus, Anni da cane, Dinner Club, Vita da Carlo, FERRO,
Celebrity Hunted – Caccia all’uomo, e LOL: Chi ride è fuori;
le serie pluripremiate Fleabag e The Marvelous Mrs.
Maisel e i grandi successi come Il Signore degli
Anelli: Gli Anelli del Potere, Jack Ryan di Tom
Clancy, Samaritan, Tredici Vite, The Tender Bar, A proposito dei
Ricardo, La guerra di domani, Reacher e Il principe cerca figlio oltre a
contenuti in licenza disponibili in oltre 240 Paesi e territori nel
mondo, e le dirette in esclusiva in Italia delle 16 migliori
partite del mercoledì sera della UEFA Champions League, oltre che
della Supercoppa UEFA, per tre stagioni dal 2021/22. Fra le altre
produzioni Original italiane già annunciate Everybody Loves
Diamonds, Dinner Club S2, The Ferragnez – La Serie Stagione 2
e il capitolo italiano dell’universo Citadel.
Arriverà il25 dicembre in
prima assoluta su SkyCinema e in streaming solo su NOWBEATA TE, la nuova commedia Sky
Original prodotta per Sky da
Cinemaundici e Vision
Distribution che affronta, con toni leggeri ma nonbanali,
il delicato tema della maternità e della libera scelta.
Prodotto da Olivia Musini, con la regia di
Paola Randi (La Befana vien di notte – Le
origini) e la sceneggiatura di Lisa Nur
Sultan e Carlotta Corradi, il film è
tratto dall’opera teatrale “Farsi Fuori” di Luisa Merloni e ha come
protagonista Serena
Rossi(Ammore
e malavita,
Song ‘e Napule, La tristezza ha il sonno leggero). Accanto
a lei Fabio Balsamo ((Im)perfetti criminali,
Generazione 56 k).
Nel cast anche Paola Tiziana Cruciani, Gianni Ferreri,
Valentina Correani, Elisa Di Eusanio, Corrado Fortuna, Emiliano
Masala, Alessandro Riceci e con la piccola
Caterina Bernardi.
La trama
Marta (Serena Rossi) è una regista di teatro, single e tutto
sommato soddisfatta della sua vita, a un passo dal debutto del suo
Amleto. Al suo 40esimo compleanno riceve una visita inaspettata:
l’Arcangelo Gabriele (Fabio Balsamo), che vorrebbe annunciarle la
nascita di un figlio. Ma Marta non è sicura di volere un figlio “in
dono” e chiede tempo per pensarci. Preso alla sprovvista da questa
richiesta, costretto a fermarsi sulla Terra più del previsto,
Gabriele si trasferirà a casa sua e le starà accanto per le due
settimane che a Marta serviranno per capire cosa vuole per sé
stessa e per essere felice.