Una giustizia politica ottenuta
grazie al tempo, così Pedro Almodovar ha parlato
del suo Leone d’Oro alla carriera, riconoscimento
che gli viene assegnato nell’ambito di Venezia 76.
Il regista, uscito in sala lo scorso maggio con Dolore e
Gloria, ha ricordato della sua prima volta alla Mostra
e di come proprio al Lido è stato consacrato come regista
internazionale.
“All’epoca della mia prima volta
a Venezia, nel 1983, il direttore era Gianluigi Rondi e al governo
c’era la Democrazia Cristiana. Il mio film era L’indiscreto fascino
del peccato ed era stato considerato troppo osceno, ma la stampa ne
parlò così tanto che fu impossibile, poi, toglierlo dalla
selezione. Questo generò grande empatia e quindi ho un buon ricordo
del mio primo Festival.”
Almodovar è poi
tornato al Lido nel 1988, con il vitale Donne sull’orlo di
una crisi di nervi: “Ricordo la mia seconda volta a
Venezia come una festa. Ricordo le attrici, i colori dei loro
vestiti, la loro varietà e l’immagine così vitale che davano della
Spagna di allora. Abbiamo vinto il premio alla migliore
sceneggiatura, quell’anno.”
Il suo ultimo film, Dolore e
Gloria, è stato presentato al Festival di Cannes 2019,
conquistando il premio alla migliore interpretazione maschile,
Antonio Banderas, e ricevendo il plauso della
critica internazionale e buone possibilità di arrivare anche agli
Oscar.
“Dolore e gloria riassume parole
per cui provo pudore, non voglio lamentarmi del dolore né mi piace
vantarmi della gloria. Questo Leone d’Oro è un premio
importantissimo. Qui a Venezia sono nato come regista, questa è
un’emozione speciale. Se si vive abbastanza a lungo, il tempo
diventa un elemento importante nella considerazione di ciò che ci
accade. Nel ’88, quando ho presentato il film qui, il presidente di
giuria era Sergio Leone, e con lei c’era anche Lina Wertmuller. Li
ho incontrati per strada, in giro, e mi dissero quanto era
importante per loro vedere film come il mio alla Mostra di Venezia.
Mi piace considerare questo Leone come un segno di giustizia,
poetica e politica, dopo 31 anni da quell’incontro.”
Ma Pedro Almodovar non è solo il
regista che racconta di sesso e tabù, è quel regista che lo fa
offrendo al pubblico di tutto il mondo una grande lente sulla
società spagnola, rappresentando da sempre una grandissima libertà
di espressione, di genere, di orientamento.
“Quando ho iniziato a fare il
regista, non si parlava affatto di diversità. Gli anni ’80, in
Spagna, hanno celebrato la fine di una dittatura di 40 anni e la
cosa davvero importante per la popolazione era aver finalmente
perso la paura e poter godere di una libertà mai vista prima. Il
mio potere da regista mi ha permesso di imporre la varietà della
vita che vedevo intorno a me, i miei personaggi stravaganti
rappresentavano la vita e tutti gli orientamenti sessuali. Come
artista il mio potere è quello di dare libertà morale ai miei
personaggi. Quando ho cominciato, la cosa che più mi affascinava
era proprio questo cambiamento, che ho visto e assorbito dalle
strade, dalle infinite notti di Madrid. Io mi sono formato a questa
università e questa ho raccontato, in un tempo in cui la democrazia
in Spagna era reale.”
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