Arriva da Deadline la conferma che la due volte candidata ai Primetime Emmy Rhea Seehorn è entrata a far parte del cast di Bad Boys 4. Adil El Arbi e Bilall Fallah tornano alla regia da una sceneggiatura di Chris Bremner, con il cast del terzo capitolo, Bad Boys for Life, che torna a bordo: prima di tutto Will Smith e Martin Lawrence e poi anche Paola Núnez, Vanessa Hudgens e Alexander Ludwig. Eric Dane potrebbe interpretare il villain del nuovo film.
Jerry Bruckheimer, Will Smithe Doug Belgrad sono tornati alla produzione; con Martin Lawrence, James Lassiter, Chad Oman, Mike Stenson, Barry Waldman e Jon Mone che si occuperanno della produzione esecutiva.
Seehorn ha recitato in 61 episodi di Better Call Saul nei panni dell’avvocato Kim Wexler e della fidanzata di Jimmy McGill/Saul Goodman, un ruolo che l’anno scorso ha ottenuto una nomination ai Primetime Emmy come attrice non protagonista. Ha anche ricevuto una nomination ai Primetime Emmy nel 2022 come miglior attrice in una commedia o serie drammatica di breve durata per Cooper’s Bar. Altri crediti televisivi includono Whitney e Veep e il film Linoleum con Jim Gaffigan.
Da oggi, solo al cinema, arriva Renfield, il nuovo film con Nicolas Cage, nei panni di Dracula, e Nicholas Hoult, in quelli del suo servo fidato, in cui si immagina un’altra storia per il personaggio del titolo, nato dalla penna di Bram Stoker.
Il male non sarebbe eterno senza un piccolo aiuto. In questa mostruosa avventura moderna del fedele servitore di Dracula, il candidato all’Emmy Nicholas Hoult (Mad Max: Fury Road, la saga di X-Men) interpreta Renfield, il tormentato aiutante del boss più narcisista della storia, Dracula (il premio Oscar® Nicolas Cage). Renfield è costretto a procurare le vittime del suo padrone ed a eseguire ogni suo ordine, per quanto spregevole. Ma ora, dopo secoli di servitù, Renfield è pronto a scoprire se c’è una vita al di fuori dell’ombra del Principe delle Tenebre. Se solo riuscisse a capire come porre fine alla sua codipendenza.
Renfield è diretto dal vincitore dell’Emmy Chris McKay (La guerra di domani, LEGO Batman – Il film) da una sceneggiatura di Ryan Ridley (la serie di Ghosted, la serie di Rick & Morty), basata su un’idea originale di Robert Kirkman, creatore di The Walking Dead e di Invincible.
Il film è interpretato dalla vincitrice del Golden Globe Awkwafina (The Farewell – Una bugia buona, Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli), dalla vincitrice dell’Emmy e candidata al premio Oscar® Shohreh Aghdashloo (Casa Saddam, La Casa di Sabbia e Nebbia), Ben Schwartz (Sonic, The Afterparty) e Adrian Martinez (I sogni segreti di Walter Mitty, Focus – Niente è come sembra).
Renfield è una produzione Skybound/Giant Wildcat, prodotto da Chris McKay, Samantha Nisenboim (co-produttrice, La guerra di domani), Bryan Furst (Daybreakers – L’ultimo vampiro), Sean Furst (Daybreakers – L’ultimo vampiro) Robert Kirkman e David Alpert (The Walking Dead). Il produttore esecutivo è Todd Lewis (manager dell’unità di produzione, Jason Bourne).
Dopo aver presentato in concorso al Festival di Cannes 2021 Parigi, tutto in una notte, Catherine Corsini torna in competizione alla Croisette con Le Retour (2023), un viaggio emotivo nel passato e nella ricerca di identità di due ragazze, Jessica e Farah che, assieme alla madre Khédidja, fanno ritorno in Corsica quindici anni dopo aver lasciato il loro paese natale. Il film si addentra nella complessità di questa esperienza di trasferimento, rivelando segreti familiari e tensioni sociali tra mondi diversi, compreso il razzismo con cui si troveranno a fare i conti.
La trama: ritorno in Corsica
Nella trama del film di Corsini in concorso a Cannes 76, Khédidja, tata di professione, è stata invitata in Corsica da una famiglia benestante per occuparsi dei loro figli piccoli in vacanza. Le sue due figlie la raggiungono per l’estate: sono Jessica (Suzy Bemba), 18 anni, studiosa e distante, e Farah (Esther Gohourou), 15 anni, che si sente poco apprezzata e vive nel caos. Il viaggio è movimentato: le ragazze sono nate in Corsica, ma non hanno alcun ricordo del luogo, a parte la consapevolezza che il padre è morto lì. Khédidja nasconde informazioni sul loro passato, cosa che Jessica e Farah non sopportano.
Nonostante ciò, almeno inizialmente, tutto sembra rispettare i requisiti del meraviglioso viaggio estivo per le sorelle che, tra giornate passate in spiaggia e nella piscina a casa dei proprietari, non si sono mai sentite così libere. Farah, un vero e proprio peperino, riesce a mettersi nei guai con un gruppetto di ragazzi bianchi “boss” della spiaggia, mentre Jessica inizia a provare sentimenti inediti per Gaia (Lomane de Dietrich), la figlia coetanea dei suoi datori di lavoro, un’adolescente ribelle.
Dell’ultimo film della Corsini se ne è parlato già prima della sua presentazione al Festival e non per le migliori ragioni: sono state avanzate denunce per le cattive condizioni di lavoro sul set, a cui si è aggiunto il ritiro dell’investimento statale da parte del Centre national du cinéma et de l’image animée perché la casa di produzione ha dimenticato di dichiarare una scena di sesso tra minori. All’indomani della prima sulla Croisette, la Corsini ha poi spiegato che nel realizzare questo film, la cui storia ha un legame particolare con il proprio passato familiare, forse l’orgoglio le ha giocato un brutto scherzo ed è stata troppo “pretenziosa”, pensando di potersi sostituire alla figura di un coordinatore dell’intimità sul set di Le Retour.
Formarsi nella terra del passato
Corsini usa il pretesto del ritorno di una madre e le due figlie al paese natale per instaurare un dialogo col pubblico su come le differenze di classe e di etnia determinino il destino di una famiglia e pone l’attenzione sulla necessità di riconciliarsi con il presente per proiettarsi in un futuro migliore. Si immerge nelle vite di questi giovani e nelle loro ricerche in tempi di crisi, esplorando come queste circostanze possano sia distruggere che dare vita alla loro creatività. La narrazione offre uno sguardo autentico e onesto sulla vita degli adolescenti in tempi di cambiamento e di scoperta, avvalendosi di un realismo documentaristico notevole.
Le idee visive non mancano a Catherine Corsini, che sa bene come entrare nella testa di due adolescenti, tuttavia, la maggior parte delle situazioni conflittuali in cui si trovano le due ragazze, quelle che effettivamente contraddistinguono i racconti di formazione e su cui sarebbe stato ottimo investire narrativamente, sono concentrate più che altro nella seconda parte della storia e rischiano di perdere credibilità. Un ammasso di problematiche, atti di ribellione che cercano di arrivare a un climax non fanno che lasciare lo spettatore ancora più confuso sulle vere intenzioni della Corsini. Probabilmente, Le Retour funziona più come opera personale, un racconto che la regista francese ha imbastito per riconciliarsi con le sue origini e una terra con cui ha sempre avuto un rapporto turbolento per sua stessa ammissione. Come storia di formazione, coming of age che dovrebbe sfruttare la presenza di queste ragazze in una terra a loro fondamentalmente estranea ma che è parte integrante delle loro radici, risulta incompleta.
Le vite di Luca (Riccardo Maria Manera) e Giulia (Jenny De Nucci) erano destinate a incrociarsi. Massimo Cappelli dirige Prima di andare via, questo dramma adolescenziale che ricorda Colpa delle stelle o Io prima di te per l’importanza dei temi trattati. I due giovani protagonisti sembrano legati da un destino inesorabile: un tumore inoperabile che ha devastato le loro vite a soli vent’anni. Ci sono diversi modi per reagire al dolore e all’interno del film la vivacità e la positività di Giulia trova l’abbraccio del tenebroso Luca, che inaspettatamente si ritrova a dover cambiare prospettiva.
Ad aiutarli, Samuel (interpretato da Emanuele Turetta) il goffo e strampalato coinquilino di Luca con cui condivide la sua vita da studente fuori sede. Entrambi i ragazzi fanno di tutto per arrivare a fine mese: Luca si arrangia con le consegne a domicilio e proprio durante una di queste consegne rivede la sua ex fidanzata storica, Sofia. Di ritorno alla pizzeria, sovrappensiero il ragazzo ha un’incidente e viene portato in ospedale. Così ha inizio Prima di andare via, il nuovo film Prime Video originale italiano con Jenny De Nucci e Riccardo Maria Manera che sarà disponibile in piattaforma dal 26 maggio.
Prima di andare via, la trama
L’incidente di Luca darà il via a una serie di eventi che riassunti in un’ora e mezza di film sembrano trattati in maniera quasi precipitosa. Al ragazzo viene diagnosticato un tumore inoperabile e fuori dall’ospedale conosce Giulia, anche lei con la stessa diagnosi. Il personaggio interpretato da Jenny De Nucci cerca di conferire positività e allegria, la vediamo mentre durante il gruppo di ascolto cerca di far imparare agli altri un balletto su TikTok ma nasconde comunque delle paure. Luca è un ragazzo che la vita, un po’, la subisce. Ha un migliore amico da tenere sotto controllo, un esame difficile da superare e un’ex ragazza che gioca con lui come il gatto col topo. Quando scopre di avere il tumore e conosce Giulia la sua vita cambia prospettiva.
Tutti i problemi che nei primi minuti sembrano insormontabili come l’affitto, gli esami universitari e l’ex ragazza sono diventano minuscoli in confronto a quello che gli sta capitando. Nel film questa spensieratezza che emana Giulia arriva dritta allo spettatore che anche se per poco smette di pensare per un attimo al dolore dietro la malattia e alla retorica della lotta contro un male incurabile. Luca e Giulia sono due ragazzi, due adulti che si stanno conoscendo. Hanno degli appuntamenti fuori dall’ordinario, e lì dove Luca vuole solo bere una birra cercando goffamente di sorprenderla, lei invece organizza cene a lume di candela super romantiche.
Un palloncino
Il racconto di Prima di andare via corre spedito verso la fine e nasconde una verità dolceamara. Si scopre presto che in realtà la diagnosi di Luca deriva da un errore medico: sono state scambiate le cartelle con un omonimo. Questo Luca non lo sa, è un segreto che solo Samuel e lo spettatore conoscono. Il coinquilino ha preferito tenere per sé questa notizia “l’ho fatto per te”, gli dirà, perché vede nell’amico un modo diverso di affrontare la vita. Solo quando la situazione di Giuliacambia e peggiora, i due conosceranno la verità. Così da complici, amici, confidenti Giulia e Luca diventano praticamente estranei. Luca cambia casa dopo aver litigato con Samuel e torna alla sua vita che, senza Giulia, perde vitalità. Il film rincorre sé stesso perché dopo poco il personaggio di Jenny De Nucci muore e senza di lei il film cambia tono.
Solo durante il funerale ci rendiamo conto dell’eredità lasciata da Giulia alle persone a lei più care. In particolare, ai membri del gruppo di ascolto che ha stimolato a reagire alla malattia piuttosto che subirla. Loro la omaggiano sulle note di Amore disperato con la coreografia che la ragazza stava preparando. Un simbolo del film è il palloncino che vola attraverso l’opera di Bansky e assume un significato di liberazione per Giulia. Luca ricorderà per sempre il palloncino e alla fine del film, dopo il funerale, quando ne vede uno volare ha consapevolezza del fatto che la presenza di Giulia vivrà per sempre nei suoi ricordi.
Tra gli eventi più affascinanti da vedere al cinema vi è senza ombra di dubbio l’Apocalisse. I film dedicati a tale catastrofe hanno sempre catturato l’attenzione del pubblico, a cui viene data l’occasione di vedere qualcosa a cui si spera di non dover mai essere diretti testimoni nella realtà. La fantascienza apocalittica è dunque un sottogenere particolarmente ricco, comprendente titoli come Meteor, 2012, The Day After Tomorrow e Segnali dal futuro. Un altro titolo particolarmente celebre e apprezzato dai fan del genere è Deep Impact, diretto nel 1998 dalla regista Mimi Leder, già autrice di The Peacemaker e The Code.
Originariamente il film doveva essere diretto dal premio Oscar Steven Spielberg, ma i suoi impegni con il film Amistad gli hanno impedito di ricoprire tale ruolo, limitandosi dunque ad essere produttore di Deep Impact. Nello stesso anno di uscita di questo film è poi stato realizzato anche un altro titolo pressocché identico nelle premesse narattive, ovvero Armageddon – Giudizio finale. Pur se quest’ultimo ottenne incassi maggiori, fu però Deep Impact ad ottenere il favore della critica, la quale lo indica come un film meno sensazionalistico e come il più scientificamente accurato tra i due.
Deep Impact rimane dunque un film ideale per ogni amante di questo genere di racconti, che offrono tensione, emozioni e grande intrattenimento, merito tanto degli effetti speciali quanto delle interpretazioni dei protagonisti. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
Deep Impact: la trama del film
Tutto ha inizio quando Leo Beiderman, un adolescente che ama l’astronomia, scopre uno corpo celeste mentre sta guardando il cielo col telescopio. Quando il ragazzino avvisa il suo insegnante, l’uomo decide di informare immediatamente l’astronomo Marcus Wolf, che capisce si tratti di una cometa in rotta di collisione con la Terra. Mentre corre per avvisare le autorità, tuttavia, muore in un tragico incidente d’auto, senza riuscire a informare nessuno, lasciando di fatto cadere nell’oblio la scoperta. Dopo un anno, il mondo viene infine a sapere che una cometa si sta dirigendo verso la Terra e che lo schianto provocherà terribili conseguenze per gli esseri umani.
Da subito le massime istituzioni del globo si mobilitano per cercare di distruggere l’asteroide ed evitare la distruzione del pianeta terra. Si progetta dunque di costruire un vettore in grado di atterrare sulla cometa, facendola poi esplodere. Nel frattempo, il presidente degli Stati Uniti Tom Beck annuncia la costruzione di bunker sotterranei, che possono ospitare però solo un milione di persone. Diretti verso di esso ci sono il giovane Leo e la sua famiglia, ma anche la giornalista Jenny Lerner. Mentre l’impatto è sempre più prossimo, i destini di tutti si incroceranno, in quelle che potrebbero essere le ultime ore dell’umanità.
Deep Impact: il cast del film
Ad interpretare il giovane Leo, uno dei protagonisti del film, vi è l’attore Elijah Wood, qui in uno dei suoi ruoli di maggior rilievo prima di consacrarsi con la trilogia di Il Signore degli Anelli. L’attrice Téa Leoni, nota anche per Jurassic Park III e la serie Madam Secretary, interpreta invece la giornalista Jenny Lerner, impegnata a gestire il rapporto con i genitori Robin e Jason, interpretati da Vanessa Redgrave e Maximillian Schell. Altro grande protagonista del film è il premio Oscar RobertDuvall, qui nel ruolo del capitano Spurgeon Tanner, un astronauta veterano incaricato di pilotare il vettore incaricato di distruggere l’asteroide.
Morgan Freeman è invece il presidente degli Stati Uniti Tom Beck. Per interpretare il personaggio, l’attore chiese di poter sfoggiare un orecchino. La regista fu però contraria alla cosa, ma permise invece di far intravedere uno dei tatuaggi che l’attore ha sul braccio. Un dettaglio che, a sua detta, gli conferisce un aspetto da uomo qualunque. Sono poi presenti anche gli attori James Cromwell nei panni del Segretario del Tesoro Alan Rittenhouse, Jon Favreau in quelli del dottor Gus Partenza e Ron Eldard in quelli di Oren Monash, comandante del vettore.
Deep Impact: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Deep Impact grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì 24 maggio alle ore 21:00 sul canale Iris.
Acclamato come uno dei migliori film del 2016, Il diritto di contare (qui la recensione) è diretto da Theodore Melfi e racconta la storia della scienziata afroamericana che collaborò con la NASA per la missione Apollo 11, sfidando il razzismo e il sessismo dell’epoca. Il titolo originale della pellicola è Hidden Figures, che identifica proprio le figure rimaste sullo sfondo di questa e delle altre donne coinvolte nelle operazioni della celebre agenzia governativa. La storia qui raccontata trae ispirazione dal romanzo omonimo di Margot Lee Shetterly, pubblicato nel 2016 dopo lunghe e ampie ricerche.
La scrittrice ha infatti iniziato a lavorare al libro, appartenente al genere della saggistica, nel 2010. All’interno di questo si concentra in prevalenza sulla biografia di tre tra le donne che più di altre si distinsero all’interno della NASA. Per il suo importante contributo, il testo diventa da subito un best seller, i cui diritti vengono subito acquistati dalla Fox. In breve, la sua trasposizione cinematografica viene ad essere realizzata, raccontando così la vita di queste tre donne, impegnate a bilanciare la loro carriera con la vita famigliare.
Uscito poi in sala, il film si è rivelato uno dei maggiori successi cinematografici dell’anno. A fronte di un budget di soli 25 milioni di dollari, Il diritto di contare è arrivato ad incassarne globalmente oltre 236. Anche i giudizi della critica sono stati particolarmente entusiasmanti, con lodi particolari per le interpreti principali. Presentatosi infine da protagonista ai premi Oscar, il film conquistò ben tre nomination, rispettivamente come miglior film, miglior attrice non protagonista e migliore sceneggiatura non originale. Vinse invece il prestigioso Screen Actors Guild Award come miglior cast.
La trama di Il diritto di contare
La vicenda si svolge negli Stati Uniti del 1961, in pieno periodo di lotte contro la segregazione razziale. In tale contesto si svolge la vita della matematica afroamericana Katherine Johnson. Insieme alle colleghe Dorothy Vaughan e Mary Jackson, anch’esse afroamericane, lavora come addetta calcolatrice per la NASA. L’agenzia governativa è in piena attività, poiché i recenti successi dei satelliti russi hanno reso necessarie nuove conquiste spaziali da parte degli Stati Uniti. Trasferita nella Space Task Group per via delle sue capacità in ambito matematico, la Johnson si ritrova così impegnata a seguire la squadra capitanata da Al Harrison, il cui obiettivo è lanciare una capsula pilotata da uno degli astronauti della base.
La donna svolge il nuovo lavoro al meglio delle sue possibilità, ma si ritrova ad essere frenata dalla mancanza di comunicazione con i nuovi colleghi. Questi, infatti, la trattano con marcata sufficienza, essendo lei la prima donna di colore a lavorare nel gruppo. Come lei, anche le due colleghe dimostrano sempre più fatica nello svolgere il loro lavoro in un contesto tanto chiuso e poco incline alla parità tra bianchi e neri. Ma le tre donne sono dotate di una tenacia sorprendente e faranno affidamento sulla consapevolezza di essere dotate di capacità che gli altri non hanno. È così che si riveleranno decisive ognuna nel loro settore, permettendo di ottenere risultati altrimenti irraggiungibili.
Il cast del film
Ad impreziosire il cast vi sono alcuni tra gli attori più popolari dell’attuale panorama statunitense, tra cui diversi premi Oscar. Innanzitutto, a dare volto al personaggio di Katherine Johnson vi è l’attrice Taraji P. Henson, divenuta celebre grazie al film Il curioso caso di Benjamin Button. Per approcciarsi al ruolo, questa richiese di poter incontrare la vera Johnson, che aveva all’epoca delle riprese ben 98 anni. Nonostante l’età, l’attrice rimase impressionata dalla sua lucidità, e si fece raccontare quanti più dettagli possibili per poter essere fedele nella sua interpretazione. In seguito, la Johnson lodò la performance dell’attrice, apprezzando il modo in cui l’aveva ritratta.
A ricoprire il ruolo di Dorothy Vaughan è invece Octavia Spencer, divenuta celebre in seguito alla vittoria dell’Oscar come attrice non protagonista per il film The Help nel 2012. Anche la Spencer condusse diverse ricerche sulla vera donna da lei interpretata, al fine di potersi calare al meglio nei suoi panni. L’interpretazione, particolarmente apprezzata, le valse una nomination all’Oscar, sempre come attrice non protagonista. Infine, Mary Jackson ha qui il volto della cantante e attrice Janelle Monae, che era presente quell’anno anche in un altro dei film candidati al premio: Moonlight.
Nel film si ritrova poi la presenza del premio Oscar Kevin Costner, il quale interpreta il personaggio di Al Harrison. Questi è il capo della squadra dove inizia a lavorare la Johnson, e sarà il primo a guardare con sospetto la donna. Jim Parsons interpreta invece l’ingegnere capo Paul Stafford. Anche lui membro della squadra, sarà tra tutti quello a voler intrattenere meno rapporti possibili con la Johnson. L’attrice Kirsten Dunst dà invece vita a Vivian Mitchell, supervisore della Johnson e della Vaughan, con la quale avrà accesi scontri. Infine, il premio Oscar Mahershala Ali è Jim Johnson. Questi è un ufficiale della Guardia Nazionale, il quale intraprenderà una relazione con Katherine, fonte di sostegno per entrambi.
Il libro e la storia vera dietro Il diritto di contare
Come precedentemente riportato, nel suo saggio l’autrice Shetterly ricostruisce la vita delle tre donne all’interno della NASA basandosi su fonti e testimonianze attendibili. La sua è una versione dunque quanto più possibile fedele di quello che fu il loro lavoro e il rapporto con i colleghi. Naturalmente, seppur in buona fede, per la trasposizione cinematografica si resero necessarie una serie di modifiche volte a dar al racconto una struttura più cinematografica, con una maggior drammatizzazione di certi aspetti ed eventi. Innanzitutto, il film si concentra sull’anno 1961, mentre come era facilmente immaginabile la vera storia delle tre donne copre un arco temporale molto più ampio.
Una particolare estremizzazione che il film mette in atto è però proprio quella relativa alla segregazione. La vera matematica Johnson affermò in diverse interviste di non aver mai vissuto particolari eventi di razzismo o sessismo all’interno degli uffici della NASA. Per quanto fosse consapevole di essere guardata e trattata in modo diverso dagli altri colleghi, ciò non era evidente tanto quanto mostrato nel film. Secondo lei, infatti, ognuno era concentrato sul proprio lavoro e sulle ricerche, ed era raro che vi fosse tempo per evidenti episodi di razzismo. Nella realtà, inoltre, la Johnson non si trovò promossa singolarmente nella Space Task Group. Lei lavorava infatti nella Flight Research Division, e venne trasferita insieme ai colleghi nella nuova divisione al momento della fondazione di questa, nel 1958.
In ultimo, molti dei personaggi del film non sono realmente esistiti, come Vivian Mitchell, Paul Stafford e Al Harrison. La loro presenza, probabilmente solo vagamente ispirata a figure realmente esistite, è servita agli sceneggiatori per accentuare gli scontri tra le donne e gli altri membri della NASA. In generale, la gran parte degli eventi narrati nel film seguono la vera storia delle tre donne e delle loro ricerche, modificando solo alcuni aspetti delle loro vicende. Se molti chiusero un occhio circa tali rimaneggiamenti, non mancarono comunque alcune critiche a riguardo, che accusavano di aver voluto eccessivamente caricare di drammaticità una storia che non lo meritava.
Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV
Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. Il diritto di contare è infatti presente su Rakuten TV, Google Play, Apple TV+, Amazon Prime Video e Disney+. In base alla piattaforma scelta, sarà possibile noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale al catalogo. In questo modo sarà poi possibile fruire del titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video. Il film verrà inoltre trasmesso in televisione mercoledì 24 maggio alle ore 21:30 sul canale Rai 1.
Finalmente una serie comica capace di allietare, far sorridere delle piccole disavventure che ognuno di noi affronta nella propria quotidianità. I creatori Nick Stoller e Francesca Delbanco hanno saputo carpire il cuore di ciò che significa essere persone comuni e lo hanno inserito in situazioni e personaggi che, esaltando la loro assoluta normalità, si fanno paladini spiritosi delle frustrazioni dell’uomo e donna contemporanei.
La storia su cui si dipana Platonicnon potrebbe essere più semplice: un tempo migliori amici, Sylvia (Rose Byrne) e Will (Seth Rogen) decidono di incontrarsi anni dopo una lite che li ha tenuti lontani l’una dall’altro. E in questo modo scoprono quanto sono in realtà cambiati dai tempi del college e delle scorribande goliardiche di cui erano protagonisti: lei è una madre di famiglia che ha rinunciato alla carriera avvocatizia per accudire i tre figli, mentre lui ha appena divorziato e gestisce un bar nella paura costante di crescere.
Saper raccontare i problemi della vita quotidiana
Platonic propone una gamma ampia ed esaustiva di quelli che sono i problemi della vita quotidiana, e lo fa con un’ironia tanto precisa quanto ficcante. Fin dall’episodio pilota – che scriviamolo subito, non è neppure lontanamente il migliore di quelli proposti dalla stagione – entriamo dentro l’universo di due personaggi che potrebbero essere tranquillamente i nostri vicini di casa, tanto amabili quanto lontani anni luce da alcun tipo di “caratterizzazione” volta a renderli drammaticamente interessanti. Perché allora Platonic funziona così bene? Perché sa esattamente cosa vuole raccontare e come farlo nella maniera giusta: la verità e l’attenzione al lato assurdo delle situazioni in cui ognuno di noi potrebbe trovarsi in un giorno qualunque sono sviluppate con perizia, puntata dopo puntata, immergendo lo spettatore dentro un mondo tanto comprensibile quanto realmente divertente.
Platonic e il valore dei suoi interpreti
E qui il merito principale della riuscita dello show deve essere attribuito ai due attori principali, in particolar modo alla Byrne. Se infatti Seth Rogen dimostra di essere maturato come attore continuando esplicitamente a interpretare il “tipo fisso” che propina al pubblico ormai da decenni – dimostrandolo anche nel recenteThe Fabelmans di Steven Spielberg – Rose Byrne conferma definitivamente, se ce fosse stato ancora il bisogno, di essere un’attrice in grado di saper indossare la leggerezza delle proprie figure femminili con una precisione emotiva ammirevole.
La sua Sylvia diventa in questo modo una figura a tutto tondo, intendendo con questo amabile non soltanto per i suoi numerosi pregi ma anche, anzi forse soprattutto, per i piccoli difetti, le dolci e umanissime scorciatoie che prende come donna che deve fare i conti con le proprie piccole insoddisfazioni, tenendole a bada per il bene comune. La sua capacità di essere vera eppure sempre divertente, guizzante, in qualche caso ruvida al limite dell’isteria, ha ormai raggiunto un livello di competenza attoriale che a nostro avviso poche colleghe posseggono oggi quando si tratta di commedia. È senza dubbio lei il valore aggiunto di uno show comunque molto efficace nel suo studio di caratteri e situazioni.
Se volete trascorrere una mezz’ora insieme a personaggi con cui potete specchiarvi, alle prese con problemi che potrebbero senza dubbio appartenervi, Platonic merita di essere abbracciata e coccolata. Per la sua semplicità, per la sua volontà di stuzzicare e magari anche far riflettere sui percorsi inaspettati, sui piccoli scarti di rotta che in fin dei conti possono decidere la vita di una persona almeno quanto le grandi decisioni. Si ride, si partecipa con affetto alle vicissitudini di questi due anti-eroi nel senso più profondo del termine. Non c’è proprio nulla di eroico in Sylvia e Will. E proprio per questo possiamo davvero rivederci in loro…
Per qualcuno il suo ultimo The French Dispatch è stato il film più emozionante del Festival di Cannes del 2021, e il più deludente, e a distanza di due anni il nuovo film di Wes Anderson sembra essere sulla stessa lunghezza d’onda. Di nuovo sulla Croisette per Asteroid City, di nuovo in concorso per la Palma d’Oro con un affresco dei suoi, costruito su diversi livelli e sceneggiato insieme a Roman Coppola, ma soprattutto nel quale – con Jason Schwartzman eScarlett Johansson (la cui “breve nudità” ha causato problemi con la censura) – appaiono in ruoli diversissimi tra loro Tom Hanks, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Bryan Cranston, Adrien Brody, Margot Robbie e Steve Carell.
Benvenuti ad Asteroid City
Nulla è reale ad Asteroid City, come vediamo sin dalla prima scena, nella quale un autore (Edward Norton) sta scrivendo la storia di una occasionale e variegata comunità, raccolta nel deserto del SouthWest statunitense – forse tra Arizona e Nevada – per il raduno di “giovani astronomi e cadetti spaziali” che riunisce studenti dotati e i loro genitori in una località caratterizzata dalla caduta di un piccolo meteorite ormai circa 3.000 anni prima.
L’ambientazione e – soprattutto – gli eventi eccezionali che vi si svolgono e che vediamo mentre vengono letteralmente messi in scena sono quelli della fantascienza di una volta, ma le relazioni che si stabiliscono tra gli 87 abitanti e i suddetti visitatori sono quanto di più umano ci sia. E di coerente con i precedenti del regista, tra militari pomposi, scienziati alienati, attori famosi e meno famosi, cantanti country e famiglie disfunzionali di ogni tipo.
Wes Anderson sci-fi contro l’Intelligenza Artificiale
Non è detto che Wes Anderson apprezzerebbe di veder definito il suo film“delizioso”, come in molti hanno fatto. Soprattutto dopo tanti precedenti nei quali però il gusto estetico e il talento decorativo del regista texano erano sicuramente più funzionali alla storia narrata. Che qui, al contrario, e come nel precedente The French Dispatch, sembra più finalizzata a permettergli di sfogare il suo estro e regalare al suo pubblico più appassionato quei ‘dettagli’ che tanto ce lo hanno fatto amare.
Nei tableaux che compone ognuno può trovare quel che vuole, da Billy Wilder a Steven Spielberg, dalle tragedie esistenziali e familiari di frontiera ai B-movie di fantascienza anni 50, con i quali il film ha in comune un narratore (Bryan Cranston) da dramma radiofonico. Tra set televisivo e teatro, dal bianco e nero alla solita palette di colori caldi e pastello, il fine settimana intorno al cratere nel deserto si sviluppa gradualmente, come gli intrecci tra i suoi protagonisti.
Su tutti il vedovo fotografo di guerra Augie Steenbeck (Jason Schwartzman), diviso tra figli, suocero (Tom Hanks) e la star Midge Campbell (Scarlett Johansson), fotografata in bagno in pose che vanno dalle Pin Up dell’epoca al Marat di Jacques-Louis David. Grandi nomi, che difficilmente potranno ambire a una nomination agli Oscar per la mancanza della possibilità di offrire una vera interpretazione, a differenza di quanto accaduto in passato per le candidature raccolte dai suoi film – non a caso per animazione, colonna sonora e sceneggiatura – o i premi andati ai costumi, la scenografia e il trucco ottenuti di Grand Budapest Hotel nel 2012.
Nella vita, “non puoi sapere cosa succederà”
Ma non importa. Come dice Bryan Cranston è come nella vita, “non puoi sapere cosa succederà, quanto durerà o chi incontrerai, devi solo andare avanti”. E, incurante di renderla comprensibile, Wes continua a raccontare la storia che ha dovuto girare approfittando persino della pandemia e della vera quarantena che stavamo vivendo nel mondo reale, prima che in quello rappresentato sullo schermo. Nel quale tutto viene sublimato, non è una novità, ma dove le cose spesso assumono contorni e significati diversi, o addirittura mai sottesi al significante.
Ma non importa nemmeno questo, dove sia il confine – o dove lo si superi – tra la creazione originale dell’artista o quella rielaborata dallo spettatore. Tanto più in una pièce così strutturata, che cambia continuamente di piano – dalla Asteroid City rappresentata al backstage dove i suoi interpreti tornano attori (che interpretano attori) – in un gioco di scatole cinesi. In ciascuna delle quali c’è un pezzetto del cuore del regista, una sua paura, un trauma irrisolto, o trasformato in topos.
Meno slegato e inutilmente denso dell’ultimo, con qualche – apprezzatissimo – inserto animato, ovviamente nella stop motion più artigianale possibile, qui l’unità di luogo aiuta sicuramente a non perdersi tra tante divagazioni e intermezzi. Forse non del tutto giustificate o necessarie, per una volta. Una volta di più, purtroppo, ché l’analisi del mondo del teatro e della televisione, dopo quello del giornalismo di The French Dispatch, offre sì uno smascheramento della realtà, ma fa sentire la mancanza di storie tanto articolate quanto riuscite, nelle quali l’accumulo di situazioni, battute, fotografie, personaggi, rendesse la sensazione di un film e non di una striscia domenicale.
Dal 18 al 22 maggio, al Lingotto Fiere di Torino, tanti sono stati gli ospiti che hanno attraversato lo specchio al Salone Internazionale del Libro 2023. Fra questi, Valerio Mastandrea e Alessandro Borghi, che nella Sala Azzurra al Padiglione 3, moderati da Francesca Serafini, hanno incontrato il pubblico per parlare di Claudio Caligari, in un bell’omaggio al maestro e al modo di fare cinema. Per l’occasione i due attori hanno ripercorso alcune tappe salienti della loro carriera, regalando aneddoti e momenti toccanti. Del regista, scomparso per una malattia nel 2015, Valerio Mastandrea ricorda subito L’odore della notte del 1998, film facente parte di una trilogia apertasi con Amore tossico e conclusasi con Non essere cattivo, ultimo lavoro di Caligari prima di morire.
Il primo a prendere la parola, con la sua ironia, è proprio Mastandrea che in L’odore della notte interpreta Remo, il protagonista: “Io ho fatto Remo solo alla fine”, inizia, “ero stato chiamato per interpretare uno dei compagni del protagonista, tutt’altro personaggio, e ho conosciuto Claudio in quella occasione. Non lo avevo mai visto per intero, quindi quando l’ho incontrato pensavo fosse uno di Ostia e invece mi sono ritrovato davanti un uomo di Arona. E ho detto: Oh cavolo! Era la seconda volta che mi capitava perché avevo visto un altro film, Un’altra vita, di un altro grande maestro, Carlo Mazzacurati, ambientato in una Roma che soltanto un romano poteva conoscere, e quando scoprii che era di Padova mi prese un colpo.“
“Eppure in queste occasioni capii una cosa importante: come il cinema poteva essere strumento per conoscere le cose, raccontarle anche non essendoci nato dentro.”, prosegue l’attore, “Questo è un grande insegnamento: bisogna immergersi tanto prima di poter raccontare qualsiasi cosa. Tornando al film di Caligari, a venti giorni dalle riprese venni richiamato ed esaminato, e alla fine lui mi voleva chiedere se volevo fare Remo, il protagonista. Ci volevo pensare perché la proposta mi aveva emozionato. Alla fine ho accettato e da lì in poi con Claudio è nato un sodalizio così, come nascono le amicizie tra coetanei, che non sai quando ti sei conosciuto, perché ti sembra che nella tua vita avete sempre camminato insieme. E secondo me quelli sono gli amici con cui riesci a camminare nel presente.”
Claudio Caligari, il suo cinema con Alessandro Borghi e Luca Marinelli
Mastandrea, che con Claudio Caligari ha instaurato un rapporto di amicizia, è stato poi produttore della sua ultima opera, Non essere cattivo, diventato un cult. Proprio come ricorda Serafini, Caligari apprezzava molto Alessandro Borghi e Luca Marinelli, che nel film interpretano rispettivamente Vittorio e Cesare. Ed è proprio il primo a ricordare commosso il suo maestro, che come conferma lo stesso Borghi è stato fra quelli che più gli hanno insegnato la materia cinematografica. “Io sono stato molto travolto dall’aver conosciuto Claudio Caligari. Mi ha dato tanti insegnamenti senza rendersene neanche conto, e questa è una cosa molto bella. Era sempre uno scambio continuo di qualcosa che aveva a che fare con il racconto, con la grande passione di raccontare una storia.”
“La prima cosa che ho imparato era la necessità di raccontare delle storie, a prescindere da tutto, al di fuori della dinamica del commercio, dei soldi, del tax credit. Io ho fatto dieci anni di televisione brutta e non mi rendeva felice. Facevo delle cose che quando le riguardavo mi vergognavo e non mi facevano stare bene. Poi ad un certo punto sono arrivati prima Stefano Sollima che mi ha fatto fare Suburra e subito dopo il film di Claudio Caligari, Non essere cattivo, una svolta. Ogni volta che ho un nuovo progetto, penso sempre a quello che mi ha insegnato, e lo applico. Io ho un prima e un dopo Claudio”, come “esiste un prima e un dopo Cristo”, gli fa eco il collega accanto.
Mastandrea ricorda anche le parole di Fabrizio Gifuni ai David di Donatello 2023, in memoria di Caligari e del suo saper “stare dentro le storie”: “Per lui doveva essere tutto credibile. Doveva filtrarlo prima lui, verificarne la credibilità.” Subito dopo, per rafforzare le parole del collega Borghi, è stato mostrato un video-saluto di Luca Marinelli, il quale ha omaggiato il regista con un aneddoto divertente ma profondo: “Un giorno, in una scena di Non essere cattivo, andai da Claudio preso da un dubbio sull’atteggiamento del mio personaggio (Cesare ndr). Arrivai da lui spiegandogli le sensazioni che secondo me il personaggio sentiva e tutti i ragionamenti che faceva nei confronti della madre. Ad un certo punto lo guardo, lui mi guarda e mi dice: se Cesare ragionasse così sarebbe un idiota.”
“All’inizio pensavo si riferisse proprio a me, ma poi lui mi disse che non dovevo mai giudicare il personaggio che stavo interpretando, perché lui è un pianeta che fa parte di un sistema e sicuramente vuole entrare in comunicazione con un altro pianeta in orbita (che sono gli altri personaggi, in questo caso la madre di Cesare ndr). Questo mi aiutò molto e fu una grande lezione di cinema, molto diretta. E poi, se Valerio Mastandrea, Alessandro Borghi e io siamo diventati una grande famiglia è proprio grazie a Claudio.”
Inevitabile, verso la fine, il pensiero a Le otto montagne, film di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, che ai David di Donatello 2023 si è portato a casa quattro premi, fra cui quello a Miglior film, oltre a vincere l’anno prima il Premio della giuria al Festival di Cannes. In realtà, Le otto montagne è debitore a Non essere cattivo di Caligari per il rapporto d’amicizia che si è creato fra i due protagonisti. “Ho ragionato molto su questa cosa mentre stavamo facendo il film (Le otto montagne ndr).”, ha detto Borghi, “Lì (in Non essere cattivo ndr), Luca ed io ci siamo uniti, siamo diventati fratelli, e la cosa è rimasta immutata nel tempo. Però poi è successa una cosa molto bella: su quelle montagne è come se avessimo riscoperto la nostra capacità di essere amici. Fino a che punto riuscivamo ad esserlo stando da soli a fare una pausa pranzo in mezzo a un prato. Abbiamo messo a disposizione dei personaggi la nostra amicizia e sarebbe stato stupido non farlo. Abbiamo parlato molto del fatto che Pietro e Bruno sono come noi, lontani, se si considera che io vivo a Roma e lui a Berlino e che, come me e Luca, si vedono una volta l’anno e che hanno, sempre come noi, due visioni completamente diverse della vita.”
“Queste differenze enormi ci hanno uniti, e io non riuscirei ad immaginare più la mia vita senza Luca, professionalmente e umanamente. L’altro giorno ho fatto incorniciare una foto emblematica, io, Luca Marinelli e Valerio Mastandrea seduti su un divano a Los Angeles, per promuovere Non essere cattivo di Claudio Caligari, e quando la guardo è incredibile come lì ci siano tre universi diversi, e come questi tre universi riescano ad essere uno soltanto, più grande, quando sono insieme. Ed è la bellezza dell’unione di questo lavoro ma anche dell’amicizia nella sua essenza. Di essere liberi di parlarsi apertamente e dirsi quando le cose vanno bene o male e nell’applicazione del lavoro, prendere tutti quegli elementi e poterli mischiare e mixare, per metterli a disposizione di un’altra storia, è un grande regalo.”
Con una sferzata di comicità inquietante, interrogandosi sui ruoli e gli spazi che occupiamo nella vita, arriva in concorso al Festival di Cannes 2023May December, il nuovo film di Todd Haynes (Io non sono qui, Carol), con protagoniste Natalie Portman, Julianne Moore e la star di Riverdale Charles Melton. Nel film, vent’anni dopo che la loro famigerata storia d’amore sui giornali scandalistici aveva attanagliato la nazione, la coppia con una grande differenza d’età formata da Joe e Gracie (Melton e Moore) inizia a vacillare quando un’attrice, Elizabeth (Portman), trascorre un periodo a casa loro per prepararsi al suo prossimo film, in cui interpreterà proprio Gracie.
May December: amore suburbano
In May December, Julianne Moore si riunisce con Haynes per interpretare Gracie Atherton-Yoo, un’ex insegnante svampita che è diventata famosa nel 1992 quando ha lasciato l’ex marito per uno dei suoi studenti tredicenni. Ora siamo nel 2015, la situazione si è in qualche modo normalizzata, e Gracie e Joe stanno insieme da abbastanza tempo che i loro figli più piccoli stanno per diplomarsi. Nella villa in riva al mare di Savannah, che Gracie e Joe hanno pagato con le loro apparizioni nel reality show “Inside Edition“, arrivano ancora occasionalmente pacchi pieni di escrementi, ma queste consegne – “regali” di estranei casuali che non riescono a digerire la storia d’amore della coppia – sono diventate meno comuni ora che la loro storia d’amore scandalosa si è stabilizzata nella realtà suburbana. O almeno così sembra.
Ma il passato non è ancora pronto a mollare la presa su questi folli ragazzi e Gracie non ha il buon senso di tenerlo a distanza di sicurezza. Nonostante il suo scetticismo nei confronti delle celebrità, Gracie decide di stendere il tappeto di benvenuto all’attrice televisiva Elizabeth Berry, interpretata da Natalie Portman. Elizabeth ha la stessa età di Gracie quando ha fatto sesso con Joe per la prima volta nel retro di un negozio di animali – un ricordo che è diventato di dominio pubblico – ed è destinata a interpretarla in un prossimo film indipendente sullo scandalo.
Percezioni doppie e distorte
In May December, lo studio dei doppi significa mettere letteralmente in scena un film nel film per caratterizzare i suoi personaggi: solo analizzando a fondo le parvenze di chi ci sta accanto, i loro modi di fare, provando a ricalcarli e a capire che ruolo giocano nella nostra esistenza, riusciamo ad addentrarci nella psicologia di Joe, Gracie ed Elizabeth. Come per un’attrice che si è calata troppo nel personaggio, uscire dalla bolla domestica di Joe e Gracie non sarà facile, e neanche riuscire a stabilire effettivamente con certezza cosa ci stanno raccontando di vero e quanto alcune informazioni che stiamo collezionando siano falsate dalla percezione distorta che vogliono avere della realtà.
Tutto nella relazione e nella quotidianità di questa improbabile coppia è ribaltato: valori, ruoli, vita di coppia. Joe è un ragazzo cresciuto troppo in fretta, con non troppa differenza di età rispetto ai suoi figli, ma che deve prendersi cura della personalità fragile di Gracie e, dunque, adempiere a molti più compiti e ruoli: contemporaneamente è marito, padre e amico. Il personaggio della Moore, dall’altro lato, ha fermato l’attimo nel momento in cui ha conosciuto Joe: ha disintegrato il suo precedente matrimonio per un ragazzino che allora andava alle medie e, senza pensare a conseguenza alcuna, ha deciso di rifondare una propria idea di nucleo famigliare. Gracie pensa che riempiendosi la casa di gente, affetti, cimeli e futili ricette di torte e pasticceria varia che i suoi vicini le commissionano per pietà, possa colmare il vuoto che una relazione così sproporzionata sotto ogni punto di vista ha lasciato in lei. In realtà, mentalmente è regredita a uno stato pressochè adolescenziale e vede in Joe un principe salvatore, solerte nel proteggere contemporaneamente lei e tutta la famiglia allargata che si porta dietro.
Un case study tra realtà e finzione
L’Elizabeth di Natalie Portman è il jolly che corrisponde al punto di vista spettatoriale in May December e che tenta di discernere il vero dal falso, ciò che è successo e le percezioni amplificate dal presente e dalla manipolazione dei tabloid, tra Gracie e Joe. Pur avvicinandosi e toccando con mano la vita di Gracie, facendo alcune delle sue esperienze quotidiane, Elizabeth mantiene un’imperturbabilità di fondo. All’esterno, si ridicolizza al massimo tentando di carpire il segreto di un’esistenza grottesca e con lei Natalie Portman, che accetta di mettersi nei panni di un’attrice forse ancora più macchietta del personaggio reale che dovrà interpretare. Mentalmente, invece, non siamo mai sullo stesso livello di Elizabeth: è vero che fa esperienza assieme a noi pubblico, che ci conduce passo a passo nella vita di Gracie e Joe nella loro villa in Maine, ma diventa illeggibile tanto quanto i suoi “case study“.
Tra le tre performance, forse quella che emerge di più e che sorprende proprio perchè viene da un giovanissimo della recitazione, è quella di Melton. L’attore di Riverdale riesce a catturare in toto le sfaccettature del suo personaggio, conferendogli un’aria da belloccio dei tanto popolari young adult ma affibbiandogli anche un’aria costantemente desolata e malinconica, incerta nel suo trovarsi costantemente in bilico tra l’essere adulto e il tornare bambino. Il suo Joe è contemporaneamente appetibile e tenero, solare e angoscioso. Un personaggio vincente che si è auto-confinato in un terreno di isolamento totale, lontano dal tono camp della pellicola, dai colori vivi della sua fotografia e lussureggianti della natura che lo circonda. Forse è proprio attraverso il personaggio di Joe che Haynes riesce a sbugiardare i suoi personaggi, l’artificiosità dei loro comportamenti e del finto paradiso che si sono creati. Melodramma camp fino al midollo, l’ironia disturbante di Todd Haynes fa luce con May December sulle (s)proporzioni dei ruoli e dei valori famigliari di una realtà pervasa dalla finzione.
E’ facile immaginare che per Francesca Scorsese il mondo del Festival di Cannes non sia del tutto nuovo, ma è chiaro che partecipare al Festival con un cortometraggio in concorso è sicuramente un’esperienza differente. Scorsese, che al festival del 2023 presenta Fish Out of Water, ha parlato anche delle sue passate esperienze a Cannes: “Ricordo solo il tappeto quando ero più piccola e ricordo di aver guardato tutti perché avevo probabilmente 10 anni o addirittura di meno”.
Fish Out of Water segue la storia di una figlia che si riconnette con il padre separato e la madre sempre più malata, e Francesca Scorsese ha approfondito il concetto per la sua tesi di laurea alla New York University. Sebbene la relazione padre-figlia nel film non abbia, dice, alcuna relazione con la vita reale, c’erano aspetti in linea con le esperienze di sua madre.
“Penso che volevo principalmente raccontare una storia di legame familiare attraverso la malattia e momenti davvero difficili, così come la cura di un membro della famiglia, perché è qualcosa che ho fatto per la maggior parte della mia vita con mia madre che ha il Parkinson. Quindi, è stato un po’ il mio modo di affrontare quei ricordi.”
Suo padre, Martin Scorsese, ha sostenuto enormemente i suoi sogni di regista e questo film, ha detto. “L’ho mostrato a mio padre. Mio padre lo ha inviato ai suoi amici. Sono abbastanza sicuro che Ari Aster l’abbia visto. Ero tipo, ‘Oh mio dio.'”
Ma ha poi spiegato che a causa della rappresentazione della malattia del personaggio della madre, era estremamente nervosa all’idea di mostrare il film a sua madre. “È stato assolutamente terrificante mostrarlo a mia madre, più che a tutte le altre persone”, ha detto. “Lei diceva sempre, ‘Oh, voglio vederlo.’ E io dicevo, ‘OK, ma potresti non essere davvero felice.’ Ovviamente è un argomento molto delicato. Ma mostrandoglielo, mi sono seduta nella stanza e mio padre mi ha detto che dovevo restare nella stanza. Ero tipo, ‘Vado, andiamo’. E lui, ‘Siediti in quella stanza, resta nella stanza. Devi essere lì con lei, basta tenerle la mano.’ E e poi gli ho detto, ‘Hai ragione. Davvero.’”
Il supervisore degli effetti speciali di Oppenheimer, Scott R. Fisher, spiega come ha creato una finta esplosione nucleare senza l’uso di CGI. Diretto da Christopher Nolan, Oppenheimer racconta la vita e la carriera del fisico teorico J. Robert Oppenheimer, che fu una delle figure chiave responsabili della creazione della bomba atomica. L’epopea storica vede Cillian Murphy nel ruolo del protagonista dopo che per molti anni ha lavorato con Nolan sempre in ruoli secondari.
Fisher fa un tuffo profondo negli effetti speciali del film in una nuova intervista con Total Film (tramite Slash Film). Il supervisore degli effetti speciali entra nei dettagli su come è riuscito a creare un’esplosione di una bomba nucleare senza CGI, rivelando che si sono affidati ad alcune tecniche di ripresa “vecchia scuola” per farlo sembrare reale.
“È come una tecnica della vecchia scuola. Non le chiamiamo miniature; le chiamiamo big-ature. Le facciamo più grandi che possiamo, ma riduciamo la scala in modo che sia gestibile. Si avvicina la fotocamera e lo si fa nell’ambiente il più grande possibile.
Si tratta principalmente di benzina, propano, cose del genere. Ma poi introduciamo anche cose come polvere di alluminio e magnesio per migliorare davvero la luminosità e dargli un certo aspetto. Abbiamo fatto un po’ di esperimenti, perché volevamo davvero che tutti parlassero di quel lampo, quella luminosità. Quindi abbiamo cercato di replicarlo il più possibile”.
È stato rivelato per la prima volta l’anno scorso che l’esplosione nucleare di Oppenheimer è stata creata senza CGI, il che è emblematico dell’atteggiamento generale di Nolan verso gli effetti pratici. Sebbene i film di Nolan presentino certamente CGI, è quasi sempre per abbellire o migliorare le scene che sono state catturate dalla telecamera. È la dedizione del regista alle tecniche cinematografiche della vecchia scuola che fa davvero risaltare i suoi film nel panorama del cinema moderno, con il suo uso di effetti pratici che conferiscono all’azione una sensazione tattile e realistica che la CGI non può proprio replicare.
Il film, che la Universal distribuirà dal 21 luglio, è una delle uscite estive più ambiziose degli ultimi anni. Quella estiva è una stagione che di solito è riservata ai film di evasione e ai film sui supereroi, ma Oppenheimer è alle prese con alcuni temi pesanti, per non parlare del fatto che racconta di uno sviluppo scientifico che ha rimodellato il corso della storia. Oppenheimer ha guidato il Progetto Manhattan come capo del Los Alamos Laboratory, prima di diventare un critico delle armi di distruzione di massa. “La sua storia è sia un sogno che un incubo”, ha detto Nolan.
Il film è stato girato in 70 mm con telecamere Imax e il trailer che Nolan ha condiviso alternava scene in bianco e nero e scene a colori con un design di produzione impeccabile. Un Cillian Murphy dall’aspetto scarno e con in testa un fedora è un duplicato esatto di Oppenheimer, e ha l’aria di un distruttore di mondi.
Con a capo Murphy, che è un fedelissimo di Christopher Nolan, il cast del film si presenta davvero ricchissimo di star. Ci sono anche Matt Damon nei panni del generale Leslie Groves, Robert Downey Jr. nei panni di Lewis Strauss, un membro della Commissione per l’energia atomica, ed Emily Blunt nei panni della moglie di Oppenheimer, Katherine. Il cast include anche Rami Malek e Florence Pugh.
Oppenheimeruscirà al cinema in Italia il 23 agosto 2023. Distribuito da Universal Pictures.
Michelle Randolph e Jacob Lofland si sono uniti a Billy Bob Thornton nella prossima serie di Taylor SheridanLand Man alla Paramount+. A darne la notizia è stato il noto sito americano Varietyche ha appreso in esclusiva che anche Ali Larter reciterà nella serie. Secondo il logline ufficiale, la serie “è ambientata nelle proverbiali città del boom del Texas occidentale ed è una moderna storia di persone in cerca di fortuna nel mondo delle piattaforme petrolifere. La serie racconterà la storia sia ai piani alti che ai piani bassi che alimentano un boom così grande che sta rimodellando il nostro clima, la nostra economia e la nostra geopolitica”. La serie è basata sul podcast “Boomtown“.
Michelle Randolph interpreterà Ainsley Norris, descritta come “la selvaggia e volitiva figlia diciassettenne di Tommy Norris (Billy Bob Thornton)”. Lofland interpreterà Cooper Norris, “il figlio di Tommy, che è nuovo al lavoro impegnativo nei giacimenti di petrolio e gas del Texas occidentale”. Ali Larter interpreterà Angela, l’ex moglie di Tommy. La serie vedrà riunirsi Sheridan e Randolph, dopo aver recitato insieme nella serie prequel di Yellowstone e 1923. È anche nota per ruoli in film come “The Resort” e “5 Years Apart”. Lofland è esploso con il suo ruolo di debutto nei panni di Neckbone nel film del 2012 Mud con Matthew McConaughey e Tye Sheridan. Da allora ha continuato a recitare nel franchise cinematografico “Maze Runner” e in spettacoli come “Justified”, “Texas Rising” e “The Son”. Apparirà anche nel sequel “Joker: Folie à Deux”.
Land Man è co-creato e prodotto da Taylor Sheridan e Christian Wallace. Sheridan è produttore esecutivo sotto la sua società Bosque Ranch Productions, che è attualmente impegnata con un ricco accordo generale con Paramount Global. Billy Bob Thornton è anche produttore esecutivo oltre a recitare. David Glasser, David Hutkin, Ron Burkle e Bob Yari sono anche produttori esecutivi tramite 101 Studios. Geyer Kosinski è produttore esecutivo insieme a Dan Friedkin e Jason Hoch per Imperative Development LLC, e Scott Brown e Megan Creydt per Texas Monthly. Peter Feldman è il co-produttore esecutivo. MTV Entertainment Studios sta producendo la serie.
Dopo una manciata di apparizioni secondarie, Julia Louis-Dreyfus, che nel Marvel Cinematic Universe interpreta Valentina Allegra de Fontaine, promette che il suo ruolo in Thunderbolts avrà molto più spazio.
Introdotto nell’universo cinematografico Marvel in The Falcon and the Winter Soldier, l’attrice di Seinfeld e Veep interpreta una losca figura del governo che convince il John Walker di Wyatt Russell a diventare US Agent e assume Yelena Belova (Florence Pugh) per uccidere Clint Barton in Hawkeye. È stata vista l’ultima volta in Black Panther: Wakanda Forever, dove è stato rivelato che è l’ex moglie di Everett Ross (Martin Freeman) e che ha recentemente ottenuto la posizione di direttore della CIA.
Mentre parlava in esclusiva con Screen Rant per promuover eil suo nuovo film You Hurt My Feelings, a Julia Louis-Dreyfus è stato chiesto del suo imminente ritorno nel MCU con Thunderbolts. Pur mantenendo il segreto sui dettagli della sua parte nel film, Julia Louis-Dreyfus ha assicurato che il film collettivo avrebbe esplorato di più il personaggio di Val rispetto a quanto è stato fatto fino a questo momento. “Non posso dirti niente! [Ride] Sì, te lo posso dire, si vedrà molto di più di lei. Ecco il tuo scoop!”.
Il roster di Thunderbolts il cast è attualmente composto da Red Guardian (David Harbour), Ghost (Hannah John-Kamen), Yelena Belova (Florence Pugh), Bucky Barnes/The Winter Soldier (Sebastian Stan), John Walker/ Agente statunitense (Wyatt Russell) e Taskmaster (Olga Kurylenko). Secondo quanto abbiamo appreso la contessa Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus) metterà insieme la squadra e potrebbe anche essere parzialmente responsabile della creazione di Sentry.
Harrison Ford sostituirà il defunto William Hurt nei panni di Thaddeus “Thunderbolt” Ross, che potrebbe finire per trasformarsi in Red Hulk. Nel cast sono stati annunciati anche Ayo Edebiri, in un ruolo ancora non stato rivelato. Thunderboltsuscirà nelle sale il 26 luglio 2024. Jake Schreier (Robot and Frank, Dave) dirigerà Thunderbolts, che si baserà su una sceneggiatore scritta dallo sceneggiatore di Black Widow Eric Pearson.
Dopo le immagini della contemporanea Lydia Deetz (Wynona Rider), nuove foto dal dietro le quinte di Beetlejuice 2anticipano un set particolarmente adeguato al tema del film: si tratta delle foto di un vecchio e spettrale cimitero.
Il sequel del classico Beetlejuice di Tim Burton del 1988 ha richiesto diversi decenni di conversazioni e accordi per potersi mettere in moto. Nel febbraio 2022 è stato riferito che il progetto era in fase di sviluppo e le riprese sono iniziate ufficialmente questo mese. Beetlejuice 2 dovrebbe uscire il 6 settembre 2024 nelle sale USA.
Nelle foto dietro le quinte pubblicate su Twitter da Mad Monster, le nuove immagini di Beetlejuice 2 mostrano una cripta inquietante e una chiesa solitaria.
A couple more #BehindtheScenes#Beetlejuice2 set pics. Some sort of Crypt maybe? Currently filming in Buckinghamshire U.K under the secret title “Blue Hawaii” Starring Michael Keaton, Winona Ryder and Jenna Ortega. Beetlejuice 2 will likely be released in 2024. pic.twitter.com/Ok92IV6pZi
Michael Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara riprenderanno i loro ruoli dal primo film, insieme a new entry di serie A nel cast del film che sarà diretto da Tim Burton. Jenna Ortega (Mercoledì) in particolare è stata scelta per interpretare la figlia di Lydia Deetz. Justin Theroux e William Dafoe sono stati scelti per il film, con quest’ultimo destinato a interpretare un agente delle forze dell’ordine nell’aldilà. Successivamente, è stato annunciato che Monica Bellucci si era unita al cast e interpreterà la moglie dello spiritello dispettoso protagonista. Anche il compositore Danny Elfman, sodale di Burton, è tornato nel team creativo. Beetlejuice 2 dovrebbe uscire il 6 settembre 2024 nelle sale USA.
Si muove a partire da una premessa interessante il filmRenfield, diretto da Chris McKay (Lego Batman, The Tomorrow War), ovvero quella secondo la quale il rapporto esistente tra il Conte Dracula e il suo assistente R. M. Renfield non è altro che, usando l’odierno modo di dire, una relazione tossica. Che le dinamiche esistenti tra questi due personaggi siano tutt’altro che sane non è certo un’invenzione di Robert Kirkman, autore della storia, né dello sceneggiatore Ryan Ridley, bensì di colui che questi personaggi li ha inventati nel lontano 1897, ovvero Bram Stoker. Tale chiave di lettura viene però qui ulteriormente esaltata, specialmente grazie al fatto di avere, per una volta, Renfield come assoluto protagonista.
Interpretato da Nicholas Hoult, egli continua a servire il leggendario vampiro sin dagli eventi del Dracula del 1931, di cui Renfield è un “quasi-sequel“, secondo la definizione di McKay. Dopo aver attraverso gli oceani del tempo ed essere arrivati nel mondo contemporaneo, i due continuano indisturbati le loro attività, con Renfield che procura nuove vittime al suo padrone e questi che se ne ciba per diventare sempre più forte. La vita di Dracula sembra però non avere né uno scopo né una direzione precisa, ed ecco allora che il potente vampiro decide che è giunto il momento di conquistare il mondo. Renfield inizia però ad assaporare una vita diversa da quella, con la consapevolezza che intraprenderla significherebbe tradire il suo maestro.
Un film pulp per il più famoso dei vampiri
Sin dai primi materiali pubblicitari rilasciati, Renfield lasciava intendere di essere un progetto pensato con il piede schiacciato sul pedale della follia. Con questa premessa, non ci si poteva dunque aspettare qualcosa di particolarmente elaborato da un punto di vista del racconto e l’aspettativa puntualmente non viene smentita. L’intreccio è quantomai esile e quando le varie linee narrative iniziano a convergere verso il finale ecco che diventa anche noiosamente prevedibile. Il principale interesse di Kirkman, Ridley e McKay risulta piuttosto essere quello di confezionare una serie di scene, gag o anche solo battute che possano risultare memorabili nella loro follia, intrattenendo e possibilmente reggendo l’intero film.
Naturalmente affidare un intero lungometraggio a tali elementi raramente è una buona idea. Renfield riesce però ad offrire un numero tale di momenti pulp, tra combattimenti estremamente sanguinolenti e interazioni effettivamente divertenti tra i personaggi, da riuscire a risultare – complice la sua adeguata durata di 93 minuti – un prodotto godibile e divertente, che trova il suo giusto tono tra horror, commedia ed azione splatter. Il che probabilmente è ciò che conta di più. Innegabile però che anche il citato pedale della follia appare ben presto non essere premuto fino in fondo, lasciando dunque la sensazione che se proprio doveva essere questo l’elemento su cui fondare il film, tanto valeva crederci un po’ di più.
Renfield e la sua relazione tossica
La vera arma a doppio taglio, che probabilmente farà però storcere il naso solo ai più smaliziati, è proprio la sua chiave di lettura riguardante le relazioni tossiche. Questa risulta inizialmente interessante applicata ai due protagonisti, mostrando in particolare gli effetti che ha sulla psiche di Renfield (con tanto di sua partecipazione a gruppi di sostegno). È un elemento che rimane “sullo sfondo”, che giustamente si fa percepire più per immagini che non per parole pronunciate dai protagonisti. Nel momento in cui sul finale il concetto viene però ribadito in maniera ancora più esplicita, a mo’ di lezione di vita, ecco che diventa didascalico, svuotato di valore. Un di più che spezza non solo il momento in cui è aggiunto ma fa acquisire all’intero film un che di furbo poco gradevole.
Nicolas Cage: un magnifico Dracula
Innegabile che ad aver reso degno di particolari attenzioni questo progetto, rimasto a lungo in stand by per via dei problemi del Dark Universe, ci sia la presenza del premio Oscar Nicolas Cage nei panni del conte Dracula. L’attore, che negli ultimi anni sta vivendo una seconda vita artistica grazie a film bizzarri come Mandy, Pig o Il talento di Mr. C, aggiunge così alla sua collezione di personaggi anche l’iconico vampiro, che interpreta come suo solito con un fare sopra le righe che però, dato il personaggio, risulta particolarmente appropriato. Ancor di più, l’interprete riesce a rendere il proprio Dracula simpatico (nella sua crudeltà) ed effettivamente minaccioso quando occorre.
Non sfigurano tuttavia neanche Nicholas Houltnei panni del protagonista del titolo e, in particolare, Awkwafina – qui nel ruolo dell’intransigente poliziotta Rebecca Quincy – dotata di una verve comica e una presenza scenica che non si smentiscono mai. Sono decisamente loro, con la notorietà ed esperienza di cui godono, la principale attrattiva del film, che può comunque vantare anche delle affascinanti scenografie ed un buon trucco per quanto riguarda le trasformazioni fisiche di Dracula. I tre reggono sulle loro spalle il film, contribuendo indubbiamente alla sua generale riuscita nonostante le pecche più su evidenziate.
Dopo la Palma d’oro alla carriera del 2021 e le tante partecipazioni (da Il traditore e Vincere, solo per citare gli ultimi in concorso, o Esterno notte e Marx può aspettare, in Cannes Première), Marco Bellocchio sceglie di nuovo il Festival di Cannes per presentare la sua ultima opera. E Thierry Frémaux sceglie di nuovo il nostro regista, questa volta nella sezione più importante con il Rapito che 01 Distribution porta al cinema a partire dal 25 maggio. Una storia vera, raccontata in maniera unica anche grazie alle interpretazioni magistrali di un cast perfetto nel quale spiccano il Papa Pio IX di Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Filippo Timi e il Miglior Attore dei David di Donatello 2023, Fabrizio Gifuni.
Rapito: la storia vera di tanti ebrei italiani
Il piccolo Enea Sala e Leonardo Maltese, una volta cresciuto, danno vita al bolognese Edgardo Mortara, bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX. Un caso internazionale trattato ampiamente – come anche i tanti analoghi – da David I. Kertzer, Marina Caffiero o Vittorio Messori (in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX – memoriale inedito del protagonista del “Caso Mortara”), oltre ovviamente che in “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, al quale si sono liberamente ispirati il regista e Susanna Nicchiarelli per la sceneggiatura, stesa con la collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro.
Tutto inizia nel quartiere ebraico di Bologna, quando i soldati del Papa arrivano a casa della famiglia Mortara per portare via il piccolo Edgardo, di sette anni. Temendo per la sua vita, all’età di sei mesi, l’allora domestica l’aveva segretamente battezzato e a distanza di anni il diritto canonico dello Stato Pontificio esige che il ragazzino riceva un’educazione cattolica e venga cresciuto dal Vaticano. E’ l’inizio di una battaglia legale, e politica, che non si conclude nemmeno con il declino del potere temporale della Chiesa per la conquista di Roma del 20 settembre 1870.
Il racconto unico e potente di Marco Bellocchio
La componente tecnica è importante nel racconto che fa Marco Bellocchio della storia di Edgardo Mortara, ma ancora una volta è lo sguardo del regista di Bobbio a rendere unico il risultato finale che arriva sul grande schermo. Come sempre, la sua capacità di armonizzare dati oggettivi, narrativa e suggestioni oniriche regala un film personale e riconoscibile, capace di polarizzare lo sguardo del pubblico pur rappresentando l’umanità dei soggetti in causa. Unico e potente, grazie anche alla partecipazione determinante della fotografia di Francesco Di Giacomo, la scenografia di Andrea Castorina, i costumi di Sergio Ballo e Daria Calvelli o le musiche di Fabio Massimo Capogrosso, chiamate in molti casi a farsi carico di un sottotesto non secondario.
L’alternarsi delle ottiche rende ancor più maestosi e distorti gli ambienti vaticani nei quali si svolge il dramma di Edgardo e della famiglia Mortara, una grandiosità soffocante che i crescendo drammatici del commento musicale rendono ancora più opprimente. Costringendo il piccolo ebreo rapito a rifugiarsi nella fantasia e in un personalissimo rapporto con il Cristo al quale si trova costretto a rendere continuo omaggio. Confuso, affascinato, curioso, nell’uomo inchiodato alla croce il bambino vede quasi un compagno di sventura, da aiutare, come nessuno sembra volere – o potere – aiutare lui.
Qualcosa che lo accomuna al Pio IX di un incredibile Pierobon, altra figura non rassicurante né lineare. Un Papa minaccioso e violento (come sa la delegazione della comunità ebraica romana guidata da Paolo Calabresi, irrisa e ricattata), eppure costretto a combattere con il proprio essere Papa Re, pur malato e a suo modo visionario, per mantenere il controllo sulla propria gente, anche a costo di umilianti ‘lezioni’ (come quella impartita all’impacciato Edgardo, ormai cresciuto e fedelissimo).
Nell’opera Rapito di Bellocchio convivono l’empatia e l’orrore, la commozione e il sacro timore, componenti apparentemente inscindibili di una realtà complessa, non semplice nemmeno per i più faziosi, che un tema tanto divisivo sicuramente chiamerà in causa. Prova ulteriore ne sia la messa in scena – molto riuscita e d’effetto – in parallelo di riti e penitenze, tanto della famiglia ebrea riunita, quanto dell’algido funzionario di Fabrizio Gifuni, capace di rendere ancor più disumano il frate domenicano Pier Gaetano Feletti, inquisitore nell’esercizio delle sue funzioni. Ma soprattutto dell’alternarsi di volti e liturgie diverse del processo all’ecclesiastico e della cresima del ragazzo che sanciscono la definitiva sconfitta da parte della famiglia.
La scoperta delle reali motivazioni della servetta alla base del rapimento e la sorda presunzione dell’istituzione vaticana sono ‘dettagli’ che renderanno ancora più inaccettabile il tutto allo spettatore moderno, ma più dell’invito a contestualizzare ripetuto a più riprese da regista e attori è lo stesso finale a creare una anomala sospensione. La fervida immaginazione visiva di Bellocchio – come già in Buongiorno, notte e altrove – lascia aperta una porta tra sogno e cronaca. E il dubbio – anche se in una scena forse troppo confusa e contraddittoria – di un’anima più tormentata di quel che deve esser stata, viste le note finali sulla storia del Mortara adulto, morto in monastero a novanta anni dopo una vita da missionario.
Il noto regista italiano Marco Bellocchiotorna al Festival di Cannes con “Rapito”, un dramma che ricostruisce la vera storia di Edgardo Mortara, un giovane ebreo rapito dalla Chiesa e cresciuto con la forza come cristiano nell’Italia del XIX secolo. Questa è una storia su cui Steven Spielberg aveva messo gli occhi da molto tempo, avendo annunciato nel 2016 che avrebbe realizzato un dramma su Mortara per il quale aveva già iniziato a cercare location nel nostro paese.
L’anno scorso, Marco Bellocchio era a Cannes con un altro dramma sui rapimenti, la miniserie TV Esterno Notte, sul rapimento e l’assassinio dell’ex premier italiano Aldo Moro da parte dei terroristi delle Brigate Rosse. La prima incursione televisiva del regista ha ottenuto un discreto successo e una versione cinematografica è andata bene nei cinema italiani – in due puntate – prima di andare in onda sulla RAI e vendere in tutto il mondo. In un’intervista esclusiva sul sito Variety il regista ha parlato del nuovo film di come ha fatto a portare questo atto di violenza e le sue complesse conseguenze sul grande schermo e perché il Vaticano dovrebbe chiedere perdono.
Cosa l’ha spinta a voler ricostruire la storia di questo sequestro perpetrato in nome di Dio? Mi ha colpito questa storia dopo aver letto un libro su Edgardo Mortara scritto da un cattolico piuttosto conservatore. Il libro ripercorre il cammino della conversione al cattolicesimo di questo bambino che viene rapito dopo aver iniziato il suo cammino religioso da ebreo ortodosso. È una conversione, inizialmente forzata. Ma Edgardo non cambia idea dopo che Roma è stata liberata dal dominio papale, a quel punto è libero di fare ciò che vuole. Diventa invece sacerdote e poi missionario fino alla fine dei suoi giorni.
Era da tanto che desideravi fare questo film? SÌ. Ma subito dopo aver letto il libro ho scoperto che Steven Spielberg stava preparando questo film. Una casa di produzione era venuta in Italia per cercare location e fare dei provini, quindi ho smesso di pensarci. Poi, diversi anni dopo, mentre ero negli Stati Uniti a promuovere “Il traditore” [che è stato presentato al Festival di Cannes nel 2019] ho chiesto in giro e ho sentito che Spielberg non aveva portato avanti il progetto. Quindi lo abbiamo verificato e siamo tornati a lavoraresul film. La storia è ricca di elementi che hanno stimolato la mia immaginazione. È come un grande romanzo del XIX secolo. Nel film i personaggi della madre e del padre sono molto importanti e altrettanto importante è la figura del Papa violento e intollerante ma allo stesso tempo coerente [con le credenze cattoliche di allora].
Pensi che Steven Spielberg avrebbe adottato un approccio diverso? Lavorando con [la sceneggiatrice/regista] Susanna Nicchiarelli [che ha diretto i film storici “Nico, 1988”, “Miss Marx” e “Chiara”] abbiamo utilizzato diversi libri come fonti, ma anche molti documenti. Siccome si tratta di un’Italia che non esiste più, abbiamo fatto un sacco di effetti digitali per ricostruire quel mondo. Ma volevamo anche dare al pubblico un senso reale di ciò che è accaduto. Molto lavoro è stato dedicato alla scenografia e ai costumi. Abbiamo cercato di ricostruire il mondo delle province italiane. Siamo stati molto attenti nell’assicurarci che i tipi di italiano volgare che i personaggi parlano fossero molto accurati. L’accuratezza dell’aspetto linguistico è stato fondamentale per me per renderlo reale. È probabile che il progetto di Spielberg sarebbe stato completamente diverso. Per noi, volevamo davvero difendere il fatto che questa famiglia ebrea vivesse sul suolo italiano.
Dopo la rivelazione di quali titoli avrebbero fatto parte dell’imminente rimozione di contenuti da Disney+ alla fine di questo mese, la Disney ha deciso di annullare la sua decisione di rimuovere i titoli precedentemente annunciati. A seguito del contraccolpo che ha travolto la società sulla decisione di attivare un programma di rimozione pianificata, Deadline riporta che la Disney ha affermato che il documentario Howard rimarrà sul servizio. Il documentario racconta la vita del famoso paroliere gay DisneyHoward Ashman e il suo ruolo principale nella creazione di alcune delle canzoni più memorabili della compagnia degli anni ’90.
La tempistica della rimozione pianificata è stata accolta con un certo dissenso, poiché il remake live-action de La sirenetta di questo mese presenta molti dei testi di Ashman, mentre il mese del Pride LGBTQ+ inizierà il 1° giugno. “L’elenco dei titoli in uscita da Hulu e Disney+ la prossima settimana è ancora in fase di definizione“, ha detto un rappresentante della Disney. Questa risposta suggerisce che altri contenuti potrebbero essere aggiunti o rimossi dall’elenco prima che le cose inizino a essere tolte dallo streamer il 26 maggio.
Durante la stessa discussione in cui sono state inizialmente annunciate le rimozioni, la società ha annunciato che avrebbe aggiunto i contenuti di Hulu a Disney+ entro la fine dell’anno per creare una “esperienza con un’unica app“. Questo vale solo per gli USA, perché in alcuni paese come ad esempio l’Italia in cui Hulu non è disponibile, la programmazione di Hulu è già disponibile su Disney+ sotto il marchio per adulti di Star.
Mortal Kombat 2 seguirà l’esempio del suo predecessore e film di successo del 2021 e la produzione sarà ancora in Australia. Le riprese si svolgeranno nel Gold Coast, nel Queensland, da Adelaide nel South Australia. Il titolo New Line Cinema e Warner Bros. Pictures è basato sull’iconico videogioco di Ed Boon e John Tobias. Le riprese inizieranno ai Village Roadshow Studios a partire da giugno.
Mortal Kombat 2 è scritto da Jeremy Slater e sarà nuovamente diretto dall’australiano Simon McQuoid. Il film sarà prodotto da Atomic Monster di James Wan e Broken Road Productions di Todd Garner. La produzione è stata attirata dal governo del Queensland grazie alla strategia di attrazione della produzione di Screen Queensland. La produzione sarà inoltre elegibile per il regime di compensazione recentemente rivisto del governo federale australiano.
“Con una spesa locale stimata di oltre $ 68 milioni, Mortal Kombat 2 è un grande successo per l’economia dello stato, creando almeno 560 posti di lavoro per il cast e la troupe del Queensland“, ha dichiarato Annastacia Palaszczuk, premier del Queensland. “Sono così orgoglioso che Atomic Monster sia in grado di portare le riprese di ‘Mortal Kombat 2‘ in Australia“, ha dichiarato James Wan, produttore. “Girare il primo film in Australia è stata un’esperienza fantastica, sono entusiasta che con l’aiuto di Screen Australia e Screen Queensland, possiamo mostrare le maestose location del Queensland e lavorare con i talenti artistici di prim’ordine che vivono lì.”
Mortal Kombat 2 è prodotto da Wan e Michael Clear per Atomic Monster, Todd Garner, Simon McQuoid e E. Bennett Walsh. Il film, An Atomic Monster/A Broken Road Production, sarà distribuito dalla Warner Bros. Pictures.
The Mother continua a guidare tutti i titoli Netflix per la seconda settimana consecutiva con 92 milioni di ore visualizzate durante la finestra di visualizzazione dal 15 al 21 maggio. Pertanto, porta il film a raggiungere più di 90 milioni di visualizzazioni. Netflix calcola le visualizzazioni totali dividendo le ore totali guardate (178,1 milioni di ore) per la durata totale (1,96 ore).
Gli spin-off hanno regnato sovrani nella classifica della TV in lingua inglese. Al primo posto della lista c’è “Queen Charlotte: A Bridgerton Story“, che ha registrato ulteriori 82,39 milioni di ore di visualizzazione. Nella sua terza settimana nella classifica dei titoli popolari, anche il racconto dell’era georgiana di Shonda Rhimes è apparso nella Top 10 in 89 paesi. Anche le stagioni 1 e 2 di “Bridgerton” sono rientrate nelle classifiche di questa settimana al n. 6 e al n. 7, rispettivamente, quando gli spettatori hanno rivisitato o scoperto la serie originale. La prima stagione del dramma in costume ha registrato 19,46 milioni di ore visualizzate, mentre la seconda stagione ha registrato 18,17 milioni di ore visualizzate.
Appena sotto c’è la serie sequel di “To All the Boys“, “XO, Kitty“, che ha aperto a 72,08 milioni di ore visualizzate dopo il suo debutto il 18 maggio. Con Anna Cathcart (Kitty Song Covey) e Minyeong Choi (Dae), la commedia romantica di YA ha avuto oltre 14 visualizzazioni totali ed è apparsa nella Top 10 in 90 paesi. La sesta stagione di “Selling Sunset” ha scalato la classifica con una solida apertura dopo il suo debutto il 19 maggio. Con i nuovi membri del cast Bre Tiesi e Nicole Young, la serie ha guadagnato 22,78 milioni di ore visualizzate nei primi tre giorni di disponibilità e si sono piazzati al quarto posto nella lista.
Florence Pugh ha rivelato alla rivista Time che molte persone nella comunità cinematografica indipendente erano “incazzate” con lei quando ha deciso di unirsi al Marvel Cinematic Universe. Florence Pugh si è fatta un nome con ruoli acclamati in film indipendenti come “Lady Macbeth” e “Midsommar” prima di ottenere una nomination all’Oscar per “Piccole donne” di Greta Gerwig. Si è unita al MCU come Yelena Belova in “Black Widow” e ha ripreso il ruolo nella serie Disney+ “Hawkeye“. Yelena tornerà nel prossimo film tentpole della Marvel “Thunderbolts“.
“Così tante persone nel mondo del cinema indipendente erano davvero incazzate con me“, ha detto Pugh. “Erano tipo, ‘Fantastico, ora se n’è andata per sempre.’ E io sono tipo, no, sto lavorando sodo come lavoravo prima. Ho sempre fatto film back-to-back. È solo che le persone li stanno guardando ora. Devi solo essere un po ‘più organizzato con il tuo programma”. Mentre Florence Pugh ha raggiunto il mainstream con il suo ruolo Marvel, non ha voltato le spalle ai film indipendenti. Tra un film e l’altro della Marvel, ha girato il dramma sostenuto da Netflix di Sebastian Lelio “The Wonder” e si è guadagnata il plauso della critica per il suo ruolo. Di recente è stata la protagonista dell’ultimo lavoro di regia indipendente di Zach Braff, “A Good Person“.
A marzo, Florence Pughha dichiarato alla rivista Total Film che alcune persone del settore le avevano detto che “non sarebbe mai più tornata ai piccoli film” dopo aver fatto il salto nel Marvel Cinematic Universe. “Mi ha sempre in qualche modo ferito“, ha detto. “Perché penso che ci sia bellezza in tutti i tipi di quei film. C’è bellezza nelle trame enormi ed epiche come “Dune“, come la Marvel, come anche “Oppenheimer” che ho fatto. Sono fantastici, mega film. E poi c’è anche la bellezza in tutti questi piccoli che non tutti vedranno, ma influenzeranno la persona giusta al momento giusto. Non ho mai, mai pensato che avrei fatto solo un tipo di film. Ho sempre saputo che voglio dilettarmi in tutte le aree”.
Thunderbolts arriverà nelle sale nel luglio 2024. Prima di allora, Pugh reciterà in Oppenheimer di Christopher Nolan e farà il suo debutto in un altro grande franchise di studio: interpreterà la principessa Irulan in “Dune: Part Two” di Denis Villeneuve, ” entrando a far parte di un cast che include artisti del calibro di Timothée Chalamet, Zendaya e Austin Butler. “Avevo bisogno di persone che avessero il carisma necessario“, ha detto Villeneuve alla rivista Time riguardo all’assemblaggio del cast per il sequel di “Dune“. “Penso che Florence, Zendaya, Timothée [Chalamet] e Austin [Butler] saranno il nuovo potere di Hollywood. Queste figure forti e carismatiche riporteranno le persone a teatro”.
Un anno dopo Esterno Notte, la sua serie sul rapimento e l’assassinio nel 1978 dell’ex capo del governo italiano Aldo Moro, il regista italiano Marco Bellocchio cattura un altro rapimento che ha fatto notizia nell’Italia dell’Ottocento. Rapitoracconta la storia di Edgardo Mortara, un bambino nato in una famiglia ebrea, rapito dalla Chiesa per ordine del Papa per essere cristianizzato. Il film è concorso per la Palma d’Oro al Festival di Cannes.
Cosa sapevi della vicenda Mortara prima di iniziare a scrivere questo lungometraggio? Non lo sapevo. L’ho scoperto in un libro di Vittorio Messori, un autore molto cattolico e conservatore che ha sviluppato la vita di Edgardo Mortara e ha difeso le ragioni che hanno portato il Papa a separarlo dalla sua famiglia. Il suo libro svela le contraddizioni esistenziali di Mortara. Pare che oltre al suo rapimento – sul quale Messori passa sotto silenzio -, Mortara non abbia goduto di una vita molto serena. Ma ha rivendicato la sua libertà e la sua conversione spontanea per diventare cattolico. Inoltre, il film originariamente doveva intitolarsi The Conversion . La storia che Messori ne racconta tradisce una sofferenza permanente a causa delle contraddizioni che lo abitavano.
Come ti sei avvicinato alla sceneggiatura con Susanna Nicchiarelli? Oltre a quello di Messori, abbiamo essenzialmente basato il nostro lavoro sui libri: quello di Daniele Scalise, che evoca anche questo caso, o anche quello di David Kertzer, che Steven Spielberg ha voluto adattare prima di cambiare idea. Come per Esterno Notte, abbiamo cercato di basare il nostro racconto su fatti storicamente indiscutibili, per poi lasciare che la nostra immaginazione si inserisse negli spazi che la Storia ha lasciato vacanti. Ad esempio, avevamo pochissime informazioni sulle personalità dei personaggi. Abbiamo rispettato alcuni capisaldi storici per costruire la struttura del film: il rapimento nel 1858, il processo nel 1860 e la presa di Roma nel 1870.
Ci sono voluti solo due anni perché Wes Anderson tornasse alle competizioni per la Palma d’Oro dopo The French Dispatch, il suo mosaico di storie francesi nel XX secolo. Il regista dallo stile così particolare torna indietro nel tempo presentando in Asteroid City il ritratto di una città degli anni ’50 e dei suoi abitanti.
Nel mezzo del deserto, nel sud-ovest degli Stati Uniti, si trova Asteroid City. Questa minuscola città, caratterizzata dal suo cratere meteoritico e dal suo osservatorio astronomico, ospita questo fine settimana del 1955 il convegno Junior Stargazer. Militari, scienziati e genitori di tutto il paese si riuniscono per scoprire le spettacolari invenzioni di bambini dotati. Mentre Augie Steenbeck (Jason Schwartzman) incontra l’attrice Midge Campbell (Scarlett Johansson), gli alieni vengono alla festa…
Inquadrature simmetriche, fotografia pastello e recitazione minimalista: il tocco del regista texano si avverte fin dalle prime inquadrature di Asteroid City. Dopo il mondo degli scout, degli hotel di lusso o del giornalismo, Wes Anderson affronta l’ovniologia attraverso questa storia di fantascienza pensata come una storia d’amore. Il film dall’estetica retrò è musicato dal pluripremiato compositore Alexandre Desplat, che ha collaborato con Anderson sin da Fantastic Mr. Fox (2009). Asteroid City uscirà al cinema il 23 giugno 2023.
Jo Nesbø è uno dei più noti scrittori norvegesi, specializzato in romanzi di genere crime, tra cui spicca la serie con protagonista il detective Harry Hole, brillante nel suo lavoro ma con metodi poco ortodossi. Di tredici libri dedicati a tale personaggio, solo il settimo, Snømannen, è ad oggi diventato un film. Si tratta di L’uomo di neve (qui la recensione), diretto dal regista svedese Tomas Alfredson (noto anche per Lasciami entrare e La talpa) e con protagonista l’attore candidato agli Oscar Michael Fassbender.
Originariamente doveva essere Martin Scorsesea dirigere il film, rimanendo però poi come solo produttore esecutivo. La produzione di L’uomo di neve è come noto stata infatti piuttosto travagliata e si è svolta in un breve lasso temporale. Un periodo troppo ristretto secondo Alfredson, che non avrebbe permesso di preparare adeguamente la sceneggiatura (tanto che alcune parti non sarebbero state girate) e la sua messa in scena. Problemi poi riscontrati anche dalla critica e dal pubblico, che hanno sonoramente bocciato il film.
Si può infatti notare un grande potenziale inespresso, che non trova giustizia a causa di alcune lacune nella storia. Rivedere oggi il film è comunque consigliato ai fan del genere, che potranno imbattersi in una visione con diversi elementi affascinanti. Prima, però, sarà utile approfondire alcune curiosità relative al film. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama e il cast di L’uomo di neve
Il film ha dunque per protagonista il detective Harry Hole, il quale si trova a dover risolvere un complesso e orrorifico caso: quello del serial killer che firma i suoi omicidi realizzando pupazzi di neve sul luogo del delitto e pertanto rinominato L’uomo di neve. Tra i due si sviluppa un vero e proprio gioco sadico, con il killer che provoca il detective lasciandogli degli indizi che però non sembrano portare a nessuna scoperta utile a svelare la sua identità.
Temendo di trovarsi di fronte ad un serial killer inafferrabile che da tempo si pensava morto, il detective ingaggia la brillante recluta Katrine Bratt, per aiutarlo a collegare alcuni casi irrisolti risalenti a molto tempo addietro, con i più recenti e brutali. Procedendo così, i due sperano di far uscire allo scoperto lo psicopatico che li sta osservando da chissà quanto tempo. Se falliranno nelle loro indagini, però, un male impensabile colpirà ancora una volta con l’avvento della successiva nevicata.
Come anticipato, ad interpretare il detective Harry Hole vi è l’attore Michael Fassbender, mentre Katrine Bratt ha il volto dell’attrice Rebecca Ferguson. L’attore Val Kilmer interpreta invece Gert Rafto, un detective alcolizzato. Se si ascolta il film in lingua originale, si noterà che Kilmer non parla con la sua vera voce. L’attore è infatti stato doppiato per via del cancro avuto alla gola. Recitano poi nel film gli attori Charlotte Gainsbourg nei panni di Rakel Fauke, J. K. Simmons in quelli di Arve Stop e Chloe Sevigny in quelli di Sylvia Ottersen.
L’uomo di neve: la spiegazione del finale
Per comprendere il finale del film è fondamentale la sua prima scena. In essa vediamo un ragazzo e sua madre Sarah ricevere la visita del violento padre biologico, un agente di polizia di nome Jonas. Questi aggredisce sessualmente Sarah, che minaccia di dire alla moglie di lui del loro figlio illegittimo. Quando Jonas se ne va, Sarah lo segue in macchina con il figlio ma durante l’inseguimento, cade in uno stato catatonico, lasciando andare il volante. Il ragazzo scappa mentre l’auto si schianta in un lago con la madre che, rimasta nell’auto, affonda.
Proprio quel bambino, da adulto, si rivelerà essere l’assassino. Il suo nome è Mathias e nel corso del film lo si conosce come il nuovo compagno di Rakel, l’ex fidanzata di Harry Hole. Mathias è cresciuto con la convinzione di essere stato abbandonato dalla madre e pertanto uccide donne che gli ricordavano la genitrice, senza però rendersi conto che a non volerlo era il padre. Si costruisce così un racconto particolarmente intricato, che però per i motivi evidenziati precedentemente non è riuscito ad esprimersi al meglio.
Il trailer di L’uomo di neve e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di L’uomo di neve grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Google Play, Apple TV e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di martedì 23 marzo alle ore 21:00 sul canale 20 Mediaset.
Divenuto uno dei principali interpreti dei film d’azione statunitensi, l’attore Jason Statham si è trovato nel 2013 a dar volto ad un personaggio ambito da molti. Si tratta del ladro noto come Parker, specializzato in furti ma con un ferreo codice morale che gli impedisce di rubare ai poveri. Questi è il protagonista di Parker (qui la recensione), film diretto da Taylor Hackford, già regista di Ufficiale e gentiluomo, e tratto dal romanzo Flashfire: fuoco a volontà, scritto nel 2000 da Donald E. Westlake. Si tratta di uno degli ultimi volumi della saga, composta da oltre venti romanzi, dedicata al personaggio.
Considerato uno dei più grandi giallisti di tutti i tempi, nonché maestro insuperato dello humor nelle trame poliziesche, Westlake aveva già visto diventare il suo ladro gentiluomo un personaggio dei film. Questo era infatti stato portato sul grande schermo nel 1967 da Lee Marvin in Senza un attimo di tregua, e nel 1999 da Mel Gibsonin Payback – La rivincita di Porter. In entrambi i casi, però, l’autore non autorizzò l’utilizzo del nome da lui scelto per il personaggio. Per il film del 2013 fu possibile avvalersi di questo a causa della scomparsa di Westlake, avvenuta nel 2008.
Girato nelle città di Columbus, New Orleans e West Palm Beach, il film si affermò al suo arrivo in sala come un discreto successo. Con un budget di circa 30 milioni di dollari, Parker ne guadagnò infatti 46 a livello globale, e Statham venne lodato per la sua interpretazione. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama del film
Protagonista della storia è il ladro Parker, il quale ha costruito la sua fama sul non derubare mai i più bisognosi e innocenti, mettendosi invece spesso al loro servizio. All’inizio del film egli si trova coinvolto in una nuova rapina, richiestagli dal suo mentore, Hurley. Il suo compito è quello di collaborare con una banda di criminali capeggiata da Melander per sottrarre gli incassi della Ohio State Fair, fiera locale che raccoglie milioni di dollari. Nonostante un imprevisto, il colpo riesce ma durante la fuga in auto Parker rifiuta la proposta di unirsi alla banda per il loro successivo colpo. Non disposti ad accettare il suo rifiuto e a cedergli la parte di bottino che gli spetta, i criminali aggrediscono Parker e gli sparano, lasciandolo apparentemente morto sul ciglio di una strada deserta.
Questi riesce tuttavia a sopravvivere, e a trovare riparo presso una famiglia di braccianti agricoli. Qui si rimette in forze, progettando una spietata vendetta nei confronti dei suoi aggressori. Messosi sulle loro tracce, Parker giungerà fino nella sfarzosa Palm Beach, dove sa che i criminali daranno vita al loro prossimo colpo. Ad aiutarlo nella soddisfazione della rivincita, ci sarà Leslie Rodgers, un’agente immobiliare dotata di una conoscenza enciclopedica della zona. Con l’esperienza di lei, Parker diventerà pressocché inarrestabile, e nulla potrà fermarlo dall’ottenere ciò che vuole.
Il cast del film
Per riportare sul grande schermo il celebre personaggio, Jason Statham è stato l’unico attore considerato dai produttori e dal regista. Questi è noto per la sua grande presenza scenica ed esperienza con questo tipo di storie ricche di azione e adrenalina. Come suo solito, egli richiese di poter interpretare quante più scene possibile senza avvalersi dell’uso di controfigure. Ebbe così modo di eseguire spericolate acrobazie d’auto e complesse coreografie fisiche. Il regista affermò di essere stato in più occasioni seriamente preoccupato per la sua incolumità, ma Statham non ha riportato nessun infortunio. Accanto a lui, nel ruolo del suo mentore Hurley, vi è invece l’attore candidato all’Oscar Nick Nolte.
Il ruolo dell’affascinante Leslie Rodgers è invece interpretato da Jennifer Lopez. L’attrice si dichiarò particolarmente interessata a questo, che le avrebbe permesso di tornare a recitare in un film d’azione dopo diverse commedie romantiche. Nel romanzo il personaggio ha in realtà origini diverse da quelle sudamericane, ma il regista decise di riscriverlo affinché si adattasse alla Lopez. Michael Chiklis, celebre per essere stato La Cosa inI Fantastici 4, interpreta invece il criminale Melander, mentre Wendell Pierce e Clifton Collins Jr. i suoi scagnozzi Carlson e Ross. Bobby Cannavale, noto per i film Blue Jasmine e The Irishman, veste qui i panni dello sceriffo di Palm Beach Jake Fernandez. Patty LuPone, recentemente vista nella miniserie Hollywood, è invece la severa madre di Leslie, di nome Ascension.
Il trailer di Parker e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile vedere o rivedere il film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.Parker è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, in base alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda visione casalinga. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno martedì 23 maggio alle ore 21:25 sul canale Nove.
Considerato uno dei mostri cinematografici per eccellenza, Godzilla ha fatto la sua prima comparsa al cinema nel 1954, e da quel momento una lunga serie di film a lui dedicati gli hanno permesso di acquisire fama mondiale. Inevitabile dunque che anche l’industria hollywoodiana si interessasse al personaggio, acquisendone i diritti per un film. Godzilla (qui la recensione), distribuito al cinema nel 1998, è così divenuto il primo film dedicato alla creatura realizzato interamente da uno studio cinematografico. A dirigerlo vi è il regista Roland Emmerich, celebre per i suoi film catastrofici come Independence Day e The Day After Tomorrow.
La produzione del film si rivelò però lunga e complessa. Le maggiori divergenze si ebbero sull’aspetto del celebre kaijū. Lo studio di produzione giapponese Toho, celebre per aver prodotto tutti i film di Godzilla fino a quel momento realizzati, suggerì infatti delle linee guida per il design della creatura. Emmerich, però, preferì non seguire tali direttive, giudicando stupida la figura originale del personaggio. Egli, quindi, diede ordine di stravolgere Godzilla, che finì per perdere molte delle proprie caratteristiche antropomorfe per assomigliare maggiormente ad un’iguana gigante. Per il regista l’importante era che Godzilla fosse in grado di correre, così da poter contribuire ad un ulteriore dinamismo nel film.
L’aver stravolto in modo tanto radicale il personaggio, però, si rivelò una mossa sbagliata. Nonostante l’ottimo guadagno di circa 380 milioni a livello globale, il film venne infatti pesantemente criticato dai fan del personaggio. Questi non ritrovarono nulla dell’originale Godzilla nella nuova creatura realizzata. La stessa Toho finì con il prendere le distanze da esso, rinominando la nuova versione con il solo nome di “zilla”, volendo distinguerlo dall’originale. Nonostante ciò, con gli anni il film è diventato un classico dei grandi blockbuster hollywoodiani degli anni Novanta, e molte delle sue scene sono oggi particolarmente celebri e apprezzate per la loro forza comunicativa.
Godzilla: la trama del film
Alla base della storia del film vi sono una serie di esperimenti nucleari condotti su disabitati atolli nell’oceano. Su di essi, in realtà, si trovavano gruppi di iguane. Colpite dalle radiazioni, queste hanno iniziato trasformarsi in una nuova specie di mostri giganteschi. L’unico sopravvissuto di questi si manifesta inizialmente affondando un peschereccio giapponese, e in seguito uscendo allo scoperto tra le strade di New York. Rinominato “Godzilla“, il mostro è estremamente minaccioso, violento e inarrestabile, tanto che le armi dell’esercito sembrano non potere nulla contro di lui. Per cercare di trovare una soluzione, entra nella squadra il biologo esperto di radiazioni Nick Tatopoulos.
Collaborando con l’esercito americano, egli inizia a studiare la creatura e le sue abitudini, ricercando un modo per fermarla. Godzilla però sembra inarrestabile e ogni piano proposto finisce con un nulla di fatto. Ci sono però verità di cui Tatopoulos non è al corrente. Nel momento l’esercito lo allontana con l’accusa di fuga di notizie, si ritroverà coinvolto nei servizi segreti francesi. Questi, capitanati da Philippe Roaché, dimostrano di saperne molto di più sulla creatura. Conducendo il biologo nella New York sotterranea, scopriranno infatti il tesoro che Godzilla custodisce gelosamente, e che potrebbe rivelarsi la loro arma migliore contro di lui.
Godzilla: il cast del film
A capitanare il variegato cast, comprendente anche diversi attori francesi, vi è Matthew Broderick. Il ruolo di Nick Tatopoulos è stato scritto proprio pensando all’attore, che negli anni precedenti aveva ottenuto notorietà per diverse commedie. I produttori, infatti, ritennero che la sua presenza avrebbe permesso di alleggerire il tono cupo del film. Affascinato dal progetto, Broderick accettò la parte senza neanche leggere la sceneggiatura, che in quel momento era ancora in fase di scrittura. Tuttavia, a progetto ultimato, l’attore affermò di non aver gradito l’esperienza sul set, e di non aver apprezzato il risultato finale del film. Ancora oggi Broderick lo considera una grande macchia nella sua carriera da interprete.
Allo stesso tempo, per il ruolo di Phillipe Roaché venne scelto l’attore francese Jean Reno. Egli si era reso celebre per film come Léon e Mission: Impossible, e sembrava essere il volto giusto per un film di questo genere. L’attore accettò di partecipare, essendosi dichiarato un fan di Godzilla, ma finì anche lui con il disprezzare il film per il suo risultato poco convincente. Nel cast vi è poi l’attrice Maria Pitillo nei panni della giornalista Audrey Timmonds, ex fidanzata di Tatopoulos. Originariamente il ruolo era stato pensato per l’attrice Sarah Jessica Parker, in seguito divenuta moglie di Broderick, ma questa rifiutò.
Per la carriera della Pitillo il film si rivelò un brutto colpo. L’attrice vinse infatti il Razzie Awards come peggior attrice non protagonista, e pochi anni dopo decise di ritirarsi dalla recitazione. Infine, nel cast si ritrova anche la presenza di Hank Azaria, nel ruolo del video-reporter Victor Palotti. Azaria è meglio noto come doppiatore, e in particolare nella serie animata I Simpson ha dato voce a numerosi dei personaggi principali, come il commissario Winchester, Apu e Boe Szyslak.
I sequel di Godzilla, il trailer e dove vedere il film completo in streaming
Quando la casa di produzione TriStar acquisì i diritti sul personaggio, l’intenzione era quella di realizzare un’intera trilogia dedicata a Godzilla. Ancor prima di iniziare le riprese del primo film, Emmerich aveva infatti già commissionato la scrittura del sequel. Stando a quanto riportato, questo avrebbe dovuto narrare dell’ultimo figlio di Godzilla, sopravvissuto alle esplosioni del precedente film, e ora intento a lottare contro un insetto gigante nella città di Sydney. A causa dello scarso entusiasmo nei confronti del film del 1998, però, lo studios decise di abbandonare definitivamente il progetto. Venne tuttavia realizzato Godzilla: The Series, serie animata che, riprendendo personaggi ed eventi del primo film, funge da suo sequel diretto.
Per gli amanti del film, o per chi volesse vederlo per la prima volta, è possibile fruirne grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Godzillaè infatti presente nel catalogo di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple Tv+, Amazon Prime Video e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale, avendo così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Con l’abbonamento generale, inoltre, non si avranno limiti temporali entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di martedì 23 marzo alle ore 21:15 sul canale Cielo.
Ecco il secondo trailer di Asteroid City dall’imminente commedia drammatica romantica di Wes Anderson, la cui premiere è prevista per il 16 giugno in sale selezionate. Seguirà un’ampia distribuzione il 23 giugno. I primi due video danno entrambi un’anteprima del personaggio di Scarlett Johansson, una famosa attrice con una figlia. Un terzo presenta un piccolo sguardo ai personaggi di Tom Hanks, Liev Schreiber e Hope Davis, mentre discutono dei piani dell’esercito.
Asteroid City aveva originariamente ricevuto una valutazione R dalla Motion Pictures Association of America per “breve nudità”. Tuttavia, Anderson e Focus Features sono stati in grado di appellarsi con successo contro la decisione. La sua attuale valutazione ufficiale è PG-13 per “per brevi nudità esplicite, fumo e materiale suggestivo”.
Asteroid City si svolge in un’immaginaria città americana nel deserto nel 1955. Sinossi: L’itinerario di una convention di giovani astronomi e cadetti spaziali (organizzata per riunire studenti e genitori di tutto il paese per una competizione accademica e di affiatamento) viene spettacolarmente sconvolto da eventi che cambiano il mondo.
Come accade nella maggior parte dei blockbuster – per non dire in tutti – anche Fast Xpresenta una scena post-credits dopo i titoli di coda. Al cinema, perciò, è bene rimanere seduti sulla poltroncina fino a quando le luci in sala non si accendono, al fine di non perdersi una scena molto interessante, che segna un grande – e attesissimo ritorno – nella saga.
È un volto familiare, uno di quelli che il fanbase di Fast & Furious ha sperato di rivedere per anni, quello presente nelle immagini del post-credits e che segue lo spiazzante cliffhanger finale. Ma di cosa si tratta e, soprattutto, di chi stiamo parlando? Di seguito, lo svelamento del personaggio e la spiegazione del post-credits.
La scena post-credit
Per suscitare stupore ed entusiasmo, Fast X si affida a una sola scena dopo i titoli di coda, talmente potente da bastare per due. Iniziamo subito col dire che questa si allontana dal cliffhanger conclusivo, focalizzandosi invece su una missione che vede come protagonista il tanto amato Luke Hobbs impersonato dall’indimenticabile Dwayne Johnson. Il quale era stato visto per l’ultima volta nello spin-off Hobbs & Shaw.
Hobbs, insieme alla sua squadra, fa irruzione in un magazzino abbandonato, nel quale trova una serie di monitor che mostrano Dominic Toretto e tutta la Fast Family nel corso degli anni. Ad un certo punto, il telefono squilla, e dall’altra parte del telefono c’è Dante, che gli confessa di star cercando Toretto per quello che è successo al padre anni prima, ma che in realtà a premere il grilletto e ucciderlo è stato proprio lui, Hobbs, che è perciò presente nel piano di vendetta del villain.
Il ritorno di Hobbs prepara il terreno di Fast & Furious 11
L’aver fatto tornare un personaggio che può essere etichettato come storico, segna un cambiamento imminente per l’evoluzione della storia che si concluderà con l’undicesimo capitolo. È chiaro che, la presenza di Hobbs, rimescola le carte e definisce meglio la trama della seconda parte di Fast X, che a questo punto si rivelerà molto più esplosiva. Il suo ritorno potrebbe portare a un livello successivo l’energia del film, se questo avesse come nuovo punto di riferimento la vendetta di Dante contro Hobbs.
Nel decimo capitolo, il villain si è concentrato totalmente su Dom e la sua famiglia, e quindi l’incursione del personaggio di The Rock potrebbe portare un’aria più fresca e nuova, non facendo spegnere così l’adrenalina. Ma non solo: il fatto che Dante sia anche contro Hobbs, potrebbe segnare un’alleanza fra quest’ultimo e Dominic, avendo entrambi un nemico comune che vuole sconfiggerli. Una cosa che, tutto il pubblico, si aspettava da tempo.
Con il ritorno di Hobbs finisce la faida fra The Rock e Vin Diesel?
La presenza di Dwayne Johnson in Fast X e – sicuramente – in Fast & Furious 11, potrebbe essere il segnale concreto della fine della faida fra lui e Vin Diesel, di cui se ne è parlato per diversi anni. Fra i due “alfa” – così li definì Diesel in un’intervista a GQ – non scorreva buon sangue dietro le quinte, proprio per questa loro natura di leader. In realtà, Diesel e The Rock hanno sempre avuto due approcci diversi a lavoro, e anche questo ha influenzato – e alimentato – la loro disputa. Johnson, dopo averlo visto per l’ultima volta in The Fate and the Furious, aveva dichiarato che non sarebbe più tornato nel franchise ma, con la scena post-credits, le cose sembrano cambiate.
Questo induce a pensare che il rapporto con Diesel sia più disteso rispetto a prima, presumibilmente per permettere alla saga di avere il suo epico finale. Quello che infatti ci si aspetta dall’ultimo capitolo è l’unione fra Hobbs e Dominic, un lavorare insieme per poter eliminare Dante. Il materiale narrativo presente suggerisce che si potrebbe procedere in questa direzione, seppur ci siano alcuni dubbi sull’inserimento di scene in cui Vin Diesel e Dwayne Johnson sono insieme. Questo, però, sarebbe il miglior modo per dare a Fast & Furious un epilogo indimenticabile. Dom e Hobbs dovrebbero, per l’ultima volta, combattere fianco a fianco.
Come gli altri film dei Guardiani della Galassia, anche Guardiani della Galassia Vol. 3 riesce a funzionare da solo senza trascurare il fatto che fa parte di un universo più ampio. Il terzo capitolo di questa saga capitanata da James Gunn si concentra sul passato, approfondendo la storia di Rocket Raccoon, ma getta anche le basi per il futuro della squadra nel MCU, cambiandone persino il tono.
Guardiani della Galassia Vol. 3 è l’ultimo lavoro di Gunn nel MCU prima di passare alla direzione di DCU. Il film ha funzionato come epilogo per la squadra originaria dei Guardiani ma ha fatto anche da trampolino per il futuro. Ciò significa che questo Vol. 3 è pieno di riferimenti a ciò che potrebbe accadere nel MCU.
Il ritorno di Howard il Papero
Howard il Papero ha debuttato per la prima volta nel MCU durante Guardiani della Galassia come parte del Museo del Collezionista, ma ha avuto altri camei nei film una volta che i Guardiani lo hanno salvato. In Guardiani della Galassia Vol. 3 non si fa eccezione. Il film lo vede in un piccolo cameo mentre gioca a poker con i Ravagers.
I fan erano preoccupati per la breve permanenza di Howard il Papero nel MCU. Il nuovo film di Gunn ha riportato questo personaggio per la gioia di tutti. Questo apre la porta ai Marvel Studios per dare a Howard una serie tutta sua o una futura presentazione speciale su Disney+.
MCU non più per bambini
Da Guardiani della Galassia, Gunn ha dimostrato di essere in grado di mescolare un incredibile senso dell’umorismo e alcune delle emozioni più profonde di sempre. Guardiani della Galassia Vol. 3 è il suo film più crudo del MCU. Tra le morti strazianti di Lylla, Floor e Teefs e il volto dell’Alto Evoluzionario dopo l’attacco di Rocket, è difficile credere che questo film sia adatto ai bambini.
I fan sperano che la natura più matura del Vol. 3, unita all’imminente film di Deadpool nel MCU, sia il primo segno di un cambiamento di classificazione in questo universo. Finora, l’atmosfera orientata ai bambini è una delle maggiori critiche mosse al MCU.
Linguaggio (cit. Capitan America)
Quando i Guardiani arrivano per la prima volta sulla Contro-Terra, una famiglia di antropomorfi li aiuta e presta loro la macchina. In un momento umoristico prima dell’epico climax, Star-Lord cerca di spiegare a Nebula come aprire la portiera dell’auto, finendo per sentirsi frustrato e urlare: “Apri la porta del ca**o!“.
Questa battuta segna un primato del MCU: la prima parolaccia. Considerando che Deadpool 3 sarà sicuramente ricco di umorismo maturo, questo dialogo apre la porta a un cambiamento del rating del MCU, ma non solo per quanto riguarda la violenza sullo schermo.
Gamora
Guardiani della Galassia Vol. 3 ha finalmente risolto la storia di Gamora nel MCU. Dopo che la Gamora originale è morta a Vormir e la sua versione alternativa dal passato ha viaggiato nel presente, molti fan credevano che lei e Peter avrebbero trovato un modo per ravvivare la loro relazione. Non è stato così.
Il film ha stabilito che la Gamora del 2014 è diventata una Ravager. Anche se si affeziona a Peter e alla squadra, è ovvio che ha trovato la sua famiglia con la banda. È improbabile che sia di nuovo un Guardiano della Galassia del MCU.
Phyla-Vell
Quando hanno salvato tutti i ragazzi dalla nave dell’Alto Evoluzionariohanno chiesto l’aiuto di una delle ragazze per comunicare con l’intera comunità. Questa ragazza è riapparsa nelle scene post-credit come membro del nuovo roster dei Guardiani della Galassia. Rocket Raccoon ha sorpreso i fan Marvel più accaniti rivolgendosi a lei come Phyla, come Phyla-Vell, la creazione di Captain Marvel.
Il MCU ha introdotto molti giovani eroi potenti in progetti precedenti, come Kate Bishop in Hawkeye o America Chavez in Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Ora Phyla si aggiunge alla schiera dei possibili membri di un futuro superteam di adolescenti del MCU.
La squadra si scioglie dopo Guardiani della Galassia Vol 3
Guardiani della Galassia Vol 3 è il canto del cigno di Gunn nel MCU, è logico che segni la fine di un’era. Questo film segue l’ultima avventura del roster originale dei Guardiani. Per esempio, alla fine del film, Mantis parte per ritrovare se stessa e Nebula e Drax rimangono a Knowhere per crescere i bambini salvati.
Questi addii costituiscono alcuni dei finali più tristi del MCU. Tuttavia, aprono anche la porta a nuovi inizi. I fan amano Nebula, Drax e Mantis. Anche se Dave Bautistaha già detto addio al ruolo, questi tre personaggi potrebbero tornare in futuro per un altro progetto.
Alla fine del film, i Guardiani della Galassia riescono a sfuggire all’Alto Evoluzionario e a salvare tutte le sue vittime umane e animali. Tuttavia, il film è piuttosto ambiguo riguardo al destino finale del cattivo. Dal momento che i Guardiani lo hanno abbandonato, potrebbe essere ancora vivo.
Guardiani della Galassia Vol 3 ha consacrato l’Alto Evoluzionario come uno dei peggiori cattivi del MCU. I fan hanno immediatamente odiato il suo atteggiamento narcisistico e le sue tendenze alla crudeltà verso gli animali. È perfetto per una trama più lunga. Sarebbe deludente se i Marvel Studios non sfruttassero questo personaggio.
Adam Warlock
I Marvel Studios hanno fatto diverse anticipazioni su Adam Warlock prima del suo debutto il Guardiani della Galassia Vol 3. Questa creazione artificiale dell’Alto Evoluzionario funge da cattivo secondario e ingenuo che sta ancora trovando il suo posto nel mondo. Alla fine del film, Warlock è un membro ufficiale dei Guardiani della Galassia.
Data l’importanza di Warlock nell’Universo Marvel, sarebbe deludente sapere che il film di James Gunn sarà la sua unica apparizione nel MCU. Che si tratti di un membro dei Guardiani o di un’avventura in solitaria, Will Poulter dovrebbe riprendere presto questo ruolo.
Alla fine del Vol. 3, dopo la battaglia finale, Star-Lordannuncia che tornerà sulla Terra per trascorrere del tempo con suo nonno. Dopodiché, affida la guida del gruppo a Rocket Raccoon. Guardiani della Galassia Vol 3 si concentra molto sulla storia e sullo sviluppo del personaggio di Rocket, questo ha perfettamente senso.
Ora che Rocket guida la squadra, ogni futura apparizione di Guardiani della Galassia sarà diversa da quella che i fan già conoscono. Il cambiamento nel roster e nella leadership apre un regno di nuove possibilità per la squadra e offre ai Marvel Studios la possibilità di un rinfrescante cambiamento.
Il leggendario Star-Lord dopo Guardiani della Galassia Vol. 3
Dopo l’addio di Peter Quillai Guardiani, la seconda scena post-credit lo vede fare colazione con il nonno in un momento esilarante e domestico. Tuttavia, questa potrebbe non essere la fine per Star-Lord nel MCU. Il film si conclude con un avvertimento: Il leggendario Star-Lord tornerà.
Finora i fan non hanno idea di cosa significhi. Il lato di Peter come eroe senza i Guardiani non è ancora stato esplorato, ma tutti sono entusiasti della possibilità che Chris Pratt riprenda il suo ruolo in una futura avventura tutta sua.