“Life determines what happens:
if you trust your subject you never get wrong, because life writes
your script.” (J. Demme) – La retrospettiva integrale della
16esima edizione del Milano Film Festival (9-18 settembre
2011) sarà dedicata a Jonathan Demme,
figura-chiave del cinema americano dagli anni Settanta a oggi.
Il Milano FF omaggia Jonathan Demme
Il migliore dei mondi: trailer del film con Maccio Capatonda
Primo Video ha diffuso il primo trailer di Il migliore dei mondi, il nuovo film che vede protagonista Maccio Capatonda, Martina Gatti e Pietro Sermonti, per la regia di Danilo Carlani, Alessio Dogana, Marcello Macchia.
All’interno del film sarà presente il brano originale di M¥SS KETA, dal titolo “CONDANNATA A DANZARE”, ispirato dal film e creato per accompagnare il protagonista nella sua evoluzione all’interno de ‘IL MIGLIORE DEI MONDI’.
Il migliore dei mondi la trama
Immaginiamo un uomo comune del millennio digitale catapultato in un inaspettato viaggio analogico. È quello che succede a Ennio Storto, il nostro protagonista, che si ritrova improvvisamente in un 2023 alternativo dove la tecnologia si è fermata per sempre agli anni ’90. Ma quello che nasce come un disastroso imprevisto può evolvere in un’avventura straordinaria, in cui Ennio scoprirà un nuovo lato di sé.
Il migliore dei mondi: recensione del film di e con Maccio Capatonda
Arriva su Primo Video Il migliore dei mondi, il nuovo film scritto, co-diretto e interpretato da Marcello Macchia/Maccio Capatonda, che questa volta esce dalla sua maschera per realizzare un film molto ricco, attuale e sempre divertente, ma che cambia pelle nel suo corso e non ha timore di sfociare nel dramma e nell’action.
A dirigere, insieme a Macchia, anche Danilo Carlani e Alessio Dogana, che a sei mani confezionano un prodotto ibrido che si basa quasi completamente sul personaggio di Ennio (Macchia), un uomo pieno di stranezze che ama sopra ogni cosa avere il controllo della situazione.
Il migliore dei mondi, la trama
Immaginiamo un uomo comune del millennio digitale catapultato in un inaspettato viaggio analogico. È quello che succede a Ennio Storto, il nostro protagonista, che si ritrova improvvisamente in un 2023 alternativo dove la tecnologia si è fermata per sempre agli anni ’90. Ma quello che nasce come un disastroso imprevisto può evolvere in un’avventura straordinaria, in cui Ennio scoprirà un nuovo lato di sé. Così recita la sinossi ufficiale del film, che è un’opera citazionista in maniera intelligente, che riesce a camminare lungo una sua linea narrativa ben strutturata e che, al netto di alcune ingenuità, riesce a centrare con grande acume il centro del suo discorso, in una riflessione molto a fuoco sulla mania di controllo alimentata da una vita scandita dall’utilizzo invasivo della tecnologia.
Così Ennio Storto diventa il simbolo dell’uomo che vive al 40%, ovvero quell’individuo tipizzato che si lascia scandire la vita da una pianificazione serrata e che non lascia mai spazio a imprevisti e incidenti, ma nemmeno a sorprese, emozioni, che si tratti di routine mattiniera o di relazioni sentimentali.
Costruendo un presente bloccato negli anni ’90, in Il migliore dei mondi Maccio Capatonda evita con sapienza il rischio di realizzare un film nostalgico, che inneggia a una società migliore se priva di tecnologia. Gli smartphone sono raccontati, sì, come una specie di male del nostro tempo, ma più che contro lo strumento, il film si schiera chiaramente contro la modalità di utilizzo dello stesso, invitando a un equilibrio tra gli eccessi, che come spesso accade è poi la buona misura di tutto.

La fotografia di una condizione sociale depersonalizzata
Anche le dinamiche interpersonali del film si rivelano strutturate con una certa maturità narrativa, in particolare il ritratto della relazione tra Ennio e suo fratello, che rappresentano due approcci diversi alla vita e alla tecnologia, opposti ed entrambi fallimentari. La commedia si impreziosisce quindi di una riflessione sociale e antropologica, che fa emergere una condizione sociale depersonalizzata, smarrita nel tentativo di difendere uno status quo apparentemente perfetto ma che cade a pezzi non appena il fatidico smartphone si scarica.
Il migliore dei mondi però, alla fine, non esiste: Maccio Capatonda è abbastanza intelligente da non cedere a un nostalgico discorso facilone su quanto si stava meglio senza gli smartphone, ma da fruitore lui stesso di tecnologia per molti aspetti della sua vita, si pone le domande giuste, quelle che non sempre trovano una risposta precisa ed esaustiva, ma che cambiano con il tempo, che si modificano con l’uso, che trovano il giusto mezzo tra il rimanere consapevole della propria contemporaneità, senza mai lasciar andare l’umanità imprevedibile della vita stessa.

Il migliore dei mondi: intervista a Maccio Capatonda
Maccio Capatonda, Martina Gatti e Pietro Sermonti parlano di Il migliore dei mondi, il film diretto da Danilo Carlani, Alessio Dogana, Marcello Macchia su Primo Video dal 17 novembre.
Il migliore dei mondi la trama
Immaginiamo un uomo comune del millennio digitale catapultato in un inaspettato viaggio analogico. È quello che succede a Ennio Storto, il nostro protagonista, che si ritrova improvvisamente in un 2023 alternativo dove la tecnologia si è fermata per sempre agli anni ’90. Ma quello che nasce come un disastroso imprevisto può evolvere in un’avventura straordinaria, in cui Ennio scoprirà un nuovo lato di sé.
Il miglior film dell’anno, ecco la short list di Empire
È appena iniziato dicembre e questo, nel mondo del cinema, è tempo di bilanci. Qual è il miglior film dell’anno? Mentre qualcuno già ha stilato la sua classifica (qui), Empire Magazine presenta la sua short list di 20 film trai quali i lettori eleggeranno il miglior film dell’anno.
Ecco i concorrenti!
[nggallery id=2266]
Ci teniamo a ripetere che questa non è la top 20 di Empire per il 2015 ma una lista di film trai quali i lettori della famosa rivista possono votare il loro film preferito dell’anno appena trascorso.
Il Miglior film del 2015 secondo Quentin Tarantino
Mentre cresce l’attesa per l’arrivo al cinema del suo The Hateful Eight, Quentin Tarantino durante la promozione in Francia del film ha trovato il tempo di rispondere alla domanda difficile quale secondo lui fosse il miglior film del 2015. Il regista senza troppe sorprese ha risposto:
Mad Max, ho ricevuto una copia di Mad Max in 35mm e l’ho vista in casa mia, me l’hanno data per tutto il weekend e alla fine ho visto il film tre volte. Non lo avevo visto prima perché pensavo “Mad Max senza Mel Gibson? Scordatelo!” In un mondo nel quale Mel Gibson esiste, come puoi prendere Tom Hardy come protagonista? Volevo fare il contrario su questo film. Poi ho visto il film e “Ok, è pazzesco”, e lui è decisamente bravo, devo ammetterlo.
Il miglior film del 2011, per i Cahiers du cinema è Habemus Papam
Il miglio verde: trama, cast e le differenze tra il libro e il film
Le innumerevoli opere scritte dal celebre Stephen King sono da sempre fonte di grande ispirazione per il cinema e moltissime di queste hanno poi trovato il loro adattamento sul grande schermo. Dal celebre Stand by Me a Le ali della libertà, da Carrie – Lo sguardo di Satana fino alla più recente serie televisiva The Stand. Quello realizzato dallo scrittore del brivido è un bacino di storie senza eguali, contenenti tutti i sentimenti e i temi più ricorrenti nell’esistenza umana. Uno dei film più belli e famosi tratti da una sua opera è Il miglio verde, scritto e diretto da Frank Darabont nel 1999.
Per il regista di origini ungheresi si è trattato della seconda incursione nell’universo kinghiano. Egli aveva infatti debuttato al cinema pochi anni prima con l’acclamato Le ali della libertà. Ancora una volta egli prende un racconto del celebre scrittore e lo adatta ai canoni cinematografici, facendo trasparire in primo luogo tutta la forza del racconto e dei suoi personaggi, i quali diventano da subito memorabili. Si tratta naturalmente di una storia molto cruda, dove il miglio verde del titolo non è altro che il corridoio dalla pavimentazione verde che i condannati a morte percorrevano prima di giungere alla sedia elettrica.
In tale contesto di morte, si snoda un film che esalta allo stesso tempo la preziosità della vita e delle sue sfumature. Candidato a quattro premi Oscar, tra cui miglior film, Il miglio verde è ancora oggi ricordato come uno dei film più importanti del suo anno e dagli anni Novanta ad oggi. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori ed alle differenze con il libro. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Il miglio verde: la trama del film
Protagonista del film è Paul Edgecombe, che nel 1935 lavorava presso Il Miglio Verde, nome con cui era chiamato il braccio della morte di Cold Mountain. La cupa routine del luogo viene un giorno scossa dall’arrivo del mastodontico John Coffey, detenuto accusato di aver ucciso due gemelline. Questi è ora condannato alla sedia elettrica, trovandosi lì nel Miglio solo per attendere la fine. Durante il suo soggiorno, Coffey si mostra agli occhi di Paul come tutt’altro che uno spietato criminale, dotato invece di un carattere buono e incredibili poteri soprannaturali. Mentre nel Miglio si susseguono una serie di personaggi controversi, dal violento poliziotto Percy Wetmore al criminale Wild Bill Wharton, la verità sul caso di Coffey diverrà agli occhi di Paul sempre più chiara.
Il miglio verde: il cast del film
Ad interpretare il ruolo del protagonista Paul Edgecombe vi è il due volte premio Oscar Tom Hanks. Questi fu lieto di accettare il ruolo, avendo dovuto rinunciare a quello da protagonista in Le ali della libertà per girare Forrest Gump. L’attore rimase nel personaggio anche durante le pause, lasciando particolarmente sbalordito Stephen King. Accanto a lui, nei panni del collega Warden Hal Moores vi è l’attore James Cromwell, celebre per i film Babe, maialino coraggioso e Io, Robot. Doug Hutchison è invece Percy Wetmore, il poliziotto sadico e incline alle torture. L’attrice Bonnie Hunt interpreta invece Janice Edgecombe, moglie di Paul. Ad interpretare il protagonista da anziano, infine, è l’attore Dabbs Greer.
David Morse è Brutus Howell, un altro dei colleghi di Paul. Ad interpretare il criminale Wild Bill Wharton vi è invece un giovane Sam Rockwell. Nell’interpretare il personaggio, egli cercò di farlo risultare il più viscido e deprecabile possibile. Chiese anche che gli venissero applicati con il trucco dei finti brufoli, così da rimanere fedele alle descrizioni nel libro. Infine, grande star del film è l’attore Michael Clarke Duncan nei panni del gigantesco John Coffey. Per farlo sembrare più imponente di quanto sia realmente, si utilizzarono apposite angolazioni di ripresa, come anche un mobilio più piccolo del normale. Grazie alla sua struggente interpretazione, Duncan ottenne una nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista.
Il miglio verde: le differenze tra il libro e il film
Nonostante King abbia definito Il miglio verde come uno degli adattamenti cinematografici più fedeli delle sue opere, anche questo film presenta naturalmente alcune differenze. Queste, in realtà, comprendono eventi o dettagli molto piccoli, che quindi non inficiano sull’aderenza al racconto e alle sue tematiche di base. In primis, l’ambientazione del film si collocano al 1935, mentre nel libro è il 1932. Nel film, poi, il racconto di Paul si origina a partire dalla visione di Cappello a cilindro, mentre nel libro di King Elaine legge la storia che Paul ha incominciato a scrivere. Differente è anche l’ordine temporale in cui i detenuti arrivano al Miglio. Ciò permette nel film di far interagire personaggi che nel libro neanche si incontrano.
Diverse modifiche sono poi state apportate al personaggio di John Coffey. Nel libro è riportato che questi pesa 127 chili, che nel film diventano 150. Aumentando la stazza e il peso del personaggio, Darabont ha rimarcato la differenza minacciosa che intercorre tra lui e gli altri. In generale, Coffey è poi molto più loquace nel film che non nel libro. In quest’ultimo infatti, il personaggio non ha grandi discorsi, esprimendosi più con i fatti. L’esecuzione del personaggi, nel film, è poi interamente gestita da Paul, il quale esprime qui tutto il suo dolore. Nel romanzo, invece, tale evento è supervisionato tanto da Paul quanto da Brutal, ed è quest’ultimo ad esprimere grande rammarico. Concentrare il tutto su Paul ha però permesso di rendere ancor più forte il legame di questi con Coffey.
Il miglio verde: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il miglio verde è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e Tim Vision. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 8 settembre alle ore 21:00 sul canale Iris.
Fonte: IMDb
Il Merlo Maschio: recensione del film con Lando Buzzanca
L’Italia dei primi anni ’70 era reduce dai bagliori ingannevoli della cuccagna offerta dal boom economico rapido e travolgente che si abbatté nel decennio ’50 – ’60 modificando i contorni culturali e i rituali sociali di un popolo da sempre ancorato alle proprie tradizioni e alle radici secolari.
Gli italiani si ritrovarono nel pieno di un profondo cambiamento legato soprattutto alle proprie abitudini sessuali: i costumi erano ormai cambiati, ma gli uomini e le donne “italici” non riuscivano ancora ad adeguarsi a queste novità che erano arrivate a colonizzare perfino l’interno delle loro camere da letto.
Il Merlo Maschio, il film
Pasquale Festa Campanile, sottile autore di commedie graffianti, decide nel 1971 di adattare per il grande schermo un romanzo di Luciano Bianciardi (intellettuale che aveva già ispirato Lizzani per il suo La Vita Agra e che, in seguito, ispirerà Paolo Villaggio nella creazione del personaggio di Fantozzi), intitolato Il Complesso di Loth.
Nel passaggio al cinema, il protagonista diventa un violoncellista coi tratti maschili e marcati di Lando Buzzanca, interprete del mite uomo medio dal nome altisonante di Niccolò Vivaldi. Niccolò ha un problema enorme, che gli crea un invalidante complesso di inferiorità: nessuno sembra ricordarsi di lui, dal suo direttore d’orchestra, ai colleghi, fino alla bella moglie – morigerata e pudica – interpretata dalla compianta Laura Antonelli.
Ma un bel giorno, proprio quando accompagna la moglie a fare dei fanghi termali, spiandola di nascosto e osservandola mentre espone le sue nudità al medico, realizza di sentirsi pienamente uomo, realizzato e sicuro di sé, solo quando gli altri ammirano le grazie della moglie Costanza. Decide così di abbandonarsi ad una spirale – senza via d’uscita – di sesso, feticismo e voyeurismo dal lato grottesco.
Il Merlo Maschio è un “saggio” cinefilo sul tracollo del mito del maschio italiano, il canto del cigno di un gallismo (per citare Vitaliano Brancati) compromesso dalla modernità, che mette a dura prova il mito della passionalità dell’uomo italiano e riscrive il paradigma del classico “Italians do it better”, sovvertendolo nel momento stesso in cui viene creato il personaggio di Niccolò, uomo complessato e capace solo di vivere ed esistere perché sposato con una donna bella e spiata, con occhio voglioso, dagli altri uomini come lui.
Le leggi del desiderio vengono riscritte da Campanile, e l’uomo italico medio Vivaldi (nomen omen che affonda nell’estro culturale e nella tradizione italiana) è simile ad un novello Zeno Cosini uscito dalla penna di un inspirato Svevo: la ricerca del suo posto ideale in un mondo rutilante e dominato dalla modernizzazione (vedasi l’introduzione della macchina fotografica come… “giocattolo erotico” per ravvivare il ménage della coppia) si trasforma in ossessione, fino a confondere i confini tra fantasia segreta e realtà, intimo e privato, che si materializzano sullo schermo anche grazie alle trovate registiche di Campanile e all’effetto “caleidoscopio” che introduce in alcune sequenze chiave, utili per analizzare – nel profondo – i desideri e le passioni segrete di un’Italia immortalata nel cambiamento.
Il meraviglioso mondo di Topolino, la serie di corti in arrivo su su Disney+
Topolino e i suoi amici stanno arrivando su Disney+ con la nuova serie di corti animati Il meraviglioso mondo di Topolino. Dal team dei creatori di Topolino, la serie di cortometraggi animati targata Disney Channel vincitrice degli Emmy Awards, arriva la nuova serie originale Disney+ che debutterà lo stesso giorno del compleanno di Topolino, mercoledì 18 novembre. A partire dal 27 novembre, ogni venerdì, verranno poi rilasciati due nuovi cortometraggi. Quest’anno debutteranno in anteprima un totale di dieci corti, con altri 10 previsti per l’estate 2021.
Ne Il meraviglioso mondo di Topolino non c’è altro che divertimento ed entusiasmo per Topolino e i suoi migliori amici – Minni, Paperino, Paperina, Pippo e Pluto – che intraprendono le più grandi avventure vissute finora, destreggiandosi tra gli imprevisti di un mondo selvaggio e bizzarro in cui la magia Disney rende possibile l’impossibile. Ogni cortometraggio, della durata di sette minuti, è pieno di momenti esilaranti, ambientazioni moderne, storie senza tempo, nuova musica e l’inconfondibile stile artistico classico dei corti di Topolino. La serie includerà storie ispirate alle varie aree tematiche dei parchi Disney e cammeo dei classici personaggi della tradizione Disney.
Contrassegnati da uno stile artistico contemporaneo che rimanda agli inizi di Topolino nel 1928, la serie di cortometraggi animati di Topolino è stata presentata in anteprima su Disney Channel nel 2013, in onda per cinque stagioni per un totale di 96 episodi, e ha vinto sette Primetime Emmy Awards, due Daytime Emmy Awards e 21 Annie Awards. Questi corti hanno ispirato una linea mondiale di prodotti su licenza, giocattoli e abbigliamento, nonché Mickey & Minnie’s Runaway Railway, la prima attrazione nella storia Disney con Topolino e Minni, ora aperta ai Disney’s Hollywood Studios di Walt Disney World Resort in Florida. Tutte e cinque le stagioni di Topolino sono attualmente disponibili in streaming su Disney+.
Il meraviglioso mondo di Topolino è prodotta da Disney Television Animation con l’artista e regista vincitore di un Emmy Award, Paul Rudish, nel ruolo di produttore esecutivo e supervising director. Christopher Willis, il compositore dei cortometraggi di Topolino nominato all’Emmy Award, ha realizzato la musica anche per questa serie.
Il menù della felicità: dal cast alla storia vera, tutte le curiosità sul film
Cucina e inclusività si incontrano nel film francese Il menù della felicità, diretto nel 2023 da Hervé Mimran. Si tratta di una pellicola che celebra, in modo emozionante e sfumato, la diversità e l’importanza dell’inclusione, ma anche come la passione e la dedizione possano talvolta superare gli ostacoli più grandi. Ispirato ad una storia vera, il film riporta dunque sullo schermo due dinamiche già viste negli ultimi anni, con film dedicati al mondo della cucina come Il sapore del successo o la serie The Bear o alle disabilità, come The Specials – Fuori dal comune e Mio figlio.
Grazie ora al suo passaggio televisivo, è dunque un titolo da recuperare per chi ha interesse verso tali tematiche, potendo qui ritrovare un film che sa come divertire ed emozionare. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a Il menù della felicità. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla spiegazione del finale. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Il menù della felicità
Protagonista del film è Philippe Lamarck, un rinomato chef che, a causa del suo carattere difficile, perde il lavoro. La notizia del suo licenziamento si diffonde rapidamente e ciò gli rende complicato trovare una nuova occupazione. Tuttavia, tutto cambia all’improvviso quando viene contattato da Virginie, madre di Noé, un giovane autistico con un talento straordinario per gli odori. Determinata a realizzare il sogno del figlio di diventare cuoco, Virginie decide di aprire un ristorante inclusivo che offra opportunità di lavoro a giovani con disabilità cognitive. Philippe, toccato dall’entusiasmo e dalla determinazione di Virginie e Noé, accetta la sfida e si unisce a loro in un’epica avventura culinaria.
Il cast del film
Il cast include l’attore Bernard Campan nei panni di Philippe Lamarck, lo chef stellato alle prese con le difficoltà del licenziamento. L’attrice Mélanie Doutey interpreta invece Virginie, la determinata madre di Noé, un ragazzo autistico con un talento speciale, impersonato da Gauthier Gagnière. Lionnel Astier è Gérard, mentre Laurent Bateau ricopre il ruolo di Serge, l’ex-marito di Virginie. Recitano poi nel film Pierrot Goldstein nel ruolo di Martin, Angélique Bridoux in quello di Louane e Vincent Chalembert in quello di Lucas. Completa il cast il critico gastronomico François-Régis Gaudry, nei panni di sé stesso.
La storia vera dietro il film
Questa produzione, nata dalla collaborazione tra Karé Productions, Summertime Productions e la RTBF, prende ispirazione dalla vera storia di un ristorante di Parigi situato nel 15º arrondissement, salito agli onori della cronoca per il suo impegno verso l’inclusione delle persone con disabilità. Uno degli autori di Il menù della felictà è venuto a sapere di questa realtà grazie ad un post del produttore cinematografico Fabrice Goldstein sui social network in cui si fornivano informazioni su questo ristorante in cui lavora il figlio, affetto da autismo.
Il ristorante La Belle Etincelle, dunque, esiste davvero. Nato nel 2021, il ristorante è un’idea dell’associazione Tremplin Extraordinaire, che ha l’obiettivo di promuovere l’inserimento professionale e sociale delle persone con disabilità. Tra i 12 dipendenti dell’istituzione, otto sono giovani di età compresa tra i 18 e i 31 anni con disabilità, come disturbi dello spettro autistico e sindrome di Down. Alcuni di questi hanno poi partecipato anche alle riprese, come Pierrot Goldstein, il figlio di Fabrice.
Il trailer di Il menù della felicità e dove vedere il film in streaming e in TV
Sfortunatamente il film non è presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive in Italia. È però presente nel palinsesto televisivo di giovedì 8 agosto alle ore 21:30 sul canale Rai 1. Di conseguenza, per un limitato periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma, completamente gratuita, per trovare il film e far partire la visione.
Il meglio di te: tutto quello che c’è da sapere sul film
Da sempre molto attento a tematiche come i legami famigliari, la disabilità e l’avanzare dell’età, il regista Fabrizio Maria Cortese aveva già affrontato tutto ciò con il suo film Ho amici in Paradiso, andando poi a concentrarsi in particolare sulla terza età con il film Free – Liberi, distribuito nel 2020. Con il suo nuovo lungometraggio, Il meglio di te, egli torna su questi temi realizzando un film estremamente personale, scritto a partire da riflessioni scaturite in seguito alla scomparsa del padre. La sceneggiatura – scritta da Cortese insieme a Maria Azzurra De Lollis, Marcello Cantoni e Carlo La Greca – riflette dunque sullo scorrere del tempo, sull’evoluzione dei rapporti e sul recupero di quanto andato perduto.
Un film struggente ma non straziante, che pone dunque l’attenzione sui sentimenti ed emoziona proprio per la sincerità con cui questi vengono raccontati. Il suo passaggio televisivo è dunque l’occasione per scoprire o riscoprire questo delicato ma intenso lungometraggio, capace di parlare una lingua universale. In questo articolo, approfondiamo dunque alcune delle principali curiosità relative a Il meglio di te. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori, alle location dove il film è stato girato e alla colonna sonora che lo accompagna. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.
La trama di Il meglio di te
Protagonisti del film sono Antonio e Nicole, i quali dopo essersi amati intensamente si sono ritrovati lontani, dispersi, pieni di rabbia, di colpa e di delusione. L’inevitabile separazione traccia allora un confine molto netto tra le loro vite e entrambi proseguono da quel momento per la propria strada, in cerca di nuova serenità. Quando però Antonio si ammala, Nicole decide di tornare da lui mettendo da parte il risentimento del passato e cercando di recuperare qualcosa di molto importante per lei. Quel riavvicinamento sarà dunque l’occasione per loro per ripercorrere la propria storia insieme, alla ricerca di risposte a situazioni mai chiarite.
Il cast di Il meglio di te e le location dove è stato girato
Ad interpretare Antonio e Nicole vi sono gli attori Vincent Riotta e Maria Grazia Cucinotta. Se quest’ultima è nota per film come Il postino, I laureati e Il mondo non basta, Riotta – attore britannico di origini italiane – è invece conosciuto in Italia per la miniserie Il capo dei capi, ma si è anche distinto per la sua partecipazione ai film Il cavaliere oscuro, Rush e House of Gucci. Accanto a loro, recitano gli attori Anita Kravos – celebre per La grande bellezza e Alza la testa – nel ruolo di Paola, Giusi Merli – vista in La grande bellezza e Dune – Parte due – in quello di Mimì e Simone Montedoro – il capitano Giulio Tommasi di Don Matteo – in quelli di Simone.
Completano poi il cast Vanessa Contucci nel ruolo di Veronica, Michele Olita in quello di Lello, Mattia Iasevoli in quello di Lorenzo e Antonio Roma in quello di Lucio. Grande protagonista del film è però anche la Basilicata, regione dove si sono svolte le riprese e che fa da cornice di questa storia. Mentre gli interni sono quelli di una villa privata, gli esterni sono quelli di Brindisi di Montagna, Satriano di Lucania, Tricarico, Maratea, Pignola e Potenza. Il film contribuisce così alla “scoperta” cinematografica di questi luoghi, che permettono di allontanarsi da classici ambienti del cinema per mostrare altre bellezze paesaggistiche e urbane presenti in Italia.
La canzone di Giusy Ferreri
Degna di nota è ovviamente anche la colonna sonora del film, curata da Valerio Calisse, Daniele Bonaviri e Gabriele Cannarozzo. Spicca poi in particolare il brano della cantante Giusy Ferreri, che porta il medesimo titolo del film. «Giusy mi piace tantissimo, adoro le sue canzoni, quando ho scritto la sceneggiatura de Il meglio di te le ho chiesto se aveva voglia di partecipare e lei ha accettato dopo aver letto il copione.», ha raccontato Cortese in un’intervista, nella quale Ferreri ha invece raccontato di aver elaborato il brano a partire da una musica già esistente ma ancora inutilizzata e di averci «costruito sopra una nuova melodia entrando in sostanza in quella che è la parte Nicole.»
Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV
Sfortunatamente il film non è ad oggi presente su nessuna delle piattaforme streaming attualmente attive in Italia. È però presente in prima visione assoluta nel palinsesto televisivo di mercoledì 3 aprile alle ore 21:30 sul canale Rai 1. Di conseguenza, per un limitato periodo di tempo sarà presente anche sulla piattaforma Rai Play, dove quindi lo si potrà vedere anche oltre il momento della sua messa in onda. Basterà accedere alla piattaforma, completamente gratuita, per trovare il film e far partire la visione.
Il meglio deve ancora venire, recensione del film con Fabrice Luchini
Arriva in sala dal 17 settembre il nuovo lavoro di Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patellière, registi di Cena tra amici, la scoppiettante commedia corale che era stata un successo del 2012, tratta dalla pièce teatrale scritta dagli stessi autori, Le Prénom, che aveva dato luogo anche ad una versione italiana molto apprezzata: Il nome del figlio, di Francesca Archibugi.
I due registi tornano dietro la macchina da presa dopo essere stati autori di teatro e di numerose sceneggiature per il cinema. Scelgono di nuovo Patric Bruel, che era stato tra i protagonisti di Cena tra amici, e vi affiancano, lavorandovi per la prima volta, uno dei più noti volti della commedia francese contemporanea, Fabrice Luchini – ha lavorato tra gli altri con Éric Rohmer, Claude Lelouch e Patrice Leconte. Con Bruel ha condiviso un progetto cinematografico molti anni fa (P.R.O.F.S di Patrick Schulmann). Si dà vita così a una commedia sull’amicizia, la morte e la vita. Tre elementi che erano stati al centro di altri efficaci lavori cinematografici come lo spagnolo Truman – un vero amico è per sempre con la coppia Ricardo Darín e Javier Cámara. Anche questo aveva trovato un adattamento italiano in Domani è un altro giorno, protagonisti Marco Giallini e Valerio Mastandrea.
Il meglio deve ancora venire, la trama
Arthur, Fabrice Luchini, e César, Patric Bruel, sono amici dai tempi della scuola. Quando, per caso, Arthur scopre che César ha un cancro all’ultimo stadio, non sa come dirglielo ed è talmente in ansia che, nel momento fatidico, si confonde e lascia intendere all’amico di essere lui il malato terminale. Anche perché César gli ha appena detto di essere al settimo cielo e che sta per diventare padre. Da quel momento César si trasferisce da Arthur e i due decidono che insieme cercheranno di esaudire i desideri reciproci e di vivere la vita mettendosi realmente in gioco, fino all’ultimo giorno che gli resta da condividere. Tra equivoci, dolore e risate, saranno sorpresi da imprevisti e nuove scoperte.
Delaporte e De La Patellière omaggiano la commedia francese anni ’70
Sono gli stessi registi ad aver dichiarato di aver fatto riferimento alla commedia francese anni ’70 ed in particolare a registi come Francis Veber – il suo La capra con Gerard Depardieu e Pierre Richard – e l’Yves Robert di Certi piccolissimi peccati, protagonista Jean Rochefort. Per quel che riguarda gli attori che avevano in mente mentre elaboravano il progetto del film, i riferimenti vanno da Yves Montand – il nome César è un omaggio all’omonimo personaggio interpretato da Montand in E’ simpatico ma gli romperei il muso di Claude Sautet – appunto a Rochefort. Non manca poi la commedia all’italiana e quella commistione di comicità, amarezza e anche tragedia, tipiche del genere. Su tutte, il capolavoro di Dino Risi, Il sorpasso, con uno straordinario Vittorio Gassman, che però non sarebbe stato così efficace senza il suo contraltare Jean-Louis Trintignant. Ecco, dunque, chiarirsi l’idea di commedia amara, che si nutre di contrasti, a cui pensavano Delaporte e De La Patellière quando hanno immaginato il film. I due cercavano perciò una coppia di attori che fosse il più possibile esplosiva, ricca di sorprese.
Due penne raffinate e
puntuali con qualche soluzione un po’ troppo facile
La ricerca della verità, della spontaneità è un cardine del lavoro, che traspone in parte il forte legame d’amicizia tra i due registi e prende spunto anche da reali problemi di salute patiti da Matthieu Delaporte. Nel mettere a punto la sceneggiatura, i due hanno cercato un costante equilibrio tra commedia e dramma, con la dominante della commedia, ma con frequenti cambi di tono. Loro stessi affermano che si tratta di “un film sulla parola”, su ciò che viene detto o non detto, sull’idea di proteggere le persone a cui si vuole bene, dicendo o non dicendo qualcosa. I dialoghi sono efficaci, in un continuo botta e risposta dei protagonisti, due anime complementari. Questo, unito alla bravura degli interpreti e alla loro facilità nel passare dal registro comico al drammatico e vice versa, fa si che il lavoro sia godibile ed abbia un buon ritmo.
Tuttavia, da due penne raffinate come Delaporte e De La Patellière, ci si poteva aspettare qualcosa di più nel costruire il dipanarsi della vicenda, che sa sorprendere con un twist nella trama, portatore di un cambio di prospettiva e di un supplemento di riflessione, ma nel finale scivola verso alcune soluzioni un po’ troppo facili, dissonanti rispetto allo spessore e all’approfondimento sui legami e le relazioni umane fondanti della vita che gli autori avevano dimostrato nel resto della pellicola. In particolare, risente di ciò l’evoluzione del rapporto fra César e il padre, interpretato da Jean-Marie Winling, come quella della relazione tra Arthur e Randa, Zineb Triki, che lo accompagna in questo percorso nella malattia. Sorprende invece.
Una buona alchimia tra gli interpreti
Colonna portante del film è il cast, ben assortito e dove tutti appaiono in parte. L’alchimia della coppia Luchini-Bruel funziona e riesce a dare vita a un fecondo contrasto tra la vitalità quasi infantile del personaggio di Bruel e la prevedibilità timorosa, ma anche rigorosa e affidabile di Arthur. Anche le interpreti femminili danno il loro contributo. Zineb Triki interpreta con sensibilità e inaspettata levità il personaggio di Randa, mentre Pascale Arbillot è una buona Virginie, grande amore, finito, di Arthur e ora sua affettuosa amica, oltre che madre della loro figlia Julie, Marie Narbonne.
Nella colonna sonora di Jérome Rebotier spiccano i brani dei Cure e dei Pink Floyd, che ben accompagnano la spensieratezza del personaggio di Cesar. Il meglio deve ancora venire resta una commedia piacevole che riesce a far sorridere della morte con la scanzonata vitalità e le inattese goffaggini dei suoi protagonisti, celebrando la vita e l’amicizia nelle forme più semplici e autentiche.
Il meglio deve ancora venire, il trailer
Il Mediterraneo Video Festival ospite a Venezia
Il matrimonio di Rosa dal 16 settembre al cinema
Dal 16 settembre arriva nei cinema italiani IL MATRIMONIO DI ROSA, la brillante commedia diretta da Icíar Bollaín che ha trionfato al box office spagnolo e ottenuto 8 nomination ai Premi Goya.
Il matrimonio di Rosa, la trama
Il film racconta un fenomeno internazionale, per la prima volta sul grande schermo, che ha origine in Giappone ma che, in pochissimo tempo, si è diffuso in tutto il mondo: il matrimonio in solitaria. Donne di ogni età, da sole o in compagnia di familiari e invitati, sentono il bisogno di “impegnarsi” con sé stesse, promettendosi di rispettarsi e amarsi, in una cerimonia che prende in prestito tutti gli elementi del matrimonio convenzionale come il rito, l’abito, l’anello e persino la luna di miele.
IL MATRIMONIO DI ROSA ritrae, tra i colori di una Spagna autentica e lontana da luoghi comuni, una protagonista coraggiosa e amorevole, punto di riferimento di una famiglia che per troppo tempo l’ha data per scontata. Per questo Rosa decide di riprendere in mano la propria vita e di dare una svolta alla routine quotidiana che le ha impedito di realizzare i propri sogni. Per la prima volta Rosa metterà sé stessa davanti a tutto, fino ad arrivare a un punto di svolta improvviso che coglierà tutti di sorpresa.
Rosa ha un lavoro estenuante, un fratello ingombrante, un padre troppo presente, una sorella piuttosto sfuggente, una figlia che ritorna a casa sola e con due bambini e un fidanzato che riesce a vedere a stento. Troppo abituata a mettere sempre i bisogni degli altri prima dei suoi, Rosa sta per compiere 45 anni e la sua vita non solo è fuori controllo, ma è molto lontana dall’essere qualcosa che può definirsi “sua”. Decide così di dare uno scossone alla propria vita e di afferrarne le redini, o almeno tentare di farlo. Quello che vuole veramente è realizzare il sogno di riaprire la vecchia sartoria della madre, ma, prima di farlo, Rosa vuole organizzare un matrimonio molto speciale: un matrimonio con sé stessa. Senza rivelare a nessuno le proprie intenzioni Rosa convoca i fratelli e la figlia a Benicasim, il paese di origine della madre, come testimoni del suo “matrimonio”. Ma Rosa scoprirà presto che fratelli e figlia hanno altri piani e ognuno i propri problemi, e che cambiare la sua vita non sarà una facile impresa…
IL MATRIMONIO DI ROSA, diretto da Icíar Bollaín, protagonistiCandela Pena, Sergi Lopez, Nathalie Poza, Ramon Barea e Paula Usero sarà nelle sale italiane con Officine UBU da giovedì 16 settembre.
Il matrimonio di mia sorella: la commedia di Noah Baumbach con Nicole Kidman
Nel corso della sua carriera il regista newyorkese Noah Baumbach ha spesso riflettuto sulla famiglia, con film attraverso i quali esplorarla in tutte le sue sfumature. Titoli come Il calamaro e la balena, The Meyerowitz Stories e Storia di un matrimonio (ad oggi considerato il suo capolavoro artistico) offrono infatti acuti racconti sul valore della famiglia, dei legami famigliari e sulla difficoltà di tenere in piedi questo fragile ma fondamentale nucleo affettivo. Un altro suo film sull’argomento, forse meno noto ma altrettanto profondo, è Il matrimonio di mia sorella, realizzato nel 2007.
Si tratta del lungometraggio prodotto dopo Il calamaro e la balena, nel quale Baumbach proponeva il divorzio di una coppia dal punto di vista del figlio maggiore. Un’opera molto personale, con cui il regista ha riflettutto sulla propria personale esperienza del divorzio dei genitori. Con Il matrimonio di mia sorella egli esplora un territorio simile, in modo altrettanto allusivo e indiretto, virando però su toni meno drammatici (per quanto dramma e commedia convivano sempre in modo difficilmente scindibile all’interno dei suoi film). Il risultato è un’opera tanto divertente quanto toccanta, che offre nuove possibilità di sguardo sui rapporti tra consaguinei.
La trama di Il matrimonio di mia sorella
Protagonista del film è Margot, una nevrotica scrittrice di successo che vive a Manhattan con il figlio undicenne Claude. I due si mettono in viaggio per andare a trovare Pauline, la sorella di Margot, una donna dallo spirito libero che vive a Long Island, nella vecchia casa di famiglia, insieme alla figlia Ingrid. Il motivo della riunione familiare è molto semplice: Pauline, l’indomani, si sposerà con Malcolm, un musicista disoccupato dall’animo altrettanto libertino. Appena Margot conosce il futuro marito della sorella, capisce però di dover fare di tutto per convincere la donna a desistere dal suo intento, facendo riemergere vecchie tensioni e frustrazioni.
Margot non ha infatti mai approvato le scelte di vita della sorella, soprattutto nel momento in cui scopre di essere di nuovo incinta. Cosa di cui ha però deciso di non dire a Malcom, tenendolo dunque all’oscuro del suo stato. Dal canto suo Pauline rimprovera la sorella di aver sfruttato le storie della loro famiglia per scrivere i suoi romanzi di successo, lucrando dunque su dolore e aspetti privati. Le due, tuttavia, invece di confrontarsi apertamente, sfogheranno le loro frustrazioni su Malcolm e Claude, salvo capire di non poter continuare a lungo così. La necessità di un definitivo chiarimento tra loro si farà dunque sempre più inevitabile.
Il cast di Il matrimonio di mia sorella e il significato del film
Ad interpretare Margot, la protagonista, vi è l’attrice premio Oscar Nicole Kidman. Del suo personaggio l’attrice ha dichiarato “spero che si veda che la sua spigolosità, la cautela e la rabbia sono in realtà una manifestazione del suo bisogno di proteggersi. Non è in un posto sicuro, davvero, perché sua sorella non sa come prendersi cura di lei, e lei non sa come prendersi cura di sua sorella… sentono che dovrebbero essere molto, molto vicine, ma in realtà non tirano fuori il meglio l’una dall’altra“. Accanto a lei, nel ruolo di sua sorella Pauline, vi è invece l’attrice Jennifer Jason Leigh, all’epoca sposata con Baumbach. Jack Black interpreta invece Malcolm.
Per prepararsi ai loro ruoli e al film, gli attori protagonisti hanno vissuto insieme per un certo periodo di tempo in un’abitazione. “Ci sono state giornate di prove, in cui si esplorava il testo e concepivano scene, ma allo stesso tempo si mangiava insieme, si parla e ci si poteva stendere sul divano e sostanzialmente condividere“, ha raccontato la Kidman. “Perché gran parte della recitazione riguarda l’abbattimento di una serie di barriere. Molte volte, come attore, in particolare se sei famoso, hai molta protezione intorno a te. Strati interi di autodifesa. E quindi per abbatterli e improvvisamente entrare in qualcosa di profondamente intimo e vulnerabile, ci vuole un po’ di tempo“.
Il profondo rapporto generatosi tra gli attori ha dunque permesso al film di acquisire ciò che Baumbach ricercava. Egli voleva infatti che guardando Il matrimonio di mia sorella lo spettatore potesse sentirsi come una mosca sul muro della casa in cui si svolge la maggior parte del racconto, assistendo così ad una rappresentazione quanto più possibile realistica di conflitti famigliari. Ricercando l’imperfezione dei suoi personaggi, ottenuta poi grazie ai suoi attori, Baumbach ha così potuto raccontare il bisogno di ognuno di sentirsi vicino ai propri cari e proteggere e sentirsi protetto da questi, frenato però da paure o differenze caratteriali sopra le quali sembra impossibile passare. Nulla che l’aprire sé stessi e mettersi a nudo non possa però risolvere.
Il trailer di Il matrimonio di mia sorella e come vedere il film in streaming su Netflix o altrove
È possibile fruire di Il matrimonio di mia sorella grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Chili Cinema, Google Play, Amazon Prime Video e Netflix. Su quest’ultima piattaforma si trova attualmente al 4° posto nella Top 10 dei film più visti in Italia. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video.
Fonte: IMDb, OCRegister
Il matrimonio del mio migliore amico: tutte le curiosità sul film con Julia Roberts
Nel corso degli anni Novanta l’attrice Julia Roberts si è affermata come un’icona delle commedie romantiche grazie a titoli come Pretty Woman, Notting Hill e Se scappi ti sposo. Un altro fortunato titolo di questo genere è Il matrimonio del mio migliore amico, diretto nel 1997 dal regista P. J. Hogan, già autore di una commedia sul matrimonio quale Le nozze di Muriel e in seguito del popolare I Love Shopping. Anche questa nuova pellicola con protagonista la Roberts si è affermata come un grande successo, con un incasso di circa 300 milioni a livello globale. Il merito è anche di una storia animata da personaggi a cui ci si affeziona subito e da colpi di scena particolarmente divertenti.
Rispetto alle altre commedie “simili” interpretate dalla Roberts, Il matrimonio del mio migliore amico si distingue però il suo collocarla in una posizione quasi da antagonista, disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori, ma anche alla sua colonna sonora e alla scena finale. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Il matrimonio del mio migliore amico
Protagonista del film è Julianne Potter, la cui vita viene improvvisamente stravolta da una chiamata del suo storico amico Michael O’Neal. I due, un tempo amanti, avevano stretto un patto: se al compimento dei ventotto anni entrambi fossero stati ancora single, si sarebbero sposati. Ma Michael ha una novità: si è innamorato di Kimberly Wallace ed ha intenzione di sposarla al più presto. È a quel punto che Julianne si rende conto di amare ancora l’amico, ed è decisa a sabotare la nuova arrivata pur di riaverlo. L’occasione le si presenta quando Kimberly le chiede di farle da damigella d’onore. Julianne farà di tutto per mettere in ridicolo la rivale, ma imparerà presto un’amara lezione.
Il cast del film e la colonna sonora
Ad interpretare Julianne Potter vi è l’attrice Julia Roberts, subentrata a Sarah Jessica Parker impossibilitata a recitare nel film per via delle riprese della serie Sex and the City. L’attrice ha poi suggerito alla produzione di scegliere l’attore Dermot Mulroney nel ruolo di Michael O’Neal e l’attrice Cameron Diaz in quello di Kimberly Wallace, ruolo per il quale era stata considerata anche l’attrice Drew Barrymore. Recitano poi nel film Rupert Everett nel ruolo di George Downes, Philip Bosco in quello di Walter Wallace e M. Emmet Walsh in quello di Joe O’Neal. Completano il cast Susan Sullivan nel ruolo di Isabelle Wallace e Paul Giamatti in quello di Richard.
Per quanto riguarda la colonna sonora del film, questa comprende diverse cover di note canzoni, come “You Don’t Know Me” eseguita da Jann Arden, “The Way You Look Tonight” eseguita da Tony Bennett e “I Say a Little Prayer” eseguita dall’intero cast di Il matrimonio del mio migliore amico. Proprio quest’ultima canzone, tuttavia, più nota all’interno del film per la reinterpretazione che ne dà la cantante Diana King. Il brano ha poi fortemente caratterizzato il film, divenendo poi una hit della Billboard Top 100. Per quanto riguarda le musiche originali, queste sono state composte da James Newton Howard, il quale è poi stato candidato agli Oscar per la Miglior colonna sonora.
La scena finale di Il matrimonio del mio migliore amico
Nel finale del film, dopo aver fatto fuggire Kimberly dall’altare avendo baciato Michael, Julianne capisce i propri errori e rintraccia la sposa, in lacrime e furiosa con lei. Julianne, tuttavia, si scusa e spiega a Kimberly che Michael non ha affatto contraccambiato il bacio che si sono dati, perché non l’ama. Julianne conclude dunque dicendole che accetta la decisione di Michael. Le due donne, dunque, si riconciliano con un abbraccio e le nozze possono finalmente avere luogo. Dopo la cerimonia, Julianne “autorizza” Michael a ballare la loro canzone speciale con la sua sposa fino a quando la coppia non ne avrà una propria. A quel punto, i due si augurano il meglio e sono pronti ad andare avanti con le loro vite, anche se separatamente.
Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV
È possibile fruire di Il matrimonio del mio migliore amico grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Apple iTunes e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto di martedì 4 febbraio alle ore 21:30 sul canale TV8.
Il matrimonio che vorrei: recensione del film con Meryl Streep
David Frankel, il regista della pellicola, che rinnova così il sodalizio con Meryl Streep dopo Il diavolo veste Prada e la sceneggiatrice Vanessa Taylor con Il matrimonio che vorrei descrivono la vita di una coppia media americana di provincia che ad un certo punto della vita, ossia dopo che classicamente i ragazzi vanno via da casa per andare al collega, rimangono nuovamente da soli, affrontando la vita a due con 20 anni di più. I fisici, e si dibatte molto, soprattutto, per qualche strana ragione solo di quello invecchiato della moglie Kay e non certo di quello imbolsito di Arnold e del desiderio che nell’abitudine, si è appannato.
Ne Il matrimonio che vorrei Kay (Meryl Streep) e Arnold (Tommy Lee Jones) sono una coppia con alle spalle più di 30 anni di matrimonio. Per Arnold tutto scorre normale, mentre Kay sente che il loro rapporto si è inaridito e cerca un modo per ravvivarlo. In libreria, scopre e legge un libro del Dr. Feld (Steve Carell) e decide di affrontare una terapia di coppia presso di lui, cercando di convincere l’abitudinario marito a seguirla per una settimana nella cittadina portuale del Maine, Hope Springs. In quella settimana, molte cose cambieranno.
Il matrimonio che vorrei, il film
Il matrimonio che vorrei, in inglese Hope Springs, dal nome della cittadina dove si trova il terapeuta ma anche un gioco di parole sul significato: “la speranza salta fuori”, tratta di un tema parallelo a quello portato in scena a Cannes da uno dei più grandi cineasti degli ultimi venti anni, Michael Haneke, che con il suo Amour parla anch’egli di amore in tarda età. Ma essendo in questo caso un film europero, l’atmosfera è decisamente diversa e c’è un terapeuta di meno.
Potrebbe essere una commedia, ma alla fine il film viaggia molto tra questo genere e il dramma psicologico, ma ha come carta in più quella di mettere sullo schermo, o almeno minacciare di farlo, un tabù del cinema: il sesso tra persone anziane.
Meryl Streep, neanche a dirlo, è perfetta nell’impersonare una fragile, a tratti insopportabile ma determinata donna della middle class americana, ma è ben sorretta da Tommy Lee Jones, perfettamente calato nel ruolo del “grumpy” ma affettuoso, anche se con problemi di espressione del sentimento, marito Arnold. Chi è utilizzato ben al di sotto delle sue capacità e possibilità è Steve Carell, lo psicoterapeuta, inchiodato alla sedia dello studio e costretto a una serie di primi piani e piani d’ascolto. Il nostro avrà la sua rivincita solo alla vera fine del film, dopo i titoli di coda, una buona ragione per restare seduti in sala.
Il film cerca di portare in superficie quelli che sono i problemi naturali di una coppia che passata la terza decade insieme deve trovare un nuovo modo per interagire, riaffermare la propria relazione e continuare a stare insieme. Non si tratta solo di attività sessuale, ma anche di semplice sintonia, e forse, nella patria che per prima ha esportato il teorema che l’apparenza è tutto, un’accettazione del proprio cambiamento fisico e psicologico.
Il Matrimionio che vorrei: dal 18 ottobre Meryl Sterrp e Tommy Lee Jones al cinema
Il materiale emotivo: Sergio Castellitto presenta il suo nuovo film da regista
Giunto al suo settimo lungometraggio da regista, Sergio Castellitto torna al cinema dal 7 ottobre con Il materiale emotivo, da lui anche interpretato insieme Matilda De Angelis e Bérénice Bejo. Il film, scelto per inaugurare il Festival del Cinema di Bari, si basa su una storia che nasce tra le mani di Ettore Scola e all’epoca intitolata Un drago a forma di nuvola”, il quale non è però mai riuscito a tramutarla in film, ma solo in graphic novel. Presentando il film a Roma, Castellitto parte proprio da questo particolare per raccontare le origini del film, incentrato su Vincenzo, un libraio vecchio stampo alle prese con una figlia paraplegica segnata da un brutto trauma e con un’attrice teatrale tanto problematica quanto seducente.
“Quando tre anni fa mi proposero questa sceneggiatura, mi sembrò un ultimo, inaspettato dono che Ettore mi faceva in nome della nostra amicizia. – esordisce Castellitto – Io sono stato suo allievo, ho realizzato con lui due film (La famiglia e Concorrenza sleale) e l’idea di poter realizzare la sua ultima idea cinematografica era per me un onore oltre che un piacere”. “Naturalmente, – continua il regista – avevo bisogno di far diventare anche mia quella storia. Ho così deciso di affidarmi a Margaret Mazzantini per riscriverla nel modo che fosse per me più congeniale. Molto è dunque cambiato, ma il cuore di quello spunto originale è rimasto intatto”.
Chiamato a definire con una parola il film, Castellitto afferma di non poter scegliere che “soave”. “Soave perché abbiamo da subito deciso di rinunciare a certe tinte forti da melodramma, a quegli sconvolgimenti interiori che si esternano in modo straziante. Ho piuttosto preferito dar spazio ai sentimenti taciuti, a quei piccoli gesti che a volte passano inosservati ma valgono tutto”.
Dalla sceneggiatura riscritta dalla Mazzanti prende così vita un personaggio circondato dalla letteratura e proprio la letteratura è una continua fonte di ispirazione per quanto avviene nel film e ai suoi personaggi. “In quanto scritto da Ettore, – spiega Castellitto – le citazioni erano completamente staccate dalle vicende dei personaggi, non li definiscono, non li raccontano. Questa era proprio una cosa che volevo cambiare. In fase di scrittura abbiamo così deciso di affidarci soltanto a citazioni che si legassero strettamente ai personaggi e alla loro situazione. Opere come Il barone rampante, Don Chisciotte de la Mancia e Le notti bianche sono fondamentali da questo punto di vista”.
Passando ad analizzare il film in modo ancor più approfondito, il regista sottolinea come uno dei temi principali sia quello della prigionia. “I personaggi sono tutti un po’ prigionieri di loro stessi, come anche degli ambienti che li circondano. Ci si trova continuamente alle prese con tanti carceri personali, alcuni dei quali si incastrano tra loro dando vita ad una prigionia continua. L’obiettivo, a poco a poco, è dunque quello di abbattere quest’oppressione, aprendosi alla vita.”
“Il mio obiettivo, in fin dei conti, – afferma Castellitto concludendo la conferenza stampa – è quello di portare ogni spettatore a chiedersi quale sia il proprio personale materiale emotivo. Dobbiamo trovarlo, perché l’attualità ci uccide, ci rende sterili e apatici a tutto ciò che è reale. Attraverso la rappresentazione della vita data dal cinema e dalla letteratura, invece, si può rimediare a ciò, si possono scuotere le coscienze. Per quanto riguarda me, il mio materiale emotivo è stato poter girare questo film. Avere questa fortuna ed essere stato a mia volta travolto dalle emozioni qui raccontate”.
Il materiale emotivo: la recensione del film di Sergio Castellitto
Si apre su un sipario rosso il film Il materiale emotivo, la nuova fatica da regista di Sergio Castellitto, perché come da lui affermato “la rappresentazione della vita coinvolge ed emoziona molto più della vita vera”. Scritto da Margaret Mazzantini a partire da un’idea mai realizzata di Ettore Scola, Furio Scarpelli e Silvia Scola, il film introduce così alla vicenda di un uomo di nome Vincenzo (interpretato dallo stesso Castellitto), alle prese con l’amore per la figlia Albertine (Matilda De Angelis) e la sua libreria, situata in una piazzetta di Parigi. L’uomo, la cui vitalità sembra essere sopita da tempo, riscoprirà la forza delle emozioni grazie alla comparsa nella sua vita di Yolande (Bérénice Bejo), un’attrice esuberante e scombinata.
Il film, il settimo come regista per Castellitto, è dunque un viaggio nella vita di un uomo arresosi dinanzi ai troppi dolori, un uomo che trova rifugio nella letteratura e nel passato poiché è l’attualità ad uccidere definitivamente l’animo. Egli non è però l’unico prigioniero di sé stesso in questo racconto definito “soave” dallo stesso Castellitto. Come si scoprirà, infatti, ognuno vive in propri personali carceri, con l’obiettivo di liberarsene o scendere a compromessi con questi. Il racconto, dopo aver introdotto lo spettatore oltre il sipario, porta dunque a confrontarsi con tutto ciò, dando vita ad una giostra di personaggi ed emozioni piuttosto varia.
Nessuno si salva da solo
Il titolo del romanzo del 2011 della Mazzantini, Nessuno si salva da solo, racchiude in sé un po’ di quanto si ritrova in Il materiale emotivo. Oltre a vantare la stessa scrittrice, il film presenta come accennato in apertura tre personaggi, ognuno con il proprio vissuto e la propria prigionia autocostruita. Vincenzo, ad esempio, si è volontariamente rinchiuso nella propria libreria, l’unico posto dove si sente al sicuro. Da lì può controllare ogni cosa e può badare alla figlia Albertine, costretta alla sedia a rotelle dopo un brutto incidente e ammutolitasi in seguito a tale trauma. Come il padre, anche lei è rinchiusa in uno spazio confinato, proprio come il pesce nell’acquario che osserva giorno dopo giorno.
Il terzo personaggio, Yolande, sembra invece essere diversa da loro. Lei non vive una costrizione fisica imposta da un sol luogo, bensì una ben più ampia, che può estendersi all’intera sua esistenza. Tanto problematica quanto vitale, è lei ad entrare come un uragano nella libreria e nella vita di Vincenzo, sconvolgendola per sempre. Solo grazie a lei l’uomo inizierà piano piano a riappropriarsi di spazi perduti da tempo. Vincenzo intraprende infatti un percorso che lo porta fuori dalla propria libreria, tra le strade e ancor più lontano. Così, dunque, nessuno sembra potersi salvare da solo. C’è bisogno di un imput esterno, che smuova le cose, anche se poi il passo decisivo spetta al diretto interessato.
Per Vincenzo ci voleva Yolande, per Albertine ci vorrà a sua volta qualcosa proveniente da fuori la riattragga verso la vita. Tutto ciò si agita in un ambiente scenografico che ne rappresenta uno vero, volutamente lasciando intendere la differenza (un po’ come avviene nel bellissimo La Belle Époque), proprio a ribadire come sia la rappresentazione della vita a generare più coinvolgimento e trasporto. Su questo equilibrio si basa il film di Castellitto, affascinante per l’occhio e seducente sotto molti punti di vista. Come affermato anche dallo stesso Vincenzo, però, il materiale emotivo è in sé un ossimoro bello e buono e tale si dimostra anche il film.
Il materiale emotivo: la recensione del film
Ciò che rammarica di un film tanto ingegnoso e delicato, dove il “dramma” è spogliato di ogni tinta più forte, è proprio l’ossimoro del raccontare di emozioni senza però riuscire a trasmettere qualcosa di deciso. Probabilmente ci vuole il giusto spettatore con la giusta sensibilità d’animo, ma Il materiale emotivo sembra in fin dei conti rimanere piuttosto distante rispetto a ciò che si propone. Per quanto lo spettatore si possa ritrovare interessato dalla vicenda e dai misteri legati al passato dei personaggi, qualcosa sembra non funzionare come dovrebbe. La molla dell’emozione decisiva sembra non scattare mai.
Da questo punto di vista, Il materiale emotivo è un film che deve attentamente scegliere il suo pubblico, trovare le giuste inclinazioni d’animo, poiché non tutti potrebbero essere disposti a lasciarsi ammaliare da quanto qui narrato. Ciò non toglie valore a quanto messo in scena, dalla vivace scenografia all’interpretazione dei protagonisti, su cui spicca la candidata all’Oscar Bérénice Bejo. Più che sull’aspetto emotivo, dunque, il film sembra da premiare su quello materiale. E con le colte citazioni disseminate nel corso della storia, in modo più o meno velato, il film sembra soddisfare più l’intelletto che non il cuore.
Il Marvel Cinematic Universe avrà mai fine? Risponde il produttore Nate Moore
Il dirigente dei Marvel Studios, Nate Moore, non crede che il Marvel Cinematic Universe finirà mai. L’MCU è iniziato nel 2008 con Iron Man e The Incredible Hulk, ed è diventato il più grande franchise cinematografico di tutti i tempi negli ultimi 14 anni. L’ultimo capitolo è arrivato con Black Panther: Wakanda Forever, che ha ufficialmente concluso la Fase 4. L’ultimo lotto di film e il primo round di serie Disney+ è arrivato mentre cresce il dibattito sulla eventuale stanchezza del MCU si sta diffondendo tra il pubblico. Questo ha favorito le conversazioni sulla possibilità che l’MCU debba finire.
L’argomento del finale del MCU è stato ora affrontato da Nate Moore, vicepresidente della produzione e dello sviluppo presso i Marvel Studios. Di recente è apparso nel podcast di The Town con Matthew Belloni (tramite The Direct) per parlare del futuro della Marvel dopo Black Panther: Wakanda Forever. Il conduttore Matthew Belloni ha chiesto a bruciapelo a Nate Moore se il MCU può andare avanti per sempre, e il dirigente della Marvel crede che potrebbe farlo fintanto che i Marvel Studios rimangono impegnati a esplorare cosa può essere un film o una serie MCU.
“Voglio dire, penso che possa durare a lungo. Penso che dobbiamo continuare a… Non possiamo sederci sugli allori. Non possiamo pensare di avere le risposte. Dobbiamo continuare a spingere i format per quanto riguarda il genere e ciò che siamo disposti a esplorare. Ma per me i film Marvel sono solo film. Il nostro materiale originale è solo… Sarebbe come dire: “Ehi, i film sui libri andranno avanti per sempre?” Probabilmente.”
Il Mandarino anche nei sequel di Captain America e The Avengers?
WorstPreviews ha scandagliato il trailer di Iron Man 3 uscito ieri, riuscendo a rivelare dei dettagli importanti riguado ai tatuaggi del Mandarino, nuovo villain del film interpretato da Ben Kingsley.
Il Mandarino infatti ha un tatuaggio dietro la nuca con una forma familiare: sembra lo scudo di Captain America, con la differenza che se sullo scudo al centro campeggia una stella bianca, qui abbiamo una A.
Kevin Feige, capo della Marvel, ha recentemente dichiarato che Il Mandarino usa “simbolismo di varie culture e iconografie, che storpia per i suoi propri scopi”.
Questo vorrà dire che il cattivo potrebbe assumere su di sè gli ideali che quello scudo rappresenta? Il soggetto in questione otrebbe avere una connessione con Steve Rogers?
Potrebbe essere così probabile che il Mandarino avrà un ruolo anche in Captain America: The Winter Soldier e in The Avengers 2.
Il Mammone: trailer della commedia con Diego Abatantuono
È stato diffuso oggi il trailer di Il Mammone, divertente commedia che racconta le vicende dei coniugi Bonelli, alle prese con un figlio adulto decisamente troppo attaccato ai genitori. Basato sulla storia originale e sul film “Tanguy” diretto da Etienne Chatiliez e scritto da Laurent Chouchan e Etienne Chatiliez, il film – per la regia di Giovanni Bognetti – vede protagonisti, nella parte di Piero e Anna Bonelli, Diego Abatantuono e Angela Finocchiaro. Andrea Pisani interpreta il figlio Aldo, mentre Michela Giraud è Amalia, un personaggio che sul suo cammino incontrerà la famiglia Bonelli.
Il film – prodotto da Warner Bros. Entertainment Italia, Picomedia e Colorado Film – dal 7 novembre sarà disponibile in esclusiva su Sky Cinema e in streaming solo su NOW.
La trama del film Il Mammone
L’antico proverbio giapponese “Quando sei mamma lo sei per sempre” è un mantra nella famiglia Bonelli. Aldo, figlio unico di Piero e Anna, nonostante i suoi 35 anni suonati, l’indipendenza economica, una brillante carriera accademica come professore universitario e innumerevoli occasioni di lavoro all’estero, vive ancora felicemente a casa con la madre e il padre. Un giorno però i genitori realizzano quello che mai avrebbero pensato: non lo sopportano più. Inizia in casa una vera e propria guerra fredda, nella quale i coniugi Bonelli cercano di far emancipare Aldo e metterlo alla porta con ogni mezzo a loro disposizione. Il ragazzo però ha delle risorse inaspettate e non è un tipo che si arrende facilmente.
Il Maledetto: la recensione del film di Giulio Base
Il Macbeth di William Shakespeare è stato adattato in molteplici e differenti modalità per il cinema, con opere più o meno fedeli al testo originale. Quelle che vi si discostano di più, sono solite riprendere le dinamiche narrative di base per inserirle in contesti inediti, proponendo così riletture che confermano l’immortalità di tale tragedia. È questa l’operazione che fa anche il regista Giulio Base (Il banchiere anarchico, Bar Giuseppe) con il suo nuovo film dal titolo Il Maledetto. Presentato alla Festa del Cinema di Roma, questo vede la vicenda del Macbeth animarsi nel contesto della mafia pugliese dei nostri giorni.
Protagonista di questo nuovo adattamento è Michele Anacondia (Nicola Nocella), un criminale della mafia pugliese che ricopre però per il suo clan solamente ruoli di poco rilievo. Quando però il suo figlio neonato muore per via di un agguato, egli svela una capacità di vendicarsi che gli fa subito guadagnare le attenzioni dei suoi capi. Vedendo in ciò l’occasione per migliorare la loro condizione sociale, la moglie di Michele (Ileana D’Ambra) lo spinge ad ottenere ancora di più, dando il via ad una scalata ai vertici del clan sempre più macchiata dall’ambizione, dalla rancore e dalla follia.
Un film votato all’eccesso
Il Macbeth di Shakespeare è notoriamente una delle opere più cupe, cruente, ambigue e sanguinarie del drammaturgo inglese. Allo stesso modo, Il Maledetto di Base si presenta come un film che ricerca l’eccesso per raccontare una vicenda parte della realtà italiana ma non per questo priva di situazioni ed emozioni che sembrano provenire dal mito. Il racconto, scritto dallo stesso Base, sembra dunque vivere di questo incrocio tra il realismo di un contesto sociale ben preciso e dei moti dell’animo che invece trascendono il tempo per rivelarsi universali ed eternamente ricorrenti nel corso di tutta la storia dell’umanità.
Si parla soprattutto dell’ambizione, che caratterizza in particolar modo il protagonista e, ancor di più, la sua consorte. Quella stessa ambizione che nel corso della Storia ha portato alla follia e all’autodistruzione chiunque vi si abbandonasse. In Il Maledetto assistiamo dunque al progressivo discendere dei due protagonisti in un inferno di potere e violenza, che se da un lato offre loro lusso e sfarzo, dall’altra corrompe in modo irrimediabile il loro animo. Michele Anacondia passa dunque dall’essere una figura solitaria che trascorre il proprio tempo nelle campagne pugliesi insieme alle pecore, ad un uomo corrotto, sempre più tormentato da ciò che ha fatto e da ciò che farà.
Pur mantenendo grossomodo quel carattere silenzioso e riflessivo che lo caratterizza, il protagonista sarà dunque sempre più circondato da un eccesso stilistico che il regista costruisce per esaltare non solo il mondo di cui entra a far parte ma anche la sua crescente follia. La fanno dunque da padroni fiotti interminabili di sangue, effetti speciali posticci, scene che non si risparmiano nel mostrare i dettagli più crudi ed un lavoro sul sonoro che va ulteriormente a sottolineare la natura malsana di quanto sta avvenendo.
Pregi e limiti di Il Maledetto
Tutti questi elementi non devono però far pensare a Il maledetto come un film che si allontana da una ricerca di realismo, la quale è invece sempre presente nelle intenzioni del regista, che costruisce dunque il suo lungometraggio con il tentativo di farlo reggere in equilibrio su questi due poli. Proprio come per il suo protagonista, l’ambizione che il film sembra sfoggiare sotto tali punti di vista rischia di esserne il suo limite maggiore e non mancano le scene meno convincenti o suggestive in quanto a messa in scena, come ad esempio quella della cena in cui Michele si presenta come nuovo capo clan.
Tuttavia, le ambizioni e gli eccessi di Il Maledetto riescono in fin dei conti a renderlo anche un film diverso rispetto ai tanti sull’argomento che si vedono ogni anno sugli schermi italiani. Certo, l’idea di ricollocare il Macbeth in un contesto da gangster movie non è nuova (basti pensare al film del 1990 Uomini d’onore), ma il renderlo così tanto parte dell’immaginario mafioso italiano è un elemento di ulteriore unicità. Nel contribuire al fascino del film non ci si può dimenticare dei due protagonisti. Nocella sfoggia una presenza scenica notevole e riesce a rendere palpabile il complesso mondo interiore del suo Michele, ma è la D’Ambra nei panni della Lady Macbeth di turno a rubare spesso e volentieri la scena. Insieme sono uno degli aspetti migliori del film.
Il male non esiste: dal 10 marzo al cinema il film Orso d’Oro alla Berlinale 70
Dal 10 marzo finalmente nelle sale italiane, distribuito da Satine Film, arriva Il male non esiste, ultimo capolavoro del pluripremiato regista iraniano Mohammad Rasoulof, vincitore dell’Orso d’Oro come Miglior Film alla Berlinale 70 e in numerosi altri Festival Internazionali (Seattle, San Paolo, Hong Kong, Philadelphia, Cleveland, Calgary, Oslo, Valladolid, Montclair, Batumi). Un film simbolo, unico e straordinario, che solleva dilemmi morali universali che scuotono le coscienze e impongono una riflessione profonda sul tema della pena di morte e della responsabilità delle persone coinvolte nella sua esecuzione. Quattro storie, collegate da un sottile filo rosso, affrontano una questione fondamentale della società iraniana e di tutti quei paesi costretti, da imposizioni governative, ad accettare la pena di morte come pratica costante e consolidata.
La trama di Il male non esiste
Iran, oggi. Quattro storie, quattro ritratti della fragilità dell’ essere umano di fronte a scelte obbligate e alle responsabilità che ne derivano. Il 40enne Heshmat marito e padre esemplare, è un uomo generoso e accomodante con tutti, ma svolge un lavoro misterioso per il quale ogni notte esce di casa. Pouya ha da poco iniziato il servizio militare e si ritrova subito ad affrontare una scelta drammatica: come obbedire a un ordine dei superiori contro la propria volontà. Javad è un giovane soldato che conquista a caro prezzo tre giorni di licenza per tornare al paese della sua amata e chiederla in sposa. Bharam è un medico interdetto dalla professione, che decide finalmente di rivelare alla nipote un segreto doloroso che lo accompagna da vent’anni. Quattro storie diverse ma inesorabilmente legate che, pur essendo ambientate nella società iraniana, toccano profondamente la coscienza e la storia di ognuno di noi ponendoci di fronte a una domanda alla quale tutti dobbiamo rispondere: al posto loro, tu cosa avresti fatto?
Il male non esiste, recensione del film premiato alla Berlinale
”Ci sono quelli che obbediscono e quelli che dicono No”. Con Il male non esiste, il regista iraniano Mohammad Rasoulof ha voluto porre l’accento su un fardello che ancora oggi opprime il suo paese: la pena di morte. Il tema è affrontato non dal punto di vista dei condannati, ma da quello degli esecutori. Un grosso interrogatorio di carattere etico sta alla base del lungometraggio: chi, in un regime dispotico, è veramente libero di scegliere?
Il film conquista la critica internazionale: nel 2020 è premiato a Berlino con l’Orso d’Oro. Scopriamo insieme perché Il male non esiste merita di essere visto.
Il male non esiste racconta quattro storie e quattro dilemmi morali
Il male non esiste è un film diviso in quattro capitoli che ruotano attorno al medesimo tema: l’esecuzione capitale. Ogni storia mostra la vita di un uomo che, costretto dal governo iraniano ad uccidere i condannati a morte, si è trova costretto a scegliere se obbedire o meno, influenzando inevitabilmente la propria vita.
Heshmat è un marito e un padre buono e dedito alla famiglia, ma adombrato per il lavoro che deve eseguire ogni notte. Puoya è un ragazzo che deve svolgere il servizio militare. È tormentato da un ordine dei superiori che mette a dura prova la sua morale. Anche Javad sta svolgendo il servizio militare. Per avere tre giorni di permesso – vuole andare a trovare la propria fidanzata per il suo compleanno, deve svolgere un compito tutt’altro che semplice. Bharam invece è un medico interdetto che da vent’anni vive isolato dal mondo e conserva un segreto enorme.
Nessuna reale possibilità di scelta
Tutti e quattro i personaggi si trovano a dover affrontare le conseguenze delle proprie azioni: c’è chi ha scelto di uccidere e chi ha rifiutato, ma per tutti la vita è diventata un inferno.
Chi ha obbedito, o continua ad obbedire, vive dilaniato dai sensi di colpa che, inevitabilmente, invadono tutto il bello che li circonda. Heshmat ad esempio, sembra un uomo così buono, con i vicini di casa, la moglie, la madre malata, la figlia: vive di giorno un’esistenza lodevole, quasi per depurarsi dal gesto che è costretto a ripetere tutte le notti. In ogni caso, la catarsi non funziona granché: un’ombra lo accompagna giorno e notte, rendendolo cupo e distante in ogni situazione, anche le più gioiose.
Tra chi ha detto ”No” c’è Bharam. Era all’università, studiava medicina e aveva una fidanzata. Da quando ha fatto la sua scelta, il governo iraniano gli ha reso la vita impossibile: Bharam ha perso la sua famiglia e la sua professione ed è costretto a vivere come un clandestino. Non può nemmeno ottenere la patente o le cure di cui ha bisogno.
Per il modo in cui vengono affrontate le singole storie, Il male non esiste riesce a toccare profondamente anche chi non è inserito nella società iraniana. Il dilemma morale è ben esplicitato, in tutta la sua complessità. Il racconto quasi didascalico delle vite dei personaggi permette di osservare le conseguenze delle scelte di ognuno. Mohammad Rasoulof affronta il dilemma in modo documentaristico: non esprime un giudizio sulle scelte dei protagonisti, ma espone semplicemente quattro possibili, e plausibili, storie.
Delicatezza e brutalità sono forze che coesistono ne Il male non esiste
C’è tanta delicatezza nel modo di raccontare scelto da Mohammad Rasoulof. Le musiche di Amir Molookpuor sono incantevoli e suggestive. Ricordano vagamente le sinfonie di Ennio Morricone nei film di Tornatore o di Sergio Leone, struggenti e orecchiabili allo stesso tempo, ma soprattutto perfettamente allineate all’intensità emotiva di ogni scena.
Il regista de Il male non esiste lavora tantissimo con le emozioni. I dialoghi sono semplici e sinceri, come anche le scene di vita rappresentate. La finzione è impercettibile: il lavoro svolto con la costruzione del mondo finzionale è così precisa che non si riesce a cogliere, se non nella bellezza delle immagini. Gli scenari mostrati sono variegati, ma tutti ci dicono qualcosa dell’Iran: ne vediamo le città caotiche, i carceri, l’entroterra rigoglioso ed edenico e le colline più aride.
Alcune inquadrature sono di una potenza espressiva rara: il montaggio parallelo è denso di significati simbolici, necessari per dare il senso di una storia che si affida molto poco ai dialoghi. In sostanza, Mohammad Rasoulof, da abile regista, si affida alle immagini e alle emozioni per raccontare qualcosa di estremamente sentito per lui e per il suo paese. Inutile dire che il risultato è eccezionale.
La pena di morte in Iran
Il male non esiste mostra una piaga sociale dell’Iran. Il paese è il primo stato al mondo per il numero di esecuzioni capitali: sono oltre 250 quelle avvenute nel 2021. Probabilmente i numeri sono più alti: non tutte le esecuzioni vengono comunicate ufficialmente. I condannati sono tendenzialmente detenuti incolpati di omicidio o di reati di droga, ma negli ultimi anni le esecuzioni hanno coinvolto anche attivisti politici ed esponenti delle minoranze etniche. Chi viene ucciso è spesso torturato per confessare i reati commessi. Inoltre, i processi sono frettolosi e coinvolgono anche i minorenni.
In una società in cui i diritti umani sono totalmente trascurati, ad andare al patibolo non sono solo i condannati a morte, ma anche i cittadini costretti a svolgere le uccisioni a nome del governo. Con Il male non esiste si è invitati a toccare con mano un problema ancora sentito in alcuni paesi del mondo: il film mette a dura prova la morale e l’etica di chi vive in un paese libero.
Il Making of de Gli Anelli del Potere: ecco il video
La serie da record di Prime Video Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere ha annunciato che Il Making of de Gli Anelli del Potere – una serie di speciali con contenuti inediti dietro le quinte degli otto episodi della prima stagione – è ora disponibile in esclusiva su X-Ray, attraverso un’esperienza a tutto schermo che può essere attivata in qualsiasi momento guardando la serie. Gli spettatori possono accedere ai contenuti X-Ray anche tramite la sezione Contenuti Extra nella pagina principale della serie su Prime Video.
I contenuti con il dietro le quinte di X-Ray invitano gli spettatori a scoprire da vicino la produzione della prima stagione, permettendo ai fan di scoprire come la serie abbia meticolosamente portato in vita in tutto il suo splendore la Terra di Mezzo creata da J.R.R. Tolkien. Le clip dedicate al “making of” – una per ciascuno degli otto episodi della prima stagione – permettono di entrare a fondo nella serie, con un accesso esclusivo a video del dietro le quinte, ma anche a interviste con il cast, gli showrunner, gli executive producer, i registi e il team produttivo.
Il Making of de Gli Anelli del Potere offre ai fan uno specialissimo sguardo sul dietro le quinte della creazione dei regni straordinari che compongono la Terra di Mezzo, tra cui Númenor e Khazad-dûm, entrambi mostrati per la prima volta sullo schermo al culmine del loro splendore, fornendo anche dettagli interessanti sul production design, scenografie, costumi, trucco, effetti visivi e speciali, stunt, duelli con le spade, scene equestri e molti altri aspetti del complessissimo lavoro necessario per ricreare questo mondo magnifico.
Il mai nato: recensione del film di David S. Goyer
Scritto e diretto da David S. Goyer, acclamato sceneggiatore dei Batman di Nolan, Il Mai Nato si presenta come un horror riuscito che combina i classici temi del genere – fantasmi, la compresenza tra il mondo dei vivi e quello dei morti – con elementi innovativi. Tra questi spiccano volti nuovi come quello di Odette Yustman, simbolismi e credenze legate ai gemelli, oltre a tematiche caratterizzanti come il misticismo e la cabala ebraica. Il film affronta inoltre il tema dell’esorcismo, richiamando capisaldi del genere horror.
La trama de Il Mai Nato
La giovane Casey, perseguitata da incubi inquietanti e ossessionata da una presenza spettrale che la tormenta anche durante il giorno, cerca aiuto rivolgendosi all’amico e consigliere spirituale Sendak. Scopre così che la sua famiglia è vittima di una maledizione che affonda le radici nella Germania nazista e che l’entità responsabile è un essere in grado di possedere persone e oggetti a suo piacimento.
La narrazione si sviluppa in un’atmosfera fredda e invernale che conferisce al film un’insolita solidità, soprattutto considerando che il genere horror spesso tende a trascurare la coerenza narrativa. Goyer tenta di dare profondità alla storia, esplorando temi storici come la tragedia dell’Olocausto, arrivando persino a evocare la figura di un bambino morto ad Auschwitz. Tuttavia, Il Mai Nato rimane un film che non si discosta troppo dagli stereotipi tipici dell’horror, pur distinguendosi dai prodotti più superficiali come la saga Scary Movie.
Un horror riuscito con un cast di livello
Gary Oldman, straordinario come sempre, abbandona il ruolo dell’iconico commissario Gordon per vestire i panni di un coraggioso rabbino esorcista. Un elemento particolarmente interessante e mai scontato del film è l’idea del male che si nutre della paura delle proprie vittime, una metafora – seppur un po’ forzata – del clima di tensione del mondo contemporaneo.
In conclusione, Il Mai Nato è un horror che, pur senza rivoluzionare il genere, riesce a offrire momenti di tensione e una narrazione più solida rispetto a molte altre produzioni simili, grazie anche a un cast convincente e alla capacità del regista di bilanciare tradizione e innovazione.
Il mai Nato di David S. Goyer
Scritto e diretto da David S. Goyer, acclamato sceneggiatore dei Batman Begins di Christopher Nolan, Il mai nato si presenta come un horror riuscito, che a classici temi di fantasmi, della compresenza del mondo dei morti con quello dei vivi, associa volti nuovi, come quello di Odette Yustman, simbologie e credenze di connessioni tra i gemelli, e temi caratterizzanti, come il misticismo e la cabala ebraica e il tema dell’esorcismo che rimanda a ben più noti e riusciti film di genere.
La trama di Il mai nato si dipana nell’atmosfera fredda e invernale del film, dondogli insolita solidità considerando il genere che spesso e volentieri non da molte spiegazioni. Goyer cerca di dare profondità alla storia anche attraverso il tempo arrivando addirittura a scomodare un bambino morto ad Auswitz. Resta un film di non troppo ampio respiro, pieno di ogni stereotipo tipico del genere, ma si distingue dai vari Scary Movie che non danno troppo importanza alla trama.
Straordinario come di consueto Gary Oldman, che tolti i panni dell’ormai commissario Gordon, indossa quelli del coraggioso rabbino esorcista. Interessante e mai scontata è l’idea del male che si nutre della paura della propria vittima, metafora, anche se un po’ troppo stiracchiata, del momento storico che vive il mondo.