Michela Andreozzi,
alla sua seconda regia dopo Nove lune e mezza,
continua a raccontare il femminile con l’ironia e il divertimento
della commedia uniti alla riflessione su temi spesso non facili da
trattare, come la maternità surrogata nel precedente lavoro e ora,
con Brave
ragazze, la condizione di subalternità della donna
nella società, fino alla violenza sulle donne, purtroppo di grande
attualità.
Tutto finisce, prima o poi, ma la
sfiga finisce solo se le dai una mano. Animate da questo motto,
quattro amiche disperate decidono di non aspettare più che qualcuno
offra loro un’opportunità e danno una svolta alle loro vite,
organizzando una rapina in banca travestite da uomini. Siamo a
Gaeta, anni ’80. Anna (Ambra
Angiolini) è una donna sola con due figli, può contare
solo sull’aiuto di sua madre (Stefania Sandrelli)
e si ritrova senza lavoro. Maria (Serena
Rossi) è devota alla Madonna, succube della famiglia,
che vuole da lei un bambino che non arriva, e di Peppe
(Massimiliano Vado), marito rozzo e violento.
Chicca (Ilenia
Pastorelli) è uno spirito ribelle alla ricerca di sé,
mentre Caterina (Silvia D’Amico), sua sorella, è
seria e responsabile e vorrebbe solo potersi permettere
l’università, ma anche lei viene licenziata. La rapina con
travestimento balza agli occhi di tutte come la soluzione ai loro
problemi. È la prima di una serie, su cui è chiamato ad indagare
l’ispettore Morandi (Luca
Argentero).
Il soggetto del film, opera della
stessa Andreozzi con Alberto Manni e
Fiorenza Tessari, è ispirato ad una storia vera,
quella di quattro rapinatrici improvvisate, le Amazzoni, così
furono chiamate, che nella provincia francese degli anni ’80,
private del sussidio di disoccupazione con cui vivevano, misero a
segno una mezza dozzina di fortunate rapine prima di cadere vittime
di un banale errore. Le Amazzoni riscossero il favore dell’opinione
pubblica proprio perché erano quattro donne disperate che, come si
vede nel film, non usarono i proventi delle rapine per arricchirsi,
ma per pagare spese quotidiane come l’affitto, gli studi, per
sostituire una lavatrice rotta.
La regista – e sceneggiatrice
con Manni – rielabora la vicenda filtrandola attraverso il
suo peculiare punto di vista, ambientandola in Italia, così da
poterla innestare sui propri ricordi di giovinezza a Gaeta – ben
riuscita la ricostruzione d’epoca – e dando spessore al personaggio
di Maria con uno sviluppo del tutto estraneo alla vicenda
originaria, che le consente di trattare di violenza sulle donne ben
coniugando leggerezza e profondità.
In questo quartetto affiatato, che
fa perno sulle diversità e sull’unione, è proprio la storia di
Maria la più coinvolgente e toccante, grazie alla sentita
interpretazione di Serena Rossi, che dimostra
ancora una volta talento e capacità di cambiare registri con
disinvoltura. Anche il percorso di Chicca, sfrontata ma a tratti
ingenua, che prende corpo grazie a Ilenia
Pastorelli, e la sua ricerca d’identità sono interessanti.
Mentre più convenzionali appaiono le altre due storie.
Il film vive però della bravura e
dell’affiatamento delle quattro attrici, che riescono a dare ognuna
il suo accento al film. Pure la componente maschile del cast offre
caratterizzazioni valide, dal temibile e violento Peppe di
Massimiliano Vado allo spassosissimo parroco Don
Backy di Max Tortora, fino alla rassicurante
positività dell’ispettore Morandi di
Luca Argentero.
La caratteristica peculiare del
lavoro ne rappresenta però in parte il limite: la regista scrive di
donne, per le donne e non può non parteggiare smaccatamente per
loro. Da un lato ciò è inevitabile per un film che vuole essere un
inno al potere dirompente della sorellanza, alla capacità di
reagire, al coraggio di prendere in mano le redini della propria
vita, alla voglia di non farsi schiacciare in una subalternità che
purtroppo pesa oggi non meno di allora, sembra dirci la
regista.
Dall’altro, per suffragare il
proprio punto di vista, la regista forza un po’ la mano: le quattro
sono indiscutibilmente brave ragazze, anche la meno ortodossa
nasconde un animo dolce e gentile, a tutte capitano una serie di
sventure che sembrano portarle quasi inevitabilmente alla decisione
estrema della rapina, a vestire i panni di moderne Robin Hood che
rubano ai ricchi – le banche – per dare a sé stesse, povere. Per
quanto sbagliato, alla fine è difficile non stare dalla parte di
queste Brave Ragazze. Gli uomini, invece, salvo
due eccezioni, vessano, sminuiscono, approfittano, quando non hanno
comportamenti abominevoli.
Se questo schematismo non pesa
troppo, e si finisce appunto per parteggiare per questa banda
scombinata, è merito, oltre che del cast, del ritmo vivace del
film, della comicità di situazione, dei travestimenti e anche
dell’evoluzione di cui va dato atto alla regista, che le consente
di passare dalla commedia pura all’action/poliziesco e di esplorare
anche risvolti drammatici e amari della storia, riuscendo a gestire
questo mix sperimentale in modo abbastanza fluido.
Guarda il trailer