“Come vorresti essere ricordato
tra cent’anni? – Come un cantante che ha portato l’opera alle masse
– E invece come Pavarotti uomo?” È a partire da questa
fondamentale domanda che il regista premio Oscar Ron Howard costruisce il
suo nuovo film documentario, intitolato Pavarotti, e
dedicato al celebre tenore italiano. Il film, presentato
all’interno della selezione ufficiale dell’edizione 2019 della
Festa del Cinema di Roma, è un nuovo tassello
all’interno della variegata carriera del regista, che negli anni ha
affrontato ogni sorta di genere, dalla fantascienza al film
storico.
Il documentario ripercorre l’intera
vita di Luciano Pavarotti, dalle origini ai primi
successi e fino alle esibizioni sui palchi più importanti del
mondo. Attraverso un vasto repertorio di materiali d’archivio, il
regista ricostruisce tanto il percorso dell’artista quanto quello
dell’uomo. Importanti sono infatti anche le interviste alle due
mogli, alle tre figlie, e ai numerosi amici e collaboratori, i
quali raccontano lati nascosti, inaspettati e commoventi dell’amato
cantante.
Pavarotti, dalla nascita alla
consacrazione del mito
Luciano Pavarotti è uno dei cantanti
globalmente più popolari, il quale per buona parte della sua vita
ha perseguito il desiderio di portare l’opera, normalmente
considerato un genere difficile e di nicchia, alle grandi masse. Si
può dire che vi sia riuscito con successo, divenendo egli stesso
una vera e propria “rockstar”. Howard, dal canto suo, insegue il
desiderio di comporre il ritratto appassionato di un uomo buono,
premuroso, misterioso e non privo di lati oscuri.
Il regista non manipola le immagini,
non le utilizza per costruire la sua idea di Pavarotti, ma cerca di
riproporlo nel modo più naturale, tanto nei suoi giorni migliori
quanto in quelli in cui il tenore si sentiva più vulnerabile.
Perché è proprio dal dolore che può nascere l’arte, ed è per questo
che Howard scava per rintracciare quanto della vita privata abbia
influito su quella artistica e pubblica.
Un proposito interessante questo,
frenato soltanto dalla struttura stessa del documentario, che non
si distacca dall’agiografia e segue in modo piuttosto
pedagogico e lineare il percorso di vita di Pavarotti. Per
una personalità così popolare ciò appare tuttavia limitante,
permettendo di fare una scorpacciata di fatti e curiosità, senza
però soffermarsi in maniera approfondita su di essi. Ciò appare
ancor più forte nel momento in cui, ad esempio, viene raccontato
del celebre concerto di Pavarotti insieme a Placido Domingo e José
Carreras, avvenuto alle Terme di Caracalla nel 1990.
La storia di questo particolare
concerto, ciò che ha significato e il modo in cui i tre tenori si
sono misurati e sfidati l’un l’altro, è in grado di catturare
l’attenzione molto più di tante altre dispersive sequenze. Il
risultato finale del documentario non è tuttavia privo di un certo
fascino, ma ha quantomeno il pregio di permettere a tutti di
potersi avvicinare alla figura di Pavarotti, amanti dell’opera e
non.

Pavarotti: un documentario
costruito sulla voce
Per quanto la scelta di fare un
excursus più o meno completo sulla vita del tenore non sia errata,
questa svela tuttavia l’attaccamento ad un canone che rivela i suoi
limiti non presentando particolari motivi di attrattiva, e offrendo
invece poco di aspetti che potevano da soli essere protagonisti del
film. Uno di questi è certamente la voce.
È difficile non riconoscere che la
voce di Pavarotti sia il vero intrattenimento del film. Così
precisa, pulita, capace davvero di risuonare nel cuore degli
spettatori che basterebbe quella a rendere superflua qualsiasi
altra divagazione. La voce, come affermava lo stesso tenore, era la
sua prima donna, il grande amore, ed è proprio questa a tenere alto
l’interesse nei confronti del film.
Quella voce che veniva influenzata
molto dagli eventi privati della vita del cantante, tanto da
risultare straziante nel brano Ridi pagliaccio e
invincibile in Nessun dorma. Quella voce che probabilmente
svela meglio di qualunque parola o immagine l’uomo che la emetteva,
che sapeva controllarla e utilizzarla come il suo strumento
privilegiato. Alla domanda all’inizio del film, dunque, Howard
lascia rispondere lo stesso Pavarotti, grato per molto, rammaricato
per tanto altro. Alla sua voce, dunque, affida lo svelamento di sé
stesso, lasciando così decadere il fazzoletto del cantante che
copriva il volto dell’uomo dietro di esso.
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