Da quando nel 2021 ha partecipato allo show comico LOL – Chi ride è fuori, disponibile su Prime Video, Lillo Petrolo (anche noto semplicemente come Lillo) ha conosciuto una nuova straordinaria popolarità, divenendo uno dei principali comici italiani del momento. Chiamato a partecipare a programmi televisivi, film, spot e chi più ne ha più ne metta, Lillo è riuscito ad affermarsi anche tra le generazioni più giovani, quelle di TikTok e della fruizione di contenuti in streaming. In particolare, il suo personaggio-supereroe Posaman e la battuta “So’ Lillo“, entrambi riproposti anche in LOL, sono divenuti dei tormentoni inaspettati. A partire da questo enorme successo, con tutto ciò che di positivo e negativo si porta dietro, nasce l’idea per la serie Sono Lillo.
Ideata da Lillo Petrolo, Matteo Menduni e Tommaso Renzoni, i quali hanno poi curato anche il soggetto e la sceneggiatura, e diretta da Eros Puglielli (Nevermind, Gli idoli delle donne), la serie si configura dunque come uno sguardo ravvicinato alla vita di Lillo, andando alla ricerca dell’uomo dietro la maschera. Il Lillo protagonista di questa serie, infatti, vive un profondo conflitto interiore e sente di non voler più interpretare Posaman, un personaggio nel quale gli sembra di star perdendo sé stesso e la propria vita privata. Da qui parte dunque la ricerca di nuove opportunità per ritrovare quell’equilibrio che l’accresciuta popolarità sembra aver messo in seria crisi.
Lillo contro Posaman
Chi è Posaman? Un simpaticissimo supereroe il cui potere è dar vita ad irresistibili pose da copertina, certo, ma chi è davvero Posaman? Ce lo spiega bene la sequenza d’apertura di Sono Lillo. Nel cuore della notte Lillo viene chiamato ad indossare il costume di Posaman per prendere poi parte alla festa di compleanno del figlio di un boss della camorra. Qui Lillo non deve fare altro che esibirsi in una sequenza di pose che suscitano l’ilarità e il plauso generale. È quello il suo ruolo. Posaman, dunque, è diventato un fenomeno alla mercé di tutti, prenotabile anche per feste ed eventi di dubbio gusto, sballottato qua e là senza un reale criterio.
Personaggi come questo, si sa, possono essere la fortuna e/o la rovina della persona che li interpreta. Lillo e i suoi co-autori giocano proprio su tale dinamica, forzandola e costruendo un vero e proprio scontro tra Lillo e Posaman, con il primo desideroso di liberarsi di quest’ultimo, il quale non manca di sbeffeggiare i vani tentativi dell’attore. Attorno a questo gioco sul doppio (Lillo e Posaman sono spesso e volentieri presenti insieme in scena), si muove tutto quel magico circo che è il mondo dello spettacolo, composto da agenti senza scrupoli e comici falliti sempre pronti a dispensare consigli non richiesti.
A partire dallo scontro di Lillo con questo contesto e il suo personaggio, la serie può essere vista come la volontà da parte di Petrolo di raccontare di più di quel sé stesso troppe volte offuscato dalla maschera. Per quanto utilizzi riferimenti espliciti alla personalità dell’attore e alla sua quotidianità, Sono Lillo non scade però mai nel mockumentary, muovendosi dunque su un tutt’altro che semplice equilibrio tra la realtà della vita di Petrolo e la sua reinvenzione in fiction. Una sorta di estremizzazione, dunque, di quello che potrebbe succedere se Posaman prendesse per sempre il sopravvento. Da questo punto di vista, il progetto risulta dunque più complesso rispetto ad un titolo simile come Vita da Carlo, di Carlo Verdone, e regala momenti di grande intrattenimento.

Sono Lillo e il ruolo della comicità
Intrattenimento, certo, perché Lillo Petrolo è realmente uno dei più talentuosi comici oggi in attività in Italia e non lo si scopre certo solo ora. Con questa serie egli ce lo ricorda una volta di più, sfoggiando tempi comici invidiabili e proponendo gag genuinamente divertenti. Accanto a sé chiama poi alcuni altri grandi nomi della comicità italiana, da Pietro Sermonti a Paolo Calabresi, da Marco Marzocca fino a guest star di puntata come Valerio Lundini, Emanuela Fanelli, Maccio Capatonda, Corrado e Caterina Guzzanti. Una squadra a dir poco fenomenale, che permette a Sono Lillo di affermarsi come una serie spassosa, che regala numerose risate accanto alle più profonde riflessioni sull’identità e il ruolo del comico oggi in Italia.
Bisogna specificare che questa recensione si basa solamente sui primi tre episodi, gli unici resi disponibili per la visione in anteprima, e che dunque ne restano fuori altri cinque. Cinque episodi nei quali molto può ancora accedere e molte cose devono ancora essere svelate, tra cui una sottotrama che coinvolge Cristiano Caccamo, che interpreta il fratello minore di Lillo, e un mistero riguardante l’azienda vinicola di famiglia. Con la consapevolezza che dunque un giudizio complessivo potrà essere dato solo una volta conclusa la visione di tutti gli episodi, Sono Lillo sembra avere tuttavia gli elementi giusti per potersi rivelare come una piccola sorpresa nell’offerta italiana di Prime Video. Una serie divertente, ben diretta e con ambizioni narrative e tematiche non comuni a questa tipologia di prodotti.






La morte fa paura. O meglio, è il pensiero di questa a logorare costantemente i protagonisti di Baumbach. Jack e Babette Gladney si sono trovati dopo una serie di matrimoni sfortunati e conducono un’esistenza piuttosto stravagante: i quattro figli Denise, Arlo, Elliot e Heinrich sono fratelli, provenienti da matrimoni diversi ma uniti a livello caratteriale. La paranoia regna infatti sovrana nella famiglia Gladney, non lascia immuni neanche i più giovani, ma sortisce un effetto diverso rispetto all’età: nei fratelli, diventa ingegno e curiosità, negli adulti fomenta il terrore di non lasciare il segno, tanto dal punto di vista privato quanto da quello professionale.
La cospirazione si insinua così in ogni frangente della comunicazione famigliare. A differenza delle icone, che ricevono risposte dalle folle, Babette non ha un riscontro: rimane sola, infreddolita tra le lenzuola che ne mangiano il volto, che fanno fare incubi a Jack, inducendolo a domandarsi cosa sia andato storto nell’alchimia della coppia (che ha lasciato spazio alla chimica). Jack e Babette erano abituati a procedere assieme, uniti da una vera e propria psicosi concettuale, che ha a che fare con le radici più profonde dell’ideologia Americana, purtroppo non trattate con la stessa enfasi claustrofobica del romanzo di De Lillo, in cui la paranoia politica diventa domestica, la comunicazione verbale lascia il passo a quella tecnologica, i giovanissimi iniziano ad essere più informati degli adulti.