Disponibile dal 9 aprile su tutte le piattaforme digitali, Judas and the Black Messiah è il nuovo film di Shaka King che si inserisce in una stagione dei premi davvero insolita (quella nell’Era del Covid), ma, da una prospettiva più ampia, anche in un filone di cinema contemporaneo che prova a ri-raccontare le battaglie per i Diritti Civili in un contesto storico, il nostro, in cui queste voci vengono ascoltate, di fronte alla necessità di rispolverare quelle lotte e quelle rivendicazioni.
La trama di Judas and the Black Messiah
La storia scritta da King con Will Berson, racconta di William O’Neil, un ladro di automobili, che nel 1968 fa un accordo con un agente dell’FBI, Roy Mitchell: tutti i suoi capi d’accusa verranno condonati se, da infiltrato nelle Black Panthers, comunicherà al bureau segreti e dettagli sulla vita di uno dei leader nascenti del movimento, Fred Hampton. Il desiderio di rivalsa personale di O’Neil si confonderà presto con il carisma, la dedizione, la forza d’animo del più giovane leader che il movimento delle Pantere Nere abbia mai avuto.
Shaka King prova a portare avanti un discorso ragionato su due piani della realtà. Il primo è quello che con una lente di ingrandimento si avvicina ai protagonisti, Hampton e O’Neil. Le due individualità, differenti e per molti versi antitetiche, si confrontano in un racconto che seppure è ambientato all’interno di un movimento per i Diritti Civili, resta orientato verso l’interno di una piccola comunità. Hampton grande aizzatore di folle, carismatico e affascinante, si incontra con O’Neil che, nascondendo un doppio fine, molto più individualista di ciò che l’apparenza lascia trapelare, si lascia in qualche modo sedurre da questo mondo, da questa ideologia, da questa necessità di uguaglianza che era ancora lontanissima all’epoca e che ancora non è raggiunta.
Il traditore
Giuda si lasciò sedurre dalla parola di Gesù, lo seguì e a suo modo lo servì, tuttavia le intenzioni del suo Maestro non si allinearono con le sue, più terrene e individualiste, alla fine e così scelse di tradirlo, pensando che quella sarebbe stata la via più diretta ad ottenere la “sua” giustizia. A O’Neil accade il contrario, entrato nelle grazie di Hampton con l’intenzione di tradirlo, si lascia sedurre dalla sua parola pur portando avanti il suo progetto.
Il secondo grande binario su cui si muove King, nel suo racconto di Judas and the Balck Messiah è la grande Storia, quella che mette a confronto un movimento tutt’altro che pacifista ma assolutamente giusto, in un mondo come il nostro dove la giustizia e la legalità non sempre coincidono, con un’organizzazione statale che non sempre ha operato o opera nella legalità, appunto. Il film mette bene in evidenza in che misura l’FBI abbia operato contro le Black Panther e con che strumenti, pur di mantenere uno status quo in cui nemmeno i singoli membri del bureau credevano, come dimostra il personaggio d Roy Mitchell, vero e proprio impiegato burattinaio.
Talentuosi giovani protagonisti
E se la ricerca storica di King, la sua granitica posizione politica, il suo racconto essenziale fanno di Judas and the Black Messiah un buon film, l’elemento di eccellenza risiede tutto nella scelta del cast e nelle interpretazioni dei giovani interpreti. Daniel Kaluuya sta raccogliendo grandi frutti nel corso della stagione dei premi in corso, mentre ambisce anche all’Oscar, grazie alla sua prova nei panni del pastore Hampton. Una performance rigorosa, solida, ispirata, composta che rende giustizia al giovane talento esploso con Get Out – Scappa. Tuttavia il vero cuore emotivo del film è senza dubbio LaKeith Stanfield, che con la sua interpretazione nervosa apre allo spettatore uno spiraglio per entrare dentro alla narrazione. Menzione speciale anche a Jesse Plemons che, dai tempi di Breaking Bad, continua a crescere, senza mai sbagliare un ruolo.
Judas and the Black Messiah offre un quadro storico accurato di ciò che è stato il movimento delle Black Panthers, ma soprattutto regala al cinema una storia potente e a due giovani attori un palcoscenico davvero prezioso per mostrare le proprie doti.

L’apparizione di Ayo è stata decisamente eccitante, ma al tempo stesso ha generato parecchia confusione. I fan del
Dopo aver liberato Zemo ed essersi riunito con Sharon Carter, Bucky vede una sfera metallica per le strade di Raga, in Lettonia. Poi ne vede un’altra ancora e riconosce subito che le sfere provengono da Wakanda. Ma a cosa servono davvero?

Ayo non ha poteri speciali ma è una combattente esperta, grazie all’addestramento speciale che ricevono i membri delle Dora Milaje. Ha dimostrato quanto fosse brava come combattente quando ha affrontato il figlio adottivo di
Quando Bucky vede Ayo, esclama: “Mi stavo chiedendo quando ti saresti fatta vedere”. Ciò implica che Bucky conosca Ayo abbastanza bene. Ma come? I due non hanno mai interagito prima nel MCU. L’unica spiegazione possibile è che i due si sono incontrati dopo che a Bucky è stato concesso asilo a Wakanda in seguito agli eventi di 



In
La Marvel ha confermato che Gugu Mbatha-Raw interpreterà un personaggio chiamato Judge Ravonna Renslayer, un nome che suonerà di certo familiare a tutti i lettori dei fumetti. Nei fumetti, Ravonna è una principessa del 40° secolo che sfortunatamente finì nel mirino del perfido viaggiatore del tempo Kang il Conquistatore. Assediato da Ravonna, Kang risparmiò il regno di suo padre dalla conquista, portando Ravonna nel regno del Limbo (la versione
All’apparenza, Loki “ha piegato la realtà” quando ha rubato il Tesseract e ha creato una nuova linea temporale, anche se probabilmente il Dio dell’Inganno non aveva neanche idea di cosa stesse succedendo: semplicemente, ha colto l’occasione per scappare. Tuttavia, sembra che questo gesto abbia creato numerose ramificazioni nella timeline, qualcosa a cui i Custodi stanno tentando di porre rimedio. Presumibilmente, diverse versioni di Loki si trovano al centro di queste molteplici ramificazioni, motivo per cui hanno reclutato la versione che vedremo nella serie: serviti di un ladro per catturare un altro ladro, serviti di un Loki per fermare un altro Loki!
Nel trailer di
Una delle (dis)avventure di Loki lo vede protagonista di un viaggio che lo porta in uno store chiamato Roxxcart, un divertente easter egg legato all’universo Marvel. La Roxxon Energy Corporation è stata una presenza ricorrente nel MCU, a cui hanno fatto riferimento sia i film che i corti one-shot. Ha inoltre giocato un ruiolo chive in numerose serie Marvel, tra cui Agent Carter e Cloak & Dagger.
Il trailer di
Questa “variante” di Loki può vedere cosa accadrebbe se salisse al trono di Asgard. Nella linea temporale principale, il controllo di Asgard da parte di Loki sembra essere stato un momento importante nel viaggio nel personaggio; ha finalmente raggiunto la gloria che aveva sempre e solo sognato, ma non l’ha trovata soddisfacente. Di conseguenza, ciò lo ha spinto più in là nella sua strada verso la redenzione.
Ma l’essenza teatrale c’è e si sente. Investe lo schermo ammantando di significati secondari, metafore, e associazioni perturbanti, ogni singolo dettaglio. Nulla è come sembra, tanto in queste esistenze diegetiche, quanto in quelle pensate, manipolate da una memoria che arranca a tentoni. Ma il cinema ha uno strumento magico in più rispetto all’arte teatrale. In questo gioco di ambiguità, il montaggio esacerba con un sapiente impiego del campo contro-campo la lontananza tra padre e figlia, e con essa il distacco da ciò che reale, e immaginato. Gli sguardi tra Anthony Hopkins e Olivia Colman, intermezzati da quelli di Rufus Sewell e Mark Gatiss, sono palline lanciate in una partita di tennis. Incapaci di condividere gli spazi di una medesima inquadratura, i personaggi si scrutano a debita distanza, enfatizzando le distanze sociali, quasi con il terrore che violando lo spazio personale altrui, cada quella bolla di sapone che si sono creati, ed entro cui vivere la propria esistenza alternativa.
