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Il Mio Nome è Vendetta, la recensione del revenge film con Alessandro Gassman

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Uccisi o essere uccisi, questa è la legge – Inizia così Il Mio Nome è Vendetta il film con Alessandro Gassman nei panni di un padre tormentato. Il film di Cosimo Gomez è un thriller carico di azione dove il personaggio di Gassman interpreta Santo, un ex sicario della criminalità organizzata che per anni ha vissuto nell’ombra in una tranquilla cittadina del Trentino-Alto Adige. La sua vita e quella di sua figlia Sofia, un’adolescente campionessa di hockey, interpretata da Ginevra Francesconi, cambiano per sempre.

Due criminali entrano in casa loro e uccidono barbaramente la madre e lo zio di Sofia, scatenando un regolamento di conti covato per quasi vent’anni. Sofia scoprirà che la verità le è sempre stata taciuta e che Santo nasconde un oscuro passato di affiliato alla ‘ndrangheta. Il film di Gomez si trova su Netflix dal 30 novembre.

Il Mio Nome è Vendetta, la recensione

La premessa del film non ci prepara a quella che sarà la visione per la successiva ora e mezza che compone la pellicola. Inizialmente, quando vengono presentati i personaggi tutto ci sembra chiaro come la luce del sole. C’è una famiglia, unita, composta da padre, madre e figlia. Il padre, Santo, e la figlia, Sofia hanno un rapporto speciale e condividono la passione per l’avventura e lo sport. Sofia è una campionessa di hockey, l’orgoglio della sua famiglia e alla soglia dei 18 anni Santo decide di insegnarle a guidare.

In realtà Sofia è già abbastanza preparata sull’argomento e destreggia il volante anche in luoghi atipici, nei quale una adolescente solitamente non va a guidare alle prime armi. La giornata sembra svolgersi normalmente tra padre e figlia. C’è però qualcosa nella musica malinconica di sottofondo e nei colori di Il Mio Nome è Vendetta – ci troviamo nella natura più vivida e incontaminata; eppure, i colori sono spenti e opachi – che lasciano un presagio di incertezza.

Ginevra Francesconi torna a vestire i panni di “figlia di” dopo il precedente Genitori Vs Influencer con Fabio Volo. Questa volta lo fa con un revenge movie italiano inaspettato. L’adolescente Sofia non sa che con quella semplice Instagram stories ha dato inizio a un meccanismo di una portata inimmaginabile. Così, la ndrangheta scova Santo dando inizio al vero plot del film. Gli alberi e la natura che prima verdeggiavano opacamente adesso si sono incupite del tutto rendendo l’atmosfera tetra con un Alessandro Gassman irrequieto.

Il Mio Nome è Vendetta film Alessandro Gassman

Uccisi o essere uccisi, questa è la legge.

Questa citazione che dà inizio a Il Mio Nome è Vendetta racchiude la vita di Domenico Franzè, vero nome del personaggio di Gassman. Uccisi o essere uccisi, questo è il motto con cui Domenico ha condotto la sua esistenza come braccio del crimine organizzato. Il film di Gomez mette in scena un inseguimento come quelli che si vedono spesso nei thriller d’azione americana. Sofia, una semplice adolescente si scopre capace di cose che una ragazza alla sua età ha visto solo nei film: come liberarsi dalle fascette con cui è stata legata o aprire un varco dal cofano dell’auto.

In un calabrese, talvolta poco credibile, il personaggio di Gassman si trasforma in un Liam Neeson che cerca vendetta. Per la prima volta vediamo a volto scoperto il mandante di questo omicidio organizzato: Remo Girone è Don Angelo, boss della ndrangheta. Scopriamo anche il motivo dietro a questa vendetta reciproca: Domenico ha ammazzato il figlio di Don Angelo. Nella criminalità organizzata il torto non è saldato fino a quando non sarà versato ulteriore sangue.

Ne Il Mio Nome è Vendetta mostrare pietà è considerato un atto di debolezza – continua la citazione iniziale del film. I nostri protagonisti non hanno intenzione di mostrare pietà anzi la vendetta è il momento in cui inizia il viaggio di Sofia e Domenico. L’onore e la vendetta vanno di pari passo in questa storia. L’uno non può vivere senza l’altro e così anche Don Angelo chiede al figlio Michele di seguirlo in questa storia. Le colpe dei genitori trovano sempre un modo di colpire anche i figli.

Non si è mai del tutto al sicuro

Nella periferia di Milano padre e figlia troveranno un rifugio provvisorio che verrà fin da subito messo sotto tiro. Il film si trasforma in una specie di guardie e ladri dove nessun posto è mai del tutto sicuro. Entriamo nel vivo del film e dunque abbandoniamo i verdeggianti ambienti del Trentino ed entriamo nella grigia città. Tra le mura della metropoli Domenico insegna alla figlia il motto della sua vita: Uccidere o essere uccisi. Quando ci si trova faccia a faccia con il nemico non esistono le seconde occasioni, ogni colpo deve essere sferrato con la giusta cattiveria e premeditazione.

C’è però un momento in cui in Il Mio Nome è Vendetta che padre e figlia dimenticano per un momento di essere inseguiti da folli criminali e si ritagliano un loro spazio, come si vede all’inizio del film. Pianificano il loro futuro insieme, una volta completato il piano e si immaginano già in Sudafrica. Ma questo momento dura poco perché è il momento di attuare il loro piano.

Il Mio Nome è Vendetta film Ginevra Francesconi

Il richiamo della foresta

La vendetta di Domenico e Sofia ha inizio con un rocambolesco rapimento. Ci avviciniamo alla fine del film, padre e figlia sono ormai del tutto complici in questo girone infernale. Giocando d’anticipo rispetto alla famiglia di Don Angelo, Domenico tende una trappola ai suoi nemici. Diventa un ninja e con il favore delle tenebre riuscirà ad avere la meglio sui suoi avversari. Domenico è come Buck, come quel San Bernando che decide di imparare a difendersi dagli altri e ha fatto della sua storia una storia di vendetta. Domenico, invece, segue il suo istinto e compie l’ultimo gesto disperato nel tentativo di salvare la sua Sofia.

In conclusione, dopo essere stati inghiottiti dalla città e dalle sue costrizioni ritorniamo allo spazio aperto della natura. Quel piccolo angolo di paradiso dove padre e figlia possono prendersi un momento solo per loro. Ma anche questa ormai è un’illusione, un ricordo che vive nella mente di Sofia che come Buck, decide di uscire allo scoperto, di fare sua la storia di vendetta, di seguire il richiamo della foresta. Uccidere o essere uccisi, mostrare pietà è solo un segno di debolezza.

Il mio nome è Leggenda: la serie Sky Arte con Matilda De Angelis

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Il mio nome è Leggenda: la serie Sky Arte con Matilda De Angelis

Rilasciate le prime foto dal set de Il mio nome è Leggenda, la nuova produzione originale Sky Arte, ideata e realizzata da Bottega Finzioni con Matilda De Angelis, in collaborazione con il Comune di Bologna e Bologna Welcome.

La serie, grazie alle parole e alla narrazione dell’attrice bolognese Matilda De Angelis, esplora le storie vere di illustri sconosciuti dai quali sono nati alcuni dei personaggi più noti dell’immaginario collettivo contemporaneo. A chi si è ispirato George Lucas quando ha creato Indiana Jones? E Mary Shelley dove ha tratto ispirazione per la figura del dottor Frankenstein? O ancora: da quale strano angolo di mondo è sbucato un personaggio come Zorro?

Matilda De Angelis, nuova stella del cinema italiano, è la compagna ideale per raccontare questo viaggio e, con un sottile gioco meta-cinematografico, l’origine di questi “miti d’oggi”, che saranno approfonditi dagli interventi del mass-mediologo Roberto Grandi.

Il mio nome è Leggenda, è una serie in 6 puntate in onda in prima serata su Sky Arte a partire dal 7 dicembre. Il format è stato scritto da Michele Cogo e dagli ex-allievi di Bottega Finzioni Gianmarco Guazzo, Alberta Lepri e Silvia Pelati, con la produzione esecutiva di Giuseppe Cassaro e la regia di Antonio Monti.

I PROTAGONISTI DELLE PUNTATE saranno:

  • Indiana Jones – Giovanni Battista Belzoni
  • Frankenstein – Giovanni Aldini
  • Zorro – Joaquin Murrieta
  • Betty Boop – Helen Kane
  • Pippi Calzelunghe – Astrid Lindgren
  • Dracula – Conte Vlad III di Valacchia

Matilda De Angelis ha affermato: “Il mio nome è leggenda è la mia prima esperienza come narratrice e interprete di un programma televisivo solo mio. Era una cosa nuova, che un po’ mi spaventava. Ho deciso di provare perché le storie vere che stanno alle radici di personaggi come Frankenstein, Betty Boop o Indiana Jones, sono storie bellissime, incredibili, e mi hanno fatto venir voglia fin da subito di raccontarle a tutti. Per me che sono attrice, e sono abituata a emozionare con la recitazione, è stato un po’ strano provare a farlo quasi solo con le parole, con il racconto, senza avere nessun altro in scena oltre a me. Spero di esserci riuscita, questo ditelo voi, io intanto sono già contenta di averci provato”.

Roberto Pisoni, Director Entertainment Channels di Sky Italia, ha dichiarato: “Siamo davvero orgogliosi di aver prodotto e poter finalmente lanciare su Sky Arte Il mio nome è leggenda, un progetto che abbiamo sostenuto fin dalla prima idea e che pensiamo verrà molto apprezzato dal nostro pubblico. Il talento narrativo di Matilda De Angelis ha impreziosito e dato una grande forza evocativa a queste ‘incredibili‘ storie vere, biografie di uomini e donne poco illustri, che sono all’origine di miti e leggende del nostro immaginario”.

L’autore e capo-progetto Michele Cogo di Bottega Finzioni ha spiegato: “Il mio nome è leggenda è un progetto nato per caso, come accade spesso con le cose belle. Ero al lavoro su un documentario per Sky Arte quando mi sono imbattuto nella bellissima storia di Giovan Battista Belzoni, l’archeologo Padovano che ha ispirato la nascita di Indiana Jones. Ecco, da quel momento, dialogando con Roberto Pisoni è nata l’idea di cercare altre storie di personaggi realmente esistiti che hanno dato origini a miti d’oggi come Frankenstein, Dracula, Betty Boop e tanti altri. Un lavoro che ci porta a entrare in contatto con storie meravigliose”.

Per quanto riguarda gli aspetti produttivi, il responsabile Giuseppe Cassaro racconta che: “Bottega Finzioni ha seguito “da zero a cento” la nascita e lo sviluppo del format: dalla scrittura delle sceneggiature al coordinamento dei reparti di sviluppo, dall’affiancamento della regia nella definizione degli elementi che compongono il racconto fino al coordinamento dei reparti artistici e tecnici, dal coinvolgimento dei partner al monitoraggio di tutte le fasi di post-produzione. Bottega Finzioni ha inoltre definito tutti gli aspetti relativi ai materiali di repertorio ed il contributo delle musiche originali”.

Il regista Antonio Monti ha infine dichiarato: “Il mio nome è leggenda è uno strano essere a cavallo fra i linguaggi, che procede mescolando i generi: non è un monologo teatrale, non è uno studio tv, non è una location e non è un film. Al contempo è tutti questi elementi assieme che hanno il compito di evocare le leggende e gli elementi di realtà che le hanno ispirate”

IL MIO NOME È LEGGENDA è una produzione originale Sky Arte realizzata da Bottega Finzioni e arriverà in prima assoluta dal 7 dicembre su Sky Arte, On Demand e in streaming su NOW.

Bottega Finzioni Produzioni è una casa di produzione cinematografica che opera dal 2015, gestita da Fondazione Bottega Finzioni con sede a Bologna, realtà attiva da oltre dieci anni che conta al suo attivo anche una scuola di narrazione e uno studio professionale.

Hanno partecipato in forma di partnership il Comune di Bologna e Bologna Welcome, mettendo a disposizione una delle location più suggestive della città: il Salone del Podestà a Palazzo Re Enzo.

Il mio nome è Khan: recensione del film di Karan Johar

Il mio nome è Khan: recensione del film di Karan Johar

Il mio nome è Khan è un viaggio indimenticabile in un mondo a noi lontano, ma anche così vicino. Perché finalmente l’ultima perla di Karan Johar è in grado di oltrepassare le barriere culturali che (purtroppo) hanno a lungo frenato l’approdo della cinematografia bollywoodiana nel nostro Paese. E lo fa con un film che arriva al cuore di qualunque spettatore, senza alcuna distinzione fra Oriente e Occidente.

E’ innegabile che in Italia, come in molti altri Paesi occidentali, esiste un pregiudizio di fondo nei confronti del cinema bollywoodiano, da molti considerato fin troppo distante dalla (nostra) tradizione, per via delle coreografie colorate, dei canti e balli che lo contraddistinguono. Ma è anche vero che, se guardati senza alcun preconcetto, i film della cultura indiana risultano altrettanto godibili di quelli cui siamo abituati, essendo in grado di sviluppare temi semplici e relativi alla vita quotidiana (i rapporti familiari, ad esempio) in maniera mai banale, ma spesso in modo più autentico e genuino di quanto realizzano la cinematografia europea e hollywoodiana. E il cinema di Karan Johar è un perfetto esempio di tutto questo.

Benché senza raggiungere la perfezione del film da lui diretto che ha ottenuto il maggiore successo in patria, ovvero Khabi Khushi Kabhie Gham (Through Smiles or Through Tears), Il mio nome è Khan è un’opera assolutamente valida in ogni sua componente, dal cast alla regia, dalle scenografie alla colonna sonora. La mano di Karan Johar si riconosce, soprattutto nella struttura narrativa che vede contrapporsi a una prima parte più spensierata una seconda decisamente più drammatica. Non vi sono tuttavia balli e colori fluorescenti come nella tradizione indiana, ma tecniche di ripresa più vicine al cinema occidentale, con campi lunghi e panoramiche non sperimentate in precedenza dal regista. E l’impostazione di Karan Johar, che nella credibile rappresentazione dei rapporti umani mostra la sua grande sensibilità e concretezza, è riscontrabile in ogni scena e nel modo in cui dirige (ottimamente) gli attori.

Il mio nome è Khan

Il film si regge ovviamente su Shah Rukh Khan, interprete del protagonista musulmano affetto dalla sindrome di Asperger che, a seguito dell’ondata di razzismo post-11 settembre, intraprende un viaggio irto di difficoltà per incontrare il presidente degli Stati Uniti e dirgli personalmente “Il mio nome è Khan e non sono un terrorista”. L’attore offre un’interpretazione monumentale, di certo la più impegnativa della sua ventennale carriera, e l’intensa preparazione per il ruolo di Rizwan Khan è ravvisabile in ogni gesto, sguardo, espressione e atteggiamento del personaggio.

Per quanto sempre efficace in ogni interpretazione, in questo film in particolare Shah Rukh Khan sveste i suoi panni di attore fino a diventare in tutto e per tutto il suo personaggio. Benché quest’ultimo presenti alcune affinità con i personaggi di Forrest Gump e di Raymond in Rain Man, l’attore non imita i modelli offerti da Tom Hanks o Dustin Hoffman, bensì interpreta in maniera personale un diverso, che questa volta dovrà misurarsi anche con il fanatismo e la discriminazione razziale.

Seguendo una chiave di lettura religiosa, il film è un omaggio alla tolleranza in tutte le sue forme, incarnata da un protagonista che, nella sua purezza morale e genuinità, ricorda molto il principe Lev Myskin de L’idiota di Dostoèvskij. Caratterizzato da una bontà e un candore inediti in un mondo dominato dall’odio e dall’egoismo, Rizwan Khan è un uomo che non sa cosa sia l’individualismo, ma che nella generosità e amore nei confronti dell’altro realizza se stesso. E l’amore per Mandira, la bellissima hindu che sposerà, è per lui il raggiungimento del proprio posto nel mondo; un sentimento che cercherà di preservare nonostante la tragedia che si abbatte sulla loro vita felice. La sincerità e il rispetto di una promessa a lei fatta sono il leitmotiv della sua missione.

Oltre al protagonista, emerge l’ottima performance di Kajol nei panni di Mandira: la brillante attrice è in grado, come in ogni film da lei interpretato, di recitare magnificamente sia le parti più briose sia quelle più drammatiche e ricche di pathos. E anche ne Il mio nome è Khan compare la particolare alchimia tra Kajol e Shah Rukh Khan, la coppia più amata di Bollywood, la cui ultima collaborazione risaliva a nove anni fa, in un’altra acclamata pellicola diretta da Karan Johar.

Sebbene, a differenza degli altri film del regista, non compaiano riferimenti più o meno impliciti alle altre pellicole da lui dirette (come motivetti musicali o nomi di personaggi), in alcuni passaggi è possibile notare qualche similitudine con alcuni spunti presenti in altri film bollywoodiani: ad esempio, l’idealizzazione dell’America come il paese in cui è possibile realizzarsi (ma anche un paio di riferimenti a un’altra pellicola che vedeva protagonista Shah Rukh Khan, ovvero Swades, We the people).

Nello sviluppare tematiche scottanti e attuali come il fanatismo religioso e il razzismo, la minaccia del terrorismo le mistificazioni della giustizia, Il mio nome è Khan non cede al pietismo e al sentimentalismo come si potrebbe temere in partenza. Al contrario, il film esplora tali tematiche seguendo la prospettiva del protagonista, che crede in una morale semplice ma non per questo banale, secondo cui “i buoni fanno le cose buone e i cattivi fanno le cose cattive”. Benché tale principio possa apparire semplicistico, occorre ricordare che esso viene adottato da una persona affetta da una disfunzione mentale, per cui l’etica risulta necessariamente semplificata per essere tale.

In definitiva, Il mio nome è Khan stimola la riflessione, commuove ma diverte anche, in una stretta commistione fra commedia e tragedia come solo il cinema bollywoodiano sa fare. Di certo non si può rimanere indifferenti al messaggio di speranza di cui Il mio nome è Khan si fa portavoce, in un momento buio per l’umanità in cui proprio di fiducia e speranza per l’avvenire abbiamo bisogno.

Il mio migliore incubo! recensione del film con Isabelle Huppert

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Il mio migliore incubo! recensione del film con Isabelle Huppert

In Il mio migliore incubo! Agathe (Isabelle Huppert) è una gallerista ricca e acculturata. Patrick (Benoît Poelvoorde) è un nullafacente povero e alcolizzato. Tanto lei è algida e rigida, quanto lui è spontaneo e volgare… Che cosa succederà quando, grazie all’amicizia dei rispettivi figli, le loro vite saranno costrette a incrociarsi?

Il mio migliore incubo! mette in scena, sottoforma di commedia, l’incontro/scontro tra due personaggi che, apparentemente agli antipodi, scoprono lentamente sé stessi e fanno cadere gradualmente le maschere che li hanno protetti fino a quel momento. I ruoli preconfezionati, quasi attoriali, che i due interpretano nel loro quotidiano sono i volti di una stessa medaglia, due modi diversi di difendersi. Le armature di Agathe e Patrick, però, non possono resistere agli attacchi delle novità (soprattutto di quelle provenienti da un mondo diverso da quello per cui sono state plasmate) e sono destinate ad andare in frantumi.

Il mio migliore incubo!, il film

Nonostante la trama dell’ultimo lavoro di Anne Fontaine (Coco avant Chanel, Entre ses mains) non sia particolarmente originale, Il mio migliore incubo! corre piacevolmente per tutti i suoi 99 minuti, senza avere mai una caduta di ritmo o di stile. La commedia si gioca sul filo che separa la facciata delle persone dal loro lato più profondo e, grazie soprattutto ai suoi interpreti, sa essere allo stesso tempo seria e leggera. Il mio migliore incubo, infatti, racchiude il suo elemento migliore proprio nei dialoghi: ogni parola pronunciata dai protagonisti è un passo verso il loro svelamento, un graduale aprirsi alle novità e al mondo esterno, un passaggio dalla diffidenza alla fiducia. I registri che si alternano negli scambi di battute -elegante quello di lei e triviale quello di lui- si modificano con il passare del tempo, arrivando a trovare un compromesso nel finale (almeno nel film in lingua originale).

Apprezzabile, infine, una sorta di visione (o di critica) che Anne Fontaine lascia affiorare (in modo non troppo velato) sullo stato delle diverse forme d’arte in Francia. Alcune delle battute più divertenti del film, infatti, sono proprio tese a giudicare alcuni “sistemi chiusi”, come quello dell’editoria –che spesso punta su scrittori mediocri per guadagnare- o delle gallerie d’arte che decretano –spesso per il capriccio di un gallerista- chi può entrare nell’olimpo dei cosiddetti “artisti” e chi no.

Il mio migliore incubo! è un film delizioso e intelligente che, invece di sfruttare i cliché per elemosinare una risata, li utilizza come punto di partenza per disfarsene lungo il percorso. Una commedia che non fa solo ridere e pensare, ma che, sommata agli ultimi film francesi usciti nelle sale, arricchisce ulteriormente il panorama cinematografico dei cugini d’oltralpe.

Il mio migliore incubo – Trailer Italiano

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Il mio migliore incubo – Trailer Italiano

Ecco il trailer della commedia “Il mio migliore incubo” , diretto da ANNE FONTAINE (Coco Avant Chanel), con un’inedita ISABELLE HUPPERT nello spassoso ruolo di Agathe, l’attore comicoBENOÎT POELVOORDE, e l’inossidabile ANDRÉ DUSSOLLIER, amato volto del cinema francese dall’umorismo sofisticato.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco: sequel in arrivo

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Il Mio Grosso Grasso Matrimonio GrecoPur essendo un film indie, Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco fu, nel 2002, un vero e proprio successo. Adesso, stando a quello che riporta The Hollywood Reporter, è in cantiere un sequel del film. Nia Vardalos, che scrisse la sceneggiatura e fu protagonista del film originale, ritornerà accanto a John Corbett per raccontarci di nuovo la storia di Taula e Ian dopo più di una decade di matrimonio.

Al momento non ci sono grossi dettagli per il film, ma sembra che il plot principale ruoterà intorno ad un nuovo matrimonio che riunirà tutta la famiglia del film originale.

Gary Goetzman, Tom Hanks e Rita Wilson produrranno con la Playtone, mentre Paul Brooks, Scott Niemeyer, Steven Shareshian e Norm Waitt insieme alla Vardalos saranno i produttori esecutivi.

Fonte: CS

Il mio grosso grasso matrimonio greco 3: la spiegazione del finale

Il mio grosso grasso matrimonio greco 3 (diretto da ), terzo capitolo della serie di film di gran successo, si conclude con un matrimonio e una riunione. Toula intendeva recarsi in Grecia per consegnare il diario del defunto padre Gus ai suoi amici d’infanzia. Tuttavia, ha faticato a trovarli, poiché avevano tutti lasciato il piccolo villaggio in cui suo padre era cresciuto. Trovando difficile farlo da sola e con tante altre cose in famiglia, Toula recluta i cugini Angelo e Nikki per trovarli. Viaggiano da un’isola greca all’altra e alla fine trovano tutti e tre gli amici, riportandoli nella loro città natale per la riunione.

Altrove, Qamar e Christos decidono di sposarsi il giorno della riunione, con grande disappunto di Peter e Alexandra. Anche se inizialmente non accettano la coppia, danno la loro benedizione e la celebrazione del matrimonio diventa un’occasione felice e multiculturale. Paris e Aristotele tornano insieme, anche se Paris si ripromette di concentrarsi di più sulla sua carriera accademica e di fare meno feste. L’acqua nel villaggio comincia a scorrere verso il basso e Vittoria decide che le case vuote del villaggio devono essere date agli immigrati, un piano che Alexandra condivide. Infine, Peter, il fratellastro di Toula, torna a Chicago con lei.

La spiegazione del piano di Victory: perché ha davvero spedito gli inviti alla riunione?

Il sindaco Victory non era del tutto sincero sulla riunione di famiglia quando ha spedito gli inviti ai Portokalo a Chicago. Il suo piano prevedeva il ripristino della popolazione della sua città, la maggior parte della quale era scomparsa nel corso dei decenni. Portando Toula, Ian e la loro famiglia in Grecia, Victory pensava di convincerli a restare, ritenendo che la loro presenza fosse esattamente ciò che serviva. Victory aveva anche intuito che la famiglia Portokalos avrebbe portato un cambiamento, e per questo era felice che Toula cercasse di rintracciare i vecchi amici di Gus. In definitiva, Victory voleva reinvestire nella città e riportarla ai suoi giorni di gloria.

Riportare in vita le persone era solo il primo passo. Ma alla fine Victory sapeva che, nonostante si fossero ripresentati e avessero partecipato alla riunione, non sarebbero tornati in modo permanente. Il suo piano funziona comunque, e il matrimonio di Christos e Qamar porta abbastanza persone da capire che le case della città, rimaste vuote dopo che tante persone si erano trasferite, dovevano essere messe a disposizione degli immigrati. In questo modo si sarebbe ripristinata la popolazione della città, aiutando allo stesso tempo gli immigrati che non avevano una casa permanente. Il piano di Victory ha avuto successo e ha ridato vita alla sua città natale.

John Corbett, Louis Mandylor, Andrea Martin, Nia Vardalos, Elias Kacavas e Elena Kampouris in Il mio grosso grasso matrimonio greco 3
John Corbett, Louis Mandylor, Andrea Martin, Nia Vardalos, Elias Kacavas e Elena Kampouris in Il mio grosso grasso matrimonio greco 3. Foto di Yannis Drakoulidis – © 2023 Focus Features, LLC.

Paris e Aristotele resteranno insieme per sempre?

Paris e Aristotele si sono messi insieme alla fine de Il mio grosso grasso matrimonio greco 2, ma il terzo film ha rivelato che la relazione tra i due non è mai andata avanti. Tuttavia, grazie all’intromissione di Theia Voula, Paris e Aristotele sono stati rimessi l’uno nell’orbita dell’altra. Paris era ancora attratta da Aristotele e lui provava lo stesso sentimento, ma lei non si permetteva di riavvicinarsi a lui perché sentiva di dover dedicare tutta la sua attenzione agli studi alla NYU. Ma alla fine de Il mio grosso grasso matrimonio greco 3, Paris e Aristotele hanno ritrovato la loro strada. La loro relazione resisterà questa volta?

Paris e Aristotele sono ancora molto giovani, quindi non si sa se resteranno insieme a lungo termine. Ma è sicuro che la loro relazione sopravviverà molto di più rispetto alla prima volta. Inoltre, Aristotele ha l’approvazione della famiglia di Paris; è anche greco e non è infastidito dall’intromissione della famiglia di lei. Il fatto che provino ancora qualcosa l’uno per l’altra rende la loro relazione più dolce, e i loro sforzi per esplorare più a fondo la loro storia d’amore possono portare a un futuro più luminoso per entrambi.

Il significato più profondo di Nick che vuole seppellire le ceneri di Gus in Grecia

Mentre Toula progettava di trovare gli amici di Gus, Nick aveva il suo programma riguardo alle ceneri del padre, che aveva portato da Chicago. Nick voleva spargere le ceneri di Gus sotto l’albero preferito del padre nella sua città natale greca. Tuttavia, non era solo l’idea che Gus fosse sepolto in Grecia ad attirare Nick a portare le sue ceneri; egli voleva che Gus continuasse a esistere in qualche modo. Se le sue ceneri fossero state neutralizzate, Gus sarebbe potuto diventare una parte dell’albero che avrebbe fatto crescere le olive, continuando il ciclo della vita. Grazie a Nick, Gus sarebbe diventato per sempre parte della terra che amava.

Nick voleva questo per suo padre perché sapeva che avrebbe significato molto per lui, soprattutto considerando che Gus non è mai tornato in Grecia durante la sua vita. Essere sepolto nella sua terra d’origine e proprio sotto il suo albero preferito è un gesto premuroso e commovente da parte di Nick, che ha preso l’iniziativa di fare qualcosa per suo padre in un modo diverso da Toula. Gus amava la Grecia e ha trasmesso questo amore ai suoi figli e nipoti. L’idea di poter continuare a far parte di questa terra e della sua storia è significativa e avrebbe senza dubbio portato gioia a Gus. Ora è legato all’albero per sempre.

Joey Fatone e Gia Carides in Il mio grosso grasso matrimonio greco 3
Joey Fatone e Gia Carides in Il mio grosso grasso matrimonio greco 3. Foto di Yannis Drakoulidis – © 2023 Focus Features, LLC.

Toula e Nick diventano capifamiglia

Toula e Nick hanno deciso di condividere il ruolo di capofamiglia dei Portokalos. Dopo la scomparsa del padre e l’Alzheimer della madre, la famiglia ha lasciato un vuoto. Anche se non è necessariamente ufficiale, Toula e Nick hanno fatto molto per la famiglia, in particolare Toula ha tenuto tutti uniti e ha guidato il viaggio in Grecia. Dal momento che hanno tenuto insieme la famiglia in modo non ufficiale, il fatto di essere diventati capofamiglia significa che avranno più responsabilità in futuro

Organizzare cene di famiglia, controllare tutti e assicurarsi che i legami non appassiscano e che la distanza non li allontani saranno gli aspetti chiave del loro ruolo. Avendo già il rispetto della famiglia, non dovrebbero avere problemi ad ambientarsi in questi ruoli, anche se sono un po’ più sotto pressione rispetto al passato. Toula e Nick, che diventano i capifamiglia, mostrano come i figli si facciano avanti in età adulta per assumere le responsabilità dei genitori nei confronti della famiglia.

Il vero significato del finale de Il mio grosso grasso matrimonio greco 3

Sebbene ogni sottotrama abbia il suo fulcro, il collegamento tematico risiede nell’amore per la famiglia, nell’accettazione e nel dovere. Toula sente un senso di responsabilità nei confronti del padre esaudendo il suo ultimo desiderio, ma l’unione e il sostegno della sua famiglia la spingono. Toula deve anche accettare il fatto che Paris si arrangi da sola e deve imparare a fare un passo indietro. In particolare, Il mio grosso grasso matrimonio greco 3 mostra come l’amore e la comprensione possano portare all’accettazione, soprattutto per quanto riguarda alcune idee e pregiudizi. Ogni tema è importante e lega tutto insieme.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3: il Trailer Ufficiale

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Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3: il Trailer Ufficiale

Universal Pictures ha diffuso il trailer ufficiale di Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3, il film che chiude la trilogia della storia d’amore e di famiglia di Toula (Nia Vardalos) e Ian (John Corbett).

Dalla scrittrice e regista Nia Vardalos, il fenomeno mondiale Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco torna al cinema con una nuova avventura. Unisciti ai Portokalos in una riunione di famiglia in Grecia per un viaggio commovente ed esilarante, ricco di amore e di colpi di scena. Opa!

Diretto da Joel Zwick, Il mio grosso grasso matrimonio greco segue Fotoula “Toula” Portokalos (Vardalos), una giovane donna greco-americana che si innamora del non greco Ian Miller (John Corbett). Caratterizzato da un cast di supporto stellare che include il defunto Michael Constantine nei panni del padre di Toula Windex, Gus e Lainie Kazan nei panni della madre di Toula, Maria, l’affascinante film ha generato una serie TV sequel di breve durata e un sequel del 2016, Il mio grosso grasso matrimonio greco 2. Le prime notizie di un terzo adattamento sono arrivate a giugno del 2022.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3, trailer e poster ufficiali

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Ecco il trailer ufficiale di Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3, il film che chiude la trilogia della storia d’amore e di famiglia di Toula (Nia Vardalos) e Ian (John Corbett).

Dalla scrittrice e regista Nia Vardalos, il fenomeno mondiale Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco torna al cinema con una nuova avventura. Unisciti ai Portokalos in una riunione di famiglia in Grecia per un viaggio commovente ed esilarante, ricco di amore e di colpi di scena. Opa!

Diretto da Joel Zwick, Il mio grosso grasso matrimonio greco segue Fotoula “Toula” Portokalos (Vardalos), una giovane donna greco-americana che si innamora del non greco Ian Miller (John Corbett). Caratterizzato da un cast di supporto stellare che include il defunto Michael Constantine nei panni del padre di Toula Windex, Gus e Lainie Kazan nei panni della madre di Toula, Maria, l’affascinante film ha generato una serie TV sequel di breve durata e un sequel del 2016, Il mio grosso grasso matrimonio greco 2. Le prime notizie di un terzo adattamento sono arrivate a giugno del 2022.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3, sorprendenti aggiornamenti

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La star di Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3 Nia Vardalos offre un importante aggiornamento sulle riprese del film. Scritto da Vardalos al suo debutto alla sceneggiatura, il primo episodio della serie di commedie romantiche è stato distribuito nel 2002 ed è diventato un successo travolgente. Nominato all’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, Il mio grosso grasso matrimonio greco ha spinto la carriera comica di Vardalos a nuovi livelli ed è diventata una delle commedie romantiche con il maggior incasso di tutti i tempi.

Diretto da Joel Zwick, Il mio grosso grasso matrimonio greco segue Fotoula “Toula” Portokalos (Vardalos), una giovane donna greco-americana che si innamora del non greco Ian Miller (John Corbett). Caratterizzato da un cast di supporto stellare che include il defunto Michael Constantine nei panni del padre di Toula Windex, Gus e Lainie Kazan nei panni della madre di Toula, Maria, l’affascinante film ha generato una serie TV sequel di breve durata e un sequel del 2016, Il mio grosso grasso matrimonio greco 2. L’anno scorso, Vardalos ha rivelato che altre avventure della famiglia Portokalos erano all’orizzonte con l’annuncio di Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3. Vardalos aveva scritto la sceneggiatura e stava cercando finanziamenti nel corso del 2021; ora sembra che il film sia andato avanti considerevolmente.

Nel suo ultimo aggiornamento sulla terza puntata, Nia Vardalos è andata sui social media per annunciare che le riprese di Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3 sono iniziate ad Atene, in Grecia. Nel video, Vardalos rivela di essere la regista del film e offre una rapida occhiata al set dalla finestra della sua camera d’albergo.

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Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3, presentato il primo trailer

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Il pubblico del CinemaCon è stato deliziato dal primo trailer in assoluto di Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 3, l’ultimo capitolo della serie rom-com sugli scontri culturali, il vero amore, i bundt cake e i molti, molti usi dello Windex. Il terzo film riprende la storia anni dopo l’originale e segue la famiglia Portokalos mentre si riunisce lontano da Chicago.

“Sono successe molte cose dal mio grosso grasso matrimonio greco”, dice il personaggio di Nia Vardalos in una voce fuori campo. “Mio padre è morto e il suo ultimo desiderio era che visitassimo il suo villaggio d’infanzia in Grecia e ci riconnettessimo con le nostre radici. Quindi, stiamo facendo una reunion di famiglia.”

Il trailer, che non è ancora disponibile on line, inizia quando la famiglia Portokalos fa le valigie pronta per viaggiare all’estero per trovare gli amici e i cugini (di sangue o meno) del defunto padre di Toula. Lungo la strada, ci sono un sacco di souvlaki (anche se, Ian Miller di John Corbett è ancora vegetariano), bevute diurne e romanticismo per far andare avanti il clan. “Questa è una riunione che non dimenticheremo mai”, dice Toula.

La Vardalos ha anche scritto e diretto il film, che uscirà nelle sale a settembre, e ovviamente recita insieme alle star di ritorno. Oltre a Corbett, ci sono Louis Mandylor, Elena Kampouris, Maria Vacratsis e Andrea Martin.

Diretto da Joel Zwick, Il mio grosso grasso matrimonio greco segue Fotoula “Toula” Portokalos (Vardalos), una giovane donna greco-americana che si innamora del non greco Ian Miller (John Corbett). Caratterizzato da un cast di supporto stellare che include il defunto Michael Constantine nei panni del padre di Toula Windex, Gus e Lainie Kazan nei panni della madre di Toula, Maria, l’affascinante film ha generato una serie TV sequel di breve durata e un sequel del 2016, Il mio grosso grasso matrimonio greco 2.

Le prime notizie di un terzo adattamento sono arrivate a giugno del 2022.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2: le prime immagini

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Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2: le prime immagini

Ecco le prime immagini da Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2, sequel della fortunata commedia del 2002. Nel film tornano i protagonisti Nia Vardalos e John Corbett.

Nia Vardalos, che ha anche scritto il film originale, tornerà nel film accanto a John Corbett per una storia che ci racconterà di Toula e Ian a più di dieci anni di distanza dal loro grosso grasso matrimonio Greco. Non ci sono ancora dettagli ufficiali per la nuova storia, ma sappiamo che il film si concentrerà su un nuovo, ancora più sfarzoso, matrimonio.

La Playtone di Gary Goetzman, Tom Hanks e Rita Wilson si occuperà ancora una volta della produzione con Paul Brooks, Scott Niemeyer e Steven Shareshian che cureranno la produzione esecutiva insieme alla Vardalos.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2: il primo trailer

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Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2: il primo trailer

Guarda il primo trailer de Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2, sequel della fortunata commedia del 2002. Nel film tornano i protagonisti Nia Vardalos e John Corbett.

Nia Vardalos, che ha anche scritto il film originale, tornerà nel film accanto a John Corbett per una storia che ci racconterà di Toula e Ian a più di dieci anni di distanza dal loro grosso grasso matrimonio Greco. Non ci sono ancora dettagli ufficiali per la nuova storia, ma sappiamo che il film si concentrerà su un nuovo, ancora più sfarzoso, matrimonio.

La Playtone di Gary Goetzman, Tom Hanks e Rita Wilson si occuperà ancora una volta della produzione con Paul Brooks, Scott Niemeyer e Steven Shareshian che cureranno la produzione esecutiva insieme alla Vardalos.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2: il poster ufficiale

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Pubblicato il primo poster ufficiale de Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2. L’attesissimo sequel della commedia romantica dall’incasso record è scritto da Nia Vardalos, nuovamente protagonista insieme a John Corbett. Il film inizia con Toula e Ian che faticano a trovare tempo l’uno per l’altro, e, impegnati a gestire le loro vite e a crescere una figlia adolescente, si trovano in un momento di difficoltà. Sarà un segreto della famiglia Portokalos, venuto a galla, che porterà i personaggi a tornare di nuovo insieme per un matrimonio ancora più grande e…ancora più greco.

Il film costituisce il seguito ufficiale della storia di Toula e Ian anche se la Vardalos nel 2003 ha recitato in una breve serie della CBS dal titolo La mia grossa grassa vita greca, che ha visto protagonisti la maggior parte dei personaggi originali.

Il clan Portokalos torna al completo anche per quest’occasione. Nel cast, Lainie Kazan, Michael Constantine, Andrea Martin, Ian Gomez, Alex Wolff, Elena Kampouris, John Stamos, Rita Wilson e Joey Fatone. Alla regia del film, (ancora una volta prodotto da Rita Wilson e dai soci di Playtone Tom Hanks e Gary Goetzman), Kirk Jones. Produttori esecutivi, Paul Brooks e Steven Shareshian, insieme alla Vardalos e Scott Niemeyer. La commedia uscirà nei cinema il 25 marzo 2016.

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Fonte: comingsoon.net

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 recensione del film con Nia Vardalos

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Sono passati quattordici anni da quando i cinema vennero invasi dalla commedia romantica a sfondo etnico Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco. Nella finzione invece sono trascorsi circa diciotto anni da quando Ian è riuscito a vincere i pregiudizi della famiglia Portokalos e a coronare il suo sogno d’amore con Toula. Dopo tutti questi anni la coppia è ancora solida, ma un po’ stanca, tra preoccupazioni, la giovane Paris, figlia unica pronta per il college, le incombenze quotidiane e ovviamente la famiglia, sempre affaccendata intorno a ogni suoi componente, affettuosa e invadente più che mai.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 prende le mosse proprio dal conflitto generazionale tra Toula e la figlia, che come ogni adolescente si sente soffocata non solo dai genitori, ma in questo caso da tutta la rumorosa e ingombrante famiglia greca. Quando però il vecchio Gus scoprirà un’irregolarità nei documenti del matrimonio con Maria, con cui ha vissuto per 50 anni, la famiglia si riunirà per organizzare nel minor e nella maniera più chiassosa e scatenata possibile, un altro grosso grasso matrimonio, rigorosamente greco.

Nia Vardalos torna nei panni di Toula e alla sceneggiatura di un film che si presenta da subito stanco, raffazzonato, che cerca di raccogliere in sé non solo i luoghi comuni affrontati con fresca novità nel film del 2002, ma unendoli a tutta una serie di problematiche più attuali, come l’omosessualità e il ruolo della donna nella società e nella famiglia. La leggerezza estrema del racconto, rende però questo tentativo di approfondimento solo un piccolo accenno nella baraonda di urla e parole greche per lo più inventate dai piccoli di casa.

È vero che la grande e colorita famiglia fa sempre ridere, per situazioni grottesche che calcano la mano su quello che già era stato l’aspetto vincente del primo film, virando però sulle note farsesche di una baracconata enorme, esagerata, a tratti sgradevole.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 2Bisogna trovare il tempo per se stessi e per la coppia, i figli devono essere lasciati in condizione di vivere la loro vita, costruire una famiglia e tenerla unita è una vocazione per poche donne, l’amore trionfa su tutto. I luoghi comuni, non solo legati alla cultura greca, si sprecano e la baraonda giunge presto allo scontato lieto fine, sempre però accompagnato dal un largo sorriso, forse di imbarazzo.

E che nessuno dica a nonno Gus che Alessandro Magno era Macedone, dal momento che nemmeno la Vardalos sembra ricordarlo.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 in Home Video

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Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 in Home Video

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 3L’amabile e divertente famiglia Portokalos è tornata ed è più travolgente che mai ne Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2, il tanto atteso sequel della commedia romantica campione d’incassi, disponibile in Digital HD dal 2 luglio 2016 e in Blu-ray™, DVD e Video On Demand dal 13 luglio 2016, con Universal Pictures Home Entertainment Italia. Scritto dalla candidata al premio Oscar® Nia Vardalos (Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco, Le Mie Grosse Grasse Vacanze Greche), Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 riunisce l’intero, amato clan per celebrare il più grande matrimonio greco di sempre, che Fox Tv definisce “divertente e commovente… Un grosso grasso momento fantastico!

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2, inoltre, include – in Blu-ray, DVD e Digital HD – un’isterica gag reel e contenuti inediti, tra cui una tavola rotonda con i protagonisti per scoprire cosa è successo davvero dietro le quinte del film. Toula (Nia Vardalos) e Ian (John Corbett, Parenti, amici e tanti guai) hanno cresciuto la figlia Paris (Elena Kampouris, Men, Women, and Children) nell’affetto della loro famiglia greca allargata. Ma ora la 17enne è desiderosa di crearsi una sua vita. La commovente commedia familiare, dolce come una fetta di baklava, si rivela quando un matrimonio inaspettato minaccia di sconvolgere i delicati equilibri del clan, unendolo ancora di più e, contemporaneamente, mettendo tutti l’uno contro l’altro.

L’intera formazione originale riprende i propri iconici ruoli, tra questi Nia Vardalos, John Corbett, Michael Constantine (Il Giurato), Lainie Kazan (Spiagge), Andrea Martin (Notte al museo: il segreto del faraone), Gia Carides (Austin Powers – La spia che ci provava), Joey Fatone (The Opposite of Sex – L’esatto contrario del sesso), Louis Mandylor (Codice d’onore), Bess Meisler (Una famiglia perfetta), con Elena Kampouris, John Stamos e Rita Wilson che si sono uniti al cast per la prima volta.

 

I CONTENUTI EXTRA IN BLU-RAYTM E DVD:

  • ERRORI E PAPERE – Ridi con tutta la famiglia mentre realizza il film!
  • LA MIA GROSSA GRASSA CENA GRECA – Afferra una sedia, riempi il piatto e condividi il pasto familiare con il cast de Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2! Nia Vardalos, John Corbett, Joey Fatone, Ian Gomez, Lainie Kazan e Michael Constantine prendono parte ad una tavola rotonda retrospettiva girata all’interno del celebre ristorante della famiglia Portokalos, Dancing Zorbas. In questa featurette troviamo uno sguardo approfondito sulla realizzazione del film, l’enorme successo del suo predecessore e come non sia necessario essere greci per sentirsi un membro della famiglia Portokalos!

REALIZZANDO IL GREQUEL – Uno sguardo dal di dentro alla realizzazione de Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2, con un filmato realizzato sul set e in più interviste al cast e alla troupe per scoprire cosa bisogna fare per riportare in vita un film così amato dai fan. Nia Vardalos, John Corbett e i membri del cast condividono alcuni dietro-le-quinte, mentre Elena Kampouris e il regista Kirk Jones parlano della loro esperienza al fianco del cast originale nella realizzazione del sequel del film campione d’incassi del 2002.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 ha un regista

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Il Mio Grosso Grasso Matrimonio GrecoIl sequel di Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco, annunciato all’inizio di quest’anno, ha trovato una casa di produzione e un regista. La Universal si è fatta carico del film con protagonista Nia Vardalos che questa volta sarà diretta da Kirk Jones (Tata Matilda, Cosa aspettarsi quando si aspetta).

Nia Vardalos, che ha anche scritto il film originale, tornerà nel film accanto a John Corbett per una storia che ci racconterà di Toula e Ian a più di dieci anni di distanza dal loro grosso grasso matrimonio Greco. Non ci sono ancora dettagli ufficiali per la nuova storia, ma sappiamo che il film si concentrerà su un nuovo, ancora più sfarzoso, matrimonio.

La Playtone di Gary Goetzman, Tom Hanks e Rita Wilson si occuperà ancora una volta della produzione con Paul Brooks, Scott Niemeyer e Steven Shareshian che cureranno la produzione esecutiva insieme alla Vardalos.

Fonte: CS

Il mio Godard: trama e cast del film con Louis Garrel

Il mio Godard: trama e cast del film con Louis Garrel

Grazie al film The Artist, Michel Hazanavicius si è consacrato a livello mondiale, arrivando addirittura a vincere il premio Oscar al miglior regista. Impostosi così come uno dei grandi nomi del cinema francese, egli ha poi realizzato nel 2017 un nuovo film con cui ha esplorato un nuovo aspetto della storia del cinema. Se The Artist era incentrato sul cinema muto, Il mio Godard (qui la recensione) è invece la biografia di un ben preciso momento della vita del celebre regista della nouvelle vague Jean-Luc Godard. Presentato in concorso al Festival di Cannes, il film si configura anche un’irresistibile commedia sentimentale.

La storia per questo nuovo lungometraggio nasce a partire dall’autobiografia Un an après, scritta dall’attrice Anne Wiazemsky, dove si ripercorre anche del suo rapporto lavorativo e sentimentale con Godard. Nelle sue pagine Hazanavicius ha ritrovato l’occasione non solo di portare sul grande schermo una delle icone del cinema mondiale, ma anche una riflessione sulla sua poetica, la settima arte e la sua critica. Impegno sociale e commedia si mischiano così in un film apprezzato per la sua irriverenza ma anche per la sua lucida trattazione di tematiche affatto semplici.

Con un cast di grandi star, tra cui anche diversi attori italiani, Il mio Godard si è affermato come un nuovo buon successo del regista, guadagnando anche numerosi consensi internazionali. Un film che Godard ha invece definito “stupido”, contribuendo però alla sua popolarità. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Il mio Godard: la trama del film

La storia del film si apre nella Parigi del 1967, dove Jean-Luc Godard è ormai una figura di spicco del cinema francese e della sua generazione. Ora egli è pronto a distribuire il suo nuovo film, La cinese, verso cui ha un legame speciale. Si tratta infatti di un’opera che vede come protagonista l’attrice Anne Wiazemsky, la donna che Godard ama. Nonostante i venti anni di differenza, i due decidono di sposarsi. La felicità dell’unione è però spezzata dalla cattiva accoglienza del loro film, un evento che segnerà per il regista l’inizio di una profonda crisi spirituale.

Per Godard è l’inizio di un periodo particolarmente movimentato, che si muove parallelamente agli scontri politici del maggio del 1968. Affascinato dai nuovi moti rivoluzionari, egli intraprenderà un percorso che lo porterà ad allontanarsi da tutti. La sua mancanza di diplomazia e le sue posizioni integraliste non faranno che peggiorare la situazione, a cui la moglie Anne tenterà di far fronte. Ben presto, però, i due saranno chiamati a scontrarsi, riflettendo sulla vita, l’amore, l’arte e le passioni.

Il mio Godard cast

Il mio Godard: il cast del film

Ad interpretare il ruolo dell’acclamato regista francese Jean-Luc Godard, vi è il noto attore francese Louis Garrel, celebre per film come The Dreamers, L’ufficiale e la spia e Piccole donne. L’attore, che si è dichiarato fan di Godard, ha cercato di interpretarlo mettendosi al completo servizio del personaggio, senza pretendere di ritrovare in questo qualcosa di sé. Per assomigliargli, si è ovviamente dovuto sottoporre a diverse ore di trucco. Per lui, inoltre, era particolarmente importante far trasparire tanto le spinte passionali quanto gli elementi più comici del ruolo. Accanto a lui, nei panni della giornalista e regista Michèle Rosier vi l’attrice Bérénice Bejo, moglie di Hazanavicius.

Nel ruolo di Anne Wiazemsky, invece, vi è Stacy Martin. Attrice divenuta nota grazie ai film Nymphomaniac e Vox Lux, questa ha studiato a fondo la vita della Wiazemsky, cercando a sua volta di fornirne un’interpretazione realistica. Grégory Gadebois è invece Michel Cournot, sceneggiatore e regista francese dell’epoca. Nel film sono poi presenti due attori italiani. Il primo di questi è Guido Caprino, che interpreta qui il regista premio Oscar Bernardo Bertolucci. Nella preparazione al ruolo, questi fu aiutato anche dallo stesso Garrel, che aveva avuto il suo primo ruolo proprio grazie a Bertolucci. Emmanuele Aita, invece, è il regista Marco Ferreri.

Il mio Godard: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il mio Godard è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili, Google Play, Apple iTunes e Tim Vision. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 28 maggio alle ore 21:10 sul canale Rai Movie.

Fonte: IMDb

 

 

Il mio Godard: recensione del film di Michel Hazanavicius

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Il mio Godard: recensione del film di Michel Hazanavicius

Nel 1967 Jean Luc Godard realizza La Cinese, tra i protagonisti c’è Anne Wiazemsky. I due si innamorano e si sposano. Il film non riceve un buon riscontro e Godard entra il crisi. Il ’68 e la rivoluzione non fanno che peggiorare la sua situazione personale del regista che arriva a mettere in discussione se stesso, la sua relazione e la sua arte.50 anni fa si pensava che il mondo si potesse cambiare. Con la rivoluzione socialista, essenzialmente, con le idee nuove di giovani attivisti, creativi e quant’altro. 50 anni dopo, ancora ragioniamo su cosa ci sia ancora da cambiare.

Poco più 50 anni fa Jean-Luc Godard e François Truffaut avevano dato uno scossone al cinema: sguardi in macchina, jump cut, storie d’amore complicate, mescolanza di generi, e soprattutto Godard, nei suoi primi film, aveva mostrato una preponderante affezione per il genere noir. Più di Poi Godard e Truffaut si allontanano, Godard inizia a fare del cinema militante. Inizia anche a farsi delle domande, sul suo ruolo di regista, ma anche di uomo, e dimentica di essere anche un marito.

Il mio Godard

50 anni dopo un regista francese premio Oscar, Michel Hazanavicius, realizza un film usando le formule stilistiche di Godard per raccontare un periodo storico preciso e un evento della vita di Godard.Colori saturi come quelli dei film anni ’70, parole scritte colorate che riempono lo schermo nero, ironia delle parole che è in contraddizione con quello che vediamo sullo schermo, rottura dell’illusione di realtà, il rapporto sacro e immaginario tra film e spettatore.

Il mio Godard stacy martinHazanavicius usa un genere, in questo caso un intero movimento cinematografico, la Nouvelle Vague, e realizza un film su Godard come se fosse un film di Truffaut. La storia d’amore, in cui lui ha la peggio è infatti tipica dei film del regista di Effetto notte, e è qui inserita nel racconto del Maggio Francese.

Il film di Hazanavicius è anche una commedia. Difficilmente si può definire un film biografico, anche se alcuni degli eventi raccontati (come la sospensione del Festival di Cannes nel 1968) sono veri.Quello che emerge da questo racconto è la rottura interiore del regista con l’uomo, del regista con la sua epoca e con la sua donna. Godard essenzialmente si perde, non si riconosce in un movimento, quello del ’68, in cui lui ora è il vecchio, non riesce ad amare Anne senza soffocarla, non riesce a capire che cinema vuole fare.

L’ironia è nascosta nella rappresentazione dello sfasamento di Jean-Luc Godard con questo mondo che sta cambiando, ribaltato come nei film dei Fratelli Marx, altri rivoluzionari del cinema. Nonostante tutto però la sua vita procede, come ogni giorno, come avviene sul primo sottomarino nucleare da guerra francese, da cui il film prende il titolo originale, Le Redoutable. Il film è stato presentato allo scorso Festival di Cannes, esce nelle sale in 60 copie il 31 ottobre e sarà proiettato in anteprima al Festival France Odeon che avrà luogo a Firenze dal 19 al 22 ottobre.

Il mio Domani: recensione del film di Marina Spada

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Il mio Domani: recensione del film di Marina Spada

Il mio domani, primo film italiano in concorso a Festival del Film di Roma 2011, si presenta come un lungo viaggio interiore che lo spettatore vive attraverso gli occhi di Monica (Claudia Gerini), donna manager che improvvisamente decide di allontanarsi dalla vita costruita attorno alla sua routine, mettendo in discussione lavoro e affetti famigliari. Questo ultimo lavoro di Marina Spada (Poesia che mi guardi, Metafisica delle scimmie) affronta tematiche importanti che però durante tutto la svolgimento del film vengono solamente sfiorate e mai toccate con profondità: questo è il più grande limite di questo lungometraggio.

Al termine lo spettatore è assalito da un senso di vuoto, proprio quel vuoto che la Monica tenta di spiegare ai suo colleghi nella parte iniziale della pellicola, ma che contrariamente alle sue parole non potrà mai essere riempito in questi 88 minuti. L’interpretazione di Claudia Gerini risulta essere appropriata al suo personaggio, ma ben lontana dallo spessore che richiederebbe una Monica, il cui viaggio introspettivo andrebbe intrapreso anche dall’attrice romana per dare più valore ai suoi caratteri. Il mio domani si sforza di raggiungere quindi un livello altro di consapevolezza di sè di una donna che ha perso la sua stabilità e che nei piccoli particolari va ricercando quell’equilibrio ormai svanito. Peccato che puntualmente fallisca in questa impresa.

Nonostante l’esito finale, non felicissimo, del film, Il Mio Domani si caratterizza comunque per un’ottima collaborazione artistica, Spada/Gerini, che nella complicità e nell’amicizia ha trovata anche un ritmo artistico comune che si spera possa portare un domani a risultati migliori, importantissimi per il cinema italiano.

Il mio corpo vi seppellirà: recensione del film di Giovanni la Pàrola

Dopo la commedia E se domani, Giovanni la Pàrola realizza Il mio corpo vi seppellirà e si cimenta con un western ardito e originale, ambientato nel Regno delle due Sicilie. Nel cast, Miriam Dalmazio, Maragareth Madè, Rita Abela, Antonia Truppo e Guido Caprino. 

La trama di Il mio corpo vi seppellirà

Prima dello sbarco delle truppe garibaldine, i soldati di Vittorio Emanuele II sono volti a Sud per espandere e consolidare il proprio dominio, in un territorio ancora senza legge e dove prospera il brigantaggio. Il Colonnello Romano porta avanti una personale guerra contro i briganti, che ostacolano la sua missione di riscossione delle tasse ai signorotti siciliani. Il Colonnello punta in particolare su un quartetto di donne che si fanno chiamare Drude, che lo hanno ferito in uno scontro. Sulle tracce delle Drude è anche Murat, ex soldato borbonico ricattato dal Colonnello, ora divenuto cacciatore di taglie conosciuto come “Il Macellaio”. Al centro della narrazione troviamo quindi le Drude, che non combattono solo per un tornaconto economico ma anche, e soprattutto, guidate da una grande fame di vendetta.

Una rielaborazione encomiabile del genere western

La Pàrola ci consegna una storia all’insegna delle figure femminili, le Drude, brigantesse di cui ci viene svelato il passato difficile e violento, che porterà a una vendetta efferata e sanguinolenta. “Il mio corpo vi seppellirà” indaga tasselli della storia del Sud Italia difficilmente rappresentati dal cinema e che trovano un nuovo spazio tramite la regia e la scrittura di la Pàrola.

Le Drude sono un gruppo di brigantesse datesi alla macchia, nascoste tra le grotte dell’arido paesaggio siculo. Lo spettro del passato le perseguita, le ha plasmate ed è ciò che le condurrà alla vendetta. Seguiamo parallelamente le vicende di Murat e del colonnello Romano che si andranno poi ad intrecciare con la storyline principale delle Drude.  È un western dalle sfumature pulp ma anche fumettistiche, con qualche eco tarantiniano e che si riaggancia alla tradizione di un genere che non vediamo da tanto sugli schermi italiani. Siamo testimoni di una ribellione raccontata da una prospettiva innanzitutto  individualista e che, solo in secondo luogo, assurge a simbolo di una ribellione collettiva: in questo il film di La Pàrola si  differenzia dal cinema italiano dell’epoca che raccontava la ribellione come un qualcosa di collettivo (ne è un esempio Vamos a matar companeros). 

Il mio corpo vi seppellirà coinvolge irrimediabilmente lo spettatore, con un comparto tecnico altamente esaltato, una violenza grafica volutamente esagerata (la grande sparatoria finale ne è un esempio). L’estetica mitologica che prevaleva nei film di genere italiani viene qui mitigata da un focus narrativo particolarmente brillante e originale, facendoci adottare la prospettiva di un gruppo di brigantesse, che tengono ben salde le redini della narrazione. L’Italia pre-unificazione può essere assimilata agli Stati Uniti della Guerra di Secessione e la Pàrola lo fa attraverso la rivisitazione del genere western, in cui notiamo la grande somiglianza naturale tra il contesto del selvaggio West e dell’Italia dello stesso periodo storico. 

Una direzione registica e un cast di tutto rispetto

La Pàrola riesce a confezionare un prodotto dall’identità propria, che riesce ad ergersi ad accattivante ed intrigante per lo spettatore. I difetti tecnici e il budget limitato vengono qui superati da idee vincenti e originali, dal talento del team di produzione e degli attori: una ventata d’aria fresca nel cinema italiano che ci fa auspicare a numerosi prodotti futuri su questa falsariga.

 Un’audace lavoro di costumi e scenografia, enfatizzati da una regia vibrante e un ritmo serrato, che si innesta tra azione e splatter, e un cast corale ottimamente assemblato – un quartetto tutto al femminile in versione inedita – costituiscono i punti di forza della pellicola. L’accuratezza nei dettagli della messa in scena e della fotografia d’impatto, arida e calda, rendono palpabili l’atmosfera incendiaria e carica di tensioni del paesaggio siciliano, tensione che deriva anche dall’interazione tra i personaggi, caratterizzata da battute taglienti, scontri all’ultimo sangue e minacce perpetuate. La Pàrola dimostra un’ottima padronanza del mezzo cinematografico, riuscendo a confezionare un prodotto di genere di tutto rispetto, dominato dalla veracità e dall’implacabilità d’azione (e verbale) delle protagoniste femminili. La narrazione scomposta e il montaggio inusuale di cui si serve la Pàrola a primo impatto potrebbero apparire fuorvianti, tuttavia si riesce ad intrattenere lo spettatore grazie all’alto tasso di azione, rivelazioni e scene d’impatto che la pellicola ci riserva. 

Notevole è anche il minuzioso lavoro linguistico affrontato: i dialoghi del film sono infatti in dialetto siciliano e piemontese. Ne risulta un lavoro fonetico estremamente preciso, per immergere lo spettatore non solo nelle pagine storiche dell’Italia del 1860, ma anche nella diversità linguistica italiana, che, di lì a poco, avrebbe portato a dibattiti sullo statuto della lingua italiana e su come unire la penisola anche da un punto di vista linguistico.

Il mio capolavoro, recensione del film di Gaston Duprat

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Il mio capolavoro, recensione del film di Gaston Duprat

Arturo è un gallerista rinomato di Buenos Aires. Ha attenzione soprattutto per gli autori contemporanei, ma è legato da un’indistricabile amicizia a Renzo Nervi, un artista argentino molto famoso negli anni ’80 ora pressocchè dimenticato, forse a causa del suo carattera burbero.

Il caso, le coincidenze e un colpo di genio, porteranno questa storia, e questa amicizia, a un livello differente.

Presentato in selezione ufficiale alla 75a Mostra del cinema di Venezia, Il mio capolavoro – Mi obara maestra, secondo lavoro di Gaston Duprat che arriva nelle nostre sale dopo il divertente  e premiatissimo (anche a Venezia: Coppa Volpi) El Ciudadano Ilustre, ritorna sul selciato della commedia cinica e nera, mettendo in scena l’ipocrisia dell’arte degli artisti e soprattutto di chi l’arte la guarda, senza, probabilmente, capirci nulla.

Renzo è un pittore arrivato agli 80 anni, ha vissuto e goduto la sua vita da artista a modo suo, e i suo lavori sono stati apprezzati e venduti, per tutti gli anni ’80. Era ricco, ora abita in una casa diroccata in affitto, con la possibilità di essere cacciato.

Arturo si è invece tenuto al passo con i tempi: gallerista di fiducia di Renzo, ha tenuto la mente aperta per i cambiamenti dell’arte e delle persone che comprano l’arte, senza mai perdere di vista il suo migliore amico.

Arturo ha un carattere complementare a Renzo e i due sono indivisibili. Nonostante le distanze e le differenze, per quanto si allontanino, tornano sempre insieme.

Duprat realizza un film sull’arte e sulla percezione della stessa, su come tutto questo sia volatile e suscettibile a variazioni imprevedibili che sicuramente non hanno a che fare con l’opera stessa.

Il film è pieno di arte vera: Carlos Gorrianera è il vero pittore dietro alle opere di Renzo, e Carlo Herrera è un artista argentino esistente. Il mio capolavoro, come The square, indaga l’arte, la sua illusione e il mondo che le sta intorno, ma anche l’amicizia che va oltre ogni valutazione.

Quindi il capolavoro del titolo è la vita stessa, nel suo compimento e nella sua varietà. Non è il lavoro, non è la fama, non sono i soldi, è la variabile quotidiana che ci troviamo di fronte. Si è vivi, secondo quello che sembra pensare Renzo, nel momento in cui si decide di non essere morti.

Il mio capolavoro è ambientato prevalentemente a Buenos Aires, ma ha due altre location di eccezione: Rio de Janeiro e la provincia di Jujuy terra della montagna dai 7 colori che aggiunge un elemento onirico soprattutto alla parte finale del film.

Il mio angolo di Paradiso: recensione del film

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Il mio angolo di Paradiso: recensione del film

La regista, Nicole Kassell, famosa per aver diretto il pluripremiato The Woodsman nel 2004, prima delle riprese di Il mio angolo di paradiso, aveva già le idee molto chiare sul fatto che “il film avrebbe dovuto far piangere e ridere allo stesso tempo” e tutti i personaggi sono ben caratterizzati per far sì che questo effetto contraddittorio funzioni. Sarah (Lucy Punch), l’amica d’infanzia, riesce sempre a mantenere un tono scanzonato anche davanti alla difficoltà delle situazioni, Peter (Romany Malco), il vicino di casa, dosa allegria e tristezza, mentre Renée (Rosemarie DeWitt), l’amica che soffre fin dall’inizio, è l’anima drammatica del film.

La storia de Il mio angolo di Paradiso scritta dalla sceneggiatrice Gren Wells, inizia con la presentazione di Marley Corbett (Kate Hudson), una giovane donna in carriera che vive la sua vita con il sorriso sulle labbra, spegne i cattivi pensieri con abbondanti dosi di humor ed è profondamente convinta dell’inutilità di una relazione sentimentale seria. Circondata da amici adorabili/adoranti, dal suo fedele bulldog e da uomini-oggetto, riesce ad avvicinarsi all’amore solo quando il dottor Julian Goldstein (Gael García Bernal) le diagnostica un cancro. Il medico, infatti, lungi da essere solo il messaggero di ingrate notizie, sarà proprio colui che farà vivere a Marley l’esperienza di una vera relazione.

Il mio angolo di Paradiso, il film

Nonostante l’idea non sia male, l’obiettivo della regista -far ridere e piangere contemporaneamente- è un po’ pretenzioso: battute scialbe e poco incisive sono intervallate da scene strappalacrime, ma così come le prime non hanno la forza di scatenare la risata, le seconde suscitano più noia che tristezza.

Una storia, quella d’amore pre-morte, che ricorda la trama del recente “L’amore che resta” di Gus Van Sant. Tutto ciò che però quest’ultimo risparmia allo spettatore -il piagnisteo continuo, la banalità della rappresentazione della morte al cinema- viene mostrato a profusione nel film della Kassell che, nel complesso, tocca picchi di banalità e melodramma tali da far scorrere sul viso dello spettatore lacrime di “disperazione” piuttosto che di “commozione”.

Il mio amico Tempesta: recensione del film di Christian Duguay

Il mio amico Tempesta: recensione del film di Christian Duguay

Non ridere papà, io diventerò un fantino.” – Il mio amico Tempesta Il cavallo. Sono tante le culture che hanno venerato questo animale nel corso della storia, simbolo non solo di libertà, ma anche di estrema forza. Al suo essere possente e nobile, che indubbio ne decreta la bellezza, bisogna affiancargli il merito d’essere un fedele compagno per l’uomo, tanto che il loro rapporto è stato perfino oggetto di analisi nel tempo.

La relazione cavallo-cavaliere è caratterizzata da una specifica connessione emotiva, nella quale mutuo rispetto e fiducia reciproca sono principi fondamentali e imprescindibili. Ecco perché nel cinema sono molti i registi che hanno attinto da questo speciale legame, traslando in linguaggio cinematografico storie intime, volte a dimostrare quanto l’unione fra uomo e animale possa essere potente esattamente come quella fra simili. Ed è di questo che Christian Duguay vuole parlare nel suo nuovo film Il mio amico Tempesta: di un amore senza tempo, che ha la sensibilità giusta per dialogare con tutti e scavare in profondità, arrivando dritto al cuore. La pellicola è tratta da un romanzo per ragazzi che si intitola Tempete au haras di Christophe Donner, e sarà nelle sale cinematografiche dal 14 settembre, distribuito da Eagle Pictures.

Il mio amico Tempesta, la trama

Quanto può essere magico nascere insieme ad un puledro? Domanda forse strana, ma se immaginata in un contesto in cui vivere a stretto contatto con la natura è all’ordine del giorno, allora non lo è più. Questo è quello che succede a Zoé, la cui madre Marie (Mélanie Laurent), veterinaria della sua stessa scuderia, partorisce nell’esatto momento in cui sta assistendo Bella Intrigante, una cavalla da corsa, in un parto difficoltoso. È quell’attimo, quella connessione, che alimenta la passione di Zoé per i cavalli, qualcosa che ha dentro dalla nascita, si potrebbe dire, e che non può smettere di crescere, soprattutto quando crea con Tempesta, nuova figlia di Bella Intrigante, un binomio straordinario.

Una notte, però, a causa di un forte temporale che si abbatte su tutta la scuderia, i cavalli si imbizzarriscono e nel tentativo di metterli al sicuro, Zoé si ritrova sbattuta a terra da Bella Intrigante e poi schiacciata da Tempesta. Rimasta disabile, la bambina è costretta ad affrontare un lungo percorso di riabilitazione, che la allontana lentamente dal mondo equestre. Fino a quando il Grand Prix d’Amerique non la chiama a rapporto: Tempesta è l’ultima speranza: se non vince lei, il ranch di famiglia potrebbero chiudere. Ma la cavalla si fa montare solo in un certo modo e forse il destino vuole che sia proprio Zoé, che nel frattempo ha trovato una soluzione per salire ancora in sella, a farlo…

Sulla scia di un cult

Che a Duguay interessasse l’amicizia fra un uomo e il proprio compagno a quattro zampe, e la lealtà reciproca costruita secondo le leggi del cuore, è in realtà chiaro da diversi anni. Non è la prima volta che il regista affronta l’argomento, e soprattutto che esplora il mondo equestre, principalmente delle corse: basti pensare a Jappeloup, uscito dieci anni fa. Ma senza andare troppo indietro, uno degli esempi più recenti è Belle & Sebastien – L’avventura continua. Il focus rimane in ogni caso un animale, il suo mondo, la sua devozione. E quanto essi fungano molto spesso da terapia, da anti-stress, diventando una piccola oasi di felicità grazie alla quale si fatica meno ad affrontare la quotidianità.

Per Il mio amico Tempesta, Duguay sembra però voler seguire le tracce di un film specifico: L’uomo che sussurrava ai cavalli, diretto e interpretato da Robert Redford. Un racconto, dunque, di vera passione, seppur all’inizio fatichi a ingranare la marcia. I primi trenta minuti sembrano infatti non avere il carburante necessario per lanciare la storia. Nel seguire le diverse fasi di Zoé, il regista in un primo momento affatica la narrazione, allungandola un po’ troppo, tanto da spostare eccessivamente in avanti l’incidente scatenante (che ricordiamo non dovrebbe superare la ventina di minuti massimo). Dopo un primo atto che va abbastanza a rilento, di cui si poteva sicuramente tagliare qualche scena superflua, il film si scioglie e inizia ad acquistare movimento e ritmo. Seguiamo Zoé nella sua crescita, la vediamo prendere confidenza con la scuderia, approcciarsi a cavalli di razze diverse e poi legarsi ad uno in particolare, la sua Tempesta. Tempesta di nome e di fatto, che le regalerà i ricordi più belli della sua adolescenza.

Vivere delle proprie passioni

È dunque dal secondo atto in poi che Il mio amico Tempesta si concretizza, lavorando su alcune tematiche dalla grande forza emotiva, operando su sequenze sì dalla lacrima facile, ma che non scadono mai nel lezioso o nel posticcio. Duguay indugia spesso sulla sua protagonista, una Charlie Paulet mai fuori luogo e sempre misurata nel restituire il dolore di una bambina che vede infrangersi il proprio sogno davanti agli occhi. Fissando la macchina da presa su di lei, il regista ne intercetta ogni passaggio, decisione e sguardo, che la portano ad una chiara consapevolezza di sé e del suo animale. Insieme a Zoé corriamo. Lei, gradualmente, corre: incontro alla vita, a cavallo, verso il suo sogno che, dopo tanti sacrifici, vede alla fine farsi realtà. Tutti gli step vengono superati, Duguay non vuole lasciare niente al caso e non dà niente per scontato.

Perché è solo in questo modo che può rendere vero il legame con la sua Tempesta, la quale la porterà alla vittoria del Grand Prix d’Amerique. Ed è così, attraverso una particolare storia di formazione, che Il mio amico Tempesta parla di disabilità, di ippoterapia, di resilienza, di paure che si superano con la forza delle proprie passioni. Perché quando si ama qualcosa e la si ama con anima, corpo e cuore, la fatica non la si percepisce. E neanche l’invalidità. Come Zoé, che pur non muovendo le gambe riesce comunque a montare il suo cavallo perché mossa da sentimenti di fiducia verso se stessa in primis e poi verso l’animale. Pur con qualche difetto iniziale, e nonostante non si faccia riconoscere per l’originalità del racconto, Christian Duguay ci dona un film delicato, dolce nella sua messa in scena, toccante. Profondo. Che si fa guardare nonostante le sue prevedibili progressioni e non chiede tanto, se non quello di ricordarci quanto sia importante non lasciarsi abbattere dalle difficoltà che si incontrano lungo il cammino. E quanto sia fondamentale l’empatia con un animale. Qualsiasi esso sia.

Il mio amico robot: una clip del film

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Il mio amico robot: una clip del film

Ecco una clip da Il mio amico robot, il nuovo film d’animazione di Pablo Berger (Blancanieves e Abracadabra) al cinema dal 4 aprile con I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection. Il nuovo capolavoro animato dell’acclamato regista spagnolo Pablo Berger è un gioiello già celebrato all’ultimo Festival di Cannes, premiato ad Annecy e ora candidato al Premio Oscar® come Miglior film d’animazione.

https://www.youtube.com/watch?v=ylNDl4TF28A

Leggi la recensione di Il mio amico robot

Il mio amico robot è scritto e diretto da Berger qui al suo esordio nel cinema di animazione in 2D e si ispira alla omonima graphic novel di Sara Varon che racconta la favola moderna di DOG e ROBOT, una storia sull’importanza dell’amicizia e sulla sua fragilità.

Dopo l’avventura del pluripremiato Blancanieves e del sorprendenteAbracadabra, Il mio amico robot rappresenta una nuova sfida per Berger che afferma: Con Il mio amico robot volevo tornare all’essenza pura del cinema. Ma questa volta da un’altra angolazione, quella dell’animazione, ovvero una forma di rappresentazione e narrazione senza limiti. In quanto regista, scrivere storie senza dialoghi è sia una grande sfida che un enorme piacere.

Ad affiancare Berger nella realizzazione del mondo di Il mio amico robot, una squadra di 20 artisti diretti dal noto fumettista e illustratore José Luis Ágreda, mentre il processo di animazione è affidato al talentuoso artista e direttore dell’animazione Benoît Feroumont. Per le musiche il regista si è affidato nuovamente ad Alfonso de Vilallonga (già compositore per Blancanieves e Abracadabra), che ha ricreato melodie al piano delicate, ritmi jazz e suoni urbani molto newyorchesi, una giungla sonora unica nel suo genere per dare vita a un racconto emozionante e coinvolgente.

Il mio amico robot sarà nei cinema dal 4 aprile distribuito da I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.

Il mio amico robot, la trama

DOG vive a Manhattan e, stanco di stare sempre solo, si costruisce un robot. Sulle note degli Earth, Wind and Fire e della travolgente musica newyorkese degli anni Ottanta, la loro amicizia sboccia e si fa sempre più profonda. Finché una sera d’estate DOG si trova costretto ad abbandonare ROBOT sulla spiaggia. Riusciranno i due amici a ritrovarsi? Dal pluripremiato Pablo Berger (Blancanieves), qui al suo esordio nel cinema di animazione, una storia sull’importanza dell’amicizia e sulla sua fragilità celebrata a Cannes, premiata ad Annecy e candidata all’Oscar® come Miglior film d’animazione.

Il mio amico robot: recensione del film d’animazione di Pablo Berger

Nell’interessantissima – seppur limitata – filmografia del regista di Bilbao Pablo Berger, che comprende film come Torremolinos 73, Blancanieves e Abracadabra, emerge il desiderio di catapultarsi in mondi antichi, peculiari, o semplicemente lontani dalla realtà in cui ci muoviamo. Tuttavia, prima de Il mio amico robot, il cineasta spagnolo non si era mai spinto così in là nel tentativo di inventare un intero universo da zero e con una formula che non aveva ancora padroneggiato (animazione), eppure, non è finita qui: la vera sorpresa è che, riprendendo lo schema di Blancanieves, anche Il mio amico robot è un film muto!

Candidato agli Oscar 2024 nella categoria del miglior film d’animazione, Il mio amico robot si svela presto, in realtà, come un film pieno di parole, semplicemente scritte in maniera inedita: queste si aggrovigliano infatti nelle linee eleganti, precise e chiare che delimitano i personaggi e che si nascondono negli sfondi di paesaggi perfettamente riconoscibili. Berger decide di lavorare solo con le immagini, dando l’impressione di lasciare più spazio al pubblico per completare ciò che vede.

Il mio amico robot, la trama: morfologia alleniana

La New York degli anni ’80 in cui è ambientato Il mio amico robot è una città abitata da animali antropomorfi un po’ annoiati, dato che l’isolamento urbano non apre la strada a nessuna possibile amicizia. Tra questi c’è Dog, un cane solitario che, per porre fine alla sua solitudine, decide di costruirsi un amico robot, dal quale diventa presto inseparabile. Insieme, li vediamo fare una passeggiata con un sacchetto di Naranjito, la mascotte della Coppa del Mondo 82, e raggiungere Coney Island. Sulla spiaggia, il robot si incastra nella sabbia e non riesce a liberarsi: fa diversi tentativi, ma arriva l’autunno e il parco chiude fino a giugno. Il robot bloccato nella sabbia sogna mondi possibili, storie di felicità, mentre il cane cerca nuovi amici e aspetta che qualcosa finisca: il tempo passa e il rapporto si trasforma. Arriva l’inverno, arriva la neve e il robot rischia di diventare un semplice rottame; così, sulla falsariga di “Soul” della Pixar, Il mio amico robot sfrutta l’animazione come veicolo per riflettere su tematiche come l’amicizia e la solitudine.

Il mio amico robot (2024)
Dog e il suo amico robot in una scena de Il mio amico robot (Fonte: The Movie Database)

Mano nella mano alla scoperta del mondo

Pablo Berger è un regista che non si accontenta di girare in modo convenzionale, ma vuole giocare o sperimentare con altre possibili forme dell’immagine. Se con Blancanieves ha indagato il cinema muto, in Il mio amico Robot, adattamento di un fumetto di Sara Vanon, realizza un doppio omaggio. Da un lato, scrive una lettera d’amore per la New York che Berger ha vissuto in gioventù, dall’altro, si rifà al meglio dell’animazione contemporanea: il film non è infatti così lontano da Il mio vicino Totoro dello Studio Ghibli e l’uso dell’animazione senza dialoghi ricorda La tartaruga rossa di Michaël Dudok de Witt, ma ci sono anche echi di Ernest e Célestine di Stéphane Aubier.

Se è vero che, in modo obliquo, Il mio amico Robot parla della morte – o della separazione forzata tra due persone che si amano – Pablo Berger non cede alla creazione di un mondo sotterraneo pieno di anime perdute. La prima cosa da fare, naturalmente, è costruire un rapporto credibile, prezioso nella sua delicata empatia, in cui due solitudini – quella di un cane solo e senza legami e quella del suo animale domestico, un robot con un cuore da vendere – scoprono di essere fatte per condividersi. In secondo luogo, il cineasta non ha bisogno di altro che di un recinto invalicabile per definire l’impotenza della perdita di una persona cara. Da un lato della recinzione, il cane è pura azione, idea dopo idea per attraversare il confine; dall’altro, il robot, immobile e arrugginito, può solo sognare.

(Ri)vedersi nel segno animato

Berger gioca abilmente con il suono e con una splendida colonna sonora in cui il tema September degli Earth, Wind and Fire diventa una vera e propria icona di riferimento. Il mio amico robot si configura così come una storia per bambini all’interno della quale risiedono molte altre storie possibili, in cui proprio questo gioco di strati e di sogni finisce per dare vita a un film tenero e ricco di immaginazione.

La narrazione de Il mio amico robot si apre come un libro di segni in cui gli occhi dello spettatore, anziché limitarsi alla contemplazione estatica, leggono la propria vita sullo schermo, costruendo con la loro esperienza, con le loro paure, con i loro amori dimenticati, con la loro malinconia e persino con i loro rimpianti, un autentico miracolo senza età. È un film per bambini per la scoperta di alcune perdite che verranno, ed è un film per adulti per la ricostruzione di uno spazio quasi sacro di riconoscimento, identificazione, pienezza e mistero. Non sono cani, non sono robot, siamo semplicemente noi.

Il mio amico Massimo, il trailer del film evento al cinema dal 15 al 21 dicembre

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Arriverà nelle sale dal 15 al 21 dicembredistribuito da Lucky Red, il docufilm dedicato all’indimenticabile attore e regista Massimo Troisi, Il mio amico Massimo. Diretto da Alessandro Bencivenga, con le voci narranti di Lello Arena e Cloris Bosca, il docufilm è un omaggio inusuale, leggero e a tratti ironico, in cui si racconta la vita e il percorso artistico dell’attore napoletano a quasi 70 anni dall’anniversario della nascita.

Il docufilm lega sue esibizioni cabarettistiche, teatrali e televisive, backstage, foto d’epoca, e interviste ad amici ed esponenti del mondo dello spettacolo, tra cui Carlo Verdone, Nino Frassica, Clarissa Burt, Maria Grazia Cucinotta, Ficarra e Picone e testimonianze di repertorio di Pippo Baudo e Renzo Arbore. Infine una partecipazione speciale, quella di Gerardo Ferrara, la controfigura di Troisi nel celeberrimo “Il postino”.

 « Un giorno – racconta il regista Bencivenga – guardando un film di Troisi, ho pensato: “Sarebbe bello realizzare un docufilm su Massimo. In fondo lui è stato, ed è tuttora, il mio autore, regista e attore di riferimento”. Conoscevo alcuni suoi amici, e quella che all’inizio era soltanto una fumosa idea è potuta diventare una realtà concreta. Da lì ho cominciato a fantasticare un racconto su Troisi, ma in un modo non convenzionale».

Il mio amico Massimo è prodotto da Piano B produzioni, co-prodotto da Lambda, produttori associati Spaghetti Picture e Screen Studio. È distribuito in sala da Lucky Red.

Il mio amico Massimo, evento speciale al cinema dal 15 al 21 dicembre

Arriverà nelle sale dal 15 al 21 dicembredistribuito da Lucky Red, il docufilm dedicato all’indimenticabile attore e regista Massimo Troisi, Il mio amico Massimo. Diretto da Alessandro Bencivenga, con le voci narranti di Lello Arena e Cloris Bosca, il docufilm è un omaggio inusuale, leggero e a tratti ironico, in cui si racconta la vita e il percorso artistico dell’attore napoletano a quasi 70 anni dall’anniversario della nascita.

Il docufilm lega sue esibizioni cabarettistiche, teatrali e televisive, backstage, foto d’epoca, e interviste ad amici ed esponenti del mondo dello spettacolo, tra cui Carlo Verdone, Nino Frassica, Clarissa Burt, Maria Grazia Cucinotta, Ficarra e Picone e testimonianze di repertorio di Pippo Baudo e Renzo Arbore. Infine una partecipazione speciale, quella di Gerardo Ferrara, la controfigura di Troisi nel celeberrimo “Il postino”.

 « Un giorno – racconta il regista Bencivenga – guardando un film di Troisi, ho pensato: “Sarebbe bello realizzare un docufilm su Massimo. In fondo lui è stato, ed è tuttora, il mio autore, regista e attore di riferimento”. Conoscevo alcuni suoi amici, e quella che all’inizio era soltanto una fumosa idea è potuta diventare una realtà concreta. Da lì ho cominciato a fantasticare un racconto su Troisi, ma in un modo non convenzionale».

Il mio amico Massimo è prodotto da Piano B produzioni, co-prodotto da Lambda, produttori associati Spaghetti Picture e Screen Studio. È distribuito in sala da Lucky Red.

Il mio amico in fondo al mare, recensione del docu-film di Craig Foster

Il documentario Il mio amico in fondo al mare, titolo originale My Octopus Teacher, con la regia di Pippa Ehrlich e James Reed, disponibile su Netflix dal 7 settembre 2020, racconta la storia tra il regista Craig Foster e il suo amico polpo. Il film ha ottenuto una candidatura ai Premi Oscar, una candidatura ai BAFTA, una candidatura ai Directors Guild e una candidatura ai Producers Guild.

Il mio amico in fondo al mare: la trama

Il mio amico in fondo al mare parte dalla decisione di Craig Foster di ritirarsi nella sua casa in Sud Africa, dopo un periodo di forte pressione psicologica, che lo ha lasciato a terra. Foster si propone di combattere l’incalzante depressione con una passione coltivata da sempre: le immersioni in apnea. Il lasciarsi travolgere dalle bellezze recondite dell’oceano sarà l’occasione giusta per un evento da incorniciare: l’incontro con un semplice esemplare di polpo femmina cambierà infatti la vita del documentarista, suggellando un rapporto d’amicizia commovente e assolutamente autentico.

Un viaggio alla scoperta della parte più intima del nostro Io

Il mio amico in fondo al mare è un viaggio di riscoperta di sé stessi, di riconnessione con la parte più profonda del nostro Io; un iter di immersione e riemersione dalle acque ma anche dai turbamenti interiori di Foster, immerso in un contatto d’amicizia autentico con il polpo. La storia raccontataci non si limita all’impianto da documentario, che rimane piuttosto una cornice, ma pone il focus su un evento fortuito che entrerà a far parte in maniera preponderante e prepotentemente nella vita di Foster. Ogni piccola scoperta sulle abitudini di vita del polpo generano in Foster stupore e ammirazione, per quanta forza e intelligenza possano risiedere nel nuovo conoscente marino. Foster e l’animale si lasciano amare e coinvolgono lo spettatore in un viaggio interiore piuttosto emozionante.

Riprese magistrali di scorci marini e fondali cristallini sono lo sfondo di questa storia mirabolante, cosi incredibile nella purezza con cui dipinge il rapporto tra un essere umano e un esemplare marino. È la voce di Foster a guidarci durante il docu-film, voce del suo Io particolare ma che assurge a voce universale; immersione non solo fisicamente nel mondo marino per ripotarci le sue parvenze più naturalistiche, ma anche viaggio alla scoperta di sentimenti profondi, animi puri, di cosa si cela internamente, di tutto ciò che in superficie non sarebbe mai emerso.

“Molte persone dicono che un polpo è come un alieno. Ma la cosa strana è che, man mano che ti avvicini a loro, ti rendi conto che sei molto simile a lui, in molti modi. Stai entrando in questo mondo completamente diverso, una sensazione così incredibile, e ti senti come se fossi a un passo da qualcosa di straordinario”: dice Foster relativamente all’animale da lui incontrato. Giochi di luce, riprese mozzafiato, le sonorità marine: sono tutti elementi che incantano lo spettatore di Il mio amico in fondo al mare, che rimane estasiato di fronte alla consapevolezza di quanto la natura può regalarci.

Il mio amico in fondo al mareIl racconto parte da una dimensione fiabesca, suggerendoci che “Tutto è cominciato un giorno di tanto tempo fa”, trascinandoci in una dimensione altra, che scopriremo essere in realtà più vicina a noi di quanto ci saremmo mai aspettati. Il legame tra l’uomo e il cefalopode cresce di giorno in giorno davanti agli occhi increduli e incantati dello spettatore, che fa silenziosamente un passo indietro per poter ammirare la magnificenza della natura e dei regali che può donarci.

Il mio amico in fondo al mare: la realizzazione

Il mio amico in fondo al mare, ha richiesto dieci anni per essere realizzato. Con temperature dell’acqua fino a 7 gradi Celsius, Foster si è immerso ogni giorno per un anno intero, senza muta o attrezzatura, nel gelido oceano Atlantico. Le riprese subacquee hanno richiesto 3.000 ore di riprese e filmati, direttamente girate sulla costa False Bay, nella foresta di Kelp in Sud Africa. Dopo la realizzazione del film Craig Foster ha fondato Sea Change Project, una comunità di scienziati, narratori, giornalisti e registi dediti alla preservazione delle ricchezze marine. “Raccontiamo storie che connettono le persone alla nostra casa sottomarina – The Great African Seaforest. Il nostro lavoro sta motivando scienziati, responsabili politici e individui a impegnarsi in modo significativo per la natura e proteggere i nostri oceani”.

Il mio amico in fondo al mare ci dà la possibilità di ristabilire un contatto con la natura e con noi stessi, attraverso i movimenti morbidi e sinuosi della macchina da presa, i paesaggi subacquei dai colori mesmerici e abitati da creature meravigliose. Un’atmosfera calma e serena fa da padrona all’intera visione: un film sospeso in una bolla atemporale, dove lo spettatore, così come il protagonista, può rifuggire dal caos della vita abitudinaria. In fondo al mare potremmo essere capaci di immergerci in sfide all’apparenza insensate o invincibili, che però ci offrono la possibilità di ritrovare l’armonia e la serenità perse da tempo. Il messaggio fondamentale di Il mio amico in fondo al mare è che ogni essere umano deve necessariamente fare un passo indietro rispetto alla maestosità della natura, di fronte alla quale l’uomo capisce di non essere poi così intelligente quanto crede. Ogni angolo della natura può insegnarci qualcosa e noi, in quanto non solo ospiti, ma parte integrante del nostro pianeta, dovremmo darle il rispetto che merita, come il titolo originale “My octopus teacher”, mette in evidenza.

Il Ministro: conferenza stampa della commedia con Gianmarco Tognazzi

Giorgio Amato, regista e sceneggiatore, presenta insieme agli attori Gianmarco Tognazzi, Alessia Barela, Ira Fronten ed Edoardo Pesce il suo terzo lungometraggio indipendente, Il Ministro, una commedia cinica e disincantata – dal ritmo indiavolato – che si rifà alla tradizione tipicamente italiana, riaggiornandola e inserendosi di diritto nel solco di quella new wave che sembra “sommergere” il cinema italiano di questi ultimi 18 mesi.

Il film uscirà il prossimo 5 Maggio e sarà distribuito nelle sale italiane da Europictures, giovane casa di distribuzione indipendente che ha accettato il rischio con venti copie che verranno proiettate in tutta Italia, in circuiti selezionati.

il-ministro1Confessa il regista Amato alla stampa che l’ispirazione per Il Ministro è nata da una vera e propria “folgorazione” sorta dopo l’ascolto di un brano di Fabrizio De Andrè: la ballata medievale narrava la disperazione di un marchese il quale, pur di non rinunciare al suo titolo nobiliare, decise di assecondare un capriccio del Re concedendogli la propria moglie; da questo spunto di riflessione, Amato giunse presto alla deduzione che, nonostante i mutati tempi, la situazione non fosse cambiata poi molto. La corruzione è la cornice nella quale si insinuano le vicende narrate, e i protagonisti non possono far altro che restare “supini” nei confronti del potere: in fin dei conti, nonostante l’indignazione generale, chi di noi non approfitterebbe dei favori di un amico potente, qualora ne avesse uno? Un altro spunto gli è “giunto” da alcune esperienze personali, vissute in prima persona o semplicemente osservate da distanza (di sicurezza); da queste suggestioni iniziali non è stato poi così difficile ricavare una sceneggiatura dall’impianto teatrale (dotata di una ferrea integrità spazio/ temporale aristotelica) realizzata in soli dieci giorni. Tra i vari modelli di riferimento, il regista non ha mancato di citare un classico della nostra Commedia all’italiana: I Mostri di Dino Risi (al quale poi è seguito I Nuovi Mostri) e soprattutto quel primo episodio che vedeva protagonista Ugo Tognazzi alle prese con “l’educazione sentimentale” del figlioletto. Nel suo progetto inziale c’era l’intento di delineare il personaggio di Franco Lucci (il protagonista e motore dell’azione nei cui panni si cala Tognazzi) come quel bambino ormai cresciuto, divenuto un campione di (dis)educazione civica.

La prima scelta casting era ricaduta, appunto, proprio su Tognazzi: ma l’attore, impegnato su un altro set, aveva dovuto declinare la proposta. “Grazie” ad alcuni ritardi della produzione – che fecero slittare gli inizi delle riprese di ben quattro mesi – e gli impegni dell’attore scelto per rimpiazzare Tognazzi stesso, permisero alla fine di ri-accoglierlo nella “scuderia” insieme ad Alessia Barela, subentrata nel frattempo ad un’altra prima scelta. Edoardo Pesce, invece, racconta di come sia stata la prima – ed unica – scelta per il personaggio di Michele (cognato di Franco) anche se al provino per lo stesso ruolo si era presentato anche Fortunato Cerlino, tra i protagonisti di Gomorra- La serie, e poi scelto nei panni del ministro Rolando. Invece il personaggio di Jun Ichikawa, una ballerina di burlesque che si “improvvisa” escort per una notte, non era stato pensato inizialmente per un’attrice orientale: è stata Ira Fronten, qui nei panni della domestica Esmeralda, a suggerire tale spunto ad Amato. Una domanda riguarda proprio il debito del regista nei confronti di questa New Wave che sembra investire il nostro cinema degli ultimi 18 mesi: ottimi prodotti, diversi tra loro, dalla qualità alta (già in fase di scrittura). Amato conferma che sì, come ogni persona anche lui è una “spugna” pronta ad assorbire i riferimenti che provengono dal mondo esterno; molti stimoli provenivano dai film con i quali era cresciuto, e la loro volontà è stata fin da subito quella di tenere in bilico due registri per l’intero arco del film: passando dal grottesco ad uno più leggero, gli attori stessi cercavano di arricchire i loro personaggi con sfumature diverse. Non a caso, Il Ministro vive e si nutre della forza dei suoi interpreti, più che della maestria tecnica del regista: per via del budget bassissimo, Amato era costretto a girare dalle sette alle nove pagine di sceneggiatura al giorno, per abbattere i costi e ridurre i tempi, affidandosi in buona parte all’esperienza e alla maestria degli attori. Molto del girato è stato anche tagliato nella fase finale di post- produzione, ovviamente sempre per esigenze tecnico- pratiche. Giorgio Amato è un regista abituato a girare con budget esigui, come già accaduto con le sue opere precedenti (Circuito Chiuso, The Stalker), in un paese come l’Italia dove girare un film indipendente è difficile e rappresenta una vera sfida: nonostante il riconoscimento, da parte del Ministero, del film (che ha investito anche un piccolo contributo), il vero ostacolo è stato trovare una casa di distribuzione disposta a rischiare, qui dove di solito non si ha nemmeno una risposta via mail, figuriamoci un sì.

Un’altra domanda, rivolta ancora ad Amato, si è concentrata soprattutto sulle qualità di scrittura: la tensione latente che costeggia ogni inquadratura del film nasce fin dalla stesura della sceneggiatura, per poi rendere più “semplice” la sintassi registica; la domanda che si rivolge ogni volta è “quanto ogni scena è in grado di far salire la tensione?” In base alla risposta valuta se tenerla o tagliarla. Una certa curiosità desta il taglio maschilista (nella prima parte) e successivamente femminista che sembra assumere l’occhio della macchina da presa nel rappresentare le situazioni vissute dai sei personaggi: in realtà l’attenzione non è tanto rivolta ad una differenza di gender, quanto ad un assunto fondamentale, legato alla visione dell’uomo – da sempre convinto di detenere il potere – mentre invece è la donna a prendere le decisioni. Molti uomini potenti – afferma Amato – sono caduti in disgrazia per via delle donne, che riescono a raggirarli. L’amore è per pochi eletti, piuttosto nella società si tratta di una danza intorno al potere”. È Tognazzi a prendere la parola per ultimo, riconfermando che in realtà la pellicola non porta in scena un conflitto tra i sessi, ma un conflitto più amaro e radicato tra sei pessimi individui. Sei individui interessati solo al potere, ai vantaggi sociali e al lusso. I personaggi sono dei “nuovi mostri”, meschini, una carrellata di personaggi disdicevoli sui quali satireggiare. Secondo la Barela, calarsi nei panni di personaggi del genere è liberatorio per un attore: nonostante le paure di essere identificati con tali campioni di meschinità, con il conseguente rischio che il pubblico possa “incasellarli” di conseguenza: loro- in quanto gruppo di lavoro – non si sono posti questi problemi legati alla meschinità dei personaggi che si apprestavano ad interpretare, venendo quindi scelti a discapito di attori che si sono posti decisamente più problemi. Edoardo Pesce confessa, alla fine della conferenza, che il sentimento che prova nei confronti di Franco, Michele, Rita, Esmeralda e co. è un senso di tenerezza verso degli esseri umani che tentano di restare a galla in un sistema cinico ed aggressivo dove, chi non gioca con le regole giuste, rimane ai margini ritagliandosi il ruolo della vittima.

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