Senza aggiornamenti su un possibile
ritorno dei Pirati dei Caraibi sul grande schermo,
che si tratti di un sesto capitolo o di uno
spin-off, non abbiamo altra scelta che continuare a guardare i
film originali dei Pirati dei Caraibi in ordine
sparso.
Se avete voglia di rivedere i film
originali o siete dei neofiti che vogliono provarli per la prima
volta, la buona notizia è che Pirati è un
franchise piuttosto accessibile. A differenza del tentativo di
seguire gli altri franchise di proprietà della
Disney, come i film della Marvel o di guardare
Star Wars in ordine, la cronologia di Pirati dei
Caraibi è piuttosto semplice.
Ecco l’ordine corretto in cui
guardarli tutti e dove è possibile vedere i film dei Pirati dei
Caraibi in streaming se si ha voglia di un po’ di azione piratesca
amante del rum.
Come guardare i film dei Pirati
dei Caraibi in ordine
Esiste un solo modo per
guardare i film dei Pirati dei Caraibi in ordine, che
comprende sia l’ordine di uscita che l’ordine cronologico dei
cinque film. L’ordine di visione è:
“Pirati dei Caraibi: La maledizione della prima luna”
(2003)
“Pirati dei Caraibi: La maledizione del forziere fantasma”
(2006)
“Pirati dei Caraibi: Ai confini del mondo” (2007)
“Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare” (2011)
“Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar” (2017)
L’epopea dei pirati spavaldi è
stata una gioia dall’inizio alla fine, con un grande cast, una
storia forte e uno dei blockbuster più divertenti dell’epoca. Era
inevitabile che seguissero dei sequel, così come era inevitabile
che non riuscissero mai a eguagliare l’altezza di quello che aveva
dato il via a tutto: il livello era molto alto.
La maledizione della prima luna in
streaming è disponibile sulle seguenti piattaforme:
Pirati dei Caraibi: La
maledizione del forziere fantasma (Dead Man’s Chest), pur
essendo un passo indietro rispetto a La maledizione della prima luna, a volte è
ancora molto divertente, con alcuni momenti davvero eccezionali
sparsi per tutta la durata del film.
Ma il divertimento non è certo
costante come quello dei film precedenti e per gran parte del tempo
si ha la sensazione che il film manchi di uno scopo. Tuttavia,
Bill Nighy, nei panni di Davy Jones, rende il
tutto più interessante con un’interpretazione che rivaleggia
persino con quella di Johnny Depp.
La maledizione del forziere
fantasma in streaming è disponibile sulle seguenti
piattaforme:
La conclusione di quella che era
una trilogia non è il momento migliore della serie dei Pirati. La
durata di
Ai confini del mondo si avvicina alle tre ore e si fa
sentire e, nonostante alcune sequenze d’azione davvero grandiose,
sembra ancora più infarcito e perso nella sua stessa storia di
quanto non lo fosse La maledizione del forziere
fantasma.
Vale la pena guardarlo e Jack
Sparrow rimane un protagonista divertente, ma è una fortuna
che siano seguiti altri film, perché questo avrebbe chiuso le cose
con una nota un po’ negativa…
La maledizione del forziere
fantasma in streaming è disponibile sulle seguenti
piattaforme:
Con molti frustrati dalla direzione
che Pirati dei Caraibi aveva preso alla fine del
terzo film, la speranza era che il quarto, Oltre i confini del mare, avrebbe sistemato le
cose.
La maggior parte del cast era stata
eliminata per ricominciare da capo e, sebbene alcuni pensassero che
questo fosse il rinnovamento di cui la serie aveva bisogno,
l’opinione generale è che il film non sia stato in grado di
correggere la rotta e per questo è stato accolto con un’accoglienza
tiepida alla sua uscita.
Oltre i confini del mare in
streaming è disponibile sulle seguenti piattaforme:
Il quinto film dei Pirati
dei Caraibi,
La vendetta di Salazar, (che ha un nome diverso a
seconda di dove ci si trova nel mondo) non ha fatto molto per
riaccendere l’amore che i fan occasionali della serie avevano un
tempo.
Una trama poco brillante che è
stata spesso descritta come incoerente è il problema principale che
molti hanno riscontrato in Oltre i confini del mare, ma dato che sembra
ormai certo che questo sia stato il canto del cigno di Jack
Sparrow, vale la pena vederlo se si vuole vivere l’intera
avventura.
Forse la cosa più frustrante è la
scena post-credits, che ha visto il ritorno di alcuni volti
familiari – forse indicando un ritorno alle radici del franchise
per il sesto film che ora probabilmente non vedremo mai.
Oltre i confini del mare in
streaming è disponibile sulle seguenti piattaforme:
Lo sviluppo urbano che ha
caratterizzato la Cina a partire dal finire degli anni Settanta ha
non solo introdotto il paese nel meccanismo della trasformazione
urbanistica e della globalizzazione, ma ha anche drasticamente
destabilizzato il panorama culturale in cui è cresciuta quella che
diverrà poi la sesta generazione dei registi cinesi. Il principale
esponente di essa è Jia Zhangke, autore di film come Still
Life (2006, Leone d’oro a Venezia), Al di là delle montagne (2015) e I figli del fiume giallo (2018). Con ogni sua opera
egli ha raccontato le trasformazioni della Cina negli ultimi
decenni e con Caught by the Tides, il suo nuovo
film presentato in concorso al Festival di Cannes,
ritorna ancora una volta su tali discorsi.
La trama di Caught by the Tides
Il film racconta una storia d’amore
duratura ma fragile, quella di Qiaoqiao (Zhao Tao) e Bin (Zhubin
Li), ambientata in Cina dai primi anni 2000 a oggi.
Innamorati l’uno dell’altra, i due si godono tutto ciò che la città
ha da offrire, cantando e ballando senza preoccuparsi troppo del
futuro. Questo finché un giorno Bin si ritrova a voler tentare la
fortuna in un posto più grande di Datong, andandose così senza
preavviso. Qualche tempo dopo, Qiaoqiao decide però di
intraprendere un viaggio per cercarlo ed ha così inizio un
inseguimento che si protrarrà nel tempo, con sullo sfondo una Cina
in profondo cambiamento.
Ciò che prima di ogni altra cosa
rende questo film particolarmente affascinante è il fatto che sia
stato girato nell’arco di oltre 20 anni. Le prime immagini di
Caught by the Tides sono infatti state girate nel
2001, mentre le sequenze successive sono state realizzate nei due
decenni successivi, con infine le ultime scene che sono state
effettuate a Datong nel 2023. Il regista ha seguito i suoi
personaggi nel tempo e nello spazio, dal Nord al Sud della Cina,
utilizzando per riprenderli gli strumenti disponibili in base al
periodo. Si passa così dalle prime videocamere digitali dalla
scarsa definizione a quelle utilizzate oggi di altissima
qualità.
I modi e le tecnologie con cui il
film viene girato sono dunque esse stesse testimonianza dello
scorrere del tempo e dei cambiamenti che esso porta con sé.
Cambiamenti che naturalmente riguardano da vicino gli stessi umani
e in questo caso la Cina, al centro di importanti lavori che
nell’arco degli ultimi decenni ne hanno completamente trasformato
il volto. Aver girato Caught by the Tides
nell’arco degli ultimi vent’anni ha dunque permesso al regista di
immortalare per sempre questi mutamenti, che ci portano da piccoli
villaggi malforniti a imponenti e ultra tecnologiche metropoli.
Il più importante di queste
trasformazioni è quello che sullo sfondo vede la costruzione della
Diga delle Tre Gole, imponente opera di
costruzione iniziata nel 1994 e terminata nel 2006 che ha portato
alla scomparsa di intere aree. Tale evento, già raccontato in
Still Life, torna qui protagonista del secondo (e più
bello) dei tre segmenti in cui il film è diviso, dove si raggiunge
la massima manifestazione del rapporto tra lo sconvolgimento
emotivo della protagonista in cerca del suo amato e una Cina
smantellata e pronta ad acquisire un nuovo volto.
Con Caught by the
Tides, duunque, Jia Zhangke attraversa tutti i suoi film
passati – da Unknown Pleasure a Still
Life, da Al di là delle montagne a I figli del fiume giallo, offrendo uno sguardo epico
sul destino romantico della sua perenne eroina, Qiaoqiao, già
comparsa in alcune di queste precenti opere. Ad interpretarla vi è
sempre Zhao Tao, musa e compagna di vita di Jia
Zhangke che porta a sua volta a compimento il percorso compiuto con
questo personaggio, regalando una delle sue prove d’attrice più
intense e commoventi pur nella sua apparente rigidità.
Certo, Caught by the
Tides non è un film facile da seguire, con le sue sequenze
apparentemente prive di nessi logici, i suoi salti temporali e il
suo dare priorità ai non detti. Un film che si può apprezzare
indubbiamente di più a fronte di una conoscenza del cinema del
regista, ma che in ogni caso non è mai respingente né
indecifrabile. Occorre solo lasciarsi trasportare dal fiume del
tempo e delle emozioni, di cui il film è ricco. Si ripercorrono
così 21 anni di un paese in profonda trasformazione, dal 2001 al
2022, facendo emergere prima di tutto una nuova prospettiva per
guardare alla Cina contemporanea.
Ma non solo, perché è questo un film
che riflette sulle esperienze individuali in un contesto di
turbolenti cambiamenti emotivi e sociali. I protagonisti si
ritrovano infatti a dover fare i conti con realtà che sembrano
sempre sfuggire alla loro comprensione (specialmente nell’ultimo
segmento, caratterizzato dall’emergenza del Covid-19 e la
diffusione di TikTok) e che mostrano dunque uno spaesamento a cui
non sembra esserci rimedio. Alla luce di ciò, seppur non sia il suo
film più bello, Caught by the Tides può essere
indicato – per il pensiero che vi è dietro – come la summa del
cinema di Jia Zhangke.
Da Manitas Del
Monte a EmiliaPérez. Da
una simil vita nel narcotraffico a una in cui brillare davvero.
Cambiare vita o cambiare sesso, qual è la differenza, si chiederà
la protagonista del musical di Jaques
AudiardEmiliaPérez, tra le proposte più interessanti del
concorso di Cannes
77 e che punta direttamente al Palmarès.
Emilia Pérez: non sono qui per
casualità…
Preparatissima ma sottovalutata,
Rita (un’eccellente Zoe Saldaña) è un avvocato di un grande studio
legale di Citta del Messico che un giorno riceve un’offerta
inaspettata: aiutare un temuto boss del cartello, Manitas
Del Monte (Karla Sofía Gascón) a
ritirarsi dai suoi affari e a sparire per sempre, diventando la
donna che ha sempre sognato di essere. L’offerta di 2 milioni di
dollari è molto più che allettante per un’instancabile lavoratrice
che non è mai stata ripagata nella vita. Tuttavia, quello che si
presenta come un impegno provvisorio, è in realtà un incontro che
cambierà per sempre la vita di Rita, che la
legherà a doppio filo con il mondo di criminalità, fantasmi e
violenza contro cui ha sempre cercato di lottare.
Manitas del Monte è
sempre stata due, di lei dirà che non le manca la voce ma
non può cantare, non le manca il fuoco, ma non può desiderare,
vorrebbe che la sua anima profumasse di miele, vorrebbe
semplicemente essere lei. La transizione è,
soprattutto, un fenomeno sociale e Audiard assorbe
questa idea regalandoci un musical che si muove per le strade di
Città del Messico con puntate anche in altri stati, una sinfonia
polifonica di personaggi a tutti tondo, che lasciano spazio a più
emozioni e si fanno conoscere tramite i segmenti musicali – a cura
di Camille e Clément Ducol –
alcuni scenograficamente più elaborati, altri intimissimi in cui si
dischiude l’anima dei personaggi.
La carriera di
Audiard è stata inclassificabile all’interno del
cinema francese, capace di giocare con i generi, soprattutto il
thriller, e con il cinema d’autore. Un profeta è
stato il suo grande successo, con il quale è stato candidato
all’Oscar e ha vinto il Gran Premio della Giuria qui a Cannes. In
quell’occasione, ha utilizzato il genere noir carcerario per
raccontare la violenza e la corruzione all’interno e all’esterno di
questo sistema. Con Dheepan, si è aggiudicato la Palma d’Oro,
questa volta mostrando il dramma sociale, la situazione di
abbandono della comunità di rifugiati dello Sri Lanka. Ha poi osato
con il western in The Sister Brothers, ed è tornato al cinema
minimalista con Paris, 13th District dove, in un elegante
bianco e nero ci ha raccontato la vita di un’intera
generazione.
Io sono quello che sento e, per la
prima volta, sento un sentimento
L’aspetto più intressante di
EmiliaPérez è che questa
transizione morale è anche drammaturgica e coincide con la fluidità
del genere stesso del film, che passa dal musical al dramma e poi
al thriller, poi di nuovo al musical e infine alla tragedia, con
un’audacia ammirevole. Cineasta mercuriale come pochi altri,
Audiard dimostra di non temere il cinema popolare,
né di essere accusato di banalizzare la realtà violenta del
Messico. Qui non si tratta di cantare bene, ma di cantare i
sentimenti. Emilia è, infatti, anche un’eroina
tragica, non può restare impunita per tutto il male che ha fatto
Manitas. L’errore, non considerato nell’impeto di
voler cambiare, è il volere allontanarsi dalla vita di
Manitas, ma mantenere vicino l’unica cosa di buono
che ha fatto: i suoi figli.
Karla Sofía Gascón
brilla nel suo doppio ruolo di principe dei narcos e di epifanica
benefattrice dei parenti dei desaparecidos che lui stesso ha
ordinato di seppellire in fosse comuni. EmiliaPérez è un film sulla voce che canta della
vita e, in maniera analoga a quanto sperimentato da
Damien Chazelle con il magnifico La La Land,
Audiard è interessato a cogliere la verità di
questa voce nella quotidanità, non nei vocalizzi, nelle performance
perfette, quanto nell’emozione della parola e del sentimento.
Se troppo male fa troppo male, io
troppo bene non lo voglio sapere
EmiliaPérez è un film di odori che ricordano persone, di
vite a metá, che possono iniziare e finire in un tempo indefinito,
perché decidiamo noi come esistere. Audiard non ha
paura di osare ingigantendo metafore, trama e caratterizzazione dei
personaggi, il bene e il male ci arrivano in maniera indistinta,
una corrente torrenziale di movimento, suoni, odori, di grandissimo
male e grandissimo amore. C’è chi potrebbe riscontrare un
rallentamento nella seconda parte della narrazione o potrebbe non
andare oltre l’idea di una trama da soap opera, ma Emilia
Pérez è così rischioso, personale, unico e pieno di vita
che è impossibile non innamorarsene.
“Quando morirai, la gente se ne
accorgerà?”. Jeff Daniels pone proprio questa domanda
all’inizio della
serie limitata di NetflixUn uomo vero. Dopo sei episodi caratterizzati da
un’implacabile avidità aziendale e da troppi riferimenti fallici,
il finale selvaggio e ridicolo non dovrebbe essere una sorpresa.
Eppure, è probabile che tutti noi abbiamo premuto il tasto rewind
per fare il punto su ciò che è realmente accaduto. Liberamente
basato sull’omonimo romanzo del 1998, Un uomo tutto d’un
pezzo reimmagina l’ambiente sociale di Atlanta della fine
degli anni ’90 e lo traduce nel mondo moderno, seguendo l’egoista,
brutale e ricco agente immobiliare Charlie Croker (Jeff
Daniels). Ci sono tre storie principali, due delle quali
sono irrimediabilmente intrecciate l’una con l’altra e l’altra sta
goffamente in piedi da sola.
L’arco caratteriale di Croker
rimane in primo piano, in quanto cerca ostinatamente di rimanere
risoluto nei suoi modi bellicosi, pur risultando in qualche modo
simpatico con la sua grintosa determinazione e i suoi valori
familiari distorti. Non sospetta mai che la sua fine avverrà per
mano di Raymond Peepgrass (Tom Pelphrey), che è
essenzialmente un signor nessuno agli occhi di Croker, ma
ironicamente i due diventano l’uno il riflesso dell’altro. La serie
Un uomo vero è incentrata sulle lotte di potere,
siano esse finanziarie, politiche, razziali o di genere, ma con una
portata così ampia, si addentra solo nell’avidità aziendale. E per
completare il commento sociale, il creatore David E.
Kelley offre un finale stridente che è difficile non
notare.
Charlie Croker ottiene la
redenzione in Un uomo vero?
Nel corso di Un uomo
vero, Croker cerca disperatamente di mettere al
sicuro le sue finanze dopo un grave litigio con la sua
banca. Essendo indebitato per miliardi di dollari, cerca di
convincere la banca a piegarsi, si procura investitori angelici con
mezzi discutibili e accetta accordi corrotti con i sindaci. Il
sindaco Wes Jordan (William Jackson Harper) chiede
a Croker di denunciare la vittima di violenza sessuale del suo
avversario elettorale, anche se la donna non acconsente a rendere
pubbliche le informazioni. Croker usa i suoi soliti metodi
per imporre brutalmente il suo consenso, nascondendo le
sue motivazioni egoistiche dietro un onorevole programma sociale e
poi semplicemente assecondando il piano nonostante i numerosi
avvertimenti dell’ex moglie e del figlio.
Tuttavia, è il figlio a impedirgli
di andare avanti. Il suo desiderio di avere un rapporto stretto con
Wally (Evan Roe) è forse l’unica qualità redentrice di Croker. In
un momento di stordimento sul palco, davanti ai flash delle
telecamere durante una conferenza stampa, Croker riflette
momentaneamente sul suo comportamento e decide di fare la scelta
etica di diventare un modello migliore per suo figlio,
ottenendo un commovente “Sono orgoglioso di te” da parte di Wally.
Sebbene questo possa sembrare un improvviso culmine di
auto-riflessione dopo aver affrontato per giorni le conseguenze
delle sue decisioni avventate e della sua sfrenata ambizione, la
cultura atlantica dell’avidità aziendale e il suo opprimente senso
di mascolinità tradizionale lo riportano in spirale allo scontro e
alla violenza.
Dopo aver appreso che Peepgrass sta
per acquistare il suo prezioso trofeo immobiliare, il Concourse, e
che va a letto con la sua ex moglie, stringe bruscamente le sue
dita carnose intorno al collo di Peepgrass. Sebbene sembri che alla
fine voglia mollare la presa, la mano gli si blocca a causa di una
condizione medica per la quale si rifiuta di ottenere una diagnosi,
e ha un attacco di cuore che porta alla morte di entrambi. Come
Croker cade lentamente a terra, anche le lettere di A Man in Full
nella scena del titolo crollano gradualmente in ogni episodio
successivo. La sequenza del titolo non è l’unico simbolo della
caduta di Croker sotto la sua arroganza, poiché la sua salute in
declino rappresenta anche la sua crescente debolezza nei confronti
delle proprie ambizioni. La serie si chiude con il ginocchio
meccanico di Croker che frulla, mentre la sua ultima pretesa di
recuperare la forza, la virilità e la ricchezza si trasforma in
definitiva nei suoi stessi fallimenti.
Perché Raymond Peepgrass odia
Charlie Croker in “Un uomo vero?
Nel frattempo, Peepgrass organizza
la caduta di Croker in un’incessante ricerca di vendetta e odio
proprio sotto il suo naso. Peepgrass si associa con un uomo offeso
da Charlie per acquistare la maggioranza del Concourse attraverso
una società chiamata “Big Red Dog LLC”. Certo, l’unica connotazione
che deriva da questo nome è Clifford the Big Red Dog, ma con
l’abbondanza di riferimenti fallici, non dovrebbe sorprendere cosa
Croker intendesse quando dice “fate uscire il Big Red Dog”. Ed è
esattamente quello che Peepgrass fa alla fine, letteralmente,
lasciando uscire la sua merce. Il confronto tra Peepgrass e
Croker è l’incarnazione letterale di una gara di
cazzeggio. Vantandosi dei suoi successi nell’acquisizione
della preziosa proprietà di Croker e usando al contempo il suo
genuino affetto per l’ex moglie di Croker, Martha (Diane
Lane), come ulteriori munizioni, Peepgrass si
risolleva finalmente dal diventare un signor nessuno.
Le storie di Peepgrass e Croker
sono essenzialmente due facce della stessa enorme medaglia. Mentre
Croker si preoccupa di garantire la sua ricchezza, Peepgrass cerca
di acquisirla. Impara rapidamente il modello corrotto dell’avidità
e dell’ambizione aziendale e, spinto dalla sua ex amante, confonde
le linee etiche per raggiungere i suoi obiettivi. Anche la sua
immagine di sé è radicata in Croker, poiché descrive la sua
ammirazione e invidia per la crescita di Croker, che alimenta così
il suo desiderio di abbatterlo. La forza della sua posizione umile,
tuttavia, sta nel fatto che Croker non ha mai saputo di essere
impegnato in una lotta di potere con lui. Come il momentaneo
successo di Croker con la sua famiglia, sembra che anche Peepgrass
stia per raggiungere la sua vendetta personale.
Tuttavia, quando entrambi gli ambiziosi uomini cadono, la
telecamera torna su Croker mentre Peepgrass viene portato via di
nascosto in un sacco per cadaveri. Anche dopo tutti i suoi sforzi,
muore da nullatenente, lasciando entrambi gli uomini con
una perdita in questa lotta per il potere.
Conrad e Roger White affrontano la brutalità
della polizia in Un uomo vero.
Come Croker ha in parte ammesso,
gli piace nascondere la sua avidità dietro la facciata di onorevoli
membri del personale, il che ci porta all’avvocato aziendale Roger
White (Aml Ameen) e alla receptionist Jill
(Chante Adams). Con il marito di Jill in prigione
per aver aggredito un agente di polizia dopo che quest’ultimo era
stato violento nei suoi confronti, Roger decide di difenderlo
nonostante non abbia familiarità con il diritto penale. Dopo giorni
passati a capire come sopravvivere in una prigione riservata ai
detenuti più violenti, Conrad (Jon Michael Hill) finisce per
aggredire un altro detenuto per legittima difesa, danneggiando
ulteriormente il suo caso. Questa trama si adatta
all’ambiente sociale e razziale più moderno, riecheggiando
le ingiustizie contro George Floyd e i riflettori puntati sulle
pratiche di brutalità della polizia. Si rifà anche al
razzismo che era prevalente nella Georgia della fine degli anni
’90, evidenziando l’enorme divario tra le popolazioni divise.
Detto questo, il processo in
tribunale è stato probabilmente chiuso in modo troppo netto. Nella
piccola aula di tribunale riecheggiano le urla e il caos del
filmato in cui Conrad viene arrestato con violenza e poi reagisce.
Roger usa un discorso emotivo e un riferimento a una vecchia
citazione legale per dimostrare al di là di ogni
ragionevole dubbio che Conrad è innocente. Quando il
giudice, che in precedenza aveva fatto commenti razzisti,
improvvisamente prende coscienza e si pronuncia a favore di Conrad,
c’è un breve momento di incredulità da parte dell’aula e da parte
nostra. Se solo fosse così facile. È ridicolo come il finale di
Peepgrass e Croker, ma è il più piacevole.
Lucy Liu ha una sottotrama poco
sviluppata in Un uomo vero
C’è anche una sottotrama intrigante
ma gravemente sottosviluppata che riguarda la violenza sessuale di
Joyce (Lucy
Liu). Nonostante lo scarso tempo a disposizione in
questi sei episodi, l’interpretazione di
Lucy Liu è naturalmente così avvincente che è
deludente che questa
storia non sia stata sviluppata al massimo delle sue
potenzialità. Scopriamo che l’identità della vittima della
violenza sessuale dell’avversario del sindaco non era altro che la
potente e affascinante Joyce. Tuttavia, con la sua
carriera e la sua reputazione a rischio, la donna si rifiuta di
collaborare con Crocker. In una scena successiva con Martha, Joyce
rivela anche che fatica a ricordare se quella notte di 20 anni fa
aveva o non aveva acconsentito. Mentre il suo dialogo è
indifferente e sulla difensiva, la sua postura e la sua espressione
trasmettono confusione, vergogna e dolore.
Liu cattura abilmente l’esperienza
di molte donne che hanno subito violenza sessuale in una sola
scena, lasciando intendere una trama potenzialmente potente. Con le
sue allusioni al movimento #MeToo, in cui molte donne e uomini si
sono fatti avanti per le loro esperienze di violenza sessuale, lo
spettacolo mostra anche il diritto di una persona di scegliere di
non parlare. La scena finale di questa sottotrama è lo sguardo di
sollievo di Joyce quando vede Croker decidere di non denunciarla.
Questo complica ulteriormente i temi, poiché sebbene la scelta di
parlare della propria esperienza sia lasciata nelle sue mani, è
stata fatta grazie alla decisione di un uomo potente. Tuttavia,
la storia sfiora appena la superficie di questi
temi, lasciandoci con vaghe nozioni di uguaglianza di
genere e una trama la cui integrità è minata dall’essere usata solo
per facilitare lo sviluppo del personaggio di Crocker.
Il finale scioccante di Un uomo
vero è abbastanza potente?
Se il creatore Kelly voleva
ottenere una reazione da parte nostra, questo finale sconcertante e
ridicolo era certamente il modo giusto per farlo. Uccidere sia
Peepgrass che Croker, soprattutto in questo modo, è qualcosa che
non avremmo potuto prevedere. Nella vita reale, gli uomini
potenti e avidi delle aziende tendono a rimanere in giro molto più
a lungo di quanto vorremmo. Quindi, forse,
lasciarli vivi e in guerra si adatterebbe meglio al modello
realistico in cui opera la serie e ci lascerebbe anche un
messaggio molto più potente. Con il finale troppo soddisfacente di
Conrad e quello insoddisfacente di Joyce, probabilmente ne
meritavamo almeno uno ragionevole.
Il finale che abbiamo ottenuto,
invece, conferisce un tono più moralista al finale, in quanto i
cattivi incontrano entrambi la loro giusta fine. La cosa
più potente del finale è la grande dimostrazione di pura
vulnerabilità. Sebbene la nudità di Peepgrass sia
presentata come una dimostrazione di forza, con tutte le sue carte
in tavola, è anche l’apice della vulnerabilità. Allo stesso modo,
la condizione medica di Croker appare in tutta la sua forza,
portando al ridicolo, anche se memorabile, aggrapparsi e barcollare
della sua morte un po’ patetica. Quindi, Croker, per rispondere
alla tua domanda iniziale, la gente di Atlanta potrà ricordarti
come un magnate parzialmente redento o come un uomo d’affari senza
cuore e con una sola mente (a seconda di chi lo chiede), ma noi
ricorderemo sempre le luride circostanze della tua morte.
Non molto tempo dopo l’uscita di
Irish Wish di Lindsay Lohan, Netflix
ha messo in onda un’altra commedia sentimentale a tema
matrimoniale. La madre della sposa ha come
protagonista Brooke Shields, che non solo si
commuove nel vedere la sua bambina sposarsi con la persona che ama
durante un matrimonio di destinazione in Thailandia, ma è anche
mortificata nel sapere che il futuro suocero di sua figlia è l’uomo
che le ha spezzato il cuore quando era al college. Con le famiglie
della sposa e dello sposo che soggiornano su un’isola in vista
della cerimonia, sarà difficile per la protagonista lasciarsi il
passato alle spalle se il suo ex fidanzato è ovunque lei vada.
Dato che l’estate è considerata la
stagione dei matrimoni, questa commedia romantica non potrebbe
uscire in un momento migliore. Oltre alla Shields, il film vanta un
cast stellare, con Miranda Cosgrove, ex allieva di
iCarly, che interpreta la futura sposa. Se vi state chiedendo
quando uscirà il progetto, i dettagli della trama e altri
retroscena, ecco una guida dettagliata con tutto ciò che c’è da
sapere sul film
originaleNetflixLa madre della sposa.
Chi recita in La madre
della sposa?
Come già detto, l’attrice di Laguna
Blu interpreta Lana, ovvero la madre della sposa. Non è la prima
volta che l’attrice collabora con Netflix per una commedia sentimentale. Nel 2021 ha
recitato in Un castello per Natale, in cui interpretava un’autrice
che si reca in Scozia e si innamora di un castello (e presto anche
del burbero duca che lo possiede). In un’intervista con TUDUM, ha
parlato dell’esperienza di legame con Miranda
Cosgrove sul set del suo nuovo film:
“Mi sono resa conto che la base
di queste relazioni è
l’amore e il rispetto e che ci sono dei dolori di crescita che
derivano da questo, che è quello di cui parla il film“, ha
detto la Shields a Netflix. “Per lo più si trattava di passare
tutto quel tempo l’uno con l’altra e di ridere l’uno con l’altra, e
lei è così adorabile e composta. Abbiamo capito che eravamo al
sicuro per essere noi stessi“.
L’ex allieva di iCarly interpreta
Emma, la figlia di Lana e futura sposa. È passato un po’ di tempo
dall’ultima volta che l’attrice ha recitato in una commedia
romantica. Dopo tutto, è stata impegnata fino all’anno scorso nelle
riprese del reboot di iCarly e ha lavorato soprattutto come
doppiatrice nell’amato franchise di animazione
Cattivissimo Me. La Cosgrove è ancora meglio
conosciuta per i suoi precedenti ruoli sullo schermo in The School
of Rock e Drake and Josh.
Benjamin Bratt interpreta Will, vecchia fiamma
di Lana, che sarà il futuro suocero di Emma. L’attore ha
contribuito a diverse serie televisive nel corso degli anni in
produzioni come Poker Face e Law & Order.
Tuttavia, gli appassionati di commedie sentimentali lo ricorderanno
probabilmente come l’agente di polizia Eric Matthews, interesse
amoroso di Sandra Bullock in Miss Congeniality.
Anche Chad Michael Murray, l’ex star di
One Tree Hill, recita in La madre della sposa nel ruolo di
Lucas, un medico in vacanza in Thailandia nella stessa settimana in
cui si svolge la festa di matrimonio di Emma. Il personaggio
offrirà una distrazione a Lana, che sta cercando di dimenticare
Will.
Altri nomi che fanno parte del cast
sono Rachael Harris nel ruolo della migliore amica
di Lana, Janice, Sean Teale nel ruolo del fidanzato di Emma, RJ,
Wilson Cruz nel ruolo del fratello di Will, Scott, e
Michael McDonald nel ruolo del marito di Scott,
Clay.
Qual è La trama di La madre della sposa?
Ecco la trama della commedia romantica:
“Mother of the Bride è una commedia degli errori generazionale.
Quando Emma, la figlia di Lana, torna da un anno all’estero a
Londra, lancia una notizia bomba alla madre: sta per sposarsi. Su
un’isola. Il mese prossimo! Le cose peggiorano solo quando Lana
scopre che l’uomo misterioso che ha rubato il cuore di sua figlia è
il figlio dell’uomo che ha spezzato il suo anni prima”.
Chi ha girato “La madre della sposa”?
Dopo aver diretto molti film amati
dei primi anni 2000, come Mean
Girls, Freaky Friday e Ghosts of Girlfriend’s Past,
Mark Waters ha occupato la poltrona di regista della nuova commedia
romantica di Netflix. Robin Bernheim si è occupato della
sceneggiatura e della produzione esecutiva del film. I suoi
precedenti crediti di scrittura includono due noti franchise
natalizi di Netflix: The Princess Switch e A
Christmas Prince.
Shields, Amanda Philips (The Knight
Before Christmas), Jimmy Townsend (Falling for Christmas), Vince
Balzano (Irish Wish) e Oliver Ackerman (The 5th Wave) sono anche
produttori esecutivi di La madre della sposa,
mentre Brad Krevoy (When Calls the Heart) è il produttore
principale del progetto.
Dove è stato girato “La madre della sposa”?
La nuova commedia
romantica di Netflix è stata girata in loco, il che significa
che le vedute panoramiche della Thailandia non erano in green
screen. Il cast e la troupe hanno girato il film a Phuket, una
delle isole più grandi del Paese. Altre location che sono state
avvistate in Mother of the Bride sono Phang Nga Bay
(l’ambientazione di una romantica gita in yacht) e Ko Panyi.
In un’intervista a People, la
Cosgrove ha raccontato la sua esperienza di riprese:
“Abbiamo trascorso praticamente
ogni giorno insieme nelle sei settimane di riprese in Thailandia. E
una delle cose speciali della realizzazione del film è stata che,
dato che eravamo tutti così lontani da casa e in un posto nuovo, mi
sembra che ci siamo conosciuti tutti molto velocemente“.
Sulla scia dei grandi nomi della new
wave rumena, come Cristian Mungiu (Animali
Selvatici) e Cristi Puiu, che si sono fatti
scoprire anche grazie al Festival di Cannes,
arriva in concorso a Cannes 77Three
Kilometers to the End of the World del regista rumeno
Emanuel
Pârvu. Si tratta di un dramma poliziesco che ruota
attorno all’indagine sul caso di un ragazzo picchiato in un
villaggio dell’entroterra rumeno, un atto di violenza omofoba. Un
crimine e un’indagine sono al centro della narrazione, anche se non
succederà nulla di quello che ci aspettiamo: la legge è una cosa,
ma le famiglie, le tradizioni, il potere, la chiesa e i legami di
un piccolo paesino sono al di sopra di tutto.
3 chilometri… lontano da tutto
Adi
(Ciprian Chiujdea) è un adolescente di 17 anni che
fa ritorno in un piccolo e remoto villaggio del Delta del Danubio
per trascorrere l’estate con il padre Dragoi
(Bogdan Dumitrache) e la madre (Laura
Vasiliu). Il ragazzo studia e vive in una città più grande
e sogna di andare a Bucarest all’università; è omosessuale e,
durante l’estate, si è frequentato con un ragazzo, all’insaputa dei
suoi genitori dalla mentalità estremamente conservatrice. Scopriamo
che, una notte, è stato picchiato da alcuni vicini, ma questo gesto
di omofobia sarà solo l’inizio delle sue difficoltà: tra segreti,
bugie, inganni e compromessi, inizia un lungo processo poliziesco,
religioso e giudiziario, da cui ogni adulto vorrà trarre profitto
senza mai tenere conto dei bisogni e dei desideri della
vittima.
Il padre, che non sa nulla di ciò
che è realmente accaduto, porta Adi a fare un
controllo medico e a sporgere denuncia alla polizia. Il ragazzo
dice di non sapere chi è stato e perché, ma è chiaro che non vuole
parlarne troppo. Lentamente cominciano a emergere possibili
sospetti, come i figli di un gangster a cui il padre deve dei
soldi; pensa che sia questo il motivo del pestaggio, mentre tutto
sembra indicare che si tratti di un’aggressione omofoba.
Lentamente, in silenzio, la voce di cui nessuno sembrava essere a
conoscenza inizierà a diffondersi e i genitori di
Adi verranno a sapere, increduli, che il loro
figlio è gay.
Un paesaggio idilliaco per un
racconto di oppressione
Il pregio narrativo di Three
Kilometers to the End of the World è principalmente quello
di non mostrare il punto di vista della vittima, ma del sistema
attorno a lui, fatto di adulti chiusi nell’ignoranza di un posto
che sembra veramente distare pochi chilometri dalla fine del mondo.
La prospettiva è fondamentale per dare un senso a questo tipo di
racconto di periferia, che trova il giusto spazio all’interno di un
Festival, anche se decisamente meno incisivo di altre proposte dei
connazionali di Pârvu.
Se l’amore incondizionato di un
genitore diventa condizionato da circostanze inattese,
come cambia il modo di pensare e agire della nostra famiglia?
Questa sembra essere la tesi di partenza di Three
Kilometers to the End of the World, che si sparge per
tutto l’incrocio su cui sembra sia costruito l’intero villaggio.
Tutto è limitato a un’intersezione di stradine, la stazione di
polizia, la chiesa, l’ospedale. Girato in due villaggi sul Delta
del Danubio, Sfântu Gheorghe e
Dunavăț, la location idilliaca di Three
Kilometers to the End of the World è lo scenario perfetto
per raccontare crimine impeccabile: rifiutarsi di comprendere. Si
tratta di un posto isolato e non facilmente raggiungibile, ma che
in estate attira comunque turisti, gente non locale, ed è proprio
questo l’elemento di disturbo, che mina gli equilibri del
villaggio, un agente esterno che porta qualcosa di
inammissibile.
L’incomunicabilità è la morte di
una famiglia
In questi tre chilometri si consuma
la morte di Adi, raccontata tramite i suoi occhi,
le urla strazianti, il progressivo allontanamento dal nido che è
tutto tranne che famiglia. Nel paese, tutti gli adulti suggeriscono
che è meglio se non si sparge parola, ma è esattamente quello che
manca, un dialogo a due voci, qui sostituito sempre dal monologo
spiazzante, dall’incomprensione che non trova un interlocutore, dai
“perchè” che non ammettono una risposta, da considerazioni
fuori dalla realtà come “se ne andrà tutto con
l’autunno“.
In un paese che sembra quasi solo di
uomini, forse, la cosa peggiore è che una madre consenta tutto
questo, che pensi che la vita di città abbia fuorviato la mente del
figlio. Anche il femminile adulto è minaccioso, solo quello giovane
lascia uno spiraglio di luce per Adi: sarà la sua
amica Ilinca a capire senza chiedere troppo, ad
agire nel caos di intenzioni interrotte (e corrotte).
Alla fine di Three Kilometers to the End of the
World, Adi rimane un mistero: solo una
cosa sappiamo di lui, quella a cui si sono limitati i suoi genitori
e i compaesani, l’unica per cui credono che il ragazzo sarà
identificato nel mondo. Vorremmo averlo potuto conoscere di più ma
capiamo che, solo andandosene, potrà rivelarsi.
Si è tenuta questa sera il red
carpet di Rumors di Guy Maddin alla 77a edizione
del Festival
di Cannes al Palais des Festivals. Il regista è stato
accompagnato dal suo cast, Cate
Blanchett, Charles Dance,Denis
Ménochet e il nostro Rolando
Ravello.
Regista e sceneggiatore
dall’immaginazione sfrenata, il canadese Guy Maddin è
l’incarnazione di un cinema fantastico e libero di controcultura.
Spesso sperimentali, i suoi film sono radicati in un’estetica
visiva poetica che rende regolarmente omaggio al cinema muto degli
anni Trenta. Dopo la presentazione nel 2000 del suo cortometraggio
The Heart of the World alla Quinzaine des cinéastes, è la prima
volta che il regista partecipa alla Selezione Ufficiale Fuori
Concorso con Rumours.
Durante il vertice annuale del G7,
i sette leader delle più ricche democrazie liberali del mondo si
perdono di notte nei boschi mentre cercano di redigere la loro
dichiarazione provvisoria.
Per Rumours, Guy Maddin si è
circondato dei suoi due fedeli accoliti, Evan e Galen Jonhson, con
i quali aveva già collaborato per il suo ultimo lungometraggio: The
Green Fog, del 2017, un ossessionante omaggio a Vertigo di Alfred
Hitchcock. I due fratelli sono anche originari di Winnipeg, città a
cui Guy Maddin ha dedicato una vibrante e onirica dichiarazione
d’amore sotto forma di un mockumentary intitolato My Winnipeg.
Questa nuova commedia assurda e
surreale vanta un cast prestigioso. Cate Blanchett interpreta il
Presidente degli Stati Uniti, Denis Ménochet il
Presidente francese, Charles Dance il Primo Ministro britannico,
Roy Dupuis il Primo Ministro canadese e
Alicia Vikander il Presidente della Commissione
europea. Tutto ciò aggiunge pepe a questa avventura selvaggia, che
è anche un discorso sulle questioni politiche contemporanee.
Ari Aster, produttore esecutivo del
film (Midsommar; Beau is Afraid), ha dichiarato: “Rumours è
sciocco, esilarante, meraviglioso e presenta il miglior cast mai
riunito. Lo spirito di Buñuel, dei Monty Python e della televisione
anni ’70 sovraccarica“.
Si è tenuto nella serata di oggi il
red carpet di Emilia Perez, la commedia poliziesca musicale scritta
e diretta da Jacques Audiard. Il regista è stato
accompagnato alla 77a edizione del Festival
di Cannes al Palais des Festivals dai suoi interpreti
Karla Sofía Gascón nel ruolo della protagonista, con
Selena Gomez,
Zoe Saldaña e
Édgar Ramírez nei ruoli secondari.
Le canzoni originali del film sono
state realizzate da Camille, mentre la colonna sonora originale è
stata fornita da Clément Ducol. Le sezioni coreografiche del film
sono firmate da Damien Jalet. Il film è stato selezionato per
concorrere alla Palma d’Oro e alla Queer Palm al 77° Festival di
Cannes.
Una donna viene incaricata di aiutare un leader del cartello
messicano in fuga a sottoporsi a un intervento di riassegnazione
del sesso per eludere le autorità e affermare il proprio
genere.
La redenzione di
Shawshank è un aspetto fondamentale della
reputazione del film Le Ali della Libertà come
alluno dei più grandi di tutti i tempi. Adattamento del racconto di
Stephen King, l’iconico film vede Andy
Dufresne (Tim
Robbins) condannato all’ergastolo nel penitenziario
statale di Shawshank per l’omicidio della moglie e del suo amante,
nonostante si dichiari innocente. Lì, incontra un compagno di cella
di nome Red (Morgan
Freeman), si confronta con i funzionari corrotti e
trova la speranza in uno dei luoghi più improbabili.
Sebbene il finale trionfale di
Le ali della libertà sia indimenticabile, lascia
una manciata di domande scottanti. Le risposte non sono sempre
immediatamente evidenti, ma con un’analisi più attenta, il
significato più profondo della storia del film inizia a diventare
chiaro. Si tratta di un adattamento di Stephen King che fa sua la storia, e quindi è
più efficace guardare al film stesso per avere più contesto e
indizi sul vero significato del finale di Le ali della
libertà.
Perché Andy Dufresne evade da
Shawshank (anche se è innocente)
La fuga di Andy è un modo per
mantenere la sua innocenza
Andy viene condannato all’ergastolo
a Shawshank per due omicidi che insiste di non aver commesso e,
sebbene sembri accettare la sua ingiusta punizione, in realtà
trascorre i due decenni di detenzione scavando un tunnel verso la
libertà. Uno degli elementi chiave del personaggio di Andy in
Le ali della libertà è la sua tranquilla
intelligenza, che utilizza per tutto il film per raggiungere i
propri scopi. Tuttavia, il vero motivo per cui Andy evade è legato
al tema centrale del film, la speranza.
Non è subito dopo il suo arrivo che
Andy inizia a scavare il suo tunnel per uscire da Shawshank, ma il
suo piano di fuga gli viene in mente quando inizia a capire la
gravità della sua situazione. Con il tempo, Andy capisce che la sua
innocenza non è importante per nessun altro. Quando ha la
possibilità di essere scagionato dai crimini per cui è stato
condannato, la sua ultima speranza di uscire legalmente da
Shawshank gli viene tolta dal direttore corrotto, spingendolo a
fare finalmente la sua uscita.
L’innocenza di Andy minaccia di
rivelare i crimini di Norton
Uno degli ultimi momenti
determinanti che Andy Dufresne vive a Shawshank è la morte di
Tommy, un giovane detenuto che Andy aveva aiutato a conseguire il
diploma di maturità. Dopo l’arrivo di Tommy a Shawshank, Andy e Red
lo prendono sotto la loro ala. Tuttavia, in breve tempo, Tommy
viene ucciso. Non sarà l’unico personaggio di Shawshank Redemption
a incontrare un triste destino, ma la sua morte è ancora più
tragica per un semplice fatto: il direttore lo ha fatto
uccidere.
Il motivo esatto per cui Norton lo
fa è, in ultima analisi, l’innocenza di Andy. Dovendo
potenzialmente perdere il detenuto che gestiva il suo schema di
riciclaggio di denaro, il direttore ha scelto di eliminare l’unica
persona in grado di liberarlo. Tommy aveva le prove, fornite da un
ex compagno di cella, che Andy non aveva ucciso sua moglie, e
Norton voleva che fossero tenute nascoste – ed è per questo che
Tommy è finito con un colpo di pistola alla schiena durante un
“tentativo di fuga”. Si tratta comunque di un momento importante,
in quanto indurisce la determinazione di Andy e consolida Norton
come vero cattivo del film.
Perché Andy non ha aiutato Red a
fuggire da Shawshank
Red sarebbe scappato se avesse
saputo il piano di Andy?
Nel corso di Le ali della
libertà, l’amicizia tra Red e Andy è un fattore chiave.
Tuttavia, nonostante ci siano voluti 20 anni per realizzarlo, Andy
non condivide il suo piano con Red. Nella logica della narrazione
stessa, c’è una spiegazione semplice: Andy stava cercando di
proteggere Red nel caso in cui qualcosa fosse andato storto e non
c’era modo di coinvolgerlo nella fuga, dato che il tunnel era nella
sua cella. Tuttavia, nonostante le complicazioni logistiche ed
etiche, c’è anche un’importante ragione sottotestuale. La fuga di
Andy da Shawshank è il simbolo della sua eterna speranza.
Persevera nello scavare il suo
tunnel perché spera nella libertà del suo futuro, qualcosa a cui si
aggrappa grazie alla sua innocenza rispetto al crimine per cui è
stato condannato. D’altra parte, Red si trova nella prigione di
Shawshank per omicidio, il che significa che la sua fuga con Andy
comprometterebbe lo sviluppo del suo personaggio (e lo farebbe
sembrare molto meno simpatico al pubblico). Inoltre, Red ha persino
dichiarato di non voler uscire, poiché ritiene di appartenere alla
prigione e di non poter esistere nel mondo esterno.
Perché Andy fugge in Messico nel
finale di Shawshank Redemption
Andy assicura al suo amico di
raggiungerlo in Paradiso
Dopo la fuga di Andy Dufresne alla
fine di Le ali della libertà, scompare senza lasciare traccia,
anche se ha lasciato una traccia che Red può seguire. Questa lo
conduce a Zihuatanejo in Messico, ma c’è un motivo per cui è
fuggito a sud del confine. Zihuatanejo rappresenta la libertà per
Andy ed è una delle ultime cose di cui parla a Red prima di fuggire
da Shawshank.
Dopo aver seguito il messaggio
segreto di Andy, Red si riunisce al suo amico su una spiaggia
messicana idilliaca e remota, che rappresenta un senso di pace e
paradiso per i due uomini dopo il periodo trascorso a
Shawshank.
Perché il lieto fine di Red e Andy
è così importante
Il cambiamento di tono nei momenti
finali è meritato
Il lieto fine di Le ali della
libertà potrebbe sembrare fuori luogo rispetto al tono di
disperazione che caratterizza il resto del film, ma in realtà è
fondamentale per il personaggio di Red e Andy. I due uomini
subiscono entrambi un percorso di scoperta simile in prigione – Red
diventa più fiducioso e Andy più cinico – ed entrambi superano le
difficoltà per superare il loro passato. Durante gli anni di
sofferenza a Shawshank, i due uomini si guadagnano il lieto fine,
il che significa che Le ali della libertà premia la loro capacità
di superare il trattamento ingiusto con la felicità.
Come il finale di Le ali della
libertà cambia la storia originale di Stephen King
Il film regala il finale catartico
che il libro lascia solo intendere
Oltre a eliminare “Rita
Hayworth” dal titolo, Le ali della libertà
apporta alcune modifiche alla storia originale di Stephen King, praticamente tutte in meglio. Il
più grande di questi cambiamenti è il finale del film: la storia di
Stephen King si conclude con Red che si mette
alla ricerca di Andy, invece di trovarlo davvero. Questo potrebbe
sembrare un piccolo cambiamento, ma è importante.
Il ricongiungimento tra Red e Andy
consolida il loro lieto fine e dà a entrambi una conclusione più
definita allo sviluppo dei loro personaggi. Il film mostra che Red
è stato in grado di superare il suo passato per andare avanti con
il suo futuro, cosa che è molto meno evidente nel libro.
Il vero significato del finale di
Le ali della libertà
L’amicizia tra Andy e Red è la
chiave del film
Come suggerisce il titolo di
Le ali della libertà, il film è incentrato sulla
ricerca di un senso di redenzione da parte dei suoi protagonisti,
ma soprattutto sulla speranza. La storia del
film vede Andy sperare (e lavorare segretamente) per un futuro
che probabilmente non avrà, e vede Red respingere l’idea di poter
sperare nella redenzione. Il
finale del film vede Andy realizzare questa speranza e Red
ritrovare uno scopo grazie agli sforzi dell’amico.
Le ali della
libertà vede entrambi gli uomini superare i loro demoni
per raggiungere il loro lieto fine: Andy supera l’ingiusta perdita
della sua innocenza e Red affronta la propria colpa prima di
scegliere di perseguire una vita al di fuori di Shawshank. Red e
Andy sono stati i catalizzatori del cambiamento dell’altro e ognuno
rappresenta la speranza per l’altro. Entrambi gli uomini trovano la
salvezza nella loro amicizia in Le ali della libertà e questo è ciò
che salva le loro vite.
Reduce dalla trilogia composta da
First Reformed (2017), Il
collezionista di carte (2021) e Il maestro
giardiniere (2022) – con cui è tornato sui grandi temi del
suo cinema (senso di colpa, solutidine, redenzione) – Paul Schrader realizza ora
Oh, Canada, film che è allo stesso tempo un vitale
ritorno alle origini e uno struggente canto del cigno. Lo
sceneggiatore e regista ritrova infatti qui Richard Gere ad oltre quarant’anni di distanza
da American Gigolò (1980) ma anche lo scrittore
Russell Bank, di cui aveva già adattato il romanzo
Tormenta nel film Affliction (1997).
Ma con Oh, Canada
Schrader ha l’occasione di portare sul grande schermo una serie di
profonde riflessioni sulla vita e la morte, probabilmente emerse in
lui in questi ultimi difficili anni. Il risultato è che il film
potrebbe essere letto anche come un’opera-testamento, con cui
Schrader porta in scena una sorta di suo alter ego attraverso cui
rileggere il senso della vita e del cinema. Il regista ha però già
confermato che questo non è il suo ultimo film, il che è
decisamente una buona notizia, vista la capacità che ancora
dimostra nel saper far parlare le emozioni e soprattutto parlare
della natura umana.
La trama di Oh, Canada
Leonard Fife (Richard
Gere) è un affermato documentarista di cui è
celebre anche la fuga oltre il confine canadese che fece da ragazzo
(dove ad interpretarlo vi è Jacob Elordi) per sfuggire alla leva negli
Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Malato terminale di
cancro, Fife accetta di rilasciare un’ultima intervista nella sua
casa di Montréal, nella quale, di fronte allo sguardo incredulo di
sua moglie Emma (Uma
Thurman), del suo adorante ex-studente Malcolm e della
troupe che sta filmando, rivela che tutta la sua vita e il suo
“mito politico” non sono altro che bugie e invenzioni, coltivate
per coprire un segreto che lo tormenta da cinquant’anni.
Frammenti di vita
Il racconto di Oh,
Canada sembra essere di quelli già visti e rivisti: la
personalità nota di turno, giunta agli ultimi rintocchi della sua
vita, racconta il proprio passato portando alla luce aspetti di sé
che nessuno conosceva. Ma il film di Schrader non si limita
naturalmente a questo, offrendo piuttosto un continuo intrecciarsi
e mischiarsi di passato e presente. Gli stessi flashback nel
passato, ad esempio, non vengono raccontati in ordine cronologico e
sta dunque allo spettatore rimettere in ordine i pezzi di questa
vita dalle molteplici sfumature.
Assistiamo dunque al racconto nel
presente fatto da Fife davanti la telecamera, per poi tornare
indietro in diversi momenti cardine della sua sfuggente giovinezza
e nello stesso passato si confonde la figura del protagonista da
giovane e quella da anziano, con Richard
Gere e Jacob
Elordi che in più occasioni si scambiano il ruolo pur
se il film rimane nel medesimo periodo della vita di Fife. Il
cortocircuito che si genera non è però depistante quanto
inaspettatamente affascinante. Schrader offre infatti un
affascinante stratagemma per mostrarci concretamente le difficoltà
di una mente annebbiata dal dolore che fatica a ricordare.
Leonard Fife afferma ad un certo
punto che, in quanto documentarista, ha passato la sua intera vita
a tirare fuori la verità dalle persone intervistate e che ora è
giunto il suo momento. Ma possiamo davvero fidarci di quello che
gli sentiamo raccontare? La risposta sembra essere no, dato il
narratore inaffidabile che si rivela essere. Cosa c’è che non può
essere raccontato? A quale scopo alterare la realtà dei fatti?
Schrader ci porta dunque alla ricerca di queste risposte in un
labirinto della mente che non diventa mai fine a sé stesso ma
percorrendo il quale si giunge ad ottenere sincere emozioni.
Richard Geere è Leonard Fife in Oh, Canada. Photo credit: Jeong
Park
Oh, Canada è un
nuovo convincente film di Paul Schrader
Emerge dunque un film tutt’altro che
banale nella sua esposizione di questo racconto e che anzi riesce a
costruire un’atmosfera in equilibrio tra il nostalgico, il
malinconico e il vitale. Nell’osservare il protagonista lasciarsi
andare a questi ricordi e alle riflessioni sulle direzioni verso
cui l’essere umano è proiettato, appare difficile non avvertire un
certo coinvolgimento. Sarà perché le domande poste sono così
universali (che fine hanno fatto tutti quelli che hanno incrociato
la mia vita?) o perché Schrader dimostra di sentire davvero la
materia trattata, ma il risultato è realmente commovente.
Nella buona riuscita di Oh,
Canada lo aiutano poi i suoi protagonisti, da un Jacob Elordi che mette a segno un’altra
convincente interpretazione dopo quella di Elvis in
Priscilla e quella di Nate Jacobs nella serie Euphoria,
ad un Richard Gere che si spoglia dei panni del sex
symbol per indossare quelli dell’uomo morente. Nel restituire il
meglio e il peggio di questo personaggio, egli permette all’intero
film di dotarsi di una sincerità che lo eleva e lo rende un altro
dei bei film realizzati da Paul Schrader in questi ultimi anni.
La notizia che Hiroyuki
Sanada ha recentemente firmato un accordo per tornare
potenzialmente per una seconda stagione di Shōgun ha colto tutti di sorpresa. Con questo
annuncio è arrivata anche
la rivelazione che la serie potrebbe prendere in considerazione
un passaggio nelle categorie degli Emmy da Limited Series a Drama,
il che significa effettivamente che Shōgun
non è una miniserie, ma piuttosto
una serie in corso con molte potenziali stagioni. Il problema è
che la
stagione 1 ha concluso perfettamente tutti gli
archi narrativi e ha ucciso molti personaggi chiave, quindi come
può la serie andare avanti? Come sempre, la risposta si trova sia
nella storia che negli altri romanzi di James Clavell.
La seconda stagione di “Shōgun”
potrebbe continuare la storia dello shogunato di Toranaga
Il finale di stagione di
Shōgun
è tra le migliori opere televisive dell’anno. L’intera stagione è
una cavalcata emozionante, ma il finale lega il tutto in modo così
netto che non si può biasimare chi non si aspetta altro dalla
serie. La serie è basata sull’omonimo romanzo di James Clavell, che
racconta una storia autonoma che termina nello stesso punto in cui
termina la stagione 1 di Shōgun. Il romanzo di Clavell è, a sua
volta, un dramma storico che adatta l’ascesa della controparte
storica di Lord Toranaga, Tokugawa Ieyasu, come shōgun.
Naturalmente, la storia continua dopo l’inaugurazione dello
shogunato Tokugawa, e questo è un percorso molto probabile per una
potenziale seconda stagione.
In qualità di Shōgun,
Tokugawa ha inaugurato una nuova era di pace in Giappone dopo
decenni di conflitti civili quasi ininterrotti tra i signori della
guerra, un periodo noto come periodo Edo. Il ruolo dello shōgun è
essenzialmente militare, quindi la pace fu imposta in tutto il
Giappone grazie alla potenza militare di Tokugawa e del suo clan,
che chiuse l’intero Paese al mondo. L’arrivo di un marinaio
britannico di nome William Adams – la controparte di John
Blackthorne (Cosmo Jarvis) nella vita reale –
durante la guerra civile fu un avvertimento che la sovranità del
Giappone era minacciata dalle nazioni europee, che cercavano di
esplorare il Paese come un mercato usando la religione come un modo
per guadagnarsi la fiducia della gente. Così Tokugawa vietò il
cristianesimo e la presenza europea in Giappone, come si vede in
storie come Blue Eye Samurai di Netflix e l’epopea religiosa Silence di Martin
Scorsese.
Nel contesto nazionale, Tokugawa
non governò incontrastato all’inizio. Dopo decenni di conflitti
ininterrotti, ci volle un po’ di tempo prima che le cose si
sistemassero. Il suo predecessore, Toyotomi Hideyoshi, lasciò un
erede che divenne maggiorenne dopo che lo shogunato era già
consolidato, il che portò a un breve conflitto civile. In Shōgun,
si tratta del giovane Nakamura Yaechiyo (Sen Mars), figlio del
defunto Taikō e di Lady Ochiba no Kata (Fumi Nikaido). A quel
punto, però, Tokugawa aveva già dato il titolo di Shōgun
al figlio, ma era ancora il sovrano de facto e schiacciò questa
ribellione. Inoltre, guidò gli sforzi per la costruzione della
nuova capitale del Giappone, Edo. Quindi, sì, c’è molto terreno
storico da coprire per una potenziale continuazione della storia di
Toranaga.
Molte relazioni potrebbero essere
sviluppate in una seconda stagione di “Shōgun”
Ciò che ha fatto risaltare la prima
stagione di Shōgun
è il suo trio di grandi protagonisti: Lord Toranaga, John
Blackthorne e Lady Toda Mariko (Anna Sawai). Le loro storie sono
intimamente legate e ciò che accade a uno di loro si ripercuote
inevitabilmente sugli altri due. Tuttavia, il finale di stagione
chiude di fatto l’arco narrativo di Toranaga e Blackthorne, mentre
la
storia di Mariko si conclude nell’episodio precedente con la
sua morte. Quindi la domanda naturale che ne consegue è: dove può
andare Shōgun
con questi personaggi?
Da un punto di vista narrativo,
Shōgun
non ha l’obbligo di seguire rigorosamente gli eventi storici su cui
si basa la prima stagione, e si può prendere molte libertà
artistiche a vantaggio della storia che potrebbe raccontare in
un’eventuale seconda stagione. Anche se Mariko è morta, ad esempio,
suo marito, Toda “Buntaro” Hirokatsu (Shinnosuke Abe), è ancora
vivo e fedele a Toranaga. Buntaro è un personaggio complesso,
figlio di uno dei più stretti alleati di Toranaga, sempre in
conflitto tra la richiesta di fedeltà a Mariko e i propri doveri
verso Toranaga, il che lo porta a un costante conflitto con
Blackthorne. Ora, senza Mariko, deve trovare un nuovo posto al
servizio di Toranaga e anche il suo rapporto con Blackthorne
potrebbe prendere una piega completamente diversa.
In Ajiro, la morte di Kashige
Yabushige (Tadanobu Asano) lascia il suo brillante nipote, Kashige
Omi (Hiroto Kanai), come signore del villaggio e uno dei principali
alleati di Toranaga nella regione. Per quanto Yabushige fosse
simpatico e divertente, era anche una possibile minaccia per il suo
signore in quanto agente doppiogiochista che lavorava per i suoi
nemici, e sarebbe interessante vedere se il suo erede seguirà la
stessa strada. Seguendo un percorso più accurato dal punto di vista
storico, anche la maturità di Yaechiyo può rappresentare una
minaccia, soprattutto con la presenza della madre politicamente
acuta, Lady Ochiba, sempre in giro. Inoltre, con la chiusura del
Giappone agli europei, è inevitabile che sorga un conflitto con i
missionari portoghesi. Padre Martin Alvito (Tommy Bastow), ad
esempio, si è sempre risentito con Blackthorne per aver
presumibilmente allontanato Mariko dal suo stretto rapporto con il
cristianesimo, quindi anche questo tipo di interazione sarebbe
interessante da vedere.
Possibile anche un universo più
ampio di “Shōgun” basato sui romanzi di James Clavell
Il
romanzo Shōgun di James Clavell è in realtà parte di un
universo più ampio. È il primo capitolo cronologico della sua Saga
Asiatica, una raccolta di romanzi che racconta una storia che
attraversa i secoli dell’Asia orientale e dell’Estremo Oriente.
Infatti, i co-creatori della serie Rachel Kondo e Justin Marks
hanno già rivelato a Collider che vorrebbero adattare un altro
romanzo della Saga asiatica, intitolato Tai-Pan, che si svolge
quasi 200 anni dopo gli eventi di Shōgun ed è
ambientato a Hong Kong. Racconta la storia di due clan britannici
rivali, gli Struan e i Brock, in lotta per il controllo del
commercio nella regione per molti decenni.
Sebbene i dettagli siano scarsi,
quello per cui Hiroyuki Sanada ha firmato potrebbe benissimo essere
un adattamento di Tai-Pan, con lui che interpreta semplicemente un
altro personaggio nell’adattamento della Saga asiatica di Clavell.
All’epoca in cui si svolge il libro, il Giappone era ancora una
terra chiusa, ma Hong Kong era un centro commerciale che attirava
persone da tutta l’Asia orientale, compresi i mercanti giapponesi.
Sebbene il romanzo sia incentrato principalmente sulle famiglie
inglesi in guerra, c’è sicuramente spazio per personaggi originali,
soprattutto se interpretati da un attore di talento come
Sanada.
Un adattamento di Tai-Pan è
interessante per molte ragioni, la più importante delle quali è la
possibilità di un crossover con lo stesso Shōgun. Anche se le trame
di questi due film sono separate da secoli, il romanzo finale della
saga asiatica, Gai-Jin, torna in Giappone all’inizio della fine del
periodo Edo, quando il clan Toranaga governa ancora come shogunato.
In effetti, un discendente di Lord Toranaga ha rapporti con un
discendente della famiglia Struan. Quindi Hiroyuki Sanada potrebbe
tornare per interpretare un altro Toranaga e chiudere la saga
familiare al crepuscolo del periodo Edo. Sono tutte possibilità
interessanti, ma ciò che conta di più è che ogni storia legata
all’universo di James Clavell è sicuramente una buona storia,
soprattutto se tradotta sugli schermi da artisti come Sanada.
I cambiamenti economici della
televisione hanno raggiunto FBI e FBI:
Most Wanted. Con una mossa simile a quella che la
NBC ha fatto con One Chicago, la CBS taglierà gli
episodi dei suoi series regular nella prossima stagione. Deadline
riporta che ogni membro del cast indicato come series regular si
vedrà ridurre di due gli episodi garantiti dal contratto. Se la
stagione produrrà i 22 episodi regolari, i membri del cast avranno
la garanzia di apparire in 20 episodi. Si tratta di una misura di
riduzione dei costi che mira a mantenere in onda le serie. La terza
serie, FBI: International, non è interessata da
questo cambiamento.
Diversi network e show hanno
utilizzato vari metodi per mantenere i costi di produzione il più
bassi possibile, tra cui la riduzione degli stipendi e degli
episodi o la presenza dei series regular in un numero minore di
episodi. Il cast di Blue
Bloods, Bob Hearts Abishola e Superman
& Lois ha accettato di ridurre lo stipendio per dare
ai loro show un’ultima stagione. La serie One
Chicago, prodotta da Dick Wolf, ha optato per una
rotazione dei series regular. Nell’attuale stagione televisiva,
Once Chicago si concentra su un regular per ogni
episodio, mentre altri offrono supporto al personaggio. Alcuni,
tuttavia, non hanno archi narrativi per uno o più episodi, il che
ha influito sugli show. Anche se la riduzione del numero di episodi
per i due show dell’FBI avrà un impatto sulla storia e sulla
retribuzione degli attori, poteva andare peggio.
Perché FBI e FBI: Most Wanted sono
stati colpiti
FBI e FBI: Most
Wanted sono stati colpiti da questa situazione perché
hanno il maggior numero di series regular. Le serie sono in onda da
molto tempo e presentano nomi importanti come Missy Peregrym e Jeremy
Sisto. Questo li rende molto più costosi. Infine, tutte le
serie sono girate negli Stati Uniti, il che aumenta notevolmente i
costi. FBI:
International ha perso due series regular:
Heida Reed è uscita all’inizio della stagione e
Luke Kleintank non tornerà. Il fatto di avere meno
series regular ha migliorato l’economia dello show. Un altro
vantaggio è che viene girato in Ungheria con molti attori non
americani. Tutti questi fattori permettono alla produzione di
mantenere bassi i costi, quindi non risentirà dei cambiamenti.
La CBS ha rinnovato la serie per
una stagione ciascuno, ma la serie di punta, FBI, è stata rinnovata
per altre due. In media, ogni serie è seguita da 7 milioni di
telespettatori dal vivo, con FBI in testa con 9 milioni di
telespettatori medi per episodio. Le serie concluderanno le loro
stagioni attuali la prossima settimana, quando la squadra dell’FBI
rivisiterà una storia dell’inizio della stagione, mentre il Fly
Team si metterà sulle tracce del loro leader scomparso.
Dopo aver
sfilato ieri sera sul red carpet ecco le foto dal photocall pre
conferenza di Oh,
Canada di Paul Schrader alla 77a
edizione del Festival
di Cannes al Palais des Festivals. Figura della
Nuova Hollywood, a 77 anni Paul Schrader continua
il suo percorso di cineasta libero, in un’industria americana
sempre più restrittiva. Ne è una prova Oh, Canada,
opera scarna tratta dal romanzo di Russell Banks, per la
quale il regista americano ha scritturato Richard Gere. Ecco il regista accompagnato dai
suoi interpreti Richard Gere e la meravigliosa Uma Thurman.
Cinquant’anni dopo il suo esordio
al fianco di Martin Scorsese con Taxi
Driver (1975), di cui è coautore della sceneggiatura e dei
dialoghi, Paul Schrader, sceneggiatore diventato
regista, ha ancora la vitalità di un giovane esordiente. Ne è prova
il trittico composto da First Reformed (2017), The Card
Counter (2021) e Master Gardener (2023), i suoi tre
lungometraggi più recenti, che hanno visto il regista ricollegarsi
alle strutture narrative dei suoi primi film e che descrivono la
ricerca di salvezza di personaggi solitari divorati da abissi
interiori.
Oh,
Canada rappresenta un cambio di registro, poiché Paul
Schrader ha adattato l’ultimo romanzo dello scrittore americano
Russell Banks, morto nel gennaio 2023, pochi mesi prima dell’inizio
delle riprese. Nel 1997, Schrader aveva già adattato uno dei suoi
romanzi realizzando Afflictions, che aveva visto James Coburn
vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista.
Al Festival di Cannes 2024
è approdato il regista Ron Howard per
presentare il suo ultimo documentario, Jim Henson Idea
Manm film documentario di prossima uscita sul burattinaio
Jim Henson.
Il film racconta la vita di Henson,
dai primi anni della sua carriera alla creazione di opere come i
Muppet, Sesame Street e The Dark Crystal, e si concentra anche
sulla sua partnership creativa e romantica con la moglie Jane
Henson. Il film contiene interviste a membri della famiglia e
collaboratori di Jim Henson, tra cui Frank Oz. Il film sarà
trasmesso in tutto il mondo su Disney+ il 31 maggio 2024.
ATTENZIONE: questa intervista
contiene spoiler su “Vecchi amici”, il quarto episodio della
terza
stagione di Bridgerton di
Netflix.
“Per l’amor di Dio, Penelope
Featherington. Hai intenzione di sposarmi o no?”. La prima
metà della terza stagione di Bridgerton si
conclude con queste parole mozzafiato, mentre Colin (Luke
Newton) chiede a Penelope (Nicola
Coughlan) di sposarlo. Che cliffhanger! Penelope dirà di
sì? Rivelerà di essere Lady Whistledown? Colin potrebbe essere più
romantico?
Ma questo momento è solo uno
sviluppo in una mezza stagione piena di drammi, inganni e Debling.
Fortunatamente, la showrunner Jess Brownell ha
dato a
Variety una visione dei momenti più importanti della
stagione.
La scena della carrozza nel libro
funziona in modo leggermente diverso. È il momento in cui Colin si
rende conto che Penelope è Lady Whistledown, ma per rendere omaggio
a quella scena, la facciamo funzionare ancora come un momento in
cui Colin inizia a vedere Penelope in modo diverso – o almeno
annuncia finalmente che sta iniziando a vederla in modo diverso. È
anche un momento importante per Colin, che ha cercato di essere un
tipo freddo, distaccato e di poche parole. Per tutta la stagione ha
sentito la pressione di dover tenere tutto dentro, e all’improvviso
tutto viene fuori nella scena della carrozza.
Inizialmente avevamo immaginato Pen
e Colin seduti fianco a fianco, in modo da avere una conversazione
intima. Ma il [regista] Andrew [Ahn] ha avuto l’idea di metterli in
scena l’uno di fronte all’altra, in parte perché è più facile
filmare in una carrozza su un palcoscenico, ma anche perché quando
Colin vuole avvicinarsi per esprimersi con Penelope, deve
inginocchiarsi. Questo crea una bella immagine per un uomo che ha
ignorato questa ragazza dal punto di vista sentimentale per due
stagioni, per poi doverla implorare.
Nei libri, Colin scopre che
Penelope è Lady Whistledown prima che si fidanzino: perché avete
deciso di cambiare l’ordine delle cose?
Sono ormai due stagioni che
assistiamo alla caccia a Lady Whistledown. La Regina è stata sulle
sue tracce e abbiamo pensato che fosse giunto il momento di fare
una piccola pausa da questa storia. Diventerà un filo conduttore
più importante nella seconda parte, ma volevamo anche concentrarci
per un momento sulla ricerca di un marito da parte di Penelope e
permettere alla relazione tra Colin e Penelope di svilupparsi un
po’ prima che quel segreto si manifesti.
Nei libri, Colin scopre che
Penelope è Lady Whistledown prima del loro fidanzamento: perché
avete deciso di cambiare l’ordine delle cose?
Sono ormai due stagioni che
seguiamo la caccia a Lady Whistledown. La Regina è stata sulle sue
tracce e abbiamo pensato che fosse giunto il momento di fare una
piccola pausa da questa storia. Diventerà un filo conduttore più
importante nella seconda parte, ma volevamo anche concentrarci per
un momento sulla ricerca di un marito da parte di Penelope e
permettere alla relazione tra Colin e Penelope di svilupparsi un
po’ prima che quel segreto si manifesti.
Quando adatta i libri, come riesce
a trovare il giusto equilibrio tra il raccontare una storia nuova
per la televisione e il soddisfare i lettori fedeli della
serie?
Cerco sempre di onorare lo spirito
e il viaggio emotivo del libro, e nella prima settimana di lavoro
in sala autori ci sediamo sempre a scegliere i momenti chiave del
libro: I pezzi chiave, le ambientazioni chiave, le scene chiave che
vogliamo vedere. Direi che quasi tutti quei momenti sono presenti
in questa stagione, solo che potrebbero non essere necessariamente
nello stesso ordine.
Per quanto riguarda i cambiamenti,
si tratta di esternalizzare la trama. Gran parte della trama di un
romanzo può essere un monologo interiore o un dialogo più
silenzioso tra due personaggi, e noi dobbiamo trovare dei modi nel
nostro grande mondo in cui ci preoccupiamo molto della scala e
dell’essere in giro per il mondo. Dobbiamo trovare il modo di
esternare queste trame. Per esempio, è per questo che abbiamo
ideato la trama della scuola di fascino tra Penelope e Colin. È un
modo per esternare alcune delle conversazioni che hanno nel libro
sulla fiducia e sulla popolarità.
C’è una scena o un momento
speciale di questa stagione che non vede l’ora di far vedere ai
fan?
C’è una scena nell’episodio 5 che
mi entusiasma, in cui ci sono tutti i nostri personaggi regolari
insieme in un luogo – solo loro e solo loro. C’è un senso di caos
organizzato verso la fine dell’episodio, in cui la tensione
continua a salire, e sembra quasi una produzione teatrale perché
tutto si svolge in una stanza. Non vedo l’ora che i fan vedano quel
set.
Cos’altro si può dire
dell’imminente seconda parte della stagione?
La seconda parte della stagione è
per molti versi il mondo capovolto della prima. Se la prima metà è
tutta giocosa e leggera e molto radicata in una sensibilità da
commedia romantica, non appena saltiamo nella seconda metà, ci sono
questi conflitti molto più pesanti che entrano in gioco. Tra
questi, il fatto che Penelope nasconda a Colin di essere Lady
Whistledown e che il suo rapporto con Eloise non sia ancora molto
buono, proprio mentre lei si sta mettendo insieme al fratello. La
tensione inizia quindi a salire.
A pochi mesi dall’uscita di
Poor Things,
Yorgos Lanthimos entra in Concorso con Kind of
kindness. Potrebbe essere questo il film che gli varrà
la Palma d’oro dopo il Premio della Giuria per
The Lobster nel 2015 e il premio per la migliore
sceneggiatura per
The Killing of a Sacred Deer nel 2017.
Una nuova favola di Yorgos
Lanthimos, Kinds of Kindness intreccia tre ricerche. Un uomo che
cerca di controllare la propria vita, un poliziotto che trova la
moglie dispersa in mare e non la riconosce, e una donna alla
ricerca di una persona dal potere eccezionale.
Scritta con la sua compagna di
lunga data Efthimis Filippou, la trama è servita
da un cast a dir poco prestigioso. Tutte e tre le storie sono
interpretate dagli stessi attori. Emma Stone, Margaret
Qualley e Willem Dafoe tornano al fianco del regista,
insieme a Jesse Plemons, Mamoudou Athie e Hunter
Schafer.
In Kind of
kindness, il regista continua la sua esplorazione del
libero arbitrio e del conformismo: “È interessante osservare come
gli esseri umani pensino di controllare le cose o di essere liberi
di decidere, mentre una volta ottenuta questa libertà, la trovano
difficile da gestire”.
Questo ultimo film segna un’altra
pietra miliare nell’inarrestabile ascesa di Yorgos Lanthimos. Nel
2010, la sua carriera ha cambiato direzione con Canine, che ha
vinto il Prix Un Certain Regard, e ha mostrato al mondo l’estetica
eccentrica e il tono grintoso dell’ondata weird greca, il movimento
di cui è stato il capofila.
Negli anni successivi ha lasciato
la Grecia per creare il proprio stile, a volte inquietante, sempre
affascinante. Lì ha attirato i migliori interpreti (Colin
Farrell, Nicole Kidman, Emma Stone) e ha sviluppato ogni
aspetto della sua arte, vincendo quattro Oscar per Poor Things lo
scorso marzo.
Margaret Qualley,
tenera ed elettrizzante attrice americana, ha sfilato sul tappeto
rosso del Festival di Cannes 2022 per presentare
Stars at Noon, un thriller romantico tratto
dal romanzo di Denis Johnson del 1986 e portato sul grande schermo
dalla regista francese Claire Denis.
In concorso nella selezione
ufficiale del Festival, il film racconta una storia d’amore sullo
sfondo di una rivoluzione politica. Una storia che vede
protagonista Margaret Qualley, una giovane attrice
che ha già tutte le carte in regola per diventare una grande
attrice. In attesa di scoprirla i prossimi ruoli, ecco tutto
quello che c’è sapere sulla giovane attrice.
Margaret Qualley è appassionata di
danza
Appassionata di danza,
Margaret Qualley si è inizialmente formata come
ballerina, entrando a far parte di rinomate
compagnie (North Carolina School of the Arts, American Ballet
Theatre, Professional Children’s School di New York). In seguito,
ha trasformato la sua passione in un ruolo cinematografico,
interpretando la ballerina e coreografa Ann Reinking, un’artista
che ammirava da tempo, nella serie statunitense Fosse/Verdon.
Margaret Qualley come modella
Ha poi deciso di fare la modella,
firmando con la prestigiosa agenzia IMG Models nel 2015. Ha
partecipato a diverse campagne, è apparsa su riviste di moda e ha
calcato le passerelle di importanti case come Valentino,
Alberta Ferretti e Chanel, di cui è una musa. Per la
stagione Autunno/Inverno 2021-2022, Margaret
Qualley è stata anche la sposa prescelta per la sfilata di
haute couture di Chanel, chiudendo così lo show.
Nel 2016 il volto di
Margaret Qualley era ovunque, ed è diventata un
nome noto grazie al suo ruolo nello spot del profumo Kenzo World.
In questo potente video diretto da Spike Jonze, la
giovane donna offre una vera e propria performance artistica con
l’aiuto del coreografo Ryan Heffington, lasciando
che la danza si impossessi di lei come una trance euforica, in un
abito verde smeraldo.
Ha recitato nel video Sweet Sounds
of Ignorance dell’attrice e cantante Soko nel 2017, accanto alla
sorella Rainey Qualley.
Margaret Qualley, i film che
l’hanno lanciata nel firmamento di Hollywood
Margaret Qualley
ha avuto a che fare con alcuni dei più grandi nomi di Hollywood,
fin dal suo debutto cinematografico. Nel 2013 ha ottenuto un
piccolo ruolo nel film indipendente
Palo Alto di Gia Coppola, che le ha dato l’opportunità
di recitare accanto a
Emma Roberts e
James Franco. Ma l’avventura era solo all’inizio,
perché un film dopo l’altro si susseguivano sempre più ruoli. Nel
2016 è apparsa nella commedia The Nice
Guys, con Ryan Gosling, poi con Kristen Stewart in Seberg nel 2019. Nello stesso anno ha
interpretato Cat, una hippie della Manson Family, accanto
a
Leonardo DiCaprio, Brad
Pitt, Margot
Robbie in C’era
una volta… a Hollywood di
Quentin Tarantino.
Margaret Qualley è la figlia dell’attrice Andy MacDowell
La mamma di Margaret Qualley
è Andy MacDowell, modella e attrice
affermata, e di Paul Qualley, musicista ed ex modello.
Un’eredità forte come la sua già intensa carriera.
Margaret Qualley in MAID
Nel 2021, l’attrice si è riunita
con sua madre, Andy MacDowell, davanti alla
telecamera nella serie sensazionale di Netflix
Maid. La serie è stata diretta da Molly Smith Metzler
ed è basata sul libro di memorie di Stephanie Land Maid: Hard
Work, Low Pay, and a Mother’s Will to Survive, che è diventato
un bestseller quando è stato pubblicato in Francia nel 2020. Sul
piccolo schermo, Margaret assume il ruolo di
Alex, una giovane madre single maltrattata da un partner
violento e dalla povertà, che lotta per tirare avanti e provvedere
a sua figlia. Acclamata per la sua inquietante precisione, questa
interpretazione le è valsa una nomination ai Golden Globes
del 2022, insieme a
Kate Winslet, Cynthia Erivo e
Jessica Chastain.
Margaret Qualley instagram
L’attrice non ha un profilo instagram come molte delle sue
coetanee. Ha fatto una scelta contro corrente e probabilmente
saggia.
“Everybody’s looking for
something…“, recita un celebre verso di “Sweet Dreams”,
traccia sonora che ha inquadrato Kinds of
Kindness, nuovo film del regista greco Yorgos
Lanthimos, fin dal rilascio del primo teaser trailer.
Girato praticamente in contemporanea a Povere Creature!, il film che ha visto
Emma Stone vincere il suo secondo Oscar come
migliore attrice protagonista, Kinds of Kindness –
presentato in concorso a Cannes 77 – è un progetto
piuttosto particolare: un racconto a tre capitoli, o un film
composto da tre racconti, in base a come lo si vuole intendere, in
cui gli stessi attori interpretano personaggi diversi.
Sogni d’oro… o incubi greci
Kind of Kindness è
un trittico composto da tre storie indipendenti, ma unite da quel
batterio grottesco che rende febbrile il cinema di
Lanthimos. Il primo, parla della totale dipendenza
di un uomo dai capricci del suo capo, o meglio dire Dio, che
scandisce la sua vita fino al ridicolo. Nel secondo, un poliziotto
non può capacitarsi della misteriosa scomparsa della moglie
biologa, fino a quando lei ritorna ma non sembra la stessa di
sempre. Il terzo, infine, ha a che fare con una setta ridicola e
con una donna alla ricerca di una profetessa che possa resuscitare
i morti.
Sono storie di presunta gentilezza
che non è altro che meschinità divoratrice, in cui i personaggi si
donano incondizionatamente ad altri, ripagano con atti ripugnanti
quella che reputano gloriosa benevolenza ricaduta sulle loro vite:
l’unico modo in cui credono di potere ricompensare chi ha garantito
loro una possibilità per esistere, chi gli ha affibbiato codici
secondo cui vivere, chi li ha fatti sentire vivi tramite gli atti
più umani: il cibo, il sesso, la fede.
In pieno stile
Lanthimos, che ritorna a collaborare col sodale
Efthymis Filippou, Kinds of
Kindness legge in chiave grottesca il concetto di
riconoscenza, rendendo alcuni generi e passaggi tipici dell’horror
(cannibalismo, necrofilia, sette) contrappunto dello humor che
pervade il trittico. Certamente, una delle chiavi per definire
Kinds of Kindness è proprio quella del
divertimento, tanto degli attori, quanto del pubblico:
un’esperienza che vuole intrattenere più di ogni altro progetto di
Lanthimos e in cui emerge, in ogni istante, il
divertimento degli attori stessi, pressochè lo stesso cast di
Povere Creature!, che si è prestato al
progetto nelle pause dalle riprese del film, reinventando anche, in
un qualche modo, il concetto di compagnia teatrale.
Kinds of Kindness è un
film di corpi e sui corpi
Tutto parte dal corpo e
Lanthimos sembra dirci che la riconoscenza non può
esistere senza la fisicità: dopo aver ricomposto e creato
Bella Baxter, bambina-donna in costante evoluzione
e aver deformato lo scienziato Godwin, il vero
Frankenstein di Povere Creature!, qui gioca indifferentemente
con i corpi maschili e femminili, con la fisicità dell’esperienza,
connessa al potere e alla sottomissione. “Some of them
want to use you”/”Some of them want to get used by
you“; “Some of them want to abuse you“/”Some
of them want to be abused“: effettivamente, Sweet
Dreams è manifesto tematico del nuovo film di Lanthimos.
In quei versi, così noti e canticchiati nel mondo, condensa
perfettamente i giochi di equilibro e potere che intessono la
narrazione, tra abusatori ed abusati, chi manipola e chi viene
manipolato.
Emma Stone,
Jesse Plemons, Margaret Qualley, Willem Dafoe: Lanthimos lavora sui corpi di
questi attori in maniera egregia, destrutturandoli, svuotandoli,
vestendoli (e svestendoli) in più modi, riadeguandoli alle
contrapposizioni cromatiche e strutturali che scandiscono la
narrazione di Kinds of Kindness, animata da un
comparto sonoro lugubre e cadenzato quanto basta a farci intendere
che c’è una logica prestabilita negli eventi a cui assisteremo.
Nella routine sopraggiunge lo straordinario, un errore, un piccolo
mutamento che buca il perimetro millimetrico delle vite di questi
personaggi.
Con Kinds of
Kindness, Yorgos Lanthimos riprende
alcune riflessioni delle sue prime produzioni greche, lo sguardo
glaciale e tagliente sui comportamenti umani, l’immagine-idea del
corpo come veicolo dell’esistenza, riadattando il tutto a una
confezione più “mainstream”, decodificabile alla luce della
partnership con Searchlight, che distribuirà il film nelle
sale, dopo Povere Creature!. Una cornice solo
all’apparenza più hollywoodiana, vendibile, commerciale: Lanthimos
resta Lanthimos e ci racconta le assurdità dell’essere umano con le
sue tipiche metafore distruttive, esilaranti, inquietanti e
scorrette che hanno contraddistinto la sua intera produzione
cinematografica.
Dopo anni di voci, retroscena e
speculazioni da parte della comunità dei fan, il DC
Extended Universe, iniziato con L’uomo
d’acciaio (Man of Steel) nel 2013, è giunto alla sua
conclusione. Dopo che nel 2023 sono usciti Shazam! Furia degli Dei,
The
Flash, Blue Beetle e
Aquaman e il
Regno Perduto non hanno avuto successo al botteghino,
l’attenzione si è ora rivolta al nuovo DCU che
sarà gestito da
James Gunn e Peter Safran. Mentre personaggi come il
Peacemaker di John Cena e l’Amanda Waller di
Viola Davis sono destinati a rimanere, la
maggior parte del cast del DCEU precedente si è
effettivamente ritirata dai propri ruoli. Nonostante questa nuova e
audace direzione, molti fan si aggrappano alla possibilità che
Henry Cavill torni a interpretare Superman.
La confusione sul ruolo di Henry Cavillnel
franchise non è del tutto inaspettata; dopo che una scena
post-credit di Black
Adam sembrava confermare che avrebbe ripreso il suo
ruolo di Superman in un progetto imminente, la DC Films ha subito
una revisione creativa che ha portato al ruolo di David Corenswet come giovane Clark
Kent nel film di James
Gunn su Superman,
previsto per il 2025. Questa potrebbe essere stata una delusione
per Cavill, che ha recentemente lasciato il suo ruolo in
The Witcher. Tuttavia, le teorie cospiratorie
sull’uscita di scena di Cavill non gli giovano, poiché si tratta di
un attore destinato a una carriera molto più eccitante al di fuori
dell’Universo DC.
Sebbene le reazioni a L’uomo
d’acciaio siano state incredibilmente discordanti tra
i fan dei fumetti DC, l’interpretazione di Cavill è stata ampiamente elogiata; aveva
certamente il fisico, il carisma e la bontà intrinseca che erano
essenziali per interpretare il personaggio classico.
Sfortunatamente, il tono negativo dei film del DCEU ha dato a
Cavill poco spazio per sviluppare la
caratterizzazione di Superman. Invece di interpretare una versione
eroica e ispiratrice del personaggio, Cavill si è ritrovato a interpretare un
Superman cupo e cupo, rifiutato dall’umanità. Sebbene l’uscita
approfondita della
Zack Snyder’s Justice League abbia contribuito a
reintrodurlo nel franchise in modo più rispettoso, non ha comunque
risolto la direzione sbagliata in cui è stato portato il supereroe
più ottimista del mondo.
Sebbene il sostegno a Henry Cavill fosse forte, un sequel di
Man of Steel non è mai diventato una priorità per la Warner
Brothers. L’uomo
d’acciaio aveva ottenuto risultati ammirevoli al
botteghino, ma lo studio sembrava intenzionato a perseguire eventi
crossover che avrebbero introdotto nell’universo Batman (Ben
Affleck), Wonder Woman (Gal
Gadot), Aquaman (Jason
Momoa), The
Flash (Ezra
Miller) e Cyborg (Ray Fisher). Tranne
che per alcuni camei di scarso rilievo, il Superman di Henry Cavill sembrava essere stato
completamente dimenticato mentre il DCEU sperimentava personaggi
diversi. Sebbene un sequel de L’uomo d’acciaio
avrebbe potuto dare a Henry Cavill un’occasione migliore per dare
corpo al personaggio, purtroppo è rimasto bloccato nell’inferno
dello sviluppo.
Nonostante sia stato relativamente
ignorato dal team creativo del DCEU, Henry Cavill ha fatto alcuni dei migliori
lavori della sua carriera tra i film tratti dai fumetti. La sua
interpretazione della super spia Napoleon Solo nel reboot
di Guy Ritchie della serie The Man From
U.N.C.L.E. ha rivelato quanto potesse essere carismatico e
avrebbe dovuto dare vita a un franchise a sé stante. Henry Cavill ha dimostrato di essere
coraggioso nell’accettare ruoli in cui non era previsto; ha
dimostrato di essere uno degli unici cattivi in grado di
sconfiggere Ethan Hunt (Tom
Cruise) con il suo ruolo in
Mission: Impossible – Fallout e ha offerto una
performance sorprendentemente vulnerabile nel dramma bellico di
Netflix, criminalmente sottovalutato,
Sand Castle.
Henry Cavill ha un’entusiasmante
lista di progetti in arrivo
Foto di Daniel Smith/Daniel Smith
La cosa più deludente della
fissazione per il franchise di Superman è che
alcuni dei migliori lavori di Henry Cavill sono stati ignorati. Quest’anno,
Henry Cavill ha collaborato nuovamente con
Ritchie per un’apparizione nel thriller d’azione vecchio stile
sulla Seconda Guerra Mondiale, The Ministry of Ungentlemanly Warfare. Un
ruolo che ha permesso a Henry Cavill di fare tutto ciò che una grande
star dell’azione dovrebbe fare: uccidere nazisti, salvare il mondo,
guidare una squadra di eroi e persino pronunciare alcune battute
esilaranti. Nonostante le ottime recensioni, The Ministry of Ungentlemanly Warfare non ha
avuto successo al botteghino e sta già facendo il suo debutto sul
servizio VOD (NON IN ITALIA).
La delusione finanziaria di
The Ministry of Ungentlemanly Warfare è un
peccato, ma Henry Cavill ha un’eccitante serie di
prossimi progetti a cui sta lavorando. Sembra che abbia trovato una
nicchia di lavoro con Ritchie, visto che è pronto ad apparire nel
prossimo film d’azione del regista, In The Grey,
accanto a
Jake Gyllenhaal e
Rosamund Pike. Data la forza delle loro precedenti
collaborazioni, è sicuro che Cavill avrà qualcosa di interessante
da fare nel nuovo film. Anche se Argylle
non ha avuto successo al botteghino, l’annuncio di un possibile
crossover con il franchise di Kingsman suggerisce che Henry Cavill potrebbe tornare alla serie per
un progetto futuro.
David Corenswet merita
un’opportunità in Superman
Quando Henry Cavill è stato scritturato per il ruolo
di Superman, molti fan hanno faticato ad accettare che qualcun
altro, a parte Christopher Reeve, potesse calarsi
nell’iconico ruolo; fortunatamente, il pubblico è stato in grado di
dare una giusta opportunità a Henry Cavill, permettendogli di lasciare
un’impronta unica sul personaggio. David Corenswet merita di essere accettato e
celebrato per il suo lavoro nella prossima iterazione del
franchise. Può essere difficile giudicare la sua performance sulla
base di una sola immagine fissa, ma sembra che l’interpretazione di
David Corenswet del ruolo sarà radicalmente
diversa rispetto alle precedenti iterazioni del personaggio.
Henry Cavill è un grande attore la cui
carriera non dovrebbe essere definita dai film in cui non ha
recitato. Ha certamente lasciato il segno nel franchise DC e si è
guadagnato un seguito significativo, ma ha anche dimostrato
l’ambizione di apparire in progetti di tipo diverso. Invece di
pensare a come sarebbe potuta finire la sua storia di Superman, è
meglio sostenere Henry Cavill nelle sue prossime imprese.
Dire che Il problema dei 3
corpi (3 Body Problem) era una delle serie più attese del
2023 sarebbe un eufemismo. La serie era basata sull’omonimo romanzo
dell’acclamata autrice cinese di fantascienza Cixin Liu e si è
guadagnata un appassionato fandom sia da parte degli appassionati
di scienza sia da parte dei narratori. Lo show è stato realizzato
anche dagli showrunner David Benioff e Dan Weiss,
al loro primo progetto di genere importante dopo che Il trono di
Spade (Game of Thrones) ha raggiunto la sua controversa
conclusione nel 2019, dato che la loro serie Netflix The
Chair era un programma a evento limitato. Sebbene il
materiale di partenza fosse considerato piuttosto denso e
potenzialmente non adattabile,
Il problema dei 3 corpi (3 Body Problem) è riuscito ad
adattare brillantemente il romanzo, accontentando sia i fan più
accaniti che i nuovi arrivati.
L’annuncio che Netflix
avrebbe prodotto altri episodi di
Il problema dei 3 corpi (3 Body Problem) non è stato
del tutto sorprendente, dato che gli ascolti e le recensioni dello
show erano stati abbastanza forti da attirare gli spettatori di
ritorno. Ciò che ha sorpreso è il modo in cui i nuovi episodi sono
stati caratterizzati: Benioff e Weiss hanno
dichiarato di essere entusiasti di “poter raccontare questa storia
fino alla sua epica conclusione”, ma non hanno fatto riferimento
specifico alle nuove puntate come a una seconda stagione. Anche se
è emozionante vedere che la serie non è stata cancellata
prematuramente,
Il problema dei 3 corpi (3 Body Problem) merita più di
qualche episodio conclusivo per completare adeguatamente la sua
storia.
Il problema dei 3 corpi (3
Body Problem) ha previsto più stagioni
Nonostante le critiche ricevute per
il
finale di Il trono di spade (Game of Thrones), Benioff e
Weiss hanno dimostrato con Il
problema dei 3 corpi (3 Body Problem) di poter condensare un
materiale di partenza molto complesso in una serie
coinvolgente. Mentre il romanzo era incentrato sul personaggio di
Wang Miao, la serie ha introdotto i cinque protagonisti Auggie
Salazar (Eiza
González), Saul Durand (Jovan Adepo),
Jin Cheng (Jess Hong), Will Downing (Alex
Sharp) e Jack Rooney (John Bradley) per
rendere la storia più comprensibile. I personaggi di
Il
problema dei 3 corpi (3 Body Problem) sono solo all’inizio
della loro storia alla fine della prima stagione. La morte
di Rooney ispira gli altri personaggi a lavorare insieme per
proteggere le generazioni future dall’imminente invasione dei
San-Ti.
Nonostante alcune deviazioni
significative,
Il problema dei 3 corpi (3 Body Problem) riesce a
mantenere la maggior parte dei punti salienti della storia del
primo romanzo della serie. Sebbene i personaggi si rendano conto
che i San-Ti intendono ostacolare le difese della Terra screditando
gli scienziati, sono comunque costretti a fare i conti con
l’imminente invasione della flotta aliena tra 400 anni. Mentre il
concetto di “Wallflowers” viene introdotto nel secondo romanzo,
La foresta oscura, i due capitoli conclusivi della trilogia
di Liu introducono altri personaggi e questioni etiche. La
conclusione della prima stagione inizia solo a sfiorare il modo in
cui l’umanità si unirà per garantire la propria sopravvivenza
collettiva.
La cosa più preoccupante
dell’annuncio di Netflix è che Weiss e Benioff hanno
dichiarato di aver bisogno di quattro stagioni per completare la
loro storia. Le critiche mosse a
Game of Thrones derivano dal fatto che il duo non è stato in
grado di trovare una conclusione convincente, ma nel caso di
Il problema dei 3 corpi (3 Body Problem), hanno già un
finale dal terzo romanzo, Death’s End. Il duo ha dichiarato che
“l’ultima pagina dell’epopea di Liu Cixin è stata forse la
migliore immagine finale che abbiamo incontrato in una saga
fantascientifica come questa” e che “volevano
disperatamente arrivare alla fine“. Sarebbe incredibilmente
deludente se ancora una volta dovessero concludere frettolosamente
una storia che aveva bisogno di tempo per coprire le sue varie
sottotrame.
Il “problema dei 3 corpi” ha
bisogno di una conclusione estesa
I secondi due titoli della
trilogia di Liu hanno introdotto nuovi elementi che sono maturi per
essere adattati. La Foresta Oscura affronta il tema della
possibilità per l’umanità di trasferirsi su un altro pianeta prima
dell’arrivo dei San-Ti e mostra come le dispute su chi viene scelto
per partire scatenino discussioni sulle differenze di classe. Dati
i temi del privilegio e del potere che Weiss e Benioff hanno
sviluppato in modo così eloquente nel corso di Game of
Thrones, sarebbe certamente interessante vedere come
affrontano questi problemi morali nelle stagioni successive di 3
Body Problem. Purtroppo, queste idee più sfumate potrebbero andare
perse se la serie si avviasse verso una conclusione anticipata.
Il problema dei 3 corpi (3
Body Problem) ha anche bisogno di tempo per completare gli archi
dei personaggi. Sebbene Adepo fornisca una performance
memorabile nel ruolo di Durand negli ultimi episodi della prima
stagione, era evidente che la maggior parte della sua storia veniva
conservata per l’ulteriore esplorazione del Progetto Staircase.
Allo stesso modo, il Thomas Wade di Liam Cunningham riceve una
storia più approfondita nella serie rispetto ai romanzi, il che
suggerisce che potrebbe avere un ruolo più importante negli eventi
futuri.
Uno dei maggiori punti di forza
della prima stagione di 3 Body Problem è stato quello di essersi
presa il tempo necessario per spiegare la scienza concreta che sta
dietro al concetto di fisica del titolo. Tuttavia, Il
problema dei 3 corpi (3 Body Problem) ha bisogno di più di
qualche episodio conclusivo per esplorare adeguatamente i suoi
concetti scientifici. Sarebbe deludente se la serie si
lasciasse sfuggire la costruzione del mondo, dato che
l’attenzione ai dettagli è uno dei motivi del successo della
serie.
Netflix non può
continuare a cancellare le serie drammatiche
Sebbene Il problema dei 3
corpi (3 Body Problem) sia stato lo show più visto
dello streamer per diverse settimane di fila, Netflix ha una
sfortunata storia di cancellazioni premature di show popolari. È
raro che il network abbia show di genere che durano più di qualche
stagione. Programmi acclamati come
Lockwood & Co,
The Midnight Club, Dark Crystal: Age of
Resistance, e 1899 sono stati tutti lasciati senza una
conclusione adeguata. A lungo termine, questo non è di buon
auspicio per la longevità della libreria di Netflix, poiché gli
spettatori potrebbero esitare a guardare una serie che è stata
completata solo in parte. Il problema dei 3 corpi (3 Body
Problem) ha il potenziale per essere una delle più
grandi serie drammatiche di tutti i tempi, perché il potenziale è
nel materiale di partenza. Tagliare una serie ambiziosa nel suo
momento migliore non è solo una delusione per i fan, ma un segnale
preoccupante per i futuri progetti di Netflix.
Si è tenuta ieri sera il red carpet
di Oh, Canada di Paul Schrader alla 77a edizione
del Festival
di Cannes al Palais des Festivals. Figura della
Nuova Hollywood, a 77 anni Paul Schrader continua
il suo percorso di cineasta libero, in un’industria americana
sempre più restrittiva. Ne è una prova Oh, Canada,
opera scarna tratta dal romanzo di Russell Banks, per la
quale il regista americano ha scritturato Richard Gere. Ecco il regista accompagnato dai
suoi interpreti Richard Gere e la meravigliosa Uma Thurman.
Cinquant’anni dopo il suo esordio
al fianco di Martin Scorsese con Taxi
Driver (1975), di cui è coautore della sceneggiatura e dei
dialoghi, Paul Schrader, sceneggiatore diventato
regista, ha ancora la vitalità di un giovane esordiente. Ne è prova
il trittico composto da First Reformed (2017), The Card
Counter (2021) e Master Gardener (2023), i suoi tre
lungometraggi più recenti, che hanno visto il regista ricollegarsi
alle strutture narrative dei suoi primi film e che descrivono la
ricerca di salvezza di personaggi solitari divorati da abissi
interiori.
Oh,
Canada rappresenta un cambio di registro, poiché Paul
Schrader ha adattato l’ultimo romanzo dello scrittore americano
Russell Banks, morto nel gennaio 2023, pochi mesi prima dell’inizio
delle riprese. Nel 1997, Schrader aveva già adattato uno dei suoi
romanzi realizzando Afflictions, che aveva visto James Coburn
vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista.
Strutturato come un puzzle,
attraverso l’assemblaggio di ricordi sparsi e formati assortiti,
Oh, Canada racconta la storia di un regista famoso e controverso
alla fine della sua vita e di uno dei suoi discepoli, giunto al suo
capezzale per ascoltare le sue ultime parole. Come molti personaggi
dei film di Paul Schrader, il protagonista è perseguitato
dall’esercito.
Girando questo film in soli 17
giorni, il regista americano ha scritturato Richard Gere, che aveva
lavorato con lui in American Gigolo (1980), e Uma Thurman, che non
appariva sul grande schermo dai tempi di The House That Jack Built,
il lungometraggio di Lars Von Trier proiettato Fuori Concorso nel
2018.
Marvel Television, diretta
da Jeph Loeb sotto l’occhio vigile del presidente
di Marvel Entertainment Ike Perlmutter, ha chiuso
i battenti nel 2019. All’epoca, la Disney ha dato il pieno
controllo del MCU a Kevin Feige, portando i Marvel
Studios a sviluppare una serie di progetti per
Disney+.
Sebbene la Marvel
Television abbia commesso molti errori, i Marvel
Studios hanno imparato rapidamente che lo sviluppo di
serie televisive non era così facile come avrebbero potuto
credere.
L’approccio come ai film, con
“Head Writers” al posto degli showrunner (e
costosi reshoots che hanno risolto problemi evidenti in
post-produzione) li ha costretti a tornare al tavolo da disegno.
Dopo la revisione creativa di Daredevil:
Born Again, i futuri progetti per il piccolo schermo
saranno realizzati come le serie televisive tradizionali.
Inoltre, saranno realizzati sotto
la nuova bandiera “Marvel Television“, una mossa
che ha scioccato i fan all’inizio di questa settimana. Parlando con
ComicBook.com, il responsabile di TV, Streaming e Animazione dei
Marvel Studios Brad Winderbaum ha spiegato la
decisione di resuscitare l’etichetta.
“Vogliamo assicurarci che la
Marvel rimanga una porta aperta per le persone che vogliono entrare
ed esplorare“, ha spiegato. “Sulla scia di Endgame, penso
che ci fosse, forse, un po’ di obbligo a guardare assolutamente
tutto per poter guardare qualsiasi cosa”.
“Come sapete, in quanto fan dei
fumetti, sono progettati per fare un salto, trovare qualcosa che vi
piace e usarlo per entrare nell’universo, e poi potete esplorarlo e
intrecciarlo in base alle vostre preferenze. Quindi, parte del
rebranding dei Marvel Studios, della Marvel Television, della
Marvel Animation e persino di Marvel Spotlight è, credo, cercare di
dire al pubblico: ‘Puoi entrare ovunque’“.
Cosa ha detto Winderbaum sulla
interconnessione dei prodotti Marvel Television?
“Sono interconnessi ma non lo
sono“, ha continuato Winderbaum. “Non devi guardare A per
goderti B. Puoi seguire la tua felicità. Puoi seguire le tue
preferenze e trovare quello che vuoi all’interno dell’arazzo della
Marvel”.
Questo ha senso, dato che i
Marvel Studios hanno probabilmente iniziato a
chiedere troppo al loro pubblico casuale aspettandosi che
guardassero WandaVision
per capire il sequel di Doctor Strange o rendendo Loki una visione
essenziale per capire, beh, l’intera
Saga del Multiverso.
Tuttavia, ci saranno persone
deluse per la potenziale mancanza di connettività nel MCU in
futuro.
“Stiamo lentamente diminuendo
il volume e passando probabilmente a circa due serie televisive
all’anno invece di quelle che erano diventate quattro e riducendo
la nostra produzione cinematografica da forse quattro all’anno a
due, o al massimo tre”, ha dichiarato la scorsa settimana Bob Iger,
CEO della Disney. “E stiamo lavorando sodo su questo
percorso“.
E ha aggiunto: “Nel complesso,
mi sento bene per quanto riguarda lo slate. È qualcosa a cui mi
sono impegnato a dedicare sempre più tempo. La squadra è di grande
fiducia e la proprietà intellettuale che stiamo estraendo, compresi
tutti i sequel che stiamo realizzando, non è seconda a
nessuno”.
Spider-Man: No Way Home è stato il più grande film di
sempre della Sony Pictures, con un incasso di poco inferiore ai 2
miliardi di dollari al box office mondiale. Da allora, però, lo
studio ha realizzato due flop commerciali e di critica con
Morbius e Madame
Web.
“Penso che una programmazione
sana in futuro non sarà da una parte o dall’altra“, ha
esordito. “Avrà un equilibrio di grandi IP e solidi sequel.
Lasciatemi dire che quando arriverà l’ultimo film dello
Spider-Verse con Phil Lord e Chris Miller, sarà un evento
significativo, così come il prossimo film di
Tom Holland Spider-Man“.
“E quando tutte le storyline di
Karate Kid si riuniranno con Ralph Macchio e Jackie Chan e un nuovo
giovane karateka. Per quei fan, quello sarà un momento
significativo. Abbiamo questi momenti. Il terzo e ultimo Venom sarà
enorme“.
Sì, questa sembra essere la
conferma che Venom: The
Last Dance sarà l’ultimo film dedicato al
personaggio.
È interessante notare che Rothman
non ha menzionato Kraven
– il cacciatore. Si tratta dell’ennesimo film Marvel della Sony che si
preannuncia terribile (il primo trailer, caratterizzato da una
violenza eccessiva e da uno strano Rinoceronte in computer grafica,
ha ricevuto una risposta ampiamente negativa da parte dei fan).
Cosa ha detto il boss di Sony su
Spider-Man 4 ?
“Ho un consiglio molto pratico
su Spider-Man, e penso che ogni regista di Spider-Man ci
passi“, ha recentemente condiviso il regista della trilogia di
Spider-Man, Jon Watts, per chi sarà al timone di
Spider-Man 4. “Non è bello quando qualcuno si
dondola su una corda. Pensi che andrai lì e penserai: ‘Faremo tutto
in modo pratico. Prenderemo uno stuntman. Ci dondoleremo in
giro‘”.
“È noioso. Sembra stupido.
Sembra una scimmia che si dondola su una liana quando si mette
qualcuno solo su una corda. Non sprecate il vostro tempo. Questo è
il mio consiglio al prossimo regista di Spider-Man“.
Oltre a
Tom Holland,
Zendaya dovrebbe riprendere il suo ruolo di MJ. Si
vocifera che Sydney Sweeney possa interpretare Black
Cat, mentre Scorpion e persino gli
Spider-Slayer sono stati presi in considerazione come
cattivi di Spider-Man 4. Al momento, sembra che
The Kingpin sia il più indicato. Al momento,
il ruolo di
The Kingpin sembra essere certo, se si crede agli
scoop dei social media.
Il film non ha ancora una data di
uscita, anche se ci aspettiamo che arrivi nelle sale il prossimo
anno. Tuttavia, con il passare delle settimane, questo sembra
sempre più improbabile, dal momento che non si sa ancora nulla su
un regista o una data di inizio della produzione.
Durante la Star
Wars Celebration dello scorso aprile a Londra, il
regista di Indiana Jones
e il Quadrante del Destino James Mangold ha confermato
l’intenzione di andare in una Galassia molto, molto lontana per
raccontare la storia del Primo Jedi.
Sebbene sia stato rivelato che
questo film di Star Wars
sarà ambientato circa 25.000 anni prima degli eventi de La minaccia fantasma, da allora sono stati
condivisi pochi aggiornamenti. Probabilmente perché il regista di
Logan
è attualmente
impegnato nelle riprese del suo biopic su Bob
Dylan.
Parlando con SFX, il produttore di
Rogue
One: A Star Wars Story e The
Acolyte, Simon Emanuel, ha potenzialmente rivelato un
nuovo titolo per un film a cui ci siamo riferiti come Dawn of the
Jedi.
“Jedi Prime di James Mangold è
ambientato migliaia e migliaia di anni prima [della trilogia
originale]“, ha detto, “e sono davvero entusiasta di
vedere cosa succede lì“.
Jedi Prime? Non solo è un nome
molto bello, ma potrebbe avere importanti implicazioni per il film
stesso. Lo Jedi Prime è apparso per la prima volta
sotto forma di mosaico in
Star Wars: Gli ultimi Jedi del 2017. L’immagine è
stata creata dal concept artist Seth Engstrom e ispirata
all’iconografia taoista dello yin e dello yang, l’equilibrio tra le
dualità.
Tutto ciò che sappiamo è che il
Primo Jedi è stato il primo Jedi a usare la Forza
e ha fondato l’Ordine Jedi su Ahch-To. Questo è il personaggio su
cui Mangold si concentrerà ed è qualcuno di cui Lucasfilm sembra
voler rivelare di più da un po’ di tempo (originariamente,
David Benioff e D.B. Weiss erano impegnati in una
trilogia sul Primo Jedi della Galassia).
Perché James Mangold ha accettato
di raccontare una storia di Star Wars?
L’anno scorso, Mangold ha spiegato
cosa lo ha spinto a raccontare una storia ambientata migliaia di
anni prima di qualsiasi altro film o serie televisiva di Star
Wars.
“Quando ho parlato con alcuni
dei chierici di Star Wars che tengono traccia di tutte queste linee
temporali, mi sono chiesto ‘Allora, quando sarebbe successo
questo’. E loro mi hanno risposto ‘25.000 anni prima di Episodio
I’, e io ho pensato ‘Oh, stavo cercando una certa distanza, ma
questa è la distanza’. Lo farò, potrei trovare Charlton Heston in
una stazione della metropolitana abbandonata, ma lo farò“.
“La realtà per me è che quella
sensazione di spazio, non è un gioco di parole, era qualcosa che
sentivo davvero importante non per allontanarmi dal fan service o
dalle complessità di ciò che George aveva impostato e sognato”, ha
proseguito, “ma per avere semplicemente lo spazio per raccontare
una storia e non essere immediatamente ingombrato dalle basi che
devi colpire“.
“Che, onestamente, non c’è modo
di spiegare alla gente se non dicendo che è come quel gioco che
facevamo da bambini, ‘Twister’. A un certo punto ci si trova in un
groviglio, perché si cerca di trovare il modo di raccontare una
storia con tutti i vincoli possibili“.
Star Wars: L’alba dello
Jedi non ha ancora una data di uscita confermata, anche se
non ci aspettiamo di vederlo nelle sale prima del 2027 o del
2028.
Degli uccelli si librano in volo
nella prima immagine di Bird, il nuovo film della
regista inglese Andrea Arnold,
presentato in concorso al Festival di Cannes 2024.
Il nostro osservarli nella loro completa libertà è però ostacolato
dall’inferriata di un ponte, che ci comunica dunque come il
desiderio di potersi unire a quel volo sia di fatto negato. È
questa la condizione vissuta dalla protagonista, Bailey, nuova
giovane eroina del cinema della Arnold dopo Mia Williams in
Fish Tank (2009) e Star in American
Honey (2016). Su di lei e sulla sua bramosia di spiegare
le ali la Arnold costruisce dunque un nuovo meraviglioso racconto
di formazione, con la grazia e la vitalità che da sempre la rendono
una regista unica nel suo genere.
Per condurci in questo nuovo viaggio
dall’infanzia all’adolescenza, la Arnold torna poi in quella
periferia residenziale già teatro dei suoi primi lavori: il già
citato Fish Tank e l’opera d’esordio Red Road
(2006), ma anche con i cortometraggi Dog (2001) e
Wasp (2003, con cui ha vinto l’Oscar). Dopo la parentesi
statunitense con American Honey, ritrova infatti in
questi luoghi tutti gli elementi di cui ha bisogno per produrre un
cinema istintivo, che non si preoccupa di mostrare la brutalità di
certi ambienti e dei figli che sviluppa, i quali però si dimostrano
in grado di sognare la libertà oltre lo squallore che li circonda.
Spiccare il volo, in altre parole, anche se per imparare a farlo
occorre il coraggio di lanciarsi nel vuoto.
La trama di Bird: imparare a volare
Protagonista di
Bird è dunque Bailey (Nykya
Adams), una ragazza di 12 anni che vive con il padre Bug
(Barry
Keoghan) e il fratello Hunter (Jason
Buda) in una casa abusiva nel Kent settentrionale. Bug non
ha molto tempo per i suoi figli, dato che sta per risposarsi con
Peyton (Jasmine Jobson) e pertanto Bailey, che si
sta avvicinando alla pubertà, cerca attenzioni e avventure altrove.
Le trova nello stravagante Bird (Franz Rogowski),
un giovane dal misterioso passato in cerca dei suoi genitori.
Nell’aiutarlo a trovarli, Bailey avrà modo di spiccare quel volo
tanto desiderato.
Crescere in periferia
Bailey guarda dunque gli uccelli
volare nel cielo e li invidia per la loro libertà, lei che è invece
costretta a vivere in una casa (o meglio, un intero palazzo) a dir
poco malmessa: graffiti sui muri, cianfrusaglie ad ogni angolo,
mosche morte alla finestra, porte pericolanti, il suo letto che non
è altro che un materasso poggiato sul pavimento e un padre distrato
dai propri discutibili affari. Fuori da lì, un quartiere
dimenticato da Dio e da chi dovrebbe averne cura, abbandonato al
degrato, all’abbruttimento e per tanto senza nessuna concreta
prospettiva di futuro per i più piccoli ma anche per i loro
genitori, tutti poco più che ragazzi.
Per raccontare il disagio e la
precarietà di questa vita Arnold segue Bailey da vicinissimo con
una camera a mano, che se da un lato ci restituisce tutta la sua
instabilità emotiva, dall’altro conferisce alle immagini e al
racconto di cui si fanno portatrici una contagiosa carica di
vitalità. È sorprendente come la regista dimostri di non aver
minimamente perso né diminuito il suo entusiasmo per questi
racconti e i loro protagonisti, riportandoli al pubblico con la
stessa energia che potrebbe avere un o una giovane regista
esordiente ed entusiasta.
Attraverso Bailey, Arnold ci conduce
dunque alla scoperta di un mondo e delle sue regole, dove si cresce
troppo in fretta e soprattutto da soli. Un mondo sul quale la
Arnold non ci inganna: non è bello, per niente, ma la sincerità con
cui viene riproposto al pubblico riesce ad ogni modo a farlo
sembrare affascinante e molto più sincero di contesti più
benestanti. E proprio come avveniva in Fish Tank – di cui
Bird sembra essere in tutto e per tutto un
fratello gemello – i luoghi diventano naturalmente altro oltre
quello che ci appare in primo luogo, facendosi specchio dell’anima
di una protagonista che non può più attendere per spiccare il suo
primo volo.
Bailey e Bird
Bailey è infatti pronta a scoprire
la propria identità, a diventare una donna, a prendere coscienza
del proprio ruolo nel mondo. La sua trasformazione – naturalmente –
avviene soprattutto a livello fisico e se inizialmente sembra quasi
difficile stabilire se sia una ragazza o un ragazzo (per via degli
abiti che indossa, del taglio dei capelli), progressivamente
sboccia la sua natura femminile, prima attraverso l’uso del trucco
e infine con l’arrivo del primo ciclo mestruale. Tappe di un
percorso che la giovane è costretta in buona parte a compiere da
sola, con noi come suoi testimoni e unici confidatari.
Oltre agli spettatori, il suo angelo
custode diventa però Bird, giovane in cerca delle proprie radici
che ha continuamente bisogno di elevarsi sopra le cose per capire
dove si trovi nel mondo. Un personaggio che non ha bisogno di
troppe spiegazio o di un solido background, facendosi piuttosto
portatore di quel desiderio di ricercare le proprie origini, a
partire dalle quali si può ancor meglio definire la propria storia
e la propria identità. Bird non è solo l’angelo custode di Bailey,
ma diventa per lei l’ispirazione a spignersi più in là di quanto
aveva mai osato fare.
Andrea Arnold realizza un nuovo
emozionante coming of age
Prende così forma un coming of
age del miglior tipo, di quelli che non nascondono le
difficoltà dell’esistenza dei protagonisti, riuscendo a catturare
il meglio e il peggio di quel delicatissimo momento di transizione
della vita di ognuno di noi quale è il passaggio dall’infanzia
all’adolescenza. Arnold ci riesce rimanendo fedele a questi
personaggi e alle loro emozioni, trattandoli tutti con la stessa
dignità, da Bailey allo stravagante Bird e fino all’esuberante Bug.
Per questi ultimi due, in particolare, la regista si affida a due
attori molto noti che si mettono completamente al servizio dei loro
personaggi restituendone tutta l’umanità di cui, nel bene o nel
male, sono dotati.
Diventa così molto facile
appassionarsi e lasciarsi commuovere dalle loro avventure e
disavventure, potendo ritrovare con molta facilità – pur con le
dovute differenze – pensieri e stati d’animo che possono essere
stati propri di ognuno di noi a quell’età. Un età in cui ogni
novità fa paura e può sembrare la fine del mondo, quando basterebbe
semplicemente avere accanto chi ti sussurrà che non c’è motivo di
preoccuparsi, che tutto andrà bene. Nel far ciò – e grazie anche ad
una straordinaria scelta di brani musicali – Bird
si conferma uno dei coming of age più emozionanti visti di recente, capace
di rimanere con lo spettatore ben oltre la sua conclusione.
In occasione della presentazione
del suo primo lungometraggio di finzione alla Settimana della
critica di Cannes
77, Ghost Trail, il regista Jonathan
Millet ci ha raccontato la genesi di questo progetto, uno
spy thriller che trasuma umanità rielaborando alcuni codici del
genere spy thriller. Protagonista della pellicola è
Hamid, membro di un’organizzazione segreta che dà
la caccia ai criminali di guerra, vaga da solo per la Francia e la
Germania alla ricerca del suo persecutore. Con l’intensa e
spettrale interpretazione di Adam Bess, Ghost Trail è un film di spionaggio intimo,
avvincente e sensoriale, la cui potenza ricorda i classici film di
cospirazione americani degli anni ’70.
“Ho fatto molte ricerche,
parlato con tantissimi rifugiati siriani, che mi hanno parlato
della loro vita, della prigione, di tutto ciò che succedeva dentro
e poi mi sono imbattuto nella storia dei prigionieri di Saydanaya.
Ero certo che questo era il film che volevo fare, prendendo tutto
quello che avevo messo da parte per il documentario. Ho ricevuto
delle testimonianze talmente profonde che sapevo che avrei usato i
mezzi della finzione per portare queste storie al pubblico”,
ha raccontato Millet sulla nascita del progetto.
Una scena di Ghost Trail (Credits: Semaine de la Critique –
Festival de Cannes)
“Ho passato molto tempo in
Siria, prima della guerra, quindi mi ha dato un personal link. Ho
molti amici lì che mi hanno mandato foto e video della guerra.
Passare tanto tempo all’estero è stata la mia scuola di cinema. Mi
ha insegnato come filmare le persone, come sfruttare la realtà per
esprimere una verità. Per
Ghost Trail abbiamo girato molto in vere location, qualcosa che
la crew mi aveva detto essere impossibile ma, dopo tanti tè e tante
chiacchiere, sono riuscito a convincere di lasciarmi girare lì e
con tutte le vere persone“.
Per quanto riguarda il
giocare con i codici dello spy movie e del
documentario: “Mi sono approcciato allo spy movie nel
momento in cui gli esiliati mi hanno detto che non potevano dire il
loro nome perchè avevano raccontato una storia diversa per ottenere
la visa, che avevano paura. Volevo raffigurare l’intensità e il
rischio e sapevo di voler fare un film di genere. Adoro i film di
spionaggio ma non si può dire che siano stati una vera ispirazione
nel processo, perchè volevo fare il mio film, centrandolo su un
punto di vista umano. Viviamo tutto attraverso gli occhi di
Hamid, non c’è un punto di vista spettacolare,
solo alcune scene che rimandano effettivamente al genere. Ad
esempio, il grande scontro finale tra i due eroi, in questo caso,
il climax del mio film sono due uomini seduti su una sedia che
parlano della vita e, a un certo punto, uno dice che se ne deve
andare. Ho voluto lavorare soprattutto col montaggio e il sonoro
per far pensare allo spettatore: “wow, questa è la battaglia più
grande che abbia mai visto“.
Il processo di
casting è stato molto lungo, Millet ha
dichiarato di essere stato alla ricerca di un attore con specifiche
caratteristiche, e così ha trovato Adam Bess:
“Ha l’intensità e l’interiorità che stava cercando, volevo
qualcuno che semplicemente stando seduto riuscisse a trasmettere un
ampio spettro di emozioni, che si sentissime il suo corpo tremare.
Doveva essere credibile il fatto che ha vissuto la cosa peggiore
del mondo ma non è in grado di dirlo: ci doveva essere una
connessione immediata. Abbiamo lavorato molto sui dettagli e sulla
gestualità, come un uomo che è stato in prigione tiene in mano un
bicchiere, come si siede, il pubblico doveva capire che c’era
qualcosa di rotto in lui ma senza dirlo mai“.
“Volevo trasformare i miei
personaggi in eroi del cinema per rendere omaggio a queste storie
di esilio di cui avevo sentito parlare e che avrebbero fatto
impallidire qualsiasi sceneggiatore di film d’avventura. La prima
cosa che mi ha colpito della storia di questi esuli è l’urgenza e
la modernità“, ha svelato Millet.
Ci sono state molte speculazioni su
chi detiene i diritti del franchise de Il Signore degli
Anelli. L’anno scorso, la New Line Cinema ha rinnovato la
licenza di 25 anni con la Middle-earth Enterprises, una società ora
di proprietà dell’Embracer Group.
La società ha immediatamente
pianificato lo sviluppo di una nuova serie di film, il cui primo
film è stato recentemente confermato essere Il Signore degli Anelli: The Hunt for Gollum
di Andy Serkis.
Amazon, invece, ha negoziato
direttamente con la Tolkien Estate per i diritti
che la famiglia ancora deteneva al di fuori di New Line, MEE o
Embracer, spiegando perché
Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere è un
“prequel” dei film che vengono distribuiti in streaming e non nelle
sale.
È interessante notare che sia New
Line che Amazon possono ora utilizzare gli stessi personaggi… solo
in momenti diversi della loro vita. Parlando con Deadline, la
produttrice e scrittrice dei film Philippa Boyens
ha affrontato il tema dei potenziali contrasti con la serie
Prime Video.
“C’è abbastanza spazio per
molte persone che possono esistere all’interno di questo
spazio“, ha detto. “Non abbiamo mai voluto essere i
guardiani della Terra di Mezzo. A volte gli altri ti mettono in
quella posizione, ma noi non ci sentiamo così. Onestamente, non ho
visto nulla di tutto ciò. Non ho voluto guardare troppo, perché non
volevo essere influenzato“.
“Ma penso che sia un’epoca
fantastica, come scelta. La realizzazione degli anelli del potere è
un pezzo brillante di narrazione. È un’epoca fantastica, piena di
personaggi affascinanti“.
“Abbiamo il diritto al Signore
degli Anelli e alle appendici, e basta”, ha chiarito Boyens. “Mi
piacerebbe che si ampliasse se ci fosse l’opportunità di farlo, ma
c’è così tanto in quei tre libri… guardate la Guerra dei Rohirrim.
È una pagina e mezza a prima vista nei libri. Ma ci sono molti fili
conduttori in tutto il libro”.
Quali altre storie potremo vedere
al cinema de Il Signore degli Anelli?
Avendo a disposizione solo i libri
principali, i film de Il Signore degli Anelli si
limiteranno a espandere piccoli momenti come questo in storie per
il grande schermo, il che significa che molto di ciò che vedremo in
futuro dovrà essere in gran parte materiale originale.
Questo non significa che racconti
come La guerra dei Rohirrim non valgano la pena di
essere esplorati, secondo Boyens.
“La Guerra dei Rohirrim si
colloca 200 anni prima degli eventi dell’Anello, ed è davvero una
storia a sé stante“, dice. “È stata una delle ragioni per
cui sono arrivato a quella storia quando stavamo cercando di fare
qualcosa che si adattasse all’anime. Volevamo fare qualcosa che non
avesse nulla a che fare con gli anelli del potere, Sauron, la Torre
Oscura o i maghi“.
“È la storia di un popolo che
si sta distruggendo. Quindi mi è sembrato davvero adatto, non solo
per l’anime, ma anche per una nuova forma d’arte quale è l’anime, e
per cercare di raccontare una storia basata sulla Terra di Mezzo
senza toccare i film live action, se questo ha senso”.
La Settimana della Critica a
Cannes
77 si apre con un thriller di spionaggio di cui
sentiremo parlare parecchio nel corso dell’anno. Ghost
Trail (Les fantômes), coproduzione
franco-belga-tedesca, diretto da Jonathan
Millet, è un teso racconto di spionaggio ambientato
sullo sfondo della crisi dei rifugiati della guerra siriana, con
una coinvolgente interpretazione del protagonista Adam
Bessa, nei panni di un professore che, durante la guerra
civile siriana, è stato detenuto nella terribile prigione-mattatoio
di Saydnaya, dopo il suo rilascio è fuggito in Europa e, qualche
anno dopo, è in cerca di un connazionale a Strasburgo.
Con Ghost Trail,
il regista francese Jonathan Millet, che ha
lavorato a film e brevi documentari sulla frontiera di Ceuta,
sull’Antartide o sulla scomparsa della lingua Taushiro
nell’Amazzonia peruviana, dà una lezione di rigore formale e
drammatico nel raccontare quello che è essenzialmente un thriller
di spionaggio senza alcun tipo di sensazionalismo.
Millet presenta una brillante opera prima che,
sotto la copertura della storia di un’organizzazione segreta alla
ricerca di un ex criminale di guerra siriano, affronta in modo
appropriato il sentimento dell’esilio.
Ghost Trial, alla ricerca
di un uomo-fantasma
Hamid
(Adam Bessa) ha perso la sua famiglia durante la
guerra in Siria. Dopo aver lasciato Saydnaya, è fuggito in Europa,
ma sua madre vive in un campo profughi in Libano. Conduce
un’esistenza anonima e dignitosa a Strasburgo mentre cerca
criminali di guerra in fuga, collaborando con un gruppo di
vigilantes con cui si organizza durante partite di un videogioco di
guerra. Con una fotografia in mano, Hamid gira per
i cantieri e i centri di accoglienza di Strasburgo alla ricerca
della sagoma sfocata di un uomo. Non si tratta di un parente, come
la sceneggiatura rivela gradualmente con grande sottigliezza, ma di
Harfaz, un ex torturatore siriano che, senza mai
mostrarsi, ha torturato decine di oppositori del regime.
Hamid, ex vittima di Harfaz e membro di
un’organizzazione segreta di cittadini siriani che perseguono i
criminali di guerra, fa ricadere i suoi sospetti su uno studente
dell’Università di Chimica.
Perseguitato dal suo aguzzino,
Hamid diventa a sua volta uno spettro e, in un
gioco di doppi dalla scrittura elegante, segue il sospettato passo
dopo passo nella sua vita quotidiana. Come un morto tra i vivi,
Hamid osserva il riflesso antitetico di una vita
opposta alla sua, perché a differenza sua, il potenziale
Harfaz, interpretato da un notevole
Tawfeek Barhom, si è integrato perfettamente in
questa nuova vita a Strasburgo.
Dialogare in silenzio, scovando il
colpevole
Vediamo Hamid per la prima volta
spalare macerie a Strasburgo ma, nel corso di Ghost
Trail, verrà chiesto al personaggio scavare nel fango in
un modo completamente diverso, quando viene reclutato da un gruppo
di siriani esiliati come lui, che cercano di portare giustizia a
coloro che hanno perpetrato crimini di guerra dispersi all’estero.
Hamid viene incaricato di trovare Sami
Hamma, un noto torturatore che si pensa si sia trasferito
in Europa, e piuttosto che farlo sentire in pericolo, almeno
fisicamente, inseguendo il bruto, Millet lascia
che la ricerca di Hamid riveli la paura pervasiva
che esiste tra la diaspora, dato che pochi sono disposti a
rispondere alle sue domande mentre visita i centri di accoglienza,
non volendo fidarsi di nessuno dopo quello che hanno vissuto. Anche
tra il gruppo per cui lavora, Hamid avverte una
certa reticenza mentre si reca in un internet café e fa rapporto
con la scusa di un gioco online multigiocatore di massa in cui
tutti possono mantenere le distanze mentre conversano senza essere
visti.
Hamid esiste nel passato
Bessa interpreta
in modo accattivante ed enigmatico un personaggio che non riesce a
essere pienamente se stesso con nessuno, dalla madre a cui deve
assicurare che sta bene quando chiaramente non lo è, a
Yara (Hala Rajab), una compagna
rifugiata di cui si guadagna la fiducia quando entrambi riescono a
citare la letteratura siriana presentandosi come ex professore, ma
non possono rivelare cosa stia facendo ora. Sebbene
Hamid sia paralizzato dal passato, Ghost
Trail ha lo sguardo fisso su quanto sia complicato il suo
futuro, facendo impallidire il teso inseguimento di un fuggitivo
rispetto alla ricerca di chi sia dopo lo sfollamento.
Ghost Trail tratta
anche con grande empatia il tema dell’esilio e tutte le difficoltà
che comporta l’adattamento a un altro paese dopo un tale trauma. In
diverse occasioni, ad esempio, crediamo che stia nascendo una
potenziale storia d’amore tra il protagonista e una ex studentessa
di medicina, anch’essa rifugiata, ma Jonathan
Millet smentisce le nostre aspettative mostrando i limiti
sociali e relazionali posti da tali traumi. C’è qualcosa di
fondamentalmente rotto dentro Hamid, che cerca di tenere tutto
insieme dopo l’esplosione di una bomba che ha tolto la vita a sua
moglie e a sua figlia, e nel riflettere un’esperienza frammentata
in cui i pezzi saranno sempre mancanti, il regista costruisce in
modo inventivo un insieme potente.
Finora, LOKI
è l’unica serie Disney+ basata sulla Marvel a ottenere una seconda stagione, ma ora le voci su possibili
nuovi rinnovi si stanno intensificando il che potrebbe essere
in programma una seconda stagione per un altro show popolare.
Secondo Daniel Richtman, si sta
discutendo di una seconda stagione di Ms.
Marvel, ma non è ancora stata presa una decisione
definitiva. Abbiamo sentito che Kamala Khan(Iman
Vellani) sarà un personaggio importante nel
MCU, quindi una seconda stagione del suo show
avrebbe senso. Detto questo, il debutto della Khan sul grande
schermo, The Marvels, ha avuto un rendimento molto
basso, e questo potrebbe influenzare la decisione della
Marvel/Disney.
In modo piuttosto controverso per i
fan di lunga data del personaggio, Khan è stata rivelata come
mutante nel finale della
prima stagione, riconvertendo il suo status di
Inumano dai fumetti.
Questa nuova origine è stata presto
trasferita sulla pagina (anche se mantiene la sua natura inumana),
con Khan che è diventato l’ultimo membro degli X-Men, e questa è la direzione in cui
Iman Vellani vorrebbe vedere il suo personaggio se
dovesse avere l’opportunità di riprendere il ruolo.
Durante un’intervista rilasciata a
ComicBook.com nel 2023, a
Iman Vellani è stato chiesto quale super-squadra le
piacerebbe di più vedere Kamala nel MCU.
“Sul grande schermo? X-Men. Non
credo sia una risposta sbagliata. Penso che gli X-Men siano così
forti e che la rendano davvero un mutante legittimo e che tutti gli
oppositori non possano più dire di no“.
Richtman ha anche condiviso un
aggiornamento sulla serie Nova,
di cui vi abbiamo parlato ieri. L’insider ha saputo
che il “giovane protagonista” attualmente ricercato è in
realtà un ventenne, il che significa che il personaggio potrebbe
essere Richard Rider e non l’incarnazione moderna
dell’eroe spaziale, Sam Alexander.
Ms. Marvel vanta un punteggio Rotten Tomatoes
del 98%, anche se non sappiamo ancora quante persone hanno visto la
serie Disney+ di 6 episodi. Con
questo in mente, quando
Iman Vellani tornerà nel MCU, ci aspettiamo che faccia
parte di un ensemble in un progetto come Young
Avengers.
“Ms.
Marvel è una nuova serie originale che presenta
Kamala Khan, un’adolescente americana musulmana che cresce a Jersey
City”, si legge nella sinossi aggiornata dello show. “Kamala è
un’appassionata di videogiochi e una vorace scrittrice di
fanfiction, è una mega fan dei supereroi con un’immaginazione
smisurata, in particolare quando si tratta di Capitan Marvel.
Eppure Kamala si sente inadeguata a scuola e a volte anche a casa,
fino a quando non ottiene i superpoteri come gli eroi che ha sempre
ammirato. La vita migliora con i superpoteri, giusto?”.
Ms. Marvelè interpretato anche da
Aramis Knight, Saagar Shaikh, Rish Shah, Zenobia Shroff,
Mohan Kapur, Matt Lintz, Yasmeen Fletcher, Laith Nakli, Azhar
Usman, Travina Springer e Nimra Bucha.
Dopo un paio di settimane intense
che ci hanno visto ricevere aggiornamenti quasi quotidiani su
Deadpool &
Wolverine, ultimamente è tutto tranquillo. Ora, però,
i Marvel Studios hanno
pubblicato nuove foto dietro le quinte che mostra il regista
Shawn Levy e le star Hugh
Jackman (Wolverine) e
Ryan Reynolds (Deadpool) sul set di Time Variance
Authority del trequel.
I costumi colorati spiccano e,
ancora una volta, non c’è traccia della maschera di Logan.
O è presente in Deadpool &
Wolverine solo per una o due scene o è stato deciso
che coprire il volto di Hugh Jackman
nei materiali di marketing non è una mossa saggia.
“Tutti pensavano che il ritorno
di Hugh fosse il risultato di me o di Ryan che lo assillavamo o lo
sollecitavamo senza sosta“, ha detto recentemente Levy a
proposito del ritorno di Jackman nei panni di Wolverine. “Ma
ancora più miracolosamente, questo è stato il risultato di
un’epifania di Hugh Jackman. Voleva fare questo team-up di Logan e
Deadpool, e quindi è stata davvero una telefonata che ha aperto il
cielo e che ha cambiato tutto“.
“Si tratta ancora di Wade che
ha a che fare con alcuni problemi, ma si tratta molto di due
personaggi, due eroi e due uomini tormentati sollevati insieme in
un viaggio condiviso“, aggiunge il regista.
“Essendo un film a due mani,
una storia di petrolio e acqua, questo film trae ispirazione dai
grandi film di quel genere. Ciò significa tutto, da Fuga di
mezzanotte [1988] e 48 ore [1982] a Rain Man [1988] e Planes,
Trains and Automobiles [1987], queste missioni che accoppiano una
coppia di personaggi male assortiti. La gioia che proviamo come
pubblico nel vedere il rapporto che si evolve“. Ecco le foto
di seguito:
Deadpool &
Wolverine riunisce il protagonista Ryan Reynolds con Shawn Levy, regista di
Free
Guy e
The Adam Project, che ha firmato la regia dell’atteso
progetto. Hugh Jackman
uscirà finalmente dal suo pensionamento da supereroi per riprendere
il ruolo di Wolverine. Sebbene i dettagli
ufficiali della storia di Deadpool &
Wolverine, con protagonista Ryan Reynolds,
non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama
riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la
serie di film di Deadpool – l’unica parte del
franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione della Fox da
parte della Disney – è stabilire che i film di Reynolds si siano
svolti in un universo diverso.
Ciò preserva i film degli X-Men della Fox nel loro universo, consentendo al
contempo a Deadpool e Wolverine, di nuovo interpretato da Hugh Jackman,
viaggiare nell’universo principale dell’MCU. Nel film saranno poi presenti anche personaggi
presenti nei primi due film di Deadpool, come Colossus e
Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera che anche
altri X-Men possano fare la loro
comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della
Marvel comparsi sul
grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben
Affleck.
Una voce recente afferma che anche
Liev Schreiber
sia presente riprendendo il suo ruolo Sabretooth. Di certo,
Morena Baccarin
(Vanessa), Karan Soni (Dopinder), Leslie
Uggams (Blind Al), Rob Delaney (Peter) e
Shioli Kutsuna (Yukio) torneranno tutti nei panni
dei rispettivi personaggi, e a loro si uniranno i nuovi arrivati in
franchising Emma Corrin (The Crown) e Matthew
Macfadyen (Succession), i cui ruoli sono ancora
segreti. Un recente report afferma inoltre che la TVA di Loki,
incluso l’agente Mobius (Owen Wilson) e
Miss Minutes, saranno coinvolti nel film. Deadpool &
Wolverineuscirà nei cinema il 26 luglio
2024.