Dopo la messa in onda degli
episodi 5 e 6 che abbiamo recensito qui, oggi vi svegliamo le
anticipazioni dei nuovi episodi di terza stagione della serie
tvDOC
– Nelle tue mani che andranno in onda questa sera
giovedì 18 gennaio, in prima serata su Rai 1. Ecco le
anticipazioni dell’episodio settimo e ottavo, che si intitolano
rispettivamente “Fantasmi” e “salto nel buio”.
Doc – Nelle tue mani 3 EPISODIO 7
– “Fantasmi”
Le sedute di terapia con Enrico
sembrano avere degli improvvisi effetti collaterali su Doc, che
vede messa in discussione la sua capacità di occuparsi dei
pazienti. E se Agnese coglie la palla al balzo per stroncare la sua
ricerca sul passato, Giulia è convinta che Andrea non debba
demordere, nonostante i problemi personali che si trova ad
affrontare: in reparto viene infatti ricoverato suo fratello
Fabio.
Doc – Nelle tue mani 3 EPISODIO 8
– “Salto nel buio”
Doc sa finalmente come rintracciare
la donna che sta cercando, ma deve prima trovare il coraggio per
farlo. Nel frattempo, in reparto, Riccardo si trova ad affrontare
il caso di un indisciplinato personal trainer, mentre Damiano deve
fare i conti con il ricovero di una modella, che scopre essere la
fidanzata di suo fratello Samuele con i quale non ha rapporti da
anni. Un caso che rischia di riportare alla luce antichi rancori
familiari.
DOC
– Nelle tue mani è una produzione Lux Vide,
società del gruppo Fremantle, in collaborazione con Rai
Fiction. Tra partenze e nuovi arrivi in DOC
– Nelle tue mani, nuove sfide attendono la squadra del
Policlinico Ambrosiano di Milano, guidata dall’amatissimo dottor
Andrea Fanti (Luca
Argentero), che torna finalmente a rivestire il ruolo di
primario mentre prova a recuperare quei ricordi che ormai tutti (o
quasi) ritenevano perduti per sempre.
DOC – Nelle tue mani, la
serie
DOC
– Nelle tue mani è la serie tv prodotta da RAI
FICTION scritta da Francesco Arlanch e Viola Rispoli. Una
produzione Lux Vide, società del gruppo Fremantle, in
collaborazione con Rai Fiction
Nel cast di DOC
– Nelle tue mani
Luca Argentero,
Matilde Gioli, Pierpaolo Spollon, Sara Lazzaro, Marco Rossetti,
Laura Cravedi, Giacomo Giorgio, Elisa Wong, Elisa Di Eusanio,
Giovanni Scifoni, Aurora Peres e Diego Ribon. La
regia è affidata a Jan Maria Michelini (ep. 1-4),
Nicola Abbatangelo (ep. 5-10) e Matteo
Oleotto (ep. 11-16).
Le riprese della serie si sono
svolte tra Roma, Milano e Formello; per la location
ospedaliera il
Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e l’Università Campus Bio-Medico di
Roma hanno messo a disposizione spazi e tecnologie.
Sei
nell’anima, il film tratto dalla storia di Gianna Nannini, prodotto da Indiana
Production e diretto da Cinzia TH Torrini, con
protagonista Letizia Toni nei panni dell’icona del
rock femminile italiano, è in arrivo solo su Netflix dal 2
maggio.
Un frammento della storia
di una delle voci più incisive e rinomate della nostra musica,
trent’anni raccontati partendo dall’infanzia, dalle radici della
sua vita e della sua carriera, fino alla consacrazione, passando da
una svolta che trancia di netto in due parti la vita di Gianna,
tanto da considerarla la sua vera nascita: l’anno 1983.
“Sei nell’anima”
accompagna il pubblico in un viaggio dentro la vita e la mente
creativa di una donna capace di plasmare emozioni con poesia e
musica. Un’artista unica, rivoluzionaria, fuori da qualsiasi schema
e definizione, alla continua ricerca di ispirazione, di
trasformazione, che ha fatto della musica e della libertà il suo
manifesto.
Fanno parte del cast del
film anche Selene Caramazza, Maurizio Lombardi, e Stefano Rossi
Giordani, con la partecipazione di Andrea Delogu che interpreta una
giovane Mara Maionchi.
“Sei nell’anima”, di cui
Netflix ha rilasciato oggi anche le prime immagini, è scritto da
Cinzia TH Torrini e Cosimo Calamini insieme a Donatella Diamanti e
alla stessa Gianna Nannini, ed è tratto da Cazzi Miei,
autobiografia dell’artista, pubblicata nel 2016.
Sono passati 39 anni da quando fu
incisa una delle canzoni simbolo degli anni Ottanta, We are
the World, per sollevare l’attenzione sul tema della
povertà in Africa. We are the World. La notte che ha
cambiato la storia del pop, il documentario diretto da
Bao Nguyen che ne porta il titolo,
racconta la lunga sessione di registrazione e lo straordinario
lavoro di preparazione che ha consentito di riunire per
beneficienza quasi cinquanta artisti agli A&M Studio di Los
Angeles nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 1985 per interpretare
il brano.
C’erano proprio tutte, o quasi, le
voci più note dell’epoca, oltre ad alcune ingloriose assenze, come
quella di Madonna, ritenuta una fugace meteora, alla quale
fu preferita la ‘rivale’ Cindy Lauper, e Prince, che
snobbò invece l’invito a partecipare a brano già assegnato. Il
numero dei cantanti riuniti in studio scese a quarantaquattro dopo
le defezioni in corso d’opera di Waylon Jennings, che
rifiutò la proposta di cantare un verso in swahili non
comprendendone il significato, e di Sheila E, batterista di
Prince, stanca di sentirsi chiedere quando sarebbe arrivato
Lui.
We are the World. We are the
Stars
Il documentario racconta il dietro
le quinte di quella notte ma, soprattutto, le settimane che l’hanno
preceduta e durante le quali lo staff del produttore musicale
Ken Krieger ha organizzato l’evento con modalità da agenti
dei servizi segreti per non far trapelare la notizia. Niente
smartphone, email, chat a disposizione: stiamo parlando di quattro
decennni fa, quando i business men viaggiavano con valigie ricolme
di rubriche cartacee e i cantanti incidevano i demo su
musicassetta. Portar fuori dalle chart e dai tour mondiali le star
più acclamate dell’epoca per farle incontrare in una data condivisa
da tutti apparve fin da subito estremamente complicato. Come ci
riuscirono?
USA for Africa: dagli American
Music Awards all’Etiopia
Fu Harry Belafonte ad avere
l’idea di quello che nasce come l’Ethiopia Project. La sua attività
per il riconoscimento dei diritti civili e l’attenzione per le
condizioni della povertà in Africa erano note, per quanto, come
testimonierà tra gli altri Bruce Springsteen, non si parlava
né si sapeva molto del problema della fame (e chissà se il Boss
avrà poi apprezzato il titolo originale inglese del film, We
are the Word. The greatest night in Pop, dimenticandosi
completamente dei rocker). Il 23 dicembre 1984, Belafonte propone a
Kriegen di organizzare un evento per sollevare l’attenzione sulla
questione, perché “i bianchi salvano i neri ma non ci sono neri
che salvano i neri“.
Il riferimento è chiaramente a
Bob Geldof, in corsa per il Live Aid che si sarebbe tenuto
nel successivo mese di luglio. Nessuna competizione tra i due
eventi, tanto che Geldof portò di persona i suoi saluti agli
A&M Studios per raccontare ai colleghi gli aspetti della
povertà in Africa e l’importanza dell’aiuto che sarebbe potuto
arrivare anche solo da quel semplice brano. Il vero motivatore
della serata e dell’intera avventura fu tuttavia Lionel
Richie, narratore principale nel video e mattatore dell’evento
benefico, che per tutta la notte si mosse da un gruppo all’altro
per raccogliere focolai di discontento e spegnerli
tempestivamente.
Il 28 gennaio, Richie, all’apice
della sua carriera, avrebbe presentato gli American Music Awards:
tutte le personalità più importanti del mondo della musica USA
sarebbero state riunite nella stessa città, in uno stesso luogo:
quale altra occasione avrebbe consentito di avere tutte quelle star
in una volta? Gli artisti furono invitati a incidere subito dopo la
cerimonia di premiazione. Alcuni mossi dallo scopo benefico
dell’operazione, altri semplicemente legati da un profondo rapporto
di stima agli organizzatori. Mancava solo la canzone e qui
cominciano gli aneddoti con Stevie Wonder che, contattato
per primo dal produttore Quincy Jones, se la prende comoda e
Lionel Richie che si ritrova a comporre musica e testo di We
are the World nella villa-zoo di Michael Jackson in mezzo a uccelli, scimmie e
pitoni.
Tutto in una notte
Una sola notte a disposizione per
legare insieme voci, altezze e personalità di oltre quaranta
primedonne. Jones appese un foglio A4 all’ingresso della sala di
registrazione con su scritto ‘Check your Ego at the door’ e, a
giudicare dai filmati d’archivio, lo scopo è stato raggiunto, tanto
che alla fine c’è chi, come Diana Ross, scoppia a piangere
perché non vuole che quella notte finisca.
Il documentario si avvale anche del
materiale audio raccolto dal giornalista David Breskin,
della rivista Life Magazine, che intervistò molti degli intervenuti
nelle settimane precedenti la registrazione, fermando anche
testimonianze oggi impossibili da recuperare come quella di
Jackson.
Tre mesi dopo la canzone fu
trasmessa dalle radio di tutto il mondo e fu un successo: We
Are the World totalizzò un milione di dollari nel primo fine
settimana di vendite per raggiungere la cifra record di ottanta
milioni di dollari. La somma fu destinata all’Etiopia, toccata da
una pluriennale carestia che le Nazioni Unite stimarono aver
provocato un milione di morti. Sarebbe bello sapere come fu speso
il denaro raccolto per la beneficienza ma per questo ci vorrebbe un
altro documentario.
Donald Glover e Maya Erskine in
Mr. & Mrs. Smith. Foto di David Lee/Prime Video
Nel 2005 i coniugi Mr. e Mrs. Smith
erano – senza saperlo – entrambi spie facenti capo a due agenzie
diverse. Le loro rocambolesche avventure come anche le loro sedute
di terapia di coppia hanno dato vita ad una commedia sentimentale
ricca d’azione (oltre che alla storia d’amore tra Brad Pitt e Angelina Jolie). Quasi vent’anni dopo ci
confrontiamo ora con due nuovi Mr. e Mrs. Smith, non più coniugi in
crisi né spie rivali, bensì coppia appena nata in cerca del proprio
equilibrio e di seconde opportunità. Inizia dunque così la nuova
serie di Prime VideoMr. & Mrs. Smith, ideata da Francesca Sloane e Donald Glover, con quest’ultimo che svolge
anche il ruolo di protagonista accanto a Maya
Erskine.
Il legame tra questa serie e il film
si limita però ad alcuni pochi elementi: il nome fittizio dei due
protagonisti, il loro essere spie e il loro trovarsi potenzialmente
all’interno di un gioco più pericoloso del previsto. Per il resto,
la serie segue un percorso autonomo, cosa che era auspicabile,
rinunciando dunque all’elemento che caratterizzava il film del
2005, ovvero la terapia di coppia dei due protagonisti. Niente
racconto intervallato da flashback ad un anonimo terapeuta, dunque,
bensì azione e sentimenti espressi senza intermediazioni, il tutto
all’interno di un prodotto che fa quel che deve, intrattenere,
seppur non nel modo in cui ci si aspetterebbe da una serie di
spionaggio.
La trama di Mr. & Mrs.
Smith
Protagonisti sono allora
John (Donald
Glover) e Jane (Maya
Erskine), due sconosciuti solitari che vengono assunti da
una misteriosa agenzia di spionaggio che offre loro una
meravigliosa vita in incognito, ricchezza, viaggi in giro per il
mondo e una casa da sogno a Manhattan. La fregatura? Nuove identità
e un matrimonio combinato. Da sposati John e Jane si trovano allora
a dover portare a termine missioni ad alto rischio ogni settimana,
ogni volta raggiungendo nuovi livelli nel loro rapporto. La loro
complessa storia di copertura diventa però ancora più complicata
quando iniziano a provare sentimenti reali l’uno per l’altra,
rischiando di metterli in una posizione rischiosa con il loro
misterioso datore di lavoro.
Maya Erskine in Mr. & Mrs. Smith. Foto di David Lee/Prime Video
Missione numero uno: non farsi
ingannare dall’episodio pilota
C’era molta curiosità nei confronti
di questa nuova serie, che avrebbe dovuto vantare tra i propri
autori anche l’attrice e sceneggiatrice Phoebe Waller-Bridge, poi uscita dal progetto
per via di divergenze creative. Nonostante ciò, Prime Video ha
continuato a scommettere su Mr. & Mrs.
Smith quale nuovo titolo di punta, considerando anche
il coinvolgimento di un autore apprezzato come Glover, consacratosi
grazie alla pluripremiata Atlanta. Mostratasi finalmente
con tre episodi in anteprima, la serie è effettivamente dotata di
un suo fascino, anche se la visione del primo episodio potrebbe
lasciare qualche dubbio. Al netto di una scena d’apertura molto
forte, che destabilizza anche per via dei noti attori coinvolti,
ciò che segue non sembra fornire motivi impellenti per proseguire
nella visione.
Certo, la presentazione dei due
protagonisti è affascinante, il modo in cui si svolge la loro prima
missione bizzarro in senso positivo, e poco prima del finale si
verifica un evento che destabilizza non poco. Manca però un gancio
forte verso l’episodio successivo, cosa che potrebbe scoraggiare
dal proseguire la visione. Eppure, chi si spingerà oltre il pilota
scoprirà che tale “mancanza” potrebbe essere tutt’altro che
casuale. Difficile poterlo dire con certezza dopo solo tre episodi,
ma Mr. & Mrs. Smith sembra volersi fondare
sull’anti-spettacolarità (per quanto diverse scene abbiano un loro
fascino). I due protagonisti non sono le spie super addestrate in
cui si è soliti imbattersi, anzi sembrano capitati a fare quel
lavoro per mancanza d’altro.
Donald Glover e Maya Erskine in Mr. & Mrs. Smith. Foto di David
Lee/Prime Video
Questa loro inesperienza li porta
dunque ad affrontare le missioni con un certo grado di
approssimazione, non ponendosi minimamente domande riguardo ciò che
sono chiamati a compiere e lasciando dunque alcuni eventi
completamente senza risposta. Lo spettatore dovrebbe allora
allinearsi a questo loro modo di fare, godendosi più il come che
non il perché. L’assenza di un gancio forte nel primo episodio
sembra dunque rimarcare l’atipicità di questa spy story.
Nell’assistere a tutto ciò, emerge però il dubbio nello spettatore
su quanto potranno andare avanti prima di cacciarsi nei guai e a
cosa questi guai potrebbero effettivamente corrispondere. Il finale
del secondo episodio pone in tal senso una sorta di timer, di fatto
configurandosi come quel gancio atteso che stabilisce la posta in
gioco.
Missione numero due: riconoscere i
personaggi come il cuore di Mr. & Mrs. Smith
Lentamente iniziano dunque ad essere
chiari gli elementi di questa storia, il tono e la struttura con
cui si intende raccontare tutto ciò, con un misto tra narrazione
verticale e orizzontale. Dentro questa cornice, che gioca con le
aspettative dello spettatore, si muovono i due protagonisti, che in
fin dei conti sono davvero il cuore dell’intero progetto. Lo sono
non solo in quanto il focus è evidentemente l’evoluzione del loro
rapporto, ma anche in quanto caratterizzati e approfonditi
adeguatamente, anche per merito di quei momenti di pausa
dall’azione che permettono tale viaggio introspettivo. John e Jane
sono una coppia molto interessante, resa ancor più accattivante dai
loro due interpreti, che si fanno seguire con piacere in un
prodotto che potrebbe dunque regalare diverse sorprese.
Khaby Lame,
l’influencer italiano di origine senegalese e il creatore di
contenuti più seguito su TikTok, farà il suo debutto
cinematografico interpretando un fattorino che consegna cibo a
domicilio reclutato dalla CIA in una commedia d’azione che lo
porterà in giro per il mondo.
La commedia di spionaggio in lingua
inglese intitolata “00Khaby” – e ambientata in Italia, Stati Uniti,
Monte Carlo, Dubai e Costa Azzurra francese, tra le altre località
– vedrà Khaby Lame interpretare un rider di
JustEat che, dopo essersi scontrato con uno scienziato dissidente,
viene reclutato dalla CIA come esca per ingannare i servizi segreti
nemici. “Mentre fugge dai trafficanti d’armi e ruba campioni di
DNA, il goffo agente segreto deve fare i conti anche con la gelosa
fidanzata italo-cinese e il suo fastidioso fratellino”, si
legge nella sinossi del film. “Ma alla fine, grazie a un mix di
astuzia, fortuna e il suo incrollabile ottimismo, riuscirà a
sventare nientemeno che la Terza Guerra Mondiale”.
La parodia di spionaggio che porterà
Lame – che ha 162 milioni di follower su TikTok – sul grande
schermo è prodotta da Marco Belardi, produttore di
Perfetti Sconosciuti. La sceneggiatura di
“00Khaby” è stata scritta da Nicola Guaglianone e
Menotti.
Belardi si recherà a Los Angeles
questa settimana con Lame e la sceneggiatura di “00Khaby” “cercando
di mettere in piedi una produzione internazionale”, ha detto il
produttore. Belardi ha aggiunto di essere in trattative avanzate
con almeno un importante regista internazionale.
Nel frattempo, Lame parteciperà ai
Grammy Awards il 4 febbraio – forse tra le celebrità che
consegneranno un premio lì – e sarà anche presente al Super Bowl il
12 febbraio come parte di una campagna di marketing. Negli Stati
Uniti, Lame affinerà anche le sue capacità di recitazione e
perfezionerà il suo inglese.
“Recitare è sempre stato il mio
sogno, ma non voglio improvvisare“, ha dichiarato Lame in un
comunicato, aggiungendo: “Ecco perché sono pronto ad
approfondire i miei studi di recitazione e di inglese per esibirmi
al meglio in questo film“. Lame ha anche sottolineato che sta
facendo tanto allenamento fisico perché “come ho chiesto a
Marco Belardi, non voglio essere sostituito da uno stuntman nelle
scene d’azione“.
Lame ha rivelato che il mese
prossimo a Los Angeles incontrerà una star di Hollywood “che ho
sempre stimato e mi verrà sicuramente dato qualche consiglio su
come muovermi davanti alla telecamera“. Si ritiene che quella
star sia Will Smith che, secondo le fonti, ha
ingaggiato Lame per un cameo in un film di prossima uscita non
specificato.
Basata sugli scritti
originali del leggendario Bruce Lee, torna con la sua terza ed ultima
stagione della serie HBO Warrior,
che andrà in onda con due nuovi episodi ogni venerdì dal 2 febbraio
in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW.
La serie, un dramma
storico, ambientato durante le Tong Wars alla fine del 1870, vede
protagonista Ah Sahm (Andrew Koji), un immigrato cinese, maestro di
arti marziali, che diventa una delle punte di diamante di una delle
famiglie criminali più potenti di Chinatown nella San Francisco
dell’800. Combattendo le guerre Tong Ah ritrova sua sorella Mai
Ling (Dianne Doan) che però lavora per la fazione opposta. In
quest’ultimo capitolo Mai Ling prende il controllo di Chinatown.
Utilizzerà i suoi legami politici per consolidare i suoi poteri,
mentre Ah Sahm cercherà di trovare nuovi modi per sopravvivere in
una città che è diventata ostile alla sua esistenza.
Nel cast Andrew Koji
(Fast
& Furious 6), Dianne Doan (Good Trouble),
Olivia Cheng (Deadly Class), Jason Tobin (The Fast and the Furious:
Tokyo Drift), Dean Jagger (Il Trono di Spade) è Kieran Bew (Da
Vinci’s Demons). New entry nel cast di questa terza stagione Mark
Dacascos (Hawaii Five-0) e Chelsea Muirhead (Spare Parts).
WARRIOR – Terza
Stagione | Dal 2 febbraio in esclusiva su Sky e in
streaming su NOW
Si avvicina il debutto della
seconda stagione di Call My Agent – Italia, la
serie Sky Original remake del cult Dix pour
cent che come annunciato dai sei teaser
appena rilasciati tornerà con i nuovi episodi in esclusiva
su Sky e in streaming solo su NOW da marzo.
Prodotta da Sky Studios e da
Palomar, la nuova stagione della serie su segreti, manie, vizi e
virtù dei protagonisti del nostro showbiz è diretta da Luca Ribuoli
e scritta da Lisa Nur Sultan con Federico Baccomo e Dario
D’Amato.
In sei nuovi episodi, la seconda
stagione promette di tornare a divertire svelando nuovi aspetti del
dietro le quinte del mondo dello spettacolo. Luci e ombre, humour e
glamour. Al centro ancora le vicissitudini della CMA, la Claudio
Maiorana Agency, immaginaria agenzia di spettacolo con sede a Roma,
e le disavventure dei suoi soci, sempre alle prese con le carriere
dei più grandi protagonisti dello showbiz e pronti a nuove sfide:
un nuovo capo, storie d’amore inaspettate, tormenti imprevisti e
tante nuove, straordinarie, special guest.
Tornano tutti i protagonisti della
prima stagione: Michele Di Mauro, Sara
Drago, Maurizio Lastrico e l’appena
scomparsa Marzia Ubaldi, a cui sarà dedicato il
primo episodio, ancora nei ruoli di Vittorio, Lea, Gabriele ed
Elvira, talentuosi, instancabili e appassionati agenti di alcuni
fra i più grandi nomi del mondo dello spettacolo italiano. E i loro
assistenti: Monica, interpretata da Sara Lazzaro,
Pierpaolo (Francesco Russo) e Camilla
(Paola Buratto). Nei nuovi episodi ritornano anche
Kaze nel ruolo di Sofia, la receptionist
dell’agenzia, ed Emanuela Fanelli nei panni di una
delle attrici più “stravaganti” della CMA, Luana Pericoli, ancora
alle prese con il suo “attore preferito”, Corrado
Guzzanti.
A dare filo da torcere agli agenti
e ai loro assistenti con le loro tragicomiche vicende fra lavoro e
vita privata, anche per questa stagione dei grandissimi nomi del
nostro spettacolo, guest di ciascuna puntata nei panni di se
stessi.
Le due guest del primo episodio
saranno Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi, alle prese con un
nuovo film la cui sceneggiatura si rivela un disastro. Riusciranno
gli agenti a salvarle dal flop?
Mattatore assoluto del secondo
episodio sarà Gabriele Muccino, il cui arrivo si preannuncia
come un vero e proprio terremoto per la CMA. Con Gian Marco
Tognazzi.
Claudio Santamaria è la guest star del terzo
episodio. Sarà disposto a tutto pur di ottenere un ruolo da lui
molto ambito, anche a trasformarsi in un bad guy.
Volano scintille fra le guest del
quarto episodio Serena Rossi e Davide
Devenuto, suo marito. Stremati da una frenetica maratona
di interviste, si sveleranno segreti inconfessabili.
La magica voce di
Elodie potrà tutto nel quinto dei nuovi episodi,
anche riportare in vita il giovane Giuliano. Ma anche i fan più
adoranti possono rivelarsi un incubo.
Sabrina Impacciatore madrina del Festival di
Venezia è la star del sesto episodio. Calcare quel palco è per lei
un sogno che si avvera, ma Lea sa che questo ruolo non consentirà a
Sabrina alcun margine di errore.
Paramount+ ha svelato oggi il trailer
ufficiale della seconda stagione della docuserie di successo
The Family Stallone, che vede protagonisti
il candidato all’Oscar Sylvester Stallone, la moglie Jennifer Flavin
Stallone e le figlie Sophia, Sistine e Scarlet. Dopo Stati Uniti,
Regno Unito, Australia, America Latina e Brasile, dal 22 febbraio
gli episodi saranno disponibili settimanalmente sul servizio in
Italia, oltre che in Francia, Germania, Svizzera, Austria e Corea
del Sud.
In questa
stagione, dopo quattro decenni trascorsi come una delle
famiglie più famose di Los Angeles, gli Stallone lasciano
definitivamente Hollywood e si trasferiscono a est. Rimasti solo in
due, con le figlie Sophia e Sistine che inseguono i loro sogni a
New York City e Scarlet che frequenta il college e un nuovo amore a
Miami, Sly e Jen mettono radici a Palm Beach. Ma la distanza non
può tenerli separati: la stagione culmina in un meraviglioso
viaggio tutti insieme in Italia per esplorare la storia della loro
famiglia, ravvivare l’amore e creare ricordi per tutta la vita.
The Family
Stallone è prodotto da MTV Entertainment Studios, con
Benjamin Hurvitz e Nadim Amiry come produttori esecutivi. Julie
Pizzi, Farnaz Farjam e Jonathan Singer sono produttori esecutivi
per Bunim-Murray Productions con Chris Ray e Jason Williams sono
co-produttori esecutivi.
La regista ventinovenne Molly Manning Walker ha trionfato
nella sezione Un Certain Regard al Festival di
Cannes di quest’anno con How to Have Sex,
il suo debutto come sceneggiatrice e regista, selezionato poi per
il concorso di Alice nella città,
nell’ambito della Festa del Cinema di Roma
2023. Si è formata come direttrice della fotografia
(ha girato Scrapper, passato al Sundance, con
Harris Dickinson protagonista) e, alla sua prima
prova registica, trasforma quella che poteva essere una storia
piuttosto banale di amicizia femminile e dei pericoli dei predatori
maschili in qualcosa di molto più interessante. Una vacanza estiva
in cui i nightclub diventano prigioni di persone, sudore e
dissolutezza, in cui il lenzuolo è un muro di sfida e il concetto
di solitudine va molto oltre il semplice sentirsi soli.
La trama: la vacanza “migliore di
sempre”
Il film si apre con tre adolescenti
britanniche – Tara (Mia
McKenna-Bruce, di
Persuasione), Em (l’esordiente
Enva Lewis) e Skye (Lara
Peake, di Brave New World) – che si preparano a
trascorrere la “migliore vacanza di sempre” in una città costiera.
Presto scopriremo che, per loro, questo significa fare festa il più
possibile, bere a tutte le ore del giorno e incontrare ragazzi con
cui sperano di andare a letto. “Se non fai sesso in questa
vacanza, non lo farai mai“, dice una delle ragazze a Tara,
l’unica di loro che non ha ancora perso la verginità. E, ben
presto, Tara incontra un ragazzo. Si fa chiamare
Badger (Shaun Thomas, di Ali
& Ava) e le invita nella sua stanza, che condivide con il suo
amico Paddy (Samuel Bottomley, di
Tutti
parlano di Jaimie) e altri amici. “Cosa diremo?
Abbiamo tipo 18 anni, giusto?“, concordano le ragazze
minorenni prima di uscire.
Presto iniziano a fare festa tutti
insieme e le dinamiche tra i due gruppi cambiano immediatamente. Da
un lato, c’è l’eccesso che deriva dal comportarsi esattamente nel
modo in cui ci si aspetta che ci si comporti in questo tipo di
feste, ubriacandosi e partecipando a tutti i tipi di giochi
“divertenti” che coinvolgono il sesso e di cui il giorno dopo si
dimenticheranno completamente. Dall’altro lato, ci sono i segreti
che si nascondono l’uno con l’altro, nel timore che, se rivelano
che non stanno trascorrendo la “migliore vacanza di
sempre“, non si sentano più a loro agio.
How to have Sex: un manuale di crescita?
C’è anche la pressione esercitata
sulle ragazze affinché si vestano e si comportino in un certo modo
per poter fare l’unica esperienza che le farebbe apparire “cool” e
confermerebbe che sono “normali”: fare sesso con un ragazzo. E poi
c’è l’aspettativa di quanto la prima volta debba essere incredibile
e piena di vita, il che significa che non puoi assolutamente dire
alle tue migliori amiche che in realtà non lo è stato e che non
solo non ti ha fatto sentire amata e appagata, ma che ne hai odiato
ogni secondo e, se ci pensi bene, non volevi nemmeno che
accadesse.
E poi c’è la gelosia di quelle
stesse amiche che vi amano, ma che per il loro bisogno di essere
“migliori” e più esperte di voi dicono e fanno cose orribili che
nascondono come scherzi. Dopotutto, è naturale che le ragazze
debbano competere l’una con l’altra, poiché la società ci dice che
l’unico modo per una ragazza di inserirsi e realizzarsi è essere
desiderata da un ragazzo. Così, questo strano paradosso diventa la
norma: ti diverti come non mai, circondata dai tuoi migliori amici,
ma allo stesso tempo ti senti più sola che mai, incapace di parlare
delle esperienze estremamente traumatiche e segnanti che stai
vivendo per paura di essere giudicata. Si beve per anestetizzare il
dolore, isolandosi ancora di più e lasciando che il ciclo continui,
diventando improvvisamente “adulti” nel modo peggiore
possibile.
L’attimo prima del futuro
Nonostante le ripetute
dichiarazioni da ubriachi, del tipo “ti amerò per sempre“,
il trio centrale non può sfuggire alla strisciante sensazione che
la loro amicizia sia appesa a un filo, mentre l’ombra dei risultati
del GCSE e dei diversi futuri che hanno scelto incombe su di loro.
Si tratta di uno sguardo senza mezzi termini sulla realtà della
pubertà, dell’alcol e delle idee confuse sul consenso sessuale.
Walker affronta abilmente le complessità
dell’amicizia tra adolescenti, il desiderio di conformismo e la
paura sempre presente, forse più che mai in una vacanza alcolica,
che tutti gli altri si stiano divertendo più di te.
How to Have
Sex non reinventa la formula del coming-of-age, ma
grazie a Walker e McKenna-Bruce,
e al forte lavoro di supporto dell’intero cast, non ne ha bisogno.
Non si tratta di “come fare sesso“, riprendendo il titolo,
ma di come il sesso – e soprattutto il consenso “da ubriachi e
pentiti” – possa danneggiare in modi apparentemente
invisibili. Così, la “migliore vacanza di sempre” può
diventare una vacanza che si vorrebbe dimenticare. Ma forse non si
può.
Matthew Vaughn,
regista di Kick-Ass
e X-Men –
L’inizio, ha parlato del suo desiderio di realizzare un
preciso film su Superman in un’intervista al Post Credit Podcast.
Dopo aver parlato del film
Supergirl: Woman of Tomorrow in lavorazione presso i DC
Studios, a Vaughn è stato chiesto di parlare di
Superman: Red Son, serie a fumetti
scritta dal suo amico Mark Millar. Il fumetto
Elseworlds immagina come Superman sarebbe se provenisse dall’Unione
Sovietica invece che dagli Stati Uniti, e Vaughn ha notato come la
sua storia sia diventata sempre più rilevante dalla sua prima
pubblicazione nel 2003. Ha poi immaginato di fare un film su Red
Son proprio con la star del suo nuovo film Argylle – La super
spia, Henry Cavill, che come noto ha già
interpretato l’Uomo d’Acciaio nel DCEU.
“Ho pensato che Red Son fosse
uno dei fumetti più intelligenti che abbia mai letto e, nel mondo
attuale in cui viviamo, è certamente diventato molto più rilevante
perché l’ignoranza causa più problemi e penso che più impariamo a
conoscere la Russia e la storia russa meglio sia“, ha spiegato
Vaughn. Il regista ha poi aggiunto: “Wow, vi immaginate il
remake di Red Son con Henry Cavill? Sarebbe un film
interessante…“. Per quanto Superman sappiamo tornerà al cinema
con il volto di David Corenswet in Superman:
Legacy, non è del tutto impossibile che un
progetto come quello descritto da Vaughn possa prendere forma.
Questo perché ci saranno anche film
DC realizzati sotto il marchio Elseworlds,
come The
Batmane Joker,
che saranno separati dagli eventi del DCU. Gunn ha recentemente lasciato intendere che
anche un film standalone su Superman di J. J. Abrams e Ta-Nehisi
Coates sarebbe ancora in lavorazione, nonostante la
produzione di Superman: Legacy. C’è però da chiedersi se
Gunn e il collega Peter Safran, co-CEO dei DC
Studios, vogliano un terzo film su Superman in tempi brevi,
soprattutto con Henry Cavill che, dopo aver appeso
definitivamente il mantello al chiodo nel 2022, si dedicherà ad
Highlander e Warhammer 40K.
Dopo le foto emerse online qualche
giorno fa, arrivano ora nuove immagini dal set di Daredevil: Born
Again, che mostrano stavolta l’attesa reunion tra
Kingpin e Matt Murdock.
Questo nuovo incontro, che segna il primo caso conosciuto in cui il
Wilson Fisk di Vincent D’onofrio e il Daredevil di Charlie Cox vengono filmati insieme dalla
terza stagione di Daredevil, era molto atteso. A tal fine, potrebbe
anche confermare un’importante rivelazione della stagione finale
dello show di Netflix.
Pubblicate da diversi utenti di
Twitter/X il 31 gennaio, come @OT_Tristan e @downeyjessevan, le
foto mostrano dunque il Fisk di D’onofrio e il Murdock di Cox
mentre girano in quello che sembra essere lo Square Diner di
Tribeca, una location utilizzata in entrambe le stagioni 1 e 2 di
Daredevil. A sorpresa, sembra che Kingpin e Daredevil si
incontreranno faccia a faccia all’interno del locale, ma è
ovviamente sconosciuto il motivo e la natura del loro incontro.
L’incontro stesso ha però alcune
importanti ramificazioni se si considera la terza stagione di
Daredevil e il suo finale. Questo incontro potrebbe
infatti confermare che Kingpin sa ancora che Matt è anche
Daredevil, una scoperta fatta e confermata nella terza stagione
dedicata al personaggio. Allo stesso modo, è molto probabile che
questo incontro possa anche rivelare lo stato della loro rivalità
alla luce dell’accordo stipulato nel finale della terza stagione di
Daredevil, in cui Murdock prometteva di non rivelare i
crimini della moglie di Fisk finché Kingpin fosse rimasto in
prigione. Visto che Kingpin è un uomo libero da quando è tornato
nella serie Hawkeye del 2021, questo incontro potrebbe
rivelare nuove cose.
Lo scorso ottobre è stato reso noto
che
Daredevil: Born Again stava subendo un
“significativo reboot creativo” dopo la pausa produttiva dovuta
agli scioperi della WGA e della SAG-AFTRA. Gli sceneggiatori Chris
Ord e Matt Corman sono stati tolti dal progetto insieme ai registi
della serie, mentre alcune scene ed episodi già terminati saranno
mantenuti con l’aggiunta di ulteriori elementi seriali.
Entrambi i personaggi hanno
debuttato nel Marvel Cinematic
Universe nel 2021. Kingpin è stato guest-star nella serie
Disney+Hawkeye e
Matt Murdock è apparso brevemente in Spider-Man: No Way Home. Cox è stato anche
guest-star in due episodi di
She-Hulk: Attorney at Law, dove ha mostrato un
lato più leggero dell’eroe. Kingpin, invece, è stato tra i
protagonisti della recente serie Echo.
Nella giornata di ieri James Gunn ha celebrato il primo anniversario
dagli annunci da lui fatti insieme a Peter Safran
riguardo il nuovo DC
Universe e alcuni progetti che lo comporranno. La celebrazione
è però stata anche l’occasione per aggiornare i fan sullo stato dei
lavori, confermando non solo l’inizio della produzione di Superman:
Legacy ma anche due nuovi progetti, ad oggi non
identificati, che entreranno in produzione a breve. Il regista che
ha infatti scritto sul proprio profilo Instagram
quanto segue:
“Un anno fa Peter Safran e io
abbiamo presentato per la prima volta la nostra serie DC – grazie a
tutti voi per il sostegno che ci avete dato durante l’anno. Oggi,
Superman Legacy sta per iniziare la produzione, si stanno ultimando
gli episodi di Creature Commandos che usciranno più avanti nel
corso dell’anno, almeno altri due progetti si stanno preparando per
partire nei prossimi due mesi, continuano ad arrivare sceneggiature
straordinarie e incredibili talenti sono stati ingaggiati per nuovi
progetti, pianificati e non. Grazie!“.
Al momento sembra abbastanza ovvio
che uno dei progetti di cui parla Gunn sia Supergirl: Woman of Tomorrow. Gunn e i DC
Studios hanno annunciato questa settimana che la star di House
of the Dragon, Milly Alcock, è stata scritturata per il ruolo
di Kara Zor-El/Supergirl. Per quanto riguarda il secondo progetto,
questo potrebbe essere TheAuthority. Il personaggio dell’ingegnere
di The Authority appare già in Superman:
Legacy, il che potrebbe far pensare che la sua sia
un’introduzione in vista del progetto a lui dedicato. Ci sono però
anche le serie televisive Booster Gold o Waller o
il film come Swamp
Thing di James Mangold, che potrebbero
rivelarsi essere questo secondo progetto in fase di partenza.
Denis Villeneuve ha espresso a gran
voce
la sua intenzione di realizzare un terzo film di
Dune, che sarebbe basato sul secondo
romanzo della serie, “Dune Messiah“, di
Frank Herbert. La Warner Bros. non ha ancora dato
il via libera ufficiale a questo Dune
– Parte Tre, ma, se
lo studio dovesse andare avanti con tale progetto, molto
probabilmente sarà l’ultimo capitolo diretto da Villeneuve per il
franchise, nonostante la serie letteraria di Herbert continui con
vari sequel come “Children of Dune“, “God Emperor of
Dune“, “Heretics of Dune” e “Chapterhouse:
Dune“.
“‘Dune Messiah’ dovrebbe essere
l’ultimo film di ‘Dune’ per me“, ha infatti confermato Denis
Villeneuve alla rivista Time in una nuova intervista
prima dell’uscita nelle sale di Dune –
Parte Due. Il regista aveva dichiarato proprio lo
scorso dicembre che “Dune Messiah” è “in fase di
scrittura proprio ora“, aggiungendo che “la sceneggiatura
è quasi finita, ma non è finita. Ci vorrà un po’ di tempo… C’è il
sogno di fare un terzo film… per me avrebbe assolutamente
senso“. Come noto,
Zendaya si è detta
subito disponibile a tornare per un terzo film, ma Villeneuve
ha frenato l’entusiasmo dicendo che Dune – Parte Tre
potrebbe non essere il suo prossimo progetto come regista.
Cosa aspettarsi da Dune – Parte
Due?
“Questo film successivo
esplorerà il mitico viaggio di Paul Atreides mentre si unisce a
Chani e ai Fremen mentre è su un sentiero di guerra di vendetta
contro i cospiratori che hanno distrutto la sua famiglia“, si
legge nella sinossi ufficiale. “Di fronte alla scelta tra
l’amore della sua vita e il destino dell’universo conosciuto, tenta
di prevenire un futuro terribile che solo lui può
prevedere.”
Dune – Parte
Due è diretto da Denis Villeneuve da una sceneggiatura
che ha scritto insieme a Jon Spaihts. Il film è basato
sull’innovativo romanzo di fantascienza Dune del 1965 di Frank
Herbert ed uscirà nei cinema il 28 Febbraio
2024.
Il secondo capitolo continuerà la
storia di Dune – Parte
Uno, che, nonostante la sua controversa uscita, è
stato un solido successo al botteghino nel 2021, incassando oltre
402 milioni di dollari su un budget di produzione stimato di 165
milioni di dollari. Tuttavia, WB ha sicuramente maggiori speranze
per il sequel, che potrà trarre vantaggio da un’uscita globale su
larga scala in formati standard e premium, incluso IMAX.
Recentemente annunciato, il film
28 anni
dopo ha ora trovato casa presso la Sony – e la
star del film originale (28 giorni dopo) Cillian Murphy potrebbe riprendere il proprio
ruolo di quel film anche per questo sequel. Secondo The Hollywood Reporter, la Sony
ha infatti vinto la gara d’appalto per i diritti del pacchetto
sequel del seguito, con il regista Danny Boyle e
lo scrittore Alex Garland che torneranno insieme
per scrivere e dirigere tale sequel. Il pacchetto comprende anche
una Parte 2, che sarà sempre scritta da Garland, ma Boyle dovrebbe
dirigere solo il primo dei due film, mentre il regista del secondo
verrà scelto in seguito.
Per quanto riguarda Murphy, il suo
ritorno è previsto in veste di produttore esecutivo, anche se il
rapporto indica che è possibile che torni anche in veste di attore.
Non sono stati resi noti ulteriori dettagli. Secondo il rapporto,
alla fine l’offerta è stata presentata da Warner Bros. e Sony e si
pensa che ogni film abbia un budget di 60 milioni di dollari.
All’inizio del mese era stato riferito che Boyle e Garland stavano
offrendo 28 anni dopo agli studios con la speranza di
lanciare una nuova trilogia di film. Secondo quel rapporto, Boyle e
Garland saranno anche produttori insieme al produttore originale
Andrew Macdonald e all’ex capo della Fox
Searchlight Pictures, Peter Rice.
Cillian Murphy accetterà
di partecipare al sequel di 28 anni dopo?
L’anno scorso
Cillian Murphy ha dichiarato che gli piacerebbe
realizzare un sequel di 28 giorni dopo. Murphy ha
scherzato sul fatto che il film si sarebbe dovuto chiamare 28
anni dopo a causa del lungo intervallo tra i film.
Uscito nel 2002,
l’originale 28 giorni dopo aveva come
protagonista Cillian
Murphy, allora ancora prevalentemente sconosciuto al
pubblico cinematografico. Il film sconvolse gli spettatori con le
sue orde di non-morti in fuga, il pessimismo implacabile e l’uso
all’avanguardia della torbida frontiera della fotografia digitale.
Boyle diresse il film, mentre Garland lo scrisse. Il film è però
ricordato anche per aver ottenuto un guadagno di circa 84 milioni
di dollari a fronte di un budget di appena 8, dimostrando dunque il
potenziale che anche film a basso costo potevano avere se dotati di
forti elementi attrattivi.
Annunciato dal 2021, è da
allora che aspettavamo il
film nel quale Matthew Vaughn era riuscito a
coinvolgere la star Dua Lipa (prima ancora della
sua apparizione come sirena in
Barbie). Finalmente Argylle – La super
spia arriva in sala, distribuito al cinema da Universal
Pictures a partire dal 1 febbraio 2024, e con lui tutti gli strani
personaggi partoriti dalla fantasia “contorta” del regista della
saga di Kingsman (ma soprattutto di
Stardust e
Kick-Ass) e produttore dei primi film di
Guy Ritchie. Uno, insomma, che col cinema, i
generi e le aspettative si diverte da sempre a giocare, e che in
questa occasione ha trascinato nel suo mondo anche
Henry Cavill,
Bryce Dallas Howard,
Sam Rockwell,
Bryan Cranston, Catherine O’Hara,
Ariana DeBose, John Cena,
Samuel L. Jackson e la Sofia Boutella di Rebel
Moon.
Argylle – La super
spia, la trama
Elly Conway
(Howard) è la solitaria autrice di una serie di
romanzi a tema spionistico in testa a ogni classifica di vendita e
di gradimento. Per lei il massimo della vita è una serata a casa al
computer con il proprio gatto, Alfie, almeno fino a che non piomba
nella sua vita Aidan (Rockwell), una spia
allergica ai felini. Una spia vera, non come l’agente segreto
Argylle protagonista delle storie che scrive, nelle quali racconta
della sua lotta per impedire il piano della Divisione, una
potentissima organizzazione criminale su scala planetaria. Una
trama pericolosamente simile a quella che sembra esser ordita
davvero e per opporsi ala quale la povera Elly – per tacer del
gatto – si troverà a dover correre in giro per il mondo per
rimanere sempre un passo avanti a quegli spietati assassini, mentre
la separazione fra il suo mondo di finzione e quello reale sembra
farsi sempre più sfocata.
Realtà, ma soprattutto illusioni
E proprio del continuo
intrecciarsi e alternarsi di realtà e fantasia vive questo primo
capitolo di una annunciata trilogia. Nel quale, parafrasando il
Conte Mascetti di Amici miei, pare esserci
tutto e invece… Di certo, c’è l’attesissima Dua
Lipa, giocata come un jolly sin dall’incipit, in una
dance scene che difficilmente ruberà il titolo di iconico a
quella di John Travolta e Uma
Thurman in Pulp Fiction, ma che
permette al pubblico di sincronizzarsi immediatamente con il tono
dello spy thriller più infarcito di bugie e menzogne in
circolazione.
O almeno con un livello
di esso, considerato che anche la rocambolesca e spettacolare scena
iniziale – ormai imprescindibile, almeno per ogni film di agenti
segreti che si rispetti – si svolge tutta nella fantasia
dell’autrice protagonista, la tranquilla e casalinga Elly
interpretata da
Bryce Dallas Howard. Sarà lei l’anello di congiunzione
tra le diverse realtà assemblate da Vaughn (anche con trovate
simpatiche di regia), stavolta meno felice nel tenere in equilibrio
follia e coerenza narrativa, trovate e personaggi. Che pure non
mancano.
Piatto ricco, mi ci
impiccio
In
Argylle, la spia inespressiva da videogioco di
Henry Cavill fa il paio con l’agente segreto troppo
impreparato per essere vero dell’irresistibile
Sam Rockwell, come l’MVP
Bryan Cranston fa il paio con se stesso e
Samuel L. Jackson con “quello nero di un film
qualunque” su cui ironizzava Seth MacFarlane
in Ted. Insomma, un gioco di ruolo continuo
che qualsiasi sceneggiatore avrebbe avuto difficoltà a gestire e
che anche il Jason Fuchs di La La
Land e It – Capitolo 2 non
riesce sempre a tenere sotto controllo (ammesso che non sia vera la
leggenda che vorrebbe Taylor Swift come vera Elly
Conway e autrice del libro alla base della storia).
Uno
spy che gioca col pubblico
Si consiglia di prenderlo
con molto spirito, e pronti a giocare, per sorvolare più facilmente
su qualche leggerezza e artificiosità e godersi la rilettura
ironica dei canoni del genere spy-action. Anche perché nella prima
ora il mix funziona – senza assomigliare né ai vari
Kingsman, Austin Powers o Get
Smart, ma evitando di raggiungere il livello del terribile
Mordecai – affidandosi a qualche furbizia formale
per movimentare l’azione quando la trama mostra i primi cedimenti.
Purtroppo in Argylle – La super spia la carne al
fuoco è troppa, per quanto il moltiplicarsi delle possibilità e
delle citazioni (inevitabile e dovuta quella esplicita a un cult
come The Manchurian Candidate) si
assicurino l’attenzione dello spettatore, più per curiosità che per
la tensione che tanta critica statunitense ha esaltato, vista la
sostanziale prevedibilità dell’intreccio.
Che si conclude in
maniera piuttosto dovuta, dopo una eccessivamente prolungata
risoluzione, e un finale multiplo, dopo aver messo in scena ogni
possibile stereotipo del genere e aver trovato spazio per un altro
numero di ballo – surreale quanto letale – con la promessa di
continuare ancora il gioco di specchi. Moltiplicandolo, vista
l’apparizione che apre a una nuova lettura dello spettacolo al
quale abbiamo dovuto assistere nelle oltre due ore appena
trascorse. Ma avremo tempo per preparaci, ammesso che la trilogia –
anche quella – diventi realtà.
Il nuovo Universo DC di James Gunn e Peter Safran è
stato messo maggiormente a fuoco questa settimana, al di là
dell’imminente Superman: Legacy–
le cui riprese inizieranno all’incirca tra un mese – Gunn ha anche
confermato che Milly Alcock, la star di House of the
Dragon, è stata scritturata per il ruolo di
Supergirl, un personaggio che sta per ottenere un
proprio film da protagonista con Supergirl: Woman of
Tomorrow. Ad oggi, però, ancora non è noto chi
dirigerà il film, un dettaglio che al regista di X-Men –
L’inizio e Argylle – La super
spia, Matthew Vaughn, risulta piuttosto
strano.
Vaughn ha infatti recentemente
partecipato al “Post Credit Podcast” di BroBible
e ha rivelato di sentirsi piuttosto confuso sull’ordine di sviluppo
del film. “Sono un grande fan di Milly Alcock. Una grande
fan“, ha detto Vaughn. “L’ho incontrata per un altro
progetto a cui stiamo lavorando – mi ha rifiutato, il che è stato
triste. È un’attrice favolosa. D’altra parte, trovo molto strano
che non abbiano trovato un regista. Mi ha sorpreso, perché non si
dovrebbe fare il casting di un film – il regista dovrebbe fare il
casting del film. Non capisco chi abbia fatto il casting se non c’è
un regista“.
Un dubbio lecito quello di Vaughn,
che si è anche detto interessato a dirigere egli stesso il progetto
essendo un grande fan non solo di Alcock ma anche di Superman e
Supergirl. Ana Nogueira (The Vampire
Diaries) sta come noto scrivendo la sceneggiatura di
Supergirl: Woman of Tomorrow, mentre Variety ha riportato,
poco dopo l’annuncio del casting di Alcock, che la DC conta di
assegnare un regista al film nelle prossime settimane. A breve si
potrebbe dunque scoprire chi andrà a ricoprire tale ruolo, anche se
chi si siederà dietro la macchina da presa non potrà effettivamente
dire la propria riguardo al casting del personaggio
protagonista.
Dua Lipa e Henry Cavill in
“Argylle - La super spia”
Questo Febbraio al
cinema si apre all’insegna dell’azione con
Argylle – la super spia diretto da un esperto del genere come
Matthew Vaughn. Il regista del franchise
Kingsman, l’organizzazione supersegreta
britannica che recluta e forma giovani spie, torna con un
nuovo film di spionaggio ma che stravolgerà gli spettatori tra la
finzione e realtà. Ma in questa settimana c’è anche spazio per due
titoli drammatici come
How to Have Sex e
The Warrior – The Iron Claw.
Vediamo insieme le novità
di Febbraio al cinema di questa prima settimana del
mese
Argylle – La super spia
Bryce Dallas Howard è la protagonista Elly
Conway, un’autrice di Best Seller di
spionaggio, introversa che lascia raramente la sua casa solo per
presentare nelle librerie i romanzi che scrive. Dopo uno strano
incontro su un treno, viene trascinata nel mondo reale dello
spionaggio e scopre che le trame dei suoi libri si avvicinano un
po’ troppo alle attività di un sinistro sindacato clandestino.
Aiden, una vera spia, cercherà di
salvare la scrittrice e il suo amato animale domestico
Alfie, da tutti i nemici che inconsapevolmente la donna si
è fatta. Nel cast di
Argylle – la super spia, oltre a Dallas Howard, troviamo
l’attore
Sam Rockwell,
Henry Cavill,
Bryan Cranston,
Catherine O’Hara, Dua
Lipa, Ariana
DeBose, John
Cena,
Samuel L. Jackson e anche Chipil
gatto di Claudia Schiffer.
How to Have Sex
How to have sex è un film sui rischi dell’analfabetismo
sessuale ed emotivo, perché le ragazze e i ragazzi non hanno le
parole per affrontare, il consenso, l’intimità, il piacere e il
sesso. Questo è quello che mostra la regista londinese Molly
Manning Walker nella sua opera prima e vincitrice di
un premio nella sezione Un Certain Regard di
Cannes 2023. Le protagoniste di questo coming of
age sono tre adolescenti, Tara,
Skye ed Em che partono per
Creta, dopo aver terminato la scuola, per vivere
quella che sperano sia la migliore vacanza della
loro vita.
Prima danza,
poi pensa. Alla ricerca di Beckett
Prima
Danza, poi pensa. Alla ricerca di Beckett è un biopic
dedicato al drammaturgo irlandese Samuel Beckett,
Premio Nobel nel 1969. Dopo aver
vinto il Nobel per la letteratura il protagonista, interpretato da
Gabriel Byrne, non sembra affatto contento. Sale sul palco,
strappa bruscamente la busta dell’assegno e comincia a scalare le
quinte, dove un suo doppio lo attende. Da qui parte un
resoconto della storia, dei successi, degli amori
e delle amicizie di Beckett, una delle figure più rivoluzionarie e
influenti del teatro del Novecento. Nel cast della pellicola del
regista Premio Oscar James Marsh, ci
sono Fionn
O’Shea, nei panni del protagonista versione giovane e
Aidan Gillen nel ruolo dello scrittore James
Joyce.
Te l’avevo detto
Te l’avevo detto di
Ginevra Elkann è l’unico titolo italiano di
questo Febbraio al cinema. Questo lungometraggio
svolge a Roma nel mese di Gennaio durante
un’insolita ondatadi caldo in
pieno Inverno. La protagonista è Gianna,
Valeria Bruni Tedeschi, è alle prese con un’ossessione
decennale per la sua ex migliore amica Pupa,
l’attrice
Valeria Golino, una matura pornostar degli
anni Ottanta in bancarotta e che si aggrappa ai suoi giorni di
gloria. Con l’aumento della tensione e del calore, le peggiori
paure e i vizi iniziano a venire a galla. Nel cast, oltre alle due
attrici già citate, ci sono anche
Alba Rohrwacher,
Riccardo Scamarcio,
Greta Scarano, Marisa Borini, Greta
Scacchi e Danny Huston.
The Warrior – The Iron Claw
The Warrior – The Iron Claw poteva essere l’occasione,
finalmente, per
Zac Efron d’essere uno dei candidati come Miglior attore
agli Oscar, ma anche per questa volta niente. Scritto e diretto da
Sean Durkin, racconta la storia vera della famiglia Von Erich,
soffermandosi sui tre fratelli che negli anni Ottanta sono riusciti
a scrivere la storia nel mondo altamente competitivo del wrestling
professionistico. Nei panni dei fratelli Von Erich con il
protagonista Efron ci sono anche
Jeremy Allen White e
Harris Dickinson, il cast si completa con Maura
Tierney, Holt McCallany e
Lily James.
Una bugia per due
Una bugia per due racconta di Louis, l’attore
francese
Vincent Dedienne, un giovane che lavora in uno studio
legale e conduce una vita solitaria. Sul posto di lavoro
nessuno si accorge di lui, ma il giorno in cui scopre di soffrire
una grave malattia, quelli intorno sembrano notare la sua esistenza
per la prima volta. Quando poi lo studio gli chiede di difendere
una multinazionale da uno scandalo, questa diventa l’occasione per
il protagonista di farsi finalmente notare. Tutto però ha un prezzo
e Louis sarà costretto a ricorrere ad una bugia per ritagliarsi un
posto agli occhi degli altri e poter compiere qualcosa di grande.
In questa brillante commedia francese, diretta
da Rudy Milstein sono presenti anche
Clémence Poésy e Géraldine
Nakache.
Upon Entry – L’arrivo
Upon entry –
L’arrivo è un dramma aeroportuale diretto a quattro mani
da Alejandro Rojas e Juan Sebastián
Vásquez. I protagonisti sono l’urbanista
venezuelano Diego e la compagna Elena,
ballerina di danza contemporanea di Barcellona,
che ottengono i visti per gli Stati Uniti e sono pronti a
cominciare una nuova vita. Partendo da una critica nei confronti
del sistema statunitense e dalla sua visione dell’immigrazione, i
due registi allargano il discorso al concetto di fiducia
coniugale.
James Marsh torna
dietro la macchina da presa con Prima danza, poi pensa
– Alla ricerca di Beckett , biopic su uno degli
scrittori più influenti del Novecento, che rivoluzionò il modo di
fare teatro, dando corpo alle insicurezze e alle fragilità umane
attraverso il teatro dell’assurdo e per i suoi meriti ricevette nel
1969 il Nobel per la letteratura. Protagonista l’irlandese
Gabriel Byrne, portatore di innegabile somiglianza e
altrettanta misura.
James Marsh, il privato dietro le
grandi storie
Documentarista e regista di
finzione, James Marsh vinse l’Oscar con il documentario Man on
wire, prima di arrivare a tracciare ne La teoria
del tutto: la parabola umana più che scientifica
di un genio della fisica come Stephen Hawking (2015). Qui l’Oscar
andò a Eddie Redmayne come miglior attore protagonista. Ha
proseguito poi cambiando genere, con King of
thieves (2018), su un gruppo di truffatori alle prese
con la rapina del secolo, sempre tratto da una storia vera. Quello
che, infatti, Marsh non ha mai abbandonato è la curiosità di
scoprire ciò che si cela dietro vicende realmente accadute, con
protagonisti più o meno noti. Che sia la vita privata di un genio
della fisica, o come in Prima danza, poi pensa – Alla
ricerca di Beckett quella di un grande scrittore
contemporaneo, o quella del funambolo tra le Torri Gemelle,
Philippe Petit. Una volontà di scoprire la persona dietro al
personaggio, che Marsh si porta dietro dalla sua lunga esperienza
di documentarista.
La trama di Prima danza, poi pensa
– Alla ricerca di Beckett
1969. Cerimonia per la consegna dei
premi Nobel. Un Beckett basito, Gabriel Byrne,
bolla l’aver ricevuto il premio più prestigioso per la letteratura
come “una catastrofe”. Da qui inizia un lungo confronto
con il suo doppio. Beckett e Beckett ripercorrono assieme la
propria vita, analizzandola da punti divista differenti. Le fasi
dell’esistenza dello scrittore irlandese sono scandite
principalmente dal rapporto con le donne della sua vita. Vediamo
dunque Beckett bambino molto legato al padre, con un rapporto a dir
poco difficile con una madre anaffettiva e svalutante. Il giovane
Beckett, Fionn O’Shea, si trasferisce quindi a
Parigi, stringe amicizia con Joyce, Aidan Gillen,
e inizia una relazione con la figlia Lucia, che avrà però breve
durata. Vi è poi l’incontro con Suzanne, che diventerà sua moglie.
Arriva la guerra e Beckett sceglie di partecipare alla resistenza.
Lo si ritrova poi già maturo. Ha sposato Suzanne, Sandrine
Bonnaire, e sta iniziando ad assaporare il riconoscimento
cui ha sempre aspirato, sebbene la notorietà non si confaccia a un
solitario come lui. Incontra Barbara Bray, Maxine
Peake, traduttrice e critica con cui intraprende una
relazione. La conflittualità tra le due donne della sua vita
segnerà gli ultimi anni. E non gli mancheranno i sensi di colpa. I
suoi capolavori, su tutti Aspettando Godot, restano sullo
sfondo.
Samuel Beckett: un uomo segnato dai
sensi di colpa?
Lo stratagemma del doppio, il
dialogo con la propria coscienza fa emergere un ritratto di Beckett
martoriato dai sensi di colpa. Nei confronti della madre, che sente
di aver abbandonato, pur cosciente di che donna difficile fosse.
Colei che lo aveva iniziato alla poesia, all’amore per la
letteratura, ma lo faceva sentire incapace, inadatto, con quel
mantra dal quale Samuel era fuggito lontano, portandone però con sé
l’eco: “che spreco!”. Negatività per esorcizzare la quale
Beckett aveva presto imparato l’uso dell’ironia e del nonsense, che
avrebbero poi caratterizzato la sua scrittura. Senso di colpa verso
le sue donne: Lucia, la più fragile, avvicinata più per ammirazione
di Joyce che per autentico trasporto; Suzanne, che gli è sempre
stata accanto e che lui ha tradito, Barbara, cui non ha potuto dare
quanto avrebbe voluto. Ma anche l’amico Alfred e Joyce stesso.
Beckett sembra sentirsi in colpa verso tutti.
Carica su di sé tutti i
fardelli possibili, tutte le responsabilità. Allo spettatore questa
appare come una forzatura. Ci si chiede se Beckett fosse davvero
così, dal momento che sembra non si sia, poi, fatto bloccare dai
suoi sensi di colpa. Ha vissuto la sua vita a pieno, ottenendo
anche grandi risultati, affrancandosi dal giogo ella madre,
diventando uno dei drammaturghi più importanti del Novecento.
Allora perché questo scontento, questo continuo rovello? Il regista
sembra voler far emergere, attraverso il dialogo con il doppio, la
visione di Marsh stesso, più che quella di Beckett. Il doppio,
infatti, spinge il protagonista a lasciar andare i rimpianti e
agire sul presente, l’unico che si può ancora cambiare. Lo spinge
ad avere un po’ di indulgenza verso sé stesso e infine, a dare
valore alle gioie della vita che si nascondono nella quotidianità.
Una vita che, come recita il titolo del film, va innanzitutto
vissuta e forse un po’ meno ri-pensata.
Una sceneggiatura disomogenea e
poco coinvolgente
Prima danza, poi pensa –
Alla ricerca di Beckett ha un andamento diseguale. La
prima parte, che si concentra sul giovane Beckett, è più
movimentata e non priva di alcuni guizzi ironici e divertenti, che
rimandano allo stile del Beckett scrittore, lasciando intravedere
ciò da cui può aver tratto ispirazione. Questa vena di vivacità,
però, si perde nella seconda parte. Il film diventa piuttosto
monotono e stanco. Un grosso salto temporale catapulta lo
spettatore agli anni della maturità, poveri di accadimenti, se non
una infedeltà, i dubbi sui pro e i contro del successo e gli
immancabili rimpianti. La sensazione è che ci sia poco materiale, o
che il regista non abbia scelto i momenti più significativi, o
ancora che non sia riuscito a renderlo in modo coinvolgente.
L’interpretazione di Gabriel
Byrne
La somiglianza senza dubbio non
difetta a Gabriel Byrne per calarsi nei panni di Samuel Beckett.
Bisogna dire che l’attore irlandese – divenuto famoso con I
soliti sospetti di Brian Singer, ma visto anche più di recente
in serie tv come Zerozerozero, o nell’americana In
treatment – interpreta con misura il personaggio. Forse però,
quello che manca, già in fase di scrittura, è la scintilla, la
volontà di scompaginare e anche di stupire, che certo ha
caratterizzato il drammaturgo suo conterraneo. Elemento questo che
avrebbe dato al solido attore la possibilità di cimentarsi con un
personaggio più interessante, variegato e complesso rispetto a
quello immaginato da Marsh. È così che, nel complesso, un po’ di
quel regret di cui si parla in Prima danza,
poi pensa – Alla ricerca di Beckett, rimane anche
addosso allo spettatore, per aver perso l’occasione di vedere un
racconto davvero appassionante su una figura dirompente nel
panorama letterario del Novecento europeo. Presentato in anteprima
al Torino Film Festival, Prima danza, poi pensa – Alla
ricerca di Beckett, è nelle sale dal 1 febbraio.
Più grande è la spia, più
grande è la bugia. Dalla mente brillante di Matthew
Vaughn (del franchise Kingsman e Kick-Ass)
arriva al cinema Argylle,
un thriller di spionaggio acuto, che stravolge la realtà e vi porta
in giro per il mondo.
Bryce Dallas Howard (Jurassic
World) è Elly Conway, autrice solitaria di una serie di
romanzi best-seller di spionaggio, la cui idea di felicità è una
serata a casa al computer con il suo gatto Alfie. Ma quando le
trame dei libri di Elly, incentrate sull’agente segreto Argylle e
sulla sua missione di smascherare un’organizzazione criminale
globale, iniziano a rispecchiare le azioni segrete di
un’organizzazione di spionaggio reale, le tranquille serate a casa
diventano un lontano ricordo.
Accompagnata da Aiden (il
premio Oscar Sam Rockwell), una spia allergica ai gatti,
Elly (che porta Alfie nello zaino) corre per il mondo cercando di
stare un passo avanti agli assassini, mentre il confine tra il
mondo immaginario di Elly e quello reale inizia a svanire.
Il cast di prim’ordine
comprende Henry Cavill (The
Witcher), John Cena (Fast
X), la vincitrice dell’Oscar Ariana DeBose (West Side
Story), la superstar del pop Dua Lipa (Barbie), il
vincitore dell’Emmy e candidato all’Oscar Bryan Cranston (Breaking Bad), la vincitrice
dell’Emmy e icona della commedia Catherine O’Hara
(Schitt’s Creek), Sofia Boutella (Kingsman – The Secret
Service) e il leggendario Samuel L. Jackson. Alfie è interpretato da
Chip, che nella vita reale è il gatto della top model Claudia
Vaughn (nata Schiffer).
Argylle
è diretto e prodotto da Matthew Vaughn, da una
sceneggiatura di Jason Fuchs (Sei ancora qui – I Still See You). Il
film è prodotto da Matthew Vaughn, Adam Bohling (del franchise
Kingsman), Jason Fuchs e David Reid (del franchise Kingsman). I
produttori esecutivi sono Adam Fishbach, Zygi Kamasa, Carlos Peres
e Claudia Vaughn. Apple Original Films presenta,
in associazione con MARV, una produzione Cloudy. Argylle
è distribuito da Universal Pictures Italia.
Captain America: New World Order
sarebbe dovuto uscire nel corso dell’estate 2024, ma quando gli
scioperi della WGA e della SAG-AFTRA hanno bloccato
Hollywood, i Marvel Studios si sono resi conto
che era necessario apportare modifiche significative al film, che
ha dunque subito ovvi ritardi. Quest’anno, dunque, si svolgeranno
estesi reshoot e sono ora emersi nuovi dettagli su quanto saranno
significativi. Secondo lo scooper Daniel Richtman, le riprese sono
attualmente previste da maggio ad agosto.
Come si noterà, si tratta di un
periodo abbastanza lungo da girare un intero film dall’inizio alla
fine. Non è detto che l’intero periodo venga utilizzato, magari
solo determinati giorni o settimane, permettendo così di conciliare
il tutto con gli impegni degli attori coinvolti. Se però tale
periodo di reshoot venisse confermato, potrebbe anche significare
che molto sta cambiando all’interno del film. Di questo parere è
anche lo scopper @CanWeGetToast, il quale afferma
infatti che la Serpent Society verrà completamente rimossa dal film
seguito di The Falcon e The Winter Soldier.
Questa avrebbe dovuto essere una
delle principali minacce per il nuovo Captain America all’interno
del film, con un primo importante scontro già presente nel primo
atto. Ma se questi rumor dovessero rivelarsi veri potrebbe non
comparire affatto. Ciò significa che anche
le scene girate dal wrestler Seth Rollins non
finiranno nel montaggio definitivo di Captain America: New World Order. Di certo, molto
potrebbe cambiare nel film, per cui ad oggi rimane in vigore una
forte incertezza su ciò che il film conterrà o meno.
Quello che sappiamo sul film
Captain America: New World Order
Captain America: New World Order riprenderà da
dove si è conclusa la serie Disney+The Falcon and the
Winter Soldier, seguendo l’ex Falcon Sam Wilson
(Anthony Mackie)
dopo aver formalmente assunto il ruolo di Capitan America. Il
regista Julius Onah (Luce, The Cloverfield
Paradox) ha descritto il film come un “thriller
paranoico” e ha confermato che vedrà il ritorno del Leader
(Tim Blake Nelson), che ha iniziato la sua
trasformazione radioattiva alla fine de L’incredibile Hulk del 2008.
Importante sarà anche la presenza di
Harrison Ford nel ruolo del generale Ross, che
secondo alcuni potrebbe trasformarsi nell’Hulk Rosso. Secondo
quanto riferito, la star di Alita: Angelo della BattagliaRosa
Salazar interpreta la cattiva
Diamondback. Nonostante dunque avrà degli elementi
al di fuori della natura umana, il film riporterà il Marvel Cinematic
Universe su una dimensione più terrestre e realista, come già
fatto anche dai precedenti film dedicati a Captain America. Ad ora,
Captain America: New World Order è indicato come uno
dei titoli più importanti della Fase 5.
Dopo un esordio
folgorante come
La fuga di Martha – che lanciò la carriera di
Elizabeth Olsen – e un altro film di notevole
impatto quale The Nest con Carrie Coon e
Jude law, Sean Durkin è tornato
dietro la macchina da presa per The Warrior (The Iron Claw), storia vera di
una delle storiche dinastie del wrestling negli anni ‘80, quella
dei Von Erich. In un cast che comprende Jeremy Allen White, Harris
Dickinson, Holt McCallany e Maura
Tierney, il regista ha inserito anche Zac Efron come protagonista nel ruolo di
Kevin, e l’attore lo ha ripagato con una di quelle performance che
possono davvero cambiare una carriera. Abbiamo incontrato proprio
Zac Efron a New York, dove ci ha raccontato
The Warrior (The Iron Claw) dal 1° febbraio al
cinema in Italia.
Sapeva nulla dei Von Erich prima di accettare la
parte di Kevin?
Prima di leggere la
sceneggiatura non ne sapevo nulla, durante il nostro primo
incontro, Sean Durkin mi ha spiegato in maniera
approfondita la loro storia e ho capito che si trattava di una vera
e propria tragedia familiare, sembrava quasi impossibile che tutto
quello fosse successo a una sola persona quale Kevin. Ho sentito
immediatamente che non sarebbe stato soltanto un film che parlava
di wrestling quanto piuttosto una saga familiare, una storia di
perdita. Volevo assolutamente interpretare quest’uomo che pian
piano capisce di doversi tirare fuori da determinate dinamiche, che
vuole rompere la catena della maledizione che avvolge i Von
Erich.
Come Zac Efron è entrato nel ruolo a livello
psicologico?
Per fortuna non ho
vissuto le tragedie personali che Kevin ha dovuto affrontare, ma
avendo un fratello minore che amo moltissimo ho potuto capire alla
perfezione quello a cui il personaggio va incontro nel corso della
storia. I fratelli Von Erich sono i migliori amici l’uno
dell’altro, tentano costantemente di motivarsi a vicenda. Si tratta
di un microcosmo che Sean è riuscito a cogliere alla perfezione,
mettendone in scena i tratti piú intimi ed emozionanti.
E a livello fisico che tipo di lavoro ha svolto
Zac Efron per diventare Kevin Von
Erich?
Per arrivare a
raggiungere il livello di fisicità che aveva mostrato nei filmati
che lo vedevano sul ring, sapevo di dover sviluppare una sorta di
ossessione. Ho realmente passato tre mesi a mangiare, dormire e
allenarmi. Il che era praticamente quello che i veri fratelli Von
Erich facevano nella vita reale. Sul set e sul ring ho incontrato i
miei colleghi Jeremy Allen White, Harris Dickinson e Stanley
Simons, che pian piano sono diventati miei amici. Fuori dal set la
nostra vita era praticamente inesistente, il che mi ha aiutato
molto a entrare nella psicologia e nello stato d’animo del personaggio.
Avete lavorato insieme al vero Kevin Von Erich per
la realizzazione del film?
Sean ha preso la
decisione di non coinvolgerlo nella preparazione e durante le
riprese perché non voleva correre il rischio di essere coinvolto in
maniera troppo emotiva dal rapporto che si sarebbe sviluppato.Tutti
volevamo dare una nostra versione di quella storia, mettendo in
risalto quello che ritenevano fosse il cuore del dramma. Una
decisione che ho rispettato e condiviso. Vi sono ore e ore di
interviste televisive a Kevin che ho visionato per avvicinarmi al
personaggio, momenti in cui parla in maniera molto spontanea sia
del suo amore per il wrestling che degli eventi in cui la sua
famiglia è rimasta coinvolta. Poi ovviamente lo abbiamo contattato
per raccontargli quello che avevamo fatto, l’idea che abbiamo
portati avanti girando The Iron Claw, e si è dimostrato un uomo
aperto e molto saggio. L’ho incontrato finalmente alla première
mondiale del film a Dallas e abbiamo parlato molto, è stato un
momento emozionante per me, oserei dire l’apice emotivo della mia
carriera.
Le sequenze di lotta sono vibranti, come le avete
realizzate?
Abbiamo girato
praticamente tutte le scene in pochi giorni: la produzione ha
affittato il palazzetto dello sport che poi è stato riempito di
comparse. È stata un’esperienza incredibile, un vero happening.
Dopo essermi preparato fisicamente per tre mesi ho potuto esprimere
tutto quello che avevo imparato, tutta l’energia accumulata in veri
match di lotta. Sean ha scelto di girare gli incontri dall’inizio
alla fine per ottenere realismo, in modo che il pubblico si
emozionasse e partecipasse veramente, quindi abbiamo avuto qualcosa
come quindici minuti di vero wrestling ogni volta. Io, Jeremy e il
resto del cast avevamo studiato a fondo le coreografie degli
incontri, ma abbiamo anche avuto modo di improvvisare qualche mossa
durante i match, che in questo modo si sono trasformati in qualcosa
di ulteriormente più reale e sentito. È stata una grande
esperienza, un tour de force fisico ma anche emotivo non facile ma
assolutamente gratificante.
Il background di ballerino di Zac Efron l’ha aiutata in qualche modo per i
match?
Certamente, l’aver
studiato coreografie per così tanto tempo da giovane mi ha
favorito, soprattutto perché ho sviluppato negli anni un modo di
imparare prevalentemente fisico e visivo. Il wrestling è un momento
di show, una coreografia concertata con un certo spazio concesso
all’improvvisazione. Kevin Von Erich era un maestro in questo,
aveva sviluppato un linguaggio del corpo sul ring che sembrava
realmente l’elaborazione di una danza.
In una distopica Seoul, un
improvviso catastrofico terremoto distrugge la città, rendendola
una distesa desolata e arida in cui i pochi sopravvissuti lottano
disperatamente per difendersi da bande di spregiudicati criminali e
da un folle crudele scienziato. È in questo scenario apocalittico
che si muovono i coraggiosi Nam-san (Ma Dong-Seok)
e Ji-wan (Lee Jun-young), i protagonisti
dell’inquietante k-thriller Badland
Hunters (titolo originale in hangul 황야).
Dopo aver debuttato lo scorso 26
gennaio sulla celebre piattaforma Netflix, il film sudcoreano –
diretto da Heo Myeong-haeng e scritto da Kim
Bo-tong (sceneggiatore dell’avvincente ed emozionante k-drama
D.P.) e Kwak Jae-min – ha rapidamente conquistato
il podio della classifica dei film non inglesi, stabilizzandosi
nella Top10 Netflix di questa settimana e conquistando
il pubblico con una buona dose di adrenalina e
frenesia.
Alcuni anni dopo un terribile
terremoto che ha devastato la città di Seoul, i pochi sopravvissuti
allestiscono un villaggio improvvisato dove i due cacciatori
Nam-san e Ji-wan cercano di recuperare un po’ della quotidianità
perduta dopo il disastro. Un giorno, però, la loro relativa pace
viene improvvisamente abbattuta dall’arrivo di un gruppo di
individui armati che rapiscono con l’inganno l’adolescente Su-na
(Roh Jeong-eui) e la sua debole nonna. Quando
scoprono che la giovane è in serio pericolo, Nam-san e Ji-wan –
insieme all’ex soldata Eun-ho (An Ji-hye) –
partono in cerca del Condominio, l’inquietante e oscuro palazzo in
cui il dottor Yang Gi-su (Lee Hee-joon), uno
scienziato squilibrato, conduce esperimenti biologici su soggetti
umani, con il fine di creare una nuova razza di uomini e donne
immortali.
Non solo demoni e zombie in Badland
Hunters
Hellbound, Sweet Home e Non
siamo più vivi sono solo alcuni dei prodotti sudcoreani di
successo, giunti su Netflix negli ultimi anni, che hanno
trasportato il pubblico in un vorticoso viaggio attraverso le
inquietudini dell’esistenza umana e la
paralizzante paura della fine del mondo. Ed è
proprio a questa (ancor troppo breve) lista che si aggiunge
l’ultima fatica di Heo Myeong-haeng. Nonostante l’assenza di demoni
infernali e zombie “mangia cervello”, Badland Hunters –
proprio come il recente k-drama La Creatura di
Gyeongseong, con protagonista il magnetico Park Seo-Joon
(The Marvels, Parasite,
Dream) – porta in scena un racconto
orrorifico che mostra (e ricorda) come tutto il male del
mondo possa, il più delle volte, nascere dalla crudeltà e avidità
umana.
Badland Hunters. In foto l’attore Lee Hee-jun nei panni del dottor
Yan Ki-su.
Infatti, accecato dal desiderio di
concedere una seconda possibilità a sé stesso e alla figlia in fin
di vita, Yang Gi-su intraprende una sconsiderata e atroce
sperimentazione per creare ciò che neppure Dio è riuscito a
dare: l’immortalità umana. Ed è proprio dalla
diabolicapresunzione e insensata
ostinazione di Yang Gi-su che nascono mostri (come gli
spaventosi soldati rinchiusi nei sotterranei dell’edificio) e
individui mostruosi (tra cui l’insegnante e il sergente che
divengono complici di omicidi violenti col solo intento di ottenere
protezione e una “dose” di quella immortalità).
Don Lee, il gigante buono del Sud Corea
Grazie alla collaborazione con il
regista Heo, l’acclamata star d’azione Ma
Dong-seok, conosciuto al pubblico internazionale come Don
Lee, debutta ufficialmente su Netflix nei panni
dell’introverso ma valoroso Nam-san. Noto al mondo per successi
come Train to Busan e
Eternals, Don Lee è
riuscito – durante la sua ventennale carriera – a conquistare
l’esigente pubblico sudcoreano grazie all’immagine
cinematografica che gli è stata cucita addosso: quella di
un “gigante buono”, tanto grosso e rozzo quanto
gentile e di buon cuore. Definito da alcuni il “The Rock asiatico”
e da altri il “Bud Spencer coreano”, Don Lee dà quindi nuova
dimostrazione del suo talento e, con ironia e umorismo, porta sul
piccolo schermo un grande eroe che poco ha da
invidiare all’eterno Gilgamesh.
Badland Hunters. In foto l’attore Don Lee che interpreta Nam
San.
Badland Hunters, quando la spettacolarità dell’azione
non basta
Con un’avvincente e frenetica
narrazione ritmata da violente coreografie
d’azione, Badland Hunters afferra con forza lo
spettatore per trascinarlo, scena dopo scena, in una storia intrisa
di catastrofi naturali e crudeltà umana, ma anche
di audacia e resilienza. Pur incantando
visivamente, però, il film di Heo finisce per valorizzare così
tanto l’azione da sacrificare amaramente sia la profondità
psicologica dei personaggi che la coerenza e l’integrità della
trama.
Inoltre, un altro aspetto
critico è rappresentato dal doppiaggio
italiano: come spesso accade nei prodotti asiatici,
infatti, il doppiaggio priva la versione italiana
dell’intensità recitativa che caratterizza quella
originale, riducendo la recitazione degli attori a una
interpretazione più superficiale e caricaturale.
In conclusione, BadlandHunters è un’emozionante thriller che, sebbene offra al
pubblico un’esperienza di grande spettacolarità, non riesce ad
andare al di là delle immagini e a lasciare, così, un’impronta
duratura e significativa nello spettatore.
Miles Teller, protagonista di Top Gun:
Mavericke Whiplash, è in
trattative per unirsi a Michael,
il biopic su Michael Jackson diretto da Antoine
Fuqua e prodotto da Lionsgate e Universal Pictures
International. Le fonti ci dicono che non c’è ancora un accordo per
Teller. Il film è attualmente in fase di riprese.
Miles Teller dovrebbe interpretare un avvocato
nel film biografico su Michael Jackson.
Esattamente quale degli avvocati di Jackson, vedremo. Il defunto
Howard Weitzman era noto per aver difeso Jackson e
il suo patrimonio, in particolare contro le pretese dei creditori e
le accuse di pedofilia. Poi c’è stato Mark
Geragos, che ha assistito Jackson nelle prime fasi del
caso di molestie People vs. Jackson del 2005,
prima di essere sostituito da Thomas Mesereau.
Teller si unirebbe ad un cast in
forte espansione che include Colman Domingo nel
ruolo del patriarca Joe Jackson, Nia Long nel
ruolo della madre Katherine Jackson, così come Jaafar
Jackson, nipote di Michael Jackson, che
interpreterà il ruolo principale.
Il film, sceneggiato dal tre volte
candidato all’Oscar John Logan e prodotto dal
premio Oscar Graham King, racconterà le prove e le
tribolazioni del Re del Pop, nonché la visione del suo genio.
Michael è
prodotto anche dai co-esecutori testamentari dell’eredità di
Michael Jackson, John Branca e John
McClain.
Michael, la sinossi del
film:
“‘Michael’ offrirà
al pubblico un ritratto avvincente e onesto dell’uomo brillante ma
complicato che è diventato il Re del Pop. Il film presenta i suoi
trionfi e le sue tragedie su una scala epica e cinematografica –
dal suo lato umano e le sue lotte personali al suo innegabile genio
creativo, esemplificato dalle sue performance più iconiche. Come
mai prima d’ora, il pubblico potrà dare uno sguardo dall’interno a
uno degli artisti più influenti e all’avanguardia che il mondo
abbia mai conosciuto“.’
“Non c’è modo di sentirsi tristi
quando sai di essere così fortunato”, ha detto Margot Robbie durante un panel durante
una proiezione speciale del SAG martedì sera. Robbie, che ha
prodotto e interpretato
Barbie, stava rispondendo alle questioni delle mancate
nomination agli Oscar per la regista Greta
Gerwig e per se stessa nella categoria Attrice
protagonista, una situazione che ha suscitato molto dibattito
online e delusione per i fan di Barbie.
“Ovviamente penso che Greta
dovrebbe essere nominata per la regia, perché quello che ha fatto è
una cosa che capita una volta nella carriera, una cosa
irripetibile, quello che ha realizzato, lo è davvero”, ha
detto Robbie. “Ma è stato un anno incredibile per tutti i
film.” Barbie è l’unico film da un miliardo di dollari
diretto esclusivamente da una donna, e lo scorso anno ha superato
tutti gli altri film al botteghino, portando a casa 1,4 miliardi di
dollari in tutto il mondo. Come ha detto Margot Robbie, la reazione al film è diventata
una sorta di fenomeno culturale: “Sospetto solo che sia più
grande di noi. È più grande di questo film, è più grande del nostro
settore”.
Robbie ha anche sottolineato
chiaramente che è “più che entusiasta di avere otto nomination
agli Oscar, è così folle”. Queste
nomination includono Miglior Film, Attrice non Protagonista per
America Ferrera; Attore non protagonista per
Ryan Gosling, costumi, scenografia e miglior
sceneggiatura non originale per Gerwig e Noah
Baumbach. “Tutti quelli che hanno ricevuto i
riconoscimenti che hanno ricevuto sono semplicemente incredibili,
così come il riconoscimento per il miglior film”, ha detto
Robbie.
“Abbiamo deciso di fare qualcosa
che potesse cambiare la cultura, influenzare la cultura, avere una
sorta di impatto”, ha detto Robbie. “E lo ha già fatto, in
parte, molto più di quanto avessimo mai immaginato. E questa è
davvero la ricompensa più grande che potrebbe derivare da tutto
questo”.
La carriera di Clint
Eastwood è generalmente iniziata grazie ai celebri
western di Sergio Leone. Da
Per un pugno di dollari fino a Il buono, il brutto e il cattivo, questi permisero
all’attore di ottenere fama mondiale. Grande appassionato di questo
genere, Eastwood si dichiarò poi particolarmente insoddisfatto di
vedere mediocri film statunitensi basati su quell’immaginario, e
decise pertanto di proporsi come ideale successore di Leone. Fu
così che nel 1976 portò al cinema il suo nuovo film da regista,
intitolato Il texano dagli occhi di
ghiaccio.
Il film venne definito come uno dei
migliori dell’anno e come uno dei migliori di genere western da
diversi anni a quella parte. Qui Eastwood interpreta nuovamente
l’archetipo del pistolero solitario, dotato però di un cuore che lo
rende profondamente umano. La storia narrata è basata sul romanzo
Gone to Texas, scritto dall’ex leader del Ku Klux Klan
Forrest Carter. Nell’adattare il testo, gli sceneggiatori dovettero
fare molta attenzione a rimuovere la grande presenza di razzismo
insita nel testo, mantenendo però il racconto di base.
Al momento dell’uscita in sala, il
film si affermò come un grande successo arrivando ad incassare
oltre 31 milioni di dollari a fronte di un budget di circa 3.7. Nel
corso degli anni Il texano dagli occhi di ghiaccio ottenne
prestigiosi riconoscimenti, venendo indicato come un film
culturalmente, storicamente ed esteticamente ricco di valore.
Ancora oggi Eastwood ha affermato di considerarlo uno dei punti più
alti della sua carriera. Un film che ha segnato un primo
significativo passo per la sua fortunata carriera da regista, la
quale ha poi trovato consacrazione in un altro western, Gli spietati, uscito nel 1992.
La trama di Il texano dagli
occhi di ghiaccio
Protagonista del film è
Josey Wales, un uomo dedito al pesante lavoro nei
campi della sua piccola proprietà nel Missouri. La sua è una vita
pacifica, condotta insieme alla moglie e al figlio tra il lavoro e
la gioie della casa. Wales è un uomo fortunato, poiché è riuscito
ad evitare la guerra di Secessione, che insanguina in quegli anni
il territorio americano. La sua fortuna si spezza però nel momento
in cui un gruppo di cavalieri nordisti, capitanati dal fanatico
Terrill, finiscono per invadere il suo territorio,
uccidendo senza pietà la moglie e il figlio. Wales si ritrova ad
essere tramortito e creduto morto, e solo per questo
risparmiato.
Animato dal desiderio di vendetta e
senza più nulla da perdere, questi decide di unirsi alle bande
sudiste e combattere contro gli assassini della sua famiglia. In
breve, Wales ottiene grande fama per la sua abilità con le armi da
fuoco. Con la fine della guerra e la sconfitta del Sud, però, egli
si ritrova ad essere ora un fuorilegge con una pesante taglia sulla
sua testa. Nel corso del suo viaggio senza meta, l’uomo incontrerà
inaspettati amici e alleati, accrescendo la propria fama e sempre
intenzionato a trovare lo spietato nordista Terrill per consumare
la propria vendetta. Attorno a lui, intanto, con la fine della
guerra, c’è un’America sull’orlo del cambiamento, tra nostalgici e
progressisti convinti nell’arrivo imminente di un futuro più
roseo.
Il texano dagli occhi di
ghiaccio: il cast del film
Per il ruolo del fuorilegge Josey
Wales fu subito chiaro che sarebbe stato Eastwood a dargli volto.
L’attore stesso acquistò i diritti sul libro, intenzionato ad
interpretare il personaggio. Prepararsi per questo non fu una
novità per lui, che solo dieci anni prima era impegnato sui set
degli western di Leone. Eastwood decise infatti di costruire un
personaggio caratterialmente simile a quello dell’uomo senza
nome, dotandolo però di maggiori emozioni e umanità. Nel film
è poi presente l’attrice Sondra Locke nei panni di
Laura Lee. Eastwood insistette perché avesse lei il ruolo,
nonostante il personaggio fosse poco più che adolescente e
l’attrice avesse già superato i 30 anni. La collaborazione tra i
due attori sfociò poi in un rapporto sentimentale che sarebbe
proseguito fino alla fine degli anni Ottanta, e che li avrebbe
portati a recitare insieme in altri 6 film.
Particolarmente importante nel film
è invece il personaggio del vecchio indiano Lone Watie, il quale si
unisce a Wales durante il suo viaggio. Ad interpretarlo venne
chiamato Chief Dan George, appartenente ad una
tribù di nativi americani e già candidato all’Oscar per il film
Il piccolo grandeuomo. A causa dell’età
particolarmente avanzata, questi era solito dimenticare le proprie
battute, ed era proprio Eastwood a suggerirgliele di nascosto
durante le riprese. Bill McKinney, noto per i suoi
ruoli da caratterista e da villain, è qui l’interprete dello
spietato capitano Terrill, mentre John Vernon ha
il ruolo del capo dell’esercito unionista Fletcher. Molti di questi
attori divennero ulteriormente popolari proprio grazie ai ruoli qui
ricoperti, e diversi di loro tornarono in più occasioni a
collaborare con Eastwood per i suoi film da attore o regista.
Il trailer di Il texano dagli
occhi di ghiaccio e dove vedere il film in streaming e in
TV
Per gli appassionati del film è
possibile fruire di questo grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete.
Il texano dagli occhi di ghiaccio è
infatti disponibile nel catalogo di Apple TV, Google Play,
Now e Prime Video. Per vederlo, basterà
sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si ha soltanto
un determinato periodo di tempo entro cui vedere il titolo. Il film
è inoltre presente nel palinsesto televisivo di mercoledì
31 gennaio alle ore
21:00 sul canale
Iris.
Le frasi più belle dal film Il texano dagli occhi di
ghiaccio
Del film, giudicato come uno dei
migliori western dei suoi anni, sono inoltre rimaste
particolarmente celebri alcune della frasi pronunciate dai
protagonisti. Molte di queste sono rimaste nell’immaginario comune,
e ancora oggi sono indicate come tra le più belle citazioni che si
possono fare nell’omaggiare il film e il genere western. Ecco di
seguito alcune delle più famose e ricordate:
“Io ero un grande
guerriero. Gli anni si fanno sentire.” “Non è la vecchiaia. E’ la
civiltà che avanza, amico mio.”
“Bisogna sempre tenere il
coltello dalla parte del manico. Se vuoi vivere, devi metterti in
posizione di vantaggio. Quando spari, abbi l’accortezza di stare
con il sole alle spalle.”
“Ah, ricordatevi… se si mette
male, e vi vedete in pericolo, diventate cattivi, feroci, spietati
come belve ferite. Perché se vi perdete d’animo, non vincerete e
non vivrete. E’ la legge della guerra.”
“Certo che è finita… e siamo
morti un pò tutti in quella maledetta guerra.”
“Le nuvole… in cielo. Sono
come… i sogni quando vagano nel fondo della nostra
mente.”
Sin dal suo esordio nel 1996 con
Sydney, il regista Paul Thomas Anderson
si è imposto come uno dei maggiori autori cinematografici
contemporanei. Con le sue opere ha scandagliato l’animo umano e la
sua storia nel corso del tempo, consacrandosi con titoli come
Il petroliere e
The Master, indicati come
due tra i film più importanti del nuovo millennio. Quasi ogni film
di Anderson si è infatti svolto in periodi diversi del Novecento,
manifestando come un intento esplorativo nei confronti di
determinati momenti che hanno caratterizzato gli Stati Uniti e il
suo popolo. Oltre ai due film poc’anzi citati rientrano in questo
elenco anche Boogie Nights – L’altra Hollywood, Vizio di
forma e fino al recente Licorice
Pizza (qui
la recensione).
Quest’ultimo, uscito nel 2021, ha
riportato nuovamente il regista negli anni Settanta, periodo della
sua giovinezza che Anderson desiderava raccontare da un nuovo punto
di vista, più nostalgico ed emotivo. Ha così preso vita un film
diverso da quello che forse ci si aspettava, apparentemente meno
coeso nel racconto ma in realtà scaturito da un rigido lavoro di
scrittura che ha permesso di riproporre un’epoca, la sua atmosfera
e le emozioni che era capace di suscitare. Mentre sappiamo che
Anderson è
attualmente al lavoro su un nuovo progetto, che lo vedrà
collaborare per la prima volta con Leonardo
DiCaprio, riscoprire Licorice
Pizza è caldamente raccomandato.
Perché si tratta di un film
realmente in grado di evocare atmosfere e stati d’animo in cui è
facile ritrovarsi se si accetta di abbandonandosi
all’imprevidibilità degli eventi, ovvero della vita. Licorice
Pizza è inoltre un’entusiamante svolta “comica” e
“spensierata” nella filmografia di Anderson (non che i suoi
precedenti film non fossero anche diverti, anzi), che non deve però
assolutamente far pensare ad un’opera meno impegnata. Dietro questo
film c’è infatti un intero mondo, con tutte le sue contraddizioni,
bellezze, brutture e in generale tutto un irrefrenabile sfogo di
vitalità.
La trama e il cast di Licorice Pizza
Ambientato nella San Fernando Valley
degli anni Settanta, il film racconta la storia di un giovane
liceale, il quindicenne Gary Valentine, con una
carriera avviata come attore sin dall’infanzia. Il giorno in cui a
scuola si scatta la foto per l’annuario, Gary incontra
Alana Kane, una ragazza di diversi anni più grande
di lui, da cui rimane fortemente colpito. I due iniziano a
frequentarsi e a passare diverso tempo insieme, vivendo diverse
avventure sempre correndo da una parte all’altra della città,
crescendo giorno dopo giorno e, tra un litigio e l’altro,
innamorandosi l’uno dell’altro.
Ad interpretare i due protagonisti,
Gary e Alana, vi sono Copper Hoffman e
Alana Haim, entrambi qui al loro primo
lungometraggio. Il primo è il figlio del compianto attore Phillip Seymour Hoffman, frequente
collaboratore di Anderson, mentre Alana è membro della band Haim,
di cui Anderson ha diretto diversi videoclip. Nel film recitano poi
anche Sean Penn nel ruolo di Jack Holden,
Tom Waits in quelli di Rex Blau,
Bradley Coopernel ruolo di Jon Peters e
Benny Safdie in quelli di Joel Wachs. La moglie di
Anderson, Maya Rudolph, interpreta Gale, mentre a
completare il cast vi sono Mary Elizabeth Ellis
nel ruolo di Anita e John C. Reilly in quelli di Fred Gwynne.
Che vuol dire Licorice
Pizza e qual è il significato del film e del suo finale?
Una domanda che in molti si sono
posti guardando il film è cosa voglia dire Licorice
Pizza e qualche sia il significato di questo
titolo. Come spiegato dallo stesso Anderson, Licorice Pizza (che
vuol dire testualmente “pizza alla liquirizia”, era il nome del
negozio dove da giovane, negli anni ’70, egli si recava per
comprare vinili (anche rinominati “pizze di liquirizia”). Si tratta
dunque di un nome proveniente dalla memoria di Anderson, dal suo
passato, un ricordo di un’epoca nei confronti della quale il
regista prova un normale senso di nostalgia. A partire da qui, si
può iniziare a comprendere come l’intero film sia sostanzialmente
un nostalgico – ma mai malinconico – modo per ripercorrere un epoca
e le sue caratteristiche.
Attraverso le avventure –
strutturate quasi come “episodi” – di Gary e Alana, Anderson punta
a raccontare oltre che il contesto in cui è cresciuto anche gli
sconvolgimenti emotivi propri della giovane età, con la frenesia
che la caratterizza. Ecco allora che per tutto il film i due
protagonisti si rincorrono e si allontano, fino a quando si rendono
conto di voler stare l’uno con l’altra per i momenti importanti,
correndo finalmente nella stessa direzione fino ad incontrarsi e
confessarsi un amore da intendere più in senso platonico che non
fisico. Il significato del finale di Licorice
Pizza riguarda dunque gli enormi cambiamenti, lo sviluppo,
l’incertezza e l’instabilità della giovinezza, e quanto sia
speciale trovarsi finalmente nello stesso posto con qualcuno al
momento giusto.
Questo è un momento molto specifico
nella vita di Gary e Alana e, anche se probabilmente non durerà,
sono felici di essersi trovati proprio quando possono davvero
godersi l’un l’altro e finalmente essere sulla stessa lunghezza
d’onda. Rimane una certa incertezza nel futuro di entrambi – non è
cambiato molto dall’inizio del film, a parte il fatto che Alana e
Gary si influenzano a vicenda nella scoperta di se stessi – ma
almeno hanno l’un l’altro nel presente. Attraverso la loro atipica
storia d’amore, Anderson riporta dunque sul grande schermo un
periodo segnato da grandi incertezze, grandi cambiamenti, ma anche
da un attaccamento alla vita che sembra poi essersi perso nel
tempo.
Il trailer di Licorice
Pizza e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Licorice
Pizza grazie alla sua presenza su alcune delle
più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Google
Play, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
mercoledì 31 gennaio alle ore
21:10 sul canale Rai Movie.
Arriva domani nelle
sale italiane la brillante commedia francese Una
Bugia per due, diretta da Rudy
Milstein con protagonisti Vincent Dedienne,
Clémence Poésy e Géraldine
Nakache.
Una commedia
intelligente, sottile e delicata che racconta una storia fondata
sull’apparenza, di come principi e valori vengano spesso messi da
parte al fine di sedurre, di essere accettati e di compiacere alla
società. Protagonista dell’originale opera prima di Milstein è
l’avvocato Louis, interpretato da Vincent Dedienne, il
classico (fin troppo) bravo ragazzo ‘costretto’ dalle circostanze a
ricoprire il ruolo di bugiardo. A far da contorno, una serie di
personaggi che verranno coinvolti dalle imprevedibili conseguenze
delle “piccole” bugie di Louis, tra cui Elsa, la spregiudicata e
affascinante manager dello studio legale presso cui lavora Louis,
interpretata da Clémence Poésy, l’incorruttibile e
determinata Hélène interpretata da Géraldine Nakache, gli
eccentrici genitori di Louis e Bruno, il bizzarro vicino di casa,
che apparentemente non riesce a provare emozioni, interpretato
dallo stesso regista, nel doppio ruolo di autore e attore. Una
Bugia per due è nei cinema italiani
distribuito da Officine UBU da giovedì 1 febbraio.
Louis è gentile. È così gentile
che passa spesso inosservato. I colleghi e i genitori non ne hanno
una grande considerazione, e non può nemmeno contare sull’appoggio
degli amici… che non ha. Il giorno in cui scopre di avere una grave
malattia, quelli intorno a lui sembrano notare la sua esistenza per
la prima volta, e per Louis le opportunità personali e
professionali improvvisamente abbondano. Quando lo studio legale
presso cui lavora gli chiede di difendere una multinazionale da uno
scandalo, questa diventa per Louis l’occasione per farsi finalmente
notare. Tutto però ha un prezzo, e Louis sarà costretto a ricorrere
a una bugia “buona” per ritagliarsi un posto agli occhi degli altri
e poter compiere, finalmente, qualcosa di grande.
Matthew McConaughey ha vinto un Oscar per aver
interpretato una persona reale in Dallas Buyers
Club, quindi è comprensibile perché potrebbe essere
attratto da un ruolo che lo vedrà protagonista di un’altra storia
vera. L’attore è in procinto di stringere un accordo per recitare
in The Lost Bus, che sarà diretto da Paul
Greengrass.
Lo sviluppo di The Lost
Bus è una storia interessante: Jamie Lee Curtis ha sentito Lizzie Johnson
parlare del suo libro Paradise: One Town’s Struggle To
Survive An American Wildfire, sul mortale incendio del
campo del 2018 in California, in un programma radiofonico. Ispirata
dalla storia di un autista di autobus e insegnante che guidò un
gruppo di studenti verso la salvezza attraverso un violento
incendio in uno scuolabus, ha chiesto informazioni sui diritti
tramite la sua società Comet Films. Ha portato il progetto a
Blumhouse, dove Comet ha un accordo di first-look e il produttore
Jason Blum ha visto la possibilità per la compagnia di lavorare su
un film non horror.
La coppia ha poi assunto
Brad Ingelsby di Out Of The Furnace per adattare il libro in
una sceneggiatura e all’inizio del 2023 l’ha portato davanti a
Greengrass. Ha accettato di salire a bordo, ma ogni iniziativa è
stata ritardata dagli scioperi dell’anno scorso. Ora il regista è
tornato, con il coinvolgimento di Apple Original Films, e Matthew McConaughey è stato portato dentro al
progetto per interpretare il ruolo del conducente.
Jesse Eisenberg ha ufficialmente dato il suo consiglio
a
Nicholas Hoult, nuovo Lex Luthor, ed è stato molto
chietto: “Non guardarmi!“. Durante un’intervista al Variety Studio
in occasione del Sundance Film Festival, Eisenberg ha suggerito a
Hoult di crearsi la propria strada e di non prestare attenzione al
suo lavoro nei panni di Lex Luthor nell’universo DC di Zack
Snyder.
“Ogni volta che interpreti un
ruolo ti senti connesso ad esso”, ha aggiunto Eisenberg a
Matt Donnelly di Variety parlando del
ruolo del cattivo della DC che ha interpretato per un breve
periodo. “Non c’è modo di aggirarlo. Ogni volta che fai
qualcosa, anche se è un film che è un progetto di Hollywood ad alto
budget, ti connetti.”
Eisenberg ha interpretato Lex Luthor
in Batman v Superman: Dawn of Justice di Snyder.
Con James Gunn e Peter Safran ora
a capo dei DC Studios della Warner Bros., l’universo DC è ora in
fase di ristrutturazione completa per creare una storia
completamente nuova dell’Uomo d’Acciaio con Superman: Legacy,
previsto nel 2025.
Il ruolo del protagonista di
Superman:
Legacy è interpretato da David
Corenswet (Pearl, The Politician), mentre Lois
Lane sarà interpretata dalla star di The Marvelous Mrs. MaiselRachel
Brosnahan. A loro si aggiungono
Nicholas Hoult, Skyler Gisondo, María Gabriela De Faría, Sara
Sampaio, Isabela Merced,
Nathan Fillion, Edi Gathegi, Anthony Carrigan e altri
ancora. L’uscita del film è prevista per l’11 luglio 2025.
Di cosa parla Superman:
Legacy?
“Superman: Legacy
racconta la storia del viaggio di Superman per riconciliare la sua
eredità kryptoniana con la sua educazione umana come Clark Kent di
Smallville, Kansas“, si legge nella sinossi ufficiale del
film. “È l’incarnazione della verità, della giustizia e
dell’American way, guidato dalla gentilezza umana in un mondo che
considera la gentilezza fuori moda“.
“Superman: Legacy è il vero
fondamento della nostra visione creativa per l’Universo
DC. Non solo Superman è una parte iconica della tradizione DC,
ma è anche uno dei personaggi preferiti dai lettori di fumetti,
dagli spettatori dei film precedenti e dai fan di tutto il
mondo”, ha detto Gunn durante l’annuncio della lista DCU. “Non vedo
l’ora di presentare la nostra versione di Superman, che il pubblico
potrà seguire e conoscere attraverso film, film d’animazione e
giochi”. Superman:
Legacy uscirà nelle sale l’11 luglio 2025.
Il regista Christopher
Nolan ha spiegato perché realizza film su “larga scala” e
ad alto budget. Nel mondo del cinema da oltre vent’anni, ha
debuttato nel 1998 con il suo primo lungometraggio,
Following. Da allora, Christopher
Nolan è diventato un maestro dei blockbuster di alto
livello, collezionando film come Interstellar,Il cavaliere oscuro e
Inception. Nel 2023, Nolan ha diretto il film
biografico Oppenheimer,
che è stato nominato in ben 13 categorie per gli Academy Awards,
tra cui quello per il miglior film e quello per la migliore
regia.
Parlando con la rivista Time, il regista di Oppenheimer
spiega perché i suoi film sono sempre progetti “su larga scala”.
Poiché il regista ha accesso alle “risorse”, sente che
spetta a lui l’onere di “usarle nel modo più produttivo e
interessante”.
“Sono attratto dal lavoro su
larga scala perché so quanto sia fragile l’opportunità di
mobilitare tali risorse. So che ci sono così tanti registi là fuori
nel mondo che darebbero il massimo per avere le risorse che ho
messo insieme, e sento di avere la responsabilità di usarle nel
modo più produttivo e interessante.”
Nella stessa intervista, Nolan ha
dichiarato che non sarebbe tornato a uno stile più ridotto. In
verità, è passato più di un decennio da quando Nolan ha scelto
mezzi più leggeri per raccontare la sua storia. Dopo i primi tre
lungometraggi più economici, Christopher Nolan ha
diretto Batman Begins nel 2005, che ha dato inizio
all’era del regista di fondere narrativa di alta qualità con film
ad alto budget. Da allora, Nolan non è mai tornato all’atmosfera
cruda di un film come il suo Memento, e la sua
dichiarazione più recente chiarisce che non lo farà.