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Domina, recensione della seconda stagione con Kasia Smutniak

Domina, recensione della seconda stagione con Kasia Smutniak

Domina è una serie tv andata in onda con otto puntate per la prima volta su Sky e NOW a maggio del 2021 e di cui uscirà la seconda stagione l’8 settembre sempre sulle stesse piattaforme.

Ideata e diretta da Simon Burke, sceneggiatore e regista che era già stato creatore nel mondo della serialità alla fine degli anni 90 con il titolo di Liverpool One, è prodotta dall’inglese Tiger Aspect Productions e Sky ed è interamente girata negli Studios di Cinecittà a Roma con ogni location ricostruita fedelmente e con gran realismo.

Domina seconda stagione, la trama

La storia infatti riprende aderendo in maniera piuttosto credibile ai fatti realmente accaduti. Ci troviamo nel 44 a.C., Cesare è stato da poco assassinato e Gaio Ottavio ne è il principale erede in quanto figlio adottivo. Ma il racconto, questa volta, non s’incentra su una delle figure più potenti dell’antichità, anzi: pone l’accento, il titolo e la sua stessa trama sulla donna che gli è stata accanto per quasi tutta la vita e, che per la sua personalità tenace, astuta e intrepida, è ricordata ancora dopo millenni.

Livia Drusilla Claudia (Kasia Smutniak) è la “domina” del nome della serie, cioè la “signora” in latino, quella che nelle case di uomini potenti aveva accesso a lusso, gioielli e molto rispetto, certamente, ma da parte della servitù. Livia, grazie a un’educazione ricevuta da sua padre che generalmente era concessa solo ai ragazzi, diventa esperta di politica, intuitiva, sviluppa un senso critico e, soprattutto, grazie a uno spirito di sopravvivenza spiccato e dirompente, impara a farsi strada cogliendo le scelte giuste da fare e il momento perfetto in cui compierle.

Una serie che ruota attorno al fascino della protagonista

Domina segue dunque la vita della ragazza a partire dai suoi quindici anni, quando viene data in sposa a Tiberio Claudio Nerone (antenato di quello che pare abbia appiccato l’incendio più famoso della storia) e come tenta di divincolarsi dalla sua brutalità, cosa che poi determinerà l’inizio della sua ascesa.

Domina seconda stagioneTutti gli aspetti che si discostano dalla verità degli eventi, riguardano specialmente le svolte nelle quali viene attribuita una sfumatura maggiore sull’iniziativa di Livia anziché dell’uomo di turno. La serie di Simon Burke vuole in realtà ruotare attorno al personaggio di Livia e respirarne il fascino, le fatiche e le guerre. Dove normalmente un racconto che leggeremmo sui libri di scuola parla di centinaia di battaglie combattute da uomini, Domina si apre con Livia che brandisce un’arma di fortuna.

Un intero cast che intesse intrighi e cospirazioni

A supportare gli infiniti intrighi messi in scena puntata dopo puntata, è anche il cast di attori piuttosto efficaci nei loro ruoli, uno su tutti Matthew McNulty nel ruolo di Gaio, Ben Batt in quello del suo fidato amico Agrippa, Claire Forlani e Christine Bottomley nelle tremende parti di Ottavia e Scribonia. Le prime due puntate della seconda stagione vedono quindi tutti riuniti più o meno lì dove li avevamo lasciati – al netto di qualche inevitabile e sorprendente variazione, ovviamente – con l’immensa domus dell’imperatore che ospita cospirazioni e maneggi come solo la natura umana può tirar fuori quando è spinta dagli istinti primari.

E in tutto ciò Livia che tira sempre i fili e le trame, cerca di salvare i suoi amori, tenere alta la testa e rimanere incisa nella memoria della Roma antica. Perché, lo ricordiamo, in quegli anni si stava costruendo quell’incredibile periodo che venne poi denominato come Pax Romana, durante il quale l’impero raggiunse un’estensione che mai più si verificò per nessun altro e che racchiudeva un numero altissimo di popoli di culture e lingue diverse. E pensare al ruolo che una donna possa aver giocato in un’operazione di questa portata, non è certo cosa da poco. Domina sicuramente non lascia a bocca aperta, perché è molto semplice il modo in cui la narrazione viene condotta, ma fa bene il suo mestiere per trasmettere l’evidente messaggio che vuole lasciare.

Lawmen: la storia di Bass Reeves, il teaser trailer della serie antologica Paramount+

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Paramount+ ha presentato oggi il teaser trailer dell’attesissima serie originale Lawmen: la storia di Bass Reeves, che debutterà in esclusiva sul servizio con due episodi domenica 5 novembre in tutti i mercati internazionali Paramount+. La serie antologica è interpretata dal produttore esecutivo e candidato agli Emmy Award David Oyelowo, Lauren E. Banks, Demi Singleton, Forrest Goodluck, Barry Pepper, il vincitore dell’Oscar onorario Donald Sutherland e il candidato agli Emmy Award Dennis Quaid.

Svelando la storia mai raccontata del più leggendario uomo di legge del vecchio West, LAWMEN: LA STORIA DI BASS REEVES segue il viaggio di Reeves (Oyelowo) e la sua ascesa dalla schiavitù alle forze dell’ordine come primo U.S. Marshal nero a ovest del Mississippi. Nonostante abbia arrestato oltre 3.000 fuorilegge nel corso della sua carriera, il peso delle responsabilità derivanti dal suo incarico diventa sempre più oneroso mentre affronta le sfide emotive ed etiche connesse al suo lavoro e alle implicazioni che comporta per la sua amata famiglia. LAWMEN: LA STORIA DI BASS REEVES è una nuova serie antologica a sé stante e le future produzioni seguiranno altri iconici uomini di legge e fuorilegge che hanno influenzato la storia.

Il cast include Shea Whigham e Garrett Hedlund come guest star oltre a Joaquina Kalukango, Lonnie Chavis, Grantham Coleman, Tosin Morohunfola, Dale Dickey, Rob Morgan, Ryan O’Nan, Margot Bingham, Mo Brings Plenty, Justin Hurtt-Dunkley e Bill Dawes.

Creata per la televisione dal produttore esecutivo e showrunner Chad Feehan, la serie è prodotta anche dal candidato all’Oscar Taylor Sheridan, David Oyelowo, David C. Glasser, Jessica Oyelowo, David Permut, Christina Alexandra Voros, Ron Burkle, Bob Yari e David Hutkin. La serie è prodotta da MTV Entertainment Studios, 101 Studios, Bosque Ranch Productions di Sheridan e Yoruba Saxon di Oyelowo in esclusiva per Paramount+.

LAWMEN: LA STORIA DI BASS REEVES è l’ultima novità nel crescente panel di contenuti di Sheridan su Paramount+, che comprende 1923, 1883, MAYOR OF KINGSTOWN, TULSA KING, SPECIAL OPS: LIONESS e la serie prossimamente in arrivo LAND MAN.

Ballistic: trama e cast del film con Antonio Banderas

Ballistic: trama e cast del film con Antonio Banderas

Non solo i bei film diventano dei cult nel tempo, ma anzi numerosi sono i casi di opere massacrate alla loro uscita che acquistano poi un proprio seguito. Il più delle volte ciò avviene per motivi non preventivati e distanti da quelli sperati, ma permettono ugualmente a questi film di vivere una loro popolarità. Tra questi si colloca anche Ballistic, thriller d’azione del 2002 diretto da Wich Kaosayananda e scritto da Alan McElroy.Tra spionaggio, tecnologie avanzate e grandi sequenze d’azione, il film si configura come un caotico racconto tra generi diversi, regalando anche alcuni elementi di fascino.

Prima di vedere la luce, Ballistic dovette però attendere molto tempo. La sceneggiatura venne infatti scritta nel 1986, subendo poi numerosi rimaneggiamenti nel corso del tempo. Originariamente, infatti, la storia prevedeva sequenze d’azione ancor più complesse, come anche un tono molto più cupo e violento. Ad essere aggiunta è invece stata la linea narrativa relativa alle nanotecnologie, così da poter cavalcare l’onda del successo di Matrix, a cui Ballistic si è inevitabilmente ispirato. Con queste modifiche, il film riuscì così a concretizzarsi, andando però incontro ad una disastrosa rovina.

Massacrato dalla critica, Ballistic è ancora oggi considerato uno dei peggiori film mai realizzati, nonché uno di quelli a poter vantare lo 0% di gradimento sul sito Rotten Tomatoes. Proprio questo disastro, lo ha però portato negli anni a guadagnare un proprio seguito, divenendo così uno scult a tutti gli effetti. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Ballistic: la trama del film

Protagonista del film è l’agente FBI Jeremiah Ecks, un tempo tra i migliori del suo dipartimento e ora caduto in profonda depressione in seguito alla morte della moglie Vinn, avvenuta sette anni prima. Nonostante egli non sia più in servizio, il suo capo Julio Martinez cerca di aiutarlo ad uscire da quel momento di crisi assegnandogli una missione molto complessa e importante. Nell’ambiente dello spionaggio internazionale circola un pericoloso micro-robot in grado di provocare la morte istantanea se impiantato nel corpo di un essere umano. Ecks dovrà recuperare il portentoso marchingegno rubato all’agente segreto, Robert Gant.

Questi, per commercializzare illecitamente l’arma ha utilizzato suo figlio Michael, impiantando direttamente su di lui il dispositivo. Il rapimento di suo figlio per mano dell’agente esperta di arti marziali Sever, tuttavia, ha infranto i suoi piani. Dietro il gesto della donna, c’è il desiderio di vendicare un torto subito anni prima proprio da Gant. Ecks deve così prima di tutto mettersi sulle tracce di Sever, cercando di ottenere il pericoloso marchingegno. Nel corso della sfida, tuttavia, emergeranno una serie di verità che mineranno i rapporti fino a quel momento vigenti. Ben presto, sarà difficile sapere di chi potersi davvero fidare.

Ballistic cast

Ballistic: il cast del film

Originariamente, per i ruoli di Ecks e Sever erano stati considerati gli attori Wesley Snipes e Jet Li. Successivamente si considerarono Vin Diesel e Sylvester Stallone. Ad ottenere il ruolo di Ecks fu però infine l’attore spagnolo Antonio Banderas, il quale si disse particolarmente interessato alle tematiche trattate. Durante le riprese del film, però, l’attore visse anche un brutto momento, che quasi lo portò a subire gravi ustioni. In una scena dove era prevista un esplosione, i tecnici calcolarono male la portata di questa, che arrivò molto vicina a Banderas. Fortunatamente, l’attore riuscì ad uscirne soltanto con alcune bruciature minori.

Il ruolo di Sever, invece, fu riscritto come personaggio femminile. Per questo, Banderas suggerì l’attrice Lucy Liu, con la quale aveva già lavorato in Incontriamoci a Las Vegas. Fu così lei ad ottenere il ruolo, sottoponendosi per questo ad una lunga preparazione fisica. Così facendo ha potuto interpretare molte delle scene d’azione per lei previste. Nei panni dell’agente Rober Gant, invece, si ritrova l’attore Gregg Henry, mentre Aidan Drummond è suo figlio Michael Gant. Il capo di Ecks, Julio Martinez, è interpretato da Miguel Sandoval, noto per la serie Medium. L’attore e stuntman Ray Park, celebre per essere stato Darth Maul nella saga di Star Wars, è invece l’agente Ross. Talisa Soto compare infine nei panni di Vinn, la moglie di Ecks.

Ballistic: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Ballistic è infatti disponibile nei cataloghi di Infinity e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 7 settembre alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

 

Wolfman: trama, cast e curiosità sul film

Wolfman: trama, cast e curiosità sul film

Il cinema horror ha negli anni regalato innumerevoli iconici personaggi, molti dei quali entrati ormai nell’immaginario collettivo. Tra i più amati di sempre vi sono però quelli portati sul grande schermo a partire dagli anni Trenta, in particolare con i film prodotti dalla Universal. Dracula, Frankenstein, la mummia, l’uomo invisibile e l’uomo lupo sono i principali tra questi, più volte riproposti nel corso dei decenni con rifacimenti e modernizzazioni. Proprio l’ultimo qui elencato è tornato al cinema nel 2010 con il film Wolfman (qui la recensione), diretto da Joe Johnston e scritto da Andrew Kevin Walker e David Self.

Il film riporta così sul grande schermo il celebre personaggio che da L’uomo lupo del 1941 in poi ha vantato una lunga e ricca filmografia. Oltre ad essere un remake di quel classico, però, questo rifacimento ha l’obiettivo di dar vita ad una storia molto più cupa e spaventosa delle precedenti, che facesse ampio riferimento alle leggende riguardanti la creatura. Per dar vita a questa, poi, i produttori hanno deciso di affidare il trucco al leggendario Rick Baker, che grazie al suo lavoro qui ha vinto il suo settimo Oscar. Il risultato fu infatti straordinario e contribuì a donare ulteriore fascino al film.

Wolfman tuttavia non riuscì ad affermarsi come un buon successo al box office, anche a causa del suo elevato budget. Negli anni ha però guadagnato un buon seguito, divenendo un cult che ripropone elementi e personaggi dal continuo fascino, nonostante il passare del tempo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Wolfman: la trama del film

Ambientato nell’Inghilterra del 1891, il film ha per protagonista Lawrence Talbot, attore teatrale, che torna nella sua casa natìa in seguito alla scomparsa di suo fratello Ben. Qui viene accolto dall’anziano padre John e da Gwen, la fidanzata del defunto. La morte di questi si presenta da subito come particolarmente controversa e misteriosa, poiché ad averlo ucciso sarebbe stata una bestia dalle dimensioni particolarmente imponenti. Deciso ad indagare sulla cosa, Lawrence inizia a ricostruire quanto può essere accaduto nelle ultime ore di vita del fratello. Così facendo, scopre di leggende che sembrano non essere poi tanto irrealistiche.

Secondo la gente del luogo, infatti, la zona è minacciata da un lupo mannaro, che strazia i corpi di quanti gli capitano a tiro durante le notti di luna piena. Per tentare di abbattere la bestia viene ingaggiato anche l’ispettore Aberline, il quale dà vita ad una spietata caccia al mostro. Lawrence cerca di tenersi lontano da tutto ciò, proseguendo la sua ricerca, che lo porterà a scontrarsi con segreti tanto antichi quanto pericolosi. Prima che la luna piena torni a splendere nel cielo e la bestia si scateni di nuovo, Lawrence e quanti vicino a lui dovranno essere pronti a difendersi come possibile.

Wolfman cast

Wolfman: il cast del film

Quando seppe che la Universal stava per realizzare un nuovo film sull’uomo lupo, l’attore premio Oscar Benicio del Toro fece di tutto per ottenere la parte del protagonista Lawrence Talbot. Egli è notoriamente un grandissimo fan del personaggio e un grande collezionista di memorabilia relativi a questo. Ottenuta la parte, egli si preparò riguardando i film Il segreto del Tibet, il primo realizzato sulla creatura, e L’implacabile condanna. La sua devozione nei confronti del personaggio gli permise di sopportare anche le tre ore giornaliere richieste per applicare il pesante trucco da lupo mannaro.

Nel ruolo di sir John Talbot vi è invece il due volte premio Oscar Anthony Hopkins, il quale ha contribuito molto alla caratterizzazione del personaggio. Emily Blunt, attrice nota per Sicario e A Quiet Place, è invece Gwen Conliffe, la fidanzata del fratello di Lawrence. Nel ruolo del detective Abberline, personalità realmente esistita e nota per aver indagato sul caso di Jack lo squartatore, doveva inizialmente esserci l’attore Antonio Banderas. Nel momento in cui questi abbandonò il film, la parte passò a Hugo Weaving. Nel film compare poi anche Geraldine Chaplin nel ruolo della zingara Maleva.

Wolfman: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Wolfman è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten Tv, Google Play, Apple TV, Now e Amazon Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 7 settembre alle ore 21:15 sul canale Italia 2.

Fonte: IMDb

Jupiter – Il destino dell’universo: trama e cast del film con Mila Kunis

Divenute celebri grazie alla trilogia di Matrix (di cui è però in lavorazione un quarto capitolo), le sorelle Lana e Lilly Wachowski hanno poi continuato ad esplorare il genere a loro congeniale, quello della fantascienza, attraverso altri noti blockbuster. Da Speed Racer a Cloud Atlas, hanno così continuato ad imporre il loro personalissimo stile in quel di Hollywood. Attualmente, la loro ultima regia cinematografica è stata quella per il film Jupiter – Il destino dell’universo. Nato da una loro idea originale, il lungometraggio è poi arrivato al cinema nel 2015, presentando dalla sua un grande cast e un grande budget. Si tratta inoltre del primo film delle sorelle realizzato con l’utilizzo della tecnica 3D.

Al di là dei grandi effetti speciali utilizzati, il film ha alla base della sua storia anche delle notevoli fonti d’ispirazione letteraria e cinematografica. Per le due registe, infatti, tutto nasce dal desiderio di dar forma ad un incontro tra l’Odissea e Il mago di Oz. Le Wachowski basarono il personaggio della protagonista sulla Dorothy del film del 1939. Loro desiderio era quello di dar vita ad un differente tipo di eroe, che supera gli ostacoli grazie alla sua intelligenza. Il tutto è stato poi naturalmente condito dalle grandi invenzioni visive tipiche delle due registe, che hanno così reso particolarmente personale il film.

Al momento della sua uscita in sala il film ricevette un’accoglienza critica non particolarmente entusiasmante. In particolare, ad essere indicata come principale difetto dell’opera è stata la sua sceneggiatura, secondo molti priva dell’epica necessaria a tale racconto. Tiepido fu anche il risultato al box office. A fronte di un budget stimato di quasi 200 milioni di dollari, molti dei quali utilizzati per gli effetti speciali, Jupiter – Il destino dell’universo riuscì ad incassare soltanto circa 183 milioni. Nonostante tali risultati, nel giro di breve è diventato uno dei titoli di riferimento per molti fan del genere, i quali ritrovavano qui una protagonista lontana dai classici stereotipi.

Jupiter – Il destino dell’universo: la trama del film

Il film è ambientato in un futuro non troppo lontano, ed ha per protagonista la giovane Jupiter Jones. Questa è un’immigrata russa, la quale lavora insieme alla madre come donna delle pulizie. Per quanto avverta una strana forza in sé, sentendosi come destinata a qualcosa di più grande, Jupiter è però convinta che la sua vita non cambierà mai, e che sarà sempre destinata a ricoprire un ruolo marginale nella società. Tutto cambia nel momento in cui, improvvisamente, assiste ad un tentato omicidio ad opera di alcuni alieni. In questa occasione si ritrova salvata da Caine, un guerriero interplanetario inviato per rivelarle le sue vere origini.

Jupiter viene infatti a conoscenza di una potente dinastia aliena, la quale domina gran parte dei pianeti abitabili. Questi sono da loro stati colonizzati milioni di anni prima, lasciandovi sopra forme di vita complesse, tra cui quella umana. La dinastia corre però ora il rischio di finire nelle mani del malvagio Balem Abrasax, il quale vuole sterminare gli umani per poter generare dal loro materiale biologico un potente siero della giovinezza. Per la giovane ha così un viaggio intergalattico, che la porterà a prendere coscienza dei suoi poteri. Con questi sarà chiamata a salvare l’intero universo, scoprendosi anche proprietaria dell’intero pianeta terra. Per poter dar vita a tutto ciò, però, Jupiter dovrà dimostrare di essere pronta all’avventura.

Jupiter cast

Jupiter – Il destino dell’universo: il cast del film

Note per la loro collaborazione con alcuni tra i maggiori interpreti di Hollywood, le sorelle Wachowski si sono anche in questo caso affidate ad alcuni tra i principali attori del momento. Il ruolo della protagonista Jupiter era da loro stato inizialmente offerto all’attrice Natalie Portman, la quale però rifiutò. Si considerò allora Rooney Mara, ma la scelta ricadde infine su Mila Kunis, nota attrice ucraina naturalizzata statunitense. Per poter dar vita al personaggio, però, l’attrice si trovò a doversi sottoporre a diverse ore di allenamento al giorno. Ciò le permise di prendere parte alle complesse sequenze previste dal copione, senza la necessità di avvalersi in modo continuo di controfigure. L’attrice, inoltre, ha affermato di essersi ritrovata molto in Jupiter, condividendo origini e una storia famigliare simili alle sue.

In ruoli di rilievo sono poi presenti anche altri noti interpreti. Channing Tatum è Caine, il quale aiuterà la protagonista nel corso del suo viaggio. Per poter interpretare il ruolo, l’attore ha dovuto portare una protesi alla mascella, al fine di conferirvi un aspetto diverso. Questa è però stata una vera scomodità per lui, che ha avuto problemi a chiudere la bocca e parlare. Il premio Oscar Eddie Redmayne, invece, interpreta il malvagio Balem Abrasax. La sua interpretazione però non fu particolarmente apprezzata, e gli fece infatti vincere un Razzie Awards come peggior attore non protagonista. Sono poi presenti anche Sean Bean, nel ruolo di Stinger Apini, Douglas Booth, nei panni di Titus Abrasax, Vanessa Kirby in quelli di Katharine Dunlevy e James D’Arcy come Max Jones.

Jupiter – Il destino dell’universo: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. Jupiter – Il destino dell’universo è infatti presente su Rakuten TV, Google Play, Apple TV+, Prime Video e Now. Per poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in programma in televisione per giovedì 7 settembre alle ore 21:00 sul canale 20 Mediaset.

Fonte: IMDb

“L’arte non è criticabile moralmente”, Luca Barbareschi presenta il suo film The Penitent a Venezia

Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, The Penitent – A Rational Man è il nuovo film da regista di Luca Barbareschi, presente al Lido anche in qualità di produttore di The Palaceil film di Roman Polanski presentato anch’esso nella sezione Fuori Concorso. Intervistato per presentare la sua nuova fatica da regista, Barbareschi spiega innanzitutto il perché abbia scelto di adattare per il grande schermo un testo del drammaturgo David Mamet, da lui già portato in teatro.

In esso si racconta di uno psichiatra di nome Carlos David Hirsh, che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare per la verità.

“Ho scelto questo testo perché racchiude, grazie all’opportunità di un fatto di cronaca, tutta l’imbecillità e la violenza che c’è nei confronti di un pensiero diverso, che non dico che sia giusto ma penso che tutti abbiano idee diverse e non per questo siano necessariamente meglio o peggio, anzi è interessante avere un’idea diversa – spiega Barbareschi. “Questo film doveva farlo un altro attore, ma alla fine Mamet mi ha detto “secondo me sei più bravo tu, perché non lo fai?” e a quel punto mi sono trovato a confrontarmi con un personaggio in cui mi sono ritrovato moltissimo”.

“Proprio come capita al protagonista, tante volte è capitato anche a me di essere stato linciato dalla stampa e ho visto quanta sofferenza questo tipo di situazioni provoca. Alla fine non c’era più differenza tra quello che dicevo e quello che facevo e questo film è uno dei rari privilegi in cui il meccanismo della finzione, della rappresentazione, dà un’opportunità di offrire una restituzione affettiva allo spettatore, mediata da una realtà dei fatti molto forte”.

Mostra del Cinema di Venezia, tra omologazione e controversie

Barbareschi passa poi a parlare più in generale della Mostra di quest’anno, dove sono presenti autori controversi come il già citato Polanski e Woody Allen con Coup de Chance. Proprio durante il red carpet di quest’ultimo si è svolto un piccolo evento di protesta per la presenza del regista newyorkese. “Vedere insultato in quel modo Woody Allen mi ha fatto male al cuore. Se in quel gruppo ci fosse stato Gabriel Garcia Marquez, Joyce e Dante Alighieri, allora sarebbe stata un’interessante sfida ermeneutica tra giganti della letteratura che danno del mascalzone ad uno dei più grandi registi della terra”. 

“Invece erano un branco di imbecilli a cui la stampa ufficiale dà voce. Il giornalismo è importante se mantiene il sacerdozio della sua funzione, cioè della responsabilità”, continua a spiegare Luca Barbareschi. “Non ci può essere un giudizio morale sull’artista, peggio ancora un avviso di garanzia al passato. L’arte non è criticabile moralmente. Alberto Barbera penso abbia preso seriamente questa cosa e ha avuto il coraggio di presentare in questa Mostra, ovvero un’esibizione di arte, registi provocatori”.

“Io vorrei fosse ancor più provocatoria in realtà, vorrei essere stupito, anche disturbato! Sono cresciuto vedendo film dove non si capiva nulla ma uscivi dalla sala e sapevi di esserti confrontato con qualcosa che dice effettivamente delle cose. Troppo spesso invece il cinema si omologa, così come si è omologata la critica”.

Il ruolo della critica cinematografica

Luca Barbareschi passa allora a parlare della critica cinematografica, affermando che: “un tempo la critica proponeva dei saggi così precisi e chiari da riuscire davvero ad influenzare il pubblico. Nel tempo lo spazio per questo tipo di scrittura si è però ridotto, si è corrotto, si è mercificato e si è autoreferenzializato”.

“Nel momento in cui tu ti metti davanti al film, tu crei uno stallo per cui non è più importante il quadro, è importante il fatto che io guardi il quadro. – continua a spiegare il regista – Diventa più importante chi guarda dell’artista. Questo nella critica cinematografica è grave. Tu puoi parlar male di un film, ma non puoi dire “è peggio di Vanzina”, perché allora sei un imbecille, perché primo devi rispettare Polanski e poi analizzare il film se sei capace di farlo. Liquidare un’opera con poco svilisce la critica, la delegittima e alla fine è un danno per tutti”.

Io credo che nessuno sappia le differenze tra le lenti che ho usato per The Penitent – A Rational Man. Se non lo sai vedi sfocata l’immagine sullo schermo e pensi sia un errore, mentre l’obiettivo era quello di tenere apposta una sfocatura per dare un senso di destabilizzazione. Questa è sapienza narrativa, io ho studiato per usare queste robe qua. Mi andrebbe bene che mi dicessero “Luca perché usi questo tipo di lenti che è come fare un errore sintattico?”, allora ti rispetto. Se no non ha valore il tuo giudizio, a quel punto tanto vale che ci leviamo la giacca e veniamo alle mani”, conclude Luca Barbareschi.

Tutta la luce che non vediamo: un video dal backstage della miniserie Netflix

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Netflix rilascia un video che svela i dietro le quinte e interviste esclusive di Tutta la luce che non vediamo, la rivoluzionaria miniserie tratta dall’omonimo romanzo best seller e vincitore del Premio Pulitzer di Anthony Doerr, diretta da Shawn Levy e scritta da Steven Knight. La miniserie in quattro episodi sarà disponibile solo su Netflix, in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo, dal 2 novembre 2023.

La protagonista Marie-Laure LeBlanc è interpretata dalle attrici esordienti Aria Mia Loberti e Nell Sutton (Marie-Laure da giovane). Al loro fianco Mark Ruffalo (Daniel LeBlanc), Hugh Laurie (zio Etienne), Louis Hofmann (Werner), Lars Eidinger (Von Rumpel) e Marion Bailey (Madame Manec).

La miniserie è prodotta da Shawn Levy, Dan Levine e Josh Barry per 21 Laps Entertainment (Stranger Things, The Adam Project, Tenebre e Ossa, Arrival, Free Guy). Anche Steven Knight è produttore esecutivo, mentre Joe Strechay (See, The OA) è produttore associato e consulente per la cecità e l’accessibilità.

Tutta la luce che non vediamo, la trama

Tratta dal romanzo vincitore del Premio Pulitzer, Tutta la luce che non vediamo è una miniserie che segue la storia di Marie-Laure, una ragazza francese cieca, e di suo padre, Daniel LeBlanc, che fuggono dalla Parigi occupata dai tedeschi con un diamante leggendario per impedire che finisca nelle mani dei nazisti. Braccati senza sosta da un crudele ufficiale della Gestapo che vuole impossessarsi della pietra preziosa per il suo interesse personale, Marie-Laure e Daniel trovano presto rifugio a St. Malo, dove vanno a vivere con uno zio solitario che diffonde le trasmissioni clandestine per la resistenza. In questa cittadina sul mare una volta idilliaca, il percorso di Marie-Laure incrocia inevitabilmente quello di un’improbabile anima gemella: Werner, un adolescente brillante arruolato dal regime di Hitler per rintracciare le trasmissioni illegali, che invece possiede un legame segreto con Marie-Laure e con la sua fiducia nell’umanità e la sua speranza. Intrecciando abilmente le vite di Marie-Laure e Werner nel corso di un decennio, Tutta la luce che non vediamo racconta la storia dell’incredibile potere dei legami tra le persone, un faro di luce che può guidarci anche nei tempi più bui.

Holly: recensione del film di Fien Troch #Venezia80

Holly: recensione del film di Fien Troch #Venezia80

Fien Troch, regista belga, presenta Holly in Concorso a Venezia 80. Un racconto di crescita che mescola mito e realtà dove tutto è nelle mani di una giovane ragazza di 15 anni, alla quale forse si chiede troppo. Dopo aver già trionfato nella sezione Orizzonti con il precedente Home, la regista belga prende le redini di questo progetto cercando un po’ più di libertà creativa, cosa che sicuramente si ritrova in questo ultimo lungometraggio. La capacità di osare per abbattere barriere e spingersi oltre. Durante il processo creativo del film, infatti, c’è stata la volontà di rendere Holly un film corale ma è stata abbandonata immediatamente mettendo al centro questa protagonista problematica e complessa anche nella sua messa in scena.

Una ragazza normalissima che improvvisamente viene accreditata di un talento speciale, in una comunità che è molto ricettiva nei confronti di qualcosa di “soprannaturale” a causa di un evento tragico che fa da premessa al film. Una favola moderna che per citare un film italiano sempre presenta a Venezia negli anni passati ricorda La santa piccola per impostazione e soggetti della trama.

Holly, la trama

La quindicenne Holly chiama la scuola per dire che resterà a casa per tutto il giorno. Poco dopo, nella scuola scoppia un incendio che uccide diversi studenti. La comunità, toccata dalla tragedia, si riunisce per cercare di guarire. Anna, un’insegnante, incuriosita da Holly e dalla sua strana premonizione, la invita a unirsi al gruppo di volontariato che gestisce. La presenza di Holly sembra portare tranquillità, calore e speranza a coloro che incontra. Ma presto le persone iniziano a cercare Holly e la sua energia catartica, chiedendo sempre di più alla giovane ragazza.

Fede e mito: due facce della stessa medaglia. Holly si muove su questo confine senza mani sfociare nell’uno o nell’altro. L’elemento paranormale che dà però il via alla premessa del film e tiene chiara la linea della trama fino alla fine mistica della pellicola. Cathalina Geeraerts interpreta Holly in modo enigmatico e complesso, l’attrice riesce a trasmettere allo spettatore il disagio di portare avanti questo “lavoro” che quasi immediatamente diventa ancora più tortuoso per la giovane adolescente. È come, infatti, se per tutto il film si portasse avanti anche la crescita di lei come giovane donna in un mondo in cui le persone sono sempre pronte ad approfittarsi di te.

Holly film

La strega

Nella premessa del film scopriamo come la famiglia di Holly, in particolare lei e il fratello, vengano bullizzati a scuola, etichettati come gli strambi del liceo. L’incidente a scuola non fa altro che aumentare queste voci solo che le persone della comunità di Holly hanno toccato con mano il suo potere. Il potere di riuscire a far sorridere le persone anche solo per un attimo e donare loro il buon umore. Ma Holly non fa solo questo agisce anche in modo diretto su persone colpite da malattie, la impongono anche contro la sua volontà come una specie di giovane profeta, una santa, quando il suo soprannome a scuola era “la strega”. Nonostante il film giochi molto sul tema dei miracoli, la fede non viene mai menzionata. Anche l’associazione inglese tra il nome Holly e Holy (santa) richiama questo dualismo che Fien Troch tende a portare in scena.

A questo racconto si contrappone una sorta di fanatismo religioso. Le persone si vogliono approfittare di Holly e del suo potere soprannaturale al punto che lei arriva a farsi pagare per le sue prestazioni. Un film che tende molto a rimarcare questo aspetto quando la macchina da presa si sofferma sui gioielli e sulle scarpe che Holly compra con questi soldi. Poi però, come prosciugata da questa vita, il suo umore cambia. Come se si aspettare ancora che qualcosa di terribile stia per accadere. Anche il finale lascia comunque parecchi punti in sospeso per un film dalla trama parecchio semplice e poco articolata.

Lubo, il “film nomade” di Giorgio Diritti presentato a Venezia 80

Alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, oggi è il giorno di Lubo di Giorgio Diritti. Nel film, Franz Rogowski interpreta il nomade Lubo, un artista di strada che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto Jenisch, sono stati strappati alla famiglia, secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada (Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse). Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti i diversi come lui.

La stesura di Lubo

Alla conferenza stampa tenutasi questo pomeriggio, il regista ha raccontato dell’incontro con questo libro e di come ha deciso di trarne una sceneggiatura: “Un po’ di anni fa un’amica mi ha parlato di questo romanzo di Mario cavatore che parlava di questa vicenda particolare e ho avuto occasione di incontrare Mario con cui ho anche condiviso tante serate in compagnia fin quando c’è stato il romanzo mi ha colpito perché raccontava di questa vicenda un po’ particolare avvenuta in Svizzera in un paese che nell’immaginario comune e simbolo di democrazia e grande civilita. Questa storia è specchio dell’incapacità dell’uomo di capire la diversità che a mio avviso è invece di grande valore“.

Rispetto al romanzo ho scelto un percorso differente sono stato molto di più sul protagonista perché mi sembrava interessante vivere con lui uomo che vive la sua normalità di artista di strada e a cui viene addosso qualcosa di molto drammatico che gli modificherà la vita. Importante sentire risvolti di questo in un uomo che vive l’angoscia della solitudine ma lotta comunque per avere un futuro. I protagonisti e le vicende parlano anche a noi in fondo i film sono dei viaggi un po’ onirici che spesso toccano anche la nostra coscienza ed è una delle grandi magie del cinema darci occasione di ripensare al valore della vita è degli altri“.

L’interpretazione di Rogowski

Franz Rogowski, internazionalmente noto come un interprete camaleontico, ha poi approfondito il suo lavoro sulle varie identità del personaggio e in che maniera questa storia lo ha toccato personalmente. “Questo carattere e una combinazione della storia nostra, della nostra identità europea. Collaborazione di costume, quello che è scritto, crei ogni giorno un piccolo pezzo di questa vita e diventa quasi sempre qualcosa che non ti aspettavi ma e il risultato della vita che hai avuto con questi artisti attorno. Ho studiato il testo, tre lingue che non sono le mie, un sacco da preparare in modo tecniche“.

Valentina Bellè è Margherita

Valentina Bellè ha espresso la sua gratitudine a Diritti per averla coinvolta in un progetto di tale rilevanza: “Ci siamo incontrati con Giorgio un anno fa e abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata in cui ho avuto l’impressione che cercasse la persona prima del personaggio. Sul set nasce poi effettivamente quello che si vedrà e ti sorprende sempre non puoi mai prevedere cosa succcede. Tutti e due hanno subito il contesto della guerra in modi diversi. Margherita e una possibilità di amore sincero e tenerezza“.

L’internazionalità di Lubo

L’internazionalità è sicuramente la caratteristica produttiva che più identifica Lubo. I produttori del film hanno, a questo proposito, sottolineato come “il cinema italiano guarda oltre i suoi confini, è stato come scalare una montagna. Il film ha una grande complessità in più lingue, location storiche. Anche noi siamo diventati come il carro di LUBO, persi in un itinerario in cui era impossibile incastrare clima, riprese e necessità“. “Un film nomade pieno di eroi un sacco di lingue avventura straordinaria gestazione lunga e grazie alla tenacia di Giorgio come Rai cinema siamo molto orgogliosi e ringraziamo Giorgio“.

Infine, una riflessione sulle istituzioni e sulla violenza che ne deriva quando le leggi sono sbagliate: “Siamo molto vicini a una guerra che dura da tanto e di cui si raccontava qualche mese fa di bambini ucraini rapiti dai russi. Uno dei limiti dell’umanità malgrado gli sforzi e che gli errori ritornano. Ho avvertito la necessita di raccontare storia legata anche al cercare di dare un significato politico nel senso di sensibilizzare raccontando per che le persone abbiano un atteggiamento vigile nei confronti di tutti quegli elementi che portano a fare qualcosa contro la vita. In un ambiente di violenza subita spesso nasce una reazione il nostro protagonista ha un grande onore di farsi carico di una scelta responsabile per fare qualcosa per quei famigliari che sono ancora a lui vicini“.

Film di Settembre in sala: il ritorno di The Nun, Garrone e Una storia vera

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Dopo un mese di agosto che, contrariamente alle tradizioni nostrane, ha visto le sale piene grazie a Oppenheimer, uscito il 23 agosto, e alla lunga coda di Barbie, il prossimo settembre in sala si preannuncia altrettanto interessante, con diversi titoli e novità che abiteranno gli schermi italiani. Tra questi, c’è uno dei film italiani più attesi della stagione, presentato alla 80esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, un restauro importantissimo, e tanti titoli nuovi.

Vediamo insieme le novità in sala dal 7 settembre

Una storia vera

La Cineteca di Bologna riporta sul grande schermo la pellicola del 1999 Una storia vera, in originale The Straight Story, di David Lynch realizzato da StudioCanal. Dopo i restauri di Eraserhead, The Elephant Man, Mulholland Drive e Strade perdute è il momento per gli amanti del cinema d’autore di riscoprire la lunga traversata di Richard Farnsworth in sella al suo trattore. La trama è il viaggio di un uomo anziano che vuole raggiungere suo fratello per far pace con lui è l’unico modo per raggiungerlo è attraversare gli Stati Uniti guidando un piccolo automezzo agricolo. Questo si può ritenere un road movie rurale e il ribaltamento di quello che si mostrava in Cuore selvaggio uno dei cult della filmografia del creatore della serie tv I segreti di Twin Peaks.

The Nun II

Dal 6 settembre è già disponibile in sala il secondo capitolo della saga horror spin-off di The Conjuring. The Nun II è diretto da Michael Chaves e vede il ritorno della diabolica suora Valak sempre interpretata da Bonnie Aarons. Questo sequel è ambientato nella Francia del 1956, dove un prete viene trovato morto e suor Irene Palmer, ancora una volta l’attrice Taissa Farmiga, indaga su quanto accaduto. Durante le sue ricerche la sorella Irene capisce che dovrà affrontare ancora una volta la demoniaca suora.

Il più bel secolo della mia vita

Presentato in anteprima al 53° Giffoni Film Festival, dove è stato eletto miglior film nella sezione Generator +18, arriva in sala da questo primo giovedì del mese Il più bel secolo della mia vita. Questo film è tratto dall’omonima pièce teatrale di Alessandro Bardani e Luigi Di Capua, di cui lo stesso Bardani si è occupato della regia del suo primo film. Una dramedy che racconta di una legge in Italia che impedisce a un figlio non riconosciuto alla nascita di sapere l’identità dei propri genitori biologici prima del compimento del suo centesimo anno di età. I personaggi principali di questa folle storia di sono il centenario Gustavo e Giovanni che sono interpretati da Sergio Castellitto e il comico Valerio Lundini qui al suo debutto come protagonista di un lungometraggio.

Io capitano

Direttamente dal Festival del cinema di Venezia 80 e in concorso per il Leono d’oro, arriva in tutti i cinema italiani il nuovo film di Matteo Garrone. Io capitano è l’odissea contemporanea dei giovani Seydou e Moussa che lasciano il Senegal per raggiungere l’Europa. Ovviamente sappiamo tutti che il cammino di questi ragazzi non sarà facile, anzi rischieranno la vita tutti i giorni e forse non arriveranno mai alla loro tanto desiderata meta per realizzare i loro sogni. Il regista romano non si risparmia e mostra la verità del loro lungo viaggio dall’insidie del deserto, dagli orrori dei centri di detenzione in Libia e l’attraversata a bordo di fatiscenti barche nel Mare Mediterraneo.

Tell It Like a Woman

Tell It Like a Woman è una pellicola che si declina interamente in chiave femminile. I vari segmenti che la compongono sono diretti da registe donne provenienti da diverse parti del mondo, girati tra Italia, India, Giappone e l’America e spaziano attraverso diversi generi, dal dramma alla commedia, passando per il documentario e per il cinema d’animazione. Nonostante ognuna di loro sia diversa dalle altre, tutte hanno una cosa in comune: si ritrovano a dover affrontare una dura sfida nella loro esistenza. Nel cast corale troviamo volti noti come Margherita Buy, Cara Delevingne, Marcia Gay Harden, Eva Longoria, Jennifer Hudson e Pauletta Washington.

Uomini da marciapiede

Siamo in giugno e i tifosi più appassionati si preparano ai trenta giorni di partite degli Europei di calcio 2021. I protagonisti di Uomini da marciapiede sono un gruppo di squattrinati che per sbarcare il lunario si mettono a fare il mestiere più antico del mondo per mogli e fidanzate annoiate alla ricerca di qualche avventura facile. Il cast di questa commedia italiana è composto da Francesco Albanese, che si occupa anche della regia, dal comico Paolo Ruffini, Luigi Luciano, Clementino, Rocío Muñoz, Francesco Pannofino, Serena Grandi e Ilaria Spada. 

Austin Butler e Tom Hardy protagonisti del trailer di The Bikeriders

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Austin Butler e Tom Hardy interpreteranno dei motociclisti in uno dei loro prossimi film diretto da Jeff Nichols. 20th Century Studios ha diffuso un nuovo trailer per The Bikeriders, film è ambientato in una città immaginaria negli anni ’60 e atteso nelle sale USA per il 1° dicembre. Il trailer inizia con Johnny (Hardy) che ricorda a Benny (Butler) di aver fondato il club di motociclisti chiamato The Vandals, e di come sia diventato una famiglia. Poi mostra Kathy (Jodie Comer) che incontra Benny e si innamora di lui. I due si innamorano e si sposano rapidamente, con Kathy che spera di riuscire a convertirlo e ad abbandonare i suoi modi violenti. Tuttavia, il trailer mostra Benny che litiga in un bar, il che porta Johnny e The Vandals a allontanarlo.

Durante tutto il trailer, la banda di motociclisti continua a dedicarsi ad attività sempre più pericolose e illegali. Il trailer mostra anche Johnny che dice a Kathy che non riuscirà mai a convincere Benny a smettere di essere un motociclista.

The Bikeriders è stato diretto da Jeff Nichols. Sebbene il film racconti una storia di fantasia, The Bikeriders è stato ispirato dall’omonimo libro fotografico del 1968 di Danny Lyon. All’inizio di questa settimana, il film ha debuttato al Telluride Film Festival ottenendo recensioni entusiastiche. A ottobre sarà proiettato al London Film Festival.

Nel cast, oltre a Hardy, Comer e Butler, c’è anche Michael Shannon che interpreta un membro dei Vandals. Shannon ha lavorato con Nichols in numerosi film, tra cui Midnight Sun e Take Shelter del 2011. Nel film saranno presenti anche Mike Faist, Boyd Holbrook e Norman Reedus.

Venice kids anteprima: nasce una nuova casa per bambine e bambini

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Il 6 settembre è stata una data importante per le Giornate degli Autori: in collaborazione con Isola Edipo e 100autori si è presentato il progetto Venice Kids, uno spazio interamente pensato per i più giovani alla Mostra del Cinema. Nel 2024 si aprirà infatti un luogo-laboratorio dedicato alle bambine e ai bambini alla  scoperta del cinema, della creatività, del gioco e della fantasia. Non sarà un semplice Kinderheim a disposizione di genitori e figli, degli ospiti della Mostra e degli abitanti del Lido, ma una vera “casa” voluta dalla sezione indipendente degli autori (promossa da ANAC e 100autori) per gli spettatori di domani.

I dettagli del programma Venice Kids, che partirà in coincidenza con la XXI edizione delle Giornate degli Autori, sono stati svelati alle 11.30 di mercoledì 6 settembre in Sala Laguna (Via Pietro Buratti 1) con la partecipazione di testimonial d’eccezione e una folta platea di bambine e bambini.

A guidare il giovanissimo pubblico alla scoperta della fantasia creativa – che è poi il tratto distintivo del progetto – è arrivato a Venezia un protagonista d’eccezione: il regista d’animazione Enzo d’Alò, che alla Mostra è legato da uno  storico (e ricambiato) affetto, fin dal film d’esordio (La freccia azzurra,  1996) e poi con La Gabbianella e il Gatto sino al coloratissimo Pinocchio, che nel 2012 apriva le Giornate degli Autori.

Alla vigilia del suo nuovo lavoro, Mary e lo spirito di mezzanotte, liberamente tratto dal romanzo di Roddy Doyle, in uscita solo al cinema con BIM il 9 novembre prossimo, Enzo d’Alò così racconta la sua adesione al progetto Venice Kids: “Prima del mio esordio nel lungometraggio avevo lavorato alla creazione di cortometraggi d’animazione per più di dieci anni con bambini e adolescenti, costruendo un percorso narrativo che mi ha poi accompagnato in tutta la carriera. Vorrei raccontare questo fil rouge che caratterizza la dimensione creativa, condividendo con i giovani spettatori di Venezia alcuni esempi tratti dal dietro le quinte del mio ultimo film. Mi piacerebbe illustrare il percorso creativo di un film d’animazione: dal soggetto alla sceneggiatura, dalla sceneggiatura alla ricerca grafica (mostrando lo studio dei personaggi principali), dalla ricerca degli ambienti e dei suoni fino alla costruzione dell’universo grafico del mio cinema”.

Per l’occasione le Giornate degli Autori, Isola Edipo e 100autori desiderano ringraziare i produttori e il distributore BIM per la presentazione in anteprima di una sequenza del film e del trailer di Mary e lo spirito di mezzanotte; siamo tutti riconoscenti ai testimonial della giornata e specialmente a Enzo d’Alò per aver condiviso questo sogno con noi alla vigilia del suo compleanno, alla mezzanotte del 6 settembre.

Il vecchio e il muro, presentato a Venezia 80 il cortometraggio di Antonio Palumbo

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In occasione della consegna del Sorriso Diverso Venezia Award, che si è tenuta il 6 settembre 2023, presso l’Hotel Ecxelsior di Venezia Lido, durante la 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è stato presentato, in apertura, il cortometraggio Il vecchio e il muro, diretto dal regista e attore Antonio Palumbo.

Il cortometraggio è stato scelto in quanto vincitore assoluto del Festival Tulipani di Seta Nera 2023, promosso da Rai per il sociale per una proiezione in apertura della cerimonia di consegna del premio collaterale.

La potenza di questo cortometraggio è evidente – afferma Claudia Pastorelli, Vicario della Direzione regionale Inail Puglia, che ha sostenuto la realizzazione del film – parlano le immagini, la musica e i silenzi: narrano di malattia, una delle patologie professionali in crescita negli ultimi anni, ma parlano anche e soprattutto di prevenzione. Dalla nostra parte la certezza di aver promosso un progetto ben costruito, ben realizzato e assolutamente innovativo: un modo di parlare di sicurezza sul lavoro instaurando un dialogo diretto con lo spettatore, con i lavoratori. Una strada di successo che continueremo a percorrere.”

Madrina della Cerimonia l’attrice Giovanna Sannino di Mare Fuori. L’evento è organizzato da Diego Righini, direttore del Festival Tulipani di Seta Nera.

Gen V: il primo trailer della serie spin-off di The Boys

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Gen V: il primo trailer della serie spin-off di The Boys

Prime Video ha svelato il trailer ufficiale dell’attesissima serie Original Gen V, dal mondo di The Boys. La serie debutterà in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel mondo venerdì 29 settembre con i primi tre episodi, seguiti da nuovi ogni settimana fino all’epico finale di stagione di venerdì 3 novembre.

Ambientato nel mondo diabolico di The Boys, Gen V espande l’universo della Godolkin University, il prestigioso college per soli supereroi dove gli studenti si esercitano per diventare una nuova generazione di eroi, preferibilmente con sponsorizzazioni lucrative. Non tutti, però, scelgono la strada della corruzione. Oltre al classico caos universitario, oltre alla ricerca della propria identità e alle feste, questi ragazzi si troveranno ad affrontare situazioni letteralmente esplosive. Mentre si contendono popolarità e buoni voti, è chiaro che la posta in gioco è molto più alta quando sono coinvolti dei super poteri. Quando il gruppo di giovani dai poteri soprannaturali scopre che qualcosa di più grande e sinistro sta succedendo a scuola, saranno messi alla prova: sceglieranno di diventare gli eroi o i cattivi delle loro storie?

Il cast della serie include Jaz Sinclair, Chance Perdomo, Lizze Broadway, Shelley Conn, Maddie Phillips, London Thor, Derek Luh, Asa Germann, Patrick Schwarzenegger, Sean Patrick Thomas e Marco Pigossi. In Gen V vedremo anche Clancy Brown e Jason Ritter nel ruolo di guest star, oltre alla partecipazione straordinaria di Jessie T. Usher, Colby Minifie, Claudia Doumit e P.J. Byrne negli stessi ruoli che interpretano in The Boys.

Michele Fazekas e Tara Butters sono showrunner ed executive producer della serie. Eric Kripke, Seth Rogen, Evan Goldberg, James Weaver, Neal H. Moritz, Ori Marmur, Pavun Shetty, Ken Levin, Jason Netter, Garth Ennis, Darick Robertson, Craig Rosenberg, Nelson Cragg, Zak Schwartz, Erica Rosbe e Michaela Starr sono executive producer anche dello spinoff della serie. Nel ruolo di co-executive producer troviamo Brant Englestein, Sarah Carbiener, Lisa Kussner, Gabriel Garcia, Aisha Porter-Christie, Judalina Neira e Loreli Alanís. La serie è prodotta da Sony Pictures Television e Amazon Studios, in collaborazione con Kripke Enterprises, Point Grey Pictures e Original Film.

Virgin River 5, la recensione del primo volume su Netflix

Virgin River 5, la recensione del primo volume su Netflix

Bentornati a Virgin River, la cittadina romantica e fittizia situata nel nord della California nata dalla penna di Robyn Carr e trasposta sul piccolo schermo da Sue Tenney, la quale per la quinta stagione cede le redini a Patrick Sean Smith, nuovo showrunner dello show. Sembra che Netflix abbia deciso di far diventare la divisione in parti delle sue serie un “marchio di fabbrica”, perché anche Virgin River 5 si presenta in due volumi. Quello di settembre, con i dieci e principali episodi, e che apre lentamente le porte all’autunno, e quello di fine novembre, che inizierà il periodo natalizio con gli ultimi due episodi in festa. A differenza di The Witcher 3, questa potrebbe rivelarsi una scelta interessante, poiché avvolge uno specifico periodo, il Natale, e perciò ha il potenziale per rivelarsi una bella chicca, un regalo che la produzione fa ai suoi fidati sostenitori in vista delle vacanze. Per la quinta season, ritroviamo il cast principale: Alexandra Breckenridge, Martin Henderson, Colin Lawrence, Annette O’Toole, Tim Matheson, Benjamin Hollingsworth, più quattro new entry, Kandyse McClure, Susan Hogan, Elise Gatien e Paolo Maiolo.

Virgin River 5, la trama

Iniziamo da dove eravamo rimasti. La quarta stagione di Virgin River si concludeva con la rivelazione di Charmaine (Lauren Hammersley) a Mel (Alexandra Breckenridge) e Jack (Martin Henderson,) che i gemelli non sono in realtà figli di quest’ultimo. Come in ogni season, il cliffhanger finale non funge da attacco al primo episodio della stagione successiva, ma solo da ponte per una storia che riprenderà dopo di esso. Ed è così che inizia Virgin River 5: Jack e Mel devono fare i conti con le menzogne di Charmaine e sul tempo che hanno sprecato per starle accanto, decidendo di godersi a pieno la loro love story una volta chiusi i ponti con la donna. Intanto, Doc (Tim Matheson) è alle prese con una malattia degenerativa che ha colpito i suoi occhi e minaccia il suo futuro allo studio medico. Hope (Annette O’Toole) deve invece confrontarsi con una cittadina che inizia a mettere in dubbio le sue capacità come sindaco e avrà bisogno di tutto il sostegno delle sue amiche per non crollare e lasciarsi abbattere. Sullo sfondo dei problemi quotidiani di Virgin River, uno spaccio di fentanil, a causa del quale Brady (Benjamin Hollingsworth) e Mike (Marco Grazzini) si metteranno in serio pericolo…

Virgin River Alexandra Breckenridge

Bentornati a Virgin River!

Pur essendo cambiato lo showrunner, Virgin River 5 non perde il suo animo romance, e ci apre di nuovo le porte della cittadina bucolica circondata da foreste, fiumi e laghi da sogno. Sono proprio i luoghi che avvolgono i personaggi, vivendo i loro stessi drammi, ad essere una delle carte vincenti dello show, da quando è nato nel 2019. Posti in cui è immediato perdersi fra le bellezze paesaggistiche, e che permettono di staccare la spina dalla realtà, per tuffarsi in un momento di leggerezza e spensieratezza. Gli stessi che, grazie ai tournage panoramici, riescono a condurci subito dentro il racconto, negli incastri della favola. Perché in fondo, Virgin River, è sempre stato questo: una fiaba impiantata nel mondo reale, che non ha troppe pretese se non quelle di regalarci qualche attimo di pausa e relax. Certo, i plot twist imprevedibili non mancano. Così come i cliffhanger, i quali caratterizzano l’intera serie e dei quali essa vive, e che tracciano molto spesso i sentieri della soap opera senza però mai davvero trasformarsi nel genere.

Ma comunque, questo, non è mai stato un punto a sfavore, e non lo è neppure per Virgin River 5, che sembra, in questa prima e principale parte, sbottonarsi ancor di più sugli eventi narrativi, alzando di conseguenza il suo livello drammaturgico. Gli episodi centrali sono infatti quelli più significativi e contengono la sfida più importante con cui i protagonisti si interfacciano; una scelta da una parte audace, dall’altra segno di un leggero cambio di rotta per quanto concerne alcune soluzioni della storyline principale, la quale svela l’intento di voler confrontarsi con situazioni che contribuiscono, in modo sostanzioso, al glow up di tutti i protagonisti. E dello show stesso. Unica sbavatura, che continua ad essere uno dei tasselli più difettosi, sono alcune sub-trame, come quella di Preacher o di Jack (per quest’ultimo inerente solo ai suoi traumi passati), che – pur intrecciate al contesto – risultano essere linee narrative o ripetitive o insapori. Un appesantimento della storia che, qualora venisse eliminato, darebbe a Virgin River solo giovamento.

Un tocco di magia

Cio che però rende davvero speciale la serie, e quindi anche Virgin River 5, è sia il modo in cui essa affronta ogni cruccio o problema dei suoi personaggi, molto attento e premuroso, sia la sua capacità di restituirci una dimensione idilliaca in grado di cullarci. Ma andiamo con ordine. Intanto, anche questa season ci pone dinanzi ad alcuni main character – quali Mel, Jack, Hope e Doc – alle prese con situazioni sempre più intricate della loro vita. Il primo a “risolversi” (per fortuna) è Jack, cedendo più spazio ad una Mel che, pur vivendo l’ennesimo shock, apprezziamo vederla risorgere dalle sue ceneri. Una crescita consapevole che non arriva dal nulla, ma è fonte del lavoro svolto sul personaggio sin dalla prima stagione, e del quale non è stato tralasciato alcun dettaglio o punto sospeso. Capire, affrontare, soffermarsi ad analizzare: sono questi i tre atti con cui lo show si è sempre approcciato ai suoi personaggi, esplorandone la loro psicologia e permettendo così uno sviluppo credibile di ognuno di loro. Pur essendo a volte circondati da avvenimenti un po’ troppo irrealistici.

Virgin River 5, nonostante si ammanti di più drama, non va però a snaturarsi: entra sempre in campo la speranza, il senso di comunità, il motto del “l’unione fa la forza”, mai stato più valido come in questa season, e che da sempre è motore della storia. Non mancano poi le solite atmosfere e fotografie calde, il melieu accogliente, lo spirito combattivo e fiducioso di ogni singolo protagonista, tutti elementi che rendono Virgin River una realtà confortevole, in cui tutto sembra possibile da superare, pur impiantando al suo interno tematiche intense, come l’aborto di Mel, lo stupro di Brie, la perdita di Jack e la malattia di Doc. Ma è forse questa la sua dote: riuscire ad essere un posto sicuro, piacevole, dal tempo sospeso, senza precludersi la possibilità di essere profondo. Ed è così che va guardata anche questa prima parte di Virgin River 5: non avendo pretese, mossi solo dal desiderio di lasciarsi fare una carezza. A volte, la magia la si può trovare anche in show poco elaborati, ma dal grande cuore e dalle buone intenzioni. Per cui, alla fine, gli si può perdonare anche qualche ridondanza.

Housekeeping for Beginners, recensione del film di Goran Stolevski #Venezia80

Il giovanissimo e talentuoso regista Goran Stolevski ha presentato in anteprima a Venezia 80 il suo Housekeeping for Beginners, terzo lungometraggio a cui si è dedicato dopo You Won’t Be Alone (2022) e Of an Age (2023), passati entrambi per il Sundance Film Festival. Con questa nuova prova registica, Stolevski unisce uno stile da cinema verità, performance attoriali credibilissime e un controllo dell’immagine notevolissimo per raccontare una storia quanto mai attuale. Nel cast, Anamaria Marinca, Alina Serban, Samson Selim, Vladimir Tintor, Dzada Selim, Mia Mustafa, Sara Klimoska, Rozafa Celaj, Ajshe Useini.

Housekeeping for Beginners: madre in divenire

Una storia che esplora le verità universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che quella che ci scegliamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre, ma le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che deve lottare per rimanere unita.

Nonostante le molte crisi che affrontano – morti, scomparse, abusi – Housekeeping for Beginners non è un film guidato dalla trama, quanto più incentrato su questo complesso intreccio di personaggi interpretati in maniera incredibilmente verosimili. La truppa è guidata da Marinca, che offre una performance estremamente convincente nei panni della forte Dita, ma tutti gli attori sono all’altezza della situazione, persino la giovane Mia.

Cinema veritè per “non sentirsi soli”

La scelta di uno stile veritiero, che include dialoghi sovrapposti, camera a mano, illuminazione naturalistica, inquadrature strette ma volutamente caotiche e profondità ridotta, ha permesso a Stolevski di creare un’atmosfera di grande impatto che eleva Housekeeping for Beginners. In maniera molto simile a quanto già sperimentato nel precedente film Of an age, è la musica che colma i vuoti: quando i personaggi non si confrontano con qualche canzone di sottofondo, la colonna sonora composta da Alen e Nenad Sinkauz rievoca il conflitto razziale che emerge costantemente ai margini della storia. Violini e fisarmoniche suonano ritmi avvincenti, creando un mix di allegria e malinconia che sottolinea le innumerevoli discussioni all’interno della famiglia.

In You Won’t Be Alone lo spirito stregonesco che è la creatura protagonista del film non viene mai lasciato solo: diventa un mutaforma, che si deve scontrare con le difficoltà di legami sociali primitivi mentre tenta di elaborare una personale concezione dell’umanità. Mutare forma, essere il corpo degli altri, diventa il veicolo principale per la conoscenza del se. Stolevski porta avanti un simile discorso anche in Housekeeping for Beginners, presentandoci dei personaggi che devono tenere in considerazione, e anche scontrarsi, con altri punti di vista e, in questa famiglia così fluida e composita, scoprono ancora meglio le loro individualità. Basando la narrazione su questo dialogo così umano, Stolevski si conferma una delle giovani voci registiche più interessanti e promettenti della contemporaneità.

Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, ecco i character poster

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È ufficialmente iniziato il conto alla rovescia per Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, il nuovo capitolo della Hunger Games Saga che arriverà in Italia, solo al cinema dal 22 novembre, distribuito da Notorious Pictures.

Un film attesissimo, tanto che secondo un sondaggio condotto e pubblicato dalla piattaforma americana per la prevendita di biglietti cinematografici Fandango, Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è in cima alla lista dei film più attesi dell’autunno da parte del pubblico!

La road to Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è pronta per essere percorsa e si apre con i character poster del film:

Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è ambientato 64 anni prima della saga. Un prequel ispirato all’omonimo romanzo di Suzanne Collins e diretto da Francis Lawrence, regista di tre dei quattro Hunger Games originali.

I protagonisti sono l’attore emergente inglese Tom Blyth, Rachel Zegler di West Side Story e Hunter Schafer della serie Euphoria. Nei ruoli comprimari l’attrice Premio Oscar e vincitrice di un Golden Globe, di un Emmy Award e di ben due Tony Award Viola Davis, la star de Il trono di spade e vincitore di un Golden Globe Peter Dinklage e Jason Schwartzman.

Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, la trama

Anni prima di diventare il tirannico presidente di Panem, il diciottenne Coriolanus Snow è l’ultima speranza per il buon nome della sua casata in declino: un’orgogliosa famiglia caduta in disgrazia nel dopoguerra di Capitol City. Con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger Games, il giovane Snow teme per la sua reputazione poiché nominato mentore di Lucy Grey Baird, la ragazza tributo del miserabile Distretto 12. Ma quando Lucy Grey magnetizza l’intera nazione di Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura, Snow comprende che potrebbe ribaltare la situazione a suo favore. Unendo i loro istinti per lo spettacolo e l’astuzia politica, Snow e Lucy mireranno alla sopravvivenza dando vita a una corsa contro il tempo che decreterà chi è l’usignolo e chi il serpente.

Con la grazia di un Dio: recensione del film di Alessandro Roia #Venezia80

Un uomo si aggira per le strade di Genova, riscoprendone colori, odori, sapori, ma anche luoghi, persone, notandone i cambiamenti e manifestando un profondo senso di nostalgia nei confronti di tutto ciò. L’uomo in questione è Luca, protagonista del fim Con la grazia di un Dio, il film d’esordio dell’attore Alessandro Roia (Diabolik, … altrimenti ci arrabbiamo!) alla regia di un lungometraggio. Presentato alle Giornate degli Autori, il film è un ambizioso ma umile racconto noir che si sviluppa sui temi della nostalgia e della malinconia, emozioni provate dal protagonista a seguito di un inaspettato confronto con il proprio passato e con la città della sua giovinezza.

Già da queste prime parole si può notare un’involontaria somiglianza con il recente film Nostalgia di Mario Martone, dove Pierfrancesco Favino dà volto ad un uomo che torna a Napoli – più precisamente nel Rione Sanità – dopo anni trascorsi in Egitto, riscoprendo tutto ciò che si era dovuto lasciare alle spalle, compresi alcuni traumi. Se da una parte risulta difficile non porre a confronto i due film, data anche la presenza in entrambi dell’attore Tommaso Ragno (Luca nell’esordio di Roia, nemico del protagonista per Martone), sarebbe scorretto ridurre solo a questo il giudizio su Con la grazia di un Dio, opera imperfetta ma alcuni elementi interessanti.

La trama di Con la grazia di un Dio

La vicenda si svolge dunque a Genova, dopo venticinque anni Luca (Tommaso Ragno) torna per partecipare ai funerali del migliore amico della sua giovinezza. Qui ritrova i vecchi compagni di un tempo. Tutti sembrano convinti che quella morte sia l’esito scontato di una vita di eccessi; tutti tranne Luca, che vuole vederci chiaro, indagare, capire. Scavando nella memoria, e in una città cambiata almeno quanto lui, lascerà riaffiorare fantasmi e verità che sembravano sepolte, insieme alla propria vera natura, che pensava di aver domato per sempre.

Nei luoghi dell’anima di Genova

Le opere prime, si sà, sono pericolose. Bisogna avere qualcosa da dire, bisogna sapere come dirlo, altrimenti si rischia di non offrire nulla al proprio pubblico. Alessandro Roia, consapevole di questi rischi, sceglie di “limitarsi” alla scrittura della sceneggiatura (insieme ad Ivano Falchin) e alla regia, non comparendo dunque in scena. Ciò gli dà l’opportunità di concentrarsi totalmente sulla costruzione delle immagini del suo esordio, attingendo dal cinema di genere per fotografare una Genova cupa e fredda dove porre i propri personaggi e seguirli nei vicoli bui, in quelli stretti, nei locali tutti neon e musica a palla o negli appartamenti spogli che comunicano assenza in ogni loro stanza.

Roia lavora dunque su un’attenta scelta di spazi evocativi, che accompagnino le emozioni di chi li abita ed esaltino i turbamenti del loro animo e sceglie di far parlare in questo modo le proprie immagini, prediligendo di conseguenza una regia contenuta e che rifugge particolari virtuosismi o sperimentazioni di vario tipo. Tutte cose che, per quanto un neo regista potrebbe essere tentato di provare, rischiano di distogliere l’attenzione dello spettatore da aspetti ben più importanti, come in questo caso la costruzione di un atmosfera che possa effettivamente suscitare gli stati d’animo del protagonista.

Con la grazia di un Dio Tommaso Ragno

Un film non esente da problemi di scrittura

Certo, non è esente da problemi Con la grazia di un Dio, riscontrabili specialmente nella sua scrittura. Ci sono infatti diverse occasioni in cui il mistero che Luca cerca di risolvere sembra complicarsi salvo poi rivelarsi meno avvincente del previsto, così come alcune situazioni gestite troppo frettolosamente e non adeguatamente sviluppate, soprattutto nel finale, dove gli interrogativi rimasti sono più di quelli soddisfatti. Tutte carenze che rischiano di portare lo spettatore a sentirsi confuso o perdere interesse nei confronti di quanto vede. Luca, come anche alcuni degli altri personaggi, rimangono infatti talvolta fin troppo misteriosi, rendendo difficile un avvicinamento nei loro confronti.

A ciò si aggiungono alcune perplessità circa il pubblico di riferimento di un film come questo, e non rispondendo chiaramente a tale domanda si svela ulteriormente la confusione che limita il potenziale del progetto, che per certi aspetti lascia in ultimo un certo senso di incompiuto. Sono ingenuità tipiche di un’opera prima, trappole a loro modo necessarie per poter imparare per poi addrizzare il tiro in vista di un secondo film, che si spera Roia realizzerà, avendo in ogni caso dimostrato in Con la grazia di un Dio di possedere una buona conoscenza tecnica del mezzo.

Venezia 80: le foto dal red carpet di Io Capitano di Matteo Garrone

Si è tenuta nel tardo pomeriggio di oggi la proiezione ufficiale di Io, Capitano (recensione) il nuovo film di Matteo Garrone presentato in concorso a Venezia 80, l’80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Sul red carpet il regista accompagnato dal cast.

In merito al film il regista ha dichiarato: “Io Capitano nasce dall’idea di raccontare il viaggio epico di due giovani migranti senegalesi che attraversano l’Africa, con tutti i suoi pericoli, per inseguire un sogno chiamato Europa. Per realizzare il film siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha.” Ecco tutte le foto:

Io Capitano racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Housekeeping for Beginners, il trattato di Goran Stolevski sulla “famiglia che ci scegliamo”

Dopo You Won’t Be Alone e Of an Age, il giovanissimo Goran Stolevski presenta in concorso nella sezione parallela di Venezia 80, “Orizzonti”, il suo nuovo film Housekeeping for Beginners. Una storia che esplora le verità universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che quella che troviamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre, ma le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che deve lottare per rimanere unita.

Housekeeping for Begginers: il terzo lungometraggio di Goran Stolevski

In occasione della prima del suo film al Festival, Stolevski si è aperto sulla genesi del progetto: “Posso dirvi l’esatto momento in cui mi è venuta l’ispirazione per questo soggetto. All’epoca facevo l’interprete, stavo accompagnando una mia amica a fare una colonscopia e mi è capitata una foto su Facebook ricondivisa da un mio amico: era una foto degli anni ’70 di due ragazzi gay che vivano insieme ad altri amici. Mi ha colpito molto perchè mi ha trasmesso un senso di casa e spazio sicuro, qualcosa che io non ho mai sentito quando mi sono trasferito in Australia“.

Alina Șerban ha poi raccontato gli inizi della sua carriera da attrice: “Ho avuto questa grandissima opportunità. Vengo da un passato di povertà, sono stata la prima della mia famiglia a finire le superiori, so cosa significa pregare per avere luce e acqua. Se non avevo qualcosa, immaginavo di averlo, ho sempre amato ballare, questo è come si è sviluppata la mia creatività. Ho pensato di dedicarmi alla recitazione. C’era una voce dentro di me, a volte urlava, a volte sussurrava, ma mi stava imponendo di provarci. Nella vita sono stata in orfanatrofio e ho spesso cercato un posto dove stare. Sono poi entrata all’università, dove mi sono scontrata con un ambiente molto elitario e dove mi sono sempre sentita meno degli altri“.

Anamaria Marinca e Alina avevano già lavorato insieme a una scena: il primo ruolo che Alina ha mai ottenuto è stato nella serie tv della BBC The Last Enemy. Nessuno le aveva spiegato bene cosa avrebbe dovuto fare e lei non aveva alcuna esperienza. “Dopo 16 anni sono qui, a recitare insieme ad Anamaria non in una sola scena, ma in un intero film“.

Per quanto riguarda il processo di casting, “più che fare provini, mi piace parlare con i miei attori “ – ha svelato Stolevski. “Come prima cosa, ci conosciamo come persone. Non sono un tipo da ordinare agli altri cosa devono fare. Cerco di costruire un ambiente sano e, soprattutto, di passare tanto tempo insieme, perchè ci si può sentire davvero soli in questo ambiente. Gli incoraggio spesso a improvvisare e per me è anche importantissimo trasferire gli stessi valori alla crew“.

“La famiglia è quella che ci scegliamo, non per forza quella di sangue”

Regista e attrice hanno poi messo in relazione la loro storia famigliare con quella di Housekeeping for Beginners, “Sono cresciuto in una grande famiglia, ho cugini e zie che considero veri fratelli, non considerando l’effettivo grado di parentela, è qualcosa che fa parte di un più ampio senso che io do al concetto di famiglia. In Australia è stato molto diverso, mi sono sentito molto isolato“, ha svelato Goran Stolevski.

Io sono cresciuta nella solitudine di non avere una famiglia, ma oggi sono quello che sono grazie ai miei amici: sono stati la mia famiglia per tantissimi anni. Ci sono persone queer, di colore, che hanno vite diverse dalla mia, ma siamo una famiglia. Provo rabbia quando vedo i miei amici gay discriminati e loro lo stesso con me. La mia rete di sicurezza sono i miei amici“, ha poi aggiunto Alina Șerban.

Goran Stolevski: tra esperienza intimista e universalità

In merito al parallelismo tra l’esperienza trasformativa di You Won’t Be Alone, dove la strega protagonista è una mutaforma che entra ed esce da corpi diversi elaborando una sua idea di umanità e, al contempo, imparando a conoscere se stessa: “Tutti i miei film partono dal punto di vista di un outisder, che sia un disagio personale o l’ostracismo sociale a causarlo. Non penso che le emozioni dipendano dalla demografia, penso che siano universali. In questo senso, è importante che ci sia anche della rabbia. I personaggi che amo sono quelli che si arrabbiano di più. Sono stato un bambino molto silenzioso e spaventato, i miei film esplorano questa dualità che io percepisco in me, tra il sentirsi un outisder e l’arrabbiarsi, il sentire di volere di più“.

Elemental: dal 13 settembre disponibile su Disney+

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Elemental: dal 13 settembre disponibile su Disney+

Disney+ ha svelato che la giovane donna di Fuoco Ember e il ragazzo di Acqua Wade del film Disney e Pixar Elemental arriveranno sulla piattaforma streaming dal 13 settembre. Lo stesso giorno debutteranno anche il documentario sul making-of Quando c’è Chimica: La storia dietro Elemental e il cortometraggio dei Pixar Animation Studios L’appuntamento di Carl con l’amatissimo cane parlante Dug. È disponibile la key art che celebra l’imminente arrivo in streaming di Elemental.

Dopo l’uscita al cinema quest’estate, il lungometraggio originale Disney e Pixar Elemental è tra i 10 film di maggior successo del 2023 a livello mondiale, con un incasso di 480 milioni di dollari. Ambientato a Element City, dove gli elementi – Fuoco, Acqua, Terra e Aria – vivono insieme, il lungometraggio originale introduce Ember, la cui amicizia con un ragazzo di nome Wade, divertente e sdolcinato, mette alla prova le sue convinzioni sul mondo in cui vivono. Elemental è diretto da Peter Sohn e prodotto da Denise Ream p.g.a., mentre Pete Docter è il produttore esecutivo. La sceneggiatura è di John Hoberg & Kat Likkel e Brenda Hsueh, con un soggetto di Sohn, Hoberg & Likkel e Hsueh.

Nella versione italiana del film, prestano le proprie voci Valentina Romani nel ruolo di Ember, una brillante ragazza di Fuoco sulla ventina con un grande senso dell’umorismo che ama la sua famiglia ma che a volte si infiamma facilmente; Stefano De Martino nel ruolo di Wade, un attento ed empatico ventenne di Acqua che non ha paura di mostrare le proprie emozioni, che sono difficili da non notare; Serra Yilmaz nel ruolo della mamma di Ember, Cinder; e Hal Yamanouchi nel ruolo del padre di Ember prossimo alla pensione, Bernie. Inoltre, Francesco Bagnaia, pilota motociclistico e campione del mondo in carica di MotoGP, interpreta uno speciale cameo nel ruolo di “Pecco”.

Il regista Pixar Peter Sohn accompagna gli spettatori in un viaggio personale e divertente alla scoperta di ciò che ha ispirato la creazione del lungometraggio Disney e Pixar Elemental. Quando c’è Chimica: La storia dietro Elemental ripercorre il viaggio dei suoi genitori dalla Corea a New York, esplora l’ex negozio di alimentari del padre nel cuore del Bronx e approfondisce la sua scelta di intraprendere una carriera nell’animazione, piuttosto che nell’attività di famiglia. Il documentario è un piacevole approfondimento sulle influenze inaspettate che hanno portato alla realizzazione di Elemental. Good Chemistry è diretto da Tony Kaplan e prodotto da Sureena Mann.

Scritto e diretto dal candidato all’Academy Award® e vincitore dell’Emmy® Bob Peterson e prodotto da Kim Collins, il nuovo corto L’Appuntamento di Carl vede Carl accettare con riluttanza di andare a un appuntamento con un’amica, ma senza avere idea di come funzionino gli appuntamenti al giorno d’oggi. Dug, da sempre un amico disponibile, interviene per calmare l’agitazione di Carl prima dell’appuntamento e per offrirgli alcuni affidabili consigli su come fare amicizia… se sei un cane. Il nuovo cortometraggio, che ha debuttato nelle sale il 21 giugno insieme a Elemental, si aggiunge alla collezione di cortometraggi già disponibile su Disney+, Una vita da Dug, che segue le divertenti disavventure dell’adorabile cucciolo con il collare high-tech

Lupin – parte terza: il trailer della serie con Omar Sy

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Lupin – parte terza: il trailer della serie con Omar Sy

Netflix rilascia il trailer della terza parte di Lupin, svelando un primo sguardo sulla serie francese fenomeno globale. Il gentiluomo più ricercato della Francia farà il suo ritorno dal 5 ottobre in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo.

In questi nuovi 7 episodi Omar Sy tornerà nel ruolo di Assane Diop al fianco di Ludivine Sagnier, Antoine Gouy, Soufiane Guerrab e Shirine Boutella. Creata da George Kay in collaborazione con François Uzan, la serie è diretta da Ludovic Bernard, Podz (Daniel Grou) e Xavier Gens e prodotta da Gaumont.

Lupin – parte terza, la trama

Assane ora è in clandestinità e deve imparare a vivere lontano dalla moglie e dal figlio. Le sofferenze che lui stesso ha causato lo spingono a tornare a Parigi con una folle proposta: abbandonare la Francia e ricominciare da capo altrove. Ma gli spettri del passato sono sempre dietro l’angolo e un ritorno inatteso sconvolgerà i suoi piani.

Mayor of Kingstone: Paramount+ annuncia la terza stagione

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Mayor of Kingstone: Paramount+ annuncia la terza stagione

Paramount+ ha annunciato oggi la terza stagione dell’acclamata serie originale drammatica MAYOR OF KINGSTOWN (leggi la recensione della seconda stagione), interpretata dal candidato all’Oscar Jeremy Renner. Creata dal candidato all’oscar Taylor Sheridan insieme a Hugh Dillon, la serie originale è prodotta da MTV Entertainment Studios e 101 Studios in esclusiva per Paramount+.

MAYOR OF KINGSTOWN è una delle fiction originali più performanti del servizio di streaming e, durante il periodo di disponibilità in piattaforma, è stata terza solo alle altre serie di successo di Sheridan, 1923 e TULSA KING.

MAYOR OF KINGSTOWN segue la famiglia McLusky, mediatori di potere a Kingstown, Michigan, dove il business dell’incarcerazione è l’unica industria fiorente. Affrontando i temi del razzismo sistemico, della corruzione e dell’ineguaglianza, la serie offre uno sguardo crudo sul loro tentativo di portare ordine e giustizia in una città che non ha né l’uno né l’altro.

Tra i produttori esecutivi, oltre a Sheridan e Dillon, anche Renner, Antoine Fuqua, David C. Glasser, Ron Burkle, Bob Yari, Michael Friedman, Dave Erickson e Regina Corrado. MAYOR OF KINGSTOWN fa parte del palinsesto in continua crescita di Sheridan su Paramount+, che comprende SPECIAL OPS: LIONESS, 1923, 1883, TULSA KING e le prossime serie LAWMEN: BASS REEVES e LAND MAN. La prima e la seconda stagione di MAYOR OF KINGSTOWN sono disponibili in esclusiva su Paramount+.

Venezia 80: spariti i poster di Maestro e The Killer di fronte all’Excelsior

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Chi, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia si muove in bici lungo il Lido, sa bene che venire derubati del proprio mezzo di trasporto è una possibilità. Nel corso degli anni sono stati tanti i report e i racconti in merito, ma quest’anno i ladri lidensi sembrano essersi specializzati in… poster.

Apprendiamo da Deadline che sei poster di Maestro e di The Killer sono scomparsi lunedì sera dagli espositori posti di fronte all’Excelsior, lasciando i membri dello staff di Netflix di stucco, a chiedersi se le sparizioni fossero il risultato di un furto da parte di fan troppo zelanti o ci fosse dietro una qualche forma di protesta non meglio rivendicata verso i film targati N rossa presenti nella Selezione Ufficiale. Martedì, è stata cura dello streamer aggiungere altri poster, tuttavia il dubbio rimane.

C’è stato un tempo, ormai passato, che i film targati Netflix non erano visti di buon occhio nel circuito dei festival, ma è chiaro che non è il caso di Venezia, tra le prime grandi kermesse dedicate al cinema che hanno aperto le porte a queste produzioni. Sembra quindi più probabile che dei fan di Bradley Cooper e di Michael Fassbender abbiano voluto portare a casa dei souvenir speciali da Venezia 80. L’organizzazione del festival non ha commentato l’accaduto.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), recensione della serie tv di Jasmila Žbanić

La showrunner Jasmila Žbanić, regista nominata agli Oscar e ai Bafta per Quo Vadis, Aida? del 2020, ha presentato oggi fuori concorso a Venezia 80 la sua nuova serie tv Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima). Si tratta di un progetto che la regista scrisse diversi anni fa, ma che venne rifiutato dal Bosnian Film Fund, senza apparente motivo. Tuttavia, quando l’emittente bosniaca BH Telecom ha annunciato l’audace intenzione di investire nella fiction televisiva, ha intravisto la possibilità di rilanciarla: durante la pandemia, ha avuto tempo di ripensare la sceneggiatura come una serie tv, di cui oggi sono stati presentati in anteprima i primi due episodi. Žbanić è showrunner della serie insieme a Damir Ibrahimović, con Alen Drjević e Nermin Hamzagić alla regia e interpretata da Jasna Duricic, Lazar Dragojevic ed Ermin Bravo.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), indagine su una famiglia e una società

L’ultimo caso di Nevena, procuratore di Sarajevo e madre single, colpisce da vicino: un adolescente della stessa scuola di suo scuola di suo figlio Dino si è suicidato. Nevena si attira una cattiva pubblicità quando il padre in lutto critica la lentezza delle sue indagini, ma si guadagna poca simpatia per il suo dipartimento a corto di personale o per l’imminente divorzio. Ben presto, Nevena scopre che la scuola potrebbe nascondere abusi tra i suoi studenti e viene consumata dalla preoccupazione per Dino, venendo colta alla sprovvista quando il padre della vittima fa il nome di suo figlio come abusatore. Spinta dall’amore materno e dalla responsabilità morale, Nevena cerca disperatamente delle prove in un ambiente sempre più ostile. Sa che in una società in cui la giustizia in cui la giustizia è controllata dalla ricchezza e da un’élite politica maschile, i suoi unici alleati nella sua caccia alla verità restano una vecchia fiamma e una nuova collega che fa rapporto al suo superiore alle sue spalle. Ma la ricerca dei fatti che rende Nevena è così brava nel suo lavoro la metteàr contro il figlio di cui teme di non potersi più fidare.

znam kako dišeš (2023)

L’intensa scrittura di Jasmila Žbanić

Fino a che punto comprendiamo veramente i nostri figli? Quanto siamo aperti ai loro distinti sistemi di valori? Quanto profonda è la nostra fiducia in loro? Queste sono le domande centrali di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), che si propone come una precisa riflessione sul tema soprattutto nell’era attuale, in cui la fiducia nelle istituzioni, nelle informazioni e nella verità sta progressivamente svanendo, o forse c’è sempre stata ma si è taciuto per il desiderio di preservare la nostra stessa dignità.

Nei primi due episodi di Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) di Jasmila Zbanic, viene messo in primo piano il delicato equilibrio tra le emozioni personali e le responsabilità professionali. Diretti da Alen Drljevic, i primi due episodi esplorano i legami familiari, alle aspettative della società e alle ombre che i segreti proiettano sulle relazioni umane e promettono di offrire uno sguardo approfondito sulla complessità delle emozioni umane, le pressioni sociali gli intricati misteri che si annidano anche tra le mura delle nostre case.

Ciò che contraddistingue in modo particolare questo episodio pilota è la sua capacità di stimolare la curiosità degli spettatori, lasciandoci con numerosi interrogativi irrisolti. Al centro di tutto questo si trova l’enigma che avvolge il personaggio di Dino. È colpevole? Sta dicendo la verità? Questo elemento rappresenta una delle caratteristiche più distintive dell’episodio. La trama mette in scena un serio dilemma morale in cui Neneva si trova a dover bilanciare l’amore per suo figlio con la sua dedizione alla ricerca della verità. La recitazione di Djuricic e Dragojevic nei ruoli di madre e figlio è assolutamente credibile, e la regia di Drlijevic, seppur semplice, riesce ad essere coinvolgente e accattivante. Tuttavia, la vera potenza dell’opera risiede nella sua storia.

Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) si addentra profondamente nelle disuguaglianze create dalla divisione di classe, una problematica che risuona a livello globale, riuscendo brillantemente ad esaminare le tragedie che emergono da queste radicate disuguaglianze sociali. Tuttavia, al cuore della serie si trova anche un commento sul concetto di famiglia e sulle dinamiche relazionali; mette in evidenza l’idea che la vita è stratificata e spesso ci costringe ad affrontare la realtà che forse non conosciamo i nostri cari così approfonditamente come pensavamo.

Penélope Cruz protagonista de I Giorni dell’Abbandono da Elena Ferrante

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Penélope Cruz è stata scelta per interpretare la protagonista dell’adattamento de I Giorni dell’Abbandono, di Elena Ferrante. Il film sarà diretto da Isabel Coixet, una delle più acclamate registe spagnole, The Bookshop, Elegy, My Life Without Me. È stata premiata con dieci Goya, più di qualsiasi altra regista donna nella storia della Spagna. La sceneggiatura è affidata a Laurence Coriat, sceneggiatrice francese, nota soprattutto per il suo lavoro con Michael Winterbottom.

Già nel 2005, Roberto Faenza aveva adattato il romanzo, dirigendo Margherita Buy nei panni della protagonista della storia.

Una donna ancora giovane, serena e appagata, tutt’altro che inattiva nel cerchio sicuro della famiglia, viene abbandonata all’improvviso dal marito e precipita in un gorgo scuro e antico. Rimasta con i due figli e il cane, profondamente segnata dal dolore e dall’umiliazione, Olga, dalla tranquilla Torino dove si è trasferita da qualche anno, è risucchiata tra i fantasmi della sua infanzia napoletana, che si impossessano del presente e la chiudono in una alienata e intermittente percezione di sé. Comincia a questo punto una caduta rovinosa che mozza il respiro, un racconto che cattura e trascina fino al fondo più nero, più dolente dell’esperienza femminile.

LOTUS PRODUCTION – Una società Leone Film Group

Lotus Production è una casa di produzione cinematografica e televisiva guidata da Raffaella Leone e Andrea Leone e controllata da Leone Film Group, società operante nel mercato cinematografico e audiovisivo e quotata sul mercato AIM Italia dal 2013. Affermata e riconosciuta anche a livello internazionale, Lotus ha prodotto negli anni film e serie TV di successo, collaborando con alcuni tra i principali autori italiani, tra cui Paolo Genovese, Gabriele Muccino e Paolo Virzì. Dopo aver prodotto titoli del calibro di Perfetti sconosciuti, La pazza gioia, e A Casa tutti bene e A casa tutti bene – La serie saranno presto disponibili su Disney+ due importanti progetti targati Lotus: l’adattamento televisivo del bestseller I leoni di Sicilia di Stefania Auci, diretto da Paolo Genovese e Uonderbois, serie tv urban fantasy diretta da Andrea De Sica e Giorgio Romano. Su Sky è in arrivo la nuova stagione di A casa tutti bene – La serie, diretta da Gabriele Muccino. Nell’aprile 2022 è stata aperta una nuova divisione della società diretta da Elisa Ambanelli e dedicata allo sviluppo di progetti di intrattenimento unscripted con focus su documentari, docu-serie e format tv originali e d’acquisto.

Penélope Cruz

Penélope Cruz, vincitrice di un premio Oscar e tre volte candidata all’Oscar, è una delle attrici più versatili dei nostri giorni. Tra i suoi ruoli passati figurano DON’T MOVE, VOLVER, VICKY CRISTINA BARCELONA e NINE. Nel 2021 ha recitato in Madres paralelas di Pedro Almodóvar, per il quale è stata candidata all’Oscar per la migliore attrice e ha vinto la Coppa Volpi per la migliore attrice alla Mostra del Cinema di Venezia del 2021. Recentemente la Cruz è stata ha recitato nel thriller sociale ON THE FRINGE di Juan Diego Botto e in L’IMMENSITA di Emanuele Crialese. Prossimamente sarà protagonista di FERARRI di Michael Mann, accanto ad Adam Driver e Shailene Woodley.

MOONLYON

Nel 2022, Penélope Cruz ha collaborato con la CEO di MediaPro Studio, Laura Fernández Espeso, per lanciare la sua casa di produzione chiamata Moonlyon. Questa azienda internazionale e indipendente si concentrerà sulla produzione di contenuti premium non fiction e drammatici. L’obiettivo dell’azienda è quello di produrre e distribuire storie diverse provenienti da tutto il mondo, con il supporto dell’infrastruttura globale e della posizione internazionale di MediaPro. Con 25 anni di esperienza nell’industria dei contenuti e 56 sedi internazionali in tutto il mondo, MediaPro ha una forte influenza nel mercato della produzione in Spagna e in Europa e assisterà nella distribuzione e nelle vendite.

The Penitent – A Rational Man: recensione del film di e con Luca Barbareschi #Venezia80

Il primo film statunitense di Luca Barbareschi, The Penitent – A Rational Man, è ispirato ad un caso di cronaca, quello di Vitali Tarasoff, psicanalista rimasto vittima di accanimento giudiziario e della macchina del fango causata da una comunicazione pilotata. Un caso complesso, dove la Corte Suprema della California ha infine stabilito che un professionista della salute mentale ha un dovere non solo nei confronti di un paziente ma anche nei confronti degli individui che possono essere minacciati da quel paziente. Un caso, dunque, che solleva l’interrogativo di quando sia lecito o necessario rompere il silenzio e scegliere di proteggere piuttosto che rispettare il segreto professionale.

Su questa vicenda il drammaturgo e sceneggiatore David Mamet ha scritto un testo teatrale, lavorando a partire dalle domande suscitate da tale caso. Un testo su cui Barbareschi ha già lavorato, portandolo in teatro, e che ora ha scelto di adattare per il cinema, ritenendolo quantomai attuale e urgente. Presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film è infatti fortemente radicato nel nostro contemporaneo e diventa dunque l’occasione per riflettere sulla cancel culture, sul ruolo dei media nella sua crescente popolarità e su dove questi e altri aspetti inerenti il politicamente corretto stiano portando la società attuale.

The Penitent – A Rational Man, la verità di un uomo

Ambientato in una New York, che rimane però sempre sullo sfondo, il film ha per protagonista uno psichiatra di nome Carlos David Hirsh (Luca Barbareschi), che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare per la verità.

In completo ascolto dei personaggi

Nel raccontare questa storia, Barbareschi vuole andare dritto al sodo, concentrandosi su poche ma lunghe scene, ambienti unici e un massimo di due o tre attori in scena. The Penitent – A Rational Man mantiene dunque una forte impostazione teatrale, che porta lo spettatore a passare da un ambiente all’altro e in esso assistere allo scontro tra il protagonista con alcune persone a lui vicine, dalla moglie Kath (interpretata da Catherine McCormack) all’avvocato Richard (ruolo ricoperto da Adam James), fino al PM (che ha il volto di Adrian Lester).

Personaggi stretti in ambienti ora claustrofici ora ampi e asettici, ma sempre pensati secondo una volontà di esteriorizzare ciò che si agita all’interno dell’animo dei personaggi. Si ha modo di notare tutto ciò e il modo in cui Barbareschi costruisce una certa distanza o freddezza tra i personaggi grazie dunque a queste scene che si prendono il loro tempo per raccontare quanto necessario. The Penitent – A Rational Man non offre di certo un ritmo incalzante, cosa che ne rende ostica la visione, ma è una scelta che trova spiegazione nella volontà del regista di andare al cuore di questi personaggi e delle loro vicende.

The Penitent - Luca Barbareschi Adrian Lester
Luca Barbareschi e Adrian Lester in una scena di The Penitent – A Rational Man. Foto di F. Di Benedetto.

Un film senz’anima, che sacrifica i propri aspetti migliori

Esteticamente, dunque, Barbareschi conferisce al film una precisa impronta, che può o meno piacere in base ai propri personali gusti cinematografici. Ciò che invece risulta obiettivamente funzionare meno è il modo in cui si sceglie di affrontare i dialoghi, i quali troppo spesso scadono nel didascalico o comunque difficilmente capaci di risuonare sinceri sullo schermo cinematografico così come magari potrebbero farlo invece a teatro. Si ha inoltre talvolta la sensazione che il racconto non riesca a progredire come dovrebbe, perdendosi spesso e volentieri in accuse contro la cancel culture che, al di là della loro condivisibilità o meno, distolgono da altri ben più interessanti aspetti del film.

Il principale tra questi è probabilmente il rapporto di Hirsch con la fede ebbraica e con Dio, il modo in cui si può o meno interpretare la parola divina e come essa trova applicazione nella realtà. Aspetti complessi, che un film che si prende i tempi necessari come questo avrebbe potuto esplorare meglio. L’obiettivo sembra però quello di proporre riflessioni sulla pericolosità di un pensiero che cancella ciò che non va bene e di come in assenza di un controllo di ciò si può rischiare una nuova dittatura. Questioni certamente attuali, importanti e urgenti, ma che così affrontate non trovano il giusto valore e non lasciano spazio ad altro, portando così il film ad essere privo di una vera anima.

Origin: recensione del film di Ava DuVernay #Venezia80

Origin: recensione del film di Ava DuVernay #Venezia80

Scritto e diretto dalla candidata all’Oscar Ava DuVernay, Origin si ispira alla straordinaria vita e al lavoro della scrittrice premio Pulitzer Isabel Wilkerson (Aunjanue Ellis-Taylor), mentre scrive il suo libro Caste: The Origin of Our Discontents. Alle prese con un’immane tragedia personale, Isabel intraprende un percorso di indagine e scoperta globale. Nonostante la portata colossale del suo progetto, trova la bellezza e il coraggio di scrivere uno dei libri americani più importanti del nostro tempo. DuVernay racconta in modo emozionante la sua storia dal forte simbolismo non solo metaforico – che scoppia nel suo finale – ma anche nel concreto.

La premessa iniziale presenta l’omicidio di Trayvon Martin come parte integrante di un pensiero che la stessa regista insieme a Wilkerson hanno portato avanti per il lungometraggio. Quella è davvero la voce dell’assassino di Martin che chiama il 911. Si tratta di una registrazione, usata all’inizio del film, di George Zimmerman prima che sparasse e uccidesse il ragazzo, un adolescente che tornava a casa da un minimarket in Florida nel 2012. A Martin, infatti, è dedicata la prima inquadratura di Origin e anche la chiusura.

Origin, la trama

Cosa succede quando non ti uniformi al sistema? Il lungometraggio di Ava DuVernay torna più volte sull’argomento e vuole andare oltre alla semplice risposta: “Bisogna comportarsi in modo da non mettersi in pericolo”. Nelle sue due ore di storia tra perdite e lutti, l’intento di Isabel è quello di scoprire l’origine di un mondo che fa delle diversità un nemico da combattere. In alcuni tratti, soprattutto sul finale molto didascalico, la ricerca di Wilkerson durante la stesura del suo romanzo cerca una connessione tra nazismo, schiavitù e sistema delle caste. Così come in Mangia, Prega, Ama, Isabel intraprende questo viaggio mentre la sua vita privata si sgretola in mille pezzi.

Un viaggio dove passato e presente si accavallano, mentre Isabel affronta momenti belli ma anche difficili. Si parte dalla Germania e dalle trascrizioni di alcuni incontri di soldati delle SS per cercare una connessione tra i regimi totalitari. In una scena del film che si svolge in Germania, Isabel ha un confronto con una amica ebrea, una conversazione per cercare una connessione tra le forse di razzismo che diventa una gara a chi ha sofferto di più. Gli ebrei sono stati perseguitati, gli schiavi venduti come oggetti. Un botta e risposta che poi trova la sua conclusione: è vero, in modo totalmente diverso, questi due momenti storici hanno la loro connessione. Il regime totalitario si è ispirato alle leggi di Jim Grow per collegarle all’Olocausto. A queste immagini vengono anche contrapposti frammenti di storie reali come per esempio la storia d’amore tra August e Irma, un membro tedesco del Partito Nazista e una donna ebrea.

La deferenza

Ci spostiamo poi in America, cercando ancora informazioni per il libro da scrivere. Siamo a metà film e la ricerca inizia a dare i suoi frutti per la stesura del romanzo. Torna allora il tema della schiavitù ma questa volta tramite la lente di Ava DuVernay e Isabel Wilkerson viene introdotto il tema della deferenza, la condiscendenza rispettosa nei confronti dell’altrui volontà. Vediamo il mondo con due lenti diverse: un poliziotto che fa la ronda nel quartiere popolato da soli bianchi è un amico, una autorità che protegge. Ma subito dopo vediamo la stessa scena con occhi diversi, cambiamo quartiere e mentre dei ragazzi afroamericani giocano a pallone la stessa ronda diventa più oscura, lo sguardo del poliziotto si acciglia come se fiutasse il pericolo.

Arriviamo alla parte finale di questo viaggio, dove tutto è iniziato: in India. Il razzismo non è un problema di razza ma di caste esclusive. Un road movie che viene tirato avanti da due filoni: da una parte la stesura del libro che serve allo stesso modo a Isabel per incanalare il dolore per la perdita delle persone a lei care e riuscire ad affrontarlo. Non esiste arma migliore, non voltare le spalle al dolore ma prenderlo di petto.

“Un mondo senza caste renderebbe tutti liberi”.

Dive: in esclusiva una clip dal cortometraggio di Aldo Iuliano

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Dive: in esclusiva una clip dal cortometraggio di Aldo Iuliano

Ecco una clip in esclusiva dal cortometraggio DIVE di Aldo Iuliano, presentato domani in concorso nella sezione Orizzonti – Cortometraggi dell’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

DIVE di Aldo Iuliano, prodotto da NewGen Entertainment con Greif Production in collaborazione con Rai Cinema, Mompracem, Daitona e Aldo Iuliano, sarà in concorso domani 7 settembre nella sezione Orizzonti – Cortometraggi dell’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il cortometraggio è diretto da Aldo Iuliano (Penalty, Space Monkeys) e interpretato dai giovani e promettenti Danyil Kamenskyi e Veronika Lukyanenko.

Dive è la favola di Roman e Julia, due adolescenti contemporanei che giocano in spiaggia desiderosi di lasciarsi andare alle proprie emozioni e ai propri sentimenti. I loro sguardi e i loro gesti annullano il tempo e lo spazio, il mare partecipa alla loro complicità ma l’incanto non è eterno, e la realtà irrompe prepotente nelle loro vite, stravolgendole per sempre.

“Volevo ritrarre un tuffo nei sentimenti più innocenti che ognuno di noi ha provato almeno una volta nella vita – dichiara il regista – quelli che ci rendono vivi nel senso più positivo del termine, in un mondo che sta perdendo la propria umanità. Dive è una stretta al cuore per ricordarci chi siamo, nel bene e nel male”.

Il soggetto e la sceneggiatura portano la firma di Severino Iuliano, la fotografia è di Daniele Ciprì, il montaggio di Marco Spoletini.

“Racconto il controcampo dell’immigrazione”, Matteo Garrone presenta Io Capitano a Venezia

Il regista Matteo Garrone arriva per la prima volta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare il suo nuovo film, Io Capitano (qui la recensione), storia dell’avventuroso viaggio di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Io Capitano, una storia che arriva da lontano

“La storia mi è venuta in mente diversi anni fa, quando mi fu raccontato di questo adolescente che da solo aveva guidato un’imbarcazione con circa 250 persone a bordo. – racconta Matteo GarroneUna volta arrivato a destinazione, travolto dall’emozione di aver portato tutti in salvo ha iniziato a gridare “io capitano, io capitano”. Però mi sentivo in imbarazzo, da borghese, a pensare di raccontare quella storia e i suoi retroscena. Poi, qualche anno dopo, ho incontrato il ragazzo che quel finale lo ha vissuto, il cui nome è Fofanà, e quell’incontro mi ha riavvicinato a quel racconto, motivandomi a riprenderlo in mano”

“A quel punto abbiamo deciso di costruire questo film seguendo i canoni del racconto d’avventura e del viaggio dell’eroe e così spero sarà accessibile anche ai più giovani che potranno sensibilizzarsi all’argomento”, continua Garrone. “Bisogna infatti sapere che ci sono tanti tipi di immigrazione, quella raccontata in Io Capitano è legata al fatto che il 70% della popolazione africana è composta da giovani e questi giovani sono influenzati dalla globalizzazione occidentale, di cui penso sia importante raccontare gli effetti sulle popolazioni.” – afferma poi Matteo Garrone, aprendo la conferenza stampa.

“Hanno dunque il desiderio legittimo di voler accedere ad un futuro migliore, così come noi da giovani volevamo scoprire l’America. A noi però bastava prendere un aereo per arrivare lì, mentre loro devono affrontare un viaggio rischioso e potenzialmente mortale. Il film affronta quindi una parte di immigrazione di cui a volte si parla meno ma che esiste, ovvero quella dei giovani che vogliono scoprire il mondo e avere maggiori opportunità e che non per forza scappano da situazioni di guerra”, conclude il regista.

Io Capitano Matteo Garrone Mamadou Kouassi

La scrittura della sceneggiatura e la ricerca degli attori

Tra gli autori della sceneggiatura, oltre a Garrone, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri, vi è anche Massimo Ceccherini. Il regista ha dunque speso due parole per chiarire il ruolo avuto da quest’ultimo nella realizzazione del progetto. “Massimo mi ha aiutato molto nella scrittura di questo film, che è un racconto di avventure popolari. – spiega Garrone – Massimo viene dal popolo e quindi quando abbiamo scritto la sceneggiatura ha apportato la sua conoscenza di certe dinamiche che a me sono estranee. In sostanza, m ha aiutato a ricercare una purezza del racconto che si sposa con quella dei protagonisti”.

Fondamentale però è stato anche il lavoro di ricerca sul campo, necessario affinché si potesse raccontare la verità su ciò che avviene durante questo viaggio verso l’Europa. “Abbiamo fatto un grosso lavoro di documentazione, durato qualche anno, e poi per cercare di raccontare questa storia ci siamo affidati a chi queste vicende le ha vissute in prima persona. – racconta Garrone – È stato un lavoro assolutamente collettivo, reso possibile grazie a persone come Mamadou Kouassi, che mi hanno raccontato le loro storie al servizio delle quali io ho potuto mettere le mie conoscenze tecniche“.

La parola passa allora proprio a Kouassi, collaboratore alla sceneggiatura, che afferma: “ho vissuto l’esperienza di quel viaggio, delle prigioni libiche, della paura e degli orrori e tutto questo l’ho ritrovato in Io Capitano. Matteo ci porta davvero nel mondo dell’immigrazione e sono orgoglioso di aver potuto contribuire a dare voce a chi non ce l’ha. Sostanzialmente, raccontiamo la storia di ogni singolo immigrato che ha vissuto questa avventura. Partire vuol dire andare incontro alla morte, veramente questa è la realtà che si verifica ma scegliamo di affrontarla perché è giusto perseguire i propri diritti. Siamo obbligati, in un certo senso”.

Io Capitano Seydou Sarr Moustapha FallRiguardo gli interpreti dei due giovani protagonisti, Seydou Sarr e Moustapha Fall, Garrone racconta di averli cercati dappertutto, giungendo infine ad una consapevolezza inevitabile. “Abbiamo cercato gli attori giusti in tutta Europa, – racconta il regista – ma alla fine li abbiamo trovati in Senegal. Ci siamo infatti resi conto che lo sguardo di una persona di lì ha naturalmente una qualità diversa sull’argomento“. Parlando dei due protagonisti, Garrone riconosce infine che “qualcosa di Pinocchio c’è in questo film, che si sposa con la storia di questi ragazzi. Collodi cercava di mettere in guardia i piccoli dai pericoli del mondo circostante. I protagonisti qui inseguono il paese dei balocchi, tradendo i propri cari e poi finiscono con lo scontrarsi con una realtà molto dura, che richiama un po’ anche Gomorra“.

Io Capitano, dal 7 settembre al cinema

Garrone ha infine parlato di come abbia a lungo rimandato la realizzazione di questo film non sentendosi sicuro di avere il diritto di raccontarla, in quanto non avendo vissuto quel tipo di esperienza. La sua opinione è però poi cambiata nel tempo, arrivando ora a poter affermare che “il film nasce da un lavoro collettivo tra il mio sguardo e le loro testimonianze e da sempre credo che l’arte sia legata a delle contaminazioni, un artista non deve parlare solo di ciò che riguarda la sua vita, altrimenti l’arte si impoverirebbe. Penso sia giusto giudicare l’opera in base alla sua sincerità e non a chi l’ha fatta. L’opera rimane, noi no”.

Non si dovrà aspettare molto prima di poter vedere film che, dopo la prima proiezione pubblica a Venezia il 6 settembre, uscirà nelle sale italiane, con 203 copie, dal 7 settembre, distribuito da 01 Distribution. È stato inoltre confermato che il film non presenterà un doppiaggio italiano, una caratteristica a lungo valutata ed infine scelta per rispetto nei confronti dei protagonisti di questo racconto e ai loro interpreti, i quali meritano di essere sentiti esprimersi nella loro lingua natìa.