Come ormai noto, Guardiani
della Galassia 3 sta navigando senza un capitano. Dopo il
licenziamento di James Gunn da parte della Disney,
la produzione ha dato uno stop alle riprese e all’intero progetto
fino all’individuazione di un sostituto. La questione è abbastanza
spinosa in quanto Gunn non era solo il regista del film, ma anche
lo sceneggiatore e colui che ha dato un’impronta personale
all’intera saga già con i primi due episodi. Rimpiazzarlo non sarà
dunque facile. Una delle voci più accreditare in questi mesi è che
la Disney proponesse la regia a Paul Feig,
ideatore in tempi recenti del non brillantissimo reboot di
Ghostbusters.
Durante un’intervista è stato
proposto a Feig questo scenario, ma il regista sembra avere le idee
abbastanza chiare a proposito: “Non accetterei mai un progetto
che apparteneva ad un altro regista. Si può pensare quello che si
vuole, fare i moralisti su ciò che James Gunn ha scritto. Io non
faccio mai quel tipo di battute e nemmeno mi piacciono. Ma
Guardiani della Galassia resta comunque il franchise di James
Gunn“.
L’impressione è che molti cineasti
la penseranno alla stessa maniera, cosa che rende ancora più ardua
l’impresa della Disney. Guardiani della Galassia
3, con ogni probabilità, non riuscirà ad essere sul grande
schermo nel 2020 così come inizialmente era programmato. E lo
schieramento del cast dalla parte di Gunn farebbe pensare che si è
sempre più vicini alla cancellazione.
L’universo espanso Marvel è pieno di opportunità per
connettere un supereroe all’altro e c’è chi fantastica tra gli
incontri possibili tra i personaggi. Uno di questi è l’attore
Mark Ruffalo, interprete di Hulk,
che in una recente dichiarazione ha ammesso di sognare un incontro
tra il suo eroe e Wolverine.
“Mi piacerebbe vedere un nuovo
team-up in futuro e la combinazione Hulk-Vedova Nera non è per
niente male, ma sarebbe molto fico, e la gente già ne parla
spesso, vedere Hulk che incontra Wolverine. Sarebbe un
grande incontro. Hugh Jackman è magnifico, mi piacerebbe lavorare
con lui, se mai vorrà. Anche lui ha parlato spesso di Hulk vs.
Wolverine, immagino che sarebbe divertente” ha dichiarato
l’attore.
Ruffalo però non ha messo in conto
la decisione, apparentemente irremovibile, di Hugh
Jackman di dire addio al mondo Marvel ed al suo Wolverine
dopo Logan. Inoltre la casa di produzione non ha
mai pubblicamente optato per questa idea, puntando nel recente
periodo a ben altri personaggi. Wolverine infatti sembra aver fatto
il suo corso, avendo debuttato sul grande schermo già dall’inizio
del millennio e svolgendo un ruolo fondamentale all’apertura del
cinema al mondo dei supereroi.
Il pubblico delle Giornate ha
scelto Ricordi?
di Valerio Mieli per il premio assegnato
da BNL Gruppo BNP Paribas.
Il film di Mieli era l’unico
italiano in concorso di undici titoli, provenienti da
cinematografie differenti di diciotto paesi del mondo (diverse le
co-produzioni).
Percentuale di voto: 69,6 % di voti
favorevoli.
Ricordi?
è l’opera seconda di Valerio Mieli dopo il debutto
del 2009 proprio alla Mostra di Venezia.
Luca Marinelli è
il protagonista maschile di questa storia d’amore, affiancato da
Linda Caridi che è una vera rivelazione. Il
film è prodotto dalla Bibi Film di Angelo
Barbagallo e coprodotto da Les films
d’ici con Rai Cinema e in collaborazione
con Cattleya.
Sin da quando sono nate le Giornate
nel 2004, BNL Gruppo BNP Paribas ha incoraggiato
le iniziative portate avanti in questi quindici anni di
collaborazione. Presente alla Mostra di Venezia
anche con la Settimana Internazionale della Critica, BNL
sostiene il cinema e ne favorisce la diffusione con un premio il
cui unico giudice è il pubblico sovrano. Con questo riconoscimento
BNL, insieme alle Giornate, premia sia il livello di gradimento sia
la capacità di un film di attrarre pubblico.
Il premio è stato consegnato alla
Villa degli Autori da Anna Boccaccio, Direttore
del Servizio Relazioni Istituzionali.
Con questo premio, le Giornate sono
felici di promuovere un film italiano e aiutarne il futuro
accompagnandolo verso lo stesso pubblico che lo ha votato.
Dopo Il Giovane
Favoloso, presentato al Lido nel 2014, Mario
Martone porta in Concorso a Venezia 75
Capri-Revolution, il suo nuovo lungometraggio che,
di nuovo, riflette sulla Storia inquadrandola da vicinissimo.
Capri-Revolution è
ambientato nel 1914 a Capri, dove alla vigilia della Prima guerra
mondiale, un gruppo di giovani artisti nordeuropei si stabilì,
fondando una comune, alla ricerca di un ambiente naturale e
selvaggio da riprodurre in pittura e di un posto dove vivere in
pace, recuperando la semplicità della vita primitiva. Una società
antesignana di quella degli hippy, quindi, che però si sviluppò per
un periodo brevissimo molto prima dei movimenti culturali e
politici di fine anni ’60. Lucia, una giovane guardiani di capre
autoctona, entra in contatto con questa comunità, da subito
affascinata e pian piano coinvolta nel loro modo di vivere.
Con lei anche Carlo, il medico del paese, viene coinvolto
nella società naturista, guardata con circospezione e
curiosità.
Capri-Revolution, il film
Martone prende spunto da un fatto
storico e lo dilata, realizzando un racconto estremamente ricco che
però lascia cadere subito le trame narrative legate alla politica e
si concentra sulla figura di Lucia, interpretata da
Marianna Fontana (Indivisibili),
che in pochissimo tempo, da pastorella analfabeta, impara a
leggere, scrivere, parlare in italiano e addirittura in inglese. La
debolezza del film di Martone si riscontra tutta nella
sceneggiatura, scritta a quattro mani con Ippolita Di
Majo, e che trascura l’aspetto politico impegnato della
storia reale che concentrarsi sulla parabola personale. Persino la
messa in scena del naturismo della comunità fondata dal pittore
tedesco Karl Wilhelm Diefenbach viene trattata con
superficialità, e il discorso sull’atto creativo, come elemento per
connettersi a più livello con altre persone viene completamente
messo da parte.
La lussuria della natura, la
particolarità della storia vera, la preparazione alla rivoluzione
russa del 1917 che potrebbe intercettarsi nel titolo stesso del
film, vengono attraversati quasi con superficialità da Martone, e
così Capri-Revolution rimane un’opera affascinante
a metà, che non va a fondo, che non sfrutta il suo potenziale.
Dopo aver sempre prediletto il
concorso di Cannes, Carlos Reygadas si presenta a
Venezia 75 con il suo nuovo film, Nuestro
Tiempo, in gara per il Leone d’Oro. Il regista realizza un
ambizioso affresco della campagna messicana, completamente
ambientato in un ranch, in cui la storia animale e naturale si
intreccia a quella umana in un gioco di parallelismi semplicistico
e didascalico.
La storia, che si dispiega per tre
ore abbondanti, è quella di Juan e Esther, una coppia che vive in
campagna allevando tori. Lei gestisce il ranch, lui, poeta di fama
mondiale restio alla vita di città, si occupa invece della crescita
e della selezione degli animali. La loro vita entra in crisi quando
la donna si infatua di un addestratore di cavalli di nome Phil; con
lui comincia una relazione clandestina che porterà scompiglio nella
sua vita familiare.
Reygadas ci
concentra moltissimo sull’ambiente naturale, immergendo lo
spettatore nella campagna messicana e dando a tutto il film dei
tempi e il tono di un western, indugiando lungamente su campi
lunghi in cui la luce del sole dirige lo sguardo dello spettatore.
Un affresco magniloquente di una natura selvaggia e ingestibile,
rappresentata alla perfezione dal toro che si scaglia furiosamente
contro un mulo e lo squarta. La stessa potenza della natura che
viene messa in rapporto alla debolezza dell’uomo, una scelta
semplicistica, come accennato, che affievolisce la potenza visiva
del film stesso.
Nuestro Tiempo
vuole essere una fotografia del contemporaneo in un mondo a confine
tra civiltà e natura incontaminata, dove però la prima risulta non
solo inferiore e scialba rispetto alla seconda, ma anche peggio
messa a fuoco nella sua meschina imperfezione.
Come un beffardo déjà-vu, a
ventiquattro ore esatte dalla proiezione del discusso The
Nightingale di Jennifer Kent, lo
schermo del concorso di
Venezia 75 torna a tingersi di sangue e a mostrare
stupri, mutilazioni e atrocità varie, con Zan
(Killing) di Shin’ya
Tsukamoto.
Killing, la trama
Ambientato nel Giappone feudale del
diciannovesimo secolo, Killing narra la
storia di Mokunoshin Tsuzuki, un Ronin, ovvero un
samurai senza padrone, che lavora in una comunità di agricoltori di
una povera risaia sperduta tra i monti. Il ronin si allena
quotidianamente con Ichisuke, sotto gli occhi di sua sorella Yu,
che disapprova la loro dedizione al combattimento. Tra Mokunoshin e
Yu c’è attrazione e una relazione velata, mai dichiarata.
Tutto sembra scorrere in modo tranquillo, ma un giorno arriva
alla risaia Jirozaemon Sawamura, un abile ronin,
tanto spietato quanto gentile, che cerca abili samurai da portare
al servizio di un signore locale.
Shin’ya Tsukamoto,
autore di culto, creatore di capolavori come i tre film della
trilogia di Tetsuo, Tokyo fist,
A snake of June, Vital e Kotoko,
arriva a Venezia con una storia classica sul mondo dei samurai, da
lui scritta, diretta, prodotta e montata, oltre ad apparire anche
come attore. Realizza un film feroce, potente, raccontato con
sguardo fulminante, come il riflesso sulla lama della katana,
raccogliendo consensi e applausi in sala fin dalle prime
inquadrature, che mostrano la forgiatura di una spada, sottolineata
da una musica travolgente, che esalta e trascina i suoi tanti
sostenitori.
Ma nonostante questo
Killing rimane un’esibizione di stile e
capacità tecniche, che poco aggiungono alle istanze espressive
scaturite in passato dalla mente di Tsukamoto, come quel manifesto
della nuova carne che teorizzava ibridazioni tra organico e
tecnologico. Un corpo-macchina affine alle tematiche di Cronenberg,
che il regista giapponese considera suo padre spirituale. Il film
procede veloce e vivace, tra duelli, stupri, mutilazioni,
masturbazioni, schermaglie amorose sado-masochistiche e sangue a
fiumi, dipanando una trama esile e ormai abusata, dove l’unico
elemento di riflessione è l’incapacità del protagonista nel
riuscire a uccidere. Ed è paradossale che le situazioni similari
viste nel film di Jennifer Kent, seppure con
un’istanza narrativa completamente differente, vengano qui esaltate
e fomentate, con sentito apprezzamento e scrosci di applausi.
Killing è una
classica storia di samurai, con tanto sangue, arti mutilati,
soprusi e vendette, ma nulla di più. È un’opera minore di un autore
geniale che ha costruito una sua poetica originale, divenuta
culto.
Oltre al regista abbiamo avuto modo
di intervistare anche i protagonisti de
La profezia dell’Armadillo: Simone Liberati,
Pietro Castellitto e Valerio Aprea.
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua
vita scorre sempre uguale, tra giornate spese a bordo dei mezzi
pubblici attraversando mezza Roma per raggiungere i vari posti di
lavoro e le visite alla Madre. Ma una volta tornato a casa,
lo aspetta la sua coscienza critica: un Armadillo in carne e ossa,
o meglio in placche e tessuti molli, che con conversazioni al
limite del paradossale lo aggiorna costantemente su cosa succede
nel mondo.
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco. La notizia della morte di Camille, una
compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo
costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo
spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di
certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.
In occasione di Venezia
75 abbiamo intervistato Emanuele
Scaringi, regista de
La profezia dell’Armadillo, il film basato
sull’omonimo fumetto di Zero Calcare.
Zero ha ventisette anni, vive nel
quartiere periferico di Rebibbia, più precisamente nella Tiburtina
Valley. Terra di Mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori
grandi. Dove manca tutto ma non serve niente. Zero è un disegnatore
ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta dando ripetizioni di
francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e
creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua
vita scorre sempre uguale, tra giornate spese a bordo dei mezzi
pubblici attraversando mezza Roma per raggiungere i vari posti di
lavoro e le visite alla Madre. Ma una volta tornato a casa,
lo aspetta la sua coscienza critica: un Armadillo in carne e ossa,
o meglio in placche e tessuti molli, che con conversazioni al
limite del paradossale lo aggiorna costantemente su cosa succede
nel mondo.
A tenergli compagnia nelle sue
peripezie quotidiane, nella costante lotta per mantenersi a galla,
è l’amico d’infanzia Secco. La notizia della morte di Camille, una
compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo
costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo
spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di
certezze della sua generazione di “tagliati fuori”.
Il concorso di
Venezia 75 si infiamma di vendetta e si tinge di
sangue con The Nightingale, di Jennifer
Kent, unica regista donna presente nella competizione
ufficiale.
La trama di The Nightingale
The Nightingale
racconta la tragica storia di Clare, una giovane deportata
irlandese, costretta a sopravvivere dolorosamente in un modo
degenerato, popolato da uomini ottusi, arroganti e violenti, senza
alcun rispetto per le popolazioni aborigene autoctone, né per donne
e bambini.
Dopo lo stupro e la brutale
uccisione della figlioletta di pochi mesi e di suo marito, rimasta
senza nulla e disperata, Clare si mette in viaggio attraverso le
ostili foreste della Tasmania, per raggiungere un turpe ufficiale
inglese, responsabile degli efferati crimini. È spinta da un
incontenibile spirito di vendetta che non riesce a contenere e che
aumenta di giorno in giorno, scoprendo la scia di violenza che il
militare e i suoi subalterni lasciano lungo la strada. Per riuscire
a non perdersi tra le foreste e soccombere nella maestosità
selvaggia di quelle terre, Clare chiede aiuto a Willy, una guida
aborigena, anche lui sconvolto dalla violenza folle e inaudita
portata dai bianchi colonizzatori.
The Nightingale è
un revenge-movie in piena regola, in stile western da terra di
canguri, che riporta la mente a tante altre storie di vendetta
passate sullo schermo, da Lady Vendetta a Kill Bill, o anche Uomini
che odiano le donne, ma qui non è una mera ricerca di giustizia
sommaria, bensì una crescita interiore dolorosa, che passa
attraverso la distruzione spietata per trovare il barlume di un
qualcosa che faccia ritrovare alla protagonista la forza per
riuscire ad andare avanti.
Il film è pieno di momenti cruenti
e di folli esplosioni di violenza. Su tutto appare insostenibile la
lunga e dettagliata scena dello stupro, con la fredda uccisione
della bambina. Ma è disseminato anche di tanti momenti di
riflessione e di presa di coscienza, che aprono ragionamenti
profondi su tematiche purtroppo estremamente attuali, come la
violenza su donne e bambini, il razzismo, la sopraffazione di etnie
più deboli.
Opera seconda di Jennifer
Kent, dopo lo splendido e perturbante Babadook, The Nightingale
conferma il talento della regista australiana, ma non convince del
tutto, lasciando una sensazione di incompiutezza, di estrema
prolissità e di non aver gestito al meglio l’enunciato fondamentale
della narrazione. Non basta la naturalezza e la bravura della
giovane protagonista Aisling Franciosi e di quella della guida
aborigena Baykali Ganambarr, o anche alcuni accenni visionari, che
rimandano a stilemi messi a punto nel film precedente, a elevare
una vicenda, che rimane purtroppo ancorata agli stereotipi del film
di genere.
Per una sicuramente motivata scelta
stilistica il film è realizzato in formato 4:3, togliendo potenza
alla maestosità dei paesaggi selvaggi della Tasmania e lascia
intuire che un formato panoramico avrebbe sicuramente aiutato a
giocare con le emozioni.
The Nightingale è
un buon film western australiano, con molti sprazzi di violenza
efferata, che non scontenterà certamente gli amanti del genere, ma
che farà rimpiangere la visionarietà spiazzante di Babadook.
La Settimana Internazionale
della Critica (SIC), sezione autonoma e parallela organizzata
dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici
Italiani (SNCCI) nell’ambito della 75. Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di
Venezia (29 agosto – 8 settembre 2018) ha assegnato oggi, venerdì 7
settembre, i premi della trentatreesima edizione.
Premio del pubblico Sun
Film Group
LISSA
AMMETSAJJEL(STILL RECORDING) di
Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub (Siria, Libano, Qatar, Francia,
Germania)
Premio realizzato grazie al
sostegno di Sun Film Group e consistente in un riconoscimento del
valore di € 5.000.
Sono stati inoltre assegnati:
Premio Circolo del Cinema
di Verona
BETES
BLONDES(BLONDE ANIMALS) di Maxime
Matray e Alexia Walther (Francia)
Premio assegnato da una giuria
composta da soci del Circolo di Verona e destinato al film più
innovativo della sezione.
Motivazione: La testa di Orfeo,
separata dal corpo, chiude gli occhi al mondo e li apre alla
visione. Non cessa però la sua pena, il suo canto non si
interrompe. Per averci invitato ad accogliere questo richiamo, a
guardare al dolore del vivere con sorriso assonnato, a viaggiare
con vorace smemoratezza ingozzandoci di fiori e quintali di tartine
al salmone, in compagnia di giovani feriti e bellissimi alla
ricerca di un sapore che pare perduto. Per aver insinuato che la
memoria è lo scandaglio del nostro presente, ma scordare è un atto
rivoluzionario quanto cercare risposte da una sitcom camp o
consigli da gatti risentiti. Per averci immersi in un ciclo di
letargie e risvegli che riscrive i tratti del reale e affoga
l’immagine nel sogno. Per averci obbligato a resettare i nostri
sensi e le nostre costruzioni, dimostrando che un cinema radicale e
svergognato è sempre possibile, anzi necessario.
Premio Mario Serandrei –
Hotel Saturnia & International per il Miglior Contributo
Tecnico
LISSA
AMMETSAJJEL(STILL RECORDING) di
Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub (Siria, Libano, Qatar, Francia,
Germania)
Premio sponsorizzato dall’Hotel
Saturnia di Venezia e assegnato da un’apposita commissione di
esperti.
Motivazione: Nell’inferno della
guerra siriana, l’immagine cattura l’orrore della battaglia,
l’intensità della condivisione, la verità di un popolo. Dalla
teoria dell’azione hollywoodiana all’urgenza del documentario, la
tecnica digitale coglie l’assoluto presente della storia,
testimoniando la resistenza della vita nei campi di sterminio, con
un palpitante montaggio che rende tangibile una tragedia in
corso.
Il Delegato Generale Giona
A. Nazzaro ha così commentato questa edizione: “Una
selezione che porta nel proprio DNA il desiderio del futuro, il
piacere della diversità e la ricerca di sguardi nuovi. Una
selezione che, nel momento in cui la politica chiude le porte,
rossellinianamente vuole aprire tutte le finestre, invitando a
ragionare sulle contraddizioni del tempo presente e a lavorare per
un cinema non conciliato”.
Domani 8 settembre, alle ore 14 in
Sala Perla si terrà la proiezione per pubblico e accreditati di
Lissa Ammetsajjel (Still Recording), film vincitore del
Premio del Pubblico Sun Film Group.
Inoltre, una giuria composta dai
membri della Woche der Kritik (Settimana della Critica di Berlino),
guidati da Michael Hack ha assegnato i premi ai cortometraggi in
concorso alla terza edizione di SIC@SIC (Short Italian Cinema @
Settimana Internazionale della Critica).
Premio al Miglior
Cortometraggio
MALO
TEMPO di Tommaso Perfetti (Italia, 2018. Col.,
19’)
Premio offerto da Frame by
Frame e consistente in servizi di post-produzione per il prossimo
cortometraggio del regista premiato.
Motivazione: Un giovane
gangster confinato nel suo piccolo appartamento – un grande corpo,
quasi troppo grande per l’inquadratura e la sua voce. Slegato dai
vincoli della situazione Tommaso Perfetti sviluppa un ritratto
vivido e sfaccettato di un uomo che cerca di affermarsi e perdersi
nel contempo. Astenendosi da ogni giudizio libera sia il
protagonista che gli spettatori, attraverso un maturo gesto di
cinema documentario.
Premio alla Migliore
Regia
GAGARIN, MI
MANCHERAI di Domenico De Orsi (Italia, 2018. Col.,
20’)
Premio offerto da Stadion Video
e consistente nella realizzazione dell’edizione inglese
sottotitolata per il prossimo cortometraggio del regista
premiato.
Motivazione: Perdersi. Trovare
luce e terra, e acqua. Il cielo è blu,ci si prende cura delle
galline e forse, solo forse, significa avere qualcosa da fare,
lavorare, progettare, costruire. La ricerca che questo film
sviluppa è tutta esteriore, rivolta al mondo e alle fantasie che
evoca. La sua curiosità non richiede risposte, sebbene ce ne siano
alcune.
Premio al Miglior
Contributo Tecnico
QUELLE BRUTTE
COSE di Loris Giuseppe Nese (Italia, 2018.
Col.,11’)
Premio offerto da Fondazione
Fare Cinema e consistente nella partecipazione all’edizione 2019
del Corso di Alta Formazione Cinematografica in Regia “Fare
Cinema”.
Motivazione: La realtà privata
di una famiglia: frammenti del loro passato e presente, momenti
condivisi, scorci di intimità. La voce di una figlia scomparsa si
confonde con un ritmo della memoria, una densità dell’amore, un
flusso di coscienza. Ininterrotto e vivido, come se le separazioni
non fossero altro che un’illusione.
Amir Naderi,
celebre regista iraniano e autore di film come The
Runner e Monte, sbarca al Lido per
presentare il suo nuovo film, Magic Lantern, nella
sezione Sconfini. Un ritorno molto atteso quello di Naderi, che
covava questo nuovo progetto sin dai suoi esordi
cinematografici.
Magic Lantern, la trama
In Magic Lantern
Mitch (Monk Serrell-Freed) è un protezionista che
sta caricando l’ultimo film per la proiezione finale di un piccolo
cinema che sarà convertito in una multisala digitale. Ha paura nel
caricare l’ultima bobina nel proiettore, perché sa che ciò lo
porterà di nuovo alla ricerca di un amore ora perduto. Guarda
attraverso la finestrella, verso la luce tremolante dello schermo e
oltre, verso un altro mondo. Un mondo solo suo. Mitch inizia così
un viaggio di amore e ossessione che lo porta attraverso sogno,
realtà e cinema nel tentativo di ritrovare la ragazza
misteriosa.
Magic Lantern è un
puro atto d’amore verso il cinema, specialmente quello classico
dell’età d’oro. Nel film si ritrovano così continui riferimenti a
quell’epoca e al suo splendore cinematografico. Citazioni che altro
non sono se un gioco tra il regista e lo spettatore, tra il regista
e il cinema stesso. Naderi rende immagine concreta il suo profondo
amore per il cinema, cercando di catturare quel momento prodigioso
in cui realtà e fantasia si incrociano dando vita alla magia
generata oltre un secolo fa dalla lanterna magica, dispositivo del
precinema che da il nome al titolo del film.
Dove la storia viene
mantenuta in forma estremamente essenziale, sono le immagini a
raccontare più di ogni altra cosa. Lo spettatore deve infatti, come
specificato anche dallo stesso autore, arrendersi ad esse e
lasciare che infondano in lui l’atmosfera e le sensazioni
ricercate, per ottenere così un maggior coinvolgimento emotivo.
Non è certamente un’opera di facile
fruizione, e anzi è consigliata più di una visione per poter
decifrare i suoi più criptici significati e metafore. Metafore che
sono elemento principale di Magic Lantern, suo
elemento di base e ricorrente per tutta la narrazione. Metafore che
cristallizzano quella che per il regista è la vera essenza del
cinema: la passione. Passione che Naderi riesce con delicatezza a
infondere nel film e a far percepire a chi guarda.
Condividendo con il pubblico questo nuovo film, che Naderi
definisce come il culmine della sua vita dedicata al cinema,
all’amore e ai ricordi, ci svela un lato di sé inaspettato e
sensibile ai piccoli eventi e gesti della vita.
Shin’ya Tsukamoto
racconta che da tanto tempo, più o meno vent’anni, era intrigato
dal raccontare la storia di un giovane samurai che si rifiuta di
uccidere. Nel Giappone del periodo feudale denominato Edo era del
tutto normale uccidere, ma oggi, che fortunatamente le cose sono
cambiate, uccidere viene immediatamente avvertito come qualcosa di
aberrante. Questo lo ha fatto riflettere su come si sarebbe
comportato un ragazzo di oggi catapultato a quei tempi, trovandosi
nella condizione di essere costretto a togliere la vita ad altre
persone.
Nonostante la violenza eserciti
sempre un enorme fascino, dice il regista, che il suo non vuole
essere un inno alla violenza, ma anzi dovrebbe far avvertire
un senso di rigetto e far riflettere sull’eroismo e sulla figura
dell’eroe, su cosa è da applaudire e cosa no.
Gli viene domandato il perché
dell’inserimento di tanti momenti di ironia e di battute. Ma lui
rimane stupito, affermando che non si è accorto di aver disseminato
tali elementi nel suo film. Ironicamente dice che forse è colpa del
suo spirito da persona non troppo giovane e che tutto dipende da
come si guarda e come si interpreta. Sottolinea che anche in
Tetsuo, nonostante fosse un film drammatico, potevano esserci
situazioni interpretate come ironiche, ad esempio il pene
biomeccanico che continuava a girare dopo la penetrazione. In Zan,
forse potrebbe essere preso come ironico il fatto che il film parte
con violenti combattimenti, che poi si diradano a partire dalla
metà del film, lasciando straniato chi si aspettava altro.
Il
protagonista Sousuke Ikematsu, dice che nonostante
si tratti di una storia di guerra, in un film storico ambientato
nel passato ai tempi feudali, il suo è un personaggio pieno di
modernità e di creatività. Il suo ronin, samurai senza padrone, è
costretto a vivere in un ambiente ristretto, non adeguato alla sua
posizione, ma ci si rifugia sereno, gridando al mondo la sua
percezione del dolore.
Confessa di essere stato sempre un
grande estimatore del cinema di Tsukamoto e che mai avrebbe
immaginato possibile lavorare con lui. Dice che ha un talento
incredibile fuori dal comune, in grado di guidare con le parole,
con i movimenti, e con le idee.
Anche Yu Aoi, la
protagonista femminile, condivide questa opinione e afferma che per
lei lavorare con Tsukamoto le ha fatto provare le stesse emozioni
che avrebbe un musicista se potesse lavorare con Bach. Yu Aoi,
sostiene di non essersi limitata a interpretare il suo personaggio,
ma di averle donato tante sfaccettature del femminile, parlando a
nome di tutte le donne. Il suo è un personaggio del passato
interpretato nel presente e quindi estremamente attuale.
Shin’ya Tsukamoto
confessa di aver evitato di incontrare Cronenberg a Venezia. Lo ha
sempre ammirato e considerato un padre, tanto da chiamarlo papà, ma
nel vederlo si sarebbe sentito in soggezione e sarebbe fuggito a
gambe levate.
In apertura di conferenza stampa,
viene domandato alle regista Jenifer Kent come e
perché abbia scelto di raccontare la storia di The
Nightingale, dopo il grande successo del suo film
precedente Babadook.
Lei risponde che le sono stati
proposti tanti progetti, ma che è fondamentale concentrarsi su
storie che la interessano profondamente, altrimenti ci si annoia e
si perde l’entusiasmo. Inoltre ci teneva a lavorare su un tema
attuale, contemporaneo, nonostante la storia si svolga ai tempi del
colonialismo.
È stata intrigata dall’entrare in
un mondo completamente diverso, non volendo necessariamente creare
un dramma sociale, bensì un mito con uno sguardo molto personale,
con tanti riferimenti all’attualità.
Aisling Franciosi,
la protagonista del film, di origini italiano-irlandesi e che parla
la nostra lingua in maniera perfetta, ha detto che dopo aver letto
poche pagine ha sentito che doveva essere parte di questo film
assolutamente. Ritiene che sia onesto e commovente e che solamente
un’artista del calibro di Jennifer Kent poteva
scrivere un film così.
Per prepararsi bene a interpretare
il ruolo ha studiato a lungo i traumi da stupro, confrontandosi e
parlando con vittime reali, per capire bene cosa possa significare
vivere con un trauma così terribile.
Sam Claflin, il
perfido ufficiale inglese, assassino e stupratore, racconta che è
stato difficile interpretare un personaggio così abbietto e di come
si sia dovuto mettere completamente in gioco. Confessa di non
conoscere cosa era realmente successo nelle colonie in Australia e
della brutalità raggiunta. Si vergogna, ma trova necessario
raccontarlo, per fornire una necessaria lezione di storia.
L’attore aborigeno Baykali
Ganambarr si è sentito sorpreso di imbattersi in un
progetto estremamente onesto e trasparente sul dramma vissuto dalla
sua gente. Si sente felice di rappresentare il suo popolo. Nel
lavoro è stato aiutato molto dagli altri attori del cast, facendolo
sentire a suo agio e che gli hanno permesso di fornire un
personaggio riuscito e realistico.
Si fa poi riferimento agli insulti
sessisti e violenti esternati da uno spettatore durante la
proiezione stampa. Jennifer Kent afferma di essere
orgogliosa del suo lavoro e che, a tali reazioni fuori luogo, è
fondamentale reagire con amore e compassione. E sono buia
ignoranza.
In laguna, finalmente, tornano un
po’ di magia e mistero. Artefice di questo piccolo miracolo di fine
mostra è il regista cinese Zhang Yimou che ha
presentato fuori concorso a
Venezia 75, il suo ultimo film dal titolo
Ying (Shadow).
La trama di Ying (Shadow)
In Ying (Shadow) Ci troviamo in
Cina, durante il cosiddetto Periodo dei Tre Regni, quando
il re del regno di Pei (Zheng Kai) decide di
cessare la guerra per la riconquista della città di Jing,
stringendo un accordo di pace con i suoi nemici e in particolare
con il generale Yang. Intanto a palazzo il comandante delle guardie
trama in segreto con sua moglie per riprendere il controllo su
Jing. Ma con la comparsa di un uomo, il sosia del comandante
(Deng Chao), il regno cadrà nello scompiglio e le
vite di tutti i suoi sudditi saranno messe in pericolo.
Dopo aver vinto due Leoni d’Oro –
per La storia di Qiu Ju
(1992) e Non Uno di Meno (1999)
– e un Leone d’Argento – per Lanterne Rosse (1991) –, il maestro
Zhang Yimou torna a Venezia, seppur fuori
concorso, con una nuova spettacolare opera, Ying
(Shadow), che sembra mostrarci un’estetica del tutto inedita per il
regista cinese. I cultori del genere e dei wuxia movie, ma anche semplicemente gli
appassionati del cinema di Yimou, riconoscono nella cinematografica
del regista alcuni tratti distintivi.
Il singolare cromatismo
caratteristico di tutte le opere di Yimou subisce con
Shadow un mutamento sostanziale. Le tinte calde come
l’oro, il giallo e il rosso acceso, iconiche dei suoi film degli
anni novanta, stavolta lasciano il posto a colori scuri e tetri
come il nero, il grigio, l’argento associati ad un bianco quasi
accecante; se non fosse per i volti dei protagonisti, Ying
sembrerebbe quasi un film in bianco e nero. Proprio come il suo
titolo – shadow, dall’inglese ‘ombra’ -, l’intera
pellicola sembra immersa nell’oscurità, avvolta dalle ombre che
infestato il regno.
La mancanza di colore tuttavia non
intacca di certo la bellezza di Shadow. Questo
nuovo stile, minimale dal punto di vista cromatico, rivela lo
specifico desiderio del regista di sperimentare un nuovo stile,
conciliando tradizione e modernità. Il bianco e nero caratteristico
dell’opera, infatti, è caratteristico dall’antica arte cinese dei
disegni con inchiostro di china. Per Yimou tramandare alle
generazioni future la cultura millenaria del suo paese è stata
sempre una priorità e con Ying, il regista fa un
passo avanti proprio in quella direzione. Anche la scelta
dell’argomento del film non è casuale per Yimou. In Shadow si
parla, infatti, di ombre, personaggi leggendari e misteriosi quasi
del tutto ignorati nella cinematografia cinese. Le ombre erano
uomini comuni utilizzati come sosia di personaggi politici
importanti; in questo modo re, principi e comandanti restavano al
sicuro mentre le ‘ombre’ rischiavano la vita al posto loro.
Siamo di fronte a un film
wuxia dalla trama assai complessa e avvincente, seppur non
particolarmente originale, piena di colpi di scena e dalla messa in
scena a dir poco spettacolare. Come sempre accade nelle storie di
Zhang Yimou, nulla in realtà è ciò che sembra e la
distinzione tra giusto e sbagliato non è poi così netta; luce e
ombra, bene e male, amore e odio, onore e codardia, continuano a
confondersi e confondere. Ciò che però distingue l’opera di Zhang
Yimou dagli altri film dello stesso genere è senza dubbio la sua
resa visiva; combattimenti epici con ombrelli fatti di lame, duelli
all’ultimo sangue, città prese d’assalto – la riconquista di Jing
da parte dei ‘ribelli’ è una scena a dir poco eccezionale -,
addestramenti a passi di danza, tutto è costruito per lasciare a
bocca aperta lo spettatore.
Pur non essendo il migliore tra i
film della cinematografia di Zhang Yimou,
Ying (Shadow) riesce a catturare l’attenzione del
pubblico e ad emozionare per la sua indescrivibile bellezza e
potenza visive, un film da gustare fino all’ultima scena e che farà
impazzire gli appassionati del genere wuxia.
Dopo la presentazione lo
scorso anno alla 74° Mostra Internazionale d’arte cinematografica
di Venezia, il grande successo di pubblico in sala a
maggio, e dopo aver conquistato i critici dei Cahiers Du
Cinema e la stampa francese come Le Figaro e
L’Humanite, Manuel, opera prima
di Dario Albertini, arriva in esclusiva su TIMVISION
il 10 settembre.
Prodotto da BiBi Film di Angelo e
Matilde Barbagallo e TIMVISION
Production, Manuel di Dario
Albertini – secondo il portale
Cinemaitaliano, il secondo film più premiato di
quest’anno – è un racconto di formazione asciutto
e pudico, attentissimo a scansare le trappole dell’emotività e
dedicato ai “Manuel” di tutte le periferie, quelli che nella vita
“devono fa’ er doppio della fatica”, se non “er triplo”.
Interpretato da Andrea
Lattanzi che per questo suo esordio ha ricevuto
il premio come migliore attore nella
rassegna Bimbi Belli, curata
da Nanni Moretti, e tra gli altri, il premio Jean
Carmet al Festival Premier Plans D’Angers, dalla
presidente di giuria Catherine Deneuve, e
quello Guglielmo Biraghi ai Nastri
d’Argento.
Manuel, la trama
Il protagonista è un diciottenne
che esce da un istituto per minori privi di sostegno famigliare e,
per la prima volta, assapora il gusto dolceamaro della libertà. Sua
madre Veronica (Francesca Antonelli), chiusa in carcere, vorrebbe
tornare indietro e ricominciare una nuova vita. Ma per ottenere gli
arresti domiciliari Manuel deve dimostrare agli assistenti sociali
che può prendersene carico.
Manuel distribuito da Tucker Film,
vede nel cast oltre ad Andrea Lattanzi, Francesca
Antonelli, Renato Scarpa, Giulia Elettra Gorietti, Raffaella Rea,
Giulio Beranek.
Un esordio “sorprendente” per Le
Figaro, “un ritratto sensibile di un grande ragazzo perduto” per i
Cahiers Du Cinema, in cui “l’esperienza documentaristica di Dario
Albertini contribuisce senza dubbio ad avere fiducia nella potenza
della realtà̀” per L’Humanitè.
Questo film conferma ancora una
volta il costante impegno di TIMVISION ad investire sulla migliore
creatività della produzione italiana in collaborazione con i
principali player del mercato. Grazie alle nuove produzioni e
coproduzioni, l’offerta di TIMVISION si arricchisce in modo
distintivo, rivolgendosi a pubblici diversi con contenuti e
linguaggi sempre originali e di
grande qualità.
Cresce il cast di nuovi volti
di Grey’s Anatomy 15, l’annunciata
quindicesima stagione dell’acclamata serie tv Grey’s
Anatomy. Oggi grazie a
TVLine apprendiamo che l’attore Alex
Landi è entrato nel cast dei regular.
Alex Landi è stato
scelto per interpretare il Dr. Nico Kim, il primo medico gay
della ABC medical dramme. Al momento nessun altro dettaglio
sul personaggio o sulla sua durata nello show è stato rivelato
Landi si unisce
a Jeff Perryche tornerà a Grey-Sloan Memoria
come padre di Meredith e Chris Carmackcome
nuovo “Orto-Dio”. La premiere della Stagione 15 di
Grey’s
Anatomy che vi ricordiamo durerà 2 ore inizierà
giovedì 27 settembre sulla ABC.
Nella quindicesima stagionedi Grey’s
Anatomyritorneranno i personaggi Meredith Grey
(stagioni 1-in corso), interpretata da Ellen Pompeo, Alexander
“Alex” Michael Karev (stagioni 1-in corso), interpretato da Justin
Chambers, Miranda Bailey (stagioni 1-in corso), interpretata da
Chandra Wilson, Richard Webber (stagioni 1-in corso), interpretato
da James Pickens, Jr., Owen Hunt (stagioni 5-in corso),
interpretato da Kevin McKidd, Teddy Altman (stagioni 6-8, 15-in
corso, ricorrente 14), interpretata da Kim Raver, Jackson
Avery (stagione 7-in corso, ricorrente 6), interpretato da Jesse
Williams, Josephine “Jo” Alice Wilson (stagione 10-in corso,
ricorrente 9), interpretata da Camilla Luddington, Margaret
“Maggie” Pierce (stagione 11-in corso, guest 10), interpretata da
Kelly McCreary, Benjamin Warren (stagioni 12-14, ricorrente
6-in corso, guest 7), interpretato da Jason George e Andrew
DeLuca (stagione 12-in corso, guest 11), interpretato da Giacomo
Gianniotti.
Dopo mesi di segretezza riguardo a
Captain Marvel, nuovo cinecomic
con protagonista Brie Larson che segna il primo
film con protagonista femminile dell’universo Marvel, la rivista
EW ci ha permesso in questi giorni di dare un’occhiata più da
vicino ai protagonisti. Dalla pilota d’aerei Carol Danvers prima
che scoprisse il suo grande potenziale, al misterioso mentore
interpretato da Jude Law, a Ronan, già conosciuto
nella saga Guardiani della Galassia, potrete tutti
trovarli negli scatti contenuti nella nostra gallery.
Ricordiamo che il film, diretto da
Anna Boden e Ryan Fleck, segue le vicende di Carol
Danvers, che diventa uno degli eroi più potenti dell’universo
quando la Terra viene coinvolta in una guerra galattica tra due
razze aliene. Ambientato negli anni ‘90, il film si riporre
di essere una proposta totalmente nuova nell’universo dei
cinecomic. Il film farà il suo debutto internazionale il prossimo 8
marzo, in Italia dovrebbe arrivare due giorni prima, ovvero il 6
marzo 2019.
Continuano ad arrivare nuovi
dettagli intorno a Captain Marvel, il primo cinecomic
della casa ad avere una protagonista femminile. Grazie a
EW che ha dedicato la cover al film ed uno speciale all’interno
dell’ultimo numero, si è venuti a conoscenza che la protagonista
Brie Larson aveva inizialmente rifiutato il ruolo
dell’eroina Carol.
“Non mi ero mai
immaginata nei panni di un supereroe, soprattutto perché mi piace
restare nell’anonimato. Preferisco i piccoli ruoli perché
mi permettono di scomparire all’interno dei personaggi e ho sempre
pensato che se fossi diventata troppo famosa la cosa mi avrebbe in
qualche modo limitata” ha detto l’attrice. Ovviamente poi le cose
sono andate diversamente ed averla conquistata fu la scrittura del
suo personaggio all’interno della sceneggiatura.”.
Ha poi continuato: “Mi
appassiona molto di questo film il fatto che si tratti di un mix
perfetto fra divertimento ed emotività. Non ci siamo limitati,
quando c’è bisogno di divertirsi ci si diverte, ma quando si sente
il bisogno di diventare emotivamente profondo lo diventa, e in
maniera realistica. In questo modo sono stata in grado di
portare in questo ruolo alcune di quelle stesse cose che ho portato
nelle mie precedenti parti drammatiche. La cosa mi rende
particolarmente orgogliosa perché penso davvero che questo sarà
quello che farà la differenza, differenziando questo film da tutti
gli altri film di supereroi che conosciamo.”
Si attende quindi ancora più
curiosità questo nuovo debutto nel mondo dei supereroi che
ovviamente non finirà qui. Non si è ancora parlato di un eventuale
sequel di Captain Marvel ma sicuramente rivedremo
Brie Larson in queste vesti anche in Avengers 4
dei fratelli Russo. Il primo appuntamento con Captain Marvel è
fissato per l’8 marzo 2019.
In queste ore sta circolando la
notizia che le riprese di Fast & Furious 9
inizieranno già a partire da questa primavera (nel dettaglio il 20
aprile 2019), in modo da far debuttare il film nel corso del 2020.
Un anno di ritardo dunque dall’uscita annunciata inizialmente per
il 2019, ma questo slittamento è dovuto alla produzione dello
spin-off dedicato ai personaggi interpretati da Dwayne
Johnson e Jason Statham dal titolo Hobbs &
Shaw.
Fast & Furious 9
( Fast
& Furious Presents: Hobbs & Shaw) vedrà il ritorno
dietro la macchina da presa di Justin Lin che ha
già diretto quattro film della saga fermandosi al numero sei. Nel
frattempo ha lavorato alla produzione di programmi televisivi come
SWAT e Magnum PI e a lungometraggi come Star Trek Beyond. Qualche
tempo fa Vin Diesel aveva dichiarato che il
regista sarebbe tornato anche per l’episodio 10, cosa che faceva
pensare che i due episodi venissero girati in contemporanea. Ma la
cosa al momento non è stata confermata e, visti i numerosi impegni
degli attori, non sembra un’ipotesi facilmente realizzabile. Si
aspettano invece aggiornamenti sul cast che, oltre ai soliti nomi,
dovrebbe avere anche delle new entry ed un nuovo villan.
Come ormai noto, a Marzo arriverà
sul grande schermo la prima eroina Marvel ad avere un unico film
incentrato su di lei: la Captain Marvel di
Brie Larson. Ma il magnate della grande casa di
produzione Kevin Feige sembra essere disposto a
non fermarsi qui con le protagoniste in rosa. In una recente
dichiarazione, infatti, ha confermato che nei piani della Marvel ci
sarebbe l’idea di sviluppare altri spin-off sui personaggi
femminili.
“Con Ant-Man and the Wasp ed
adesso con Captain Marvel, e molti altri film ancora da annunciare
nell’immediato futuro, sono fiducioso che sia arrivato il momento
in cui non è una novità che ci sia un film su una supereroina donna
in lavorazione ma la norma. E verrà meno da dire ‘oh, guardate, una
supereroina donna’ e più ‘di cosa parla? Chi è questo personaggio?
Sono eccitato a riguardo’. Credo che potremo arrivare a
questo!” ha affermato Feige che ha continuato “Per
molti anni abbiamo convissuto con l’idea che il pubblico non voleva
vedere cinecomics con protagoniste delle donne.
Questo perché moltissimi film di 15 anni fa non hanno fatto il loro
dovere. E io ho sempre creduto che quei film non avevano funzionato
non perché avevano per protagoniste delle donne, ma perché,
semplicemente, non erano dei bei film già dall’inizio”.
Parole di stima sono arrivate anche
per i prodotti della concorrenza: la Wonder Woman
di casa DC che qualche anno fa ha fatto da apripista ai prodotti al
femminile: “Sono sempre felice quando un film di questo genere
va bene. Il successo di Wonder Woman mi ha reso molto contento
perché, come dicevo prima, preferisco che mi chiedano ‘cosa ne
pensi di quel film con protagonista quella supereroina donna?’,
piuttosto che una domanda che mi facevano spesso ovvero ’pensi che
il pubblico non voglia vedere un film su una
supereroina?’.”.
Vedremo cosa starà progettando
Feige per questa rivoluzione rosa in casa Marvel, per il momento in
lavorazione dopo Captain Marvel c’è già uno
spin-off interamente dedicato alla Vedova Nera, mentre la DC
risponde con Birds of Prey, un cinecomic che
dovrebbe riunire sotto la stessa bandiera tutte le eroine
dell’universo espanso.
Non si può certo dire che il reboot
al femminile di Ghostbusters abbia avuto successo:
il film è stato un flop sia al botteghino, sia nei commenti della
critica. Ma il regista Paul Feig non sembra
esserne abbattuto, anzi, in una recente intervista ha dichiarato
che ha intenzione di scrivere il sequel ed avrebbe già qualche idea
molto chiara.
“Voglio che il film sia
ambientato in un’altra nazione. Quando abbiamo fatto il
tour promozionale, quello internazionale, mi sono reso conto che in
ogni nazione i giornalisti arrivavano con questi disegni o
rendering di artisti dei fantasmi di quel paese. E ogni nazione
aveva queste storie fantastiche sui fantasmi e personaggi che
spaventano i bambini. Mi piacerebbe per esempio vedere le
Ghostbusters andare in Asia. C’è ancora molta roba divertente che
potremmo fare” ha dichiarato il regista.
Per ora la produzione non si
sbilancia su un possibile secondo capitolo, sebbene siano passati
già due anni dal primo Ghostbusters al femminile che vedeva
protagoniste Kristen Wiig, Melissa McCarthy, Leslie Jones e
Kate McKinnon. Sicuramente non ci sono molti incentivi per
mandare avanti il progetto, ma forse un cambio di prospettiva
potrebbe fare solo che bene.
Le foto e le interviste contenute nell’ultimo numero di
Entertainment Weekly hanno chiarito molte cose su
Captain Marvel ci hanno dato
la possibilità di dare una prima occhiata ai protagonisti impegnati
sul set. Ma un mistero ancora non è riuscita a svelare: quale ruolo
interpreterà Jude Law nel film? L’attore,
intervistato dalla testata, ammette di non poter dire il nome del
suo personaggio ma si è limitato ad affermare che sarà un uomo di
fede ed un grande guerriero. Ecco le sue parole:
“Sarà guidato da una credenza
divina del popolo Kree. E’ una sorta di guerriero devoto.
Indiscusso, conservatore ma anche d’ispirazione. I poteri
straordinari che possiede Carol (Brie Larson), sono visti da lui
come un dono e qualcosa che lei deve imparare a controllare. E’ una
cosa che si ripete nel corso del film, l’apprendimento nel
controllare le proprie emozioni e usare i propri poteri con
sapienza”.
E sul suo lavoro con la Marvel,
prima collaborazione per l’attore, Jude Law spiega
come sia stato in un certo senso guidato da un suo grande amico:
“Quando ho lavorato per la prima volta con Robert
Downey Jr. aveva appena girato il primo Iron Man. L’ho in
un certo senso seguito nel suo viaggio e rapporto con la Marvel.
Non ha voluto mai darmi consiglia ma mi ha sempre detto che si
divertiva tantissimo a girare questi film”.
L’ipotesi più accreditata è che Law
andrà ad interpretare Mar-Vell, il Captain Marvel
originale, che si prenderà cura dell’inesperta Carol, ex pilota che
si trova improvvisamente provvista di poteri straordinari. Lo
scopriremo comunque forse già dal trailer in uscita tra circa due
settimane. Mentre per il film bisognerà aspettare il prossimo 8
Marzo.
Si è spento a 82 anni nella serata
di ieri Burt Reynolds, il leggendario attore di
film cult come Un tranquillo weekend di paura e
Quella sporca ultima meta. Aveva iniziato la sua
carriera nel 1961 per poi lavorare per grandi registi quali
Woody Allen, Mel Brooks e
Paul Thomas Anderson. Proprio per Boogie
Nights – L’altra Hollywood aveva ottenuto una nomination
all’Oscar, sebbene in parecchie interviste dell’epoca aveva
dichiarato che quello era il ruolo che meno lo aveva convinto.
In questi mesi il suo nome era
tornato alla ribalta in quanto scelto da Quentin
Tarantino nel cast del suo ultimo film Once Upon a
Time in Hollywood. E’ stato accertato in queste ore che
l’attore non aveva ancora girato nessuna scena del film nel quale
doveva interpretare il proprietario del ranch che ospitava Charles
Manson e la sua setta.
Si attendono a momenti dei
comunicati ufficiali di Tarantino e della produzione riguardo alla
sua improvvisa scomparsa ed alla gestione del set in cui si sarebbe
dovuto trovare già a partire dalla prossima settimana.
Sarà Margot Robbie
l’interprete principale di Ruin, nuovo lavoro di
Justin Kurzel (Macbeth, Assassin’s
Creed). Il film sarà ambientato durante la Seconda Guerra
Mondiale e la Robbie avrà il ruolo di una sopravvissuta
all’Olocausto che si trova a vivere in una Germania ancora
distrutta dalla battaglia. Stringerà un legame con un ex-militare
delle SS pentito che per placare la sua sete di vendetta proporrà
alla ragazza di mettersi sulle tracce del componenti dello
squadrone della morte.
Insieme alla Robbie nel ruolo di
co-protagonista anche Matthias Schoenaerts. La
sceneggiatura è stata invece affidata ai fratelli Ryan e
Matthew Firpo che avevano completato lo script anni fa ma
non avevano avuto modo di vendere l’intero manoscritto. Per questo
il script diventò famoso come uno dei migliori ancora da realizzare
a Hollywood.
Ricordiamo che la bella
Margot Robbie arriverà nei prossimi anni al cinema
con molteplici progetti tra cui Mary Queens of
Scots, Once Upon a Time in Hollywood di
Quentin Tarantino, attualmente in fase di
lavorazione, e Birds of Prey, cinecomic tutto al
femminile di cui l’attrice è anche produttrice.
Come già annunciato in questi
giorni, è stato finalmente pubblicato il final trailer di
Halloween, nuova trasposizione cinematografica del
classico dell’horror. Per la saga questo è il film numero undici
che rivede come protagonista il folle assassino Michael Myers.
Nella linea cronologica si tratta del sequel del primo capitolo,
Halloween – La notte delle streghe, uscito nel lontano
1978 e diretto da John Carpenter, che qui ritorna
come produttore esecutivo e compositore delle musiche. Del primo
film negli anni furono fatti altri seguiti, ma in questo film non
verranno considerati nella costruzione della trama.
La vicenda sarà ambientata
quarant’anni dopo dalla serie di violenti omicidi di Michael Meyers
che si troverà ad affrontare di nuovo Laurie Strode, sfuggita
all’epoca alla sua furia. La regia è stata affidata a David
Gordon Green mentre nel cast ritornerà l’iconica
Jamie Lee Curtis a cui si aggiungerà Judy
Greer, Virginia Gardner, Will Patton, Nick Castle, Jefferson Hall,
Andi Matichak, Miles Robbins e Omar Dorsey.
Halloween uscirà nelle sale
italiane il prossimo 25 Ottobre.
Halloween, la recensione del film di David
Gordon Green
L’interprete di Mantis
nell’universo Marvel, Pom
Klementieff, durante un’intervista si è fatta
involontariamente sfuggire uno spoiler su Avengers
4. A sua discolpa si può dire che l’argomento di cui si
stava parlando era del tutto lontano al mondo dei cinecomic:
l’intervistatore le aveva chiesto un suo parere sul movimento
#metoo che, come è noto, sta creando gravi problemi al mondo di
Guardiani della Galassia. L’attrice ha così risposto:
“Si tratta di una cosa
spaventosa quanto bella. Mi ricordo di Brie Larson e Danai
Gurira sul set di Avengers, sono venute da me e mi hanno
parlato della lettera Time’s Up e l’ho trovata magnifica. E’
splendido sapere che ci sono donne, ma anche uomini, che stanno
combattendo per un futuro migliore”.
Leggendo tra le righe, quindi, lei
si trovava sul set con i personaggi di Captain Marvel e Okoye,
facendo intuire che le tre condivideranno una scena insieme. Che ci
sia una sommossa tutta al femminile nel prossimo film della saga?
Sta di fatto che alcune riprese di Avengers 4 sono
datate a circa un anno fa quindi le dichiarazioni di Pom
Klementieff potrebbero non essere del tutto attendibili.
Ci sarà da aspettare il prossimo maggio quando il film arriverà
nelle sale.
La rivista Empire ha appena diffuso
una foto ufficiale di Apostle, nuovo film Netflix
con Dan Stevens. Nell’immagine che potrete trovare
di seguito si vede l’attore di Legion nei panni di Thomas
Richardson in una Londra di inizio ‘900. La trama ruota attorno al
suo ritorno a casa ed alla scoperta che la sorella è stata rapita
da una setta religiosa. L’uomo si mette in viaggio per l’isola in
cui la setta vive sotto la leadership del carismatico Profeta
Malcolm, la trova e riesce ad infiltrarsi nel gruppo scoprendo così
come la corruzione dell’alta società ha infestato i suoi membri
della setta.
Il film sarà diretto da
Gareth Evans che ha anche scritto la
sceneggiatura. La produzione invece è stata affidata, oltre a
Netflix, a Adam Tertzakian ed Ed
Talfan. Nel ricco cast, oltre a Stevens, anche
Michael Sheen, Lucy Boynton, Mark Lewis Jones, Bill Milner,
Kristine Froseth e Paul Higgins.
C’è molta attesa per questo film
descritto come un tormentato racconto di occultismo che nasconde
più di qualche segreto da svelare. La distribuzione sulla
piattaforma è prevista per il prossimo 12
Ottobre.
Grazie all’esclusiva di
Entertainment Weekly, che ha dedicato la cover alla
Brie Larson di Captain Marvel, possiamo dare
un’occhiata anche agli altri personaggi. In particolar modo c’era
molta curiosità intorno agli Skrulls, creature dell’universo Marvel
che daranno avvio all’intreccio di questo film. Infatti, come si
apprende dalle pagine di EW, il nuovo cinecomic si aprirà con l’ex
pilota Carol Danvers, già dotata di poteri, lontana dalla Terra. Un
avviso che gli Skrulls sono sbarcati sul suo pianeta di origine la
farà tornare a casa dove, tramite presumibilmente flashback, si
ritornerà a ritroso a scoprire l’origine dei suoi poteri.
Nell’immagine che potrete trovare di
seguito sono stati immortalati gli Skrulls che
fanno il loro approdo sulla terra via mare, e tra questi si può
riconoscere, sotto un accuratissimo make-up, il loro leader
interpretato da Ben Mendelsohn.
Captain Marvel
arriverà al cinema l’8 Marzo 2019 e avrà alla regia Anna Boden e
Ryan Fleck. Nel cast anche Samuel L. Jackson, Lashana
Lynch, Jude Law, Gemma Chan, Lee Pace e Djimon Hounsou. Il
film ha già attirato l’attenzione di tutti gli appassionati in
quanto si tratta della prima eroina donna a cui è stato dedicato un
intero cinecomic all’interno dell’universo Marvel.
Come era stato preannunciato, nella
giornata di ieri si è potuta dare una prima occhiata alla
Brie Larson di Captain Marvel (che potrete
trovare in fondo). L’attrice nei panni dell’eroina è apparsa
infatti sulla cover di Entertainment Weekly, dove ha rilasciato
anche un’intervista spiegando la genesi del personaggio che
arriverà nei cinema quest’anno.
“Lei non può fare a
meno di essere se stessa” ha dichiarato “Può
essere aggressiva, può avere un temperamento forte. E’ veloce nel
saltare le cose e questo la rende fantastica in battaglia perché è
la prima che arriva e non aspetta gli ordini per agire. Essere in
attesa di ordini per alcuni è difetto di carattere.”.
“Non è un supereroe perfetto o
ultraterreno perché ha qualche connessione divina” ha aggiunto
la regista Anna Boden, prima regista donna dell’universo Marvel
“Ma ciò che la rende speciale è quanto sia umana. E’
divertente, ma non fa sempre battute. E può essere testarda e
spericolata, non sempre prende decisioni perfette per se stessa. Ma
al suo interno, ha così tanto cuore e tanta umanità e tutta la sua
confusione.”.
Il cinema è intrattenimento ma
soprattutto arte che a volte si fa veicolo di informazione e
verità. Quello che ci propone oggi Paul
Greengrass, che presenta in concorso 22
July, è una ricostruzione fedele degli mostruosi attentati
terroristi del 2011 in Norvegia.
Il giorno 22 luglio del 2011 un
estremista di destra, un certo Anders Behring Breivik
(Anders Danielsen Lie), ha compiuto due dei più
insensati e orribili attentati terroristici degli ultimi anni. Dopo
aver fatto detonare uno spaventoso ordigno alla sede del parlamento
ad Oslo, Anders si è diretto sull’isola di Utoya, dove all’epoca
centinaia di ragazzi erano impegnati in un campeggio di leadership
giovanile. L’attentatore, vestito da poliziotto e munito di
documenti falsi, arrivato sull’isola, ha aperto il fuoco sui
ragazzi uccidendone sessantanove e ferendone più di cento.
L’attacco è stato violento e repentino e quando la polizia è giunta
sul luogo della strage era ormai troppo tardi. Anders è stato preso
in custodia e arrestato.
Dopo gli acclamati United 93 e Bloody Sunday, Paul
Greengrass torna a parlare di cronaca, stavolta
raccontando del terribile attentato della Norvegia. Traendo
ispirazione dal libro Uno di noi – La storia di Anders
Breivik di Åsne Seierstad, il regista
britannico fa un resoconto dettagliato e sufficientemente
distaccato degli avvenimenti di quel terribile 22 luglio. Il film
22 July, partendo dalla preparazione di Breivik
dell’attentato, ricostruisce ogni singolo momento di quelle
ventiquattro ore di terrore e degli anni successivi. Il film quindi
non è solo la cronaca degli attacchi di Oslo e
Utoya ma anche di tutti quei momenti che precedono
il processo di Breivik e il verdetto finale della corte
norvegese.
La conta dei feriti e dei deceduti,
la disperazione delle famiglie, l’arresto e l’interrogatorio
dell’attentatore e finalmente il processo; ognuno di questi momenti
è descritto con incredibile accuratezza e sensibilità. Pur
trattandosi di un film, però, Greengrass non dimentica la sua
obiettività; il regista infatti, nonostante come molti non possa
accettare né condividere gli ideali folli di Anders, non sale in
cattedra, non fa propaganda ma semplicemente si limita a raccontare
gli eventi e le due facce della stessa medaglia. Grazie ad un
incredibile lavoro sulla sceneggiatura riusciamo ad entrare
perfettamente nella mente dell’attentatore che, in preda ad un
delirio di onnipotenza, oltre a non voler rinnegare le sue
posizioni, sembra addirittura credere di essere il leader di una
fantomatica e imminente rivoluzione socio politica.
Mentre i deliri di Anders sembrano
essere assecondati dal suo avvocato – ognuno ha infatti il diritto
di essere difeso in tribunale -, gli spettatori assistono anche a
tutta la distruzione che l’attentatore si è lasciato alle spalle.
Il film apre una porta sullo straziante dolore delle famiglie delle
vittime e su quello dei sopravvissuti alla strage. Molti dei
ragazzi scampati alle pallottole di Breivik, infatti, soffrono di
un disturbo da stress post traumatico, hanno riportato danni seri e
permanenti e vivono ogni giorno facendosi un’unica domanda: come
mai sono ancora vivo? Con 22 July Greengrass punta
i suoi riflettori anche sulle conseguenze meno ovvio di un
attentato di tale portata come, per l’appunto, il senso di colpa
dei sopravvissuti.
22 July, a metà
strada tra documentario e fiction, riesce ad equilibrare bene la
sua parte didascalica a quella più emotiva. Il film segue infatti
molto da vicino la storia di Viljar Hanssen (Jonas Strand
Gravli) – sopravvissuto alla strage nonostante i cinque
colpi d’arma da fuoco ricevuti – e della sua famiglia. Le
operazioni subite, i danni permanenti, la lunga riabilitazione, gli
incubi e la rabbia repressa, Greengrass racconta la lenta rinascita
di questo adolescente, simbolo della forza di un’umanità che ancora
non è pronta ad arrendersi. Come dice il Primo Ministro norvegese
(Ola G. Furuseth) nel film, “dobbiamo
combattere”.
Nell’ultima parte del film,
affrontando anche il difficile processo a Breivik, Paul
Greengrass invita lo spettatore a riflettere in maniera
più ampia sui concetti di bene e male e soprattutto sull’importanza
della giustizia in un paese democratico. Dopo un atto insensato
come quello del 22 luglio 2011 in molti si farebbero travolgere
dalla rabbia, chiedendo la testa dell’uomo autore di una tale
strage: ma che senso avrebbe? La morte di un mostro come Anders
potrebbe riportare in vita le vittime della strage o alleviare il
dolore delle loro famiglie? L’unica cosa possibile è andare avanti
perché, come dice lo stesso Greengrass, “la democrazia deve
lottare per provare la sua esistenza”.