James Marsh torna
dietro la macchina da presa con Prima danza, poi pensa
– Alla ricerca di Beckett , biopic su uno degli
scrittori più influenti del Novecento, che rivoluzionò il modo di
fare teatro, dando corpo alle insicurezze e alle fragilità umane
attraverso il teatro dell’assurdo e per i suoi meriti ricevette nel
1969 il Nobel per la letteratura. Protagonista l’irlandese
Gabriel Byrne, portatore di innegabile somiglianza e
altrettanta misura.
James Marsh, il privato dietro le
grandi storie
Documentarista e regista di
finzione, James Marsh vinse l’Oscar con il documentario Man on
wire, prima di arrivare a tracciare ne La teoria
del tutto: la parabola umana più che scientifica
di un genio della fisica come Stephen Hawking (2015). Qui l’Oscar
andò a Eddie Redmayne come miglior attore protagonista. Ha
proseguito poi cambiando genere, con King of
thieves (2018), su un gruppo di truffatori alle prese
con la rapina del secolo, sempre tratto da una storia vera. Quello
che, infatti, Marsh non ha mai abbandonato è la curiosità di
scoprire ciò che si cela dietro vicende realmente accadute, con
protagonisti più o meno noti. Che sia la vita privata di un genio
della fisica, o come in Prima danza, poi pensa – Alla
ricerca di Beckett quella di un grande scrittore
contemporaneo, o quella del funambolo tra le Torri Gemelle,
Philippe Petit. Una volontà di scoprire la persona dietro al
personaggio, che Marsh si porta dietro dalla sua lunga esperienza
di documentarista.
La trama di Prima danza, poi pensa
– Alla ricerca di Beckett
1969. Cerimonia per la consegna dei
premi Nobel. Un Beckett basito, Gabriel Byrne,
bolla l’aver ricevuto il premio più prestigioso per la letteratura
come “una catastrofe”. Da qui inizia un lungo confronto
con il suo doppio. Beckett e Beckett ripercorrono assieme la
propria vita, analizzandola da punti divista differenti. Le fasi
dell’esistenza dello scrittore irlandese sono scandite
principalmente dal rapporto con le donne della sua vita. Vediamo
dunque Beckett bambino molto legato al padre, con un rapporto a dir
poco difficile con una madre anaffettiva e svalutante. Il giovane
Beckett, Fionn O’Shea, si trasferisce quindi a
Parigi, stringe amicizia con Joyce, Aidan Gillen,
e inizia una relazione con la figlia Lucia, che avrà però breve
durata. Vi è poi l’incontro con Suzanne, che diventerà sua moglie.
Arriva la guerra e Beckett sceglie di partecipare alla resistenza.
Lo si ritrova poi già maturo. Ha sposato Suzanne, Sandrine
Bonnaire, e sta iniziando ad assaporare il riconoscimento
cui ha sempre aspirato, sebbene la notorietà non si confaccia a un
solitario come lui. Incontra Barbara Bray, Maxine
Peake, traduttrice e critica con cui intraprende una
relazione. La conflittualità tra le due donne della sua vita
segnerà gli ultimi anni. E non gli mancheranno i sensi di colpa. I
suoi capolavori, su tutti Aspettando Godot, restano sullo
sfondo.
Samuel Beckett: un uomo segnato dai
sensi di colpa?
Lo stratagemma del doppio, il
dialogo con la propria coscienza fa emergere un ritratto di Beckett
martoriato dai sensi di colpa. Nei confronti della madre, che sente
di aver abbandonato, pur cosciente di che donna difficile fosse.
Colei che lo aveva iniziato alla poesia, all’amore per la
letteratura, ma lo faceva sentire incapace, inadatto, con quel
mantra dal quale Samuel era fuggito lontano, portandone però con sé
l’eco: “che spreco!”. Negatività per esorcizzare la quale
Beckett aveva presto imparato l’uso dell’ironia e del nonsense, che
avrebbero poi caratterizzato la sua scrittura. Senso di colpa verso
le sue donne: Lucia, la più fragile, avvicinata più per ammirazione
di Joyce che per autentico trasporto; Suzanne, che gli è sempre
stata accanto e che lui ha tradito, Barbara, cui non ha potuto dare
quanto avrebbe voluto. Ma anche l’amico Alfred e Joyce stesso.
Beckett sembra sentirsi in colpa verso tutti.
Carica su di sé tutti i
fardelli possibili, tutte le responsabilità. Allo spettatore questa
appare come una forzatura. Ci si chiede se Beckett fosse davvero
così, dal momento che sembra non si sia, poi, fatto bloccare dai
suoi sensi di colpa. Ha vissuto la sua vita a pieno, ottenendo
anche grandi risultati, affrancandosi dal giogo ella madre,
diventando uno dei drammaturghi più importanti del Novecento.
Allora perché questo scontento, questo continuo rovello? Il regista
sembra voler far emergere, attraverso il dialogo con il doppio, la
visione di Marsh stesso, più che quella di Beckett. Il doppio,
infatti, spinge il protagonista a lasciar andare i rimpianti e
agire sul presente, l’unico che si può ancora cambiare. Lo spinge
ad avere un po’ di indulgenza verso sé stesso e infine, a dare
valore alle gioie della vita che si nascondono nella quotidianità.
Una vita che, come recita il titolo del film, va innanzitutto
vissuta e forse un po’ meno ri-pensata.
Una sceneggiatura disomogenea e
poco coinvolgente
Prima danza, poi pensa –
Alla ricerca di Beckett ha un andamento diseguale. La
prima parte, che si concentra sul giovane Beckett, è più
movimentata e non priva di alcuni guizzi ironici e divertenti, che
rimandano allo stile del Beckett scrittore, lasciando intravedere
ciò da cui può aver tratto ispirazione. Questa vena di vivacità,
però, si perde nella seconda parte. Il film diventa piuttosto
monotono e stanco. Un grosso salto temporale catapulta lo
spettatore agli anni della maturità, poveri di accadimenti, se non
una infedeltà, i dubbi sui pro e i contro del successo e gli
immancabili rimpianti. La sensazione è che ci sia poco materiale, o
che il regista non abbia scelto i momenti più significativi, o
ancora che non sia riuscito a renderlo in modo coinvolgente.
L’interpretazione di Gabriel
Byrne
La somiglianza senza dubbio non
difetta a Gabriel Byrne per calarsi nei panni di Samuel Beckett.
Bisogna dire che l’attore irlandese – divenuto famoso con I
soliti sospetti di Brian Singer, ma visto anche più di recente
in serie tv come Zerozerozero, o nell’americana In
treatment – interpreta con misura il personaggio. Forse però,
quello che manca, già in fase di scrittura, è la scintilla, la
volontà di scompaginare e anche di stupire, che certo ha
caratterizzato il drammaturgo suo conterraneo. Elemento questo che
avrebbe dato al solido attore la possibilità di cimentarsi con un
personaggio più interessante, variegato e complesso rispetto a
quello immaginato da Marsh. È così che, nel complesso, un po’ di
quel regret di cui si parla in Prima danza,
poi pensa – Alla ricerca di Beckett, rimane anche
addosso allo spettatore, per aver perso l’occasione di vedere un
racconto davvero appassionante su una figura dirompente nel
panorama letterario del Novecento europeo. Presentato in anteprima
al Torino Film Festival, Prima danza, poi pensa – Alla
ricerca di Beckett, è nelle sale dal 1 febbraio.