Era il 2010 e Natasha
Romanoff faceva il suo esordio sul grande schermo con il volto e il
corpo di
Scarlett Johansson, il film era
Iron Man 2 e già in quella brevissima e divertente
scena sul ring personale di Tony Stark abbiamo capito che la
Black
Widow del Marvel Cinematic
Universe non era una con cui si scherza, e sicuramente il
messaggio è rimasto impresso nella mente di Happy Hogan, messo al
tappeto dall’esile figura sorridente dell’allora segretaria di
Tony.
Gli anni sono passati,
abbiamo visto Natasha in tantissime situazioni differente, nei
panni di spia, di amante, di amica, di potente alleata e di quella
che, in un mondo di uomini, ha sempre dovuto metterci una pezza per
far andare le cose come dovevano. Questo fino al suo sacrificio
estremo, quello che ha permesso agli Avengers di sconfiggere
Thanos e di riportare in vita metà della popolazione
dell’intero universo. Un sacrificio silenzioso, senza funerale
pubblico come per Tony Stark, un addio discreto ma non per questo
meno sentito: così come aveva vissuto, nell’ombra, di nascosto,
così Natasha Romanoff ha lasciato il suo mondo.
L’ultima avventura di Black Widow
L’annuncio di un nuovo
film dedicato a lei, che desse a Johansson la possibilità di
splendere sullo schermo in una storia incentrata su Black
Widow, ha infiammato i fan. Ma niente retcon, attenzione,
il film racconta quello che è accaduto a Natasha, nel periodo che
separa
Civil War da Infinity
War, uno
sguardo indietro nel tempo, per catturare un altro po’ di
quella forza e bellezza, di quella luce che questo personaggio ha
sempre emanato dal grande schermo.
In fuga, dopo la
battaglia all’aeroporto di Berlino (in
Civil War), dove con un voltafaccia inaspettato ma
lungimirante ha permesso alla storia di volgere verso il giusto
esito, Nat tradisce Tony e diventa una fuorilegge. Cercando un po’
di pace e il modo per metabolizzare il disgregamento della sua
famiglia di Vendicatori, si isola nel Nord Europa, dove però il suo
passato, quello oscuro legato alla Stanza Rossa e a Budapest
(finalmente sapremo cosa è accaduto lì!), verrà a cercarla,
costringendola a fare i conti con delle questioni rimaste in
sospeso.
Diretto da
Cate Shortland e scritto
da Eric Pearson,
Black Widow è un lungo omaggio di due ore e
14 minuti al personaggio di Natasha. Da un punto di vista
narrativo, il film non aggiunge quasi nulla a ciò che è il Marvel Universe adesso, o meglio,
si tratta di una parentesi con un gancio per nuove trame che si
protendono nel futuro, ma che nella sua interezza è proprio quello
che doveva essere, un lungo congedo da un personaggio che tutti
hanno amato, nonostante non fosse mai stata protagonista assoluta
di un film tutto suo.
Una donna consapevole che va incontro al suo passato
Questo però non
significa che la Marvel ha “tirato via” il film, che rispetta tutti
i canoni standardizzati dal 2008 a oggi, tra effetti visivi
mastodontici e scene di lotta corpo a corpo mozzafiato, in cui
l’unica a rimanere sempre in piedi è la nostra Nat. Avvalendoci di
un paragone tra Black Widow e Captain
Marvel, primo film dello Studio ad avere una protagonista
donna, possiamo più facilmente mettere in evidenza il vero punto di
forza del personaggio di
Natasha, il cui arco narrativo è principalmente emotivo. Mentre
Carol Danvers deve imparare a camminare da sola e a dare spazio
a tutti i suoi poteri liberandosi del giogo dei suoi superiori
(dell’uomo che le diceva cosa fare), incontriamo Natasha quando si
è già liberata dalle sue catene, quel Dreykov che qui è un cattivo alquanto bidimensionale,
la incontriamo perfettamente a suo agio con le sue doti di spia e
combattente, assolutamente capace di competere con chiunque, che
sia uno spacciatore (la sua scena d’apertura in
The Avengers) o un dio asgardiano (il suo epico confronti con
Loki nella base volante dello SHIELD). Nat non deve mai rialzarsi
perché resta sempre in piedi. Siamo di fronte ad una donna
consapevole, che usa tutto il suo potenziale e che deve imparare
soltanto (magari fosse semplice) a fare i conti con i propri legami
familiari, per riappacificarsi con se stessa.
Per Natasha è
sempre una questione di famiglia
Gli Avengers erano la
famiglia di Nat, quel posto sicuro, quel legame per cui combattere,
da proteggere. In questo racconto di fantasmi dal passato scopriamo
che Nat aveva già una famiglia, o almeno un surrogato di famiglia,
un luogo in cui si era sentita amata, dei legami. All’indomani
della disgregazione dei Vendicatori, della distruzione della sua
famiglia di elezione, la protagonista si getta in un’avventura
rischiosissima per salvare l’altra sua famiglia, quella che pensava
dispersa per sempre. Per poi, una volta messe in ordine le cose,
come sappiamo da Infinty
War e Endgame,
tornare a riattaccare ansime i cocci degli Avengers. E continuare
così a “mettere una pezza”, ad aggiustare le cose, a far funzionare
quelle famiglie in cui si è sentita accolta e a casa, lei che una
vera casa non l’ha mai avuta.
Lo sguardo femminile nel cinema di cassetta
Black
Widow però si concentra anche su altri aspetti che lo
rendono un film del suo tempo su più livelli. In primo luogo la
squadra di filmmaker è prevalentemente femminile, e questo dà
continuità a quella che speriamo diventi una grande tradizione di
registe a cui vengono affidati progetti ad alto budget, così che si
possa arricchire anche lo sguardo del cinema di cassetta e non solo
quello del cinema d’essay dove le registe donne sono molto più
numerose rispetto al cinema di blockbuster. Poi, tutta l’azione del
film ha esclusivamente protagoniste donne, quindi non solo
Scarlett Johansson, ma anche
Rachel Weisz e la fenomenale
Florence Pugh, per la quale casa Marvel ha
scritto uno dei migliori personaggi di sempre, sostenuti anche
dall’infinito carisma della giovane interprete. D’altro canto, a
farne le spese sono i personaggi maschili, il già citato villain,
assolutamente bidimensionale, interpretato da Ray
Winstone, e il buffo Red Guardian di
David Harbour, a cui vengono assegnati i
siparietti comici che anche in questo caso, come in ogni film
Marvel, abbondano.

Black
Widow non va troppo per il sottile quando proclama
l’importanza per le donne di liberarsi dai gioghi mentali che la
società ci impone, soprattutto quando si trovano in posizioni di
svantaggio, sia esso fisico, economico o sociale. E la liberazione
finale è un vero e proprio inno alla sorellanza, alla comunità, al
darsi pace e alla libertà per la quale vale la pena combattere,
alla liberazione.
Naturalmente su queste
parole e queste considerazioni spicca in tutta la sua fierezza la
protagonista.
Scarlett Johansson ha fugato ogni possibile
dubbio sorto all’annuncio del suo casting, nel 2009, nei panni di
Natasha Romanoff, ha avuto le spalle abbastanza larghe da
affrontare un mondo di uomini senza mai perdere fascino e dolcezza,
ha indossato la tuta di Black Widow con
sensualità, con carisma, con intelligenza, perché sono tutte
caratteristiche che appartengono a lei e al personaggio,
soprattutto ha portato la sua luce al franchise. Il suo sorriso sul
grande schermo è rinfrancante, e mentiremmo se non dicessimo che,
dopo tutti questi mesi di proiettori spenti, tornare in sala per un
grande blockbuster, per una importante esperienza condivisa, non ci
fa emozionare almeno un po’.
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