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Thor: Love and Thunder, rivelata una scena tagliata con protagonista Zeus

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Con Thor: Love and Thunder in arrivo su Disney+ l’8 settembre, una nuova scena eliminata è stata rivelata e protagonisti di questa sono Thor (Chris Hemsworth), Jane (Natalie Portman) e, in modo ancor più decisivo, Zeus (Russel Crowe). Questa scena presenta una versione alternativa di un momento molto toccante tra Thor e Jane in ospedale. I due, tuttavia, vengono interrotti quando si rendono conto che Zeus stesso è in piedi dietro di loro a mangiare un gelato. In contrasto con lo Zeus che i fan hanno visto nel montaggio definitivo del film, qui il personaggio sembra essere commosso dalla vicenda tra Jane e Thor e si offre di aiutare il Dio del tuo, dicendogli che ha qualcosa di speciale per lui.

Dal momento che non è stato fornito alcun contesto aggiuntivo sulla scena eliminata, rimane in dubbio cosa avesse in serbo esattamente Zeus per Thor. Alcuni hanno ipotizzato che il dio greco intendesse dare a Thor il suo leggendario Fulmine, piuttosto che farselo rubare come avviene nel film. La scena eliminata offre però anche un lato più umano e comprensivo di Zeus, che nel film appare invece come arrogante e amareggiato nei confronti degli altri protagonisti. Il dio greco interpretato da Crowe si è affermato come uno dei personaggi più apprezzati del film e le rivelazioni offerte da questa scena tagliata portano a chiedersi se non ci sia altro di lui rimasto fuori dal film.

Oltre a questa versione alternativa del personaggio di Zeus, sappiamo però dell’esistenza di materiale tagliato realitivo dio greco Dioniso interpretato da Russell Beale, come anche di altri personaggi significativi quali The Grandmaster di Jeff Goldblum e l’introduzione di Lena Headey (Il Trono di Spade) in un ruolo non specificato. Tuttavia, ad oggi non è noto se in futuro verranno rilasciate anche altre scene eliminate da Thor: Love and Thunder.

Fonte: Collider

James Bond: una nota attrice potrebbe tornare anche nel prossimo film

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L’ultimo film ad ora uscito della saga di James Bond, No Time To Die ha concluso l’avventura di Daniel Craig nei panni dell’amato agente 007. Mentre si cerca di scoprire chi raccoglierà questa pesante eredità, assumendo i panni del personaggio ideato dallo scrittore Ian Fleming, una nota attrice dell’ultimo film ha lasciato aperta la porta ad un suo possibile ritorno anche nei prossimi lungometraggi della saga. Si tratta della francese Lea Seydoux, che ha recitato nei panni di Madeleine Swann nei film Spectre e, appunto, No Time To Die. Le dichiarazioni che seguono, rilasciate dall’attrice, contengono uno spoiler particolarmente importante sul finale dell’ultimo film. Se non si è ancora visto questo, è bene evitare di continuare la lettura.

Nel corso di un’intervista con Deadline, la Seydoux ha fatto notare come il finale di No Time to Die lasci la porta aperta affinché possa riprendere il suo personaggio nonostante il suo James Bond si sia ritirato dal franchise. “Dopotutto, non sono morta”, ha spiegato l’attrice. “E’ morto James, non Madeleine. Quindi, chissà? Forse tornerò. È come una fake news, giusto? Ma se siamo seri per un momento, Madeleine se ne va con sua figlia proprio alla fine perché James li ha salvati. Ci sarà un nuovo Bond perché quello di Daniel è morto, ma chi può dire che Madeleine non tornerà?”.

Ad oggi non ci sono notizie di alcun genere sul prossimo film della saga, se non ché, come affermato dalla produttrice Barbara Broccoli, sarà una completa reinvenzione del personaggio di Bond. Potrebbero dunque volerci anni prima che qualcosa a riguardo venga confermato, a partire dal nuovo interprete che assumerà i panni del personaggio. Ciò che sappiamo, però, è che nel futuro della saga potrebbe ancora esserci posto per Madeleine, un personaggio molto amato dai fan.

Fonte: Deadline

Indiana Jones 5: John Williams svela il brano “Helena’s Theme”

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Indiana Jones 5: John Williams svela il brano “Helena’s Theme”

Quando si pensa ai compositori di colonne sonore per il cinema, il primo nome che viene in mente è senza ombra di dubbio quello di John Williams. Autore delle musiche di film del calibro di Lo squalo, E.T. – L’extraterrestre, Guerre Stellari, Indiana Jones, Schindler’s List e innumerevoli altri, Williams è anche una delle personalità più premiate di sempre, basti pensare ai suoi 5 Oscar su 52 candidature. Ancora oggi egli continua ad impreziosire numerosi lungometraggi con le sue meravigliose musiche e il prossimo film in cui si potranno ascoltare le sue nuove composizioni è l’atteso Indiana Jones 5.

Ancora senza un titolo ufficiale, il film sarà il quinto capitolo nella serie di Indiana Jones. Harrison Ford riprenderà nuovamente il ruolo dell’iconico avventuriero, mentre accanto a lui ci saranno Mads Mikkelsen e Phobe Waller-Bridge, con dei ruoli ancora non rivelati. Anche se atteso in sala per il 2023, il film inizia piano piano a svelare sempre qualcosa di più su sé stesso. Un nuovo dettaglio a riguardo l’ha rivelato proprio Williams, il quale nel corso di un suo concerto al Hollywood Bowl ha eseguito il brano Helena’s Theme, relativo dunque al personaggio interpretato dalla Waller-Bridge.

“Stavo chiacchierando con il nostro meraviglioso regista James Mangold. – ha annunciato Williams nel corso del concerto – Mentre registravamo la musica, Jim ha detto: ‘Perché non la suoni al Bowl la prossima settimana?’ Ho detto: ‘Beh, Jim, il film non uscirà prima del prossimo anno.’ “Non importa! Suonala al Bowl!” Quindi, ecco a voi il tema di Phoebe”. Il video dell’esecuzione poi diffuso online ha permesso anche a chi non era presente di poter ascoltare il brano, il quale descrive in musica il personaggio di Helena. Questo è stato anticipato come “un’avventuriera” e “una femme fatale”, e Williams ha aggiunto che il suo tema include “musica lirica come per una vecchia star del cinema, a cui assomiglia”.

Fonte: Slashfilm

Halloween Ends: il regista svela i film a cui si è ispirato per concludere la trilogia

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C’è grande attesa per il film Halloween Ends, il capitolo conclusivo della nuova trilogia dedicata al celebre assassino Michael Myers. Dopo Halloween e Halloween Kills, questo terzo film è ora atteso in sala il 20 ottobre. Nel preparare i fan a tale lungometraggio horror, il regista David Gordon Green ha svelato i tre film a cui si è maggiormente ispirato per concludere questa sua trilogia. Come noto, questa ha totalmente ignorato i precedenti sequel e remake per dar vita invece a dei sequel diretti del primo Halloween, diretto nel 1978 da John Carpenter.

Riprendendo la trama 40 anni dopo, si ritrova dunque Laurie Strode (interpretata come sempre da Jamie Lee Curtis) chiamata a confrontarsi nuovamente con il suo acerrimo nemico, con in più l’obiettivo di proteggere sua figlia Karen e la nipote Allyson. Per il gran finale, Green ha ora dichiarato di essersi ispirato a due horror e, inaspettatamente, ad una commedia per famiglie. I film in questione sono Christine – La macchina infernale, l’horror del 1983 diretto da Carpenter e basato sull’omonimo romanzo di Stephen King, Butcher, Baker, Nightmare Maker, lo slasher del 1981 di William Asher e la commedia del 1980 My Bodyguard, di Tony Bill.

L’essenza della storia di quest’ultimo riguarda lo scoprire la propria forza interiore e imparare a resistere ai propri antagonisti. Non bisogna dunque aspettarsi che Halloween Ends acquisisca toni comici, ma è più probabile che il regista abbia preso spunto a livello tematico, in particolare per quanto riguarda My Bodyguard, per mostrarci una Laurie Strode che trova la forza e il modo di opporsi al suo rivale di lunga data, magari tirando fuori aspetti di sé ancora inesplorati. Per scoprire in che modo la storia si concluderà, non resta dunque che attendere il 20 ottobre, magari recuperando prima di quel momento i tre film citati dal regista.

Fonte: ScreenRant

Blade: ecco quando inizieranno le riprese del film

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Blade: ecco quando inizieranno le riprese del film

Atteso in sala per il 3 novembre 2023, il del Marvel Cinematic Universe Blade ha finalmente una data precisa di inizio e fine riprese. Queste si svolgeranno infatti dal 5 ottobre fino al 28 gennaio 2023. Tra le location ad ora annunciate vi sono Atlanta, New Orleans, Cleveland, e il Marocco. Come noto, il film introdurrà nel MCU il personaggio del vampiro Blade, che sarà interpretato dal due volte premio Oscar Mahershala Ali. Si tratta di uno dei progetti più attesi della Fase 5, sia per il suo tono tendente all’horror sia per i notevoli cambiamenti narrativi che il progetto potrebbe apportare all’interno universo cinematografico della Marvel.

Diretto da Bassam Tariq, del film si sa ancora molto poco se non che esplorerà la natura del personaggio, un vampiro in grado di camminare alla luce del sole che usa i suoi poteri per dare la caccia ai suoi simili malvagi. Il personaggio era già stato raccontato al cinema con i film Blade, Blade II e Blade: Trinity, dove ad interpretare il personaggio vi era l’attore Wesley Snipes. La scelta di Ali per assumere ora tale ruolo sembra aver messo d’accordo tutti, con l’attore indicato perfettamente idoneo sia a livello estetico che di carisma.

Il Blade di Ali, come noto, ha già avuto un suo piccolo ingresso nell’MCU. Sua è infatti la voce che si può ascoltare nella scena post titoli di coda del film Eternals, quella in cui compare anche l’attore Kit Harington e la celebre Lama d’Ebano, che a sua volta sembra comparirà in Blade. Con il periodo di riprese annunciato, è solo questione di tempo prima che inizio ad arrivare ulteriori notizie sul film, sia per quanto riguarda il cast sia per quanto riguarda il look del protagonista e dell’opera in sé.

Fonte: CBR

Deadpool 3: Morena Baccarin parla del suo possibile coinvolgimento nel film

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Tra i film del Marvel Cinematic Universe più attesi dai fan vi è Deadpool 3, terzo capitolo della serie di film dedicati al celebre mutante brillantemente interpretato da Ryan Reynolds. Attualmente in fase di sviluppo, il film non ha però una data di uscita certa e ancora non ha trovato un suo posto né nella Fase 5 né nella Fase 6. Poco dunque si sa del film, a parte il fatto che riunirà Ryan Reynolds con il regista Shawn Levy e i loro frequenti collaboratori Rhett Reese e Paul Wernick, il duo di sceneggiatori che attualmente sta lavorando alla riscrittura della sceneggiatura. Quando si tratta del  ritorno di personaggi, tutto è invece ancora aperto, incluso il potenziale ritorno della Vanessa di Morena Baccarin.

Il personaggio, che nei primi tre film aveva il ruolo di compagna del mercenario Deadpool, è stato tragicamente fatto morire nel secondo film. Ciò sembrava precludere ogni possibilità di rivedere Vanessa anche nel terzo capitolo, ma le cose potrebbero non andare esattamente così per lei. Intervistata a riguardo la Baccarin ha inizialmente affermato che “non ne ho idea. Stanno scrivendo la sceneggiatura proprio ora e di solito sono l’ultima a scoprire qualcosa”. Nel corso dell’intervista, però, l’attrice ha aggiunto che grazie ai viaggi nel tempo visti in Deadpool 2 un ritorno in scena di Vanessa non è da escludere.

“Quando abbiamo girato il secondo film, sarei dovuta rimanere morta, ma poi hanno effettivamente cambiato alcune cose per includere questo elemento del viaggio temporale, e penso sia stato il segno che i fan vogliono rivedere Vanessa. Che accada o meno, però, non dipende da me”. Sappiamo bene quanto Deadpool sia profondamente innamorato di Vanessa, quindi non è da escludere che anche nel terzo film egli tenterà di rivederla. Per poterne avere certezza, però, bisognerà attendere ulteriori notizie relative a Deadpool 3 e al suo cast.

Fonte: ComicBook

Festival di Venezia: foto dal red carpet con Brendan Fraser e Sadie Sink

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Ecco tutte le foto dell’ultimo red carpet della giornata, The Whale, l’atteso nuovo film di Darren Aronofsky che vede protagonisti con Brendan Fraser, Sadie Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha.

La trama

Un solitario insegnante inglese affetto da una grave forma di obesità cerca di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente, con la quale ha perso i contatti, per un’ultima possibilità di redenzione.

Il commenti del regista

Il cinema può metterci in contatto con gli altri, indipendentemente da quanto possano apparirci diversi in superficie. Le persone che lottano con l’obesità sono spesso giudicate, respinte ed etichettate. Quando otto anni fa ho visto lo spettacolo di Sam Hunter, mi sono meravigliato della profondità dei suoi personaggi, soprattutto di Charlie, e mi è venuta l’ispirazione di usare il grande schermo per mettere il pubblico nei panni di Charlie, per immergermi nei suoi pensieri più profondi, nei suoi rimpianti e nelle sue speranze. Ma dove avrei trovato il mio Charlie? Avevo bisogno di un grande talento che potesse risplendere attraverso il trucco, un attore con un cuore immenso e un’anima pura. Non appena incontrai Brendan, capii immediatamente che avevo trovato il mio protagonista. In lui vi è qualcosa di ineffabile che dà vita al personaggio e ci trasporta – mente e cuore – in ciò che avrebbe potuto essere inconoscibile.

Venezia 79: oggi The Banshees of Inisherin e Don’t worry darling

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Venezia 79: oggi The Banshees of Inisherin e Don’t worry darling

Passato il giro di boa a Venezia 79 oggi è il grande giorno di Martin McDonagh che porta in concorso Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) con protagonisti  Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon, Barry KeoghanFuori concorso invece sarà presentato l’opera seconda da regista di Olivia Wilde, Don’t worry darling, con protagonisti Florence Pugh, Olivia Wilde, Chris PineGemma Chan, Nick Kroll, Harry Styles.

La trama di Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin)

Ambientato su una remota isola al largo della costa occidentale dell’Irlanda, The Banshees of Inisherin segue le vicende di due amici di vecchia data, Padraic e Colm, che si ritrovano in un’impasse quando Colm decide bruscamente di porre fine alla loro amicizia. Padraic, sbalordito, non accetta questo rifiuto e tenta di ricucire la relazione, aiutato dalla sorella Siobhan e da Dominic, un giovane isolano tormentato. I ripetuti sforzi di Padraic, tuttavia, non fanno che rafforzare la determinazione dell’ex amico e, quando Colm lancia un disperato ultimatum, gli eventi precipitano rapidamente, con conseguenze scioccanti.

La trama di Don’t worry darling

Alice e Jack vivono nella comunità idealizzata di Victory, la città aziendale sperimentale che ospita gli uomini che lavorano al progetto top-secret Victory e le loro famiglie. L’ottimismo della società degli anni Cinquanta, propugnato dall’amministratore delegato Frank – in egual misura visionario aziendale e life coach motivazionale – caratterizza ogni aspetto della vita quotidiana nell’affiatata utopia del deserto. Mentre i mariti trascorrono ogni giorno all’interno del quartier generale del Victory Project, lavorando allo “sviluppo di materiali avanzati”, le loro mogli – tra cui l’elegante compagna di Frank, Shelley – possono trascorrere il loro tempo godendosi la bellezza, il lusso e la dissolutezza della loro comunità. La vita è perfetta, con tutti i bisogni dei residenti soddisfatti dall’azienda. Tutto ciò che chiedono in cambio è discrezione e impegno indiscusso per la causa di Victory. Ma quando iniziano ad apparire delle crepe nella loro vita idilliaca, mostrando sprazzi di qualcosa di molto più sinistro che si nasconde sotto la facciata attraente, Alice non può fare a meno di chiedersi esattamente cosa stiano facendo a Victory, e perché. Quanto è disposta a perdere Alice per svelare ciò che sta realmente accadendo in questo paradiso?

Il commento di Olivia Wilde

Questo film è la mia lettera d’amore a quel cinema che supera i confini della nostra immaginazione. È ambizioso, ma penso che abbiamo realizzato qualcosa di molto speciale. Immaginate una vita in cui avete tutto quello che desiderate. Non soltanto le cose materiali o tangibili come una bella casa, auto meravigliose, cibo delizioso e feste a non finire, ma anche le cose veramente importanti: l’amore vero con il partner perfetto, gli amici migliori e una vita con uno scopo significativo. Che cosa vi farebbe rinunciare a tutto questo? Cosa sacrifichereste per fare la cosa giusta? Sareste disposti a smantellare il sistema che è stato progettato al vostro servizio? Questo è il mondo, e la domanda, di Don’t Worry Darling.

L’immensità: le foto dal red carpet di Penelope Cruz, Emanuele Crialese e…

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E’ stato presentato in concorso a 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, L’immensità, il nuovo film del regista Emanuele Crialese che sarà accompagnato con la sua protagonista, la bellissima Penelope Cruz. Il film, prodotto da Wildside (Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa), Chapter 2 (Dimitri Rassam), Warner Bros. Entertainment Italia, Pathé, (Ardavan Safaee), France 3 Cinema, vede nel cast anche Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti.

Ecco tutte le foto dal red de L’immensità

La trama del film L’Immensità

Roma, anni Settanta: un mondo sospeso tra quartieri in costruzione e varietà televisivi ancora in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli, su cui Clara riversa tutto il proprio desiderio di libertà. Adriana, la più grande, ha appena compiuto dodici anni ed è la testimone attentissima degli stati d’animo di Clara e delle tensioni crescenti tra i genitori. La ragazza rifiuta il suo nome, la sua identità, vuole convincere tutti di essere un maschio e questa ostinazione porta il già fragile equilibrio familiare a un punto di rottura. Mentre i bambini aspettano un segno che li guidi, che sia una voce dall’alto o una canzone in tv, intorno e dentro di loro tutto cambia.

Il commento del regista

L’Immensità è il film che inseguo da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla memoria che aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro relazione con una madre che poteva prendere vita solo nell’incontro, artistico e umano, con Penélope Cruz, con la sua sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima. Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come tali sempre intensamente e immensamente veri.

Michal Vinik racconta Valeria is getting married, presentato a Orizzonti Extra

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Presentato a Orizzonti Extra nell’ambito di Venezia 79, Valeria is getting married racconta la storia di una ragazza che accetta un matrimonio combinato pur di avere una vita migliore, ma quando si allontanerà da casa e comincerà a lavorare e a esse indipendente, capirà che forse il matrimonio non è l’unica strada per una donna. Abbiamo incontrato Michal Vinik, regista, che ci ha parlato della la genesi del film e di quello che aveva intenzione di raccontare.

Chi è Valeria? “Una giovane donna ucraina che cerca per sé una vita migliore. Vede la sorella cercare di far Leo stesso e cerca di fare lo stesso”. 

Da dove è venuta l’ispirazione per la storia? “Ho camminato a lungo con il personaggio di Cristina, la sorella, ma poi sono incappata in questo fenomeno dei matrimoni combinati, e mi sono interessata principalmente alle figure maschili, agli uomini. Ho letto diverse chat di queste persone, ho anche partecipato a diverse chat di uomini con i quali per me è stato difficile connettermi. Credo siano persone che non trovano il loro posto nel mondo e cercano di ottenere ciò che possono. A volte pensano che prendere una moglie da un altro paese non sia una cattiva idea. Così la storia ha preso forma.”

Il film si pone in maniera molto equilibrata rispetto ai fatti che mostra, non prende le parti di nessuno, giusto? “Ho cercato di non giudicare nessuno, io scrivo e dirigo. Ho cercato di trovare un equilibrio, perché nessuno pensa a se stesso come al cattivo della storia. Per esempio, prendi le persone che mangiano carne, si vedono come persone buone, ma se chiedi a un maiale magari la risposta è diversa! Ho cercato di difenderli e mi sono sentita anche colpevole in merito. Ma volevo dire qualcosa sulle relazione tra uomo e donna in un mondo governato da uomini”.

Valeria is getting married si avvale di una grande ricchezza linguistica, come ha gestito questo aspetto? “Non dirigerò mai più un film in una lingua che non capisco e parlo fluentemente. È stato molto complicato per me, c’è l’ucraino, il russo, l’inglese e l’ebraico. Sono stata molto aiutata dagli attori e dal personale sul set. Alla fine ci siamo divertiti, perché l’inglese è universale mentre l’ebraico è la nostra lingua madre, mentre russo e ucraino sono la lingua delle nostre attrici. E credo che il risultato sia stato molto autentico.”

Che tipo di società è quella che si affida ai matrimoni combinati? “I matrimoni combinati si verificano intorno a noi, continuamente. In tutto il mondo, non è una pratica che non è illegale. Queste persone si incontrano in rete, su Skype magari, poi magari il matrimonio fallisce nel 90 % dei casi. Ma non è una pratica illegale, nessuno viene rapito!”

Nel film c’è un riferimento ad Anna Karenina, come mai proprio quel romanzo? “Abbiamo cercato di farlo apparire come un vecchio film russo, abbiamo usato delle vecchie lenti per le riprese e tutti i riferimenti culturali dei personaggi sono riferiti alla cultura russa e ucraina. Tutte le foto nella casa del film appartengono all’attrice, quando viveva in Ucraina.”

Pearl: recensione del film di Ti West con Mia Goth

Pearl: recensione del film di Ti West con Mia Goth

Prima che Dorothy la percorresse nel 1939, una giovane del Kansas si è lasciata catturare dalla luminescenza della strada di mattoni gialli di Oz, e vi ha consegnato tutta la sua anima. Ti West e Mia Goth hanno presentato fuori concorso a Venezia 79 Pearl, prequel di X – A Sexy Horror Story uscito nelle sale italiane a marzo, e incentrato sulla figura della temibilissima villain del film, che vi immergerà in uno spettacolo di technicolor e disillusioni taglienti come un’accetta.

Come si diventa una villain terrificante?

Ambientato nel 1918, all’epoca della pandemia di influenza spagnola e della Prima Guerra Mondiale, il film esplora le origini di Pearl, il personaggio malvagio di X. Sentendosi intrappolata nell’isolata fattoria di famiglia, Pearl ha il compito di occuparsi del padre malato e in coma, mentre è sottoposta al duro controllo della crudele madre. La giovane sogna di poter prendere parte alla vita glamour che ha visto rappresentata nei film di Hollywood, ma le sue ambizioni e le dure repressioni imposte dalla madre la renderanno tutt’altro che una candida perla.

La sceneggiatura di Pearl è stata scritta a due mani da Ti West e Mia Goth e, al di là del fulcro tematico che sapevamo già essere la backstory della villain di X, capiamo immediatamente che questo film è costruito su Mia Goth. Solo un’attrice così accattivante e al contempo capace di scatenare una furia omicida a cui non possono essere imposti freni sarebbe stata in grado di dare vita a un personaggio vittima di un contesto sociale e famigliare ostile, dalla psicologia completamente deviata, ma profondamente divertente.

Pearl: la prima vera donna di Ti West

Pearl è il film più femminile, camp e divertente di Ti West. Il personaggio di Mia Goth potrebbe benissimo abitare l’House of The Devil che il regista ha accuratamente dipinto nel film del 2009, ma potrebbe stupirci anche in uno spettacolo di cabaret e farci morire dalle risate. Non solo: nella sua totale artificiosità, Pearl riesce a trovare un appiglio con il presente, dando vita a uno dei pochi – se non nulli – horror pandemici che hanno trovato distribuzione in Italia e attingendo al contesto bellico solo per ciò che è funzionale al racconto della backstory di una villain. Quello che Pearl diventerà in X è il risultato di un’educazione rigidissima ma, soprattutto, dell’isolamento imposto tanto da chi le sta accanto e teme per lei quanto dalla costrizione di comportarsi come “angelo del focolare” mentre gli uomini sono andati in guerra e vi è un’epidemia terribile in corso.

Il personaggio di Pearl terrorizzerà in X ma, paradossalmente, in questo prequel è l’unica a non avere mai paura. Pearl guarda al futuro con speranza, vuole partire per l’Europa, che le regalerà cultura e spettacolo, lasciarsi alle spalle un’ambientazione paesana che non offre futuro a chi manifesta curiosità e talento. Solo rifugiandosi al cinematografo o nella vastità della campagna, Pearl può librarsi in altissimo, dove rifulge quella stella a cui ha affidato il sogno di “diventare la più grande star del mondo”, per poter fuggire molto, molto lontano.

La regia di Ti West segue i pensieri forsennati di Pearl, che ne dettano differenti approcci alla fisicità: passiamo da sequenze oniriche a soluzioni di montaggio agilissime, ci perdiamo tra la vivacità di colori che segna la visione del mondo di Pearl e la rigidità di una responsabilità ingombrante che vieta di sognare. L’integerrima madre tedesca di Pearl indossa abiti vittoriani, è legata a un’idea di Europa completamente opposta a quella della figlia, su cui riversa ogni frustrazione di un equilibrio famigliare che si è ormai rotto da tempo e il modo in cui viene “raccontata” la vita in casa è totalmente contrapposto alle soluzioni visive ideate per esplorare la mente di Pearl.

X – A Sexy Horror Story porterà una giovane stella nascente del cinema porno alla vecchia casa di Pearl. Pearl guarderà Maxime con avidità, cercando di succhiarle via tutto il talento che lei aveva ed è andato sprecato. Sembra impossibile che la coloratissima Pearl possa tramutarsi in una presenza spettrale in X – A Sexy Horror Story e l’averne già la consapevolezza rende il viaggio di Pearl ancora più mesto. Ma non temete: se la Pearl di X vi spaventa, potete sempre tornare indietro e guardare il mondo con gli occhi della Pearl giovane, una piccola Dorothy a cui sono state sottratte le scarpette rosse.

Ti mangio il cuore: le foto dal red carpet di Venezia 79

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Ti mangio il cuore: le foto dal red carpet di Venezia 79

Ecco tutte le foto dal red carpet del film italiano Ti mangio il cuore, presentato alla 79esima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti. Oltre al regista presenti gli interpreti Francesco Patanè, Francesco Di Leva, Lidia Vitale, Brenno Placido, Tommaso Ragno, Michele Placido

La trama del film

Puglia. Arso dal sole e dall’odio, il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una terra arcaica da Far West, in cui il sangue si lava col sangue. A riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si opporrà con forza di madre a un destino già scritto.

Il commenti del regista

È tutta racchiusa nel titolo del film la doppia anima di questa storia, fatta di spietatezza e passione. Da un lato una società arcaica e feroce, dominata dalla violenza di leggi primitive che regolano antiche faide mafiose mai davvero estinte, dall’altro la forza dell’amore che sconvolge e sovverte, una scintilla che fa divampare una nuova guerra ma anche il desiderio di una vita diversa. Quella di Ti mangio il cuore è una storia archetipica che parla di amore, vendetta e morte, ma anche di una terra di prepotente bellezza, il Gargano, straziata e insanguinata da una mafia poco conosciuta e spietata. Un mondo in cui la spirale della violenza sembra travolgere tutto e distruggere anche l’amore, ma non Marilena, che non ha paura di vivere le proprie passioni, i propri desideri e non intende piegarsi a un destino già scritto. Perché un destino diverso è possibile.

Margini: intervista a Niccolò Falsetti, Francesco Turbanti e Zerocalcare

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Ecco la nostra intervista a Niccolò Falsetti, Francesco Turbanti e Zerocalcare, rispettivamente regista/sceneggiatore, attore/sceneggiatore e special thanks di Margini, l’unico film italiano selezionato nel Concorso della 37° Settimana della Critica a Venezia 79.

Margini, recensione del film di Niccolò Falsetti

Elodie: le foto del red carpet a Venezia 79

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Elodie: le foto del red carpet a Venezia 79

Elodie, la cantante al suo debutto al cinema come attrice incanta il red carpet di Venezia 79. L’artista ha accompagnato il cast del film del quale è protagonista: Ti mangio il cuore. Il film scritto e diretto da Pippo Mezzapesa vede protagonisti al fianco della cantante Francesco Patanè, Francesco Di Leva, Lidia Vitale, Brenno Placido, Tommaso Ragno, Michele Placido

Ecco tutte le foto di Elodie sul red carpet del Festival di Venezia

La trama del film

Puglia. Arso dal sole e dall’odio, il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una terra arcaica da Far West, in cui il sangue si lava col sangue. A riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si opporrà con forza di madre a un destino già scritto.

Margini: intervista ai protagonisti Emanuele Linfatti e Matteo Creatini

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Emanuele Linfatti e Matteo Creatini, protagonisti di Margini, raccontano com’è stato lavorare all’unico film italiano nella selezione ufficiale della 37° Settimana della Critica a Venezia 79.

Margini, recensione del film di Niccolò Falsetti

Emanuele Crialese presenta L’Immensità, il suo film più personale

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Presentato nel Concorso di Venezia 79, L’immensità è il nuovo film di Emanuele Crialese, con protagonista Penelope Cruz, e oggi protagonista al Lido. L’immensità, spiega Crialese, “è una storia che mi riguarda molto da vicino, è la mia storia in chiave poetica, sarebbe riduttivo definirlo il mio ‘coming out’, il pubblico penserebbe ad un film sulla transizione ma non è affatto così”.

Il film, che arriverà in sala il 15 settembre, è ambientato in una Roma “metafisica” degli anni ’70, e racconta la storia di una famiglia in cui la madre, infelice, cresce tre figli, la maggiore delle quali rifiuta il suo nome e la sua identità sensuale. In merito alla classificazione di genere, Crialese dice: “I tempi sono cambiati, ai giovani di oggi le classificazioni di genere non interessano più, in questo sono maestri, portatori di una nuova sensibilità, maschio, femmina, sono quel che sono, prima di tutto esseri umani”.

Il regista, che nel film non racconta solo se stesso ma anche la sua famiglia e sua madre, dice: “Sono figlio del mio tempo, ma i tempi oggi sono cambiati. Le famiglie vanno sostenute quando ci sono da fare certi percorsi, mia madre era da sola, non sapeva dove sbattere la testa. Ho cambiato la ‘a’ con la ‘e’ e ho dovuto lasciare un pezzo del mio corpo, ma io sono uomo e no, donna e no e voglio rimanere così e spero di non minacciare nessuno per questo”.

Siamo di fronte al film più personale nella carriera del regista: “L’Immensità – spiega infatti Emanuele Crialeseè il film che inseguo da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla memoria che aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro relazione con una madre che poteva prendere vita solo nell’incontro, artistico e umano, con Penelope Cruz, con la sua sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima. Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come tali sempre intensamente e immensamente veri”.

“I temi che mi appassionano sono sempre quelli: la donna, i bambini, la migrazione, la transizione. Poi invento storie per raccontare quelle situazioni. Ho dovuto aspettare, per acquisire consapevolezza di me, del mio percorso, del linguaggio cinematografico. Le cose bisogna raccontarle quando si sa parlare, si è capace di esprimersi. Questa storia per me ha rappresentato una rinascita”.

Elodie racconta il suo esordio al cinema in Ti mangio il cuore

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Elodie racconta il suo esordio al cinema in Ti mangio il cuore

Era uno dei momenti più attesi di Venezia 79, l’esordio di Elodie al cinema con Ti Mangio il Cuore, di Pippo Mezzapesa, nella selezione di Giornate degli Autori. La cantante dà corpo e voce alla prima pentita della mafia foggiana, un personaggio, quello di Marilena, di cui ha detto di essere orgogliosa. 

C’è il rischio che l’attenzione sul suo esordio al cinema possa togliere luce e spazio al film?

“Da tempo avevo pensato che sarebbe stato bello fare un’esperienza da attrice – risponde Elodie – ma attendevo la magia, una storia che mi colpisse e che mi desse la possibilità di fare qualcosa di diverso da quello che faccio quando canto.” E così è nata la volontà di interpretare Marilena. “La sceneggiatura mi ha mostrato un personaggio bello e autentico, molto sfaccettato. Marilena è una donna vera, e ho pensato che fosse pretenzioso da parte mia voler interpretarla ma era anche molto interessante. Ho accettato di parlare con lei, anche perché mi consentiva di andare molto più in profondità rispetto al solito, dal momento che faccio musica di intrattenimento, principalmente. Lidia Vitale mi ha aiutata tanto sul set e non era scontato che un’attrice tanto navigata potesse avere la voglia di starmi accanto e di aiutarmi.”

Elodie 2022
Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Di Marilena, personaggio ispirato alla prima collaboratrice di giustizia appartenente alla mafia foggiana, Elodie ha detto: “Sarei orgogliosa di ciò che ha fatto una donna del genere, lei che ha scelto la vita per il bene dei suoi figli, ha deciso di non stare a certi schemi, di uscire da un loop. Sarei orgogliosa.”

E rispetto al lavoro di attrice che ha inaugurato proprio con questo film, la popstar italiana ha detto: “Con questo lavoro, ho scoperto delle cose di me, anche grazie agli altri, ai miei colleghi e alle collaborazioni. Lavorare insieme ti permette di scoprirti, mi sono trovata più volte in difficoltà e ho trovato persone che mi hanno sostenuta intorno a me. Mi piacerebbe replicare l’esperienza, ma sempre scegliendo con attenzione i progetti e starci dentro, immergermi. Potrebbe diventare un ottimo modo di lavorare su me stessa e fare terapia.”

Darren Aronofsky e Brendan Fraser presentano l’enorme The Whale, in concorso a Venezia 79

Darren Aronofsky, Brendan Fraser e Sadie Sink hanno presentato in anteprima a Venezia 79 il nuovo film del regista, The Whale. Visibilmente emozionati per il ritorno del regista al Festival dopo Madre! (2017), il cast ha raccontato il loro lunghissimo viaggio – durato quasi 10 anni – per produrre il film.

Aronofsky ha raccontato come si è approcciato per la prima volta al testo teatrale di The Whale. “Ho letto il copione e lo volevo fare subito. Negli ultimi anni abbiamo perso così tanto e il cinema è soprattutto una questione di possibilità: questo è un grandissimo momento per me. Mi ricordo benissimo che lessi una recensione dello spettacolo teatrale sul New York Times, sono andato a vederlo subito, mi sono commosso. Ho voluto poi mettermi in contatto con l’autore Samuel D. Hunter e abbiamo discusso le possibilità di adattare questo film su schermo. Tutti i personaggi sono così ricchi e umani, era un bellissimo copione per poter lasciare fluire la mia immaginazione“.

Il movimento nello spazio gioca un ruolo fondamentale in The Whale: la storia si svolge all’interno di un’ambientazione claustrofobica, che tiene quasi come prigioniero questo uomo gigante. Cosa ha spinto Aronofsky ad interessarsi a un dramma molto più emotivo e contenuto rispetto al suo stile? “Ho iniziato con 20mila dollari per fare il primo film, quelli che sembrano limiti in realtà stimolano soltanto di più quello che fai. Ero interessato non solo all’ambientazione in uno spazio chiuso ma anche a un uomo che non poteva muoversi facilmente. Impari sempre di più da questi personaggi, pian piano metti insieme i pezzi, è una sceneggiatura che ti accende il cervello, sapevo che questo copione avrebbe interessato il pubblico“.

La mobilità fisica di Charlie è limitata al suo spazio vitale, che è sostanzialmente il divano. La sua storia è raccontata a porte chiuse, ma c’è una luce nell’oscurità. Lui manifesta il suo trauma tramite il fisico. Ho dovuto imparare a muovermi in modo nuovo, sentivo le vertigini alla fine di ogni giorno di prova, questo mi ha fatto apprezzare ancora di più il mio corpo. Devi essere una persona molto forte mentalmente per poter abitare un corpo come questo“, ha aggiunto Fraser. “Penso che Charlie sia il personaggio più eroico che io abbia mai interpretato. Questo è il suo viaggio. Tra tutti gli eroi che ho interpretato, lui è L’EROE“.

Uno dei temi fondamentali di The Whale è il potere salvifico della letteratura, come ha spiegato l’autore del testo teatrale Samuel D. Hunter: Charlie cerca la verità in questa storia, ci sono delle verità brutali del suo passato che non può affrontare, ma deve farlo per salvare le persone vicino a lui. Volevo scrivere la storia di un insegnante di inglese che deve riconnettersi con la figlia e lo vuole fare anche tramite la letteratura”. “C’è tanto di me in questa sceneggiatura. Ho avuto un problema col cibo, ero un ragazzo gay in una scuola cattolica, volevo passare questa mia storia a qualcuno che ne avrebbe capito il senso di speranza e la fede nelle persone perchè è ciò che mi ha salvato“.

Per quanto riguarda il processo di casting per The Whale, Aronofsky ha raccontato che gli ci sono voluti quasi 10 anni per trovare l’interprete perfetto per Charlie. “Ho considerato ogni singola star sulla faccia della terra, ma nessuna mi ha convinto veramente. Poi ho trovato il trailer di un film brasiliano low budget in cui c’era Brendan. E ho capito tutto. Ci siamo incontrati ed è andato tutto benissimo. Sadie, invece, è la mia nuova giovane attrice preferita, ho avuto i brividi dal primo momento in cui si sono incontrati questi due e hanno letto il copione.

Le persone non sono in grado di non preoccuparsi per gli altri. Questa è la prospettiva di vita di Charlie e credo che sia il miglior messaggio da lasciare al mondo in questo momento. Stiamo tutti andando verso la disillusione ma non dobbiamo farlo, dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro“, questo il messaggio finale che, secondo Darren Aronofsky, The Whale dovrebbe trasmettere.

Rebecca Zlotowski racconta il suo personale viaggio ne I figli degli altri, in concorso a Venezia 79

La regista Rebecca Zlotowski porta in concorso a Venezia 79 I figli degli altri, film basato su un’esperienza autobiografica e che mira a raccontare il tema della maternità da una prospettiva differente.

La trama de I figli degli altri ruota attorno a Rachel è una donna di quarant’anni, senza figli. Ama la sua vita: gli studenti del liceo in cui insegna, gli amici, il suo ex, le lezioni di chitarra. Quando si innamora di Ali, stringe un legame profondo anche con Leila, la figlia di quattro anni dell’uomo. Le rimbocca le coperte prima di dormire, se ne prende cura, le vuole bene come se fosse sua. Ma amare i figli degli altri è un grosso rischio.

Proprio partendo dal nucleo della sceneggiatura, la regista ha parlato del suo approccio a una storia tanto personale ma che riflette preoccupazioni e sentimenti universali. “Quando si parla di maternità, spesso si creano due fazioni: c’è chi ha fatto questa esperienza e dice che non si può vivere senza. Ma io volevo trasmettere il messaggio che puoi comunque voler sempre dire qualcosa come donna, puoi tracciare il tuo cammino anche senza avere figli. Ho cercato di trovare un equilibrio in termini di storytelling tra le diverse ideologie, che oggigiorno sono anche politiche. Il mio film ha comunque un’ideologia, e sta nel fatto che una donna può esistere anche senza dei figli, c’è una presa di posizione rispetto al fatto che una donna può realizzarsi anche senza figli. La scrittura è sempre un lavoro che cerca di mescolare elementi della quotidianità ed emozioni che potremmo provare: io ho voluto raccontare come sarebbe potuta essere la mia vita, se non fossi stata una regista“.

Abbiamo poi potuto sentire il parere degli attori protagonisti su una questione tanto dedicata, confrontando il punto di vista femminile a quello maschile. La protagonista Virginie Efira ha dichiarato: “Quando ho letto la sceneggiatura di Rebecca ho colto immediatamente la descrizione che voleva fare del momento di una vita della donna che non ho mai visto rappresentato al cinema e che corrisponde a una riflessione che ho fatto a livello personale. Stiamo parlando di qualcosa che appartiene a tutte le donne, fa parte di una sorte di desideri da parte di una donna che spesso si scontrano con l’impotenza e che si può anche esprimere senza avere figli, ma tramite un personaggio che è matrigna della figlia di un compagno. Ci sono tante domande nella sceneggiatura e non abbiamo bisogno di risposte: a me bastava riconoscermi in quelle domande“.

Ha poi proseguito Roschdy Zem: “Voglio condividere con voi l’emozione di sentirmi privilegiato di portare sullo schermo una storia così tipica del 21esimo secolo. Il fatto che una regista abbia avuto l’idea di questo progetto apre la porta a una nuova era della tradizione cinematografica. Ci sono una serie di soggetti e tematiche nuove nel cinema, mai state affrontate prima d’ora nel linguaggio cinematografico. Per me il futuro del cinema è femminile: o sarà donna o non sarà“.

Un aspetto interessante de I figli degli altri è l’indagine interiore anche di Leila, la bambina cui la nostra protagonista stringe un legame inedito. “É sicuramente difficile riuscire a tracciare un ritratto dei bambini nella loro ambivalenza all’interno di una storia. Da un lato sono una benedizione, dall’altro possono anche essere un peso nella vita, anche se sono degli esseri nei confronti dei quali noi proviamo un bene immenso. Alla base del fare un figlio c’è questo conflitto e io volevo mostrarlo. Può anche accadere che non piacciano i figli del compagno che ci scegliamo. Nel cinema siamo cresciuti vedendo rapporti idilliaci tra famiglie e figli. All’inizio del film io ho semplicemente tratteggiato l’innamoramento, volevo più che altro dare una caratterizzazione ai singoli personaggi, non soffermarmi sulla storia d’amore. Virginie è un’insegnante, ha un rapporto molto intimo con la figura infantile. Alla base, è una storia semplice ma arriviamo a coglierne tutte le sfumature“.

Nel film, incontriamo anche il regista Frederick Wiseman in un cameo inedito e Rebecca Zlotowski ha parlato del rapporto che si è instaurato nel corso degli anni tra i due: “Ci siamo incontrati su un ascensore a Venezia, io ero giudice di Orizzonti. Io avevo scarpe brillantinate, lui giganti e sportive. ‘Scarpe da regista’, mi dice lui, ‘Scarpe da regista’, ribatto io riferendomi alle mie. Ci siamo poi incontrati più volte, lui vive a Parigi. Mi è venuto in mente che lui ama recitare ed è una persona scherzosa, con un grande senso dell’umorismo. Gli è piaciuto moltissimo fare questo cameo assolutamente comico. Prima di fare la regista, sono stata insegnante di cinema, in particolare di documentari e mi piace pensare che questa figura possa essere definita come un ricercatore nel museo dell’uomo, mi piaceva l’idea che Wiseman rispecchiasse questo interpretando un ginecologo“.

Rebecca Zlotowski ha poi concluso con una riflessione molto profonda sul ruolo delle donne nella società odierna. “La posizione delle donne è cambiata lentamente ma negli ultimi sessant’anni abbiamo visto che ha assunto anche un importantissimo ruolo sociale, oltre che privato. Riusciamo a definirci in modo differente rispetto al ruolo materno che ci è stato tradizionalmente assegnato. Sicuramente, è ancora fin troppo diffusa l’idea dell’orologio biologico che scadrà, ma dobbiamo chiederci come vogliamo definirci rispetto alla vita che vogliamo fare. É il momento in cui dobbiamo dire che possiamo non volere figli, che l’aborto deve essere un diritto, anche se c’è tanto dolore in tutto ciò. Forse mi sento legittimata a dire questo perchè sono una donna francese e abbiamo solidi diritti. Ma voglio fare sentire la mia voce, questo film è una vera e propria lettera d’amore per tutte le persone che erano come me qualche anno fa“.

Il maestro giardiniere (Master Gardener): recensione del film di Paul Schrader

Presentato fuori concorso a Venezia 79, Il maestro giardiniere (Master Gardener) è il terzo e probabilmente ultimo capitolo di quella che potremmo definire una trilogia sulla dicotomia tra punizione e redenzione di Paul Schrader, iniziata con First Reformed e proseguita con il più recente The Card Counter. In particolare, Master Gardener si pone come riflessione ultima dell’autore sul potere redentivo dell’amore contro l’oscurità annichilente. Un nuovo esercizio di quel cinema trascendentale di cui Schrader si è confermato pioniere e concetto sviluppato nella sua famosa tesi di dottorato, “The Transcendental Style in Film“.

I fiori di un giardino psicologico

Master Gardener racconta la storia di Narvel Roth, il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. Si dedica tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e storica tenuta, quanto all’assecondare la sua datrice di lavora, la ricca signora Norma Haverhill. Quando la signora Haverhill gli chiede di assumere come nuova apprendista la sua bisnipote Maya, ribelle e problematica, il caos si insinua con prorompenza nella spartana esistenza di Narvel. Nel cast, Joel Edgerton (Narvel Roth), Sigourney Weaver (Mrs. Haverhill), Quintessa Swindell (Maya), Eduardo Losan (Xavier).

Con Master Gardener siamo di fronte a un corpus filmico che non funziona sulla base della prosecuzione di una storia, ma attraverso la ripetizione e la declinazione differente di archetipi narrativi e filmici già ben consolidati da Schrader. Una messa in scena ordinata e austera, personaggi che scovano la loro tridimensionalità attraverso un cammino sofferto che passa per il potere della catarsi cinematografica e del minimalismo tecnico.

Il maestro giardiniere (Master Gardener)

Master Gardener: l’ultimo saluto di Schrader

Laddove First Reformed e The Card Counter univano viaggi personali a temi scottanti – la crisi climatica nel primo caso, le ferite inflitte alla psiche yankee dalla lotta amorale contro il terrorismo globale – in Il maestro giardiniere (Master Gardener) questa cornice contemporanea non scompare, ma si fluidifica nello spettro visibilissimo della storia di un uomo profondamente tormentato dal passato.

Il razzismo radicato nella società america e l’esistenza di una parte dell’America che, dimenticata dal sistema, cerca rifugio nell’estremismo sono tematiche funzionali al delinearsi di un arco caratteriale estremamente controverso, che deve ricalcare le tracce del passato violento aggrappandosi a un’esistenza spartana, in cui la cura dell’Altro e l’insegnamento sono parte fondamentale di un cammino che conduce al messaggio forse più romantico che Schrader abbia mai posto su schermo.

È l’onnipresente voce fuori campo del protagonista a condurci poeticamente dentro di sè, raccontandoci come la resilienza fondante la vegetazione debba farci contemplare anche sulla nostra esistenza e, soprattutto, sopravvivenza. La storia di Narvel esiste nei confini della soggettività del suo personaggio ma si apre quanto mai alla speranza tramite l’incontro di psicologie inedite in Schrader, che si sofferma in maniera arguta su due diverse declinazioni del femminile, rappresentate da una rosa matura (Sigourney Weaver) e da un bocciolo di cui è necessario prendersi cura, nonostante le resistenze iniziali (Quintessa Swindell). Attraverso il ricongiungimento con la fisicità delle cose, la terra, la manualità, si curano non solo giardini ma anche anime. E proprio l’anima di Schrader sembra cavalcare con grandissimo affetto una sorta di seconda giovinezza, incapsulata dalla luminosità di Maya (Swindell).

Con First Reformed ci siamo chiesti se Dio, in ultima istanza, ci perdonerà; con The Card Counter siamo a passati a una riflessione ancora più intimista, se siamo in grado di perdonare noi stessi. In Il maestro giardiniere (Master Gardener), la risposta a queste domande trova soluzione nei legami e nella speranza più pura. “Non avrei mai voluto andarmene senza fare un film che dicesse al mondo ti voglio bene“, ha dichiarato Scharader. Nel silenzio contemplativo con cui Narvel si dedica alla scrittura privata, ci apriamo alla condivisione del saluto di un immenso Maestro, che consegna a una nuova generazione di attori le chiavi per aprire i giardini della sua eredità.

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere ha conquistato più di 25 milioni di spettatori nel mondo

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Amazon ha annunciato che Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere ha conquistato più di 25 milioni di spettatori nel mondo nel suo primo giorno, battendo tutti i record precedenti e divenendo il più grande debutto nella storia di Prime Video. La serie è stata lanciata in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori in tutto il mondo.

Jennifer Salke, head of Amazon Studios, ha dichiarato: “È in qualche modo appropriato che le storie di Tolkien – tra le più popolari di tutti i tempi e che molti considerano la vera origine del genere fantasy – ci abbiano condotto sino a questo momento d’orgoglio. Sono molto grata al Tolkien Estate – e ai nostri showrunner J.D. Payne e Patrick McKay, al produttore esecutivo Lindsey Weber, al cast e alla  crew – per il loro instancabile impegno collettivo e la loro sconfinata energia creativa. E sono le decine di milioni di fan che hanno visto la serie – chiaramente appassionati quanto noi della Terra di Mezzo – la reale misura del nostro successo”. Gli episodi de Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere saranno disponibili ogni settimana sino al finale di stagione del 14 ottobre su Prime Video.

La serie tv Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere di Prime Video porterà per la prima volta sugli schermi le eroiche leggende della mitica Seconda Era della storia della Terra di Mezzo. Questo dramma epico si svolge migliaia di anni prima degli eventi narrati in Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, e porterà gli spettatori in un’era lontana in cui furono forgiati grandi poteri, regni ascesero alla gloria e caddero in rovina, improbabili eroi furono messi alla prova, la speranza appesa al più esile dei fili, e uno dei più grandi cattivi usciti dalla penna di Tolkien minacciò di far sprofondare tutto il mondo nell’oscurità. Partendo da un momento di relativa pace, la serie segue un gruppo di personaggi, alcuni già noti, altri nuovi, mentre si apprestano a fronteggiare il temuto ritorno del male nella Terra di Mezzo. Dalle più oscure profondità delle Montagne Nebbiose, alle maestose foreste della capitale elfica di Lindon, all’isola mozzafiato del regno di Númenor, fino ai luoghi più estremi sulla mappa, questi regni e personaggi costruiranno un’eredità che sopravvivrà ben oltre il loro tempo.

La serie è guidata dagli showrunner ed executive producer J.D. Payne e Patrick McKay. A loro si uniscono gli executive producer Lindsey Weber, Callum Greene, J.A. Bayona, Belén Atienza, Justin Doble, Jason Cahill, Gennifer Hutchison, Bruce Richmond e Sharon Tal Yguado, e i produttori Ron Ames e Christopher Newman. Wayne Che Yip è co-executive producer e regista con J.A. Bayona e Charlotte Brändström.

Opera letteraria di fama mondiale premiata con l’International Fantasy Award e il Prometheus Hall of Fame Award, nel 1999 Il Signore degli Anelli è stato eletto dai clienti Amazon come il libro preferito del millennio e nel 2003 come il romanzo più amato di tutti i tempi nel Regno Unito nello show di BBC The Big Read. I libri de Il Signore degli Anelli sono stati tradotti in oltre 38 lingue e hanno venduto più di 150 milioni di copie.

Venezia 79: oggi è il giorno di Crialese con L’Immensità

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Venezia 79: oggi è il giorno di Crialese con L’Immensità

Oggi è il grande giorno di un altro regista italiano, al lido arriva in concorso alla 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, L’immensità, il nuovo film del regista Emanuele Crialese che sarà accompagnato con la sua protagonista, la bellissima Penelope Cruz. Il film, prodotto da Wildside (Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa), Chapter 2 (Dimitri Rassam), Warner Bros. Entertainment Italia, Pathé, (Ardavan Safaee), France 3 Cinema, vede nel cast anche Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti.

La trama del film L’Immensità

Roma, anni Settanta: un mondo sospeso tra quartieri in costruzione e varietà televisivi ancora in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli, su cui Clara riversa tutto il proprio desiderio di libertà. Adriana, la più grande, ha appena compiuto dodici anni ed è la testimone attentissima degli stati d’animo di Clara e delle tensioni crescenti tra i genitori. La ragazza rifiuta il suo nome, la sua identità, vuole convincere tutti di essere un maschio e questa ostinazione porta il già fragile equilibrio familiare a un punto di rottura. Mentre i bambini aspettano un segno che li guidi, che sia una voce dall’alto o una canzone in tv, intorno e dentro di loro tutto cambia.

Il commento del regista

L’Immensità è il film che inseguo da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla memoria che aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro relazione con una madre che poteva prendere vita solo nell’incontro, artistico e umano, con Penélope Cruz, con la sua sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima. Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come tali sempre intensamente e immensamente veri.

Paul Schrader e Joel Edgerton presentano Master Gardener, fuori concorso a Venezia 79

Paul Schrader e Joel Edgerton hanno presentato quest’oggi in anteprima fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 Master Gardener, “ultimo capitolo” della trilogia di film del regista, composta da First Reformed e The Card Counter.

È proprio con il chiaro parallelismao tra Master Gardener e i precedenti lavori di Schrader che Joel Edgerton ha introdotto il suo personaggio, dichiarando di percepirlo come un continuum dei protagonisti di First Reformed e The Card Counter: “Li unisce la stessa energia. Sono sicuramente stato ispirato dai suoi precedenti due film nella costruzione del mio personaggio. E’ stato un percorso totalmente diverso da ciò a cui sono abituato, ma mi sono voluto mettere nelle mani di Paul per poter esplorare me stesso da un punto di vista mentale più che fisico“.

L’attore ha anche raccontato come pensa si sia evoluta la riflessione sulla religione elaborata da Schrader nei tre film: “Master Gardener è un film che si basa meno sul concetto di religione e più su quello di etica: cosa la nostra memoria incapsula del passato e come ci rapportiamo a ciò che siamo stati. Quando si stringe un legame importante con un’altra persona – in questo caso una donna – si deve essere capaci di poter rivelare ogni parte di se. Dobbiamo sempre fare i conti con una parte del nostro passato, non possiamo lasciarci tutto alle spalle“.

Paul Schrader, che ha ricevuto quest’oggi 3 settembre 2022 il Leone d’Oro alla carriera, ha ricordato con emozione il momento in cui ha capito che avrebbe voluto dedicare la sua vita al cinema: “Devo tutto a Pickpocket (1959) di Robert Bresson: la mattina del marzo 1979 in cui lo vidi mi ha cambiato la vita. Non avevo interesse nel diventare un regista, ero un teologo ritirato, che si era lasciato alle spalle la chiesa. Dopo cinque minuti di visione, ho però realizzato così tante cose. Ho realizzato che si può raccontare tutto al cinema, anche i fatti più triviali. E’ lo stile che li unifica“.

Schrader ha deciso di rendere il personaggio di Edgerton un giardiniere, un uomo con un passato pesante alle spalle, perché riteneva che la professione fosse una “ricca metafora del bene e del male. “Da un lato, un suprematista bianco può dire: ‘Noi siamo i giardinieri, togliamo le erbacce’. Dall’altro lato, un umanista può ribattere: ‘Siamo giardinieri, noi piantiamo i semi e lasciamo germogliare le cose’. Entrambi gli esempi si servono della metafora del giardinaggio: una in senso positivo, l’altra in senso negativo”.

Joel Edgerton
Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Non avrei mai voluto concludere la mia carriera senza un film con cui dire ‘ti voglio bene’. Questa è una storia particolare, che farà probabilmente inc****re una porzione di afroamericani, che non accettano il ritratto di dinamiche del genere neanche del mondo dell’analogia e dell’immaginazione. Questo film è tutto un grandissimo “e se”. I personaggi non fanno per forza scelte plausibili. Un padre e una figlia si ritrovano, ma vanno anche a letto insieme. Il protagonista è conteso tra due idee di femminile completamente diverse tra di loro. Il corpo di Joel mi è servito come metafora in questo film. Siamo così abituati a vedere così utilizzato come metafora il corpo femminile, ma preferisce il corpo maschile. Joel ha il fisico da uomo degli anni ‘80“.

Master Gardener racconta la storia di Narvel Roth, il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. Si dedica tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e storica tenuta, quanto all’assecondare la sua datrice di lavora, la ricca signora Norma Haverhill. Quando la signora Haverhill gli chiede di assumere come nuova apprendista la sua bisnipote Maya, ribelle e problematica, il caos si insinua con prorompenza nella spartana esistenza di Narvel. Nel cast, Joel Edgerton (Narvel Roth), Sigourney Weaver (Mrs. Haverhill), Quintessa Swindell (Maya), Eduardo Losan (Xavier).

Venezia 79: le foto di Joel Edgerton, Sigourney Weaver e Paul Schrader

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Si è tenuta questa sera l’anteprima fuori concorso a Venezia 79 di Master Gardener, il nuovo film di Paul Schrader. Al grande regista newyorkese è stato attribuito a Paul Schrader, regista (Il collezionista di carteFirst ReformedIl bacio della panteraAmerican Gigolo) e sceneggiatore (Toro scatenatoTaxi DriverComplesso di colpaYakuza) statunitense, il Leone d’Oro alla carriera della 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia, che ha fatto propria la proposta del Direttore della Mostra Alberto Barbera. Paul Schrader sul red carpet è stato accompagnato dai suoi protagonisti,  Joel Edgerton e Sigourney Weaver.  Di seguito tutte le foto:

Fratello, dove sei?: tutte le curiosità sul film dei fratelli Coen

Sin dal loro esordio, avvenuto nel 1984 con Blood Simple, i fratelli Joel ed Ethan Coen si sono affermati con una serie di opere cinematografiche che coniugano genere e autorialità, presentando spesso e volentieri situazioni e personaggi grotteschi, a cui ogni etichetta o possibile definizione sembra stare stretta. Dopo aver realizzato negli anni Novanta celebri titoli come Barton Fink, Fargo e Il grande Lebowski, sono entrati nel nuovo millennio con Fratello, dove sei?, dove come al solito si mescolano elementi diversi, dalla commedia al drammatico, dall’avventura all’epica. Uscito in sala nel 2000, è ancora oggi uno dei loro film più amati.

L’idea per Fratello, dove sei? era tra le mani dei Coen già verso la metà degli anni Novanta. Entrambi sapevano di voler realizzare una satira moderna liberamente basata sul poema omerico l’Odissea, pur non avendolo mai letto. I due registi si ispirarono infatti solo agli eventi divenuti più noti attraverso la cultura popolare per dar vita ad un racconto satirico nei confronti della politica e delle campagne elettorali negli Stati Uniti. Lo stesso titolo del film è un riferimento alla pellicola del 1941 I dimenticati, in cui un regista aspira a girare un film intitolato Fratello, dove sei? in cui dar vita ad un commento storico sulla condizione moderna dell’essere umano.

Il film venne inizialmente considerato un’opera minore dei Coen, ma negli anni ha poi acquistato il valore che gli spetta, forte anche di diversi riconoscimenti tra cui una nomination agli Oscar come miglior sceneggiatura non originale. Per gli appassionati dei Coen, è un film imprescindibile. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla colonna sonora. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Fratello, dove sei?: la trama del film

La storia si svolge nel Mississippi all’inizio degli anni Trenta, nel pieno della Grande depressione. Ulysses Everett McGill, Delmar O’Donnell e Pete Hogwallop sono tre galeotti riusciti miracolosamente ad evadere dai lavori forzati. Sotto la guida di Ulyssess, l’unico dei tre con un po’ di buon senso e capacità oratorie, i fuggiaschi si mettono alla ricerca del tesoro da un milione di dollari nascosto prima di essere arrestati. Tale somma è stata sepolta nei pressi di un fiume dove ora sta per essere costruita una diga e ciò spinge i tre ex galeotti a doversi sbrigare per arrivare lì prima che il denaro sia irrecuperabile. Da quel momento, prima di arrivare a ciò che cercano, i tre vivranno una sequenza di imprevedibili incontri e rocambolesce avventure, fino a trovare molto più di quel che cercavano.

Fratello, dove sei?: il cast del film

Per il ruolo di Ulysses Everett i due registi avevano da subito pensato all’attore George Clooney, con il quale desideravano lavorare da tempo. Lo stesso Clooney non vedeva l’ora di recitare in un loro film, accettando la parte senza neanche voler prima leggere la sceneggiatura. L’attore decise poi di far leggere quessta ad un suo zio del Kentucky, sperando di comprendere meglio il personaggio attraverso la lettura di un uomo di campagna. Poiché lo zio è un devoto Battista, egli omise tutte le parolacce. Arrivato sul set, Clooney si trovò così a scoprire un lato inaspettato del personaggio. Egli si esercitò poi anche nel canto per settimane, ma alla fine si decise di farlo doppiare per le scene dove il suo personaggio canta.

Nel ruolo del lestofante Pete Hogwallop vi è invece l’attore John Turturro, qui al suo quarto film insieme ai Coen dopo Crocevia della morte, Barton Fink e Il grande Lebowski. Tim Blake Nelson, da qui in poi divenuto anch’egli un attore ricorrente nel cinema dei Coen, era il vicino di casa di Joel e quando ricevette la sceneggiatura pensò che il regista volesse solo qualche parare. Ritrovatosi invece ad interpretare il ruolo di Delmar O’Donnell, egli praticò un accento del sud recandovisi in vacanza e parlando con gente del posto. Nel film compaiono poi anche John Goodman nel ruolo di Daniel Teague, ladro con un occhio solo, e Holly Hunter nei panni di Penny Wharvey-McGill, moglie di Ulysses.

Fratello, dove sei cast

Fratello, dove sei?: la colonna sonora del film

La colonna sonora del film è diventata negli anni estremamente popolare, superando persino il successo del film. All’inizio del 2001, questa aveva venduto cinque milioni di copie, ha generato un film documentario, tre album successivi (“O Sister” e “O Sister 2“), due tournée e ha vinto i Country Music Awards per Album of the Year e Singolo dell’anno (per “Man of Constant Sorrow“). Ha anche vinto cinque Grammy, tra cui Album of the Year, e ha raggiunto il primo posto nelle classifiche degli album di Billboard la settimana del 15 marzo 2002, 63 settimane dopo la sua uscita e oltre un anno dopo l’uscita del film.

Questa è composta da brani tradizionali statunitensi, ma include anche musica folk, religiosa e gospel. Tutte le canzoni scelte, infatti, riflettono gli stili musicali più popolari dell’epoca in cui è ambientato il film. All’interno di questo, inoltre, i protagonisti formano un fittizio gruppo musicale chiamato Soggy Bottom Boys. Le canzoni da loro eseguite sono però cantate in playback dagli attori, tranne per il caso di In the Jailhouse Now, che venne realmente eseguita da Tim Blake Nelson con la sua voce. Oltre a questi titoli, nella colonna sonora del film si ritrovano anche popolari brani come You Are My Sunshine, Down the River to Pray e Keep On the Sunny Side.

Fratello, dove sei?: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Fratello, dove sei? è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Google Play, Apple iTunes e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 3 settembre alle ore 21:10 sul canale TwentySeven.

Fonte: IMDb

 

Athena, recensione del film di Romain Gavras

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Athena, recensione del film di Romain Gavras

Nel concorso di Venezia 79 fa capolino Athena, senza grandi cori di star, un film Netflix del francese Romain Gavras, firmato alla sceneggiatura anche da Ladj Ly di Les Miserables, che nella maniera più inaspettata rielabora la tragedia greca, contaminandola con il cinema politico e un respiro epico. 

Athena, la trama

Difficile dire chi sia il protagonista della storia, anche perché la stessa ci viene svelata pian piano, mentre le immagini si susseguono e la meraviglia si srotola sotto gli occhi dello spettatore. Ci troviamo nel bel mezzo di uno scontro tra rivoltosi e polizia, il casus belli, lo si rivela più avanti, è l’omicidio di un ragazzino di 13 anni da parte di alcuni agenti. La rivolta è guidata da Karim, fratello della vittima, ma non è il solo invischiato personalmente nella vicenda. Abdel e Moktar, altri fratelli più grandi, si posizionano in zone opposte dello spettro della vicenda, in cui il primo, poliziotto, cerca di arginare i danni e tutelare i deboli, e il secondo tenta invece di salvaguardare il suo traffico di stupefacenti che conduce in accordo con degli agenti corrotti. Le tre linee di pensiero, i tre sentieri, la vendetta, la giustizia e l’opportunismo, si troveranno a incrociarsi per le strade del quartiere che dà il titolo al film: Athena. Il riferimento è alla città? Alla dea? Forse solo un lontano eco di una tragedia attesa.

Lo scontro fratricida e la tragedia greca

Romain Gavras usa il piano sequenza con grande precisione e destrezza per raccontare il qui e ora della vicenda: l’immediatezza, la velocità, il rapido precipitare degli eventi. L’impressione di assistere ad un happening, che diventa carica da stadio, e si trasforma in assedio medievale, con una solennità e un tono deflagrante e coinvolgente. È forte l’apporto di Ly e l’eco di Les Miserables, ma il film assume una sua indipendenza e un aspetto di novità nel momento in cui fa della tragedia greca il suo riferimento più forte.

Per quanto le persone possano fare scelte di vita radicalmente diverse tra loro, il legame di sangue le riconduce a una inevitabile resa dei conti, un confronto che non può che essere tragico, dentro al contesto violento e dannato in cui è calato. Così le sorti dei tre fratelli, uniti e divisi dalla morte del più piccolo di loro, diventano un dramma umano inestricabile e irresistibile, proprio grazie all’occhio di Gavras che non si stacca mai dai protagonisti.

Trasfigurazione dell’odio

La forma di Athena è tanto splendida quanto duro e difficile è il suo contenuto. Il film non vuole essere però un inno alla violenza e all’odio che racconta, piuttosto lo trasfigura dandogli eticità con i sontuosi movimenti della camera e la colonna sonora poderosa e invadente.

La visione del film, che arriverà su Netflix, meriterebbe uno schermo grande, buio intorno e grande attenzione, ma è la sorte di sempre più prodotti che, sebbene vengano realizzati proprio grazie al contributo delle piattaforme, rischiano di essere goduti a metà perché non usufruiti nel loro luogo di appartenenza: la sala.

Margini, recensione del film di Niccolò Falsetti

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Margini, recensione del film di Niccolò Falsetti

Quando sei giovane e pieno di energia, voglia di fare e di vivere, ma sei a “due ore da tutto” e vivi ai margini, l’unica strada possibile per la sopravvivenza è l’ingegno, e così Niccolò Falsetti trova la sua strada verso l’opera prima, selezionata alla 37° Settimana della Critica nell’ambito di Venezia 79. 

Margini, la storia

Si intitola proprio Margini il film che Falsetti ha diretto e scritto insieme a Francesco Turbanti e Tommaso Renzoni e che racconta la storia di tre amici malati di punk: Edoardo, Iacopo e Michele. Stanchi di esibirsi solo alle feste dell’Unità e alle sagre, hanno la possibilità di organizzare proprio a Grosseto, un “posto di mezzo”, un vero e proprio concerto punk, con una band famosa, i Defense, per i quali apriranno proprio loro tre. Scontrandosi con ogni tipo di ostacolo e con tutte le difficoltà possibili, i tre amici scopriranno i limiti della loro amicizia e di ciò che è possibile raggiungere quando i sogni sono più forti delle avversità.

Con un tono genuino da commedia e un’energia contagiosa, Falsetti mette in scena un’avventura scapestrata, piena di imprevisti, emozioni e inconvenienti. Non si può non voler bene a questi tre ragazzi scapestrati, che mettono in secondo piano qualsiasi cosa, anche affetti e famiglia, pur di perseguire il loro obbiettivo. Si scontrano contro la burocrazia, la pubblica amministrazione, la mancanza di immaginazione, la poca ispirazione, il gretto realismo e l’ostilità verso il nuovo, ma affrontano tutto con grande fatica ed energia, proprio perché mossi da una voglia di rivalsa che alla fine li lascerà ammaccati eppure con ancora l’energia di cantare e di sognare. 

Il punk e l’amicizia “a due ore da tutto”

Francesco Turbanti (lo stesso del team di sceneggiatori), Emanuele Linfatti e Matteo Creatini sono i protagonisti, che riescono da subito a suscitare simpatia, sia per la loro genuinità nell’interpretazione, sia perché la scrittura è limpida e informale, diretta e realistica. 

In questo affresco così vivace spiccano due figure femminili di grande spessore: Valentina Carnelutti, che interpreta la madre di Edoardo e Silvia D’Amico che è invece la compagna di Michele. Nella loro profonda diversità, di età e condizione, le due donne rappresentano sono delle colonne solide che sostengono i protagonisti, con una grazia e una pazienza che risultano, anche in questo caso, estremamente realistiche, anche quando vengono meno o quando rimangono ferme e granitiche al loro fianco.

Ambientato in un passato recente, il 2008, che sembra riportarci indietro di molto più tempo, Margini racconta il sogno, l’amicizia, il punk come stile di vita, la voglia di costruire anche dove la terra non con sente di gettare fondamenta. Racconta ragazzi fuori di testa, con un cuore grande e idee un po’ folli, per i quali non si può fare a meno di fare il tifo.

Abel Ferrara parla di Padre Pio, il film con Shia Labeouf presentato a Venezia 79

Abel Ferrara ha presentato in anteprima il suo nuovo film Padre Pio alle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia 2022. In conferenza stampa, ci ha raccontato cosa lo ha portato a voler riprendere nuovamente in mano la storia del personaggio, già affrontata nel documentario del 2016 Searching For Padre Pio, e a scegliere Shia LaBeouf come protagonista.

Cosa affascina così tanto Abel Ferrara di Padre Pio?  “Perché l’ho conosciuto la prima volta come un Santo e quindi mi è venuto spontaneo chiedermi, cosa rende una persona un santo. Io stavo lavorando a Napoli, e a Napoli è: o Marandona o Padre Pio. Quindi, mi sono chiesto chi fosse Padre Pio e quello che ho capito è che è prima di tutto una persona di compassione e servizio. Un uomo che non si è mai mosso dalla Puglia, che ha vissuto come in una gabbia, indossando abiti da monaco pesanti con temperature altissime e che si impegnava tutto il giorno ad ascoltare le confessioni degli altri: mio figlio è malato, i pomodori non crescono, ho fame. E lui trovava una soluzione a tutto. Questo l’ha reso universale senza mai muoversi nel mondo.”

É arrivato in Puglia senza possedere niente, su un asino. Ha costruito un ospitale da 35.000 euro in un posto in cui non c’era neanche l’acqua. Qualcosa di estremamente potente in un posto in cui non c’era nulla. Ha realizzato quello che voleva realizzare”. Come Pasolini, era anche un grande scrittore. Scriveva come Baudlaire. Ci ha aperto il suo cuore con la scrittura. Il film è basato quasi interamente sui suoi scritti. E su un evento che si, é misconosciuto, ma è successo c***o. Perché un film su di lui? Per questo. Le sue sono parole estremamente evocative. Non ci siamo inventati nulla, è tutto vero quello che trovate nel film“.

La domanda sulla tanto chiacchierata conversione di Shia LaBeouf è sorta spontanea: questa svolta personale ha coinciso con la produzione di Ferrara? “La sua conversione è qualcosa avvenuto prima di quando ci siamo conosciuti, qualcosa che faceva già parte in quel momento di una situazione di crisi che stava vivendo, come le stigmate e il massacro, che sono due eventi che accadono in contemporaneo. Prima non ci conoscevamo proprio, ci siamo trovati su zoom e questo è un miracolo in sé”.

Uno dei punti di forza di Padre Pio è sicuramente la colonna sonora: Abel Ferrara ha parlato approfonditamente del suo rapporto con il compositore Joe Delia, che va avanti da tantissimi anni:  “Come negli altri film con lui l’obiettivo principale era quello di realizzare qualcosa che potesse essere musicalmente tradizionale, come Nino Rota Morricone Cage, ma volevamo anche ottenere qualcosa di diverso e organico.” “Negli ultimi film avevamo 3 musicisti. Hanno realizzato le musiche ancora prima della sala montaggio, poi ci sono stati altri due pezzi importanti: il canto dei monaci, pezzi che hanno 500 anni. Shia l’ha imparato, gli altri monaci sono tutti monaci veri. Questi tre musicisti hanno preso i testi dei monaci e li hanno esplorati“.

La trama di Padre Pio di Abel Ferrara è ambientata durante la fine della Prima Guerra Mondiale, quando i giovani soldati italiani tornano a San Giovanni Rotondo, una terra povera, violenta, sulla quale la chiesa e i ricchi proprietari terrieri esercitaano un dominio incontrastato. Le famiglie sono disperate, gli uomini, seppur vittoriosi, appaiono distrutti.

Venezia 79, foto dal red carpet per la premiere di Monica di Andrea Pallaoro

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Sul red carpet della 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia arriva il regista italiano Andrea Pallaoro per presentare in concorso Monica, il suo nuovo film. Insieme al regista sul tappeto rosso hanno sfilato anche gli interpreti Trace Lysette, Patricia Clarkson, Joshua Close.

Il film racconta di Monica torna a casa per la prima volta dopo una lunga assenza. Ritrovando sua madre e il resto della sua famiglia, da cui si era allontanata da adolescente, intraprende un percorso nel suo dolore e nelle sue paure, nei suoi bisogni e nei suoi desideri fino a scoprire dentro di sé la forza per guarire le ferite del proprio passato. Il ritratto intimo di una donna che esplora i temi universali dell’abbandono e dell’accettazione, del riscatto e del perdono.

 

Bardo – La cronaca falsa di alcune verità, recensione del film di Alejandro G. Inarritu

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Dopo l’incursione naturalistica di The Revenant – Redivivo, Alejandro G. Inarritu, il regista che ha partecipato alla conquista messicana di Hollywood, presenta a Venezia 79 Bardo – La cronaca falsa di alcune verità, un film confessione, un racconto di se stesso, un punto su quello che probabilmente è la sua vita, personale e creativa, alla vigilia dei 60 anni.

Bardo – La cronaca falsa di alcune verità, la storia di Silverio

La storia ruota intorno a Silverio, un giornalista messicano che ha lasciato il suo Paese per vivere negli Stati Uniti. Mentre si appresta a ricevere un prestigioso riconoscimento per il suo lavoro, l’uomo si trova a mettere in discussione se stesso, le sue scelte, la sua vita, lo sradicamento a cui ha costretto famiglia e figli, ma anche la politica del suo Messico, un luogo tanto amato solo quando lo si guarda da lontano, dal punto di vista di un “emigrato di lusso”, nell’agio della propria vita borghese negli Stati Uniti.

Un resoconto alla vigilia del 60 anni

Inarritu confeziona un film onirico, un flusso di coscienza che ricorda per la sua struttura così ondivaga l’8 1/2 di Fellini (suo nume tutelare), ma che è anche diverso da qualsiasi cosa sia mai stata fatta. Materico anche nella rappresentazione del sogno, il regista premio Oscar dà corpo e sostanza alle rievocazioni storiche, ai pensieri più astratti, agli incubi e alle paure, ma anche ai suoi traumi personali che diventano i traumi di Silverio stesso. Nomade nella sua stessa coscienza, il protagonista non sembra trovare pace alcuna se non nella resa alla vita, con un sorriso amaro ma anche compiaciuto verso chi lo ha amato in vita. 

Il Bardo è una parola buddista che indica un luogo che corrisponde al Limbo cattolico, un lungo senza speranza dunque, dove i sogni nascono e muoiono e in cui evidentemente il regista si sente impantanato. Seppure non in forma letterale, il film è una autobiografia immaginaria, una “auto-fiction” nelle parole del regista stesso, che torna a ragionare sull’ego e sullo slancio creativo, come accadeva in Birdman, ma che questa volta si arricchisce di un senso di appartenenza alla terra e al Paese che fino a questo momento non era mai trapelato dalle sue opere, nemmeno dalle prime elogiate prove di regia come Amores Perros. Inarritu torna fisicamente in Messico, ma lo fa anche con la mente e con il cuore, confezionando un film denso, lungo, che non poteva lasciare nulla sul pavimento del montaggio perché ogni evoluzione compone il ritratto di sé che lui voleva esporre al pubblico. 

Alejandro G. Iñárritu bardo netflixCinema vigoroso e immaginifico

Da un punto di vista stilistico, Bardo è un esempio di cinema vigoroso, pieno di idee visive, un cinema che, seppure ha beneficiato della produzione di Netflix, si sente costretto nei bordi di uno schermo piccolo, perché ogni immagine è perfetta e gloriosa, e agogna la sala, la grandezza, l’esposizione e forse anche la messa in discussione, proprio come fa l’ego di Inarritu spogliandosi di se stesso eppure rivendicando con la bellezza delle immagini la sua gloria. 

Daniel Giménez Cacho è lo splendido protagonista di Bardo. Non a caso vagamente somigliante al regista, l’attore mette in scena un personaggio vittima degli eventi, testimone delle sue fortune e delle sue disavventure, sempre in balia del giudizio altrui eppure perso in se stesso, nell’inseguimento di una fama che si rivela effimera e che lo distrae da quella famiglia che lo circonda con affetto e il giusto grado di sfida. Un’interpretazione magistrale che regala una vera anima a tutte le immagini vivide e maestose che confezione il regista.

Bardo è una pagina di diario, un bilancio, una confessione, forse il film più complesso e personale di Alejandro G. Inarritu, un racconto che merita attenzione, pazienza e uno schermo più grande possibile.

Alejandro G. Inarritu presenta Bardo, la sua “auto-fiction”

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