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Un film Minecraft, la spiegazione del finale e come prepara Minecraft 2

Un film Minecraft (A Minecraft Movie) ha diversi punti della trama che preparano un sequel, oltre a un significato più profondo da sviscerare. Minecraft è stato rilasciato nel 2009 e da allora il titolo è diventato ampiamente riconosciuto come uno dei migliori videogiochi di tutti i tempi. È il sandbox definitivo, che permette alla creatività di scorrere liberamente in un modo che pochi altri giochi possono offrire. Ciò rappresenta una sfida estrema nell’adattamento, e il regista Jared Hess è stato lasciato a risolverla. Un film Minecraft (A Minecraft Movie)ha un cast guidato da Jason Momoa e Jack Black.

Un film Minecraft (A Minecraft Movie) (qui la nostra recensione) racconta la storia di una serie di personaggi che entrano in “Overworld”, una dimensione alternativa basata sul gioco Minecraft, creando uno scenario simile a Jumanji. Steve (Jack Black) era già entrato in Overworld anni prima, anche se aveva scoperto che un cattivo di nome Malgosha minacciava di distruggerlo con il potere di una sfera magica. La minaccia riemerge quando Garret (Jason Momoa), Natalie (Emma Myers), Dawn (Danielle Brooks) e Henry (Sebastian Hansen) riportano la sfera nel Mondo di Sopra. I nostri eroi uniscono le forze per sconfiggere Malgosha, proteggendo il Mondo di Sopra dall’invasione dei Piglin.

Perché Steve ha lasciato il Mondo di Sopra nel finale di un film di Un film Minecraft

Dopo aver sconfitto Malgosha, i protagonisti del film usano la sfera come portale per tornare nel mondo reale. Steve, che è stato nel Mondo di Sopra per molto più tempo, decide se vuole tornare nel mondo reale. L’inizio del film mostra la storia di Steve, che non ha avuto una vita facile nel mondo reale. Da bambino gli era stato impedito di entrare nelle miniere e finì per fare un lavoro d’ufficio che gli tolse l’anima.

Steve ha avuto successo nel Mondo di Sopra perché gli ha permesso di vivere un’esperienza creativa e appagante, che alla fine gli mancava nel mondo reale. Anche se il film mette in scena il suo personaggio principalmente per far ridere, c’è una certa serietà nel messaggio su come si sentiva la sua vita prima di essere risucchiato in una realtà alternativa (virtuale). Finisce per lasciare l’Overworld solo grazie agli amici che si è fatto durante gli eventi del film, che gli mostrano che potrebbe esserci davvero un posto per lui nel mondo reale.

Come gli eroi sconfissero Malgosha

Malgosha è una regina e una maga piglin che voleva conquistare il Mondo di Sopra. Il Mondo di Sotto era un luogo di oscurità e brutalità e lei sperava di estendere la sua devastazione al Mondo di Sopra, rovinando il luogo vivace che persone come Steve avevano creato. Gli eroi si uniscono per combattere Malgosha, alla fine distruggendo il suo portale del Mondo di Sotto e il suo raggio celeste con esplosioni di palle di fuoco da un Ghast. Sconfiggendo Malgosha, i protagonisti sono liberi di tornare nel mondo reale, avendo salvato il Mondo di Sopra dalla sua influenza.

Che cosa c’entra Jennifer Coolidge con quell’abitante del villaggio?

L’iconica attrice Jennifer Coolidge interpreta un ruolo secondario in A Minecraft Movie nei panni della vicepreside Marlene, che lavora nella scuola che Henry frequentava prima di finire nel Mondo di Sopra. Mentre il portale è aperto, un abitante del villaggio si reca nel mondo reale e viene investito dall’auto di Marlene. I due finiscono per uscire insieme e la prima scena dopo i titoli di coda mostra che si sono sposati. Questa trama è del tutto adiacente a tutto ciò che accade nel film ed è interamente giocata per far ridere, utilizzando l’assurdità degli effetti sonori di Un film Minecraft (A Minecraft Movie) degli abitanti del villaggio per una battuta.

Cosa ha detto il regista Jared Hess sul finale di Un film Minecraft 

Jared Hess è un regista noto per film come Napoleon Dynamite e Nacho Libre, e il suo bizzarro senso dell’umorismo è in piena mostra in Un film Minecraft (A Minecraft Movie). Hess ha condiviso la sua prospettiva sul film e sul suo finale con TechRadar, dicendo che l’unico approccio possibile a un adattamento cinematografico di Minecraft sarebbe stato raccontare una storia personalizzata, poiché è ciò che ogni giocatore fa quando apre il gioco. Ha raccontato un aneddoto su sua figlia che giocava al videogioco, dicendo che gli piaceva il modo in cui costruiva una narrazione intorno a ciò che stava costruendo e facendo.

Per quanto riguarda i personaggi e i temi del film, Hess ha posto la domanda: “Per me, è stato come ‘come prendiamo un gruppo di eroi improbabili, che si trovano in un momento difficile della loro vita, e li mandiamo in questa avventura dove devono usare la creatività per sopravvivere e cooperare?” Il film che ne risulta è la combinazione attesa del suo solito umorismo e della libertà creativa di Minecraft.

Come la scena post-credits di Un film Minecraft prepara un sequel

Un film di Minecraft, la seconda scena post-crediti mostra Steve di nuovo nel mondo reale, che riesamina la sua vita. Il mondo è cambiato dall’ultima volta che Steve è stato lì. A differenza degli altri personaggi, è stato nell’Overworld per molto più tempo. Ritorna nella casa della sua infanzia, solo per incontrare una donna dai capelli rossi che vive lì. Si presenta come Alex, che dovrebbe essere un nome noto alla maggior parte delle persone che hanno giocato a Minecraft.

Steve è la skin predefinita di Minecraft, ma Alex è stata la seconda ad essere introdotta e si ritiene comunemente che sia la controparte femminile di Steve. Anche se non sappiamo ancora chi interpreterà Alex se il franchise verrà riportato per un secondo film, sembra probabile che sarà protagonista o co-protagonista insieme a Steve.

Il vero significato di Un film Minecraft 

Un film Minecraft (A Minecraft Movie) è principalmente una commedia farsesca incentrata sul mondo roboante del videogioco, ma c’è comunque un significato più profondo condiviso da molti degli archi dei personaggi del film. Come spiegato nella sinossi del film, tutti i personaggi del film sono disadattati nel mondo reale. Steve ha lasciato il mondo reale a causa del suo lavoro senza anima; Dawn lavorava quindici volte a settimana (come negli zoo mobili) solo per sbarcare il lunario; Garrett è stato sfrattato ed è rimasto bloccato nel suo passato glorioso; Natalie e Henry erano in lutto per la madre e Henry faceva fatica a integrarsi a scuola.

Il film esplora l’idea che il mondo reale può essere una sfida per chi ha una fervida immaginazione e creatività che desidera esplorare. È facile immergersi in qualcosa di virtuale come ha fatto Steve, ma bisogna sempre ricordarsi di tornare alla realtà per perseguire anche lì la propria creatività. I personaggi di Un film Minecraft (A Minecraft Movie) trovano conforto nelle loro amicizie, che danno loro uno scopo nella vita e permettono loro di vivere in un ambiente creativo e appagante nel mondo reale.

The Shrouds – segreti sepolti: recensione del film di David Cronenberg

Mettiamola in questo modo: se The Shrouds dovesse essere l’ultimo lungometraggio diretto da David Cronenberg nella sua straordinaria carriera, sarebbe allora la inebriante, gioiosa chiusura di un cerchio artistico paragonabile a nessun altro nella storia del cinema contemporaneo.

L’autore canadese infatti è a ben vedere colui che, almeno tra i maggiori cineasti dei nostri tempi, è riuscito a riflettere sulle stesse tematiche dal suo primo film fino a quest’ultimo, affascinante compendio cinematografico. E in maniera ancor più sorprendente lo ha fatto riuscendo molto spesso a rinnovarsi, non tanto nello stile quanto nella presentazione dei temi che a lui interessano.

La metamorfosi, ancora una volta

Al centro del cinema di David Cronenberg ci sono sempre stati la metamorfosi, la dualità dell’essere umano costantemente scisso tra psiche e carne, tra morale e mancanza di senso, tra istinti primordiali e regole sociali. Fino a circa vent’anni fa tutto questo veniva rappresentato attraverso opere che mostravano il cambiamento in maniera esplicita, se non addirittura brutale. Da qui pietre miliari del cinema fantastico come VideodromeLa mosca o Inseparabili. Dal un altro capolavoro come A History of Violence in poi la metamorfosi si è invece maggiormente interiorizzata, la trasformazione del corpo come metafora di dissoluzione dello status quo ha lasciato spazio a una rappresentazione spesso più sottile ma non meno ficcante dell’essere umano e del suo dualismo.

Il precedente Crimes of the Future ma soprattutto quest’ultimo The Shrouds si presentano come sintesi estremamente consapevole del proprio cinema, che lo stesso Cronenberg cita in maniera esplicita e sorprendentemente divertita. Esatto, perché a partire dalla pubblicazione del suo romanzo Consumed avvenuta nel 2014 – ma forse tracce sotterranee se ne possono trovare anche in alcuni dei suoi lavori precedenti  – l’autore ha cominciato a sviluppare una componente autoironica rivolta verso molte delle sue “ossessioni”, come ad esempio l’uso delle tecnologie maggiormente avanzate.

L’intera sottotrama di The Shrouds dedicata al rapporto tra il protagonista Karsh e la sua assistente virtuale in alcuni momenti possiede addirittura il tono della commedia satirica, almeno nel senso in cui Cronenberg la intende mettere in scena. Oltre che riflessione semi-seria ma assolutamente non superficiale riguardo le tematiche portanti del suo cinema, il lungometraggio offre poi uno sguardo verso il (non) futuro che a suo modo si fa addirittura commovente.

The Shrouds è una riflessione sulla morte

L’ultra-ottantenne Cronenberg infatti con The Shrouds riflette sulla morte e ciò che rappresenta, sul tentativo di non lasciar andare il ricordo, fisico ancor prima che emotivo. Si può in qualche modo allontanare la totale cancellazione dell’individuo creando una sorta di connessione simbolica tra vivi e morti, per quanto macabra e complessa sia? Attraverso questo film l’autore confessa di sperarci almeno un minimo. Considerato che Karsh è chiaramente un alter-ego di Cronenberg stesso (basta vedere la pettinatura del protagonista Vincent Cassel) per comprendere quanto The Shrouds sia un’opera estremamente personale, che mette a nudo sia i timori che la candida consapevolezza del suo creatore.

The Shrouds non avrebbe potuto essere uno specchio tanto sincero del pensiero di Cronenberg senza l’apporto prezioso di Cassel, il quale ha compreso perfettamente il proprio personaggio, esplicitandone al meglio la vulnerabilità, il dolore sommesso ma anche il sottile sarcasmo. Si tratta realmente di una delle prove migliori nella carriera dell’attore francese, il quale regge sulle proprie spalle carismatiche l’intero lungometraggio, supportato a tratti da un Guy Pearce anche lui disposto a mettersi amichevolmente in gioco. Unico punto a sfavore di The Shroud sono invece le interpretazioni molto meno convincenti di Sandrine Holt e in particolar modo Diane Kruger, la quale ha un doppio ruolo che non riesce a rendere mai interessante.

Per amare fino in fondo The Shrouds bisogna coglierne il sottofondo divertito e insieme malinconico. Si deve senza alcun dubbio prendere il film sul serio, poiché attraverso esso David Cronenberg tenta seriamente di teorizzare sulla sua poetica passata e sulla normale incertezza di un futuro che non può essere più remoto. Il cineasta sembra volerci dire che se la fine, artistica ma non solo, è probabilmente vicina, si può comunque esperirla in maniera gioiosa. Alla maniera di David Cronenberg, sia chiaro…

Yellowjackets – Stagione 3: la spiegazione del finale

La terza stagione di Yellowjackets si conclude con una decisione coraggiosa da parte di Natalie Scattorcio (Sophie Thatcher), che dà il via alla quarta stagione. Alla fine di Yellowjackets – Stagione 3, episodio 9, Natalie scopre che Misty Quigley (Samantha Hanratty) aveva il transponder della scatola nera dell’aereo mentre gli adolescenti erano bloccati nella natura. L’inizio del finale della terza stagione rivela quindi che Natalie non condivide questa informazione con il resto del gruppo e lavora invece con Misty e Van Palmer (Liv Hewson) per riparare il telefono satellitare rotto degli scienziati.

Nel presente di Yellowjackets, Misty (Christina Ricci), ormai adulta, ha capito chi ha ucciso Lottie Matthews (Simone Kessell) e affronta l’assassino. Nel frattempo, Taissa Turner (Tawny Cypress) ha il cuore spezzato dopo che l’amore della sua vita, Van (Lauren Ambrose), viene ucciso da Melissa (Hilary Swank). Taissa seppellisce Van e la onora nel modo che ritiene migliore, ed è già decisa a distruggere la persona che ritiene responsabile della sua morte. Queste trame concludono la terza stagione e anticipano ciò che accadrà nella quarta stagione di Yellowjackets.

La spiegazione della telefonata di Natalie

Mentre i Yellowjackets preparano il corpo di Mari per il consumo e lo mangiano, Natalie si arrampica su un punto più alto nella speranza di far funzionare il telefono satellitare. Shauna Shipman (Sophie Nélisse) pensa che Natalie sia ancora con il gruppo, anche se Hannah Finch (Ashley Sutton) ha preso segretamente il suo posto. Quando Natalie raggiunge un punto abbastanza alto, effettua una chiamata attraverso il telefono satellitare. Per un po’ non riceve alcuna risposta e continua a chiedere disperatamente aiuto. Alla fine, un uomo risponde e dice: “Ti sento”.

Questo fa sì che i Yellowjackets potrebbero venire salvati nella quarta stagione, anche se il team creativo dello show ha già parlato di un piano di cinque stagioni. Ora che Natalie è entrata in contatto con il mondo esterno, può aiutare le autorità a capire dove si trovano, ed è solo questione di tempo prima che vengano ritrovate. Anche dopo il salvataggio, c’è ancora molto da esplorare nella linea temporale degli anni ’90 di Yellowjackets, già anticipata nella première della seconda stagione e nei commenti che la Melissa adulta ha fatto a Shauna (Melanie Lynskey).

LEGGI ANCHE: Yellowjackets, la spiegazione della linea temporale: quanto tempo passa nella serie tv?

Cosa significa la lettera di Shauna adulta sul “riprendersi tutto”?

Dopo che Shauna distrugge il biglietto di Melissa e scoppia a piangere, scrive una lettera a se stessa in cui dice: “È ora di iniziare a riprendersi tutto”. Questo è il modo in cui Shauna dice che ha intenzione di riprendere il controllo della sua vita. Con il marito Jeff Sadecki (Warren Kole), la figlia Callie (Sarah Desjardins) scomparsa, Van morto e Melissa a piede libero, Shauna sente di aver perso il controllo di tutto. È un netto contrasto con il periodo trascorso nella natura selvaggia, quando si sentiva potente come guerriera e come regina delle corna.

Nonostante tutte le cose perverse che ha fatto nella natura selvaggia, Shauna vuole diventare quella versione di se stessa e crede erroneamente che sia la risposta per recuperare il controllo della sua vita attuale. La sua visione romantica del passato è enfatizzata da altri commenti che fa nella lettera, tra cui quelli su quanto si sono divertiti lei e i suoi compagni di squadra nella natura selvaggia e su quanto si sono sentiti vivi. Shauna ha il potenziale per diventare ancora più pericolosa nella quarta stagione, se continua a seguire la strada che ha intrapreso.

Taissa e Misty adulte si alleano contro Shauna

All’indomani dell’uccisione di Van da parte dei Yellowjackets, Taissa ha deciso che la colpa è di Shauna. È giunta alla conclusione che Shauna è la causa di tutti i problemi che i sopravvissuti adulti hanno dovuto affrontare. I sopravvissuti hanno accettato di lasciarsi il passato alle spalle, di mantenere i loro segreti e di proteggersi a vicenda. Dal punto di vista di Taissa, Shauna ha violato questa promessa tenendo i suoi diari dove Jeff poteva trovarli, uccidendo Adam Martin (Peter Gadiot) e mutilando Melissa. Taissa incolpa Shauna anche dell’uccisione di Natalie (Juliette Lewis).

Questo è più che sufficiente perché Taissa si rivolti contro Shauna, oltre a ricordare come Shauna abbia istigato e gioito di molte delle cose peggiori accadute nella foresta selvaggia. Taissa non vuole che Shauna sia l’ultima sopravvissuta e nemmeno Misty lo vuole. Misty si allea con Taissa per autoconservazione e perché non le piace e non si fida di Shauna. All’inizio della terza stagione, Shauna ha oltrepassato il limite e Misty non l’ha ancora perdonata per questo e vuole che sia punita. Lavorare con Taissa è una decisione sia pratica che personale.

Mari e Shauna diventano la Pit Girl e la Antler Queen

Due dei misteri più antichi di Yellowjackets trovano risposta nel finale della terza stagione, con Mari e Shauna che si confermano rispettivamente la Pit Girl e la Antler Queen. Van impila le carte per far sì che sia Hannah a essere cacciata, ma Shauna si accorge che qualcosa non va e cambia posto nell’ordine di estrazione. Questo scambio significa che Mari pesca la carta Regina di cuori e diventa la cacciatrice. Dopo che Mari è stata scelta, Shauna le mette al collo la collana d’oro a forma di cuore di Jackie (Ella Purnell), motivo per cui si vede la Pit Girl indossarla nell’episodio pilota.

Mentre viene inseguita, Mari si toglie la giacca e le scarpe nel tentativo errato di confondere i suoi inseguitori. Questo spiega la mancanza di vestiti e scarpe della Pit Girl e la fossa che la uccide è la stessa in cui Travis Martinez (Kevin Alves) ha piantato i paletti per uccidere Lottie (Courtney Eaton) in un episodio precedente. Shauna è già il leader tirannico del gruppo a questo punto, quindi ha senso che ora diventi formalmente la regina delle corna. Le credenze selvagge di Lottie rendono facile per Shauna esercitare il suo potere sugli altri e divertirsi a consumare Mari.

Perché Callie ha ucciso Lottie e qual è il vero piano della natura selvaggia per lei?

La paura e la rabbia di Callie la portano a uccidere accidentalmente Lottie. Sulla base delle loro precedenti interazioni, Callie pensava che Lottie potesse aiutarla a capire meglio sua madre. Invece, Lottie usa questo incontro per dire che Callie è una figlia della natura selvaggia e che “It” vive attraverso di lei. Callie inizia a spaventarsi e ad arrabbiarsi soprattutto quando Lottie parla di come Shauna non possa amare sua figlia perché è gelosa di lei. Questo porta Callie a spingere Lottie lontano da lei, facendola cadere all’indietro e portandola alla morte.

Se il potere della natura selvaggia è reale, potrebbe aver scelto di vivere attraverso Callie invece che attraverso Lottie. A causa di alcune decisioni prese da Lottie, la natura selvaggia potrebbe essere stata scontenta di lei e aver deciso che doveva essere eliminata. Forse la natura selvaggia vuole eliminare tutti i Yellowjackets e userà Callie per uccidere Shauna, Taissa, Misty e Melissa.

Dove sono andati Jeff e Callie? Perché hanno lasciato Shauna?

Jeff e Callie hanno lasciato Shauna a causa della sua influenza negativa e pericolosa, e stare vicino a lei non è più sicuro. Jeff non incolpa Callie per l’uccisione di Lottie, ma ritiene Shauna responsabile. In questo momento, Callie ha paura e si vergogna di ciò che ha fatto. Shauna non migliorerebbe la situazione, perché probabilmente si concentrerebbe sul garantire che Callie non venga arrestata, invece di sostenere la figlia nel modo in cui ha bisogno di essere sostenuta in questo momento.

Per quanto riguarda la posizione di Jeff e Shauna, non è stata confermata. Jeff potrebbe essere andato a stare dal suo migliore amico, Randy Walsh (Jeff Holman). Al momento, però, Jeff non vuole che Shauna trovi lui o Callie, e sarebbe troppo facile localizzarli se stessero semplicemente da Randy. La quarta stagione probabilmente rivelerà presto dove si nascondono Jeff e Callie, ma potrebbe volerci un po’ di tempo prima che Shauna li rintracci.

Akilah uccide tutti gli animali

Akilah (Nia Sondaya) ha avuto numerose visioni nella terza stagione, tra cui una in cui vede che tutti gli animali del villaggio sono stati uccisi. Inizialmente, sembra che questa visione si avveri quando gli adolescenti sopravvissuti sentono Akilah piangere sugli animali, che misteriosamente sono morti tutti insieme. In seguito si scopre che Akilah ha avvelenato gli animali per far sì che ci sia un’altra caccia, e la loro morte viene usata come prova che la natura selvaggia non è soddisfatta dei sopravvissuti.

La situazione si risolve esattamente come voleva Lottie, ma Akilah si sente usata e tradita. Pensava di essere speciale e che le sue visioni fossero reali, ma ora vede solo come Lottie ha usato la sua fede come arma. Lottie sostiene che le visioni erano reali, perché ciò che Akilah ha fatto le ha rese realtà. Akilah non si lascia convincere facilmente e insiste che Lottie è responsabile di tutto ciò che è accaduto. Tra la sua assenza nella linea temporale attuale e la sua resistenza nei confronti di Lottie, il destino di Akilah nella quarta stagione sembra incerto.

Taissa mangia il cuore di Van dopo la sua morte

Mangiare un cuore è stato mostrato in precedenza come un segno di onore e rispetto per il sacrificio di qualcuno nella natura selvaggia. È il caso di quando i sopravvissuti mangiano il cuore di Javi Martinez (Luciano Leroux) nel finale della seconda stagione di Yellowjackets. La stessa linea di pensiero viene utilizzata nella linea temporale attuale, quando Taissa mangia il cuore di Van per onorare lei e il sacrificio che ha compiuto. Questo è coerente con le parole di Taissa che dice di ricordarsi di Van e di tutto ciò che è accaduto.

Il vero significato del finale della Stagione 3 di Yellowjackets e come prepara la Stagione 4

In entrambe le linee temporali, il cast di personaggi di Yellowjackets affronta le conseguenze delle proprie azioni. La tirannia dell’adolescente Shauna e i suoi maltrattamenti nei confronti di Natalie la raggiungono quando Natalie fugge e prende contatto con il mondo esterno. L’uccisione di Lottie da parte di Callie e la fuga di Callie e Jeff sono una conseguenza delle decisioni dell’adulta Shauna, che ora è rimasta sola. Tutte le cose orribili che Lottie ha fatto in nome della natura selvaggia hanno raggiunto anche lei, poiché il personaggio, un tempo potente, muore dopo essere stato spinto giù dalle scale.

La chiamata di Natalie significa che la catena di eventi che ha portato al salvataggio è ben avviata, e la linea temporale post-salvataggio degli anni ’90 sarà presto esplorata ulteriormente. Quello che ha fatto Natalie dividerà ulteriormente il gruppo e Hannah, Akilah e Gen (Vanessa Prasad) probabilmente moriranno prima che arrivino i soccorsi. Nel presente, Taissa e Misty lavoreranno insieme per sconfiggere Shauna. Senza nessuno a cui rivolgersi, nemmeno la sua famiglia, Shauna sarà probabilmente più pericolosa che mai e potrebbe finire per rivolgersi alla sua nemica, Melissa, dato che entrambe le sopravvissute saranno da sole quando inizierà la quarta stagione di Yellowjackets.

House of the Dragon – Stagione 3: iniziate le riprese. Tommy Flanagan e Dan Fogler nel cast!

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Iniziate nel Regno Unito le riprese della terza stagione di HOUSE OF THE DRAGON, l’amatissima saga ambientata 200 anni prima degli eventi citati nella serie dei record “Il Trono di Spade”, che arriverà prossimamente su Sky e in streaming su NOW in contemporanea assoluta con gli US.

Tratta dal romanzo “Fuoco e Sangue” di George R.R. Martin, HOUSE OF THE DRAGON racconta la storia della leggendaria Casa Targaryen.

In 8 nuovi episodi, la terza stagione vedrà nel cast il ritorno di: Matt Smith, Emma D’Arcy, Olivia Cooke, Steve Toussaint, Rhys Ifans, Fabien Frankel, Ewan Mitchell, Tom Glynn-Carney, Sonoya Mizuno, Harry Collett, Bethany Antonia, Phoebe Campbell, Phia Saban, Jefferson Hall, Matthew Needham, Tom Bennett, Kieran Bew, Kurt Egyiawan, Freddie Fox, Clinton Liberty, Gayle Rankin e Abubakar Salim.

Vengono annunciati oggi i nuovi ingressi nel cast Tommy Flanagan nel ruolo di Ser Roderick Dustin e Dan Fogler nel ruolo di Ser Torrhen Manderly. Già annunciato nel cast della terza stagione, invece, James Norton nel ruolo di Ormund Hightower.

I registi della terza stagione: Clare Kilner, Nina Lopez-Corrado, Andrij Parekh e Loni Peristere. I crediti della terza stagione: co-creatore, showrunner e produttore esecutivo Ryan Condal; co-creatore e produttore esecutivo George R.R. Martin; produttori esecutivi Sara Hess, Melissa Bernstein, Kevin de la Noy, Vince Gerardis, Davide Hancock, Philippa Goslett. Tratto dal bestseller di George R.R. Martin “Fuoco e Sangue”.

HOUSE OF THE DRAGON – Terza stagione prossimamente su Sky e in streaming su NOW

Taxi Driver, la spiegazione del finale e di cosa accade a Travis

Il 1976 è stato un anno fondamentale per il cinema. Gli spettatori hanno potuto assistere a classici istantanei come Rocky, Carrie – Lo sguardo di Satana e Tutti gli uomini del presidente. Ma il film più sconvolgente e controverso di quell’anno è indubbiamente Taxi Driver (qui la recensione). Diretto da Martin Scorsese, questo cupo racconto di alienazione, tentati omicidi e malattie mentali vinse la Palma d’Oro a Cannes, ottenne diverse nomination agli Oscar ed è stato ampiamente acclamato come uno dei migliori film di tutti i tempi.

Ma se Taxi Driver è un capolavoro del cinema, rilevante oggi come lo era quasi 50 anni fa, il finale del film ha suscitato – e continua a suscitare – un certo dibattito. Nei momenti finali del film, il protagonista (interpretato da Robert De Niro) entra in uno squallido hotel e dà vita ad una terribile sparatoria. Quel che accade da qui in poi è ancora oggi oggetto di discussione. Numerose teorie sono emerse nel corso dei decenni riguardo al significato delle ultime scene del film, ideate come volutamente ambigue da Scorsese per sottolineare la complessa natura dell’inquietante protagonista.

Travis Bickle, l’uomo solitario di Dio

Interpretato alla perfezione da Robert De Niro, Travis Bickle è uno dei personaggi più iconici del cinema. Indossa la giacca verde dell’esercito, ha l’abitudine di fare domande retoriche e da un certo punto in poi sfoggia un’intimidatoria cresta mohawk. Più di tutto, però, colpisce la follia nei suoi occhi. Veterano della guerra del Vietnam che vive nella New York degli anni ’70, Bickle ha problemi a reinserirsi nella socità e a dormire la notte, così trova lavoro come autista di taxi. Trascorre ore e ore all’interno dell’auto, girando su e giù per le strade di Manhattan, osservando i papponi, gli afroamericani, i pusher e le prostitute e sognando una pioggia che li spazzi via tutti.

A parte alcuni colleghi tassisti, Bickle è completamente isolato dal mondo. Il suo unico vero compagno è il diario in cui condivide i suoi pensieri sempre più deliranti. E Bickle ha molto da dire sul mondo: scrive della sua solitudine, del suo disprezzo per l’umanità e ci rendiamo subito conto che ha dei grossi problemi di salute mentale. Ogni giorno e ogni notte, la sua presa sulla realtà diventa sempre più debole, la sua rabbia continua a ribollire e a ribollire (come la pastiglia effervescente che vediamo ad un certo punto), fino al momento in cui dovrà esplodere.

Travis Bickle è quindi fortemente antisociale. Sia che prenda pillole nel suo appartamento o che guardi il mondo attraverso il parabrezza, è sempre solo. Non ha legami con nessuno, almeno fino quando non incontra Betsy (Cybill Shepherd), che per Travis è pura e perfetta. Alla fine decide di chiederle di uscire, così entra nel suo posto di lavoro – lei è consulente per la campagna elettorale del senatore Charles Palantine (Leonard Harris), un uomo che ha intenzione di conquistare la Casa Bianca – e fa una solida prima impressione. Betsy è colpita, trovando Travis misterioso e affascinante, ma quando il tassista la porta fuori, capisce subito di aver fatto un grosso errore.

Al loro primo appuntamento ufficiale, Travis porta Betsy in un cinema a luci rosse, provocando la fuga di lei, che se ne va dicendo a Travis che la loro breve relazione è definitivamente finita. Naturalmente Travis non prende bene la notizia. Si precipita nel suo ufficio, minaccia il suo collega con alcune mosse di karate e urla che Betsy è “proprio come gli altri”, la feccia della società che Travis odia tanto. Sentendosi tradito e disprezzato, la rabbia di Travis inizia a diventare ancora più incontenibile. E ora che è stato respinto, il tassista inizia a percorrere un oscuro cammino di vendetta.

Il marito, il trafficante di armi e il ladro

Dopo l’incidente con Betsy, Travis incontra rapidamente tre persone che cambieranno la sua vita per sempre. Il primo è un uomo inquieto, sboccato, con le sopracciglia folte e un brutto carattere (interpretato dal regista Martin Scorsese in uno dei suoi cameo più celebri). Sale sul retro del taxi di Travis e lo fa guidare fino a uno squallido complesso di appartamenti dove può spiare sua moglie. Si scopre che la donna ha una relazione e il marito, geloso, inizia a farneticare su come la farà fuori con una 44 Magnum. Travis è già alle prese con pensieri pericolosi, e imbattersi in questo aspirante assassino non aiuta di certo.

Ispirato dal monologo misogino dell’uomo, Travis si incontra con un trafficante d’armi di nome Weasley (Steven Price) e non a caso acquista una 44 Magnum. Naturalmente, quella pistola mostruosa non è l’unica arma con cui Travis se ne va: acquista quattro armi da fuoco ed è chiaro che sta progettando qualcosa di grosso e sanguinoso. Ma parlare e camminare sono due cose molto diverse. E sì, Travis è un veterano chiaramente segnato (sia fisicamente che mentalmente), ma trovarsi faccia a faccia con il proprio bersaglio e premere il grilletto è molto diverso dallo sparare a un soldato nemico da lontano.

Travis può quindi avere la stoffa per un omicidio a sangue freddo? Evidentemente sì e ne abbiamo una prima prova quando Travis sta facendo la spesa in un minimarket. In quel momento un ladro si avvicina alla cassa e chiede tutti i soldi. Senza esitare, Travis estrae una pistola, la punta alla testa del ladro e gli fa esplodere il cervello su tutto il bancone. È il primo gesto di violenza che dimostra come Travis stia per esplodere e che indubbiamente ci saranno altri omicidi.

L’importanza di Iris

Travis Bickle ha dei seri problemi quando si tratta di donne e odia assolutamente le lavoratrici del sesso che vede per strada. Tuttavia, la pensa diversamente su Iris “Easy” Steensma (Jodie Foster), una prostituta che continua a scorgere durante i suoi giri notturni in città. In breve, decide dunque di diventare il suo angelo custode. Ma cosa la rende diversa dalle altre prostitute? Iris ha solo 12 anni e mezzo. Quando Irish si presenta per la prima volta, salta sul retro del taxi di Travis e lo implora di andarsene prima di essere trascinata via dal suo protettore Matthew, alias Sport (Harvey Keitel).

Dopo aver litigato con Betsy, Travis cerca quindi Iris e la incoraggia a lasciarsi alle spalle la sua vita notturna. Ma la giovane sostiene di essere stata strafatta la sera in cui è salita sul suo taxi. Ma ora che è pulita, sembra che sia confusa su ciò che vuole: una parte di lei vuole restare e una parte vuole tornare dai suoi genitori. Verso la fine del film, quindi, Travis riempie una busta di denaro per Iris, in modo che possa fuggire dalla Grande Mela. Sfortunatamente, Sport la tiene in pugno e non la lascerà andare tanto presto. Inutile dire che Travis pensa che Sport sia un degenerato, ma i suoi motivi per aiutare Iris non sono poi tanto equilibrati.

Se da un lato è preoccupato per il suo benessere, dall’altro si vede come un giusto cavaliere bianco incaricato di ripulire la città. E ogni volta che interagisce con Iris, non fa altro che rafforzare la sua immagine di supereroe in carne e ossa, un’idea che spingerà Travis su una strada intrisa di sangue. L’incontro con Iris e la dimostrazione di come ciò che è puro venga corrotto e trattenuto nella corruzione dalle incarnazioni di una società depravata è quindi la goccia che fa traboccare il vaso. Travis raccoglie le sue pistole, si attacca un coltello allo stivale e si rade la testa. Sfoggiando un mohawk e la sua giacca verde dell’esercito, Travis è ora pronto a ripulire il mondo.

L’assassinio del senatore Palantine

Travis intende farsi notare uccidendo il senatore Charles Palantine, il capo di Betsy e l’uomo in corsa per la nomination presidenziale. Il senatore sta tenendo un comizio nelle vicinanze e Travis intende dargli un appoggio fatto di piombo. Sa che a sua volta non sopravviverà a quell’attentato e gli va bene così. Ha scritto una lettera d’addio ai suoi genitori, ha lasciato dei soldi a Iris e ora se ne va in un tripudio di gloria mentre Betsy lo guarda, seduta a pochi posti di distanza da Palantine. Scegliere il capo di Betsy come bersaglio non è assolutamente una coincidenza.

Palantine è per lui l’incarnazione dell’ipocrisia. Era convinto che quel politico potesse effettivamente ripulire la città, ma si è infine reso conto che è solo l’ennesimo prodotto della degerazione che in essa imperversa. Tuttavia, mentre Travis si dirige verso il senatore, viene individuato da un agente dei servizi segreti. Capendo che il piano è saltato, Travis si dà alla fuga, lasciandosi alle spalle la manifestazione. Tuttavia, non ha passato settimane a prepararsi fisicamente e mentalmente e ad esercitarsi al poligono di tiro per niente. Se non può uccidere un politico, troverà un’altra vittima. Senza pensarci due volte, nella sua mente si materializza l’immagine di Sport, il pappone che tiene prigioniera Iris.

Cosa succede durante la sparatoria?

Giunto a destinazione, Travis individua Sport e gli spara a bruciapelo. A quel punto sale nel motel dove Iris e le altre ragazze del pappone svolgono la loro attività e da vita ad una carneficina, uccidendo tutti gli uomini presenti. Quando infine Sport, non ancora morto, spara a sorpresa al collo di Travis, il vigilante seppur ferito svuota un’intera pistola nel corpo del pappone. E quando il boss mafioso di Sport spara un colpo alla spalla di Travis, il tassista estrae una pistola nascosta e spedisce all’inferno anche lui.

Iris èassiste a tutto questo, urlando e piangendo e implorando Travis di fermarsi. Con quasi tutti morti, Travis si prepara ad uscire mettendosi una pistola sotto il mento. Ma quando fa per sparare, si sente solo un clic. Travis ha finito i proiettili. Il cruento scontro a fuoco termina finalmente quando i poliziotti arrivano e trovano Travis, intriso di sangue e sorridente. Il tassista si porta a quel punto le dita alla testa e mima il suicidio, e a quel punto la telecamera si sposta fuori dalla stanza, mostrandoci la carneficina che ha compiuto.

Dopo la sparatoria, il film fa un salto in avanti nel tempo e ci mostra l’appartamento di Travis. La sua parete è ricoperta di ritagli di giornale con titoli che recitano “autista di taxi combatte i gangster” e “autista di taxi diventa eroe”. Mentre la telecamera attraversa la stanza, sentiamo la voce fuori campo del padre di Iris che legge una lettera a Travis e ringrazia l’uomo per aver salvato sua figlia, che è ora tornata a casa. Travis è quindi diventato un eroe, la gente lo vede come l’uomo che ha combattuto la mafia e salvato una bambina. Nessuno sa che prima aveva tentato di uccidere Palantine, cosa che lo avrebbe reso solo un pazzo omicida.

Travis è vivo o morto nel finale di Taxi Driver?

Arriviamo ora alla parte controversa. Cosa succede nel finale? Dal momento in cui Travis Bickle mima il suicidio con le sue dita insanguinate al momento in cui scorrono i titoli di coda, le cose diventano incredibilmente strane. Alcuni fan di Taxi Driver sospettano che Travis muoia nella sparatoria finale con i gangster e che gli ultimi minuti – quando Travis diventa un eroe, Iris rinuncia alla vita di strada e Betsy ci riprova con lui – siano solo una sua fantasia mentre muore.  Alcuni teorizzano che l’inquadratura dall’alto del corpo di Travis intriso di sangue suggerisca che il tassista è morto, come se la sua anima fosse salita al di sopra del mondo e noi avessimo una visione divina delle cose.

I sostenitori della teoria “Travis è morto” ritengono infatti che gli ultimi momenti siano troppo perfetti e che sia esattamente il tipo di finale che uno psicopatico come Travis potrebbe sognare per se stesso. Ma sebbene sia del tutto normale pensare che Travis Bickle muoia alla fine di Taxi Driver, ci sono invece tre persone che non sono affatto d’accordo con questa interpretazione: il regista Martin Scorsese, l’attore Robert De Niro e lo sceneggiatore Paul Schrader. Proprio quest’ultimo ha ribadito la sua convinzione che Travis sia sopravvissuto alla sparatoria, dicendo: “Molte persone hanno attribuito il finale di Taxi Driver a una fantasia. Non ho problemi con quel finale, ma non è quello che intendevo”.

 

La critica alla cultura americana

Se Travis è sopravvissuto alla fine di Taxi Driver ed è diventato davvero un eroe, cosa significa per il film? In una traccia di commento, lo sceneggiatore Paul Schrader ha raccontato di essersi ispirato all’aspirante assassina Sara Jane Moore, una donna che ha sparato a Gerald Ford. Dopo il suo fallito tentativo di omicidio, il volto della Moore finì sulla copertina di Newsweek e questo lasciò Schrader perplesso. Perché la rivista la trattava come una star del cinema? Confuso e frustrato, decise di inserire questo aspetto nella sceneggiatura e di far sì che i media trasformassero Travis Bickle in un eroe.

In breve, il finale di Taxi Driver è un’accusa alla cultura americana che idolatra i cattivi. Basti pensare a come in seguito al film Ted Bundy – Fascino criminale, il serial killer Ted Bundy sia balzato agli onori della cronaca perché in molti lo definivano “sexy”, o ancora al caso di Luigi Mangione, idolatrato per avver ucciso un imprenditore. Schrader non ha quindi tutti i torti, e Taxi Driver è quindi un grande atto d’accusa nei confronti della cultura pop americana. Certo, se Travis avesse ucciso Palantine, la gente lo avrebbe trattato in modo molto diverso, ma dato che ha massacrato dei cattivi, allora viene indicato come un buono.

Che si pensi che Travis viva o muoia alla fine di Taxi Driver, entrambi i finali sono quindi piuttosto tristi. O ha ucciso un mucchio di persone prima di morire in un bordello, o ha ingannato la giustizia ed è stato reso una leggenda da una cultura che venera la violenza. Ma è lecito pensare che, se Travis Bickle è sopravvissuto a quella sparatoria, potrebbe colpire ancora. Negli ultimi secondi del film, infatti, dopo aver lasciato Betsy, Travis si allontana con il suo taxi, accompagnato dalla colonna sonora jazz di Bernard Herrmann. Ma è in quel momento che Travis inizia a diventare molto nervoso. Lancia uno strano sguardo allo specchietto retrovisore, proprio mentre la colonna sonora emette una nota acuta e inquietante.

È un momento molto cupo e Scorese lo ha inserito per un motivo. Come ha spiegato il regista, “ho deciso di inserire qualcosa [nel finale] che mostrasse che il timer di Travis inizia a ticchettare di nuovo, la bomba che sta per esplodere di nuovo”. In altre parole, è meglio che Betsy e chiunque altro gli stia alla larga. È meglio che tutti evitino questo taxi. È meglio che la gente scappi quando vede arrivare il tassista. Travis Bickle non è un eroe e non è guarito. Prima o poi esploderà di nuovo e quando lo farà, probabilmente sarà ancora più sanguinoso di prima, perfetta dimostrazione della società che lo alimenta.

Quando la vita ti dà mandarini: la spiegazione del finale

Nel corso delle sue 16 puntate, Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines) riesce in qualche modo a raccontare una storia intergenerazionale che abbraccia diversi decenni, concedendo al contempo anche ai momenti più piccoli tutto lo spazio necessario per respirare e avere un impatto maggiore. Tuttavia, nonostante sia fondamentalmente un dramma che ritrae spaccati di vita quotidiana, la serie non perde mai di vista il suo cuore e la sua anima, che sono sempre stati la coppia protagonista, Ae-sun e Gwan-sik.

Con la conclusione agrodolce dei suoi quattro volumi, When Life Gives You Tangerines garantisce una chiusura ai personaggi amati che hanno popolato la serie. E proprio come nella vita reale, anche i momenti finali sono ricchi di alti e bassi, accompagnati da felicità e tristezza.

Spoiler importanti su Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines) di seguito.

Come finisce Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines)?

L’ultimo volume di Quando la vita ti dà mandarini (When Life Gives You Tangerines) continua a mostrare le prove e le tribolazioni che Ae-sun e Gwan-sik devono continuare a sopportare, anche se stanno invecchiando e hanno relativamente meno energia per affrontare i loro problemi. Partendo dal matrimonio di Geum-myeong e Chung-seop, la serie fa un viaggio indietro nel tempo per mostrare come i due sono finiti insieme grazie a un periodo difficile per il primo.

A causa della crisi economica che ha colpito la Corea del Sud nel 1997, la vita di Geum-myeong diventa sempre più difficile: viene licenziata, continua a ricevere rifiuti dai colloqui di lavoro e non ha una direzione chiara per la sua carriera.

Questo la porta al teatro dove lavorava in passato, dove incontra il suo ex collega e artista Chung-seop, che fa la prima mossa e i due si ritrovano dopo tanto tempo, finendo per innamorarsi e sposarsi l’anno successivo.

Durante questo periodo, Geum-myeong presenta Chung-seop ai suoi genitori, Ae-sun e Gwan-sik, che potrebbero mostrare di non essere troppo entusiasti della scelta, ma che in fondo sanno che lui è la persona migliore per la loro figlia.

Ma mentre sembra che Ae-sun e Gwan-sik stiano finalmente ottenendo la felicità che meritano grazie al matrimonio della figlia, il loro figlio, Eun-myeong, viene arrestato e incarcerato subito dopo per frode commerciale, aggiungendo un’altra situazione sfortunata alla vita dei suoi genitori.

Avendo già perso un figlio in un terribile incidente in passato, Gwan-sik decide di sacrificare l’unica cosa che è stata la principale fonte di sostentamento economico della famiglia per decenni: la sua barca da pesca.

Eun-myeong, che ora è padre a sua volta, finalmente capisce che i suoi genitori gli volevano bene tanto quanto a sua sorella, sentendosi in colpa per il sacrificio che Gwan-sik ha dovuto fare per risolvere i problemi di suo figlio.

Tuttavia, questo non è l’unico shock che Ae-sun e Gwan-sik devono affrontare, poiché, nonostante non siano in una situazione finanziaria ottimale, possono ancora contare su Geum-myeong, che grazie alle sue qualifiche e al suo lavoro funge da sostegno per la famiglia. Ma quando un giorno lei si presenta e rivela di aver lasciato il lavoro per avviare un’attività in proprio, i suoi genitori si preoccupano moltissimo, considerando che l’unica fonte di reddito stabile della famiglia sta per scomparire.

Il peschereccio non è l’unico sacrificio che Gwan-sik fa negli ultimi quattro episodi di Quando la vita ti dà mandarini , poiché finisce anche per vendere il suo campo di cavoli per investire in un ristorante nella speranza di cambiare le cose per sua moglie.

Purtroppo, quell’investimento non dà i risultati sperati, poiché nessuno frequenta il ristorante, lasciando la famiglia in condizioni ancora più difficili di prima e costringendo Geum-myeong a chiedere un prestito e a confessare il peso che la pressione dei suoi genitori ha avuto su di lei per tutta la vita. Ciò provoca un acceso scambio tra Geum-myeong e Ae-sun, durante il quale Gwan-sik deve intervenire per evitare che la situazione degeneri.

Dopo qualche tempo, Geum-myeong affronta un parto estremamente difficile e pericoloso, dando alla luce Bom e diventando madre a sua volta, dopodiché anche la sua attività di studio online, ispirata dalla mancanza di opportunità di Ae-sun, inizia ad avere successo.

E tutto questo serve da conclusione per Geum-myeong, che ottiene tutto ciò che desiderava, accanto a una persona come Chung-seop, che la ama più della vita stessa. Ma durante questo periodo, sono Ae-sun e Gwan-sik che hanno ancora molto da affrontare, con il ristorante che hanno comprato che è la loro principale preoccupazione per ora.

Dopo aver trascorso tutta la vita cercando di trarre il meglio da qualsiasi circostanza, Ae-sun e Gwan-sik iniziano a offrire un servizio di consegna di cibo estremamente veloce, costruendosi una clientela che inizia a mostrare interesse anche per il ristorante.

Inoltre, la gentilezza di Gwan-sik non si limita solo alla sua famiglia, poiché si scopre che una volta ha aiutato e salvato qualcuno che ora è una celebrità e, dopo una sponsorizzazione, il ristorante diventa un successo ancora più grande. Purtroppo, la vita ha in serbo altre difficoltà per la coppia, poiché a Gwan-sik viene diagnosticato un cancro. Per fortuna, prima di morire, riesce a vedere sua moglie realizzare il sogno di una vita, quello di diventare poetessa, quando Ae-sun finalmente riesce a pubblicare una delle sue poesie.

Questo rappresenta una conclusione necessaria per Gwan-sik, che ha dedicato tutta la sua vita ad Ae-sun e a garantire alla sua famiglia tutto ciò di cui aveva bisogno, indipendentemente da quanto lavoro dovesse fare per ottenerlo.

Dopo la morte di Gwan-sik, Ae-sun continua a scrivere poesie sul suo quaderno e, dopo vent’anni, Geum-myeong invia il suo lavoro a un editore per assicurarsi che la storia dei suoi genitori venga riconosciuta dal grande pubblico, poiché è davvero una storia di amore incondizionato e sacrificio. A chiudere il cerchio, l’editore assomiglia esattamente alla madre di Ae-sun, morta quando lei era ancora bambina, a dimostrazione che, sebbene Jeon Gwang-rye non abbia mai potuto vedere sua figlia realizzare i propri sogni, probabilmente la sta guardando dall’alto ed è orgogliosa di ciò che ha realizzato nella sua vita.

Quel libro di poesie pubblicato è l’ultimo traguardo che Ae-sun ha sempre voluto raggiungere, e raggiungerlo segna una meravigliosa conclusione per qualcuno che ha vissuto tutta la sua vita senza molti lussi o opportunità di base.

Ecco perché il finale di Quando la vita ti dà mandarini è perfetto, poiché offre una conclusione a ciascun membro della famiglia principale in modo naturale e meritato.

Gwan-sik finalmente riesce a vedere sua moglie veramente felice, Ae-sun diventa una poetessa nonostante le circostanze, Geum-myeong diventa un imprenditore di successo e trova il vero amore come i suoi genitori, ed Eun-myeong cambia vita correggendo i propri errori e lavorando per l’azienda della sorella.

Grazie alla pura perseveranza, all’amore e al sostegno reciproco, Gwan-sik e Ae-sun non si sono mai arresi di fronte alle difficoltà della vita e hanno continuato ad andare avanti, costruendo qualcosa di cui poter essere veramente orgogliosi.

Bloodshot: la spiegazione del finale del film con Vin Diesel

Bloodshot della Sony è l’adattamento cinematografico dell’omonimo fumetto della Valiant Comics con Vin Diesel nel ruolo di Ray Garrison, un soldato americano che muore in circostanze misteriose durante la sua carriera militare e viene poi resuscitato dalla Rising Spirit Technologies. L’azienda biomedica è specializzata nella guerra e produce super soldati da mettere in vendita. Ray viene quindi trasformato in un killer quasi immortale grazie a una tecnologia nanitica unica nel suo genere.

Diventa così in grado di rigenerare parti del corpo, guarire istantaneamente dalle ferite da arma da fuoco ed è dotato di forza, velocità e agilità sovrumane, che lo rendono praticamente un esercito a sé stante. Tuttavia, nel finale Ray si rivolta contro i suoi superiori alla Rising Spirit dopo aver capito che lo stavano trasformando in un’arma per motivi sbagliati. In questo approfondimento, andiamo ad esplorare proprio la natura ambigua del finale.

La libertà di Ray Garrison

Nel corso del film Ray uccide le persone che pensava avessero ucciso sua moglie, ma si è trattato solo di una simulazione orchestrata dal capo della Rising Spirit, il dottor Emil Harting (Guy Pearce). Quest’ultimo ha ingannato Ray spingendolo ad uccidere i suoi ex colleghi e manipolandone la mente con falsi ricordi. Alla fine, il corpo di Ray viene temporaneamente liberato grazie all’hacker Wilfred Wigans (Lamorne Morris), durante una missione fallita, ma il veterano di guerra viene catturato dai teppisti di Emil dopo una rissa di strada.

Bloodshot trama film
Guy Pearce e Vin Diesel in Bloodshot. © 2020 CTMG, Inc. All Rights Reserved. 

Viene quindi messo in ghiaccio e destinato alla dismissione, mentre la sua “babysitter” KT (Eiza González) viene mandata a cercare Wilfred, poiché potrebbe mandare all’aria i piani di Emil di entrare nel mercato. KT si reca in Inghilterra, elimina gli scagnozzi di Wilfred e mette fuori combattimento il genio, ma quando torna alla base, ha sviluppato una coscienza e vuole liberare Ray, dispiaciuta per le torture che ha subito. KT, quindi, mente e dice che Wilfred è scappato, mentre il genio è in realtà nascosto nel loro complesso europeo, dove sta hackerando il processo di disattivazione.

Libera così Ray e, con l’aiuto di KT, impediscono la cancellazione della sua memoria, permettendogli di dare la caccia a Emil. KT incendia poi i server per bruciare tutti i dati, mentre Wilfred si assicura che i naniti di Ray rimangano liberi dalla manomissione di Rising Spirit. Sfortunatamente, il processo ha lasciato Ray con un disperato bisogno di ricarica, cosa che non è in grado di ottenere. Riesce però a combattere contro Jimmy Dalton (Sam Heughan), un soldato amareggiato che ha protesi meccaniche, e Tibbs (Alex Hernandez), e quando li uccide entrambi, si dirige verso Emil, che sta cercando di fuggire dai detriti che cadono dall’edificio.

Mentre affronta Emil, il super soldato inizia però a indebolirsi al tre per cento. Emil colpisce quindi Ray con un paio di bombe speciali, avvertendolo che una volta arrivato a zero, sarà finita. Anche Wilfred è in preda al panico perché non crede di poter ricaricare i naniti morti, ma Ray procede nella lotta, incassando i colpi prima che Emil, che ha una potente mano robotica dopo aver perso il braccio a causa del cancro, strangoli il soldato. Ray, che fatica a respirare, ha però un ultimo asso nella manica e lancia una granata, facendo saltare in aria entrambi.

Bloodshot sequel
Eiza González in Bloodshot. © 2020 CTMG, Inc. All Rights Reserved.

La spiegazione del finale

La sequenza finale, però, rivela che Ray non è morto, poiché KT ha salvato il suo corpo quando si è ricomposto in un ultimo disperato tentativo di sopravvivere. Lei e Wilfred lo hanno tenuto in vita, curandolo e modificando i suoi naniti. Wilfred confessa di aver risolto il problema di ricarica e che Ray non ne avrà più bisogno. Ha tutti i suoi poteri, senza i punti deboli, e mentre si nascondono e si mettono in viaggio nella campagna europea in una roulotte, KT diventa la partner ufficiale di Ray. Sanno che saranno braccati dal resto della Rising Spirit, dalle corporazioni rivali e da altri governi, ma almeno sono liberi.

C’è però qualcosa che non torna nel finale di Bloodshot. Quello che ci viene mostrato è reale o è solo un’altra simulazione? La scena finale vede il trio dirigersi serenamente verso il tramonto, ed è questo dettaglio che pone una certa ambiguità in questa conclusione. Poco prima della fine di Bloodshot, infatti, si sente Wigans mettere in dubbio la validità della conclusione del film. Poco prima che il finale di Bloodshot raggiunga il culmine dell’euforia, Wigans si preoccupa: “Un po’ troppo perfetto, se volete il mio parere. Dici sul serio? Proprio verso il tramonto? Siamo sicuri che non sia tutta una simulazione…“.

Da un lato, questa battuta si adatta al carattere prevalentemente pessimista e autoironico di Wigans ed è proprio nel suo stile umoristico. La battuta potrebbe essere semplicemente il suo modo per rompere il ghiaccio dopo aver realizzato il suo nuovo ruolo di terzo incomodo tra Ray e KT. Detto questo, le sue preoccupazioni potrebbero avere un fondo di verità. In teoria, è possibile che tutto in Bloodshot sia una simulazione e, in modo simile a Inception, la cospirazione scoperta da Garrison nascondesse semplicemente un’altra cospirazione volta a distruggere la RST incastrandola come cattiva, cosa che Bloodshot ha creduto ciecamente.

Bloodshot fumetto
Vin Diesel in Bloodshot. © 2020 CTMG, Inc. All Rights Reserved.

Poiché questa particolare teoria renderebbe l’intero film privo di significato, è improbabile che sia vera; d’altra parte, è molto più plausibile che solo la scena finale di Bloodshot sia una simulazione. Il pubblico non vede mai cosa succede a Ray dopo che si è fatto esplodere per uccidere il dottor Harting, e se Wigans è riuscito a ricomporre il super soldato, anche un altro super genio potrebbe essere in grado di farlo, sottoponendolo allo stesso tipo di realtà simulata della RST. La cosa curiosa è la consapevolezza di Wilfred che cavalcare verso il tramonto potrebbe essere una simulazione. Se fosse vero, ciò significherebbe che Ray, KT e Wilfred sono tutti collegati a una memoria condivisa, poiché un falso Wilfred non sarebbe programmato per destare sospetti.

L’idea delle simulazioni condivise è qualcosa che Bloodshot introduce già all’inizio del film. Quando KT decide per la prima volta di ribellarsi alla RST e salvare Ray, entra nella sua missione simulata dei marine per portarlo fuori, introducendo l’idea che altre coscienze possano entrare in queste realtà oniriche. Per quanto riguarda il motivo per cui questo ipotetico nemico misterioso avrebbe catturato Ray, KT e Wilfred e messo il trio in un’unica realtà simulata, forse questa organizzazione losca vede un valore nelle loro nuove acquisizioni come squadra. Un sequel di Bloodshot risponderebbe definitivamente a questo mistero, ma se non ci sarà un seguito, i fan dovranno semplicemente supporre che Wilfred stesse scherzando.

Romanticismo a fuoco lento: 8 film che vi conquisteranno senza che ve ne accorgiate

Siete tra coloro che non possono resistere a storie basate su “da nemici a amanti” o su storie d’amore slow burn? Indubbiamente, ci sono film che non hanno bisogno di scene esplicite per farci perdere il fiato. Perché la magia sta nelle atmosfere, negli sguardi sostenuti o nei silenzi significativi.

Se siete amanti dei film che giocano con l’insinuazione, il desiderio trattenuto e l’intensità emotiva, fino ad avvolgervi in una sorta di trance morbida e ipnotica, ecco otto titoli in cui la tensione va oltre… e voi siete intrappolati senza sapere esattamente perché.

Il potere dell’allusione nel cinema

Al di là di Pretty Woman e dei cliché delle escort italiane con i tacchi alti e del lieto fine tipici del cinema romantico, esiste un universo in cui la tensione non ha bisogno di nomi e il provocatorio non viene detto ad alta voce. È il regno dei dettagli sottili, come l’urto involontario in ascensore o la porta che non si chiude del tutto. I film che vi consigliamo di seguito non cercano di mostrare tutto, ma di invitarvi a immaginare fino a rimanere incollati allo schermo senza nemmeno accorgervene. Prendete nota:

La piscine (1969, Jacques Deray)

Jean-Paul e Marianne si godono una vacanza in una villa nel sud della Francia. La tranquillità viene sconvolta dall’arrivo di un vecchio amico di lui, accompagnato dalla figlia adolescente. La tensione cresce, la gelosia e le vecchie ferite cominciano a emergere.

È un thriller sensuale in cui tutto accade con apparente calma. Romy Schneider e Alain Delon riempiono lo schermo di sguardi carichi e silenzi scomodi. È un cinema che trascina lentamente verso il fondo della piscina.

Eyes wide shut (1999, Stanley Kubrick)

Un medico di New York entra in una spirale di dubbi dopo una confessione inaspettata della moglie. La sua reazione lo porta a vivere una lunga notte, in cui esplora un mondo sconosciuto di desideri e segreti. Tutto sembra un sogno da cui è difficile risvegliarsi.

Kubrick mescola erotismo, senso di colpa e potere in un film lento ma magnetico. Non è solo visivamente provocatorio: l’atmosfera, il ritmo e l’ambiguità costruiscono un labirinto emotivo. È un’esperienza da guardare senza distrazioni.

In the mood for love (2000, Wong Kar-Wai)

Nella Hong Kong degli anni ’60, due vicini di casa scoprono che i rispettivi partner sono infedeli. Invece di vendicarsi, iniziano a passare del tempo insieme e a ricreare, quasi per gioco, le possibili scene di questi tradimenti. Senza cercarlo, finiscono per sviluppare un legame profondo, silenzioso e difficile da classificare.

In the mood for love è una storia di desiderio contenuto, dove ogni gesto pesa più di una dichiarazione. La messa in scena è curata all’estremo, con colori, movimenti e musiche che accompagnano il tono emotivo. Non è un film per chi cerca l’azione, ma per chi apprezza il cinema lento.

Soñadores (The dreamers, 2003, Bernardo Bertolucci)

Parigi, 1968. Un giovane americano incontra due fratelli francesi durante uno sciopero studentesco. Si chiudono insieme in un appartamento, isolati dal mondo esterno, e iniziano a condividere film, idee… e qualcosa di più. Tra loro si forma un legame tanto intenso quanto ambiguo.

Il film unisce sensualità, politica e riferimenti cinematografici. Il suo ritmo lento e la sua costante carica emotiva lo rendono ipnotico. È provocatorio, ma anche una riflessione sulla gioventù e sui suoi limiti.

Match point (2005, Woody Allen)

Chris, un ex giocatore di tennis squattrinato, si integra nell’alta società londinese grazie al suo matrimonio. Tutto sembra andare bene finché non diventa ossessionato da Nola, l’ex di suo cognato. Da quel momento in poi, la sua vita si complica sempre di più con decisioni sempre più pericolose.

Allen abbandona l’umorismo a favore della suspense e della tensione emotiva. Scarlett Johansson brilla in un ruolo pieno di magnetismo. È una storia di desiderio, ambizione e colpa, raccontata con una freddezza inquietante.

Youth (2015, Paolo Sorrentino)

Fred, un compositore in pensione, trascorre una vacanza in un hotel di lusso sulle Alpi con il suo migliore amico. Qui vive con artisti, celebrità e personaggi eccentrici, tra cui una giovane compagna che ha una strana relazione con un attore decadente. Il film è un mosaico di personaggi che esplorano il desiderio, la vecchiaia e il passare del tempo.

Sorrentino ritrae il corpo femminile attraverso la contemplazione piuttosto che la provocazione. La figura del presunto escort a Roma è trattata con rispetto, mistero e una certa poesia visiva. Non è il centro della storia, ma la sua presenza dà vita a una delle scene più memorabili, carica di silenziosa tensione.

7. Call me by your name (2017, Luca Guadagnino)

Durante un’estate nel nord Italia, Elio, un adolescente sensibile e brillante, incontra Oliver, un giovane invitato dal padre. Il loro rapporto cresce lentamente e ciò che inizia come curiosità si trasforma in un legame profondo difficile da dimenticare.

È una storia nostalgica sul primo amore. La fotografia, i paesaggi e la musica accompagnano questa scoperta emotiva senza drammi forzati. Un film sincero, delicato e completamente lento.

8. Sanctuary (2022, Zachary Wigon)

Hal, un giovane erede, incontra una donna che lo guida in dinamiche di potere non convenzionali. Quello che inizia come un incontro combinato si trasforma in un intenso duello psicologico. I ruoli di vittima e dominante si spostano costantemente tra i due.

Il film si svolge quasi in tempo reale, all’interno di un’unica stanza. Tuttavia, riesce a creare una tensione crescente e avvincente. Margaret Qualley eccelle in un personaggio complesso, sicuro e seducente, senza bisogno di etichette.

Ciò che non viene detto, seduce anche nel cinema

A volte basta uno sguardo per accendere un intero film. Queste otto proposte mostrano come il cinema possa essere provocatorio e coinvolgente senza dover mostrare tutto. Il ritmo lento, la tensione emotiva e i personaggi enigmatici sono più potenti di qualsiasi scena esplicita. Perché il suggestivo, quando è ben raccontato, rimane molto più a lungo nella memoria.

E questo non accade solo nel cinema. C’è chi continua a cercare questo tipo di esperienza anche fuori dallo schermo, in scenari dove il gioco dell’insinuazione continua.

Tell Me Lies – Stagione 1: spiegazione del finale

Il finale di Tell Me Lies si conclude con Stephen (Jackson White) che sconvolge Lucy (Grace Van Patten) in due momenti diversi. Basata sul romanzo di Carola Lovering, la prima stagione di Tell Me Lies è ambientata principalmente nel 2007-2008. È il primo anno di Lucy al Baird College di New York, mentre Stephen è al terzo anno. La stagione si conclude con Lucy e Stephen, che non si vedono da quattro anni, che partecipano al matrimonio dei loro amici Bree (Catherine Missal) ed Evan (Branden Cook) nel 2015.

Il finale di Tell Me Lies vede Lucy sconvolta dalle conseguenze della lettera che ha scritto in forma anonima e inviato all’amministrazione del Baird College, chiedendo loro di indagare sulla morte della sua coinquilina Macy (Lily McInery) in un incidente stradale. Lucy e Stephen sono impantanati nella loro relazione tossica, con Lucy che sostiene di “proteggere” Stephen perché era in macchina quando Macy è morta, mentre Stephen tiene per sé la verità. Il loro gruppo di amici si frammenta sotto il peso di tutte le bugie che Lucy e Stephen hanno raccontato.

La verità sulla morte di Macy e su ciò che ha fatto Stephen

I primi 18 minuti del finale di Tell Me Lies rivelano tutta la verità su Macy e su come è morta. Stephen e Macy avevano una relazione dall’estate, ma fingevano di non conoscersi perché Stephen non voleva che la sua ex ragazza Diana (Alicia Crowder) sapesse che frequentava altre ragazze. Macy va a una festa da sola (dopo che Lucy si rifiuta di andare) e chiama Stephen per chiedergli di raggiungerla.

Dopo essersi drogato, Stephen decide di essere abbastanza in forma per guidare l’auto di Macy fino al dormitorio. I due litigano e Macy rimprovera Stephen per le sue bugie e lo accusa di essere una persona cattiva. In quel momento, Stephen distoglie lo sguardo dalla strada, Drew quasi li investe con la sua auto e Stephen schianta l’auto di Macy contro un albero.

Stephen è miracolosamente illeso, ma, in un atto spregevole di autoconservazione, mette il corpo di Macy al posto di guida.

L’impatto uccide Macy perché la cintura di sicurezza del passeggero non funziona. Stephen è miracolosamente illeso, ma, in un atto spregevole di autoconservazione, mette il corpo di Macy al posto di guida e cancella se stesso dal suo Blackberry in modo che nessuno possa collegarli. Stephen poi torna a casa a piedi e lascia Macy lì, in attesa di essere trovata dalla polizia.

Nessuno sa che Stephen era alla guida dell’auto di Macy quando è morta, e Stephen permette a Drew di credere che sia lui il responsabile invece di confessare la verità perché non vuole rovinarsi la vita. È difficile contestare la valutazione che Macy ha dato di Stephen prima di morire: è una persona cattiva che fa le cose che farebbe una persona cattiva.

Tutte le conseguenze della lettera di Lucy su Drew spiegate

Basandosi su ciò che le ha detto Stephen, Lucy crede che Drew sia responsabile della morte di Macy e invia una lettera anonima al preside per “proteggere” Stephen. Stephen dice a Drew che suo fratello maggiore Wrigley ha raccontato dell’incidente alla sua ragazza. Stephen capisce immediatamente che è stata Lucy a inviare la lettera, ma rimane a guardare mentre la ragazza di Wrigley viene accusata. Wrigley litiga con Drew e cade accidentalmente da un balcone.

A causa della bugia di Lucy, Wrigley si ferisce al ginocchio e non potrà giocare come quarterback nella squadra di football durante l’ultimo anno.

Tutto ciò che la lettera di Lucy fa è compromettere il futuro di Wrigley e rovinare la reputazione di Pippa.

Wrigley accusa Pippa di aver scritto la lettera e si rifiuta di credere che sia stato Stephen a inviarla. Wrigley rompe con Pippa e la squadra di football la incolpa per l’infortunio. Lucy mente a un’altra matricola dicendole che lei e Stephen sono stati insieme la notte in cui è morta Macy, sempre per “proteggere” Stephen. La notizia arriva a Diana, che racconta a Stephen della bugia di Lucy, ma lui scopre con rabbia che la bugia può essere smentita. Alla fine, Drew non viene sospettato di alcun reato dal preside, quindi tutto ciò che la lettera di Lucy ottiene è compromettere il futuro di Wrigley e rovinare la reputazione di Pippa.

Perché Stephen ha davvero lasciato Lucy per Diana

Lucy è scioccata e affranta quando Stephen lascia freddamente la festa hawaiana di fine semestre con Diana. Diana “conquista” Stephen perché lo conosce meglio di chiunque altro. Diana è sicura di sé e ambiziosa, l’opposto di Lucy, e tocca tutte le insicurezze di Stephen come persona che vuole diventare ricca e di successo.

Diana offre a Stephen un’estate a New York, uno stage presso lo studio legale di suo padre e la promessa di un lavoro ben pagato una volta laureato, in modo che possa sfuggire a sua madre. Diana descrive Lucy come una persona che non è “impressionante”, non è spinta al successo come Stephen e si aggrappa a lui. Lucy rinuncia al viaggio in India che aveva programmato per l’estate, in modo da poter rimanere a casa e stare vicino a Stephen.

Diana e Stephen si dicono “ti amo” in un modo diverso da quello di Lucy e Stephen, anche se non meno possessivo. Stephen vuole liberarsi di Lucy, e tornare con Diana è rassicurante e gli garantirà l’avanzamento di carriera che desidera.

Lucy ed Evan hanno fatto sesso alle spalle di Bree

Evan consola Lucy dopo che Stephen l’ha lasciata per Diana e la mattina dopo si svegliano a letto insieme, anche se Evan sta uscendo con Bree. Evan trascorre il semestre disgustato da Stephen e da tutta la loro cerchia di amici, e la situazione esplode alla festa di compleanno di Evan nella casa sul lago nell’episodio 7. Evan dice anche a Lucy all’inizio della prima stagione di Tell Me Lies che è attratto da lei, un sentimento che continua a nutrire nonostante stia uscendo con Bree. Così Evan va a letto con Lucy per ripicca, il che è una macchia sulla sua immagine di bravo ragazzo.

Sapere che Lucy ed Evan sono andati a letto insieme cambia il modo in cui il pubblico vede la loro dinamica al matrimonio di Bree ed Evan nel 2015. Ora ha senso il motivo per cui Lucy stranamente prende da parte Bree per ricordarle con una citazione, dicendole: “Sono felice per te”. Anche Evan ha un linguaggio del corpo e un comportamento strani nei confronti di Lucy. La relazione tra Lucy ed Evan potrebbe non essere stata una cosa occasionale, e potrebbe essere continuata anche nel 2015 alle spalle di Bree.

La sorpresa del fidanzamento di Stephen

Tell Me Lies ha riservato una grande sorpresa finale: nel 2015, Stephen è fidanzato con Lydia (Natalee Linez), la migliore amica di Lucy. Lucy non sembra sorpresa ed è estremamente a disagio, quindi non è una sorpresa per lei quanto lo è per il pubblico. Nel finale di Tell Me Lies, Lucy cerca di convincere Stephen ad accettare un lavoro estivo alla reception del country club del padre di Lydia, ma lui rifiuta categoricamente perché sarebbe “pubblicamente umiliante” per lui.

Ma è possibile che accetti comunque il lavoro e incontri Lydia in questo modo. In caso contrario, il modo in cui Stephen ha incontrato Lydia potrebbe essere una trama importante per la seconda stagione di Tell Me Lies, ma con altri sette anni di storia da raccontare, ci sono molti modi in cui la tumultuosa relazione tra Stephen e Lucy può continuare prima che lui si fidanzasse con Lydia.

Il vero significato del finale di Tell Me Lies

La domanda più grande che la maggior parte delle persone si pone riguardo a Tell Me Lies è se ci siano persone buone in questa serie. Stephen si è rivelato una persona davvero cattiva. Ha ucciso accidentalmente Macy e poi ha fatto sembrare che fosse colpa di Drew. Lucy era così ossessionata e innamorata di Stephen che ha continuato a fare una cosa brutta dopo l’altra per proteggerlo, rovinando la vita di altre persone.

Alla fine, Stephen ha fatto sembrare Lucy una persona terribile e l’ha lasciata, dimostrando di non tenere affatto a lei.

È stato un momento terribile e, anche se sembrava che Lucy si fosse meritata ciò che le era successo, la verità è che lei aveva fatto tutto per Stephen e lui l’aveva usata in modo terribile. Semmai, Lucy era dipendente da Stephen e, per mantenere quell’euforia, continuava a fare cose sempre peggiori per aiutarlo. Nel frattempo, lui la faceva sentire in colpa e alla fine lei è rimasta sola e distrutta. Anche se alla fine della stagione sembrava che Stephen se ne fosse andato per rifarsi una vita migliore, il flash forward ha mostrato che forse le cose non andranno così bene per lui.

Come il finale della prima stagione di Tell Me Lies ha influenzato la seconda stagione

Tell Me Lies stagione 2 si è concentrata principalmente sulle trame del college del 2008 piuttosto che sul flash forward, ma ci sono stati comunque alcuni momenti nella seconda stagione che si sono svolti nella linea temporale del 2015. Secondo la creatrice della serie Meaghan Oppenheimer, non voleva ripetere nella seconda stagione il focus della prima su un misterioso omicidio, quindi ha cercato altri modi per aggiungere dramma e suspense alla storia, il che significava andare oltre i colpi di scena del finale della prima stagione (via Vanity Fair).

“Mi è sembrata una serie migliore in questa stagione. Ho adorato la prima stagione, ma ho sentito che Hulu mi ha permesso di correre molti più rischi in questa stagione. Nella prima stagione c’è stata una morte, il mistero del cadavere, e di solito c’è la pressione di doverne avere un’altra. Mi sono detta: ‘Come faccio a evitarlo? Perché non voglio un altro omicidio’”.

Lucy cerca di superare la rottura con Stephen uscendo con Leo, un ex ragazzaccio redento. Stephen rovina la sua relazione appena ripresa con la sua ragazza, Diana. Bree ha una relazione con il suo professore più anziano, Oliver (Tom Ellis), che è sposato con l’insegnante di inglese di Bree, Marianne (Gabriella Pession). La seconda stagione si conclude con un altro colpo di scena, in cui Bree scopre che Evan è andato a letto con Lucy proprio prima del loro matrimonio. La seconda stagione di Tell Me Lies ha ripreso la morte della prima stagione e l’ha utilizzata per creare una serie di relazioni tossiche, dando vita a una serie televisiva avvincente.

Mala Influencia, la spiegazione del finale: Reese ed Eros sopravvivono allo stalker?

Le cose finiscono male per i personaggi di Mala Influencia? Il nuovo thriller spagnolo di Netflix segue Reese Russell (Eléa Rochera), una ballerina adolescente che è bersaglio di uno stalker terrificante e misterioso. Il ricco padre di Reese, Bruce Russell (Enrique Arce), assume un ex detenuto, Eros Douglas (Alberto Olmo), come sua guardia del corpo per proteggerla.

Reese inizialmente è riluttante all’idea di essere sorvegliata, ma con il pericolo che cresce intorno a loro, lei ed Eros si avvicinano mentre cercano di scoprire l’identità dello stalker. Sebbene Reese sia circondata da persone sospette, tra cui compagni di classe gelosi e il suo ex fidanzato Raul (Fer Fraga), non capisce perché qualcuno voglia farle del male.

Reese, insieme a suo padre ed Eros, si ritrova faccia a faccia con l’aspirante assassino, che è qualcuno più vicino di quanto avrebbero mai potuto immaginare.

Come finisce Bad Influence? Ecco tutto quello che c’è da sapere su Reese ed Eros: sopravvivranno allo stalker e finiranno insieme?

Cosa succede alla fine di Bad Influence?

Durante il film, Reese sopravvive a diversi incidenti, tra cui un riflettore che le cade addosso durante un saggio di danza, una scioccante esplosione d’auto e un bouquet con un pacchetto regalo pieno di denti.

Mentre cerca di risolvere il mistero dello stalker, Reese inizia a sospettare dell’amica e coinquilina di Eros, Peyton (Mirela Balić). Reese scopre che Peyton non lavora in un bar come aveva detto, ma è una donna delle pulizie nella scuola superiore di Reese.

Reese espone la sua teoria a Eros, che più tardi chiede a Peyton nel loro appartamento se è lei che sta perseguitando Reese. Peyton nega l’accusa, ma mentre cerca di spiegarsi spinge Eros, facendogli perdere i sensi.

Reese arriva all’appartamento di Eros per cercarlo, seguita da Bruce, che sta cercando sua figlia. Peyton li fa entrare e, una volta che Eros si sveglia, confessa il suo sorprendente legame con tutti loro.

Chi è lo stalker di Reese?

Reese è paranoica riguardo a chi tra le persone che la circondano potrebbe volerle fare del male, e uno dei principali sospettati è il suo ex fidanzato, Raul. A un certo punto, anche suo padre, Bruce, viene indicato come possibile responsabile degli attacchi.

Alla fine, si scopre che lo stalker di Reese non è Raul, ma Peyton, un’amica di lunga data di Eros. Lei aveva cercato di dissuadere Eros dall’accettare il lavoro di guardia del corpo di Reese, poiché era lei la responsabile di averla terrorizzata.

Perché Peyton voleva uccidere Reese?

Peyton voleva vendicarsi di Reese e della sua famiglia.

Mentre teneva in ostaggio Reese, Eros e Bruce, Peyton ha rivelato che 16 anni prima sua madre e i genitori di Eros lavoravano in un ristorante di proprietà di Bruce. Una notte, il locale ha preso fuoco e i loro genitori sono morti, insieme alla madre di Reese.

Sebbene fosse solo un ragazzo, Eros fu incolpato dell’incendio e mandato in un centro di detenzione minorile. Lì, Eros, Peyton e il loro amico Diego (Farid Bechara) diventarono amici. Anni dopo, Bruce fece rilasciare Eros dal centro quando questi accettò di proteggere sua figlia.

Chi muore alla fine di Mala Influencia?

Reese, Eros e Peyton sopravvivono, ma con un colpo di scena, non Bruce, il padre di Reese. Durante la resa dei conti nell’appartamento, Eros attacca Peyton, permettendo a Reese e Bruce di fuggire. I tre corrono giù per le scale dell’edificio, mentre Peyton spara loro con la pistola dalla tromba delle scale. Si ferma e crolla a terra quando si rende conto di aver sparato a uno di loro.

Nella scena successiva, Reese è seduta su un molo e legge un post sui social media che annuncia la morte di Bruce, ucciso nella sparatoria. Nonostante Bruce sia morto, Reese lo chiama comunque e gli lascia un messaggio vocale dicendogli che è entrata in una compagnia di danza. Conclude il messaggio dicendo: “Spero che tu sia davvero orgoglioso di me. Ti voglio bene”.

Reese ed Eros finiranno insieme?

Sì, Reese ed Eros scoprono chi è lo stalker e restano insieme. Nella scena che segue il loro incontro con Peyton, condividono un momento emozionante e tranquillo mentre si baciano su un molo.

In un messaggio vocale a suo padre, Reese rivela di essere entrata nella compagnia di danza per cui aveva fatto l’audizione. Chiama Eros e gli lascia un messaggio per dirgli la notizia.

Nella scena finale, Eros fa visita a Reese durante le prove di danza. Dopo che gli altri ballerini se ne sono andati, Reese ed Eros si abbracciano e si baciano sul palco. I due ballano, finalmente in grado di rilassarsi dopo aver scoperto che le loro vite non sono più in pericolo.

The Residence – Stagione 2 si farà: tutto quello che sappiamo

La serie di Netflix The Residence (qui la nostra recensione) ha portato un sacco di intrighi alla Casa Bianca nella prima stagione, ma otterrà un rinnovo per una seconda stagione? Creata per il piccolo schermo da Paul William DaviesThe Residence segue Cordelia Cupp (Uzo Aduba), una consulente privata del Dipartimento di Polizia di Washington che viene incaricata di risolvere un omicidio avvenuto durante la cena di Stato alla Casa Bianca. Con un cast di tutto rispetto, The Residence racconta una classica storia di giallo con una moderna sensibilità da commedia screwball.

Sebbene Netflix non abbia ancora rinnovato la seria, Cordelia Cupp potrebbe facilmente tornare per la stagione 2.

Ultime notizie su The Residence – Stagione 2

Il creatore dello show anticipa le possibilità della stagione 2

A pochi giorni dalla pubblicazione di tutti gli 8 episodi della prima stagione, le ultime notizie arrivano sotto forma di anticipazione dal creatore. Paul William Davies ha contribuito a portare la serie in streaming e ora il creatore ha detto che sta già elaborando nuove idee per una seconda stagione. Sebbene non sia chiaro se The Residence sia stato progettato per essere una miniserie, Williams sembra suggerire che la premessa aperta potrebbe sempre continuare. “Ho delle idee, quindi spero che le persone rispondano a lei e [allo show], e poi potremo farlo”, ha detto Davies, riponendo le sue speranze nella risposta dei fan al mistero dell’omicidio.

Come ha detto Davies, The Residence parla in realtà di Cordelia Cupp, e l’eccentrica detective potrebbe tornare più e più volte come altri detective immaginari come Hercule Poirot o Benoit Blanc. Sebbene l’ambientazione della Casa Bianca sia in qualche modo limitante, show come Only Murders in the Building hanno dimostrato che una storia ben raccontata può spingere un mistero oltre la natura inverosimile della sua premessa.

“Spero davvero di avere l’opportunità di raccontare altre storie così, e penso che inizierei con Cordelia. Lei è Cordelia Cupp, è il sole attorno al quale ruota tutto il resto. Quindi, che sia più alla Casa Bianca o da qualche altra parte, penso davvero che ci sia più storia da raccontare con lei. Ho delle idee, quindi spero che le persone rispondano a lei e [allo show], e poi potremo farlo.”

La seconda stagione di The Residence non è confermata

Netflix non ha ancora rinnovato lo show

Sebbene The Residence abbia chiaramente del potenziale come storia in corso, non è chiaro se Netflix lo abbia concepito come una miniserie. Lo streamer ha lanciato molti programmi che iniziano come miniserie ma diventano qualcosa di più, in questo caso il materiale di partenza è perfetto per diventare un’antologia. Tuttavia, tutto si deciderà in base ai numeri di spettatori per aiutare a determinare se la serie vale la pena di continuare. Spesso, una miniserie ottiene ascolti così alti che la sua piattaforma o rete non può fare a meno di sognare più stagioni per soddisfare la domanda.

Dettagli sul cast della seconda stagione di The Residence

Uzo Aduba ha rubato la scena come Cordelia Cupp

Con la fine di The Residence che chiude in modo netto il mistero dell’omicidio della prima stagione, c’è solo un membro del cast che probabilmente tornerà nella seconda stagione. Poiché è il suo show, Uzo Aduba tornerà senza dubbio nei panni dell’intrepida detective Cordelia Cupp, e le sue bizzarre abilità investigative potrebbero essere messe alla prova da un altro caso di alto profilo. Mentre alcuni membri del cast di supporto della prima stagione potrebbero tornare, avrebbe più senso che ogni stagione introducesse un nuovo gruppo di grandi star. La prima stagione ha avuto star di prima categoria come Randall Park e Giancarlo Esposito, e la seconda stagione potrebbe continuare questa tendenza.

Dettagli sulla trama della seconda stagione di The Residence

Case importanti e crimini importanti nella seconda stagione

La seconda stagione di The Residence non deve nemmeno riguardare un omicidio e il consulente potrebbe risolvere un furto di gioielli o anche qualcosa di più complesso come un caso di persona scomparsa.

L’unica cosa certa sulla storia della seconda stagione di The Residence è che Cordelia Cupp dovrà catturare un altro criminale con le sue abilità da detective. Oltre a ciò, quasi tutto è in sospeso, inclusa l’ambientazione e il cast di supporto. Mentre la seconda stagione potrebbe tornare alla Casa Bianca, ha l’opportunità di portare Cordelia in altre residenze famose per risolvere crimini di alto profilo.

The Residence: la spiegazione del finale – perché quel personaggio ha ucciso AB Wynter

La serie Netflix The Residence si è rivelata un vero e proprio giallo, e gli otto episodi si sono naturalmente conclusi con un grande colpo di scena finale. Ciò che ha reso questo mistero comico così unico è stata l’ambientazione, poiché l’omicidio è avvenuto nella famosa residenza del Presidente degli Stati Uniti, la Casa Bianca. La persona il cui corpo è stato trovato nella lussuosa sala giochi era il capo usciere della Casa Bianca, A.B. Wynter, responsabile della gestione del personale e del mantenimento della pace con la famiglia presidenziale e i loro dipendenti personali. A risolvere il mistero è stata chiamata la detective Cordelia Cupp, la migliore tra i migliori.

L’omicidio di Wynter è avvenuto ai piani superiori della Casa Bianca in The Residence, mentre al piano inferiore era in corso una cena di Stato disastrosa. Cordelia aveva il difficile compito di scoprire chi dei 157 ospiti e del personale di servizio potesse essere il colpevole e in quale delle 132 stanze avesse commesso il delitto. La situazione si complicò ulteriormente quando Cordelia scoprì che quella sera molte persone avevano dichiarato Wynter loro nemico. Quindi, erano stati i violenti chef rivali della Casa Bianca nella Sala Blu? Forse l’ingegnere o la governante? Naturalmente, The Residence ha rivelato che non era nessuno di loro.

La prima stagione di The Residence è ora disponibile su Netflix.

Chi ha ucciso A.B. Wynter in The Residence

Cordelia Cupp ha risolto il mistero

La detective Cordelia Cupp ha rivelato alla fine di The Residence che è stata la segretaria sociale della Casa Bianca Lilly Schumacher ad uccidere A.B. Wynter. Nell’episodio finale della serie Netflix, Cupp ha guidato i protagonisti attraverso la Casa Bianca ripercorrendo i passi di Wynter e le sue interazioni con i vari membri dello staff, ognuno dei quali, secondo lei, avrebbe potuto uccidere l’usciere. Solo quando sono arrivati nella Sala Ovale Gialla ha potuto osservare le reazioni di ogni persona “interessante” (Cordelia non ha mai amato usare il termine “sospetto”).

Lily Schumacher fece del suo meglio per coprire il suo crimine, arrivando persino ad ammettere alcune verità che la facevano sembrare una complice compassionevole dell’omicidio. Affermò di aver visto l’ingegnere Bruce Geller e la governante Elsyie Chayle uccidere Wynter e di aver cercato di proteggere i due innamorati. Tuttavia, Cordelia sapeva bene come stavano le cose. La detective ha capito che Lilly aveva rivelato un “segnale”, indicando che era lei stessa la colpevole e che aveva nascosto le prove del suo crimine dietro una porta segreta ora sigillata.

Come la detective Cordelia Cupp ha risolto il mistero

The Residence Netflix

Lilly si è tradita

Parte di ciò che ha reso così difficile risolvere l’omicidio di Wynter nella serie Netflix è proprio il numero di persone che avevano un motivo per uccidere l’uomo e il numero di persone che sembravano aver manomesso il suo cadavere. Il cadavere era stato spostato due volte, ma Cordelia dedusse che l’omicidio era avvenuto nella Yellow Oval Room. È qui che la detective aveva scoperto i fiori bruciati e i piccoli segni sul muro dove era stato lanciato e frantumato un vaso. Nella stanza accanto, Cordelia ha trovato il bicchiere della serra, che ha scoperto essere stato usato per portare il paraquat velenoso alla Casa Bianca.

Tutti questi indizi hanno portato Cordelia alla conclusione che qualcuno aveva tentato di avvelenare Wynter versando del paraquat nel suo drink. Tuttavia, dopo un solo sorso, l’uomo se ne è subito reso conto e ha versato il liquore e il paraquat su una composizione floreale. Questo ha portato l’assassino a lanciare un vaso, che ha mancato il bersaglio e si è frantumato contro il muro (anche se ha lasciato dei tagli sul viso di Wynter). Infine, l’assassino ha usato un orologio della mensola del camino per colpire Wynter alla nuca. Hanno nascosto l’orologio nel compartimento segreto e poi hanno fatto sigillare la porta nascosta.

Cordelia doveva solo rivelare l’orologio nascosto nel compartimento per confermare la colpevolezza di Lilly.

La stessa Lilly ammise di aver fatto sigillare la porta segreta, anche se sosteneva che fosse stato per proteggere Bruce ed Elsyie. Tuttavia, la segretaria sociale della Casa Bianca non sapeva che Cordelia aveva trovato e letto i diari di Wynter che descrivevano in dettaglio i vari crimini di Lilly (stabilendo un movente). Cordelia doveva solo rivelare l’orologio nascosto nel vano per confermare la colpevolezza di Lilly.

La spiegazione del movente di Lilly Schumacher per uccidere A.B. Wynter 

The Residence Netflix

Perché A.B. Wynter è stato ucciso

In The Residence è apparso subito chiaro che Lilly Schumacher era una persona orribile. Come ha sottolineato Cordelia, la segretaria sociale della Casa Bianca non aveva alcun rispetto per le regole della casa del presidente degli Stati Uniti e faceva di tutto per stravolgere l’ordine delle cose. Wynter era un tradizionalista, ma soprattutto amava tutto ciò che la Casa Bianca rappresentava. Questo naturalmente significava che Lilly e Wynter erano in contrasto. Lilly odiava l’usciere e, non avendo praticamente alcun codice morale, non aveva alcun problema a sbarazzarsi di un avversario. Tuttavia, c’era qualcosa di più.

I diari di Wynter contenevano lunghi elenchi di numeri e acronimi, che Cordelia riuscì a decifrare come una registrazione di tutti i riciclaggi di denaro di Lilly all’interno della Casa Bianca. Lei aveva rubato un po’ (o molto) qua e là, e Wynter minacciò di dire tutto al presidente. Lilly non poteva accettarlo e, in preda alla rabbia, strappò una pagina dal diario dell’usciere.

Solo dopo aver lasciato l’ufficio di Wynter si rese conto che la pagina che aveva strappato sembrava una lettera di addio. Questo le diede un’idea e Lilly mise in atto un piano oscuro, che lo staff della Casa Bianca e la sua famiglia aiutarono inconsapevolmente.

Perché ogni persona ha spostato il corpo o le prove di Wynter nella residenza

The Residence Netflix

Lo staff della Casa Bianca ha complicato ulteriormente le cose

Lilly Schumacher uccise Wynter nella Sala Ovale Gialla della Casa Bianca, ma rimase scioccata quando scoprì che il corpo dell’uomo non era più lì. Cominciò a girare per la villa, chiedendo a tutti, persino a Cordelia, se avessero visto A.B. Wynter. È proprio per questo motivo che Lilly non era sembrata sospetta, poiché non aveva davvero idea che Wynter giacesse morto nella sala giochi. In questo modo, le varie persone che hanno spostato il cadavere da un posto all’altro hanno quasi aiutato Lily a farla franca. Ecco l’elenco delle persone che hanno spostato il corpo di Wynter o le prove (in ordine):

  • Elsyie Chayle – Elysie aveva litigato con Wynter pochi istanti prima ed era tornata trovandolo morto. Senza riflettere, ha afferrato il candeliere caduto ed è scappata, rendendosi conto che la faceva sembrare colpevole.
  • Bruce Geller – Bruce vide Elysie scappare dalla Sala Ovale Gialla con il candeliere e pensò che fosse stata lei a uccidere Wynter. Poiché la amava, Bruce trascinò il corpo nella stanza 301 e ripulì il disordine.
  • Tripp Morgan – Trip stava facendo un pisolino nella stanza 301 e si è svegliato vedendo il corpo di Wynter sul pavimento. In preda al panico, ha trascinato il corpo nella sala giochi, dove ha usato uno dei coltelli dello chef Didier Gotthard per tagliare i polsi di Wynter e farlo sembrare un suicidio.
  • Chef Didier Gotthard – Il pasticcere ha trovato il corpo di Wynter nella sala giochi e ha riconosciuto il proprio coltello sul pavimento. Lo ha afferrato, lo ha infilato in una scatola della cucina e lo ha gettato nell’inceneritore rotto, dove la detective Cordelia lo ha poi trovato.

Come il finale della prima stagione di The Residence prepara la seconda

Con l’omicidio di Wynter risolto e Lilly arrestata, alla fine di The Residence le cose sembravano essersi calmate alla Casa Bianca. Cordelia è tornata per un’ultima visita, facendo visita a Nan Cox, la madre del First Gentleman (che a quanto pare sapeva fin dall’inizio chi aveva ucciso Wynter). Da lì, Cordelia se n’è andata e apparentemente non avrebbe alcun motivo per tornare. Naturalmente, è perfettamente possibile che il prossimo presidente degli Stati Uniti e la sua famiglia portino con sé una nuova serie di problemi. Questo potrebbe non essere l’ultimo omicidio alla Casa Bianca, e non c’è dubbio che Cordelia verrebbe chiamata di nuovo.

The Residence non ha esplicitamente preparato il terreno per una seconda stagione, e se dovesse esserci, non sarebbe necessariamente ambientata alla Casa Bianca.

Tuttavia, The Residence non ha esplicitamente previsto una seconda stagione e, se dovesse esserci, non sarebbe necessariamente ambientata alla Casa Bianca. Forse The Residence stagione 2 sarebbe ambientata in un’altra dimora famosa, come Buckingham Palace o persino Graceland. Le possibilità sono praticamente infinite. Il caso di Wynter è stato archiviato, ma la detective Cordelia Cupp sarà sicuramente necessaria di nuovo, da qualche parte.

The Last Duel: la spiegazione del finale del film di Ridley Scott

The Last Duel è l’epopea storica del 2021 di Ridley Scott: ecco il finale del dramma medievale e il destino di Marguerite. The Last Duel è basato su un libro di Eric Jager intitolato The Last Duel: A Story of Trial by Combat in Medieval France, a sua volta basato su eventi reali. I personaggi principali di The Last Duel sono esistiti e molte delle loro preoccupazioni e azioni mostrate nel film sono realmente accadute. Scott, Matt DamonBen Affleck e Holofcener si sono assicurati che molti costumi e pratiche medievali fossero mostrati accuratamente nel film.

Sebbene l’approccio in tre parti del film alla narrazione abbia portato a una conclusione soddisfacente, le prospettive in conflitto di Jean de Carrouges, Jacques le Gris e Marguerite de Carrouges a volte confondono alcuni aspetti contestuali della storia. Anche se il racconto di Marguerite su ciò che le è accaduto nel film è certamente la verità (come il film si preoccupa di sottolineare con una didascalia), ci sono aspetti della rivalità di de Carrouges con le Gris e del trattamento di Marguerite che meritano di essere approfonditi. Questo è particolarmente vero in quanto si riferiscono anche alla vera storia de The Last Duel.

Perché la terra che Le Gris aveva preso era così importante per de Carrouges?

The Last Duel film 2021

Nel primo atto di The Last Duel, si vede Jean de Carrouges sconvolto per aver perso la terra a favore di Le Gris per ragioni molto cavalleresche, ma questo si rivela ben lontano dalla verità. Ciò che in realtà è emerso è stata una battaglia di desideri, costumi e legalità che ha posto le basi per la rivalità tra de Carrouges e Le Gris. Jean de Carrouges riteneva che la terra, la tenuta di Aunou-le-Faucon, gli spettasse di diritto, in quanto il padre di Marguerite, Robert de Thibouville, aveva promesso di includerla nella dote di de Carrouges.

Poiché all’epoca le donne erano considerate essenzialmente come beni produttori di eredi, una dote era un dono di ricchezza o di terra aggiuntiva destinato a rendere più desiderabile una potenziale sposa. Come vedovo senza eredi e incapace di pagare i suoi debiti, il personaggio di Matt Damon rischiava già di sminuire il suo nome sposando la figlia di un uomo caduto in disgrazia, e voleva ottenere più “valore” dall’accordo.

De Carrouges vede le cose in bianco e nero e l’idea che Jacques le Gris abbia beneficiato di qualcosa che era eticamente sbagliato agli occhi di de Carrouges ha creato un divario tra lui e il personaggio di Adam Driver, nella prima grande frattura della loro amicizia.

La terra in questione, tuttavia, fu confiscata dal conte Pierre in cambio del pagamento dei debiti insoluti di de Thibouville e donata a Jacques le Gris prima che de Carrouges si sposasse, annullando così qualsiasi diritto che de Carrouges potesse avervi. Poiché Jean de Carrouges è ritratto come un uomo con un codice d’onore interno molto rigido, questa mossa lo irritò nonostante non fosse tecnicamente illegale.

De Carrouges vede le cose in bianco e nero e l’idea che Jacques le Gris abbia beneficiato di qualcosa che era eticamente sbagliato agli occhi di de Carrouges ha creato un solco tra lui e il personaggio di Adam Driver, nella prima grande frattura della loro amicizia. Naturalmente, de Carrouges si dimostra anche una persona impulsiva, oltre che al verde dopo che la peste ha portato via metà del suo personale e dei suoi raccolti, quindi le sue rivendicazioni di onore e diritti potrebbero semplicemente mascherare il fatto che l’uomo finanziariamente indigente si sentiva offeso oltre che disperato.

Perché la corte non credette alla storia di Marguerite

Una delle scene più sorprendenti de The Last Duel è quella in cui la corte non crede alla versione di Marguerite de Carrouges sul suo stupro. Questo non è affatto incredibile, tuttavia, dati i pregiudizi nei confronti delle donne all’epoca (e, purtroppo, anche oggi). Come evidenzia il film, lo stupro in sé è visto come un reato contro la proprietà di Jean de Carrouges piuttosto che come un atto orribile commesso contro Marguerite stessa. Lo stato mentale di Marguerite, il suo disagio visibile e il suo benessere semplicemente non interessavano alla corte, a meno che non avessero un impatto diretto su Jean de Carrouges. Come mostrato in precedenza nel film con una scena tra le Gris e un’altra donna, il consenso di una donna non era certo una cosa che gli uomini sentivano di dover considerare all’epoca.

Un’altra questione importante per Marguerite nel film di Ridley Scott era che rimase incinta dopo essere stata violentata da le Gris, anche se il film chiarisce che avrebbe potuto rimanere incinta a seguito di un trattamento simile subito dal suo stesso marito poco dopo. Nel XIV secolo era diffusa la convinzione che le donne dovessero godere del sesso per rimanere incinte e, secondo la logica medievale, se Marguerite si fosse goduta il suo incontro con le Gris non poteva essere stato uno stupro. Questo modo di pensare trova un precedente in un’antica teoria greca (il modello galenico della riproduzione) secondo cui entrambi i partner dovevano godersi il sesso per concepire un figlio.

Perché il corpo di Le Gris fu spogliato nudo e appeso

The Last Duel Ben Affleck

Le Gris non solo fu ucciso da de Carrouges nel duello, ma il suo cadavere fu successivamente spogliato nudo, trascinato dai cavalli attraverso la piazza della città e appeso a testa in giù affinché tutti lo vedessero. Questo non è stato contestualizzato né da Ridley Scott né dalla sceneggiatura, e sembra quasi una coda inutile alla morte di Jacques le Gris. Tuttavia, questo evento si è effettivamente verificato dopo la morte del vero Jacques le Gris, ed è stato un deliberato tentativo di infangare ulteriormente il nome e la reputazione di le Gris.

Poiché nel Medioevo non c’era separazione tra Chiesa e Stato, questo atto si ricollega a una credenza chiamata “iudicium Dei”, il giudizio di Dio. All’epoca si credeva che in qualsiasi processo o prova per determinare la colpevolezza, Dio avrebbe protetto gli innocenti dal male, quindi chiunque avesse vinto il duello tra Jean de Carrouges e Jacques le Gris sarebbe stato dichiarato innocente. Le Gris perse il duello, il che significava che Dio aveva visto la sua colpevolezza e non lo aveva protetto. Agli occhi della corte e di chi stava a guardare, Le Gris divenne immediatamente un comune criminale. Anche se Ridley Scott crea sempre morti memorabili, il trattamento del corpo di Le Gris dopo il duello, in questo caso, doveva riflettere il suo nuovo status di criminale e portare vergogna all’uomo e al suo nome.

Perché Marguerite doveva essere bruciata sul rogo

Naturalmente, il discutibile sistema giudiziario di The Last Duel si rivela ancora peggiore quando l’attenzione si concentra su Marguerite de Carrouges. Proprio come Le Gris era stato dichiarato colpevole in virtù della sua morte, una vittoria di Jacques Le Gris sarebbe stata vista come la prova per tutti i presenti che le accuse contro di lui erano false. Poiché era stata Marguerite de Carrouges a muovere un’accusa contro Le Gris, questo avrebbe rivelato che era una bugiarda secondo, ancora una volta, la credenza medievale dell’iudicium Dei, permettendole così di essere punita per falsa testimonianza.

Sebbene le punizioni per falsa testimonianza nella Francia del XIV secolo non fossero sempre così severe da prevedere la condanna al rogo, il fatto che questo fosse il destino di Marguerite era un altro segno di come il valore degli uomini fosse giudicato immensamente superiore a quello delle donne in quell’epoca. Sia il destino dell’esecuzione che il suo modo orribile riguardavano tanto la punizione di una donna per aver danneggiato la reputazione di un uomo quanto la menzogna. Anche se non fosse stata condannata al rogo, la vita di Marguerite de Carrouges sarebbe sicuramente finita in un modo o nell’altro se suo marito avesse perso il duello.

Cosa significa l’ultimo primo piano sul viso di Marguerite

The Last Duel si conclude con una scena pacifica in cui Marguerite veglia sul figlio che cresce, realizzata dal regista Ridley Scott. La telecamera si concentra sul volto di Marguerite prima che il film sfumi nel nero e, sebbene la scena possa essere interpretata in vari modi, ciò che mostra e ciò che non mostra è certamente degno di nota, dato il focus del film sulla prospettiva. Gli elementi chiave della scena sono la posizione di Marguerite (è in un campo, con un castello sullo sfondo) e la notevole assenza di Jean de Carrouges.

Questa scena alla fine di The Last Duel offre a Marguerite un momento di riposo dai ruoli opprimenti che la politica, le norme sociali e gli uomini hanno svolto nella sua vita fino a quel momento. Questa idea è sottolineata dai cartelli che seguono, che rivelano che Jean de Carrouges morì in battaglia pochi anni dopo il duello e che Marguerite non si risposò mai.

Il vero messaggio e significato de L’ultimo duello spiegato

Parlando con Vanity Fair, la co-sceneggiatrice di The Last Duel  di Matt Damon e Ben Affleck, Nicole Holofcener, ha dichiarato: “ …è davvero un film molto femminista. Abbiamo subito coinvolto alcuni gruppi #MeToo e il gruppo di Geena Davis per consigliarci e ascoltarci”. L’ultimo duello si distingue davvero dagli altri film epici medievali per la sua prospettiva fresca, che utilizza la sua storia per far luce su questioni come lo stupro e la misoginia. Ciò è dovuto in primo luogo alla sua struttura unica a tre prospettive che lascia abilmente per ultima la storia di Marguerite de Carrouges.

Mentre nei documenti storici ci sono molte informazioni sia su Jean de Carrouges che su Jacques le Gris, la storia di Marguerite è molto meno dettagliata, il che rafforza ulteriormente il concetto di donne come attori secondari all’epoca. The Last Duel finalmente dà voce a Marguerite, e una voce che dipinge un quadro molto duro e accurato degli uomini nella sua vita. Inoltre, aggiunge sfumature alla sua storia che, a differenza di molti altri film ambientati nel Medioevo, fornisce un resoconto accurato e stimolante di come le donne venivano trattate all’epoca, ma anche oggi.

La struttura de The Last Duel parla anche di come, ancora oggi, le donne stiano combattendo una dura battaglia per essere ascoltate quando si tratta di accuse di stupro e molestie sessuali.

The Last Duel parla anche di come, ancora oggi, le donne stiano ancora combattendo una dura battaglia per essere ascoltate quando si tratta di accuse di stupro e molestie sessuali. Le recenti storie di uomini potenti e di alto profilo licenziati da un progetto o portati in tribunale per violenza sessuale possono creare la percezione che sia facile nell’era post-#MeToo per le donne ottenere giustizia, ma questa è un’ipotesi errata. In realtà, è ancora incredibilmente difficile per le donne parlare di stupro o violenza sessuale. Spesso non è così per le donne né davanti all’opinione pubblica, né in tribunale, dove gli uomini pericolosi spesso se la cavano grazie a cavilli legali; basta guardare al recente esempio di Bill Cosby che è stato rilasciato dal carcere a causa di una scappatoia.

Il finale de The Last Duel illustra anche come, ancora oggi, in qualsiasi scenario basato su dichiarazioni contraddittorie, si tenda a dubitare della storia della donna, ma a prendere più sul serio gli uomini. Nella mente di de Carrouges, egli crede di essere un marito amorevole e un uomo onorevole che difende Marguerite nel momento del bisogno; in realtà, non le crede immediatamente e anche allora lo vede solo in termini di offesa nei suoi confronti da parte di Le Gris. Le Gris si considera una figura altamente desiderabile: la cosa più inquietante è come nel suo racconto dello stupro di Marguerite, lei sia quasi giocosa e non necessariamente riluttante.

Le Gris menziona persino le sue “solite proteste” più avanti nel film, ma la sua prospettiva lo inquadra come se Marguerite avesse inviato segnali contrastanti. La prospettiva di Marguerite abbatte ogni illusione e si concentra sulla sua lotta e sui maltrattamenti subiti in un mondo dominato dagli uomini. L’inquadratura della triplice prospettiva illustra come gli uomini di ogni epoca giustifichino azioni spaventose e come il peso sia sempre sulle donne per raggiungere uno standard di prova più elevato, nonché gli effetti della misoginia interiorizzata. Si spera che The Last Duel ispiri anche film futuri ad essere altrettanto riflessivi.

Come è stato accolto il finale di The Last Duel

The Last Duel è stato un successo clamoroso per il regista di Il gladiatore, Ridley Scott, e il film del 2021 è diventato un successo sia di critica che di pubblico, come dimostrano gli 85% di Tomatometer e l’81% di Popcornmeter su Rotten Tomatoes. Se le interpretazioni del cast, le scene e le capacità di regia di Ridley Scott sono stati tutti fattori chiave del successo, anche la trama e il finale de The Last Duel sono stati incredibilmente importanti. In particolare, molti critici hanno sottolineato il duello finale di The Last Duel, mentre personaggi come Roger Ebert e Glenn Kenny hanno elogiato questo momento specifico:

“E [l’atto finale de L’ultimo duello] porta tutti al duello finale che, anche per gli elevati standard stabiliti dal Gladiatore di Scott, è quello che si potrebbe definire un capolavoro.”

Data la struttura in tre atti de The Last Duel, il finale è anche notato nella maggior parte delle recensioni perché si concentra su Marguerite. È considerato la sequenza più scioccante di tutte, soprattutto per come mostra senza esitazioni l’aggressione sessuale di Marguerite dal suo punto di vista. Anche i critici che non hanno risposto in modo eccessivamente positivo hanno elogiato il terzo atto de The Last Duel. Ad esempio, nella sua recensione a 3 stelle per The Guardian, Mark Kermode nota l’efficacia con cui il finale di The Last Duel cattura i temi centrali del film:

“Infine, e in modo molto coinvolgente, abbiamo il racconto di Marguerite, una versione del tutto più illuminante in cui Jean e Jacques trattano le donne come beni mobili, ridotte dalla legge e dalla consuetudine allo status di proprietà. Le scene di montaggio equino sono pesantemente giustapposte ai tentativi infruttuosi di Jean di generare un erede (“Confido che la tua ‘piccola morte’ sia stata memorabile e produttiva”, dichiara quando è esausto), mentre le visioni narcisistiche di Jacques di sguardi civettuoli si rivelano semplici sorrisi diplomatici. Questa volta è la malignità di un mondo in cui solo gli uomini hanno potere a essere in primo piano, presagendo una resa dei conti tanto assurda quanto brutale, che lascia Marguerite in pericolo di essere bruciata viva per il crimine di aver osato parlare.

In definitiva, il finale deThe Last Duel  è la parte più importante del film e del messaggio che cerca di trasmettere. È nel terzo e ultimo atto che i molti temi centrali del film si uniscono e vengono esplorati con la più incrollabile onestà. Anche tra i critici che non hanno apprezzato The Last Duel, il finale è ancora citato come forte da molti. Sì, c’è chi ritiene che il messaggio sia stato un po’ troppo pesante, ma questi sono la minoranza anche tra le voci più critiche.

Il bambino di cristallo: recensione del film di Jon Gunn

La diversità non è mai un’etichetta. Nonostante nel nostro tessuto sociale si consideri un marchio indelebile che ci relega ai margini, chi è diverso, guarda caso, costituisce sempre una fonte di insegnamento per chi si ritiene, nel nostro mondo, normale. Questa è la riflessione a cui vuole spingerci Jon Gunn con il suo Il bambino di cristallo, pellicola ispirata alla vera storia di Austin LeRette, giovane autistico affetto da una rara patologia ossea, e basata sul libro autobiografico The Unbreakable Boy: A Father’s Fear, a Son’s Courage, and a Story of Unconditional Love, scritto da Scott Michael LeRette – padre del ragazzo – e Susy Flory. Nel cast figurano Zachary Levi e e Meghann Fahy nei panni dei genitori, e il bravo Jacob Laval nelle vesti di Austion. Il film arriva nelle sale dal 27 marzo, distribuito da Notorious Pictures.

Il bambino di cristallo, la trama

Austin è un bambino nato con l’osteogenesi imperfetta, una condizione ereditaria che rende le sue ossa estremamente fragili. Infatti, mentre gli altri bambini giocano liberamente, lui deve costantemente fare attenzione, ma nonostante le limitazioni fisiche, cresce con una gioia di vivere che contagia chi gli sta intorno. I suoi comportamenti, che alle volte risultano essere atipici, portano però i genitori, Scott e Teresa, a scoprire un’altra verità: Austin è autistico.

Per il padre, questo, è un colpo duro: nonostante tutto l’amore, non riesce davvero a comprendere il mondo interiore di suo figlio. Le preoccupazioni per la condizione di Austin si intrecciano così alla sua lotta contro l’alcolismo, in un circolo vizioso che sembra senza via d’uscita. Ma sarà proprio Austin – con la sua felicità autentica e quel modo speciale di vedere la vita che Scott inizialmente non afferrava – a tendergli la mano senza volerlo, mostrandogli la strada per risollevarsi.

Quando la malattia diventa fonte d’ispirazione

Prima di quest’opera, il cinema aveva già esplorato le sfumature dell’autismo. Basti pensare a Miracle Run o Temple Grandin, che avevano collocato al centro della narrazione la determinazione e il coraggio dei protagonisti nel perseguire un’esistenza ricca e serena, senza compromessi. Una lezione di vita che trova ulteriore conferma ne Il bambino di cristallo, il cui nucleo è l’ottimismo e la gratificazione che è possibile ottenere a dispetto della propria condizione fisica. Austin, infatti, oltre a rientrare nello spettro autistico, soffre di osteogenesi imperfetta, una malattia che rende le ossa estremamente fragili. Basta un banale incidente, e queste si frantumano come fossero, per l’appunto, cristallo. Nonostante una situazione che lo costringe fin dall’infanzia a rinunciare alle attività tipiche dei suoi coetanei, come saltare e correre, il bambino cresce con un’indole radiosa, senza fardelli interiori, e con lo sguardo colmo di stupore e meraviglia, elementi che scopriamo essere esaltati proprio dal suo autismo.

Se per Austin la sua condizione rappresenta perciò un impulso verso un universo ricco di fantasia, sogni e felicità – quasi fungesse da filtro per attenuare la cruda realtà – per il padre Scott diventa un’occasione di crescita. Un genitore che inizialmente fatica a decifrare il figlio, e che porta sulle spalle il peso di una serie di problematiche tra cui l’alcolismo, si trasforma nel primo “discepolo” del proprio bambino, il quale gli mostra il valore della gioia e delle piccole cose, spalancandogli inoltre le porte del suo mondo immaginifico.

Austin e l’autismo: una lezione di vita

Il bambino di cristallo si erge così a insegnamento universale, esortandoci a reagire alle avversità, perché chi si trova in una condizione apparentemente svantaggiata diventa, in realtà, fonte d’ispirazione e meraviglia, proprio in virtù della sua capacità di essere ciò che una persona ordinaria non è.

E il merito è senza dubbio di una sceneggiatura ben calibrata, ritmata, che affida direttamente ad Austin, attraverso una voce fuori campo persistente accompagnata da illustrazioni e animazioni vivaci, il compito di trasmettere allo spettatore la sua prospettiva, guidandolo verso una piena comprensione del suo punto di vista. Ci ritroviamo così ad ampliare i nostri orizzonti sulla quotidianità e sul modo in cui dovremmo affrontare il nostro percorso. Perché le difficoltà e le sofferenze esistono, ma spetta a noi scegliere come affrontarli e superarli. E forse, il nostro mentore, è proprio colui dal quale presumiamo di non poter apprendere nulla. E invece ci indica come vivere in pace.

Totenfrau – La signora dei morti – Stagione 2: la spiegazione del finale

La seconda stagione dello show tedesco di NetflixTotenfrau – La signora dei morti, presenta un ritorno a un mondo oscuro e violento per Brunhilde Blum. Due anni dopo aver vendicato la morte di suo marito – e aver scoperto nel frattempo un disgustoso giro di traffico di esseri umani – l’impresaria di pompe funebri locale e il suo assistente, Reza, continuano a rimanere sotto il radar della legge. Tuttavia, il passato li raggiunge di nuovo quando l’improvvisa scoperta del cadavere di un vecchio nemico riapre un caso di polizia. Di conseguenza, l’agente federale Wallner si insospettisce rapidamente di Blum e del suo passato sepolto. Contemporaneamente, un problema più urgente emerge quando sua figlia Nela viene rapita. Così, con i problemi che arrivano da tutte le parti, Blum si ritrova in una corsa contro il tempo per salvare la sua famiglia e impedire che le ombre del suo passato si impossessino della sua vita.

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Cosa accade nella seconda stagione di Totenfrau – La signora dei morti

Brunhilde Blum e Reza hanno tenuto il loro passato segreto per quasi due anni, quando finalmente un nuovo problema bussa alla loro porta. Si scopre infatti che una delle bare in cui l’impresaria di pompe funebri e la sua assistente avevano nascosto le prove dei loro crimini passati sta per essere riesumata a causa di alcuni problemi legali. Di conseguenza, è destinato a dipanarsi un filone dannoso che rivelerà inevitabilmente il coinvolgimento di Blum nella morte di più uomini. Anche se i due cercano di risolvere la questione con un tombarolo nel cuore della notte, la cosa non fa altro che accelerarsi quando un testimone per poco non li becca. Di conseguenza, finiscono per lasciare sulla scena del crimine alcune parti del corpo fatte a pezzi.

Una di queste parti del corpo appartiene a Edwin Schönborn, erede della lucrosa famiglia Schönborn. Questo porta alla riapertura dell’indagine sul suo omicidio, che porta l’agente federale Wallner nella piccola città. Fin dall’inizio, la detective sospetta di Blum, certa che l’impresaria di pompe funebri abbia i mezzi e i motivi per compiere l’omicidio. Per lo stesso motivo, segue con determinazione la stessa pista, saltando a volte anche la burocrazia per ottenere risultati. Così finisce per arrestare la donna senza un mandato. Tuttavia, all’orizzonte della Blum si profilano complicazioni maggiori. In precedenza, la sua casa è stata violata da un criminale esperto che era a caccia di qualcosa.

Durante la detenzione, un avvocato, Herbert Wagenschaub, fa visita a Blum con il pretesto di essere il suo legale. Attraverso un messaggio registrato, le rivela che sua figlia, Nela, è stata rapita da un misterioso gruppo disposto a chiedere un riscatto per la registrazione del vile filmato porno di Edwin. Tuttavia, la donna non è in possesso del video. Di conseguenza, si ritrova a dover trovare un modo per rintracciare la figlia e salvarla da un destino crudele. Mentre segue diverse piste – e si rivolge persino a Johanna Schönborn per chiedere aiuto – Reza prende una decisione estrema: si prende la colpa per lei e confessa l’omicidio di Edwin.

Nel frattempo, anche Johanna si ritrova in acque pericolose. La riapertura del caso dell’omicidio del figlio ha gettato una luce indesiderata sulla sua azienda, soprattutto dall’interno. Badal Sarkissian, che è anche il mandante del rapimento di Nela, è in lizza per sottrarre le quote di Edwin e conquistare l’intera azienda. Tuttavia, la sua ricerca del video incriminato dell’erede non è finalizzata ai suoi scopi. Al contrario, Lange, attualmente candidato a sindaco, ha chiesto all’uomo d’affari/capo della criminalità di recuperare il filmato. A sua volta, è ricattato da un’altra parte con un video simile che lo ritrae mentre stupra e uccide una donna.

Col tempo, la situazione di Blum si aggrava, soprattutto dopo aver perso un’importante merce di scambio: Amar, la sorella di Sarkissian. Per questo motivo, non ha altra scelta che chiedere aiuto alla polizia e arrendersi. Tuttavia, sceglie di avvalersi dell’aiuto di Wallner, ritenendola affidabile. In quel momento, la poliziotta è però alle prese con i suoi problemi, in particolare con l’omicidio di un collega per legittima difesa e la conseguente sospensione. Tuttavia, la sua indagine l’ha resa sospettosa anche nei confronti di Sarkissian. Pertanto, quando Blum promette di rivelare la verità sul caso di Edwin, Wallner accetta di aiutarla a catturare l’uomo d’affari. I due formano un’ottima squadra e riescono a trovare la posizione di Nela in tempo utile. Di conseguenza, si ritrovano a cercare una tenuta abbandonata mentre respingono Sarkissian e il suo tirapiedi.

Cosa accade a Blum?

Nel corso della stagione 2 di Totenfrau – La signora dei morti, Blum rischia quindi di essere arrestata per i suoi crimini passati. Tuttavia, la sua storia è ampiamente oscurata dal pericolo più spaventoso che circonda la vita di Nela. In precedenza, Nela era solo un ostaggio, il che la rendeva relativamente più sicura rispetto all’alternativa. Tuttavia, ora che la sorella di Sarkissian, Tamar, è morta e lui è in cerca di vendetta, il destino dell’adolescente è praticamente segnato. Per lo stesso motivo, verso la fine, costituirsi diventa un sacrificio che la Blum è disposta a fare. Per questo motivo, si allea con Wallner: una decisione che dà i suoi frutti molto presto, perché porta la madre alla tenuta in cui la figlia è tenuta prigioniera.

Sarkissian intende vendicarsi di Blum trasformando la figlia in una delle sue vittime attraverso lo stupro, la tortura e infine la morte, che verranno registrate per essere diffuse nella sua cerchia di malati. Mentre la madre cerca Nela, Wallner rinchiude Sarkissian nella sua auto. Tuttavia, i suoi scagnozzi riescono alla fine a farlo uscire dalla sua prigione. Per questo, ben presto, trovare Nela non è più la sfida più grande. Invece, uscire dalla tenuta con le loro vite diventa il vero ostacolo per le donne. Una volta che Blum ha trovato la figlia, Sarkissian e uno dei suoi scagnozzi tentano di incapacitare la madre per farla assistere alla tortura della giovane.

Ciononostante, Blum si rifiuta di arrendersi senza combattere. Per questo motivo, la donna sopraffà lo scagnozzo di Sarkissian prima di usare la sua pistola per ingaggiare un confronto con l’altro uomo. Anche se riesce a sparargli, facendo guadagnare a se stessa e a Nela il tempo necessario per fuggire dalla stanza delle torture, si procura una ferita mortale da taglio. Inoltre, una volta che il duo è quasi al sicuro, Sarkissian li raggiunge e ingaggia con Blum un altro combattimento in cui allevia la pressione della lama sulla ferita da taglio. Alla fine, l’intervento di Nela aiuta la madre ad avere la meglio e a ridurre in poltiglia l’aggressore con un tubo. Tuttavia, la realtà della ferita rimane.

Senza la pressione della lama, è più probabile che Blum muoia dissanguata. Così, anche se le autorità stanno arrivando, sembra che questa possa essere la fine per lei. Per lo stesso motivo, si rassegna al suo destino e cerca di dare un amaro addio alla figlia. Tuttavia, la storia di Blum non finisce qui. Quando la narrazione di Totenfrau – La signora dei morti passa all’epilogo, si vede la donna circondata dalla sua famiglia, apparentemente viva. Alla fine, Blum sopravvive, anche se la sua mobilità sembra essere stata sacrificata nel processo. Tuttavia, la donna deve continuare a convivere con la realtà della sua esistenza e con il fatto che non sembra mai troppo lontana dalla morte, in un modo o nell’altro. Alla fine, comincia a rendersi conto che non potrà mai mettere veramente da parte queste cose orribili. Per questo, il massimo che può fare è assicurarsi che i suoi cari siano al sicuro e lontani da tutto ciò, anche se questo finisce per portarli via da Blum.

Come ha fatto Johanna a ottenere il video di Lange? Perché lo stava ricattando?

Dopo il salvataggio di Nela, si apre il caso criminale di Sarkissian. La polizia scopre i resti di diverse donne nella tenuta, il che promette grossi guai al neoeletto governatore Lange. L’uomo d’affari è stato a lungo un sostenitore del politico, sia pubblicamente che finanziariamente, e il loro legame era così profondo che la tenuta era originariamente intestata a Lange. Per questo motivo, il caso porta molta attenzione indesiderata sui suoi possibili legami con le organizzazioni di trafficanti di sesso. Alla fine, il governatore si rende conto che non c’è modo di uscire da questa situazione senza che venga rivelato il suo coinvolgimento nella circolazione dei video porno di tortura. Pertanto, si suicida prima che la polizia possa raggiungerlo.

Tuttavia, una rivelazione interessante in Totenfrau – La signora dei morti arriva all’indomani della morte di Lange. Si scopre che era Johanna a ricattare il politico fin dall’inizio. L’interesse per il video di Edwin è emerso dopo il ritrovamento dei suoi resti, portando alla riapertura del suo caso irrisolto. Johanna sapeva che il controllo della polizia, soprattutto quello di un agente federale come Wallner, avrebbe potuto creare problemi all’immagine di Edwin, visto il suo passato poco raccomandabile. Per lo stesso motivo, decide di ricattare Lange, il futuro governatore. Pensa che lui possa trovare un modo per localizzare efficacemente il video, permettendole di cancellare la sua ombra oscura sul nome della famiglia Schönborn. Fortunatamente, aveva lo strumento perfetto da usare contro il politico per fargli eseguire i suoi ordini.

Come Edwin, anche Lange aveva partecipato allo stupro di gruppo di una vittima della tratta di esseri umani, che era stato registrato per essere fatto circolare in circoli malati. Tuttavia, in questo caso particolare, la maschera del politico si era momentaneamente tolta, rivelando la sua identità su nastro. Edwin aveva conservato questo video sul suo computer, che Johanna aveva trovato dopo la sua morte. Data la promettente traiettoria politica di Lange, aveva intenzione di tenere il filmato sulla testa dell’uomo per molto tempo, a proprio vantaggio. Per lo stesso motivo, il suo inaspettato suicidio manda all’aria i suoi piani. Tuttavia, la donna ha intenzione di mantenere un controllo sul potere politico della città, anche se ciò significa che potrebbe candidarsi lei stessa a governatore.

Cosa succede a Nela? Blum uccide Sarkissian?

Nela rimane dunque in perenne pericolo per tutta la durata della storia, poiché diventa uno degli ostaggi di Sarkissian. Tuttavia, non riesce mai a comprendere veramente il contesto del suo rapimento. Poiché la Blum preferisce tenere nascosto ai figli tutto ciò che riguarda le sue fughe più pericolose, l’adolescente non ha idea del perché il passato della madre l’abbia messa in pericolo. Fortunatamente, la madre riesce a salvare la figlia in tempo. Inoltre, mentre sta morendo, cerca di sostenere la sua innocenza, dicendo alla figlia di non odiarla una volta che la polizia avrà scoperto qualcosa sul suo passato. Nonostante le sue motivazioni e l’immoralità delle sue vittime, la Blum è comunque responsabile di molte morti. Per questo motivo, ci si aspetta da lei un po’ di odio da parte di Nela e Tim.

Tuttavia, come rivela l’epilogo, Nela non si è allontanata dalla sua famiglia. Dato che la Blum è sopravvissuta alla ferita quasi mortale, è probabile che durante la convalescenza abbia condiviso con la figlia alcune delle sue verità più avverse. Tuttavia, a differenza di quanto accadeva in passato, quando i segreti spingevano Nela ad allontanarsi, la realtà – a prescindere dalla sua oscurità – ha costretto l’adolescente a combattere al fianco della sua famiglia. Per questo motivo, ha rinunciato al suo sogno di fuggire dalla piccola città. Tuttavia, c’è un certo distacco tra il duo madre-figlia che mostra la transizione di Nela da adolescente a giovane adulta. Anche la sua relazione con Alex, che è passata da una storia d’amore vorticosa a una possibilità stabile di un futuro insieme, simboleggia la stessa cosa.

La spiegazione del finale di Totenfrau – La signora dei morti: Wallner arresta Blum?

A differenza di Nela e Blum, il detective Wallner non ha una conclusione positiva nella seconda stagione di Totenfrau – La signora dei morti. La poliziotta era intenzionata a risolvere il caso della morte di Edwin e a dimostrare la colpevolezza di Blum. Per riuscirci, aggira molte regole, piega le convenzioni e rischia persino di perdere il lavoro. Tuttavia, non si tira mai indietro di fronte ai suoi obiettivi. Anche quando aiuta Blum a salvare Nela, Wallner fa capire che si aspetta che la madre confessi il suo passato in cambio. Pertanto, era probabile che il futuro di Blum prevedesse la cella di una prigione, se la detective avesse avuto la meglio.

Tuttavia, sfortunatamente per la Wallner, non riesce mai a uscire viva dalla tenuta di Sarkissian. Mentre Blum va alla ricerca di Nela, la detective la copre affrontando l’abilissimo scagnozzo dell’uomo d’affari. Nelle ultime settimane, quest’uomo ha ucciso numerose persone, affermando la sua sorprendente competenza come killer professionista. Di conseguenza, diventa un avversario scoraggiante. Alla fine, la donna è riuscita a metterlo alle strette e a fargli aprire il fuoco. Tuttavia, mentre lui rimane vittima del suo colpo, anche Wallner si becca il suo proiettile. Così, l’operazione porta alla morte della detective, lasciando il suo caso freddo e irrisolto.

Mr. Morfina, la spiegazione del finale: il colpo di scena e quello che accade a Nathan Caine

Mr. Morfina, in sala dal 27 marzo con Eagle Pictures (qui la nostra recensione), è pieno di colpi di scena senza sosta, indirizzando la storia verso un finale che lascia il pubblico a tifare per l’eroe, Nathan Caine. Jack Quaid ha finalmente la possibilità di avere un ruolo da protagonista e le prime recensioni di Mr. Morfina promettono un viaggio selvaggio per il personaggio di Quaid e per il pubblico.

Il film segue un uomo di nome Nathan Caine (Jack Quaid) che vive con insensibilità congenita al dolore e anidrosi, che, a livello superficiale, significa che non riesce a sentire dolore né è sensibile alle alte o basse temperature. Dopo aver finalmente trovato il coraggio di uscire con la collega che ama, Sherry (Amber Midthunder), si rende conto che potrebbe perderla quando viene rapita durante una rapina in banca. Prende la decisione improvvisa di inseguire i rapinatori in modo da poterle salvare la vita, ma non sarà una lotta facile. Nathan Caine si ritrova a combattere con armi non convenzionali in una cucina di un ristorante, in uno studio di tatuaggi e in una casa piena di trappole esplosive. Ciò porta a un finale tanto sanguinoso quanto divertente.

Come fa Nathan Caine a sopravvivere in Mr. Morfina

La condizione di Nathan lo aiuta a sopravvivere a una lotta mortale

Nonostante abbia subito molte ferite che avrebbero dovuto ucciderlo, Mr. Morfina ha fornito a Nathan Caine un’armatura nella trama, chiarendo subito che non sarebbe morto. Tuttavia, si avvicina all’essere ucciso verso la fine del film. Simon prende il sopravvento su Nathan, promettendo di uccidere Sherry in seguito. Fortunatamente, Sherry si presenta per salvare Nathan all’ultimo minuto.

La lotta passa a Sherry e Simon, con la sorella che cerca di salvare l’uomo che ama. Nathan arriva alla fine della lotta, usando l’osso del braccio per pugnalare il rapinatore, un modo grottesco e memorabile per concludere il climax di Mr. Morfina. Il fatto che Nathan e Sherry si siano salvati a vicenda, invece di essere uno l’eroe e l’altra la damigella, completa il ritratto del personaggio principale, riaffermando il tema che le persone hanno bisogno l’una dell’altra per sopravvivere.

Il film non mostra direttamente come arriva all’ospedale, ma la spiegazione più logica è che Sherry ha chiamato un’ambulanza. In entrambi i casi, il fatto che Nathan Caine sopravviva in qualche modo all’intero film e non abbia conseguenze permanenti dalle ferite è la parte meno realistica di Mr. Morfina, nonostante il thriller d’azione incorpori molti spunti di trama stupidi.

Il grande colpo di scena di Mr. Morfina: il coinvolgimento di Sherry nella rapina e la spiegazione del legame con i rapinatori

Mr. Morfina film

Sherry ha accettato il lavoro in banca per ottenere informazioni sulla rapina

Sebbene inizialmente venga presentata come l’interesse amoroso e la damigella in pericolo di Nathan Caine, Mr. Morfina offre un divertente colpo di scena al personaggio: lei è coinvolta nella rapina. Il trailer ha anticipato il grande colpo di scena di Mr. Morfina facendo sì che i rapinatori portassero via Sherry dalla banca senza puntarle una pistola alla testa, e non la si vede legata. Nonostante ciò, il coinvolgimento o meno di Sherry nella rapina sembra ambiguo quando si ritrova da sola con i rapinatori. Sembra arrabbiata e provocatoria nei confronti dei suoi rapitori. Tuttavia, alla fine della scena, rivelano che è la sorella di Simon, uno dei cattivi.

Man mano che il film procede, continuano a rivelare altre informazioni sulla rapina e sul suo legame. Ha ottenuto il lavoro in banca in modo che potessero ottenere il codice per il caveau. Sebbene non sia dichiarato direttamente, il dialogo tra Sherry e Simon implica fortemente che lei sia uscita con Nathan Caine solo per ottenere il codice da lui. Nonostante il suo coinvolgimento nella rapina, Sherry ha una parvenza di morale fin dall’inizio. Ha accettato di fare la rapina solo se non avessero ucciso nessuno.

Perché Sherry tradisce i rapinatori e salva Nathan

L’amore di Sherry per Nathan e i suoi valori contribuiscono al suo tradimento

Sebbene inizialmente si avvicini a Nathan per ottenere il codice della banca, Sherry si innamora del suo collega nel giro di 24 ore. I due si legano perché entrambi hanno aspetti di sé che vogliono nascondere. Nathan condivide con Sherry di vivere con insensibilità congenita al dolore e anidrosi. Sebbene sia leggermente meno cauta sul suo segreto rispetto a Nathan, Sherry in seguito rivela di essersi autolesionata. Il momento in cui mostra il suo stomaco, coperto di cicatrici, a Nathan sembra profondamente intimo. Questa connessione ha indubbiamente contribuito al tradimento del fratello da parte di Sherry.

Inoltre, Sherry non sembra mai del tutto a suo agio con la rapina, arrabbiandosi con Simon per il fatto che ha ucciso il direttore della banca e diversi agenti di polizia. Come Nathan Caine, non ha problemi con il furto. È a suo agio con l’idea che Simon prenda i soldi e se ne vada se lascia che tutti vivano. In definitiva, la differenza tra i valori di Simon e Sherry sulla violenza implica che, in ogni scenario, lei lo tradirebbe a un certo punto. La sua connessione con Nathan Caine serve solo da catalizzatore per accelerare il processo.

Cosa significa la fine di Mr. Morfina per il futuro di Nathan e Sherry

Nathan e Sherry sono ancora una coppia alla fine di Mr. Morfina

La fine di Mr. Morfina include due salti temporali che forniscono dettagli sui futuri individuali di Nathan e Sherry, così come sulla loro storia d’amore. Dopo aver ucciso Simon con l’osso del braccio, Nathan perde conoscenza e si sveglia giorni dopo in ospedale. L’agente di polizia che lo ha aiutato durante Mr. Morfina gli rivela che se l’è cavata facilmente, ottenendo solo arresti domiciliari e libertà vigilata per tutti i suoi crimini. Il film fa un altro salto in avanti di un anno.

Nathan Caine è completamente guarito senza conseguenze durature, che è una delle parti meno realistiche del film di Jack Quaid. Ha ancora una stretta amicizia con Roscoe, ma lo lascia nel bel mezzo di una lotta ai videogiochi per andare a un appuntamento con Sherry. Il film poi passa a Nathan e Sherry che festeggiano il loro anniversario nella sala visite della prigione, confermando che stanno ancora insieme dopo il tradimento di Sherry, l’omicidio di Simon da parte di Nathan e la sua messa in prigione.

Nathan sta contando i giorni che mancano alla sua uscita, dimostrando di essere innamorato di lei tanto quanto lo era lei quando sono usciti per la prima volta. Tuttavia, il fatto che mangi la crostata di ciliegie indica che non sta trascorrendo il tempo in cui Sherry è in prigione per isolarsi dalla società come prima. Sherry gli ha insegnato a correre dei rischi e lui continua a farlo anche senza di lei al suo fianco.

Il vero significato del finale di Mr. Morfina

Mr. Morfina dice agli spettatori che i rischi valgono la gioia

Mr. Morfina rende il suo messaggio chiaro all’inizio del film quando Nathan e Sherry vanno al ristorante. Lui le dice che non può mangiare cibi solidi a causa delle sue condizioni, e lei lo esorta a provarci. Nathan è molto più felice dopo aver mangiato la crostata di ciliegie, confermando il messaggio che non puoi vivere la tua vita nella paura se questo significa non provare gioia.

Il finale di Mr. Morfina ribadisce il tema due volte durante l’appuntamento di Sherry e Nathan nella sala visite della prigione. Lui le mostra il tatuaggio finito, raffigurante il cavaliere e la principessa che combattono per salvarsi a vicenda. Sono in pericolo, ma ne vale la pena per via del loro amore reciproco.

Poi, nell’inquadratura finale del film, Nathan dà un morso alla crostata di ciliegie che ha portato in prigione e sorride, con un chiaro riferimento alla scena iniziale. L’inquadratura di Nathan che mangia la crostata è un momento di ritorno piacevole e idealistico che consente al pubblico di riflettere su quanto lontano sia arrivato il coraggioso protagonista dalla prima volta che ha mangiato quel cibo.

Mr. Morfina: recensione del film con Jack Quaid

Di vendicatori privati e agenti speciali il cinema è sempre stato pieno, trovando ad ogni nuova generazione i propri più intrepidi esemplari di uomini o donne in grado di ottenere giustizia con le loro sole mani. In anni recenti è toccato a personaggi come John Wick, il Robert McCall di The Equalizer, il Bryan Mills di Taken o alla Lorraine Broughton di Atomica bionda ricoprire tale ruolo, affermandosi come macchine da guerra pronte a combattimenti di ogni sorta pur di portare a termine la propria missione. È dunque interessante che a loro faccia ora seguito un personaggio tanto improbabile quanto quello protagonista di Mr. Morfina.

Nel film diretto da Dan Berk e Robert Olsen – duo affermatosi per gli horror Malvagi e Non siamo soli – l’eroe di turno ha infatti il solo merito di non provare il benché minimo dolore per via di una particolare patologia. È questo il suo unico “superpotere”, presentandosi per il resto come una persona con un coraggio tanto esile quanto il suo fisico. Eppure, è un personaggio che presenta diversi elementi inaspettati, all’interno di un film che, pur muovendosi su un terreno narrativo quantomai semplice, riesce a regalare più di qualche momento di buon intrattenimento.

Amber Midthunder e Jack Quaid in Mr. Morfina
Amber Midthunder e Jack Quaid in Mr. Morfina

La trama di Mr. Morfina: farsi male per amore

Protagonista del film è dunque Nathan Caine (Jack Quaid), un introverso affetto da insensibilità congenita al dolore, che lavora come vicedirettore in una cooperativa di credito di San Diego. Qui lavora anche Sherry Margrave (Amber Midthunder), dalla quale Nathan è attratto ma si tiene a distanza per via della sua condizione e della sua inesperienza con le donne. Quando però anche Sherry dimostra di essere romanticamente interessata a lui, la vita di Nathan sembra prendere un’inaspettata piega positiva. A spezzare questo idillio arriva però una rapina in banca che culmina con il rapimento di Sherry. A quel punto, Nathan deciderà di sfruttare la sua condizione per andare a salvare la donna di cui si è innamorato.

Vogliamo vedere il sangue!!!

Come si può intuire da questa sinossi, il film è di base il racconto di un uomo che si lancia al salvataggio della donna amata e rapita. Tutto qui. Non ci sono ulteriori elementi narrativi che complicano la cosa (se non un colpo di scena ben organizzato) nella sceneggiatura di Lars Jacobson, qui alla sua prima volta con un grosso film di Hollywood. Su questo modello – a partire dal quale si sono costruiti innumerevoli film – Jacobson applica però la particolarità di un protagonista incapace di sentire dolore. È ovviamente questo che rende il film intrigante e avvincente, tolto il quale resterebbe ben poco.

Nella visione di Mr. Morfina non bisogna dunque aspettarsi acrobazie narrative o un particolare spessore dei personaggi. Gli stessi villain, d’altronde, sono dei semplici criminali – guidati però da un convincente Ray Nicholson (figlio di Jack Nicholson). Siamo piuttosto qui per il sangue, per godere o rabbrividire dinanzi alle situazioni mortali in cui si caccia questo improbabile eroe. Insomma, è chiaro che il solo interesse che si può avere nei confronti di questo film per vedere quanto male può ridursi il povero Nathan.

Mr. Morfina film
Jack Quaid in Mr. Morfina

Jack Quaid perfetto protagonista di Mr. Morfina

E da questo punto di vista il film certamente non delude. Pur con il preciso intento dei registi di non allontanarsi mai dal reale, ma anzi di far sì che ogni colpo inferto a Nathan sia premeditato e ben rappresentato, Mr. Morfina offre una convincente sequela di situazioni che, tra il divertente e il raccapricciante, tengono alta l’attenzione e l’interesse nei confronti del film. Su tutte, le trappole che Nathan fa scattare all’interno dell’abitazione di uno dei criminali, o ancora sequenza – forse la più dolorosa da vedere – nel laboratorio di tatuaggi che lo vede diventare un improbabile “Wolverine”.

Momenti che confermano, come si diceva, che il primario obiettivo del film è quello di offrirci questo protagonista e il suo corpo martoriato in tutte le sale, facendo volentieri dimenticare tutto il resto. Il merito è anche di Jack Quaid, perfetto everyman scelto dai registi grazie alla serie The Boys, dove interpreta un Hughie continuamente coperto di sangue e maltrattato ma anche dotato di una sua esplosiva carica energica. Quaid, con il suo fisico slanciato ma esile e i suoi modi di fare gentili, si dimostra l’interprete giusto per un ruolo di questo tipo, favorendo quel contrasto che rende ancor più intrigante e riuscito il film.

Indubbiamente, come si diceva, Mr. Morfina non propone molto altro oltre questo (se non un’altra bella prova attoriale di Amber Midthunder dopo Prey) e si notano una serie di lungaggini che rallentano talvolta il ritmo, ma risate e intrattenimento sono assicurati. Si potrebbe infine guardare a Nathan come ennesimo rappresentante di una generazione che si sta finalmente allontanando dallo stereotipo del maschio duro e spietato (qui presente con il personaggio di Nicholson), abbracciando piuttosto quelle fragilità umane troppo spesso nascoste. Un elemento che, questo sì, conferisce al film qualcosa su cui riflettere.

Sons: recensione del film di Gustav Möller

I centri di detenzione nascondono in tutto il mondo delle realtà parallele, in cui sembrano vigere regole diverse, in cui spesso è la forza ad avere la meglio. Questo è un tema che merita certamente l’attenzione del pubblico e viene presentato con tutta la sua crudezza in Sons (titolo originale Vogter). La pellicola, presentata e candidata per l’orso d’oro al Festival del cinema di Berlino, porta alla luce la quotidianità di una prigione danese, tra conflitti di potere tra detenuti e polizia penitenziaria.

Sons, diretto da Gustav Möller (Il colpevole-The guilty, da cui il remake di Netflix The guilty), presenta nel cast alcune figure già note nel panorama cinematografico internazionale. Tutto il film ruota intorno a Eva, guardia interpretata da Sidse Babett Knudsen (Westworld, Inferno), e Mikkel, uno dei detenuti interpretato da Sebastian Bull. Sons, presentato ai Firebirds awards nel Hong Kong film festival, è uscito vincitore nella categoria Cinema Giovani (mondo).

Sons: la vendetta del carceriere

Eva svolge una vita tranquilla e abitudinaria: svolge i suoi turni presso il penitenziario in cui lavora, in un padiglione in cui si trovano detenuti con reati minori, cerca di rendere la vita dei carcerati più normale possibile, favorendone la riabilitazione. Poco sa lo spettatore della sua vita al di fuori del carcere, finché dei nuovi detenuti vengono trasferiti nel penitenziario dove lavora. Uno nello specifico colpisce l’attenzione di Eva: si tratta di Mikkel, il responsabile della morte del figlio, Simon. Mikkel aveva brutalmente assassinato il ragazzo mentre si trovavano entrambi detenuti in un altro carcere.

La rabbia e la sete di vendetta guidano Eva a chiedere il trasferimento nel padiglione in cui si trova Mikkel, quello dedicato ai detenuti di massima sicurezza. Qui inizia un gioco di giustizia perversa da parte di Eva contro il detenuto. Ogni azione però non sembra soddisfare Eva, la quale non trova nella sofferenza di Mikkel nessun vero sollievo dalla sua perdita. Dopo un culmine a questo climax di violenza, Eva sembra credere, sperare in una possibile riabilitazione di Mikkel, finendo però con lo sbagliarsi.

Sons: poliziotto o criminale?

“Quando avevo la tua età, i preti ci dicevano che potevamo diventare poliziotti o criminali. Oggi quello che ti dico io è questo: quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?”

Questa celebre citazione del film The Departed: il bene e il male permette di riflettere sulla contrapposizione, talvolta troppo marcata, tra la polizia, rappresentante nobili valori di giustizia e ordine, e i detenuti, simbolo di criminalità e violenza. Pian piano che si procede con la narrazione, però, in Sons questa differenza tende ad affievolirsi sempre di più.

Mikkel, da pericoloso assassino quale è, diventa quasi una vittima nelle mani di  Eva, la quale pur di vendicare la morte del figlio porta avanti una strategia di veri e propri “dispetti” nei confronti del detenuti, passando dal sputargli nel cibo, a non garantirgli l’uso del bagno, per culminare nella brutale violenza.

Eva si lascia pervadere totalmente dalla rabbia nei confronti di Mikkel, dimostrando una ferocia e un disprezzo non indifferenti. Ma proprio le prime scene mostrano come la donna non sia di per se una persona violenta e spregevole. Proprio per questo motivo, dopo un culmine di violenza, Eva sembra cambiare totalmente il proprio atteggiamento nei confronti di Mikkel, sia per le minacce di sporgere denuncia ma forse anche per un sentimento di vergogna. In fin dei conti, anche Mikkel è un giovane come lo era suo figlio, e può essere meritevole di una nuova possibilità dalla vita.

La prigione: da punizione a riabilitazione

Fin dal Panopticon dell’utilitarista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo, la prigione è stata ipotizzata dai filosofi e realizzata negli stati democratici come un luogo di riabilitazione, non solo di detenzione. I paesi del nord Europa sono notoriamente conosciuti per l’alto livello di risocializzazione e servizi che vengono garantiti nelle carceri, e ciò viene facilmente dedotto anche in Sons, nella prima parte del film in cui Eva si trova in un settore con detenuti condannati per reati meno gravi. Si vede come tutti vengano trattati quasi alla pari, come gli venga garantito di girare liberamente fuori dalle loro celle durante il giorno, e come questi possano svolgere lavori o corsi vari, come quello di yoga tenuto da Eva. Quest’ultima infatti sembra credere molto nel reindirizzare e rieducare i detenuti, creando un rapporto molto stretto con i ragazzi della sua sezione e cercando anche a seguire di salvare Mikkel.

Diverso è certamente il caso della sezione con i detenuti più gravi: qui la polizia stessa si comporta in maniera più dura e severa, ricorrendo a brutali costrizioni come l’uso cinghie e costrizioni fisiche. Sons si afferma come una pellicola molto efficace nel presentare una realtà non sempre ben nota, e lo fa in maniera talvolta cruda e diretta.

The Studio: recensione della serie con Seth Rogen

Dopo il successo di critica e pubblico ottenuto dalle varie versioni di Call My AgentApple TV+ risponde a modo suo con questa serie in dieci puntate diretta dalla coppia consolidata Seth Rogen e Evan GoldbergThe Studio racconta le peripezie dell’executive Matt Remick (Rogen), improvvisamente messo a capo della Continental, Major di Hollywood che ha bisogno di realizzare il nuovo Barbie per risollevare le proprie sorti commerciali. Ed è proprio questo il dilemma che renderà impossibile la vita a Remick nel corso dei vari episodi: si può realmente fare cinema di qualità tentando di rispettare, anzi elevare la visione artistica di chi viene messo al timone di un progetto? La risposta per Matt, ora attento più che mai a far quadrare i conti dell’azienda, diventa quanto mai problematica da trovare…

The Studio è una goduria per ogni cinefilo accanito

Partiamo immediatamente con lo scrivere che The Studio è pura, lussureggiante goduria per chiunque sia un cinefilo accanito. Basta sapere che nel funambolico episodio pilota recita  addirittura la leggenda vivente Martin Scorsese in un ruolo decisamente non secondario. Altra chicca ultra cinefila: quanti spettatori hanno riconosciuto il nome del personaggio interpretato dal “boss dei boss” Bryan Cranston? Nel caso lo abbiate fatto, avrete senza dubbio capito che anche l’idea di girare tutte le puntate attraverso lunghissimi, sinuosi pianosequenza deriva allo stesso modo da quel grandioso film su Hollywood diretto da un maestro  di cinema come nessun altro. Ok, forse stiamo flirtando un po’ troppo con il rischio spoiler, il che però serve a testimoniare ancora una volta quanto Rogen e Goldberg siano due enormi conoscitori della storia del cinema. Del buon cinema.

Stracolmo di guest star famosissime, di inside-jokes azzeccate e di almeno un paio di episodi scritti con notevole lucidità per una commedia che vuole essere comunque anche frizzante e ridanciana quando possibile, The Studio soffre però di una certa ripetitività quando indulge troppo nello schema narrativo che vede Remick rischiare (o riuscire) di mandare tutto alla malora a causa delle sue insicurezze. Diamo che i primi episodi sono tutto sommato più efficaci degli ultimi tre o quattro, i quali invece si poggiano appunto su delle idee già esplorate con intelligenza e senso del genere negli episodi precedenti. A proposito delle singole puntate, oltre al già citato pilot se dovessimo scegliere le nostre preferite opteremmo senza dubbio per quelle che vedono protagoniste Sarah Polley e Olivia Wilde, molto spiritosa e piuttosto coraggiosa nel giocare con il suo recentemente acquisito status di “regista difficile” dopo le controversie relative al suo ultimo Don’t Worry Darling.

Un grande ensemble

The Studio

Altro elemento prezioso che rende The Studio uno show a dir poco sfizioso è il suo cast di attori che compone il team principale. Come protagonista Seth Rogen si rivela capace di tratteggiare un personaggio in linea con le sue corde e quindi con i suoi precedenti ruoli, ma anche dotato di una malinconia e una coscienza delle proprie mancanze prima sconosciute, segno che come attore e autore Rogen sta certamente maturando. Accanto a lui troviamo uno scatenato e ugualmente coinvolgente Ike Barinholtz, finalmente in un ruolo consistente dopo anni di piccole apparizioni non in grado di testimoniare in pieno la bravura. Se poi aggiungiamo due “Regine” della commedia contemporanea come Catherine O’Hara e Kathryn Hahn, ecco che il gruppo di caratteristi assemblato per guidare la serie non può che essere meritevole di plauso.

Ci si diverte, a tratti davvero molto, ad assistere alle squinternate peripezie dei personaggi di The Studio, show che porta dietro le quinte di cosa significhi produrre e realizzare un film a Hollywood. In maniera disincantata e sbarazzina. Seth Rogen e Evan Goldberg hanno girato una serie che forse la tira un po’ troppo per le lunghe, magari avrebbe funzionato meglio con otto puntate invece di dieci, ma rimane un guilty-pleasure realizzato con evidente intelligenza e notevole volontà dissacrante. Si può tranquillamente fare binge-watching con The Studio, anzi forse è consigliabile farlo – vista anche la durata contenuta di molti episodi – per passare una giornata all’insegna del sorriso talvolta ironico, altre volte grossolano e sfacciato. Comunque sempre sorriso.

Tre rivelazioni: la spiegazione del finale del film Netflix

Netflix ha recentemente aggiunto al suo catalogo il thriller sudcoreano Tre Rivelazioni, che pone diverse domande scottanti sulla moralità e sul crimine, ma la più importante è cosa sia successo ad A-yeong. Diretto da Yeon Sang-ho, regista dell’acclamato Train to Busan, Tre Rivelazioni segue le vicende di tre personaggi unici: un pastore troppo zelante, un detective traumatizzato e un criminale incompreso. Quando una giovane ragazza scompare, tutti e tre i personaggi vengono coinvolti in una rete contorta di segreti, violenza e, naturalmente, rivelazioni.

Il thriller coreano inizia con Min-chan, un pastore appassionato che accoglie nella sua congregazione un criminale incallito, Yang-rae. Tuttavia, quando Min-chan scopre che suo figlio potrebbe essere scomparso, sospetta immediatamente di Yang-rae e cerca di dargli la caccia, provocando però la sua scomparsa. Il giorno seguente, si scopre che il figlio di Min-chan è stato ritrovato, ma che in realtà è stato rapito un altro bambino. La detective Yeon-hee indaga, turbata dal caso di Yang-rae perché dietro la morte di sua sorella c’è proprio lui. Da qui, Yeon-hee tenterà dunque a scoprire il ruolo di Min-chan e Yang-rae nella scomparsa di A-yeong.

Cosa è successo ad A-yeong?

Il mistero più grande di Tre Rivelazioni è dunque cosa sia successo ad A-yeong. La dodicenne A-yeong appare per la prima volta nel film mentre si reca in chiesa, seguita da Yang-rae. Dopo la funzione, sembra tornare a casa con i suoi amici, ma la volta successiva che si parla di lei, si scopre che è stata rapita. Considerando l’inseguimento di Yang-rae, sembra chiaro che il colpevole sia lui. Solo alla fine del film il pubblico si accorge però che A-yeong è tenuta prigioniera in una casa destinata a essere demolita. Fortunatamente, poco prima che la casa venga distrutta, Yeon-hee salva la ragazza.

Nonostante la scomparsa di A-yeong sia il perno che lega Min-chan, Yeon-hee e Yang-rae, la ragazza è più un personaggio simbolico che una vera protagonista. Il rapimento non riguarda tanto A-yeong in sé, quanto piuttosto l’effetto che ha sugli altri personaggi. L’effetto più importante della situazione di A-yeong è che simboleggia ciò che è accaduto alla sorella di Yeon-hee, la quale si rimprovera di non essere stata in grado di salvare la sorella e, quando salva A-yeong, riesce finalmente a perdonarsi per il passato.

Shin Hyeon-bin in Tre rivelazioni
Shin Hyeon-bin in Tre rivelazioni. Foto di Cho Wonjin/Netflix © 2025

Il ruolo di Min-chan con Yang-rae nella vicenda

Uno degli elementi più complicati di Tre Rivelazioni è però il coinvolgimento di Min-chan con Yang-rae. Inizialmente, Min-chan vuole aiutare Yang-rae come membro della chiesa. Tuttavia, la sua buona volontà si trasforma rapidamente quando sospetta che Yang-rae abbia rapito suo figlio. Min-chan segue allora Yang-rae nel bosco e si scontra con lui, facendolo cadere in un burrone e provocandogli una grave ferita. Min-chan è terrorizzato, ma alla fine decide di spingere Yang-rae giù da un dirupo e sembra che lo faccia dopo aver visto un segno di Dio.

In definitiva, questa è la parte più importante della storia di Min-chan. Dopo aver visto un simbolo sul fianco di una montagna, Min-chan crede di dover uccidere Yang-rae perché è la volontà di Dio. Il suo pensiero è che sta liberando il mondo da un peccatore. Pertanto, quando Yang-rae finisce per sopravvivere e tornare, Min-chan è determinato a ucciderlo una volta per tutte. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che Yang-rae è l’unico a sapere dove si trova A-yeong, quindi una volta che Min-chan lo avrà ucciso, la polizia avrà meno possibilità di trovare A-yeong viva.

Perché Yeon-hee ha avuto le visioni di sua sorella

Mentre Min-chan si occupa di Yang-rae, Yeon-hee cerca di capire come questi due uomini siano collegati al rapimento di A-yeong. Nel corso di questa indagine, la detective è perseguitata dai suoi demoni, in particolare dal fantasma di sua sorella. Cinque anni prima, la sorella di Yeon-hee era stata rapita e torturata da Yang-rae. Riuscì a fuggire, ma alla fine si tolse comunque la vita. Yeon-hee ritiene dunque che sia colpa sua non aver salvato la sorella. Per questo motivo, il fantasma di lei le urla continuamente contro, chiedendo di sapere perché non era presente quando aveva più bisogno di lei.

La crescita di Yeon-hee in Tre Rivelazioni è forse una delle parti migliori del film. Yeon-hee è chiaramente angosciata dalla morte della sorella e dalla ricomparsa di Yang-rae. Tuttavia, approfondendo il caso di A-yeong, si rende conto che l’assassino è un essere umano proprio come lo era sua sorella e merita maggiore empatia. Di conseguenza, cerca di saperne di più su Yang-rae, il che la aiuta a capire dove è tenuta prigioniera A-yeong. Inoltre, si trova a fare i conti con il fatto che la morte di sua sorella non è avvenuta per mano sua, ma per qualcosa che è sfuggito al suo controllo.

Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni
Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni. Foto di Cho Wonjin/Netflix © 2025

La spiegazione del passato di Yang-rae e del suo tragico destino

Nella prima metà di Tre Rivelazioni, Yang-rae è dunque caratterizzato come un essere umano malvagio. È un noto criminale che ha torturato la sorella di Yeon-hee e rapito A-yeong. Tuttavia, al culmine del film, si scopre che Yang-rae ha sofferto di un’infanzia traumatica, che lo ha portato a questi comportamenti orribili. Lo psicologo di Yang-rae spiega che il padre lo picchiava ogni giorno, lasciandogli innumerevoli bruciature e cicatrici. Mentre queste percosse avevano luogo, la madre stava fuori dalla porta, cantando inni e pregando per lui. Questo ha lasciato Yang-rae in uno stato psicologico profondamente turbato.

Il dilemma morale con cui ci si confronta è dunque se Yang-rae possa essere perdonato o meno. Non c’è dubbio che abbia agito in modo malvagio quando ha commesso i suoi crimini; tuttavia, il film suggerisce che non era necessariamente in uno stato mentale sano. A causa del suo trauma infantile, Yang-rae potrebbe meritare la stessa compassione delle sue vittime. Yeon-hee sembra alla fine perdonarlo, mentre Min-chan rimane convinto che sia un peccatore senza possibilità di redenzione. Alla luce di ciò, gli spettatori sono quindi chiamati a dare il proprio giudizio su Yang-rae.

La verità sul “mostro con un occhio solo”

Al centro della tragica storia di Yang-rae c’è poi il “mostro con un occhio solo”. Quando le autorità visitano per la prima volta il suo appartamento, trovano un disegno terrificante di questo presunto “mostro con un occhio solo”, che sembra contenere diverse persone al suo interno. All’inizio si pensa che Yang-rae sia semplicemente pazzo, ma quando poco prima di morire dice a Yeon-hee che A-yeong è stata inghiottita dal “mostro con un occhio solo”, la detective si mette alla ricerca di cosa significhi. Alla fine, si rende conto che il mostro rappresenta le case con un’unica finestra a forma di occhio di pesce.

Sebbene il “mostro con un occhio solo” sia un luogo fisico e non un vero e proprio mostro come gli zombie di Train to Busan, ha un significato simbolico per Yang-rae. In gioventù, egli è stato maltrattato in una stanza con una sola finestra e il trauma subito ha trasformato un normale elemento abitativo in un vero e proprio mostro. Yang-rae credeva davvero che questo mostro fosse un pericolo per lui e forse sentiva di dovergli offrire più violenza per tenerlo a bada, motivo per cui ha commesso i suoi crimini.

Shin Hyeon-bin e Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni
Shin Hyeon-bin e Ryu Jun-yeol in Tre rivelazioni. Foto di Cho Wonjin/Netflix © 2025

La spiegazione dell’apofenia di Min-chan

In Tre Rivelazioni, Yeon-hee e la polizia scoprono che Min-chan ha tentato di uccidere Yang-rae. Viene quindi mandato in prigione per il suo crimine, nonostante le sue proteste sul fatto che Dio lo abbia influenzato. Più tardi, lo psichiatra di Yang-rae spiega a Yeon-hee che Min-chan probabilmente soffriva di apofenia, un fenomeno per cui le persone vedono schemi in cose che in realtà non esistono. Quando Min-chan vedeva i suoi segni da parte di Dio, in realtà non c’era nulla. Questa diagnosi viene confermata alla fine del film, quando Min-chan trova un altro “segno” nella sua cella.

Tre Rivelazioni conferma quindi che Min-chan soffre di apofenia, ma il pubblico potrebbe chiedersi se questa sia una copertura per il vero male di Min-chan. Forse Min-chan ha sviluppato l’apofenia solo come modo per permettersi di compiere atti di violenza. Questo avrebbe senso se si considera che la moglie lo tradiva, il che probabilmente gli ha fatto aumentare la rabbia e lo stress. In questo modo, i suoi crimini potrebbero essere stati anche peggiori di quelli di Yang-rae.

Il vero significato di Tre Rivelazioni

In definitiva, Tre Rivelazioni è un film tanto emozionante quanto illuminante. Attraverso le storie di Min-chan, Yang-rae e Yeon-hee, gli spettatori sono costretti a fare i conti con le proprie convinzioni sulla moralità. Devono decidere se chi commette un crimine è una persona veramente malvagia o se sta accadendo qualcosa di più complicato dentro di loro. Inoltre, il pubblico vede come un trauma possa avere un impatto pericoloso sulla vita di una persona. In definitiva, Tre Rivelazioni mette in crisi l’idea di bene e male puro.

Daredevil: Rinascita – Stagione 2: nuove foto dal set rivelano che l’eroe finalmente indosserà il suo costume nero

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L’eroe protagonista interpretato da Charlie Cox nella seconda stagione di Daredevil: Rinascita sta per rinnovare il suo costume nero, come rivelano le nuove foto dal set del Marvel Cinematic Universe che mostrano Matt Murdock con un look tutto nuovo. Mentre la prima stagione di Daredevil: Rinascita è attualmente in corso, la seconda stagione è già in lavorazione, poiché la Marvel Studios continua le avventure del Diavolo di Hell’s Kitchen. Anche se i dettagli della trama della seconda stagione di Daredevil: Rinascita non sono stati ancora annunciati ufficialmente, stanno iniziando ad emergere ulteriori indizi attraverso varie foto e video dal set.

Anche se la seconda stagione di Daredevil: Rinascita non arriverà prima del 2026, i fan di lunga data della Marvel Comics potranno finalmente vedere Cox con il suo famoso costume nero. Mentre la produzione della seconda stagione di Daredevil: Born Again è attualmente in corso, nuove foto dal set (tramite @petergcornell) rivelano il veterano dell’MCU con il suo costume nero, mentre esce dall’acqua.

Clicca qui per vedere le foto dal set della seconda stagione di Daredevil: Born Again con Charlie Cox nel costume nero.

Cosa rivelano le foto dal set della seconda stagione di Daredevil: Rinascita con Charlie Cox

Al momento della pubblicazione delle foto dal set della seconda stagione di DDaredevil: Rinascita, Cox sembra essere l’unico personaggio coinvolto nella scena, circondato dai membri della troupe. Resta da vedere se altri personaggi faranno parte di questa scena, ma con Matt che emerge dall’acqua, potrebbe trattarsi di una sequenza di combattimento in cui è stato costretto a fuggire. È difficile dire se il nuovo costume nero di Cox abbia o meno il logo DD, poiché sembra essere una variante del costume Shadowland dei fumetti.

Anche se la seconda stagione potrebbe non essere un adattamento di Shadowland, i trailer della prima stagione di Daredevil: Rinascita hanno già indicato che Matt aveva almeno un costume nero realizzato dopo la terza stagione di Daredevil. Considerando che altre foto dal set della seconda stagione di Daredevil: Rinascita mostrano Matt in modalità incognito, il passaggio a un costume nero ha perfettamente senso. Dato che le attività dei vigilanti sono una delle cose che il sindaco Fisk sta cercando di tenere sotto controllo, la seconda stagione di Daredevil: Rinascita si preannuncia chiaramente ancora più impegnativa per Matt.

Scissione – stagione 2: la spiegazione del finale, cosa significa la decisione di Mark e Gemma per Helly?

Il finale di Scissione – stagione 2 è zeppo di colpi di scena, e supera ogni aspettativa sullo sviluppo della trama mostrando come Mark prende una decisione cruciale. Considerato che il finale della prima stagione di Scissione è spesso considerato uno dei momenti più avvincenti della televisione moderna, la seconda stagione ha dovuto affrontare l’immensa pressione di superarlo con il suo arco narrativo finale. Senza dubbio questo finale porta a una conclusione potente della seconda stagione della serie fantascientifica di Apple TV+, aprendo la strada a puntate future.

Nella sua prima metà, l’episodio 10 di Scissione – stagione 2 si svolge principalmente nel mondo esterno, dove Mark, Cobel e Devon cercano di convincere l’innie di Mark ad aiutarli a salvare Gemma. Tuttavia, quella che inizialmente sembra una semplice missione si trasforma in seguito in una discussione tra l’innie e l’outie di Mark su chi merita di vivere di più. L’arco finale dell’episodio mostra come l’innie di Mark alla fine riesce a completare Cold Harbor ma fa fatica a decidere se aiutare il suo outie. Quando finalmente si impegna a salvare Gemma, si verificano una serie di eventi caotici, lasciandoci con più domande che risposte.

La spiegazione della decisione dell’innie di Mark nel finale di Scissione – stagione 2: cosa significa per Helly e Gemma

L’innie di Mark salva Gemma ma sceglie di restare indietro con Helly

Quando Mark racconta a Helly della sua interazione con il suo outie pochi istanti prima di completare la rifinitura del file di Cold Harbor, Helly sorprendentemente gli chiede di obbedire al suo outie. Lo incoraggia a salvare Gemma e ad andarsene invece di cercare di preservare se stesso e la loro relazione. Mentre alcuni potrebbero sostenere che questo sembra fuori dal personaggio di Helly, Helly sembra finalmente capire il peso di essere l’innie di Helena. In precedenza odiava quando gli innies prendevano in considerazione il benessere dei loro outies.

Tuttavia, alla fine della seconda stagione, sembra rendersi conto che Cobel aveva ragione durante l’incidente della Overtime Contingency quando l’aveva avvertita che gli altri innies avrebbero sofferto se avesse fatto qualcosa che avrebbe danneggiato la reputazione di Lumon. Dopo l’incoraggiamento di Helly, Mark si dirige al Testing Floor per salvare Gemma. Affronta molte sfide ma alla fine riesce a portarla (la signorina Casey) alla porta delle scale e le chiede di andarsene. Con questo, lei si trasforma nella sua outie, Gemma, ma Mark non lascia Lumon.

Mentre Gemma lo osserva da fuori, Mark sceglie di stare con Helly perché questa è la sua idea di libertà. Lui crede di avere un suo senso di identità e non è disposto a rischiare di perdersi solo perché il suo outie possa vivere in pace per il resto della sua vita. Helly e Mark sembrano correre più in profondità nell’edificio Lumon, apparentemente senza avere idea di dove siano diretti. Tuttavia, non passerà molto tempo prima che le autorità dell’azienda li catturino. Gemma, d’altra parte, dovrà scappare dall’edificio Lumon e trovare Devon per riuscire a far uscire Mark da Lumon.

Se Gemma riesce ad andarsene, probabilmente capirà perché Mark l’ha lasciata fuori per stare con Helly. Tuttavia, è difficile non provare empatia per lei dopo la fine della prima stagione e chiedersi quanto possa essere stato straziante per lei vedere Mark andarsene con un’altra donna. Desiderava ardentemente stare con Mark durante la sua permanenza al Testing Floor e si rifiutò persino di credere al dottor Mauer quando le disse che Mark era andato avanti. Tuttavia, con suo sgomento, la sua più grande paura si rivelò vera quando vide Mark scegliere Helly al posto suo.

La spiegazione della stanza Cold Harbor del Testing Floor e perché Lumon progetta di uccidere Gemma dopo il test

Lumon apparentemente desidera eliminare tutto il dolore dal mondo

Dopo che Mark ha finito di perfezionare il suo file Cold Harbor, Gemma viene inviata nell’ultima stanza Cold Harbor. L’episodio 7 della stagione 2 di Scissione ha rivelato che il nome di ogni stanza del Testing Floor corrispondeva a un file che Mark aveva precedentemente completato di perfezionare nel dipartimento MDR. Ciò suggeriva che Mark stava inconsapevolmente creando le innie di Gemma, su cui in seguito Lumon aveva fatto esperimenti. Con ogni stanza, Lumon esponeva una delle innie di Gemma a un evento traumatico per testare se conservava i ricordi delle sue innie dopo essere uscita dalle stanze. Gemma ha 25 innie e finora sono stati rivelati i nomi delle seguenti stanze:

  • Allentown
  • Dranesville
  • Siena
  • Lucknow
  • Loveland
  • Wellington
  • St. Pierre
  • Zurich
  • Sopchoppy
  • Cold Harbor

Nell’ultimo test di Cold Harbor, Gemma si ritrova in una stanza con nient’altro che la culla che lei e Mark avevano acquistato quando aspettavano un bambino. Gemma aveva forti ricordi della culla perché, come rivelato in un flashback in precedenza, Mark l’aveva smantellata dopo aver scoperto che forse non avrebbero mai potuto avere un figlio. Poiché la culla era associata al ricordo più forte e traumatico di Gemma, Lumon voleva testare se la sua nuova “Cold Harbor” innie avrebbe mantenuto i suoi ricordi associati alla culla.

Il test si rivela un successo quando, nonostante abbia visto la culla e l’abbia smontata con una canzone che lei e Mark erano soliti ascoltare, la “Cold Harbor” innie di Gemma sembra indifferente. Non mostra segni di conservare i ricordi della sua outie, dimostrando che Lumon è riuscita a sradicare con successo il suo ricordo più doloroso. Mentre lo scopo principale di Lumon rimane sconosciuto, la società apparentemente intende usare la tecnologia per aiutare gli umani a rimuovere tutto il dolore dalle loro vite.

È interessante notare che uno sguardo più attento alla culla nell’episodio 7 di Scissione – stagione 2 rivela che ha scritto Col d’Arbor su di essa, il che prefigura la rivelazione finale. Suggerisce anche che Lumon ha orchestrato gli eventi nella vita di Gemma e Mark molto più a lungo di quanto credano.

Prima di allora, tuttavia, come rivela Cobel, Lumon voleva uccidere Gemma, probabilmente rimuovendo il chip dal suo cervello. Poiché Gemma era solo un soggetto di prova, il suo scopo nella società era stato raggiunto. Lumon non poteva rischiare di rilasciarla nel mondo esterno perché sapeva un po’ troppo delle loro operazioni segrete. Non potevano nemmeno tenerla perché il loro lavoro con lei era finito. Pertanto, le autorità della società pianificarono di ucciderla, credendo che avesse raggiunto il vero scopo della sua vita servendo Kier.

La spiegazione del significato dei numeri MDR in Scissione

Sono una porta d’accesso alla mente di Gemma

Nel finale di Scissione – stagione 2, Cobel rivela che i numeri fungono da porte d’accesso alla mente di Gemma, rivelando che sono i mattoni dell’esistenza dei suoi innies. Come rivela “The Macrodata Refiner’s Orientation Booklet” in The Lexington Letter, i lavoratori MDR sono esposti a un mare di numeri, che sono classificati in quattro categorie: WO (Woe), FC (Frolic), DR (Dread) e MA (Malice). In base a come alcuni cluster nel mare di numeri li fanno sentire, i lavoratori devono riempire uniformemente i quattro contenitori in fondo ai loro schermi con i quattro cluster di numeri finché la barra di avanzamento del file non raggiunge il 100%.

Ecco le quattro categorie di emozioni che i cluster di numeri dovrebbero suscitare nei lavoratori MDR:

Numeri di Categorie Sentimenti che stimolano
WO
    • Malinconia
    • Disperazione

 

FC
    • Gioia
    • Allegria
    • Estasi

 

DR
    • Paura
    • Ansia
    • Apprensione

 

MA
    • Rabbia
    • Desiderio di ferire un altro essere umano

 

 

Lumon non dice mai a Mark cosa sta effettivamente ottenendo con il processo di raffinazione dei numeri perché la semplice consapevolezza del loro scopo potrebbe inibire la sua intuizione naturale. Mark lavora anche principalmente sui file di Gemma perché il suo outie “capisce” il suo cervello meglio di chiunque altro. Lumon sa che la memoria subconscia che trasuda dal cervello dell’outie di Mark nel suo innie lo aiuterà a “raffinare” Gemma in modo più efficace. Dal momento che Mark ha sempre lavorato sul cervello della moglie del suo outie, ha senso che abbia avuto il suo “colpo di fortuna da matricola” subito dopo aver iniziato a lavorare alla Lumon.

Spiegato lo scopo delle capre nella Lumon

Lumon ha la tradizione di sacrificarle

Il finale di Scissione – stagione 2 rivela finalmente la verità sulle capre e il loro scopo nella Lumon, il che sembra respingere tutte le teorie esistenti su di loro. Come rivela il finale, Lumon apparentemente segue una tradizione di sacrificare una capra prima di uccidere un soggetto di prova una volta che il loro scopo nella compagnia è stato raggiunto. Drummond dice che lo fanno perché credono che lo spirito della capra alla fine porterà l’anima del soggetto morto tra le braccia di Kier. Questa convinzione mostra come Lumon funzioni più come una setta, dove Kier è quasi considerato un essere divino.

Una capra di nome Emile, da Mammalians Nurturable, viene scelta come agnello sacrificale di Lumon. In base al rituale, si crede che porterà l’anima di Gemma a Kier dopo essere stata sacrificata. Lorne, tuttavia, fa fatica a uccidere la capra perché lei e le persone del suo dipartimento si affezionano alle capre che allevano. Dato che il dipartimento Mammalians Nurturable alleva molte capre, è difficile non chiedersi quante di loro Lumon ne abbia sacrificate in passato prima di sperimentare e uccidere diversi soggetti di prova.

Perché Jame Eagan vede Kier in Helly, non Helena

C’è stato un tempo in cui vedeva anche Kier in Helen

Jame Eagan guarda sua figlia, Helena, con disgusto nell’episodio 9 della seconda stagione di Scissione mentre mangia uova sode. Le sibila, sostenendo che avrebbe dovuto prenderle crude come Kier. Quando in seguito vede Helly nell’edificio Lumon, nota di vedere Kier in lei. Ricorda come una volta lo aveva visto in Helena, ma lei sembra essere cambiata in modo significativo nel tempo. Apparentemente dice questo perché per quanto Helena possa aver cercato di danneggiare l’eredità di Lumon, lei si difende da sola invece di limitarsi a seguire gli ordini e soccombere all’influenza controllante dei superiori.

A differenza di Helena, che sembra aver dimenticato chi è, Helly ha un forte senso di identità ed è disposta a prendere misure estreme per preservarlo. Lei, come Kier, osa sfidare le convinzioni che le vengono imposte invece di conformarsi semplicemente come Helena. Dato che Jame sembra apprezzare Helly molto più di Helena, probabilmente trarrebbe vantaggio dalla scelta di Helly di rimanere all’interno dell’edificio Lumon. Nelle storie future della serie, potrebbe persino provare a convincerla a subentrare definitivamente come sua figlia e alla fine diventare il legittimo erede dell’azienda.

Perché l’outie di Dylan rifiuta le dimissioni del suo innie

Si rende conto di aver bisogno del suo innie più di quanto il suo innie abbia bisogno di lui

Nonostante le dimissioni dal suo incarico, Dylan si ritrova sul pavimento reciso nel finale della seconda stagione di Scissione. Riceve anche una lettera dal suo outie, che si apre con una nota furiosa ma gradualmente si ammorbidisce di tono. La lettera rivela che, nonostante il suo outie sia infuriato per quello che è successo tra lui e Gretchen, capisce perché a Gretchen piacesse così tanto. Esprime anche come trova conforto nel sapere che il suo innie di successo è lì perché ha sempre lottato per fare qualcosa della sua vita.

Dicendo che spera che Gretchen veda in lui quello che vede nel suo innie, l’outie di Dylan implica anche che, in un certo senso, ammira il suo innie. Lo percepisce come una versione ideale di se stesso che dovrebbe sforzarsi di diventare per guadagnarsi il rispetto di sua moglie. L’outie chiude la lettera dando al suo innie una scelta: può ancora andarsene se vuole, ma vorrebbe che restasse. Dylan, per una volta, si sente apprezzato e riconosciuto dal suo outie, il che gli darà una solida ragione per restare.

Dato che Milchick lotta per contenere il caos che ne consegue dopo che Mark completa il suo fascicolo Cold Harbor, Lumon potrebbe prendere in considerazione l’idea di liberarsene nella terza stagione. Anche Milchick è diventato gradualmente irritato nei confronti di Lumon a causa delle loro pratiche razziste e del trattamento disumano dei loro dipendenti. Se Lumon lo lascia andare, avrà una buona ragione per allearsi con Cobel e far crollare l’azienda. Tuttavia, considerando come finisce la seconda stagione di Scissione con Milchick che si ritrova in disaccordo con Dylan, sembra improbabile che diventerà un personaggio eroico in tempi brevi.

Con Drummond morto, Lumon avrà un posto vuoto nei ranghi più alti della sua gestione. Il fatto che il fascicolo Cold Harbor sia stato completato sotto il comando di Milchick potrebbe spingere i piani alti dell’azienda a promuoverlo e ad averlo come nuovo sostituto di Drummond. Dal momento che Milchick è anche ben collegato con il mondo esterno, Lumon potrebbe usarlo per arrivare a Gemma e ad altri estranei che complottano contro l’azienda.

Perché i titoli di coda nel finale della seconda stagione di Scissione sono in rosso, non in nero

Il cambio di colore segna l’inizio di un arco narrativo più oscuro

Ogni volta che uno spettacolo o un film crea un netto contrasto visivo tra il blu e il rosso, è difficile non associarlo a Matrix. Anche in The Secret Life of Walter Mitty, che presenta molte star di Scissione, la metafora della pillola blu e rossa di Matrix viene utilizzata come un efficace espediente narrativo per evidenziare come il personaggio principale, Walter Mitty, scelga di prendere il controllo della sua vita invece di accontentarsi della comodità. Molti spettatori hanno notato in precedenza che, in Scissione, le immagini blu solitamente rappresentano il mondo degli innies.

Tutto, dai loro vestiti ai numeri sui loro computer MDR, è blu. Se visto dalla prospettiva della filosofia di Matrix, gli innies vivono in una realtà in cui hanno ceduto il loro senso di controllo a un potere superiore. Gli outies, al contrario, riescono a vedere più sfumature di rosso perché sono molto più liberi e hanno più autonomia dei loro innies. Solo gli innies come Helly apparentemente hanno sfumature di rosso nei loro vestiti e nei loro capelli perché osano mettere in discussione Lumon e chiedere la loro libertà.

Nel finale della seconda stagione di Scissione, tuttavia, Mark, come Walter Mitty e Neo, sceglie di prendere il controllo della sua vita invece di soccombere agli ordini del suo outie. Invece di vedersi come un semplice sottoinsieme dell’identità del suo outie, si percepisce come un individuo separato e libero. Ciò lo incoraggia a prendere la metaforica “pillola rossa” e a percorrere un sentiero che serve a lui e non al suo outie. Poiché la decisione dell’innie di Mark inverte la sua dinamica con il suo outie e gli dà più autonomia sul suo corpo e sulla sua vita, persino la tavolozza dei colori sovrastante nella serie si capovolge.

Come il finale della seconda stagione di Scissione prepara la terza stagione

Gli outie sono ora ostaggi degli innie

In molti modi, gli innie tengono i loro outie come ostaggi negando loro la libertà di esistere, proprio come è stata negata loro la libertà di lasciare l’edificio Lumon. Questo, tuttavia, potrebbe avvantaggiare Lumon perché dà all’azienda una solida ragione per avere gli innie tutti per sé. Anche Jame Eagan sembra avere una strana fissazione con Helly, quindi potrebbe cogliere l’occasione per avere Helly dalla sua parte probabilmente minacciando di fare del male a Mark.

Sebbene Apple TV+ non abbia annunciato ufficialmente il rinnovo della terza stagione di Scissione, il conglomerato sudcoreano CJ Group, che possiede la società di produzione dello show, Fifth Season, ha anticipato che la produzione della terza stagione è già stata confermata (tramite CJ ENM).

Mark sembra essere ancora nelle prime fasi di reintegrazione verso la fine della seconda stagione di Scissione, ma il processo dovrebbe funzionare nella terza stagione. Ciò consentirà all’outie di Mark di prendere il controllo più e più volte, portando a molti altri conflitti tra le due personalità. Dylan probabilmente farà amicizia con il suo outie mentre Irving tornerà a Kier (la città) nella terza stagione nonostante si renda conto di come ciò metta in pericolo la sua vita. Infine, Gemma probabilmente unirà le forze con Devon e Cobel e si ritroverà nei panni di Mark mentre si mette in viaggio per aiutare suo marito a scappare da Lumon nella terza stagione di Scissione.

The Alto Knights – I due volti del crimine: recensione del film con Robert De Niro

L’ormai ultraottantenne Robert De Niro ritorna sul grande schermo per sorprendere il pubblico interpretando il personaggio che più gli si addice: il boss criminale. Diretto dal noto regista Barry Levinson (premio Oscar alla regia per Rain Man- L’uomo della pioggia), The Alto knights – I due volti del crimine è infatti il nuovo gangster movie ispirato alla vera storia dei due storici capi mafiosi Frank Costello e Vito Genovese. Il  film, ideato già negli anni 70, è entrato effettivamente in produzione solo nel 2022, subendo anche diversi rallentamenti collegati agli scioperi SAG AFRA nel 2023.

Oltre al già citato De Niro, il quale interpreta qui entrambi i boss mafiosi, sono presenti nel cast figure già ampiamente note nel panorama cinematografico internazionale. Debra Messing (Will & Grace) interpreta Bobbie, la moglie di Frank Costello, mentre Katherine Narducci (The irishmanI soprano) qui è nel ruolo di Anna, moglie di Vito. Ma tutte le attenzioni, ovviamente, sono rivolte alla duplice interpretazione di De Niro, che si sdoppia per dar volto alle molteplici facce del crimine.

La trama di The Alto knights – I due volti del crimine: la fratellanza mafiosa

Il film si apre in medias res: Frank Costello sta aspettando l’ascensore per salire nel suo attico, quando gli arriva un colpo di pistola dritto alla testa. Il sicario, il gangster Vincent Gigante, scapperà subito dopo, senza accorgersi di non aver completato il suo lavoro: Frank è ancora vivo. Da qui parte la narrazione vera e propria, affidata allo stesso Frank di alcuni anni dopo, in  forma di flashback. Tutto nasce a Manhattan, dove, all’inizio del ventesimo secolo, Frank Costello e Vito Genovese, figli entrambi di operai immigrati italiani, sognano un  futuro più florido per loro e cercano di ottenerlo ad ogni costo. Abbandonata  la scuola, i due si dedicano a traffici illegali, tra cui nell’epoca del proibizionismo, anche gli alcolici.

Per Frank sarebbe abbastanza aprire un attività, un bar magari, ma Vito vuole di più. Dopo essere stato condannato per duplice omicidio, Vito è costretto a lasciare l’America, per poi farci ritorno solo alcuni decenni dopo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel frattempo, la gestione di tutti gli affari ricade sulle spalle di Frank, il quale governa il suo regno mafioso nella maniera più cauta e pacifica possibile. Ma Frank doveva essere solo un reggente: al suo ritorno, Vito vuole che gli venga restituito tutto il suo potere e il suo ruolo di boss. Dopo diversi decenni, però, il mondo non è più lo stesso e il comportamento di Vito può creare grandi rischi per tutti.

Frank Costello, il gangster gentleman

Già noto al grande pubblico e descritto dalla stampa dell’epoca come il primo ministro della malavita, Costello è certamente un personaggio molto peculiare. Si tratta di un gangster cauto e astuto, capace di comprendere a pieno la società in cui vive e di rispettarne le regole, in modo da poter trarre profitto da tutto. Frank non si dedica solamente a traffici clandestini, ma cerca anche di creare legami con politici, sindaci e poliziotti, in modo tale da poter agire in maniera indisturbata, e soprattutto senza bagni di sangue. Con Frank al potere, la pace e la prosperità regna in tutto il territorio di New York.

Frank si presenta pubblicamente come un uomo pulito, totalmente avulso dal mondo mafioso: vive in un lussuoso attico con la moglie, con cui è sposato da più di trent’anni, organizza e partecipa a eventi di beneficienza. Il suo obiettivo principale è proprio mantenersi spettabile davanti al vigile occhio sociale. Dopo il ritorno di Vito in America, continuare a mantenersi dissociato dalla vita da gangster diventa sempre più difficile per Frank, anche per i coinvolgimenti creati dalla moglie di Vito, Anna. Ma con la sua furbizia, Costello trova sempre una soluzione.

Vito Genovese, l’altra faccia di Robert De Niro

Siete cresciuti insieme, giocavate insieme, rubavate insieme.

Vito Genovese sembra invece essere in The Alto knights – I due volti del crimine una figura uguale e opposta a Frank: cresciuto come lui in una famiglia di immigrati italiani, convertito alle attività clandestine. Ma Vito ha sviluppato fin da ragazzo un’avidità, una fame di potere maggiore rispetto al suo amico d’infanzia. Vito è disposto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi, e proprio per questo si aspetta che gli altri  facciano lo stesso. Frank giustifica il comportamento quasi paranoico di Vito con le sue origini: il gangster è nato in un piccolo comune della provincia di Napoli, alle pendici del Vesuvio, e questo lo ha portato a stare sempre all’erta.

E’ certamente interessante notare come due personaggi così diametralmente diversi siano contemporaneamente frutto della bravura dello stesso attore: Robert De Niro riesce facilmente a dare una connotazione diversa alle due performance interpretative dei due protagonisti del film, mettendo a segno un altro convincente ritratto di gangster dopo quelli recenti di The Irishman Killers of the Flower Moon, entrambi sotto la guida del fidato amico Martin Scorsese.

La verve comica di The Alto knights – I due volti del crimine

Nonostante si tratti di un gangster movie, anche in The Alto knights – I due volti del crimine sono presenti degli elementi più ironici: molti di questi sono collegabili allo stesso personaggio di Vincent Gigante. Il ragazzo, alle prime armi nelle attività mafiose, è riuscito a fallire nell’attentato a Frank, sparandogli un solo colpo poco mirato alla testa, e non controllando che l’uomo fosse effettivamente morto. Il dialogo con cui Vito gli rimprovera la sua incompetenza, rimarcata anche verso la fine del film, è certamente molto ironico. In definitiva, pur appartenendo a un filone cinematografico molto sfruttato negli anni, The Alto Knights – I due volti del crimine riesce a trovare una sua individualità, affermandosi come un ottimo gangster movie.

The Four Seasons: trailer della nuova serie Netflix remake del film

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Il trailer di The Four Seasons rivela che Tina Fey e Steve Carell tornano insieme nella serie Netflix con un cast stellare, remake della commedia classica di Alan Alda. Basata sul film omonimo del 1981 scritto, diretto e interpretato da Alda, la miniserie Netflix in arrivo è stata creata e scritta da Tina Fey, Lang Fisher e Tracey Wigfield, già autrici di 30 Rock. Fey recita anche nella serie al fianco di Steve Carell, con cui torna a recitare dopo Date Night del 2010. Il cast include anche Colman Domingo, Erika Henningsen, Kerri Kenney-Silver, Will Forte e Marco Calvani.

Ora, Netflix ha svelato il primo teaser trailer ufficiale di The Four Seasons. Il trailer presenta una storia simile a quella del film del 1981, seguendo sei amici di lunga data nel corso di quattro vacanze stagionali in primavera, estate, autunno e inverno. Il gruppo di amici, composto da tre coppie, affronta gli alti e bassi della vita mentre intraprende quattro diverse fughe. Guarda il trailer qui sotto:

Cosa significa il trailer di The Four Seasons per la serie

Innanzitutto, il trailer di The Four Seasons rivela la reunion sullo schermo di Tina Fey e Steve Carell. I due hanno recitato insieme per la prima volta nel film romantico-comico del 2010 Date Night, nei panni di una coppia sposata annoiata che cerca di riaccendere la fiamma del romanticismo con una serata glamour, ma finisce per ritrovarsi in un’avventura inaspettata e pericolosa. Questa volta, Fey e Carell non interpretano una coppia in The Four Seasons, poiché la prima è in coppia con Will Forte e Carell con Kerri Kenney-Silver. Tuttavia, l’intesa tra Fey e Carell sullo schermo dovrebbe comunque trasparire come amici.

Il trailer di The Four Seasons rivela come il remake della serie Netflix aggiorna il film di Alan Alda del 1981. Da notare l’inclusione di una coppia gay, Danny e Claude, interpretati da Colman Domingo e Marco Calvani. Nel film, tutte e tre le coppie erano eterosessuali. Per il resto, la maggior parte dei personaggi sembrano ispirati al film originale, rendendo abbastanza facile indovinare chi interpreta ogni ruolo.

Ad esempio, il ruolo di Tina Fey sembra essere quello originariamente interpretato da Carol Burnett. Tuttavia, il primo teaser non rivela quale delle tre coppie sia in difficoltà.

The Handmaid’s Tale – Stagione 6: il final trailer della serie!

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Hulu ha rilasciato il trailer definitivo della sesta e ultima stagione di The Handmaid’s Tale, che anticipa ciò che June Osborne (Elisabeth Moss) deve ancora affrontare prima che le luci si spengano su questo dramma distopico. La stagione debutterà l’8 aprile con i primi tre episodi. La serie ha ormai adeguatamente preparato gli spettatori a una rivoluzione e in questa stagione essa non è più una promessa, ma una realtà.

Nel trailer, June è in giro con Luke (O-T Fagbenle) in direzione di Gilead, il che porta a molte domande. Come e dove si sono riuniti dopo che June e sua figlia sono partite su un treno dal Canada mentre la polizia arrestava Luke? June è visibilmente combattuta tra i due amori della sua vita: Luke e Nick (Max Minghella), il quale continua a rischiare tutto per salvarla, a prescindere dalle conseguenze.

Poi c’è la grande rivelazione: Serena (Yvonne Strahovski) non solo ha ritrovato la strada per Gilead, ma sta anche percorrendo la navata di una chiesa indossando un abito azzurro, mentre le ancelle la circondano. Chi è il suo sposo? Più avanti nel trailer, si scopre che è il nuovo personaggio di Josh Charles quando porta la sua nuova sposa oltre la soglia della loro nuova casa. Ad ogni modo, una volta scoppiata la guerra, le ancelle si dimostreranno armate e disposte a uccidere chiunque ostacoli la loro libertà.

Quello che sappiamo su The Handmaid’s Tale – Stagione 6

Hulu ha fissato la data della première della sesta e ultima stagione di The Handmaid’s Tale per l’8 aprile, con i primi tre episodi. I successivi seguiranno ogni martedì fino al finale del 27 maggio.

Nella stagione finale, lo spirito inflessibile e la determinazione di June (Elisabeth Moss) la riportano nella lotta per distruggere Gilead. Luke e Moira si uniscono alla resistenza. Serena cerca di riformare Gilead, mentre il Comandante Lawrence e la zia Lydia fanno i conti con ciò che hanno provocato e Nick affronta una difficile prova di carattere. Questo capitolo finale del viaggio di June sottolinea l’importanza della speranza, del coraggio, della solidarietà e della resilienza nella ricerca della giustizia e della libertà.

La sesta stagione è interpretata da Elisabeth MossYvonne StrahovskiBradley Whitford, Max Minghella, Ann Dowd, O.T. Fagbenle, Samira Wiley, Madeline Brewer, Amanda Brugel, Sam Jaeger, Ever Carradine e Josh Charles.

La serie è prodotta da MGM Television. La sesta stagione è prodotta da Bruce Miller, Warren Littlefield, Eric Tuchman, Yahlin Chang, Elisabeth Moss, Sheila Hockin, John Weber, Frank Siracusa, Steve Stark, Kim Todd, Daniel Wilson e Fran Sears. La serie è distribuita a livello internazionale da Amazon MGM Studios Distribution.

The Residence: recensione della serie Netflix con Uzo Aduba

Netflix e Shondaland tornano a collaborare con The Residence, una serie mistery in otto episodi creata da Paul William Davies e ispirata al libro The Residence: Inside the Private World of the White House di Kate Andersen Brower. Tra intrighi, omicidi e un cast corale di personaggi stravaganti, la serie si posiziona a metà tra la classica detective story e la commedia satirica, con una vena di assurdità che la rende irresistibile. 

La storia intricata di The Residence

La vicenda prende il via durante una cena di stato alla Casa Bianca, organizzata per rinsaldare i rapporti con l’Australia. Mentre gli ospiti si godono la serata e la performance di Kylie Minogue, un urlo squarcia l’aria: il Capo Usciere della Casa Bianca, A.B. Wynter (Giancarlo Esposito), è stato trovato morto nella sala del biliardo. L’indagine viene affidata alla detective Cordelia Cupp (Uzo Aduba), un’investigatrice eccentrica con una passione per il birdwatching e le sardine in scatola. Accompagnata dal riluttante agente dell’FBI Edwin Park (Randall Park), Cordelia si addentra nei segreti dell’edificio più sorvegliato d’America, interrogando ospiti e membri dello staff per ricostruire gli eventi della fatidica notte.

Cordelia Cupp è un personaggio memorabile

Il fascino della serie risiede nel suo tono ironico e nel cast eccezionale. Aduba regala una performance magnetica, Cordelia è un personaggio memorabile: brillante, bizzarra e sempre un passo avanti agli altri. Al suo fianco spiccano Giancarlo Esposito nel ruolo della vittima, Susan Kelechi Watson nei panni della sua ambiziosa vice Jasmine Haney e Jane Curtin, l’esilarante suocera alcolizzata del Presidente. La presenza di Al Franken nei panni di un senatore cinico aggiunge un ulteriore strato di satira politica.

La narrazione si sviluppa su due linee temporali: da un lato, l’indagine di Cordelia, arricchita da flashback e versioni contrastanti degli eventi; dall’altro, un’audizione al Congresso in cui Jasmine e altri testimoni tentano di chiarire il mistero. Questo doppio livello di racconto mantiene alta la tensione, anche se a volte la serie sembra perdersi nei suoi stessi intrecci. Il numero elevato di personaggi e sottotrame può risultare dispersivo, aspetto aggravato da alcuni flashback dedicato alla passione di Cordelia per l’ornitologia e il birdwatching. Il ritmo risulta rallentato in questi frangenti, ma il personaggio si arricchisce, diventando sempre più bizzarro e approfondito.

Una residenza di lusso per un Cluedo contemporaneo

Visivamente, The Residence è un gioiello. La Casa Bianca viene trasformata in un gigantesco puzzle, con stanze nascoste e corridoi segreti che amplificano il senso di mistero e rendono più complessa la risoluzione del crimine. La regia di Liza Johnson e Jaffar Mahmood gioca con prospettive insolite e un montaggio vivace, mentre la colonna sonora omaggia il cinema noir e i classici del giallo, senza dimenticare le derive più moderne dei classici whodunit, come la serie di Knives Out di Rian Johnson o gli ultimi adattamenti da Agatha Christie con Kenneth Branagh (tutti che vengono esplicitamente citati dai personaggi).

La satira sociale

Nonostante il tono leggero, che struttura l’indagine con intriganti svolte e con le piacevoli digressioni di Cordelia che si orienta nel mondo degli esseri umani grazie agli insegnamenti del comportamento degli uccelli che ama avvistare, The Residence non si risparmia quando si parla di satira sociale e di critica alle alte cariche della società. Il cast corale  rappresentativo e variegato e si confronta alla fine con la meschinità del mondo moderno, che concentra potere e autorità nelle mani di pochi, ma non quelli che ci aspetteremmo, per cui la serie mantiene una componente di imprevedibilità che la rende ancora più divertente, fino al confronto finale, con tanto di atteso ma necessario spiegone su “come sono andate davvero le cose”.

In definitiva, The Residence è una serie con una trama coinvolgente e con dei protagonisti sopra le righe, che unisce il fascino di un giallo alla Agatha Christie con l’umorismo dissacrante tipico di ShondalandUzo Aduba brilla nel ruolo della detective Cordelia Cupp, e il cast di supporto contribuisce a rendere ogni episodio un’esperienza spassosa e avvincente. Un whodunnit in salsa comica da divorare in un binge-watching senza rimpianti.

Biancaneve: recensione del live-action Disney con Rachel Zegler

Biancaneve è il classico dei classici. Primo film d’animazione a colori Disney, nonché uno dei suoi maggiori successi al botteghino, è riuscito a entrare nell’immaginario collettivo come una delle fiabe più amate, con una delle principesse più memorabili. Nell’era dei live-action, prodotti ormai con continuità, era quindi impensabile escludere proprio il primo lungometraggio che segnò un’epoca straordinaria per la Casa di Topolino e per generazioni di bambini. E così, dopo un iniziale stop dovuto alla pandemia, le riprese hanno preso il via nel 2022 sotto la direzione di Marc Webb.

Come accaduto per La Sirenetta, anche questo live-action non è stato esente da critiche e polemiche, legate alla scelta della protagonista. Non è cambiato nulla rispetto alle accuse rivolte alla produzione per aver selezionato un’attrice che non rispecchiasse nella carnagione la piccola sirenetta, polemica poi messa a tacere dalla performance di Halle Bailey, che ha dimostrato come il valore di una storia emerga ben oltre il colore della pelle. Lo stesso destino è toccato a Rachel Zegler, criticata per una carnagione ritenuta troppo scura per interpretare Biancaneve, rinomata per la pelle bianca come la neve e le labbra rosse. Eppure, nel film, che si apre sfogliando il classico libro delle favole, viene subito spiegato l’origine del suo nome: è nata durante una bufera di neve e, nonostante il gelo, questa neve, lei, è riuscita “a dominarla”, come sottolinea la narrazione più volte.

La pellicola, in uscita nelle sale il 20 marzo, è scritta da Erin Cressida Wilson, con canzoni originali curate da Pasek & Paul.

La trama di Biancaneve

In un regno lontano, circondato da amore e serenità, la regina dà alla luce una bambina, in una giornata di neve. E poiché la piccola dimostra una straordinaria forza, non lasciandosi indebolire dal gelo, le viene dato il nome di Biancaneve. Cresce felice, ballando e infornando torte per i sudditi, con la promessa ai genitori di rimanere sempre impavida, buona, e giusta.

Ma la sua vita è destinata a cambiare: alla morte della madre, una donna bellissima arriva a palazzo, ammaliando il re. Ben presto la sua natura si rivela, e, quando convince il sovrano a partire per una missione volta a salvare alcune terre, la Regina Grimilde prende il potere, gettando il regno nell’oscurità e nel terrore. Biancaneve viene relegata nell’ala più alta del castello, come serva, ignara che Grimilde, invidiosa di lei, stia progettando di ucciderla. Seguendo la storia del film d’animazione, Biancaneve, una volta fuggita, si ritrova nella casa dei sette nani, ma questa volta sceglie di combattere, affiancata da Jonathan, un ribelle ladro che, anziché essere un principe, lotta in nome del re ormai scomparso.

Scenografie sontuose, fotografia magica. I sette nani? Una sorpresa

I trailer diffusi nel 2024 avevano già dato un’idea di ciò che sarebbe stato il film, e la visione completa conferma molte delle impressioni iniziali. La ricostruzione degli interni del castello, del regno e persino della dimora dei sette nani riesce a restituire quella magia tipica delle fiabe Disney, merito senza dubbio di una scenografia sontuosa e di una fotografia elegante dai toni caldi, che avvolge lo spettatore trasportandolo in un mondo di sogni, speranze e meraviglia. Il grande impegno produttivo è evidente anche nei costumi, realizzati con cura per evitare il famigerato effetto cosplay, ma purtroppo, il celebre abito blu e giallo di Biancaneve, indossato da Rachel Zegler, risulta il meno incisivo tra tutti.

Per quanto riguarda invece i sette nani, al centro di numerose discussioni, dobbiamo ricrederci: sebbene la CGI non sia impeccabile e il loro design non brilli per bellezza – al punto che alcuni potrebbero persino risultare inquietanti – la loro caratterizzazione è riuscita. Sono loro il vero cuore emotivo del film, con un’energia che li rende autentici e, a conti fatti, anche i più divertenti. Simpatici, buffi, genuini: i sette nani si rivelano la sorpresa di un film che, invece, non trova il suo punto di forza nei protagonisti principali.

Il punto debole di Biancaneve

E qui arriviamo al problema principale: attori e sceneggiatura, due pilastri fondamentali per il successo di un film. Se nelle prime scene la narrazione sembra funzionare, tutto inizia a vacillare dopo la canzone Waiting On a Wish, che, va detto, non ha la stessa potenza sonora in doppiaggio. Dal momento in cui Biancaneve fugge nel bosco, la pellicola prende una piega differente. Diversi passaggi narrativi risultano poco chiari, con dinamiche affrettate e scene che si interrompono bruscamente, creando un ritmo spezzato che finisce per distanziare il pubblico dalla storia.

A rafforzare questo distacco è la performance di Rachel Zegler, che in molte sequenze carica troppo le espressioni facciali, rendendo evidente la finzione. Anche Gal Gadot, pur mostrando impegno, fatica a trasmettere appieno la crudeltà e l’invidia di Grimilde. Questo perché, pur avendo assorbito il fascino del personaggio con sguardi intensi e sorrisi malvagi, si scontra con uno script che non valorizza a dovere la villain. Grimilde avrebbe potuto avere maggiore profondità, ma la sceneggiatura la priva di sfumature, rendendo il climax finale debole e respingente nello scontro con la sua rivale in bellezza.

Il valore del grande classico

Se alcuni aspetti lasciano l’amaro in bocca, Biancaneve riesce comunque a regalare momenti di nostalgia grazie ai numerosi riferimenti al classico del 1937, che conquisteranno gli amanti della pellicola originale e i fan Disney. La riproduzione di scene iconiche – come la trasformazione di Grimilde, la fuga nel bosco e i sette nani al lavoro in miniera – è un omaggio commovente. Sono questi i momenti che creano il legame più forte con il passato, suscitando quel senso di familiarità per chi, da bambino, ha visto e rivisto Biancaneve e i sette nani in VHS accoccolato sul divano, premendo il tasto rewind ogni volta che finiva. Un tuffo, perciò, nei ricordi d’infanzia. Una scelta forse prevedibile, ma anche profondamente sentita, che per le vecchie generazioni diventa un motivo in più per rimanere a guardare.

The Equalizer 2 – Senza perdono: la spiegazione del finale del film

The Equalizer – Il vendicatore è il thriller d’azione del 2014 che ha visto Denzel Washington interpretare Robert McCall, un marine letalmente pericoloso diventato ufficiale della DIA. Nel teso film, diretto da Antoine Fuqua, il personaggio di Washington torna in azione con riluttanza per salvare un adolescente dalla mafia russa. Dato il successo di questo lungometraggio, è poi stato realizzato un sequel, The Equalizer 2 – Senza perdono, in cui Robert e il suo ex collega Dave York indagano sull’omicidio di un’altra collega, Susan Plummer, uccisa da assalitori non visti durante quella che sembrava una rapina a Bruxelles.

Nell’indagare su questo omicidio, non ci vuole poi molto perché l’antieroe incallito di Washington scopra la scioccante verità che ha porta al finale. Nel frattempo, un artista adolescente problematico di nome Miles si è offerto di dipingere un murales nell’appartamento di Robert. Queste due trame convergono nelle scene finali di The Equalizer 2 – Senza perdono, quando Miles viene rapito dall’assassino di Susan e Robert deve tornare nella sua città natale per affrontare gli assassini. Nel frattempo, il finale fornisce anche nuove informazioni sulla visione del mondo di Robert, sulle sue lotte e sul percorso che lo ha portato a una vita di protezione degli innocenti.

La spiegazione del finale di The Equalizer 2 – Senza perdono, chi ha ucciso Susan Plummer?

È scioccante apprendere che èstato l’apparentemente dolce e onesto Dave York interpretato da Pedro Pascal a uccidere Susan in The Equalizer 2 – Senza perdono. La donna era stata incaricata di risolvere un caso a Bruxelles dove un agente della CIA ha ucciso la moglie per poi spararsi. Tuttavia, è stata eliminata prima di poter stabilire cosa effettivamente fosse successo. A farla fuori è stato proprio Dave, responsabile di quel crimine. Insieme agli altri ex colleghi di Robert, Kovak, Ari e Resnik, si è infatti dato al crimine dopo essere stati abbandonati dalla DIA nonostante anni di fedele servizio. Sapendo che Susan sarebbe arrivata ad incastrarli, hanno dunque deciso di eliminarla.

Alla luce di ciò, anche se Dave ha trascorso la maggior parte del film cercando di trovare l’assassino di Susan insieme a Robert, si è alla fine rivelato proprio lui il colpevole dell’omicidio. Robert se ne rende conto quando vede il numero di Dave nell’elenco delle chiamate di un assassino che ha tentato, senza riuscirci, di uccidere Robert. A questo punto il sequel diventa veramente brutale: Dave e i suoi soci rapiscono Miles e seguono Robert fino alla sua città natale in riva al mare. Lì, usando la torre di guardia locale come base, Robert li fa però fuori usando una forte tempesta come copertura, per poi affrontare Dave in un combattimento uno contro uno.

Denzel Washington e Pedro Pascal in The Equalizer 2 – Senza perdono
Denzel Washington e Pedro Pascal in The Equalizer 2 – Senza perdono © 2018 – Sony Pictures

Perché c’è un uragano nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono?

L’uragano nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono è un classico caso di fallacia patetica, in cui la natura diventa l’incarnazione delle emozioni dei personaggi. L’omicidio di Susan da parte di Dave ha sconvolto i ricordi di Robert sul periodo trascorso insieme alla DIA e lo ha costretto a confrontarsi con gli orrori del suo passato. Così, la sua città natale è stata letteralmente fatta a pezzi mentre, interiormente, Robert sentiva che anche la sua meritata pace era stata interrotta e fatta a pezzi. L’immagine dell’uragano esteriorizza quindi l’agitazione interna di Robert, che si rende conto che non si può mai tornare veramente a casa dopo aver vissuto gli orrori della guerra. Robert deve invece accettare brutalmente di aver fatto parte della squadra di Dave e di dover uccidere i suoi ex amici.

Il significato della morte di Dave, Kovak, Ari e Resnik

Robert attirato quindi Kovak, Ari e Resnik nella sua città natale e li uccide con un fucile subacqueo, dei coltelli e un’esplosione di polvere. In termini pratici, Robert ha ucciso questi scagnozzi uno alla volta per rendere più facile la resa dei conti finale. A livello metaforico, Robert aveva bisogno di tornare nella sua casa d’infanzia e di infliggere questi destini violenti ai suoi colleghi per uccidere le parti di sé che volevano trasformare la sua rabbia in una vendetta omicida. Robert, come i suoi colleghi, si sentiva ingannato e tradito da un governo noncurante dopo anni di fedele servizio. Per questo motivo, aveva bisogno di ucciderli per assicurarsi di non diventare come loro.

Infine, Robert ha lentamente pugnalato a morte Dave con il suo stesso coltello, utilizzando le tecniche che entrambi hanno imparato alla DIA. Dave si è appoggiato alla sua rabbia, amarezza e risentimento per diventare un assassino, mentre Robert ha rivolto la lama su Dave (e, per estensione, sul suo stesso risentimento). The Equalizer 2 – Senza perdono è stato il primo sequel nella carriera di Denzel Washington e questo pesante finale spiega perché. Quando Robert ha ucciso Dave, ha scelto la strada del perdono piuttosto che quella della vendetta violenta. Questo gli ha conferito un senso di responsabilità che mancava nel finale dell’originale The Equalizer – Il vendicatore.

Denzel Washington e Ashton Sanders in The Equalizer 2 – Senza perdono
Denzel Washington e Ashton Sanders in The Equalizer 2 – Senza perdono © 2018 – Sony Pictures

Il significato del murales di Miles

Per quanto riguarda la linea narrativa dedicata a Miles, nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono, il ragazzo dipinge un’idilliaca scena rurale sul lato dell’edificio in cui vive Robert. Il murale raffigura una comunità che si prende cura dei propri raccolti, riflesso dell’orto comune del condominio e testimonianza del potere della riabilitazione comunitaria. Dopo tanti spargimenti di sangue e morti, Robert non avrebbe potuto trovare uno scopo nella sua vita se non fosse stato per il potere riparatore della comunità. Offrendosi come mentore di Miles, Robert ha incarnato l’approccio olistico alla vita, incentrato sulla comunità, descritto nella visione utopica di Miles. Tuttavia, l’incapacità di Robert di offrire la stessa guida ai suoi colleghi lo perseguita dopo la loro morte per mano sua.

Il vero significato del finale di The Equalizer 2 – Senza perdono

Anche se il finale di The Equalizer 2 – Senza perdono non è del tutto tragico, c’è un forte senso di tristezza. Robert riunisce un sopravvissuto all’Olocausto con il fratello perduto da tempo grazie alle sue capacità, ma non riesce a costringere Dave a vedere un percorso per la sua vita che non sia definito dalla violenza e dalla punizione. Come dice il Nuovo Testamento, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”, e Robert se n’è reso conto quando si è dimostrato più facile cavare gli occhi a Dave che fargli capire l’errore dei suoi modi.

Robert avrebbe potuto facilmente diventare un altro mercenario scontento come Dave, Kovak, Ari e Resnik, e nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono è stato costretto a fare i conti con questo fatto. Incoraggiando Miles a perseguire l’arte invece di una vita criminale, Robert ha trasmesso la sua saggezza alla generazione successiva. Tuttavia, non è riuscito a salvare gli uomini con cui ha combattuto e, alla fine, è stato lui a doverli uccidere. Nonostante i suoi tentativi di aiutare i bisognosi, Robert McCall è dunque ancora turbato dai suoi limiti nel finale di questo film, poiché si rende conto che avrebbe potuto essere tentato dal crimine proprio come i suoi fratelli in armi. Forse è anche per questo che in The Equalizer 3 – Senza tregua, cerca pace lontano da quei luoghi.

The Monkey: recensione del nuovo film del regista di Longlegs

Dopo aver trasformato Nicolas Cage nel suo incredibile LonglegsOsgood – detto Oz – Perkins rilancia con il nuovo The Monkey, distribuito al cinema da Eagle Pictures a partire dal 20 marzo 2025. Un film che riunisce parte di un ipotetico Gotha dell’horror, nel quale non potrebbero mai mancare James Wan (il padre delle saghe di The Conjuring e Saw, qui produttore) e Stephen King, autore del racconto (contenuto nella raccolta “Scheletri“) dal quale nasce questo adattamento, interpretato da Theo James, nel doppio ruolo del tormentato e disperato protagonista, e diretto appunto dal figlio dell’Anthony Perkins di Psycho.

Da Psycho a Stephen King

Che abbiamo visto muovere i primi passi su un set nel 1983, come ‘giovane Norman’ nel Psycho II di Richard Franklin, ed esordire alla regia nel 2015, con February – L’innocenza del male nel 2015, prima dell’interessante Sono la bella creatura che vive in questa casa nel 2016 e la versione personale del poco fiabesco Gretel e Hansel nel 2020, prima del citato Longlegs. E che per questo gradito ritorno sceglie di attingere alla storia “La scimmia“, pubblicata dal Re del Brivido nel novembre del 1980, dopo che in passato era stato Kenneth J. Berton, nel 1984, a farne un film con il suo Il dono del Diavolo (The Devil’s Gift).

La trama di The Monkey

Nel 1999, Petey Shelburn tenta di restituire, e distruggere, una scimmia giocattolo in un negozio di antiquariato, ma il congegno meccanito tutto è tranne che un gioco. Come dimostra la reazione a catena che si scatena, solo la prima stazione di una interminabile via crucis disseminata di morti incredibili che sembrano funestare la famiglia Shelburn e i due piccoli figli di Petey, Hal e Bill. Sono loro a sospettare del potere nefasto della scimmia e a disfarsene… ma per quanto? Venticinque anni dopo, infatti, i due, ormai separati dalla vita e dalla precisa intenzione di non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, sono costretti a riavvicinarsi dall’inatteso riapparire del “giocattolo”. Ma se non fosse un caso? Come potrebbe Hal evitare che la maledizione ricada su suo figlio Petey?

Il destino è quel che è

Tutti muoiono, il film ce lo ricorda, ma accettato questo assunto tanto vale sbizzarrirsi. Chissà che non sia stato questo il pensiero di Oz Perkins nell’architettare questo adattamento infarcendolo di invasioni di vespe assassine, donne che esplodono e incidenti mortali di ogni tipo, nel quale il pericolo è dietro ogni angolo, dalla piscina al ristorante, sia che si resti in casa sia che si vada a fare shopping. Morti talmente assurde, esagerate ed esplicite da fargli andare stretto persino il collegamento – spontaneo, a vedere il film – con il franchise di Final Destination, e che probabilmente faranno la gioia di molti appassionati del genere.

Il Dark Humour in The Monkey

Questo senso dell’umorismo ‘malato’ è in fondo la cifra principale del film, nel bene e nel male, visto che spesso, a fronte della grande creatività omicida e dell’abilità del regista a costruire gradualmente la tensione, viene a mancare proprio quella che dovrebbe essere la spina dorsale dell’horror. La forza evocativa e inquietante del giocattolo ha molta meno intensità e presa di altri suoi simili, sostanzialmente ridotto a osservatore silente e trasformato in una sorta di innesco di quello che è il vero conflitto, quello tra i due fratelli.

Una scelta spiazzante, che spezza in due il film, dopo un prologo avvincente e una premessa promettente, affidandosi spesso a cliché e a una storia debole nella sua rappresentazione, anche come mero tessuto connettivo tra sequenze emozionanti e visivamente di impatto, che finisce per dilungarsi eccessivamente prima della definitiva conclusione. Anche questo effetto della libertà che Perkins dimostra di prendersi nella trasposizione del racconto, insieme alla fondamentale aggiunta di un fratello gemello, elemento che gli permette di fare proprio il film e approfondire le dinamiche familiari (dal rifiuto della paternità al senso di colpa per quanto vissuto nell’infanzia) e i traumi che uniscono Hal e Bill, fino ad assumere i tratti di una vera e propria maledizione, da affrontare, accettare o scontare.

Un tentativo di catarsi personale per Perkins

Tutto ciò, unito alla relazione fratturata affidata al doppio Theo, aggiunge profondità al racconto e un peso specifico particolare al cercarsi e confrontarsi dei due gemelli. Forse non quella desiderata dallo spettatore medio, che certo non si aspetterà Bergman, ma si ritroverà di fronte a un progetto decisamente personale per il regista, che ha pubblicamente ammesso di continuare a sfruttare i propri film – almeno Longlegs e The Monkey – per affrontare la depressione causata dalla morte “mediatica” dei suoi genitori (il padre a causa dell’AIDS e la madre Berinthia “Berry” Berenson negli attentati dell’11 settembre 2001) e mettere in scena genitori assenti, le drammatiche conseguenze di certi segreti familiari, il desiderio di vendetta e la paura di una distruttiva coazione a ripetere il passato.

Attenti al gorilla

Attenzione a fraintendere, The Monkey è sufficientemente divertente, splatter e grottesco da appartenere a buon titolo al genere e da poter essere apprezzato dallo stesso King (nonostante il tradimento del suo originale), a patto di possedere lo stesso humour del regista e sceneggiatore. Che, come detto, a scelte convincenti di stile (dai titoli ‘western’ a una fotografia desaturata e un commento musicale ben calibrato) e una pletora di personaggi di contorno surreali, unisce uno sviluppo non sempre di livello. Per ritmo e coerenza. Che rischierà di annoiare qualcuno, forse i poco impressionabili, ma che per lo meno non si prende sul serio. Decisamente.

Sconfort Zone: la recensione della serie Prime Video di Maccio Capatonda

Marcello Macchia, meglio noto come Maccio Capatonda, torna con Sconfort Zone, una serie disponibile dal 20 marzo su Prime Video che rappresenta una svolta nella sua carriera, quasi una auto analisi che Macchia trasforma in racconto semi serio di una sua difficoltà personale. Conosciuto per il suo stile comico surreale e dissacrante, Capatonda questa volta si spinge oltre i confini della semplice parodia, esplorando il lato più intimo e vulnerabile della sua creatività.

Di cosa parla Sconfort Zone?

La serie segue Maccio Capatonda nei panni di sé stesso, alle prese con una profonda crisi creativa. Incapace di scrivere una nuova sceneggiatura, si affida alle cure del Professor Braggadocio (Giorgio Montanini), uno psicologo dai metodi non convenzionali che lo sottopone a una serie di esperimenti per aiutarlo a riscoprire la propria ispirazione. Quello che inizia come un percorso di rinascita artistica si trasforma presto in una vera e propria ridefinizione della sua identità, portandolo a mettere in discussione non solo la sua carriera, ma anche la sua intera esistenza.

Un esperimento metatestuale

Fin dalle prime immagini, Sconfort Zone si presenta come un’opera metatestuale, giocando con la realtà e la finzione. Il protagonista affronta prove che affondano in riflessioni su temi profondi come la malattia, la morte e il senso della propria arte. In un primo momento, questa virata verso un tono più drammatico può lasciare spiazzati i fan abituati alle gag esilaranti dell’attore abruzzese, ma man mano che la storia si sviluppa, emerge un perfetto equilibrio tra momenti di riflessione e la sua inconfondibile vena comica, mai del tutto abbandonata. Anche nei momenti più drammatici risulta difficile non stare allerta in attesa della prossima intrusione nel surrealismo tipico della comicità di Maccio.

Uno degli elementi più riusciti della serie è la presenza di Valerio Desirò nei panni di un infermiere esuberante e sarcastico, capace di alleggerire i momenti più tesi con battute taglienti e una efficace cadenza romana. Il suo personaggio non è solo un elemento comico, ma anche una figura che incarna il precariato e le difficoltà della generazione contemporanea che si aggrappa alla risata come esorcismo nei confronti della difficoltà. Il cast di supporto, composto da Francesca Inaudi (compagna di Maccio nella finzione), Luca Confortini, Camilla Filippi, e il trio di comici Valerio Lundini, Edoardo Ferrario e Gianluca Colucci, che interpretano gli amici intimi del protagonista (uno specchio deformato in cui Marcello/Maccio riflette le proprie insicurezze) arricchisce ulteriormente il tessuto narrativo della serie, offrendo interpretazioni autentiche e sfumate, continuamente tentate dal superare la linea di demarcazione tra tono drammatico e surreale

Citazioni pop accanto a riflessioni sull’arte e sulla vita

Se Sconfort Zone si distingue per il suo coraggio tematico, altrettanto audace è il suo approccio stilistico. Maccio Capatonda fonde la sua tipica ironia con un linguaggio più cinematografico, impreziosendo la narrazione con riferimenti alla cultura pop e citazioni colte. Alcune scene, tra cui una toccante sequenza che richiama Ritorno al Futuro, dimostrano una maturità registica sorprendente (Macchia dirige a quattro mani con Alessio Dogana, che viene dal documentario). La serie riesce a bilanciare il suo umorismo con momenti di pura introspezione, creando un’esperienza coinvolgente e stratificata.

Ma ciò che rende Sconfort Zone davvero speciale è la sua capacità di parlare a un pubblico trasversale. Dietro la trama autobiografica e i riferimenti ironici al mondo dello spettacolo, si cela una riflessione più ampia sulla pressione creativa e sull’identità nell’era della sovraesposizione digitale, quando la necessità di creare contenuto a tutti i costi sovrasta l’estro naturale e ispirato che alimenta la creatività di artisti e attori. Capatonda non si limita a intrattenere, ma solleva interrogativi su cosa significhi essere un artista oggi, in un mondo in cui l’originalità sembra sempre più soffocata dalle logiche di mercato.

Marcello Macchia dimostra con Sconfort Zone di riuscire a gestire sia la sua nota vocazione comica fondendola con un registro insolito per lui, che mira a un’analisi più profonda, un viaggio dentro la mente di un artista in crisi, che riesce in egual misura a divertire e emozionare, offrendo spunti di riflessione e aprendo porte sul mondo privato dell’autore.