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Sentimental Value: recensione del film di Joachim Trier – Cannes 78

Sentimental Value 2025

Questo potrebbe essere il suo anno. Il regista norvegese Joachim Trier è un habituè di Cannes e, ricordiamo, con La persona peggiore del mondo (2021, sua ultima partecipazione al Festival) è riuscito a guadagnarsi due premi di rilievo, Miglior sceneggiatura e Miglior Attrice per Renate Reinsve, risultati poi in due effettive candidature agli Oscar 2022. Ora, torna in concorso sulla Croisette con Sentimental Value, tra i titoli favoriti per la Palma d’oro di quest’anno, sostenuto dall’etichetta NEON, ovvero la casa di distribuzione che ha portato al pubblico – e fino agli Academy Awards – gli ultimi 5 vincitori della Palma d’oro.

La famiglia peggiore del mondo?

Nora Borg (Renate Reinsve) è un’attrice affermata, mentre suo padre Gustav (Stellan Skarsgård), regista di culto ormai inattivo da quindici anni, è rimasto ai margini della vita familiare della donna dopo la separazione dalla madre. I due hanno rapporti sporadici: Gustav è distante tanto da Nora quanto dalla sua seconda figlia, Agnes (Inga Ibsdotter Lilleaas), e dal nipotino. Ma quando muore l’ex moglie e madre delle due sorelle, l’uomo ricompare per il funerale e chiede a Nora un incontro privato. Lei, reduce dal debutto di uno spettacolo teatrale e da un esaurimento nervoso poco prima di salire sul palco, accetta con riluttanza, certa che non si tratterà di buone notizie.

Con sua sorpresa, Gustav le propone di interpretare il ruolo principale nel suo nuovo film: una storia fortemente autobiografica incentrata sulla figura della madre, la nonna di Nora, morta suicida in giovane età. Nora però rifiuta: la relazione con il padre è da sempre tesa, lui non ha mai mostrato interesse per il suo lavoro (detesta il teatro e snobba le serie e i film in cui lei recita) e sospetta che ora la stia coinvolgendo solo per approfittare del successo della sua ultima serie, utile ad attirare finanziatori.

Poco dopo, durante una retrospettiva al Festival di Deauville dedicata a Gustav, l’uomo si imbatte in Rachel Kemp (Elle Fanning), diva hollywoodiana rimasta incantata dalla proiezione di un suo vecchio film. Dopo una serata di confidenze e alcol in spiaggia, Gustav offre a Rachel lo stesso ruolo precedentemente rifiutato da Nora. L’attrice americana accetta con entusiasmo e inizia a prepararsi in modo ossessivo, immergendosi nella storia e nel passato della famiglia Borg con una curiosità sempre più invasiva.

Il valore affettivo di Joachim Trier

Fin dal punto di vista produttivo, sembra che questa nuova opera di Trier abbia con sé un forte “sentimental value”: si configura infatti come un gioco continuo tra realtà e finzione che è diventato sempre più caro alla filmografia di Trier. Riporta in scena i suoi attori feticcio Anders Danielsen Lie – che ha lavorato con lui fin da Reprise – e Renate Reinsve, che a loro volta interpretano attori nella pellicola. Ma amplia anche il parterre di protagonisti, addirittura c’è un volto hollywoodiano (Elle Fanning) e un volto-ponte (Stellan), star tanto dell’industria cinematografica nordica quanto di quella oltreoceano. Un’operazione, più di qualsiasi altra sua precedente, volta a rafforzare l’immagine internazionale di un regista europeo sempre più lanciato dopo l’ottima accoglienza riservata a The Worst Person in the World.

Come dicevamo, ritroviamo Renate Reinsve nel ruolo di una Julie 2.0, questa volta più risolta a livello professionale ma ugualmente spezzata per quanto riguarda la sfera privata. Qui interpreta un’attrice di teatro che si rifugia in ruoli altisonanti e tragici (dettaglio che dice già molto del personaggio) perché ha paura di essere se stessa. Nora è molto pungente, in quanto sorella maggiore si vede che si è caricata sulla schiena il dolore della separazione dei genitori per risparmiare in qualche modo la più piccola. Agnes, secondo Nora, non si degna di confrontarsi con il padre. D’altra parte, la maggiore viene etichettata come troppo aggressiva dal padre: “Non si può amare qualcuno di così arrabbiato”, le dice.

Storia di una casa nordica

Sentimental Value è un film molto più “nordico” de La persona peggiore del mondo, nella costruzione narrativa e dei personaggi, che sprigiona in maniera completamente personale l’idea del “valore affettivo” del titolo, non come un concetto univoco e aggiunta positiva alla vita di una persona. Piuttosto, come valore proprio di ogni casa e famiglia, magari accidentato e straniante, per cui però vale sempre la pena continuare a lottare. Per arrivare a questa consapevolezza, Trier elabora una riflessione che parte dall’oggetto concreto (la casa), e l’immedesimazione con questo che Nora attua fin da bambina. Lei ha sempre voluto una “home”, termine che in lingua inglese si differenzia da “house” proprio in virtù del legame che abita la casa, e porta con sé in età adulta la rabbia non solo di questo sogno infranto, ma anche del non riuscire a costruirsi una “home” nel presente proprio per i traumi che ha.

Curiosamente, c’è un forte legame con un’altra opera in concorso a Cannes quest’anno,  Sound of Falling di Mascha Schilinski, che indaga sempre l’idea della casa che assorbe i colori di chi l’ha abitata e come questi poi riecheggiano nel tempo. Ci sono i traumi familiari, l’eredità che ci portiamo dietro da chi ci ha preceduto, l’impossibilità di confrontarci con questi e quindi chiuderci in noi stessi, una tristezza magmatica che aleggia sulle generazioni. Chiaramente, come abbiamo visto nella nostra recensione del primo film del concorso, si tratta di due riflessioni nutrite da due linguaggi molto diversi, il che le rende ancora di più affascinanti.

L’oggetto che racconta una vita

Il nuovo film di Joachim Trier “parla” per stacchi su nero, quasi a voler restituire l’impressione di frammenti di vita, scatti fotografici, che concedono allo spettatore il tempo per riflettere su questi non detti. Come nel caso di Alpha, abbiamo anche qui la messa in scena e analisi di un rapporto fraterno (in questo caso sorellanza), fondamentale per capire davvero il personaggio di Nora. Oltre la costruzione così nordica della casa – e dei rapporti – emerge però una tenerezza assoluta incapsulata, appunto, a partire da un oggetto, a cui la giovane donna potrà paradossalmente associare il sentimental value che tanto ha rincorso per tutta la vita. Uno script, un copione che forse parla di lei, come se il padre nonostante la lontananza e la mancanza di contatto fosse sempre rimasto in diretta connessione con la figlia e avesse capito qualcosa di molto intimo e inconfessabile che Nora porta dentro.

L’aspetto più riuscito di Sentimental Value è proprio il riuscire a oltrepassare questa formula di racconto prettamente nordica e forse meno accessibile de La persona peggiore del mondo per restituire un senso di tenerezza assoluto. Si tratta, probabilmente, dell’opera più poetica e sentimentale di Trier, che indaga le crepe di una famiglia come tante altre letteralmente tramite il mezzo cinematografico, sfruttandolo come testamento: basti pensare che, come svelato in conferenza stampa, lui e il suo storico sceneggiatore Eskil Vogt sono diventati padri, svolta che ha cambiato completamente il loro modo di fare cinema: “Prima volevamo fare cinema punk, ora abbiamo capito che l’emotività è il nuovo punk”, per citare direttamente le loro parole. Insomma, Sentimental Value è un metagioco che si tramuta in emozione, e che potrebbe davvero portare a Trier la sua prima Palma d’oro.

 
 

Holland, la spiegazione del finale: il vero destino di Fred e il significato di quella battuta finale

Nicole Kidman in Holland (2025)

Holland è un thriller misterioso con Nicole Kidman, con colpi di scena scioccanti che cambiano completamente il destino della protagonista. Nicole Kidman ha avuto un paio d’anni di grande successo e la sua serie positiva continua con Holland. Diretto da Mimi Cave, Holland trasporta il pubblico nell’omonima cittadina del Michigan, famosa per i tulipani, i mulini a vento e per essere una piccola comunità. Holland segue Nancy Vandergroot (Kidman), un’insegnante che vive con il marito Fred Vandergroot (Matthew Macfadyen) e il figlio Harry (Jude Hill).

I Vandergroot vivono una vita tranquilla a Holland fino a quando Nancy inizia a sospettare che Fred la tradisca. Nancy si confida con il collega Dave (Gael García Bernal), arrivato in città da poco, e lo convince ad aiutarla a scoprire cosa sta combinando Fred. Nancy e David sviluppano forti sentimenti l’uno per l’altra e decidono di trovare le prove del tradimento di Fred, in modo che Nancy possa lasciarlo senza rimorsi. Tuttavia, fanno una scoperta inquietante su Fred, che cambia completamente i loro piani e le loro opinioni.

Cosa è successo davvero a Fred, il marito di Nancy, in Olanda

Fred Vandergroot conduceva una doppia vita inquietante

Fred Vandergroot è un optometrista e, dato che Holland è una piccola città, tutti lo conoscono. Fred è spesso fuori città per lavoro, cosa che Nancy non ha mai trovato sospetta fino a quando non trova una ricevuta nella sua tasca che contraddice il luogo in cui avrebbe dovuto trovarsi. Questo è l’inizio della spirale di Nancy, convinta che Fred la tradisca, anche se non ha prove concrete. Nancy non ottiene subito delle risposte, rendendo Holland un mistero che si sviluppa lentamente, ma che, una volta arrivato al terzo atto, accelera il ritmo.

Dopo che Nancy ha lasciato i suoi gioielli nell’ufficio di Fred mentre vi entrava di nascosto di notte, Fred la affronta, dicendole che dovrebbero semplicemente “ricominciare da capo” e andare avanti. Tuttavia, Nancy è già presa da Dave, che l’ha aiutata a entrare nell’ufficio di Fred, e anche se vuole lasciare Fred, vuole avere le prove della sua infedeltà, in modo da avere un motivo valido per lasciarlo. In quel momento, gli unici indizi che ha sono una scatola di pellicole Polaroid e la prima ricevuta.

Quando Fred esce di nuovo dalla città, Dave e Nancy lo seguono. Nancy irrompe nella sua camera d’albergo mentre Dave tiene d’occhio Fred al bar dell’hotel, e Nancy trova biancheria intima, manette e croccantini per cani nella sua stanza. Questo non è ancora sufficiente per confermare che Fred la tradisce, ma Nancy deve tornare a casa a prendere Harry, quindi Dave rimane a seguire Fred. Nel frattempo, Nancy fa le sue ricerche nella biblioteca della città con alcuni dettagli che trova nel modellino della città di Fred.

Nancy scopre che molte donne sono scomparse e sono state poi trovate morte, mentre Dave trova Fred che incontra una giovane donna. Quando Dave irrompe nella casa, vede i cani della donna che mangiano i biscotti, mentre in un’altra stanza Fred viene sorpreso mentre uccide la giovane donna. Dave e Fred iniziano a lottare e Fred viene pugnalato con il proprio coltello e cade nel lago. Dave torna a Holland e fa sapere a Nancy che lei e Harry sono al sicuro, ma c’è ancora una sorpresa per loro.

Quando Nancy chiama Harry per chiedere aiuto, lo trova fuori con Fred, che è sopravvissuto alla lotta con Dave.

Durante il festival Tulip Time di Holland, gli amici di Nancy le dicono di aver visto Fred poco prima e Dave lo individua tra la folla. Nancy va nel panico e porta Harry in un motel vicino, con Dave che li segue. Dave va nel panico e dice a Nancy che dovrebbero avvisare la polizia, ma lei lo ferma e una TV gli cade sulla testa. Quando Nancy chiama Harry per chiedere aiuto, lo trova fuori con Fred, sopravvissuto alla lotta con Dave. Come ha sempre fatto, Fred cerca di manipolare Nancy, dicendole ancora una volta che ricominceranno da capo, ma Nancy è determinata a lottare per sé e per Harry.

Tornati in macchina, Nancy fa fermare Fred e dice a Harry di scappare, mentre lei si difende con la pistola di Dave. Nancy spara a Fred ma lo manca, colpendo solo la guancia e l’orecchio, e dopo che Harry cerca di difenderla ma viene spinto via da Fred, Nancy prende uno zoccolo e lo picchia a morte. Fred non paga mai per i suoi crimini, ma Nancy finalmente gli impedisce di uccidere altre donne.

Cosa è successo a Dave nel finale di Holland

Matthew Macfadyen e Jude Hill in Holland (2025)

Il destino di Dave rimane ambiguo

Dave è arrivato da poco in Olanda e insegna nella stessa scuola di Nancy. Dave si dimostra premuroso nei confronti di chi lo circonda, compresi i suoi studenti, ma essendo messicano deve affrontare il razzismo. Tuttavia, è sempre disposto ad aiutare, tanto da mettersi in pericolo per aiutare Nancy. Sebbene Dave voglia stare con Nancy, si trattiene perché non lo ritiene giusto dato che Nancy è sposata e vuole proteggere i suoi sentimenti. Tuttavia, quando Nancy gli dice che lascerà Fred, Dave si offre di procurarle le prove di cui ha bisogno per dimostrare l’infedeltà di Fred.

Dave ha incubi in cui vede Fred nel lago e si sveglia, e in cui i cani della donna assassinata leccano il suo sangue dal pavimento.

Dopo il confronto con Fred, Dave è convinto che Fred sia morto, ma è ancora molto paranoico al riguardo. Dave ha incubi in cui Fred è nel lago e si sveglia, e in cui i cani della donna assassinata leccano il suo sangue dal pavimento. Determinato a proteggere Nancy e Harry, Dave prende la pistola e partecipa al festival dei tulipani, dove vede Fred tra la folla. Come accennato in precedenza, Dave incontra Nancy al motel e cerca di convincerla a chiamare la polizia, ma lei lo spinge e una TV gli cade sulla testa, ferendolo.

Quando Nancy torna nella stanza del motel dopo aver ucciso Fred, Dave è sparito e la voce fuori campo finale in Holland passa da Dave a Nancy. Dave sopravvive alle ferite e molto probabilmente lascia Holland dopo quello che è successo con Nancy e Fred. La narrazione finale in Holland non menziona la relazione tra Dave e Nancy, quindi si può presumere che sia scomparso dopo quel giorno.

Cosa significa davvero il modellino della città di Fred in Holland

Fin dall’inizio di Holland, l’attenzione è focalizzata sul modellino della città di Fred, che la telecamera riprende durante i titoli di testa. Fred e Harry trascorrono del tempo insieme nel garage, dove lavorano al modellino. Anche se lo spettatore è portato a vedere il modellino come un semplice hobby che Fred ama condividere con Harry, c’è qualcosa di molto più sinistro dietro di esso, che non è una replica di Holland.

Il primo indizio che qualcosa non va nel modellino della città è quando Nancy nota un cartello in una delle case del modellino che ha visto in una delle Polaroid di Fred. Una rapida ricerca porta al nome di Lacey Anne, che Nancy scopre in seguito essere stata assassinata tre anni prima. Le ricerche di Nancy portano alla scoperta di altre donne uccise negli ultimi anni nella zona di Holland, e lei collega questi omicidi alle case e alle strade del modellino di Fred. Il modellino della città, quindi, è il registro personale di Fred di tutti gli omicidi che ha commesso.

Nancy e Harry lasceranno Holland?

Quando Dave dice a Nancy che è al sicuro e che Fred non tornerà (poiché crede che sia morto), Nancy non ha la reazione che lui sperava. Invece di accettare di lasciare la città con Dave e Harry, Nancy gli dice che non possono farlo perché la vita di Harry ne risentirebbe e non possono andarsene prima del festival. Nancy dice a Dave che continueranno a nascondere le azioni e il destino di Fred come hanno sempre fatto. In tutto Holland, Nancy si dimostra molto tradizionale, ma ha sempre lottato con la propria libertà di scelta.

L’Olanda è diventata il rifugio sicuro di Nancy e, anche se suo marito è un serial killer, non è pronta a lasciare il posto più sicuro che abbia mai avuto.

Nancy spiega all’inizio che Fred l’ha “salvata” e portata in Olanda, dove ha una vita perfetta, o almeno così credeva. L’Olanda è diventata il rifugio sicuro di Nancy e, anche se suo marito è un serial killer, lei non è pronta a lasciare il posto più sicuro che abbia mai avuto e dove si sente molto a suo agio. Alla fine di Holland si capisce che Nancy e Harry non lasciano la città, ma semplicemente vanno avanti insieme dopo tutto quello che è successo con Fred.

Spiegazione dell’ultima battuta di Holland

Tutto quello che Dave e Nancy hanno passato insieme è sufficiente per far loro dubitare che fosse reale, ma non significa letteralmente che la maggior parte di Holland non sia successo.

La voce fuori campo alla fine di Holland inizia con Dave e si sovrappone a quella di Nancy, poiché entrambi provano gli stessi sentimenti di paura, insicurezza e invisibilità. Nancy dice di aver finalmente trovato una via d’uscita, ma sia Dave che Nancy si chiedono se tutto “sia stato reale”. Nancy trova una via d’uscita dal suo matrimonio, anche se non proprio Holland, mentre Dave trova una via d’uscita dalla città, una città che non lo ha mai accolto bene. Tutto ciò che Dave e Nancy hanno vissuto insieme è sufficiente per far loro dubitare che fosse reale, ma ciò non significa letteralmente che la maggior parte di Holland non sia realmente accaduta.

Dave e Nancy trovano l’uno nell’altra il conforto, il sostegno e la compagnia che mancano loro, ma alla fine hanno visioni della vita molto diverse e desiderano cose diverse. Dave assiste a un omicidio e quasi uccide un uomo, mentre Nancy scopre che suo marito è un serial killer e deve quindi lottare per la sicurezza sua e di suo figlio. È comprensibile che Dave e Nancy si chiedano se ciò che hanno vissuto insieme fosse reale o meno, ma lo è stato sicuramente: questo dimostra solo come ognuno veda il mondo in modo diverso e affronti i suoi orrori nel miglior modo possibile.

 
 

Die, My Love: recensione del film con Jennifer Lawrence – Cannes 78

Die, My Love recensione film
Jennifer Lawrence in Die, My Love. Foto di Kimberly French

«Sono proprio qui davanti, non riesci solo a vedermi». Con questa frase, pronunciata quasi sottovoce, Jennifer Lawrence dà voce al nucleo pulsante di Die, My Love, film di Lynne Ramsay in concorso a Cannes 78 e tratto dal romanzo Matate, amor di Ariana Harwicz. È il grido invisibile di una donna che prova disperatamente a resistere, a non svanire nel silenzio, nella solitudine e nelle aspettative soffocanti che la circondano. È lì, davanti agli occhi di tutti, eppure nessuno riesce davvero a vederla.

Da Madre! all’incubo psicotico di Lynne Ramsey

La Grace interpretata da Lawrence è una donna che urla, desidera, consuma e distrugge. Autrice di romanzi, parte da New York e si trasferisce con il marito (Robert Pattinson) nella vecchia casa di campagna dello zio, a pochi chilometri dalla suocera da poco rimasta vedova. Qui, Grace rimane incinta e, sotto il peso della noia, dell’isolamento e della depressione post-partum, inizia a cambiare per sempre.

Qui, Lawrence non è più la figura sacrificale e martoriata di Madre! di Darren Aronofsky – a cui pure il personaggio sembra inizialmente rimandare – ma la sua nemesi: non è travolta dagli eventi, semmai, li travolge. La sua crisi non è quella di chi implode, ma di chi esplode. È un corpo in rivolta, animale e famelico, in cerca di un senso attraverso la carne, il sesso, il suono, la rabbia. In cerca di un’uscita che non esiste.

Non si può scampare a Grace

Lynne Ramsay, qui in una delle sue prove più viscerali e spietate, firma un film che non chiede di essere interpretato, ma attraversato. È un’esperienza che investe sensorialmente lo spettatore, a partire dalla colonna sonora che fonde country e punk rock, fino alla fotografia sfocata ai margini, come se la realtà stesse collassando ai bordi dello schermo. Grace è sempre al centro della scena: ingombrante, disturbante, affascinante. È lei che determina il ritmo della narrazione, un ritmo sfasato, sincopato, incapace di trovare una cadenza stabile.

L’ambientazione è quella di un’America rurale non ben definita, ma profondamente radicata nel suo immaginario culturale: una casa isolata nel verde, lontana dalla città (sappiamo che Grace e Jackson vengono da New York), immersa in un paesaggio sonoro carico di insetti, motori, silenzi pieni di tensione. I suoni della campagna diventano rumore mentale. Un luogo teoricamente pacifico che però vibra di disagio, diventando uno specchio della mente della protagonista.

C’è un romanzo da scrivere, e Grace ci prova. Come la protagonista di Nightbitch, anch’essa madre e autrice in piena crisi di nervi, anche lei lotta contro una quotidianità che respinge ogni tentativo di creazione e di comprensione. E mentre cerca di dare forma al proprio pensiero, la casa attorno a lei si fa sempre più ostile. Una prigione mentale dove i tentativi di contatto con il marito falliscono sistematicamente, e dove l’unico confronto realmente significativo avviene con la madre di lui, in un western psicologico che mette a confronto anche due generazioni di donne.

Jennifer Lawrence in Die, My Love
Jennifer Lawrence in Die, My Love

Il sesso, inizialmente onnipresente, urgente, viene via via sostituito da un vuoto che si allarga. I corpi che si cercano non si trovano più. Il desiderio lascia spazio alla rabbia, all’insofferenza, all’istinto di fuga. Grace diventa predatrice in un mondo che le chiede di essere preda. E lo fa in modo disturbante, feroce, a tratti respingente. Ramsay non indora la pillola: non c’è empatia da spettatore, non c’è catarsi. Solo una spirale che non promette risalite.

Che possiamo vivere a lungo… e poi estinguerci

Le esplosioni emotive di Grace si fanno sempre più violente e imprevedibili, ma Ramsay non offre mai una spiegazione. Non tutto ha un’origine rintracciabile, non tutto ha una cura. Die, My Love è una discesa agli inferi senza Virgilio, una corsa cieca verso un’uscita che forse non esiste. Come la sua protagonista, il film pretende di essere guardato dritto negli occhi, senza filtri. Non si può restare neutrali: o si entra con lei nel suo inferno infiammato – nel suo “soundcheck infuocato”, come suggerisce uno dei momenti visivamente più potenti del film – oppure si rimane fuori, nella stessa casa che ha già consumato e respinto tutti gli uomini della sua famiglia.

C’è una frase che riecheggia alla fine, quasi un’implosione nichilista ma lucidissima: «Che possiamo vivere a lungo… e poi estinguerci». Forse è proprio questo il senso ultimo del film. Non la speranza, non la rinascita, ma la resistenza. Una resistenza disperata, violenta, animalesca. L’urlo di chi non chiede di essere salvato, ma solo riconosciuto. Anche se per un solo, dannato istante.

 
 

Eddington: recensione del film con Joaquin Phoenix e Pedro Pascal – Cannes 78

Eddington recensione film
Joaquin Phoenix e Pedro Pascal in Eddington

Col senno di poi, è il 2020. La tagline di Eddington basterebbe da sola a chiarire l’intento del film di Ari Aster presentato in concorso a Cannes 78: non solo un ritorno a un anno cruciale, ma un tentativo di rileggerlo alla luce del presente, con il peso di ciò che è rimasto, di ciò che è cambiato e di ciò che, troppo spesso, non abbiamo voluto vedere. Dopo l’esperimento divisivo di Beau ha paura, il regista di Hereditary e Midsommar approda per la prima volta in concorso a Cannes con un film che abbandona le derive oniriche per affrontare di petto la realtà, anche se – come vedremo – lo fa con più ambizione che lucidità.

Un’America a pezzi

Ambientato nell’immaginaria cittadina di Eddington, nel New Mexico, durante i primi mesi della pandemia, il film mette in scena lo scontro tra due figure emblematiche: lo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix), scettico, apatico, emotivamente imploso, e il sindaco progressista Ted García (Pedro Pascal), ligio alle regole e determinato a controllare l’emergenza. Sullo sfondo, una comunità già logorata si frattura ulteriormente tra paranoie complottiste, estremismi sanitari, proteste Black Lives Matter e fanatismi religiosi, incarnati anche dal personaggio interpretato da Austin Butler.

La casa dello sceriffo, dove vivono sua moglie Louise (Emma Stone), depressa e dipendente dai guru social, e una suocera completamente risucchiata dalle teorie cospirazioniste, è il microcosmo di un’America familiare e inquietante: è lì che Aster riconduce il suo tema fondante, quello della famiglia come radice del trauma e specchio di una nazione che implode.

Una costellazione di tensioni (troppo) note

Eddington non racconta nulla che non conosciamo già. E in fondo è questo il punto. Aster non cerca soluzioni, non costruisce visioni alternative. Non è un film che accompagna lo spettatore alla comprensione: è una cronaca stonata dell’oggi, una spirale che confonde invece di chiarire. Come se la realtà – già di per sé caotica – venisse amplificata fino a farsi caricatura. La satira è dichiarata, ma il bersaglio resta spesso sfocato. Si deridono tanto i “woke” e i negazionisti quanto i paladini della correttezza ideologica. Ma nel tentativo di rappresentare tutti i fronti, si finisce per svuotare ogni discorso di senso.

Non a caso, verso metà film, l’ironia cede il passo alla tensione pura, e Eddington vira verso il thriller psicopolitico: violenza crescente, paranoia collettiva, e una sequenza – sulle note di “Firework” di Katy Perry – destinata a diventare cult, anche se forse troppo calcolata per lasciare il segno.

Una riflessione fin troppo disordinata (ma veritiera?)

Ari Aster ha il merito, raro oggi, di non cercare vie di fuga nel genere. Filma il presente senza filtri, con telefoni, Zoom, Instagram Live e notifiche continue che scandiscono la vita dei personaggi. Non c’è nostalgia, né comfort visivo: la tecnologia è parte integrante dell’immaginario e dello stile, tanto da diventare quasi invasiva. Ma in questo caos visivo e narrativo, a tratti insostenibile, si intravede un’urgenza sincera, anche se irrisolta.

Phoenix regge l’intero film sulle spalle: il suo Joe Cross, incapace di decidere, sempre in ritardo sugli eventi, finisce per incarnare l’inefficacia della leadership contemporanea. A tratti sembra Joker di nuovo, ma privato di scopo sociale: solo un uomo annientato dal fallimento personale e collettivo. Emma Stone e Austin Butler sono invece relegati a ruoli troppo sacrificati per emergere davvero. Ed è un peccato, considerando quanto entrambi abbiano dimostrato altrove di saper restituire sfumature in personaggi borderline.

Il confronto mancato con The Curse (con protagonista Emma Stone)

Nel tentativo di mettere in scena un’America divisa, nevrotica, post-pandemica, Eddington sembra avvicinarsi a quella che è, finora, l’opera più lucida e spietata sull’argomento: The Curse. La serie ideata da Nathan Fielder e Benny Safdie e in cui, curiosamente, recita proprio Emma Stone, riesce là dove il film di Aster fallisce: prendere un contesto riconoscibile e costruirci sopra un linguaggio nuovo, capace di raccontare le dinamiche del privilegio, dell’incomunicabilità e della manipolazione con chirurgica precisione. A confronto, Eddington appare come una costosa elaborazione collettiva del trauma, senza la distanza analitica e la forza formale necessarie per trasformarlo in racconto. Dove The Curse spinge lo spettatore a mettersi in discussione, Eddington si limita a riproporre il caos da cui tenta di emergere.

Diagnosi senza cura

Eddington non è una grande riflessione sul nostro tempo. Non è nemmeno un film pienamente riuscito. È piuttosto una constatazione impotente, quasi disperata, del fatto che la frattura è ormai insanabile. Come dice una battuta di Sirat, notevole titolo del concorso di questa Cannes: «È la fine del mondo già da tanto tempo». Oliver Laxe, tuttavia, sa incorniciare quella fine con poesia e chiarezza. Ari Aster, invece, finisce per confonderla ancora di più.

Ma forse anche questo ha un senso. Forse Eddington va accettato per quello che è: un film spartiacque, uno dei primi a cercare di raccontare l’America post-COVID per ciò che è, senza finzioni, senza nostalgia, e senza alcuna illusione di salvezza. Solo caos, paura e un lungo, inevitabile silenzio.

 
 

Partir un jour: recensione del film di Amélie Bonnin – Cannes 78

Partir un jour recensione film

Si alza il sipario sulla 78 edizione del Festival di Cannes con quella che ormai sembra una vera e propria tradizione consolidata per la Croisette: una commedia. Solo per citare alcuni titoli, è da anni che le danze del concorso cinematografico più prestigioso del mondo prendono il via sulle note di una visione “leggera”, pur con le dovute variazioni: ricordiamo, ad esempio, Cut! Zombi contro zombi! del 2022, remake dell’horror comedy giapponese Zombie contro Zombie e Le Deuxieme Acte di Quentin Dupieux (2024), è il turno per l’edizione 2025 di Partir un jour, esordio al lungometraggio di Amélie Bonnin e sviluppato a partire dall’omonimo corto vincitore di un premio César nel 2023.

Bentornata a casa

Cècile (Juliette Armanet) sta per realizzare il suo sogno: aprire un ristorante gourmet tutto suo, dopo un’esperienza di successo al programma televisivo Top Chef. Ma proprio quando tutto sembra andare per il meglio, riceve una notizia che la costringe a tornare nel suo paese natale: il padre ha avuto un infarto. Lontana dalla frenesia di Parigi, Cécile si ritrova immersa nei luoghi e nei ricordi della sua adolescenza. Qui, inaspettatamente, rincontra il suo amore giovanile (Bastien Bouillon), e il passato riemerge con forza, mettendo in discussione tutte le sue certezze.

Negli ultimi anni, stiamo assistendo a una sorta di estensione del raggio di interesse del coming-of-age: spesso, complice la realtà frammentaria in cui viviamo, i protagonisti di questo tipo di narrazioni non sono più ragazzi sulla soglia della maturità, ma millenials alle prese con le difficoltà di un ingresso nel mondo adulto che è notevolmente mutato rispetto a quello conosciuto dai loro genitori. Questo è anche il caso di Cécile, chef di cucina gourmet all’apice della sua carriera professionale, ma totalmente ingarbugliata nella sfera privata. Fatica a comunicare con gli affetti dunque Bonnin si avvale di alcuni inserti musicali che dovrebbero restituire frammenti del passato, percezioni del presente e speranze o timori per il futuro, tanto della protagonista quanto dei comprimari. Purtroppo, non sempre la loro attinenza ai vari segmenti narrativi risulta particolarmente decisiva e, pur restituendo parentesi divertenti, in linea con lo spirito più generale dell’opera, resta da chiedersi cosa rimane oltre la superficie di un racconto agrodolce su una millenial frammentata.

Ritrovare una cucina lontana

Particolarmente interessante è la prospettiva adottata, quella di una femminilità non canonica, che ritrova soprattutto nel confronto con le figure maschili legate alla sua infanzia un nuovo punto di vista. Curiosamente, Cécile riesce a connettersi con la sua emotività lontano dalla rigidità della cucina altolocata, sporcandosi le mani nella cucina casalinga dei suoi genitori, in mezzo ad amici che lavorano con i motori, e serate all’insegna di bevute in compagnia. Senza la pressione che il suo ruolo prominente nella brigata parigina porta con sè, la nostra giovane protagonista sarà costretta a confrontarsi con un avvenimento destinato a cambiare per sempre la sua vita. Quello che riesce a restituire con tenerezza è il riavvicinamento al fiorire di emozioni tipico dell’adolescenza, il ritrovo con gli amici e la “stupidità” delle avventure in gruppo, ma siamo lontani dall’accuratezza con cui Joachim Trier – curiosamente in concorso anche quest’anno con il film Sentimental Value – aveva tracciato lo scrapbook frammentato di Julie nel suo La persona peggiore del mondo. Nota di merito a tutte le performance, sfaccettate nella loro sincerità e particolarmente in linea con il tono del racconto.

Performance attoriali centrate

Armanet incarna con credibilità un carattere in crisi tra la nuova vita cittadina che si è costruita e il ritorno alle origini, dove tutto è apparentemente rimasto uguale, esattamente come il suo sguardo su di esso, che non ha mai messo in discussione. D’altra parte, Bouillon brilla nei panni dell’amore giovanile, che con un immutato senso dell’umorismo sembra riuscire a rimettere tutto in equilibrio. È proprio grazie a queste prove attoriali se, nel complesso, Partir un Jour risulta un’esperienza di visione comunque piacevole, seppur non particolarmente accattivante. Ma, ça va sans dire, il vero festival deve ancora iniziare.

Partir un jour apre Cannes 2025 con delicatezza, raccontando il ritorno alle origini di una millennial in crisi. Nonostante qualche superficialità narrativa, le interpretazioni sincere e il tono nostalgico rendono il film una visione piacevole, seppur non memorabile.

 
 

Dossier 137: recensione del film di Dominik Moll – Cannes 78

Dossier 137 recensione film

Dominik Moll torna a indagare le zone grigie della giustizia con Dossier 137, presentato in concorso a Cannes 78. Dopo La notte del 12, premiato e acclamato per il suo rigore narrativo, il regista francese si misura con un tema altrettanto scottante: le violenze della polizia e il lavoro degli ispettori dell’IGPN, l’organismo di controllo interno delle forze dell’ordine. Un’indagine complessa, spesso scomoda, che porta la protagonista Stéphanie — interpretata da Léa Drucker — a interrogare i propri colleghi più che dei veri e propri criminali, in un clima di ostilità, reticenza e continua messa in discussione.

Un’indagine dall’interno della polizia

L’episodio da cui prende avvio il caso è un fatto di cronaca che ha fatto discutere la Francia: durante una manifestazione caotica a Parigi, un giovane manifestante, Guillaume, viene gravemente ferito. I sospetti cadono subito su un reparto di agenti chiamati a contenere la folla nonostante fossero palesemente impreparati alla gestione dell’ordine pubblico: in una delle battute più amare del film, si dice che abbiano preso i kit anti-sommossa “dal Decathlon”. Mentre uno dei ragazzi coinvolti finisce in ospedale, l’altro, Rémi, viene incarcerato: solo lui potrebbe testimoniare ciò che è accaduto davvero, ma è messo a tacere da un sistema che sembra più interessato a proteggere se stesso che a scoprire la verità.

Moll costruisce il racconto come un’indagine che diventa sempre più personale: Stéphanie scopre che la vittima è originaria di Saint-Dizier, la sua stessa città natale. Questo dettaglio, apparentemente irrilevante, diventa un elemento destabilizzante. La protagonista si ritrova sospesa tra il suo dovere di imparzialità e un legame emotivo che affiora contro la sua stessa volontà. Il conflitto tra etica professionale e senso di appartenenza si fa più acuto man mano che l’indagine procede, in un contesto in cui tutti sembrano avere qualcosa da perdere: la polizia, l’IGPN, i manifestanti, i familiari.

Tra rigore e testimonianza

Il film mescola fiction e realtà, ispirandosi a diversi casi realmente accaduti durante le proteste dei Gilet Gialli nel 2018, e affronta temi che restano scottanti: il divario tra centro e periferia, la crisi della rappresentanza politica, la paura del dissenso, la frattura tra cittadini e istituzioni. Tuttavia, a differenza del precedente lavoro di Moll, qui la costruzione narrativa appare più didascalica, e spesso troppo netta nel disegnare le linee tra “buoni” e “cattivi”. I poliziotti coinvolti sono ostili, omertosi, quasi caricaturali; i manifestanti e le vittime sono tratteggiati come innocenti puri, senza zone d’ombra. Manca quella complessità psicologica che rendeva La notte del 12 così avvincente e disturbante.

Pur con queste semplificazioni, il film riesce a mantenere una certa tensione, grazie soprattutto alla struttura d’indagine fatta di testimonianze, immagini di videosorveglianza, e piccoli dettagli che ricostruiscono — o distorcono — i fatti. L’uso di video amatoriali, in parte ricreati, contribuisce a dare un’impronta quasi documentaristica, mentre il montaggio alternato tra interrogatori, atti legali e scene domestiche restituisce il senso di una realtà spezzata tra pubblico e privato, tra ciò che si mostra e ciò che si nasconde.

Léa Drucker, cuore silenzioso del film

Léa Drucker offre una prova misurata, precisa, sospesa tra empatia e rigore. Il suo personaggio, spesso costretto al silenzio, comunica più con gli sguardi e i microgesti che con i dialoghi. Accanto a lei, Guslagie Malanda interpreta una testimone chiave con delicatezza e intensità, portando nel film anche un’eco delle tensioni razziali e sociali che attraversano le banlieue francesi.

Dossier 137 solleva domande necessarie sul ruolo delle forze dell’ordine e sulla capacità (o volontà) dello Stato di farsi garante della giustizia. Ma è anche un’opera meno sfumata di quanto potrebbe essere, a tratti eccessivamente programmatica. Se Moll voleva far riflettere, ci riesce. Se voleva turbare, commuovere o mettere davvero in discussione ogni certezza, questa volta ci arriva solo in parte. La materia è incandescente, ma il film, pur apprezzabile per impegno e accuratezza, resta più vicino al “dossier” che all’opera pienamente compiuta.

 
 

Un Certain Regard 2025: tutti i vincitori

LA MISTERIOSA MIRADA DEL FLAMENCO - Film vincitore di Un Certain Regard 2025

Celebrando un cinema di scoperte, la selezione di Un Certain Regard del 2025 presentata nel corso del Festival di Cannes ha incluso 20 lungometraggi, di cui 9 opere prime in gara anche per la Caméra d’or.

Quest’anno, il film d’apertura è stato Promised Sky di Erige Sehiri. Presieduta dalla regista, sceneggiatrice e direttrice della fotografia britannica Molly Manning Walker, la giuria comprendeva la regista e sceneggiatrice franco-svizzera Louise Courvoisier, la direttrice croata dell’International Film Festival Rotterdam Vanja Kaludjercic, il regista, produttore e sceneggiatore italiano Roberto Minervini e l’attore argentino Nahuel Pérez Biscayart.

 Un Certain Regard – miglior film

  • LA MISTERIOSA MIRADA DEL FLAMENCO (THE MYSTERIOUS GAZE OF THE FLAMINGO)
    Diego Céspedes
    Esordio alla regia

Premio della Giuria

  • UN POETA (A POET)
    Simón Mesa Soto

Miglior regista

  • ARAB & TARZAN NASSER
    in Once Upon a Time in Gaza

Miglior Attore

  • FRANK DILLANE
    in Urchin diretto da Harris Dickinson

Migliore Attrice

  • CLEO DIÁRA
    in O Riso e a Faca (I Only Rest in the Storm) diretto da Pedro Pinho

Migliore Sceneggiatura

  • PILLION
    Harry Lighton
    Film d’esordio
 
 

Two Prosecutors: recensione del film di Sergei Loznitsa – Cannes 78

Two Prosecutors recensione film

Nel 1937, all’apice delle purghe staliniane, la giustizia diventa un paradosso e la burocrazia si fa strumento di annientamento. A Cannes 78, il documentarista Sergei Loznitsa sceglie di tornare al cinema di finzione per raccontare una storia dimenticata — o forse mai davvero ascoltata — attraverso Two Prosecutors, un film rigoroso, crudele e spietatamente attuale. Tratto dalla novella omonima di Georgy Demidov, fisico e prigioniero politico del regime sovietico, il film mette in scena il tentativo, tanto ingenuo quanto tragico, di cercare la verità in un mondo costruito per impedirla.

La vera prigione è l’attesa

Il protagonista è Alexander Kornyev (Aleksandr Kuznetsov), giovane procuratore appena nominato in una provincia remota. Idealista, preparato, determinato, Kornyev si imbatte in una lettera proveniente da una delle tante prigioni dell’URSS: un detenuto accusa l’NKVD di torture, arresti arbitrari e false confessioni. Mentre centinaia di richieste simili vengono distrutte ogni giorno, quella lettera — scritta col sangue — sorprendentemente viene letta. E Kornyev, anziché ignorarla, decide di agire. Inizia così un viaggio fisico e mentale tra corridoi chiusi, interrogatori opachi, incontri ambigui e continui rinvii. A ogni passo si scontra con l’apparato stesso che dovrebbe rappresentare, mentre il sistema lo guarda con diffidenza, lo mette alla prova, cerca di farlo desistere. Non è l’eroe di un thriller, ma il testimone tragico di un fallimento annunciato.

Loznitsa struttura il film come una lunga camera di decompressione. La messa in scena è minimalista, quasi teatrale, dominata da inquadrature fisse, composizioni simmetriche, ambienti spogli, silenzi pesanti. Ogni scena è costruita come un duello verbale, ma i dialoghi — spesso reticenti, circolari, dominati dalla paura — sembrano sempre sfuggire alla logica. La tensione non è affidata all’azione, ma al vuoto, all’attesa, alla sensazione che ogni parola detta possa avere conseguenze devastanti.

Il ritmo volutamente dilatato, l’assenza di musica e la scelta di colori desaturati contribuiscono a creare un’atmosfera plumbea, dove lo spettatore viene risucchiato nella medesima trappola sensoriale e morale in cui si dibatte il protagonista. La prigione in cui è ambientata buona parte del film — un ex carcere di Riga costruito nel 1905 e chiuso solo di recente per condizioni disumane — è più che un set: è un corpo vivo, impregnato di sofferenza, e la sua fisicità opprime anche quando non la si vede.

Uno sguardo che inchioda

Two Prosecutors non è il racconto di una scoperta, ma di una presa di coscienza. A metà narrazione, quando Kornyev comprende che il sistema stesso si sta richiudendo su di lui, ogni velleità di giustizia si trasforma in una lenta agonia morale. Come dichiarato dallo stesso regista, il film è attraversato dalle ombre di Gogol e Kafka, ma anche dalla consapevolezza contemporanea che la storia non è affatto finita. Il film è ambientato nel 1937, ma parla con chiarezza al presente: mostra come i sistemi autoritari distruggano i loro stessi ideali, divorando i “veri credenti”, come Kornyev. Lo fa senza moralismi né didascalie, lasciando che sia la forma stessa del film a incarnare l’oppressione.

A completare il quadro c’è un cast corale, internazionale, composto da attori provenienti da Lituania, Lettonia, Israele e altri paesi dell’ex blocco sovietico, molti dei quali hanno lasciato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. La loro partecipazione non è solo una scelta artistica, ma anche una testimonianza di resistenza culturale e politica. La fotografia di Oleg Mutu, già collaboratore di Loznitsa in diversi film, è rigorosa fino all’astrazione. Nessuna camera a mano, nessun movimento: solo l’immobilità di uno sguardo che osserva, inchioda, documenta.

Two Prosecutors non è un film per tutti. Richiede pazienza, attenzione, disponibilità al silenzio e alla complessità. Ma è proprio in questa scelta radicale — nella rinuncia a ogni scorciatoia narrativa o emotiva — che risiede la sua forza. Loznitsa ci mette di fronte a un interrogativo che, oggi più che mai, non possiamo evitare: quanto siamo davvero liberi di parlare, di agire, di comprendere ciò che ci accade? E cosa accade quando il linguaggio stesso viene sequestrato dal potere?

 
 

Sound of Falling: recensione del film di Mascha Schilinsky – Cannes 78

Sound of Falling recensione film

Si vede sempre gli altri dal di fuori, mai sè stessi. Forse, se fossimo in grado di farlo, riusciremmo a cogliere ogni leggera sfumatura di felicità, per potervici aggrappare nei momenti più bui. Momenti di suoni sconcertanti, che uniscono rumori del passato, immutabili ma univocamente legati all’esperienza del singolo. Sono attimi sospesi nel tempo in cui convivono le quattro protagoniste di Sound of Falling, secondo lungometraggio della regista tedesca Mascha Schilinsky, primo titolo in concorso a Cannes 78 che abbiamo visionato.

Antologia di memorie spettrali

Dopo l’interessante Dark Blue Girl (2017) in cui una bambina di 7 anni fa di tutto per riconquistare il primo posto nella vita di suo padre, quando i suoi genitori separati si innamorano di nuovo, con Sound of Falling Schilinsky non cerca la consequenzialità narrativa: crea uno stato d’animo, un’atmosfera sospesa tra sogno e trauma, attraversata da un senso di lutto e fine imminente. Come dicevamo, sono quattro figure femminili a scandire le diverse epoche al centro di questa storia: Alma, bambina dagli occhi grandi, narra la fase più remota, antecedente la Prima guerra mondiale; Erika ci introduce agli anni ’40, con l’avvento del secondo conflitto bellico; Angelika, nella DDR degli anni ’70 e ’80, vive tensioni erotiche con un cugino e uno zio; infine Lenka, nel presente, si innamora di una ragazza enigmatica che ricorda in maniera inquietante la Alma dell’inizio.

“Buffo come le cose che non ci sono più possano ancora fare male”: questo pensiero accomuna tutte le protagoniste del film, che scrutano nel dolore famigliare per scoprire il proprio, immergendo lo spettatore in una poetica ma cupissima rilettura del trauma intergenerazionale, sullo sfondo di una casa di campagna tedesca inquadrata da quattro periodi storici differenti.

Morire per conoscere

Così, sfogliando le pagine di un’antologia di racconti gotici, conosciamo bambine, ragazze e madri che anelano alla morte, si chiedono se, desiderandolo fortemente, il cuore potrebbe davvero smettere di battere; quanto si può fingere di essere felici senza che gli altri se ne accorgano; se solo guardando la vita al contrario ciò che è brutto può diventare bello; cosa significa essere davvero sè stessi. Poste queste domande per la prima volta, non si torna più indietro: si assume una consapevolezza dopo la quale sembra di essere stati rimessi al mondo senza sapere chi si è.

Sound of Falling film

Narratologia inaffidabile

Con Sound of Falling, Shilinsky costruisce un arazzo luttuoso volto all’evocazione più che a formule narrative standardizzate. Il rischio è quello di perdere spesso la bussola, faticare nel seguire più voci intarsiate, una sfida che non tutti vorranno correre. Chi accetterà questo viaggio nel labirinto della morte, troverà comunque degli appigli, similitudini che trascendono lo spazio e il tempo: arti mancanti, desiderio di “interpretare” gli altri per capirli davvero, contatto con l’acqua, una fastidiosa mosca da cui è impossibile sfuggire, sguardi fuori dai corpi e dentro l’essenza dell’anima. Ci sono più punti di vista, riconoscibili ma forse sviscerabili davvero solo a una seconda visione, e altri più ambigui, POV esterni sulla falsariga del recente Presence di Steven Soderbergh, ghost story interamente girata dal punto di vista di un fantasma.

Cadere o volare? Un segreto che non vuole essere condiviso

È nel silenzio della morte, o forse per la prima volta nella vita, che le protagoniste vedono qualcosa di inaspettato, una sfuggevole ritrovata connessione che l’intero film vuole provare a tramutare in immagine. Alma, Erika, Angelika, Lenka e le rispettive madri sembrano tutte destinate a sparire, a morire in modi bizzarri, a dissolversi, a connettersi in un altrove che trascende il mondo reale. Sound of Falling è una notevole e atipica ghost story che si tuffa nelle acque di un fiume che sancisce il confine tra la Germania Est e Germania Ovest, quello che era e che sarà, suggellando un legame forgiato sul senso di non appartenza, che è onnipresenza nel grande disegno delle cose, e permette di vedere ciò che nessuno sa.

 
 

6 motivi per cui Avengers: Doomsday & Secret Wars sono stati ritardati

Avengers: Doomsday film 2026

Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars sono stati rinviati rispetto alle date di uscita originariamente previste, anche se diversi motivi spiegano il perché. Inizialmente, la data di uscita di Avengers: Doomsday era fissata per il 1° maggio 2026. La trama di Avengers: Secret Wars era poi prevista per arrivare nei cinema circa un anno dopo, il 7 maggio 2027.

Nel maggio 2025, è stato annunciato che Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars erano stati rinviati, solo un mese dopo l’inizio della produzione del primo. Ora, Avengers: Doomsday dovrebbe uscire in tutto il mondo il 18 dicembre 2026, mentre Avengers: Secret Wars arriverà un anno dopo, il 17 dicembre 2027. Per molte ragioni, questi ritardi non sono una grande sorpresa. Diversi fattori hanno probabilmente contribuito alla decisione della Marvel Studios, con la speranza che i ritardi possano alleviare alcuni problemi che avrebbero potuto affrontare i giganteschi prossimi film Marvel.

Avengers: Doomsday & Secret Wars hanno bisogno di più tempo per essere prodotti

Robert Downey Jr.
Robert Downey Jr. sarà Dottor Destino in Avengers: Doomsday. Gentile Concessione Disney – (Photo by Jesse Grant/Getty Images for Disney)

Semplicemente non c’era abbastanza tempo per rispettare le date di uscita originali

Il primo, e forse il più semplice, motivo per cui Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars sono stati rinviati è quello di allungare i tempi di produzione. Film di questa portata richiedono spesso molto tempo per essere girati e poi un periodo altrettanto lungo per finalizzare la post-produzione. Avengers: Infinity War, ad esempio, ha iniziato le riprese nel gennaio 2017, il che significa che il film ha avuto circa 16 mesi per essere completato. Avengers: Endgame ha poi iniziato le riprese nell’agosto 2017, dando al film poco meno di due anni di produzione completa.

Avengers: Doomsday, invece, ha iniziato le riprese alla fine di aprile 2025, il che significa che il film avrebbe avuto poco più di un anno per essere girato e completato in post-produzione. Dato che il cast di Avengers: Doomsday è molto più ampio di quello di Infinity War, questa tempistica non sarebbe stata possibile. Concedendo al film sette mesi in più per la preparazione, la Marvel Studios ha garantito che Avengers: Doomsday avrà il tempo necessario per la produzione. L’anno in più consoliderà poi lo stesso per Avengers: Secret Wars.

I ritardi di Avengers: Doomsday e Secret Wars possono aiutare la Marvel a evitare problemi con la CGI

Avengers: Secret Wars film 2027

La Marvel ha avuto problemi con la CGI negli ultimi anni

Partendo dall’ultimo punto, i ritardi di Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars aiuteranno la Marvel a snellire il processo di post-produzione dello studio. Come ho accennato, dare ad Avengers: Doomsday un anno per le riprese e finalizzare la post-produzione sarebbe stato troppo poco, anche se le riprese finissero in sei mesi come previsto dallo studio. Questo darebbe ai tecnici degli effetti speciali solo sei mesi per completare il lavoro e, dati i problemi che la Marvel Studios ha affrontato dal 2019 riguardo alla qualità della CGI, non sarebbe fattibile.

Con le nuove date di uscita, tuttavia, il processo di post-produzione di Avengers: Doomsday ne trarrà sicuramente beneficio. Se Avengers: Doomsday terminerà effettivamente in sei mesi, come hanno indicato i Russo a Collider, la post-produzione potrà durare da ottobre 2025 a dicembre 2026, anziché da ottobre 2025 a maggio 2026. Resta da vedere se i precedenti problemi della Marvel, che ha cambiato troppo in fase di post-produzione invece di pianificare le cose in modo efficiente, siano stati risolti, ma la tempistica più lunga dovrebbe comunque andare a vantaggio di Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars.

Dicembre è tradizionalmente un mese di grandi uscite

Spider-Man 4
Tom Holland in Spider-Man: No Way Home (2021) © Marvel Studios

Il mese di dicembre ha visto in passato alcuni grandi successi al botteghino

I film che incassano 2 miliardi di dollari al botteghino sono rari, solo sette nella storia hanno raggiunto questo traguardo. Di questi, quattro sono usciti a dicembre, con Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame e Ne Zha 2 che sono stati gli unici casi eccezionali. Titanic, Avatar, Star Wars: Il risveglio della Forza e Avatar: La via dell’acqua sono stati tutti distribuiti a dicembre dei rispettivi anni e si sono rivelati grandi successi al botteghino.

Il più grande successo della MCU dopo Endgame è Spider-Man: No Way Home, che ha sfiorato i 2 miliardi di dollari ed è uscito anch’esso a dicembre.

Tra i franchise Avengers e Avatar, la Disney ha già prenotato il mese di dicembre per il 2025, 2026, 2027 e 2029, il che spiega ulteriormente i ritardi di Doomsday e Secret Wars.

Per questo motivo, ha senso che Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars cerchino di sfruttare questa situazione. Anche se ci sarà una forte concorrenza per entrambi i film, che si tratti di Dune 3 per il primo o Il Signore degli Anelli: La caccia a Gollum per il secondo, il dicembre si è dimostrato un mese forte per i film di franchise ad alto budget. Tenendo presente questo, è difficile contestare la scelta della Marvel di scegliere dicembre come mese di uscita dei suoi due prossimi progetti Avengers.

La Disney può distanziare le uscite dei suoi film MCU

I Fantastici Quattro - Gli inizi
Foto di Marvel Studios/MARVEL STUDIOS – © 2025 20th Century Studios / © and ™ 2025 MARVEL.

La scelta della qualità rispetto alla quantità da parte della MCU porterà dei vantaggi

Negli ultimi anni, il ritorno di Bob Iger come CEO della Disney ha visto l’imposizione di un mandato che privilegia la qualità rispetto alla quantità alla Marvel dopo la sua disastrosa Fase 4. Secondo lo stesso Iger, come riportato da THR, Thunderbolts* del 2025 è stato il primo di molti film Marvel in uscita che si adattano a questo formato. Ritardando Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars, la Marvel ha ulteriormente sottolineato il suo impegno in tal senso.

Piuttosto che avere due film MCU a distanza di due mesi l’uno dall’altro nel 2026, data la data di uscita di Spider-Man: Brand New Day prevista per luglio 2026, il calendario delle uscite post-2025 sembra molto meno incentrato sulla quantità per la Marvel. Spider-Man 4 sarà l’unico film MCU di quell’anno, consentendo un intervallo di un anno tra questo e The Fantastic Four: First Steps del 2025 da un lato e un intervallo di 15 mesi tra questo e Avengers: Doomsday dall’altro. Senza altri film MCU confermati per il 2027, Avengers: Secret Wars rimane l’unico obiettivo (per ora).

Disney evita un conflitto tra Marvel e Star Wars

Disney evita il conflitto tra Marvel e Star Wars

Entrambe le franchise possono coesistere felicemente

Uno dei fattori che ha contribuito in modo specifico al ritardo di Avengers: Doomsday è vantaggioso per la Disney nel suo complesso. Se il film fosse uscito il 1° maggio 2026, come previsto inizialmente, sarebbe entrato in conflitto con un’altra grande proprietà della Disney in uscita il 22 maggio dello stesso anno: The Mandalorian e Grogu. L’ultima volta che un film di Star Wars e uno dell’MCU si sono scontrati al botteghino è stato nel maggio 2018, quando Solo: A Star Wars Story è diventato un famigerato flop contro Avengers: Infinity War.

The Mandalorian & Grogu potrà uscire tranquillamente nel maggio 2026, sapendo che il franchise gemello non sarà affatto un peso…

Quando la Marvel Studios ha annunciato l’uscita di Doomsday nel maggio 2026, molti hanno temuto il peggio per The Mandalorian and Grogu. Ora, però, non c’è più alcun problema. The Mandalorian & Grogu potrà uscire tranquillamente nel maggio 2026, sapendo che il franchise gemello non sarà affatto un peso. Sette mesi dopo, Avengers: Doomsday potrà fare lo stesso, risolvendo qualsiasi potenziale conflitto che sarebbe sorto se il film MCU non fosse stato rinviato.

I ritardi di Avengers daranno alla Marvel più tempo per perfezionare le sceneggiature

Avengers: Doomsday & Secret Wars

Che potrebbero essere finite o meno

L’ultimo motivo importante che spiega perché Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars sono stati rinviati è legato alle sceneggiature di entrambi i film. Quando le riprese del primo film sono iniziate nell’aprile 2025, diverse fonti hanno affermato che la sceneggiatura non era ancora stata completata. Ciò è stato confermato da diversi attori del cast di Avengers: Doomsday, come quelli coinvolti in Thunderbolts*, che hanno insistito di non aver ancora letto la sceneggiatura completa nonostante l’inizio delle riprese.

Se questo è il caso di Avengers: Doomsday, attualmente in fase di riprese, significa che Avengers: Secret Wars non sia nemmeno lontanamente vicino alla fine. Ciò potrebbe causare problemi a chi lavora sul set, che non avrebbe una visione chiara e definita della trama del film, così come agli attori che devono prepararsi per i loro ruoli. Detto questo, ora che entrambi i film sono stati rinviati, ci sono molte più possibilità che la Marvel riesca a sistemare i problemi di entrambe le sceneggiature e che Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars possano avere un processo di produzione molto più snello.

 
 

Mission: Impossible – The Final Reckoning, recensione del film con Tom Cruise

Mission Impossible - The Final Reckoning recensione film
Tom Cruise, Simon Pegg, Hayley Atwell, Pom Klementieff e Greg Tarzan Davis in Mission: Impossible - The Final Reckoning. Foto di Paramount Pictures and Skydance/Paramount Pictures and Skydance - © 2025 Paramount Pictures. All Rights Reserved.

Lo avevamo lasciato trionfante Ethan Hunt, riuscito nel finale di Mission: Impossible – Dead Reckoning a recuperare la chiave cruciforme inseguita lungo tutto il film. Sono passati due anni da quel momento e nel frattempo il mondo è profondamente cambiato. L’intelligenza artificiale ha compiuto passi da gigante e le tensioni politiche hanno raggiunto livelli insostenibili. Non sorprende dunque che Mission: Impossible – The Final Reckoning inizi con un Hunt che sembra tutt’altro che reduce da una vittoria. Siamo arrivati all’ultimo capitolo della saga, a quella “resa dei conti” enunciata dal sottotitolo.

D’altronde ogni film di Mission: Impossible ha avuto l’obiettivo di farsi specchio delle preoccupazioni del presente e anche quest’ultimo non è da meno. Anzi, si nota un deciso complicarsi della vicenda tra questo e il precedente capitolo, coerentemente con quanto si è complicata la questione del rapporto con l’AI in questi due anni. Tom Cruise e il regista Christopher McQuarrie portano dunque sullo schermo un racconto che viene ormai difficile considerare fantascienza, concentrandosi a tal punto sulle implicazioni di esso da sacrificare in parte lo spettacolo, che resta però di una ricercatezza superiore di quello dei tanti imitatori.

La trama di Mission: Impossible – The Final Reckoning

All’inizio di Mission: Impossible – The Final Reckoning Ethan Hunt è dunque diventato un fantasma. Ricercatissimo per le sue abilità e le sue conoscenza sull’Entità, egli si tiene nell’ombra indeciso su come agire dinanzi al caos che sta infestando il mondo. Richiamato all’azione dal fidato Benji (Simon Pegg), Ethan accetta di non poter più sottrarsi al suo destino: deve rintracciare il sottomarino Sevastopol, dove l’Entità ha avuto origine, e porre fine per sempre alla sua minaccia. Ma le forze in gioco sono tante e diventa difficile capire di chi potersi fidare quando il mondo è sull’orlo di un olocausto nucleare.

Tom Cruise in Mission Impossible - The Final Reckoning
Tom Cruise in Mission: Impossible – The Final Reckoning. Foto di Paramount Pictures and Skydance/Paramount Pictures and Skydance – © 2025 Paramount Pictures. All Rights Reserved.

La guerra tra la realtà e la menzogna

 Entriamo dunque subito nel vivo con Mission: Impossible – The Final Reckoning. L’Entità ha continuato a prosperare, compiendo proprio quello che ci si aspettava facesse: distorcere la realtà. Mission: Impossible è sempre stata una saga che ha giocato sulla manipolazione delle immagini, sulla distorsione del reale e il valore dell’inganno. Mentre il più delle volte nel corso dei vari film era stato Ethan Hunt ad avvalersi di questi stratagemmi, stavolta è lui (e l’umanità) a subirli, trovandosi al cospetto di un’intelligenza artificiale che abbatte il confine tra vero e falso e così facendo dando vita a profonde crisi sociali.

Di film che hanno messo in guardia da pericoli di questo genere provocati dalle intelligenze artificiali ne è piena la storia del cinema, ma Mission: Impossible – The Final Reckoning riesce comunque a risultare particolarmente d’impatto nel suo intercettare e raccontare ciò che serve di questa realtà ormai attuale. Ce la propone infatti senza particolare bisogno di arricchirla più del dovuto, basta mostrarci la facilità con cui l’AI può alterare le immagini e con cui può impadronirsi degli armamenti e delle testate nucleari che sono in attesa di essere utilizzate. Ed è così che prende vita uno dei villain più temibili della saga.

Il gusto per lo spettacolo di Mission: Impossible – The Final Reckoning

Dato questo pericolo, ha inizio una corsa contro il tempo per porvi fine, che richiederà però ad Ethan di cimentarsi con alcune delle sfide più complesse della sua carriera cinematografica. In particolare, tutta la sequenza che lo porta a doversi introdurre nel sottomarino affondato è assolutamente da brividi. Venti minuti in cui seguiamo Tom Cruise muoversi tra la vastità dell’oceano e spazi angusti, con la consapevolezza che quanto vediamo è stato girato senza l’uso di controfigure, ricostruendo quanto più possibile sul set la situazione poi proposta sullo schermo. Una sequenza, dunque, al termine della quale ci si potrebbe accorgere di essere rimasti con il fiato sospeso, il che la dice lunga sullo spettacolo offerto.

Tom Cruise, Simon Pegg e Hayley Atwell in Mission Impossible - The Final Reckoning
Tom Cruise, Simon Pegg, and Hayley Atwell in Mission: Impossible – The Final Reckoning. Foto di Paramount Pictures and Skydance/Paramount Pictures and Skydance – © 2025 Paramount Pictures. All Rights Reserved.

È vero, a Mission: Impossible – The Final Reckoning mancano sequenze come quella tra i vicoli di Venezia o quella del salto nel vuoto con la moto viste nel precedente film, giusto per citare il più recente. Momenti di grande impatto sia per scelte registiche che per capacità di sfruttare al massimo l’ambiente in cui si svolge l’azione, che regalavano quel grande intrattenimento di cui la saga ha sempre potuto fregiarsi. Questo ottavo capitolo non solleva mai del tutto il piede dal freno (non che ciò sia totalmente un male) e la sequenza nel finale con il biplano imita ma non eguaglia quella con l’elicottero di Mission: Impossible – Fallout.

Nonostante ciò, il nuovo film ha comunque i suoi assi nella manica e sa giocarseli bene. La grande varietà di ambienti presenti nel film – dai sotterranei in cui abita Luther (Ving Rhames) fino agli spazi aperti del Sudafrica, dagli uffici governativi fino alle già citate profondità dell’oceano – permettono al film di riproporre quella varietà di scenari utile a non appesantire la visione, che anzi agilmente attraverso le sue due ore e cinquanta di durata. Scenari attraversati da Tom Cruise, qui più che mai da assumere a last action hero, con il suo corpo pronto a farsi strumento stesso dello spettacolo (oltre a lui, cattura anche qui l’attenzione la Paris di Pom Klementieff).

Fidarsi di Ethan, per un’ultima volta

Tra il suo farsi specchio della realtà e il riaffermarsi quale saga d’azione senza eguali, Mission: Impossible – The Final Reckoning si afferma dunque come un ultimo (?) capitolo meno solido dei precedenti (in più occasioni si avverte un po’ di confusione, che i personaggi devono sciogliere rispiegando più a noi che a sé stessi il proprio piano), ma ugualmente avvincente, entusiasmante ed emotivamente coinvolgente. Sarà anche per il suo rendere esplicito omaggio, sin dalle prime scene, a tutti i capitoli precedenti, riproponendoci i loro momenti più iconici e ricordandoci perché è una grande saga, ma fidarsi di Ethan Hunt e sospendere l’incredulità dinanzi alle sue gesta è sempre un piacere.

 
 

Lilo & Stitch, la spiegazione del finale: cosa succede a Lilo, Stitch e Nani

Lilo & Stitch, la spiegazione del finale

Il film live-action Lilo & Stitch apporta alcune modifiche interessanti al materiale originale, approfondendo la morale della storia e modificandone lo svolgimento. Basato sull’omonimo film del 2002, Lilo & Stitch è incentrato sulla coppia protagonista, una ragazzina hawaiana e l’alieno che lei adotta come “cane”. I due combinaguai sviluppano un forte legame mentre affrontano sia i servizi sociali che potrebbero separare Lilo dalla sorella Nani, sia gli alieni che cercano di catturare Stitch e riportarlo nello spazio.

I personaggi di Lilo & Stitch sono in gran parte tratti dal film originale, anche se ci sono alcune aggiunte intelligenti e importanti modifiche ai personaggi che influenzano la trama. Tra queste c’è un cambiamento molto importante nella trama generale, con uno dei nuovi personaggi che apre un finale completamente diverso. Ecco come il remake di Lilo & Stitch del 2025 differisce dal classico d’animazione e come prepara il terreno per un potenziale sequel.

Perché Lilo & Stitch si separano Lilo e Nani: cosa significa per il loro futuro

Lilo e Stitch vivono separati, ma sono ancora una famiglia

Il lieto fine di Lilo & Stitch separa le due sorelle, ma assicura che rimangano una parte importante della vita l’una dell’altra, grazie all’aiuto di alcuni personaggi originali di questa versione della storia. Lilo & Stitch si concentra maggiormente sulle difficoltà che Nani deve affrontare come tutrice della sorella di sei anni, tra cui il sacrificio di una borsa di studio completa per il college per seguire la sua passione per la biologia marina. L’assistente sociale Mrs. Kekoa è ritratta come una donna incredibilmente comprensiva e gentile, che fa del suo meglio per aiutare Nani a rendersi conto che non è pronta per essere la principale responsabile di Lilo.

Tuttavia, questo non significa che debbano separarsi. Tūtū è un nuovo importante personaggio secondario, presentato all’inizio come vicina della famiglia Pelekai e nonna di David, il ragazzo di cui Nani è innamorata. Offre sostegno e fa del suo meglio per prendersi cura anche di Lilo. Alla fine del film, Tūtū riesce a diventare volontaria per dare una casa a Lilo. Dopo aver ricostruito la casa di Lilo e Nani, quest’ultima può persino andare a trovarle facilmente grazie a un teletrasporto alieno rubato. Anche se sono separate, alla fine del film la famiglia principale di Lilo & Stitch è più unita che mai.

Jumba diventa il cattivo principale di Lilo & Stitch, sostituendo un altro personaggio

lilo & Stitch

Jumba non ottiene il suo classico arco di redenzione

Jumba è un personaggio importante in entrambe le versioni di Lilo & Stitch, uno scienziato brillante ma pericoloso che ha creato Stitch. In entrambi i film, viene mandato sulla Terra per recuperare l’esemplare. Nel film d’animazione originale e nei successivi spin-off, Jumba si adatta alla Terra e alla fine diventa parte della famiglia allargata. Tuttavia, Jumba non ottiene mai quell’arco di redenzione nel film live-action e viene invece posizionato come l’antagonista principale del film. Non arriva mai ad apprezzare la Terra o Pleakley ed è molto più vendicativo nei suoi tentativi di catturare Stitch.

Questo è probabilmente il motivo principale per cui il cattivo del film originale, Gantu, è stato eliminato dal nuovo Lilo & Stitch. Dato che Jumba non diventa mai un buono, non c’era bisogno di un secondo cattivo alieno. Jumba è un antagonista interessante, soprattutto quando si scopre che odia il legame affettivo che Stitch ha instaurato con Lilo. Riposizionando il personaggio come un cattivo, Lilo & Stitch riesce a rafforzare i temi del film, sottolineando come siano le emozioni a contare, non i beni materiali e gli elementi superficiali della famiglia.

Come il finale di Lilo & Stitch si confronta con il film d’animazione

Strutturalmente, i finali di entrambe le versioni di Lilo & Stitch sono molto simili. In entrambe le versioni, Stich e gli altri umani vengono affrontati dalla Gran Consigliera, che permette che l’esilio di Stitch venga commutato in esilio sulla Terra. Tuttavia, molti piccoli dettagli sono diversi, in particolare la presenza di Tūtū che offre a Lilo una casa più stabile mentre Nani persegue le sue ambizioni universitarie. Il film chiarisce che il concetto di “la famiglia non viene abbandonata” deve essere applicato anche alla cura di sé, con Tūtū e la signora Kekoa che ricordano a Nani che deve concentrarsi anche su se stessa.

Pleakley rimane parte della famiglia trovata di Lilo & Stitch, mantenendo il suo ruolo nel film originale. Un altro grande cambiamento è l’agente Bubbles, che nel film live-action è interpretato come un personaggio della CIA più con i piedi per terra. Nel film d’animazione era stato rivelato che l’agente corpulento aveva già contattato gli alieni fuori dallo schermo, ma la sua decisione di aiutare a salvare Lilo invece di denunciare gli alieni è un momento importante per il personaggio e lo porta a diventare anche lui parte integrante della famiglia allargata. Queste simpatiche aggiunte aggiungono un livello di famiglia ritrovata ai temi del film originale.

Come Lilo & Stitch prepara il terreno per un potenziale sequel

Lilo & Stitch si conclude con una nota piuttosto definitiva, con la risoluzione delle vicende di Lilo, Stitch e Nani. Tuttavia, la decisione del film di mantenere Jumba come cattivo potrebbe facilmente essere utilizzata come mezzo per adattare un altro episodio della serie per un sequel. Dopo aver catturato Stitch, Jumba commenta che continuerà i suoi esperimenti e cercherà di creare una versione dell’alieno incapace di provare emozioni. Nel frattempo, Jumba mostra rapidamente sul computer gli altri suoi esperimenti, confermando che Stitch era ben lungi dall’essere la sua prima creazione.

Un sequel di Lilo & Stitch potrebbe esplorare questo concetto in modo più approfondito, riportando anche Jumba come artefice di questo piano nel tentativo di sopraffare Stitch.

Stitch! The Movie e il successivo Lilo & Stitch: The Series si sono concentrati su molti di questi altri esperimenti, seguendo anche Stitch e finendo per schiantarsi alle Hawaii. Un sequel di Lilo & Stitch potrebbe esplorare questo concetto in modo più approfondito, riportando anche Jumba come artefice del piano per sopraffare Stitch. Questo potrebbe essere un modo naturale per espandere la storia originale e presentare i personaggi secondari di Stitch ai nuovi fan.

Il vero significato di Lilo & Stitch

La morale di Lilo & Stitch è simile a quella del film originale, con un’attenzione particolare alla redenzione e all’amore che si possono trovare attraverso la famiglia, sia biologica che adottiva. Entrambi i film sottolineano il concetto che “nessuno viene lasciato indietro” è fondamentale per far parte di una famiglia, arrivando a un finale molto simile. Tuttavia, il film live-action aggiunge alcune sfumature moderne e rinfrescanti a questa morale. Solo perché Lilo e Nani non vivono insieme e Nani va al college non significa che non siano una famiglia.

È importante che Nani abbia un ruolo più centrale in questo nuovo film, che pone maggiore enfasi sulla sua relativa giovinezza e sulle sue ambizioni in stallo. Essere una donna indipendente non la rende meno protettiva e sorella per Lilo, un sentimento che alla fine del film finisce per estendere anche a Stitch. Il vero significato di Lilo & Stitch amplia il nucleo emotivo del film originale e gli conferisce nuovi livelli molto avvincenti.

 
 

Reservatet – La riserva, la spiegazione del finale: cosa è successo davvero a Ruby e perché?

Reservatet - La riserva

La miniserie noir nordica di Netflix Reservatet – La riserva (Secrets We Keep) inizia con una misteriosa scomparsa e termina con una rivelazione scioccante. La serie segue la scomparsa di una ragazza alla pari, Ruby, dalla casa della sua famiglia ospitante in un ricco quartiere di Copenaghen. Mentre i suoi datori di lavoro sembrano non curarsi della sua sorte, la sua vicina, Cecilie, insieme all’amica di Ruby, Angel, e a una detective di nome Aicha, cercano di capire cosa sia realmente successo a Ruby. Il cast di Reservatet – La riserva offre interpretazioni fenomenali che conferiscono profondità ai personaggi, anche nei momenti più cupi della serie.

Man mano che la serie misteriosa si svolge, Cecilie inizia a sospettare che qualcuno vicino a lei sia coinvolto nella scomparsa di Ruby. Dopo aver trovato un test di gravidanza, diventa ancora più preoccupata e confida ad Aicha che Rasmus, il datore di lavoro di Ruby, potrebbe essere coinvolto. Arriva persino a sospettare che suo marito possa aver avuto una relazione con Ruby, ma la verità è ancora più inquietante. Il drama poliziesco mette in luce quanto possa diventare oscuro il comportamento umano e fino a che punto alcune persone siano disposte a spingersi per mantenere il proprio potere.

Katarina ha ucciso Ruby? la spiegazione del confronto con Cecilie nel finale di Reservatet – La riserva

La tensione raggiunge il culmine nell’ultimo episodio di Reservatet – La riserva, quando Cecilie scopre la sconvolgente verità dietro la scomparsa di Ruby. Dopo che il suo corpo è stato trovato in un porto turistico nell’episodio precedente, la polizia è riuscita a concludere che Ruby era incinta, come sospettava Cecilie. La polizia inizialmente sospettava che il marito di Cecilie, Mike, che aveva una precedente condanna per stupro, avesse aggredito Ruby e l’avesse uccisa dopo aver scoperto che era incinta.

Tuttavia, sia Mike che il marito di Katarina, Rasmus, si sottopongono a un test di paternità che dimostra che non sono il padre. È interessante notare che il test di Rasmus ha dato una corrispondenza del 24,1%, indicando che, pur non essendo il padre, è imparentato con il padre. È proprio questo legame che porta Katarina a farsi coinvolgere nel caso per difendere la sua famiglia. Il finale di Reservatet – La riserva rivela che Katarina ha scoperto questo legame da Ruby la notte della sua scomparsa, portando Cecilie a capire che Katarina era l’assassina di Ruby.

Infatti, mantenere implicita la colpevolezza di Katarina sottolinea ulteriormente il punto centrale della serie: non importa se Katarina ha ucciso Ruby, perché sarebbe comunque riuscita a farla franca.

Nei momenti finali della serie, Cecilie affronta Katarina per chiederle se ha ucciso Ruby e, con suo grande orrore, Katarina risponde: “E se l’avessi fatto?” Anche se Katarina ride di quel momento e della morte della sua ragazza alla pari, la risposta è assolutamente terrificante. Katarina non ammette mai completamente di aver ucciso Ruby, anche se è la naturale supposizione a cui la serie porta gli spettatori. Mantenere implicita la colpevolezza di Katarina sottolinea ulteriormente il punto della serie: non importa se Katarina ha ucciso Ruby perché sarebbe comunque riuscita a farla franca.

Il finale di Reservatet – La riserva rivela che Ruby era incinta dopo l’aggressione di Oscar

Reservatet - La riserva

Ruby era la prova del lato oscuro di Oscar

Anche prima di scoprire il ruolo di Katarina nella morte di Ruby, il pubblico giunge a una conclusione sconcertante sul padre del bambino. Dato che Rasmus era compatibile al 24,1% con il DNA del bambino di Ruby, il colpevole doveva essere qualcuno legato a lui. L’unica opzione rimasta era il figlio adolescente di Katarina e Rasmus, Oscar. È chiaro fin dall’inizio che c’è qualcosa di strano in Oscar, soprattutto per via delle sue inquietanti chat di gruppo e delle sue opinioni sulle donne, e Reservatet – La riserva alla fine rivela che ha violentato Ruby, che è rimasta incinta.

Il comportamento di Oscar, dalle minacce a Viggo alle ripetute riprese di Cecilie senza il suo consenso, era problematico fin dall’inizio, ma la rivelazione che un ragazzo così giovane potesse commettere un atto di violenza così orribile cambia profondamente Cecilie.

Nell’episodio finale, Oscar appare nella cucina di Cecilie e ripete l’affermazione che Ruby è stata pagata per amarlo, sottintendendo che non vedeva Ruby nemmeno come un essere umano, ma come un oggetto lì per il suo divertimento.

Perché i ragazzi avevano un messaggio esplicito nel gruppo in Reservatet – La riserva

Reservatet – La riserva introduce abbastanza presto la sottotrama di Cecilie e Mike, il figlio di Katarina e Rasmus, Oscar, che fanno parte di una chat di gruppo esplicita. Le tendenze voyeuristiche di Oscar sono evidenti fin dal primo episodio, e il contenuto esplicito della chat di gruppo viene completamente svelato nel secondo episodio. La serie rivela che se Viggo non pubblica una foto o un video inappropriato, verrà espulso dalla chat di gruppo, mostrando la pressione che i ragazzi esercitano l’uno sull’altro per essere sessisti nei confronti delle ragazze della loro età e delle donne adulte.

I giovani ragazzi ricchi vedono ciò che li circonda come qualcosa che appartiene loro o, per lo meno, qualcosa su cui hanno il controllo.

Sebbene la serie non spieghi mai esplicitamente perché i ragazzi abbiano creato la chat di gruppo, si può presumere che sia legato alla loro visione delle donne e del mondo. I giovani ragazzi ricchi vedono ciò che li circonda come qualcosa che appartiene loro o, per lo meno, qualcosa su cui hanno il controllo. Di conseguenza, non vedono le donne e le ragazze come persone, ma come oggetti, gettando le basi per spiegare perché Oscar abbia finito per violentare Ruby e perché apparentemente non abbia provato alcun rimorso per le sue azioni.

Perché Oscar non viene punito per il crimine commesso contro Ruby

Uno degli aspetti più frustranti di Reservatet – La riserva è la mancanza di giustizia nella sua risoluzione, ma anche questa scelta ribadisce i temi della serie. Nonostante la polizia abbia le prove del DNA che Oscar è il padre del bambino di Ruby e Viggo abbia visto un video di Oscar che stupra Ruby, Reservatet – La riserva si conclude con la polizia che dichiara la morte di Ruby un suicidio. In gran parte, ciò è dovuto al fatto che Katarina aveva cancellato il filmato di Oscar, il che significa che il caso sarebbe stato la parola di Oscar contro quella di Viggo sull’esistenza del video.

Oltre al fatto che Katarina si era sbarazzata delle prove contro suo figlio, la morte di Ruby significava che lei non poteva testimoniare di essere stata violentata. Senza alcuna prova oltre alla gravidanza di Ruby, Katarina e Rasmus avrebbero potuto sostenere che era stata Ruby ad aggredire Oscar, e non il contrario, dato che lui aveva meno di 15 anni. Anche se Cecilie conosce la verità, non è disposta a sottoporre suo figlio a un processo potenzialmente traumatico, dimostrando che il potere della famiglia di Oscar era sufficiente per insabbiare il crimine.

Il vero significato del finale di Reservatet – La riserva

Reservatet – La riserva affronta molte questioni oscure con sottigliezza e sfumature, il che è una parte importante di ciò che lo rende così interessante da guardare. Le questioni più evidenti trattate da Reservatet – La riserva sono quelle di genere e potere, ma anche queste discussioni sono abilmente stratificate. Nell’esempio più evidente, le azioni di Oscar mostrano un chiaro disprezzo per le donne di tutte le età e una mancanza di comprensione del fatto che le persone nella sua vita non sono lì solo per il suo tornaconto. Lo stesso vale per Mike e Rasmus in termini di potere e ricchezza.

Persino Cecilie, l’apparente eroina di Reservatet – La riserva, non riesce a fare i conti con i propri privilegi licenziando Angel e impedendo al figlio di testimoniare contro Oscar, sostenendo così la struttura del potere.

Mike e Rasmus riescono facilmente a proteggere se stessi e Oscar dalle accuse penali e dalla cattiva stampa senza pensarci due volte, ma la critica di Secrets We Keep non si ferma qui. Nonostante subisca il sessismo del marito, Katarina è altrettanto malvagia per aver ucciso Ruby e per le sue microaggressioni nei confronti di Aicha. Allo stesso modo, la serie critica il sistema delle ragazze alla pari che permette a tali disuguaglianze di perpetuarsi. Anche Cecilie, l’apparente eroina di Reservatet – La riservaScopri il finale di Reservatet – La riserva: cosa è davvero accaduto a Ruby e quali segreti si nascondono dietro la sua scomparsa?, non riesce a fare i conti con i propri privilegi licenziando Angel e impedendo al figlio di testimoniare contro Oscar, sostenendo così la struttura del potere.

 
 

S.W.A.T. – Stagione 8, la spiegazione del finale di serie

S.W.A.T. - stagione 8 finale

Il finale di due ore della serie S.W.A.T. ha portato alla squadra 20 due casi importanti e pieni di tensione da risolvere, uno dei quali con delle vite in pericolo. Nel frattempo, bisognava prendere delle decisioni importanti per la carriera e le finanze, mentre la serie doveva trovare un modo per chiudere la storia, anche se era chiaro che c’era dell’altro. Sebbene la squadra 20 abbia salvato la situazione e chiuso la S.W.A.T. – stagione 8, è chiaro che la vita continua e il lavoro deve andare avanti.

Ci sono stati momenti importanti per vari personaggi nel corso dei due episodi, che hanno portato un po’ di chiusura considerando che non ci sarà una S.W.A.T. stagione 9. Gamble (Annie Ilonzeh) ha dovuto affrontare le sue due famiglie, mentre Deacon (Jay Harrington) e Tan (David Lim) hanno dovuto prendere alcune decisioni importanti per il loro futuro. Inoltre, è stata diffusa la notizia di uno spin-off di S.W.A.T. con Shemar Moore, che ha sollevato molte domande su cosa aspettarsi in futuro.

Gamble lotta per essere una buona sorella e una brava poliziotta in S.W.A.T. Stagione 8, Episodio 21

Gamble fa una scelta discutibile

Nel finale della serie S.W.A.T., Gamble si rivolge a suo fratello per avere un’informazione. Si scopre che un ladro d’auto del passato di Hondo (Shemar Moore) e Deacon è ancora vivo, nonostante fosse dato per morto da 10 anni. Dato che il fratello di Gamble lavora nel settore automobilistico, potrebbe aver sentito qualcosa. Lui le mente, dicendole che non ha nulla a che fare con la faccenda, ma lei trova una delle auto rubate di lusso nel suo cortile. La nuova arrivata nella squadra 20 deve prendere una decisione importante, poiché si rende conto che dovrà arrestare suo fratello.

Per quanto abbia cercato di tenere separate le sue due famiglie, non è stato possibile, quindi ha chiesto il trasferimento a Oakland.

Alla fine, decide di non farlo e dice a Hondo che non può essere sia una buona sorella che una brava poliziotta. Per quanto abbia cercato di tenere separate le sue due famiglie, non è possibile, quindi chiede il trasferimento a Oakland. Sebbene Hondo inizialmente sia d’accordo, poiché non può fidarsi di lei, si rende conto che è una persona che vuole nella sua squadra e alla fine le fa capire chiaramente che non appoggerà il suo trasferimento.

S.W.A.T. nel mirino nel finale della serie

Nell’episodio 22 dell’ottava stagione di S.W.A.T., la squadra 20-Squad viene a sapere che un gruppo di mafiosi russi ha piazzato degli ordigni esplosivi in tutta Los Angeles durante la notte nel tentativo di far evadere uno dei loro uomini, Dmitri Rykov, dalla prigione. Hondo capisce subito che non si tratta affatto di un’evasione. Scoprendo che Rykov sarebbe stato scambiato con un prigioniero statunitense in Russia, Hondo ipotizza che questi fosse in possesso di informazioni preziose che mettevano a rischio la mafia russa.

Con Rykov riportato al quartier generale della S.W.A.T., l’edificio diventa l’obiettivo dei mafiosi. Ciò ha portato a una sparatoria al quartier generale con tutta la squadra 20 coinvolta, compresa Gamble, che era tornata per svuotare il suo armadietto e si è trovata lì per caso quando è scoppiata la violenza. Sebbene Ryvok inizialmente lavorasse con la squadra 20, ha finito per tradire la squadra nel tentativo di fuggire. È stato catturato di nuovo, mentre il resto dei mafiosi è stato ucciso o arrestato. Sebbene il quartier generale avesse subito dei danni, le persone all’interno erano al sicuro e Deacon chiarì che era l’unica cosa che contava.

Come l’inaspettata ricchezza di Deacon influisce sulla squadra di Hondo

All’inizio della stagione 8 di S.W.A.T. e alla fine della serie, la squadra scopre che Deacon ha donato 50.000 dollari in beneficenza. Il bonus firmato da Deacon per il lavoro come guardia di sicurezza del centro commerciale era abbastanza consistente da estinguere il mutuo, riempire i fondi per il college dei figli e fare donazioni a cause meritevoli. Ovviamente, la 20-Squad voleva che Deacon usasse una parte dei soldi per sé, ma lui non è quel tipo di persona.

Ha scelto di acquistare orologi Rolex per tutti i membri della squadra, ciascuno con l’incisione “20-Squad, Stay Liquid”.

Alla fine ha trovato un modo per fare un acquisto degno dei suoi obiettivi, e non era solo per lui. Ha scelto di comprare orologi Rolex per tutti i membri della squadra, con ognuno inciso con la scritta “20-Squad, Stay Liquid”. La mia unica lamentela è che non si fa menzione degli orologi per Luca, Chris e Street, che sono ancora membri amati della squadra, ma è stato comunque un bel momento

Allo stesso tempo, Heather ha portato il suo stalking a un livello superiore interagendo con i figli di Deacon, spingendolo a richiedere un ordine restrittivo. Con Annie e i bambini fuori città, Heather ha deciso di introdursi in casa di Deacon, che ha chiamato i rinforzi e insieme a Hondo è riuscito ad arrestare Heather per proteggere Deacon e la sua famiglia.

Tan riceve una nuova offerta di lavoro (ma inizialmente non la vuole)

Sfortunatamente per Tan, la sua task force è stata sciolta nel finale della serie, ma non perché stesse facendo un cattivo lavoro. Hicks ha spiegato a Tan che il criminale che la sua squadra stava cercando era stato catturato, il che significava che non c’era più bisogno della task force. A quanto pare, questi normali controlli stradali metteranno sempre in imbarazzo le task force.

Hicks ha comunque offerto a Tan un altro lavoro, chiarendo che sarebbe stato perfetto come collegamento con il sindaco per la S.W.A.T. All’inizio Tan non voleva quel lavoro, sostenendo di essere più bravo sul campo e di voler rimanere lì. Deacon alla fine convinse Tan ad accettare, dicendogli che c’era sempre il rischio di pericolo, ma che era anche un passo avanti importante per la sua carriera. Quindi, alla fine della serie, scopriamo che Tan ha accettato il lavoro, ma continua a lavorare con la squadra 20.

Come il finale dell’ottava stagione di S.W.A.T. prepara la nona stagione e lo spin-off di Hondo

Dopo l’uscita del finale della serie S.W.A.T., è arrivata la notizia che ci sarebbe stato uno spin-off a sorpresa di S.W.A.T. con Shemar Moore. Nello spin-off, Moore riprenderà il ruolo di Hondo, che esce dal pensionamento forzato per guidare la prossima generazione di agenti. Il finale di S.W.A.T. ha sicuramente preparato il terreno, mostrando che Hondo rimane concentrato sul far crescere i nuovi membri della squadra e sul sostenerne lo sviluppo. Il lato negativo è che Hondo non è stato costretto al pensionamento nel finale, quindi questo dovrebbe essere spiegato all’inizio dello spin-off.

Allo stesso tempo, il finale ha preparato il terreno per una potenziale nona stagione di S.W.A.T., chiarendo che c’è ancora del lavoro da fare. Il finale della serie non ha chiuso completamente tutti gli archi narrativi, dato che nessuno ha lasciato la squadra né è rimasto gravemente ferito. Vediamo Miko, Powell, Gamble, Tan, Deacon e poi Hondo lasciare il quartier generale per lavorare su un altro caso, consentendo a chiunque di loro di tornare in qualche modo in uno spin-off o di far rinascere S.W.A.T. nel prossimo futuro.

 
 

FBI – Stagione 8: cast, trama e tutto quello che sappiamo

FBI - stagione 8

Ancorando un franchise epico di programmi sulla CBS, FBI è stato uno dei successi più costanti della rete e ha già ottenuto il rinnovo per l’ottava stagione. Creata dai maestri della TV Dick Wolf e Craig Turk, FBI segue le vicende degli agenti speciali della divisione criminale dell’ufficio di New York mentre affrontano alcuni dei casi più importanti che la Grande Mela può offrire. Come la maggior parte delle serie poliziesche, FBI si basa principalmente su un formato “un caso a settimana”, ma non perde mai l’occasione di esplorare la vita personale del numeroso cast.

Come la maggior parte delle serie TV di Dick Wolf, FBI ha immediatamente mostrato un potenziale spin-off, e il franchise è stato ampliato con FBI: Most Wanted e FBI: International. Nonostante il grande successo, la serie principale rimane il vero cuore del franchise e ha ricevuto un’attenzione speciale da parte della CBS. Mentre tutte le altre serie FBI hanno ottenuto rinnovi annuali, la serie principale ha ricevuto un ordine triennale dalla CBS nel 2024. Questo elimina ogni suspense sul futuro della popolare serie poliziesca, e gli agenti speciali dell’FBI torneranno non solo per l’ottava stagione, ma anche per la nona.

Ultime notizie sulla stagione 8 di FBI

Una nuova star sta già lasciando la serie

Mentre la stagione 7 continua a trasmettere nuovi episodi, le ultime notizie confermano che un attore protagonista di FBI non tornerà per la stagione 8. È stato ora riportato che la nuova arrivata Lisette Olivera, che avrebbe dovuto unirsi alla stagione 7 nel ruolo di Syd Ortiz, lascerà la serie dopo solo pochi episodi (via Deadline). Ortiz avrebbe dovuto essere la nuova partner di Scola dopo l’addio di Tiffany Wallace, ma la nuova arrivata nel team non resterà a lungo. Non è stata fornita alcuna motivazione ufficiale, ma alcune fonti sostengono che semplicemente non fosse adatta a un ruolo che richiede un’attrice più matura.

Confermata l’ottava stagione di FBI

La CBS ha ordinato altre due stagioni

A differenza di molte altre serie televisive che ogni anno si trovano sotto i riflettori, la CBS ha risolto la questione del futuro di FBI all’inizio del 2024. Anche se Most Wanted e International sono stati rinnovati per una sola stagione, la serie di punta ha ottenuto un rinnovo per tre stagioni tutte in una volta. Questa decisione garantisce a FBI la messa in onda fino alla nona stagione, che andrà in onda nel palinsesto autunnale 2026-2027 (salvo eventuali chiusure a livello industriale). Pertanto, FBI stagione 8 è già in lavorazione e non c’è dubbio che l’ufficio di New York tornerà in azione il prossimo autunno.

  • FBI va attualmente in onda il martedì alle 20:00 EST sulla CBS.

Un ordine per tre stagioni è estremamente raro, ma non è davvero una sorpresa considerando l’enorme popolarità delle serie di Dick Wolf. Il leggendario creatore televisivo raramente sbaglia e ha riscosso un successo particolare con le serie poliziesche. Allo stato attuale, il destino di FBI oltre la nona stagione non è ancora deciso, ma non c’è dubbio che la rete ordinerà almeno un’altra stagione una volta che le tre stagioni saranno terminate. Anche se le altre serie del franchise sono meno certe, FBI ha delle basi solide che potrebbero consentirle di durare per decenni, come Law & Order di Wolf.

La settima stagione di FBI è stata trasmessa per la prima volta il 15 ottobre 2024.

Dettagli sul cast della stagione 8 di FBI

Quali agenti torneranno per la stagione 8

Come la maggior parte delle serie procedurali di lunga durata, il cast di FBI è cambiato diverse volte durante i suoi quasi dieci anni di vita. Ci sono stati anche alcuni cambiamenti nella stagione 7, e questo potrebbe suggerire che la stagione 8 sarà un po’ più stabile in termini di cambiamenti nel cast. Katherine Renee Kane lascerà la serie durante la settima stagione e non sarà presente nell’ottava stagione per riprendere il ruolo dell’agente speciale Tiffany Wallace. La sua sostituta avrebbe dovuto essere la nuova arrivata Lisette Olivera nel ruolo di Syd Ortiz, ma è stato confermato che Olivera non tornerà per l’ottava stagione.

D’altra parte, si prevede che personaggi di spicco come Missy Peregrym torneranno nella stagione 8 nei panni dell’agente speciale Maggie Bell, insieme a Jeremy Sisto nel ruolo dell’assistente SAC Jubal Valentine. È previsto anche il ritorno del resto del team dell’ufficio di New York, e durante tutta la stagione saranno presenti anche guest star, anche se è impossibile indovinare chi saranno in questa fase iniziale.

Dettagli sulla trama della stagione 8 di FBI

Casi ancora più esplosivi per l’ufficio di New York

È difficile prevedere esattamente cosa accadrà nella stagione 8 di FBI per una serie di motivi. Innanzitutto, qualsiasi trama generale sarà delineata nel finale della stagione 7 e sarà quindi imprevedibile fino alla conclusione della stagione. In secondo luogo, il formato “un caso a settimana” significa che la maggior parte degli episodi non è collegata agli altri e di solito è autonoma. Questo lascia la stagione 8 di FBI in sospeso per ora, e solo durante la pausa tra la stagione 7 e la stagione 8 inizieranno a emergere i dettagli sulle trame future.

 
 

FBI – Stagione 7, la spiegazione del finale: c’è un traditore nell’ufficio di New York

FBI Stagione 7 finale

Il promo del finale della settima stagione di FBI prometteva una minaccia per l’ufficio di New York. La domanda era sempre se quella minaccia fosse l’ASAC Jubal Valentine (Jeremy Sisto), come sembrava suggerire il promo. Ovviamente conosciamo Jubal abbastanza bene da sapere che non tradirebbe mai il suo Paese, quindi abbiamo trascorso il finale della settima stagione di FBI alla ricerca di indizi su chi fosse il vero traditore.

Ma non si trattava solo di un traditore all’interno dell’FBI. Con un attacco terroristico che minacciava tutto gli Stati Uniti, la squadra ha dovuto lavorare sotto copertura, senza poter accedere ai propri strumenti abituali, poiché questi erano stati disattivati. Sapendo che l’ottava stagione dell’FBI era in lavorazione, gli sceneggiatori della serie hanno anche avuto l’opportunità di inserire un importante colpo di scena che avrebbe lasciato una vita in bilico.

Chi è il cattivo del finale della settima stagione di FBI e perché rimane una minaccia?

C’è più di un solo traditore

Il finale della settima stagione di FBI inizia con Kevin (Kevin Sussman) che arriva da Jubal con la notizia di un attacco in programma. L’attacco è chiamato “A New Day”, ma Kevin non è disposto a rivelare tutte le informazioni in una volta sola. Ha paura, e a quanto pare ha motivo di averne. A causa di tutto ciò che ha ottenuto dai computer del Dipartimento di Giustizia, è sotto sorveglianza e non ci vuole molto perché la minaccia irrompa nella sede segreta dell’FBI e uccida tutti tranne Jubal.

Dopo aver inviato un segnale di soccorso, un’agente dell’FBI arriva in aiuto di Jubal, ma lui non si fida di lei. È arrivata troppo in fretta, considerando che avrebbe dovuto provenire dall’ufficio di New Jersey. Dopo averla uccisa, Jubal trova un tatuaggio sul suo braccio e scopre che dietro l’attacco c’è un gruppo terroristico chiamato Forefront, che collabora con i cinesi e si è infiltrato nell’FBI tramite dei traditori.

A questo punto, l’ufficio di New York deve essere chiuso, con tutto il personale sospeso dal servizio e senza accesso alla rete dell’FBI.

Forefront è riuscito a far consegnare dei cellulari esplosivi ad altri membri dell’FBI, provocando le esplosioni. A questo punto, l’ufficio di New York deve essere chiuso, con tutto il personale sospeso dal servizio e senza accesso alla rete dell’FBI. Tuttavia, la squadra riesce ad arrivare al fondo della situazione e, mentre il vero traditore viene arrestato, Forefront rimane là fuori, pronto a portare le minacce cinesi negli Stati Uniti nella stagione 8 della serie di Dick Wolf.

Come Jubal è diventato il capro espiatorio più facile (ma chi era il vero traditore)

Era facile capire perché Jubal fosse diventato rapidamente il principale sospettato di tradimento quando il direttore Reynolds (Ben Shenkman) ha iniziato a interrogarlo. Le decisioni sbagliate prese da Jubal in passato e il fatto di essere stato scavalcato per una promozione potevano significare che era disposto a collaborare con un’organizzazione terroristica o ad accettare di essere ricattato.

Naturalmente, Jubal e Isobel (Alana De La Garza) hanno iniziato a chiedersi se fosse stato Reynolds a essere coinvolto nell’attacco iniziale. Questo fino a quando il suo telefono è esploso, uccidendolo all’istante.

Fortunatamente, Maggie è riuscita a raggiungere il pavimento e ha trovato Isobel svenuta, nascondendosi mentre il vicedirettore Keene entrava nella stanza con uno dei suoi tirapiedi. Maggie ha sentito una conversazione che ha chiarito che Keene era il traditore e che aveva fatto tutto questo per prendere il controllo dell’ufficio di New York.

Mentre l’ufficio veniva chiuso e tutti venivano sospesi dal servizio, Maggie tornò dal gruppo per condividere la notizia. Ora erano rimasti senza alcun accesso al mainframe dell’FBI per arrivare al fondo dell’attacco, e dovevano ancora provare che Keene era dietro tutto questo. Con l’accesso alle fonti confidenziali, sapevano di poter fare dei danni, ma solo un membro della squadra era disposto a mettersi in pericolo per sconfiggere Keene una volta per tutte.

Il ruolo di Isobel e il colpo di scena

Nonostante fosse stata inizialmente dichiarata morta, Isobel è arrivata al nascondiglio dove OA (Zeeko Zaki), Maggie, Dani (Emily Alabi), Scola (John Boyd), Elise (Vedette Lim), Ian (James Chen) e Jubal si erano riuniti per capire la situazione. Superato lo shock iniziale, il gruppo ha capito che avrebbe dovuto lavorare con le proprie fonti interne per scoprire il motivo per cui otto agenti in particolare erano stati attaccati. Tutto riconduce agli operatori che indagavano sui casi di influenza.

Con queste informazioni, Isobel è tornata in ufficio e ha rivelato di essere sopravvissuta. Inoltre, ha detto di essere d’accordo con Keene e di volerlo aiutare, e che è disposta a rivelare dove si trovano Maggie e OA, aggiungendo che stanno lavorando in segreto per catturare Keene. Naturalmente, Keene le fa il gioco e manda una squadra dal gruppo, che sta aspettando che i terroristi si facciano vivi.

Con Forefront temporaneamente fuori gioco, Isobel rivela di aver registrato l’intera conversazione, in cui Keene ammette di collaborare con i cinesi. Anche uno dei suoi uomini è disposto a rilasciare una dichiarazione al riguardo. Sembra che l’FBI abbia vinto e salvato la situazione, fino alla fine dell’episodio. Il finale della settima stagione di FBI si conclude con Isobel che fatica a parlare durante un discorso, poi sviene e Maggie rivela che non ha polso.

Come il finale della settima stagione prepara l’ottava

La domanda più importante che si pone alla vigilia della stagione 8 della serie di punta FBI è se Isobel sopravviverà. Durante tutta la stagione 7 c’erano già state preoccupazioni che potesse lasciare l’ufficio di New York, ma alla fine ha chiarito che si fidava dei suoi colleghi e che non vedeva l’ora di lavorare con loro. Potrebbe aver subito alcune complicazioni tardive a causa dell’esplosione all’inizio dell’episodio, il che non sorprende considerando che non ha ricevuto cure mediche quando avrebbe dovuto, e ora la squadra potrebbe dover affrontare il dolore, oltre alla minaccia terroristica ancora in atto.

Questo permetterà a Jubal di sostituirla temporaneamente nella sua posizione, dimostrando che non dovrebbe più essere frenato nella sua carriera.

Anche se Isobel sopravviverà, probabilmente dovrà prendere un congedo per motivi di salute. Questo permetterà a Jubal di assumere la sua posizione, dimostrando che non dovrebbe essere frenato nella sua carriera. Ciò significa anche che qualcun altro dovrà essere promosso temporaneamente alla posizione di Jubal, che potrebbe essere Maggie o OA.

Allo stesso tempo, c’è ancora una minaccia nella stagione 8 di FBI. Forefront è ancora là fuori e, anche se i terroristi avranno bisogno di tempo per riorganizzarsi, è chiaro che le minacce internazionali sono motivo di preoccupazione. Inoltre, ci sono persone all’interno dell’FBI che erano d’accordo con Keene e potrebbero ancora nascondersi nell’ombra, offrendo a Forefront una nuova possibilità.

 
 

Your Friends & Neighbors – Stagione 1 Episodio 8, la spiegazione del finale

Your Friends & Neighbors - Stagione 1 Episodio 8

La storia si svolge a passo di lumaca nell’ottavo episodio di Your Friends and Neighbors, ma prepara perfettamente il terreno per l’arco narrativo finale della stagione. Il personaggio interpretato da Jon Hamm, Andrew Cooper, riesce a essere rilasciato su cauzione nell’ultima puntata della serie originale Apple TV+. Tuttavia, il caos regna sovrano quando la maggior parte delle persone che lo conoscono si dividono sul suo coinvolgimento nell’omicidio di Paul. Mentre personaggi come la moglie di Choi e Sam cambiano improvvisamente schieramento, altri come Choi, Mel e i figli di Cooper si rifiutano di credere che lui abbia qualcosa a che fare con l’omicidio.

Your Friends and Neighbors non ha ancora rivelato l’identità dell’assassino, ma sembra evidente che Andrew Cooper non abbia commesso il crimine. Tuttavia, se il vero autore del delitto non verrà trovato presto, Cooper potrebbe trovarsi in guai seri. I problemi di Cooper aumentano notevolmente nell’episodio 8 di Your Friends and Neighbors, quando scopre che qualcuno ha rubato tutti i soldi che aveva guadagnato derubando i suoi ricchi vicini. Questo potrebbe significare che intraprenderà un’altra avventura di furti e rischierà di essere catturato nel finale della serie?

La spiegazione del monologo di Cooper alla fine dell’episodio 8

Il monologo di Cooper riflette su quanto le cose siano degenerate senza che lui se ne rendesse conto

Nei momenti finali dell’episodio 8 di Your Friends and Neighbors, Cooper incontra la sua ex moglie e le racconta di come le cose siano peggiorate notevolmente negli ultimi giorni. Lei gli chiede come sono finiti in quella situazione. Prima che inizino i titoli di coda dell’episodio, Cooper va a correre mentre la domanda di Mel continua a risuonare nella sua testa. Ripensando a tutto quello che gli è successo nelle ultime settimane, anche lui si chiede come le cose siano potute andare così male.

Ricorda tutto, dal licenziamento ai furti nel quartiere, chiedendosi se sia ancora possibile tornare indietro e rimediare ai propri errori. Quando capisce davvero quanto la situazione sia degenerata, si rende conto che potrebbe essere troppo tardi per tornare indietro e sistemare le cose. Sebbene l’ottavo episodio di Your Friends and Neighbors non presenti sviluppi significativi nella trama, il finale lascia intendere che Cooper è sul punto di crollare. Una volta che ciò accadrà, inizierà a “diventare cattivo” e supererà diversi limiti morali per garantire la propria sopravvivenza.

Chi ha rubato i soldi di Cooper?

Sembra che sia stata Elena

Dopo essere tornato a casa dal carcere, Cooper si guarda intorno nella sua casa sperando di trovare i soldi che aveva accumulato con i suoi furti. Tuttavia, con sua grande sorpresa, i soldi non si trovano da nessuna parte. Inizialmente si chiede se la polizia abbia trovato il suo nascondiglio e lo abbia confiscato. Questo pensiero non lo assilla a lungo, però, perché si rende conto che le uniche prove concrete che hanno trovato contro di lui sono la pistola nella sua auto e i campioni del suo DNA a casa di Sam. Nel corso dell’episodio, una scena mostra Elena che incontra l’uomo che chiedeva soldi a suo fratello nell’episodio 7 di Your Friends and Neighbors.

Elena gli consegna una borsa piena di soldi e gli chiede di stare lontano da suo fratello. L’uomo protesta, ma Elena gli fa capire che non cambierà idea. Questa scena rende evidente che Elena ha rubato i soldi da casa di Cooper subito dopo il suo arresto e li ha usati per pagare il debito di suo fratello. Cooper potrebbe non avere modo di scoprire chi ha preso i suoi soldi, ma Elena potrebbe alla fine dirgli la verità, a seconda che voglia collaborare di nuovo con lui.

Perché Choi dice che non gli importa se Cooper ha ucciso Paul

Choi lo considera il suo migliore amico, indipendentemente dalle sue azioni

Choi, Nick e Cooper escono a festeggiare nell’ultima parte dell’episodio. Dopo una notte di divertimento, i tre finiscono su un campo da golf, dove Nick si addormenta mentre Cooper e Choi parlano di tutto quello che è successo loro fino a quel momento. Quando Cooper lo spinge a chiedergli dell’omicidio, Choi lo liquida dicendo che non gli importa più se ha commesso il crimine. Cooper continua a assicurargli che non ha ucciso Paul, il che aiuta Choi a sentirsi un po’ sollevato.

Questa sequenza stabilisce che, anche se Choi sospetta che Cooper abbia fatto qualcosa di losco per mantenersi a galla, crede che non arriverebbe mai al punto di fare del male a qualcuno. Nel profondo, sembrava sapere che Cooper non era capace di uccidere qualcuno a sangue freddo. Tuttavia, aveva paura che Cooper non fosse più la persona che conosceva. In un momento di spensieratezza, Cooper coglie l’occasione per raccontare a Choi delle sue attività di ladro. Tuttavia, con suo grande disappunto, prima che Choi possa ascoltarlo, cade a terra e si addormenta.

La spiegazione delle analogie tra la vita di Choi e quella di Cooper

Entrambi i personaggi mettono in discussione lo stile di vita che si sono creati

Your Friends and Neighbors stabilisce molte analogie tra le narrazioni di Cooper e Choi. Cooper era il cliente più importante di Choi. Pertanto, il declino finanziario di Cooper ha un impatto negativo anche su di lui. Mentre Cooper lotta per stare al passo con le crescenti esigenze della sua famiglia e trova difficile liberarsi dei lussi inutili di cui si è circondato, anche Choi non riesce a capire come e quando le cose siano andate così male per lui. Le crescenti richieste di sua moglie lo opprimono e lui si chiede perché possiede così tanta spazzatura inutile.

Forse l’unica differenza tra i due personaggi di Your Friends and Neighbors è che Cooper ha già infranto la legge per garantire la propria sopravvivenza. Se Choi scoprisse cosa ha fatto, potrebbe diventare suo alleato o costringerlo a smettere prima che sia troppo tardi. Oppure, se la moglie di Choi lo costringesse a stare lontano da Cooper, potrebbe persino allontanarsi dal suo migliore amico e lasciarlo affrontare da solo le conseguenze delle sue azioni.

Perché Mel difende Cooper quando Sam lo chiama assassino

Mel sa che Cooper non ucciderebbe mai nessuno

Sam e Mel si incontrano in un bar nei primi minuti dell’episodio 8 di Your Friends and Neighbors. Sam cerca inizialmente di aprire la conversazione in modo piacevole, riconoscendo che si trovano in una situazione imbarazzante. Tuttavia, Mel risponde in modo sarcastico, il che porta presto a un grave scontro tra i due. Con ciò che segue, Sam solleva la possibilità che Cooper sia l’assassino di Paul, ma Mel cerca di difenderlo. Ben presto, i due personaggi finiscono per azzuffarsi prima che Nick li separi.

Il sostegno di Mel nei confronti di Cooper nell’episodio di Your Friends and Neighbors dimostra che, nonostante i sentimenti contrastanti verso quasi tutto, lei conosce bene Cooper e crede che non sia capace di uccidere qualcuno.

Il fatto che Sam cerchi di addossare la colpa del crimine a Cooper la rende sospettosa, rendendo difficile non chiedersi se stia cercando di proteggere se stessa. È anche interessante vedere come Mel sostenga il suo ex marito anche quando quasi tutti sembrano sospettare di lui. Il sostegno di Mel nei confronti di Cooper nell’episodio Your Friends and Neighbors dimostra che, nonostante i suoi sentimenti contrastanti verso quasi tutto, conosce bene Cooper e crede che non sia capace di uccidere qualcuno.

 
 

Bet – Stagione 1, la spiegazione del finale: cosa è successo ai genitori di Yumeko

Bet - Stagione 1

La serie Bet di Netflix si conclude con Yumeko Kawamoto che raggiunge il suo obiettivo e le sue vere intenzioni vengono alla luce. La scena iniziale dell’ultimo adattamento live-action di Kakegurui inizia con Yumeko che si iscrive all’esclusiva St. Dominic’s Prep, nota per le scommesse ad alto rischio in cui sono coinvolti gli studenti. Yumeko, una giocatrice compulsiva, viene coinvolta nel caotico mondo della St. Dominic’s, battendo i migliori giocatori della scuola e perdendo anche alcune partite durante la sua ascesa fulminea verso la vetta.

Inizialmente, Yumeko non è vista come una minaccia, ma la sua capacità di finire in testa anche nelle partite che gli altri studenti sono sicuri che perderà attira l’attenzione del presidente del consiglio studentesco della St. Dominic’s, Kira. Mentre si lascia coinvolgere con entusiasmo dai famigerati giochi d’azzardo, Yumeko non perde di vista il suo obiettivo, che è quello di scoprire chi ha ucciso a sangue freddo i suoi genitori. Quando ottiene un posto nell’ambitissimo consiglio studentesco, Yumeko finalmente si trova faccia a faccia con l’assassino dei suoi genitori e li vendica alla fine della serie TV live-action di Netflix.

Cosa è successo ai genitori di Yumeko in Bet

I genitori di Yumeko sono stati uccisi perché hanno tradito il Kakegurui Club

Fin dall’inizio di Bet, Yumeko aveva un solo obiettivo. Voleva uccidere chi aveva ucciso i suoi genitori e non era troppo interessata a scoprire cosa avesse portato alla loro morte. Per Yumeko, il fatto che fossero stati uccisi era più importante del motivo dietro al loro omicidio. Man mano che approfondiva il mistero, giunse erroneamente alla conclusione che il padre della sua compagna di stanza fosse l’assassino dei suoi genitori perché aveva lo stesso nome della persona con cui li aveva sentiti litigare. Il piano di Yumeko per uccidere Ray non funzionò, il che si rivelò una fortuna perché lui non era il vero colpevole.

La persona che aveva avuto un ruolo nella loro morte era in realtà il padre di Michael. Alla fine di ogni trimestre, i membri del consiglio studentesco del St. Dominic hanno la possibilità di incontrare il consiglio scolastico, il che rappresenta un’opportunità per Yumeko di vendicare i suoi genitori. Il giocatore compulsivo inizialmente ha cercato di avvelenare Ray, ma ha fallito e alla fine lei e Kira hanno ingerito la sostanza letale. Mentre i due adolescenti giocavano d’azzardo per l’antidoto, Kira ha fornito alcune informazioni illuminanti su Keiko e Jo Jobami.

Sebbene fosse stato Ray a dare fuoco a Keiko e Jo, dietro il loro omicidio c’era l’intero Kakegurui Club.

I genitori di Yumeko avevano creato una valuta digitale che avrebbe aiutato a distribuire la ricchezza del Kakegurui Club ad altri membri della società. Quando i loro amici scoprirono cosa stavano progettando Keiko e Jo, mandarono Ray a fermarli prima che perdessero tutto ciò che avevano. Sebbene sia stato Ray a dare fuoco a Keiko e Jo, dietro l’omicidio c’era l’intero Kakegurui Club. In un interessante colpo di scena, Ray, prima di esalare l’ultimo respiro, ha rivelato che la madre di Yumeko potrebbe essere ancora viva.

Come Yumeko vendica la morte dei suoi genitori

Yumeko uccide Ray nel finale di stagione di Bet

Yumeko uccide Ray nel finale di stagione di Bet

Sebbene Yumeko desse l’impressione di amare semplicemente il gioco d’azzardo e il rischio, dietro quella facciata si nascondeva un oscuro segreto. La morte dei suoi genitori aveva lasciato un segno indelebile nella giovane Yumeko e vendicarli era diventato lo scopo della sua vita. Anche quando scoprì che Ray era il padre di uno dei suoi amici più cari, non si lasciò fermare. Quindi, quando ebbe l’occasione di vendicarsi, non ci pensò due volte.

Quando Yumeko incontrò Ray alla riunione tra il consiglio studentesco e i membri del consiglio di amministrazione, avvelenò il suo drink, ma lui non lo bevve perché Kira glielo aveva portato via. Tuttavia, ebbe un’altra opportunità quando il suo nuovo partner le porse un drink con lo stesso veleno letale che lei aveva intenzione di dargli in un primo momento. Yumeko pugnalò Ray con un frullatore e lui morì, ma le lasciò un mistero riguardo al destino di sua madre.

Perché Kira si allea con Yumeko alla fine della prima stagione di Bet

Kira vuole riconquistare il suo posto nel consiglio studentesco

Dire che Kira e Yumeko non andavano d’accordo sarebbe un eufemismo. Ma, cosa interessante, i due finiscono per formare una coppia nel finale della serie. Come Yumeko, anche la vita di Kira è stata plasmata dai suoi genitori, solo in modo diverso. Kira voleva compiacere suo padre e ereditare il suo impero una volta che lui l’avesse ritenuta pronta. Ma con sua grande sorpresa, lui ha scelto sua sorella come presidente del consiglio studentesco.

Bet è ambientato negli Stati Uniti, mentre Kakeguri è ambientato in Giappone.

Quindi, quando Kira ha scoperto che suo padre era coinvolto nell’omicidio di Keiko e Jo, ha naturalmente unito le forze con Yumeko nella speranza di farlo cadere. Sebbene abbia aiutato Yumeko a fuggire dopo che questa ha ucciso Ray, non c’è modo di sapere se Kira rimarrà fedele alla loro alleanza, dato che ha passato tutta la vita cercando di compiacere suo padre. Non sarà facile per Kira spegnere quella parte di sé, anche se questo significa ottenere ciò per cui ha lavorato così duramente.

Ryan e Yumeko finiranno insieme in Bet?

Ryan e Yumeko sono ancora amici nel finale di stagione di Bet

Bet di Netflix non è una serie molto romantica. La serie si concentra invece su Yumeko e la gerarchia al St. Dominic’s. Tuttavia, c’è una storia d’amore che sboccia tra Yumeko e Ryan. Ryan si è innamorato all’istante di Yumeko, ma non sembrava che lei provasse lo stesso per lui. Anche quando lei gli ha offerto di prendere la sua verginità, era più per vincere una scommessa che perché provava qualcosa per lui. Quindi, anche se Ryan ha aiutato Yumeko a scappare, i due non hanno instaurato un legame romantico nel finale della serie live-action.

Come il finale di Bet prepara la seconda stagione

Bet non si è concluso con tutte le domande risolte, il che prepara naturalmente il terreno per una seconda stagione. Nel finale di Bet, Ray è morto, rendendo Michael il capo dell’organizzazione criminale di suo padre. Dato che aveva cercato di impedire a Yumeko di uccidere Ray, potrebbe voler vendicare la sua morte, anche se non avevano un rapporto stretto. Yumeko ha anche promesso a Kira che l’avrebbe aiutata a ottenere il controllo del consiglio studentesco, quindi il cambiamento nella loro dinamica gioca un ruolo enorme in ciò che può accadere nella potenziale seconda stagione del dramma scolastico.

Come il finale della prima stagione di Bet cambia l’anime

Quando è stato annunciato che Netflix avrebbe realizzato un altro adattamento live-action di Kakegurui, era chiaro che la nuova serie sarebbe stata molto diversa dall’anime. Bet apporta diverse modifiche a Kakegurui, tra cui l’ambientazione, il titolo e il motivo per cui Yumeko si trova al St. Dominic’s. Quindi, naturalmente, il finale di Bet è leggermente diverso dall’anime.

Nel finale di Bet, Yumeko scappa, si allea con Kira e sopravvive per combattere un altro giorno dopo aver vendicato i suoi genitori. L’anime, invece, si conclude con Ririka che trama per sconfiggere Yumeko. Nonostante queste differenze, ci sono alcune somiglianze tra Bet e Kakegurui, in quanto Kira e Yumeko non finiscono per diventare nemici, ma conoscenti che hanno imparato a rispettarsi a vicenda.

 
 

Fear Street: Prom Queen, la spiegazione del finale e dell’identità dell’assassino

Fear Street: Prom Queen spiegazione finale

Il film indipendente su Netflix Fear Street, Fear Street: Prom Queen, conduce a un finale ricco di azione che risponde alla domanda sull’identità e le motivazioni dell’assassino. Il 2021 è stato un anno eccellente per gli appassionati di slasher, e la trilogia Fear Street è stata una delle ragioni principali. Quattro anni dopo, Fear Street: Prom Queen, ambientato nella stessa città e nella stessa linea temporale ma indipendente, continua il divertimento. La storia, ambientata nel 1988, segue una ragazza adolescente di nome Lori Granger che è in corsa per diventare reginetta del ballo contro la regina del liceo Shadyside, Tiffany Falconer, e il suo branco di lupi.

La notte prima del ballo, un killer con un impermeabile rosso e una maschera nera inquietante uccide una delle candidate a reginetta del ballo, il primo di una lunga serie di omicidi. La violenza continua il giorno del ballo, quando il killer del ballo inizia a fare a pezzi e pugnalare i personaggi di Fear Street: Prom Queen a un ritmo allarmante, concentrandosi sulle candidate al titolo di reginetta. Lori deve sopravvivere alla notte sanguinosa con la speranza di vincere la corona.

La spiegazione dell’identità e le motivazioni del killer in Fear Street: Prom Queen

Fear Street: Prom Queen include due killer (e un aspirante killer)

Il colpo di scena più interessante di Fear Street: Prom Queen è il fatto che non c’è un solo killer. Il film di R.L. Stine si è ispirato a Scream VI, rivelando che tutti e tre i membri della famiglia Falconer sono i cattivi. Dan e Nancy Falconer sono i due che sicuramente si nascondono sotto la maschera del killer, dato che Tiffany è al ballo con i suoi amici quando avvengono la maggior parte degli omicidi. Entrambi i genitori vogliono assicurarsi che Tiffany vinca il titolo di reginetta del ballo. Tuttavia, Nancy ha anche una motivazione nascosta. Lei nutre rancore nei confronti della famiglia Granger, accusandola di aver portato via tutto ciò che spetta ai Falconer.

Alla fine del film Fear Street, tutte le candidate al titolo di reginetta del ballo, tranne Lori, sono morte…

D’altra parte, Tiffany molto probabilmente non ha ucciso nessuno dei suoi compagni di classe, considerando la tempistica degli omicidi. Tuttavia, tenta di uccidere Lori a casa dei Falconer dopo che Lori ha vinto il titolo di reginetta del ballo. Tiffany pensa di meritare il titolo e incolpa Lori di averle rubato Tyler. Inoltre, il fatto di essere stata cresciuta da un assassino probabilmente l’ha condizionata a credere che l’omicidio sia una soluzione accettabile alla rabbia.

Chi muore e chi sopravvive in Fear Street: Prom Queen

Fear Street: Prom Queen

Numero totale di omicidi nella serie di film Fear Street: 129

Come la trilogia di Fear Street, Fear Street: Prom Queen è pieno di omicidi raccapriccianti che scioccano il pubblico. Non è una storia per i deboli di cuore, poiché gli omicidi sono violenti e sanguinosi proprio come quelli dei film precedenti. Alla fine del film Fear Street, tutte le candidate a reginetta del ballo tranne Lori sono morte, oltre a un sacco di studenti, il signor Stokeland, Nancy e forse anche il preside.

In totale, muoiono da dodici a quattordici persone (solo due non per mano di un Falconer) in un’ora e mezza, il che è in linea con il numero di vittime degli altri assassini di Fear Street. Anche se il preside respira ancora quando arriva l’ambulanza, viene incluso nel conteggio delle vittime perché le sue ferite lo porteranno quasi certamente alla morte in ospedale.

La maggior parte dei liceali al ballo riesce a scappare perché scappa non appena un assassino entra nella palestra. Le uniche vittime specifiche e nominate che sopravvivono ai Prom Killers sono Lori e Megan. Megan sospetta immediatamente che le persone stiano morendo a causa della sua conoscenza dell’horror, ma in un nuovo colpo di scena, non è la sua conoscenza dell’horror a salvarle la vita. È invece Lori a salvare la sua migliore amica.

Nel frattempo, Lori è la protagonista femminile ufficiale di Fear Street: Prom Queen. Fin dall’inizio del film, è silenziosamente resiliente, determinata e una sopravvissuta. Tuttavia, non riconosce queste caratteristiche di sé stessa fino a quando non sopravvive all’intero film. La sua dichiarazione, “Sono Lori Granger, cazzo”, dimostra che finalmente ha accettato la sua forza interiore.

Cosa è realmente successo al padre di Lori Granger

Fear Street: Prom Queen

La madre di Lori Granger è innocente dell’omicidio del padre di Lori

La morte del padre di Lori Granger incombe su tutto Fear Street: Prom Queen. Sua madre, Rosemary, è stata accusata dell’omicidio del padre circa 18 anni e mezzo prima, segnando la famiglia con una metaforica lettera scarlatta. Secondo la leggenda di Shadyside, Rosemary si innamorò di un ragazzo dell’altra parte della città che la voleva solo per sesso. Dopo essere rimasta incinta, scoprì che lui non era davvero innamorato di lei, così gli tagliò la gola vicino al fiume.

Questa cattiva reputazione spinge Lori a cercare la perfezione, a preoccuparsi dell’opinione degli altri e a candidarsi come reginetta del ballo. Durante tutto il film rimane convinta che sua madre non sia colpevole, e alla fine scopre di avere ragione.

Alla fine di Fear Street: Prom Queen, Nancy Falconer rivela di essere stata lei a tagliare la gola al padre di Lori. Lei usciva con lui prima di Rosemary e si era arrabbiata perché lui non la amava. Nancy incolpava anche Rosemary di averglielo rubato. Per questo ha ucciso il padre di Lori e ha incastrato Rosemary, punendo l’adolescente incinta.

Come la scena dei titoli di coda di Fear Street: Prom Queen si collega alla famiglia Goode

Nancy potrebbe essere una delle vittime della famiglia Goode

Fin da quando R.L. Stine lo ha annunciato, Fear Street: Prom Queen è stato etichettato come un film a sé stante, e questo alla fine si è rivelato vero. Tuttavia, la scena a metà dei titoli di coda del film del 2025 include un sottile collegamento con la trilogia originale di Fear Street. Nancy giace a terra morta con il sangue che le cola dalla testa e si raccoglie sul pavimento, formando un simbolo che i fan riconosceranno. Il sangue di Nancy diventa il Marchio della Strega, noto anche come Marchio del Diavolo, dei film originali.

La famiglia Goode sacrifica ogni dieci anni un abitante di Shadyside affinché diventi un assassino all’interno del Marchio della Strega. Inoltre, il simbolo è visibile sulla copertina del libro che viene preso nella scena a metà dei titoli di coda alla fine di Fear Street: Part 3 – 1666. Questo solleva la questione se Nancy fosse una delle vittime sacrificali della famiglia Goode. È certamente una possibilità, anche se sarebbe piuttosto lenta da sviluppare. Avrebbero dovuto sceglierla come vittima prima del 1978, dato che Nancy ha ucciso il padre di Lori 18-19 anni prima di Fear Street: Prom Queen.

Fear Street: Prom Queen – Spiegati gli altri collegamenti con la trilogia di Fear Street

Fear Street: Prom Queen include alcuni riferimenti a Fear Street: Part Two – 1978

A parte il simbolo nella scena a metà dei titoli di coda di Fear Street: Prom Queen, il film rimane per lo più distante dalla trilogia originale. All’inizio del film, Lori guarda un poster del Camp Nightwing e il film passa a dei flashback degli omicidi del 1978. Poi, alla fine di Fear Street: Prom Queen, un primo soccorritore spiega che il massacro al ballo scolastico è “peggio del ’78. Nonostante questi riferimenti, i film non sono collegati narrativamente, né ci sono personaggi importanti della trilogia in quel film.

Ci saranno altri film di Fear Street dopo Prom Queen?!

Gli amanti della trilogia Fear Street e di Fear Street: Prom Queen sono fortunati. Il quarto capitolo non sarà l’ultimo film della serie. Nel gennaio 2025, l’autore R.L. Stine ha annunciato in un’intervista a The Hollywood Reporter che altri tre film di Fear Street sono in fase di sviluppo dopo Fear Street: Prom Queen.

Stine non ha fornito dettagli sui libri da cui saranno tratti, ma ce ne sono molti tra cui scegliere. Tuttavia, molto probabilmente non saranno collegati al film del 2025, poiché si tratta di un film a sé stante ambientato a metà della trilogia originale. Se Fear Street: Prom Queen avrà lo stesso successo della trilogia originale, speriamo che il team creativo dedichi più attenzione e tempo alla realizzazione di questi film il prima possibile.

 
 

Doctor Odyssey – Stagione 1, la spiegazione del finale: Avery prende una decisione che cambia le carte in tavola

Doctor Odysseys spiegazione finale stagione 1

Ci sono stati innumerevoli alti e bassi che hanno portato al finale della prima stagione di Doctor Odyssey, ma l’equipaggio di The Odyssey lascia la storia in un buon punto in attesa del rinnovo. Il cast di Doctor Odyssey è uno dei principali punti di forza della serie per molti fan, ma la vera star dello show è la storia stravagante che si svolge nel corso degli episodi. Da una coppia innamorata a un attacco di orche, la serie ha trattato argomenti che la maggior parte degli altri drammi medici non avrebbe mai osato affrontare.

Resta da vedere se lo show verrà rinnovato, ma sembra probabile che la storia diventerà ancora più stravagante nella seconda stagione di Doctor Odyssey. Fino ad allora, il finale della prima stagione di Doctor Odysseysi conclude in modo abbastanza ottimistico da poter fungere da finale di serie, se necessario. E sembra probabile che la serie otterrà una seconda stagione, considerando che gli ascolti di Doctor Odyssey hanno superato persino quelli della serie di successo della ABC Grey’s Anatomy. Se lo show avrà un’altra stagione, sarà divertente vedere come manterranno lo slancio dopo alcuni importanti colpi di scena nel finale.

La decisione rivoluzionaria di Avery spiegata

Alla fine ha dovuto scegliere tra la scuola e Max

Sin dal triangolo amoroso tra Max, Avery e Tristan nell’episodio 6, il triangolo amoroso di Doctor Odyssey è stato uno degli elementi centrali della serie. Ma Max ha gettato tutto alle ortiche quando ha confessato di essere innamorato di Avery. Nonostante abbia avuto modo di affrontare nuove sfide entusiasmanti, come gestire un reparto di emergenza improvvisato e assistere a un intervento chirurgico eseguito con un trapano elettrico, Avery ha trascorso entrambe le parti del finale cercando di decidere se ricambiava segretamente i sentimenti di Max. Alla fine della stagione, arriva a una risposta. Il problema principale di Avery nell’intraprendere una relazione seria con Max è che non crede di poter gestire una relazione a distanza mentre cerca di superare gli esami di medicina.

Ma dopo aver inizialmente deciso di dare la priorità alla carriera, Avery conclude nei momenti finali che ama Max abbastanza da riuscire a conciliare carriera e amore allo stesso tempo. È un finale di stagione fantastico, ma solleva la questione di come riportare Avery in una seconda stagione. Speriamo che il possibile rinnovo della serie non significhi che Avery debba fallire gli studi per giustificare il suo ritorno.

La prima stagione di Doctor Odyssey si conclude con Max e Massey che restano

Entrambi avevano pensato di lasciare l’Odyssey

Il dottor Max Bankman e il capitano Robert Massey non interagiscono molto nel finale della prima stagione di Doctor Odyssey, ma entrambi prendono parte a una scena particolarmente toccante verso la fine. Una delle principali domande senza risposta dopo il finale della prima stagione di Doctor Odyssey è se lo show tornerà, ma c’è stato un periodo in cui sembrava che il finale avrebbe eliminato Max o Massey. Probabilmente si sarebbe trattato di un’uscita temporanea, pensata per aiutare il finale della prima stagione a fungere anche da chiusura della serie nel caso in cui questa non fosse stata rinnovata.

Ma sia che la loro uscita fosse stata annullata nella seconda stagione di Doctor Odyssey o fosse diventata definitiva, entrambe le ipotesi sono state evitate. Sebbene non riuscisse a immaginare la vita sulla nave senza Avery dopo la sua partenza per l’università, Max accetta l’Odyssey come un’affascinante avventura a metà strada tra il paradiso e l’inferno. E mentre Massey è stato quasi licenziato per aver disobbedito agli ordini di aiutare i sopravvissuti allo tsunami, l’equipaggio fa cambiare idea alla compagnia minacciando di dimettersi in blocco se Massey non mantiene il suo posto di lavoro. La nave non sarebbe più la stessa senza Robert o Max, quindi tenerli entrambi è un argomento forte a favore del rinnovo.

Tristan dimostra di essere un medico capace

La sua dedizione al lavoro è stata quasi messa in discussione

Sebbene sia più che qualificato secondo la maggior parte degli standard del mondo reale, Tristan non ha avuto la possibilità di dimostrare il suo valore come medico allo stesso livello di Max e Avery. Ha avuto i suoi momenti di gloria, ma Avery tende ad avere ragione quando lei e Tristan non sono d’accordo su come procedere con un paziente. Inoltre, Avery deve allontanare Tristan da un intervento nel finale della prima stagione di Doctor Odyssey perché è troppo ubriaco dalla notte precedente per essere affidabile.

Questo ovviamente solleva la questione se la ricaduta apparente di Tristan continuerà o addirittura peggiorerà nella seconda stagione di Doctor Odyssey, dato che era ancora agli inizi del suo percorso di recupero. Tuttavia, Tristan sfrutta al massimo il tempo in cui è solo, facendo nascere un bambino senza l’aiuto di Avery o Max, avvalendosi solo dell’assistenza di un’ostetrica di lingua spagnola a bordo della nave. Anche se la sua assistente temporanea fa gran parte del lavoro pesante, si spera che questo permetta a Tristan di perseguire altri grandi traguardi come medico professionista, se la serie continuerà.

Come il finale della prima stagione di Doctor Odyssey prepara la seconda

La relazione a tre della serie è finita per sempre?

Prima che l’equipaggio riaffermasse la fiducia in lui come capitano, Massey aveva attraversato una crisi esistenziale in seguito alla perdita del figlio avuto da Shania Twain, che lo aveva portato a pensare di abbandonare la nave. Ora che sembra felice del suo posto, avrà bisogno di una nuova trama nella seconda stagione di Doctor Odyssey. Anche il primo ufficiale Monroe è destinato a svolgere un ruolo ancora più importante nella prossima stagione, soprattutto dopo il suo breve periodo come capitano facente funzione nel finale.

Supponendo che non torni dalla facoltà di medicina in cattivi rapporti, The Odyssey potrebbe inoltre richiedere almeno un sostituto temporaneo per Avery all’inizio della prossima stagione. Nel frattempo, il gruppo degli Alcolisti Anonimi di Tristan potrebbe richiedere un ruolo più sostanziale se vuole continuare a sviluppare le sue capacità di infermiere senza ulteriori complicazioni. Ma se c’è una cosa che Avery e Tristan hanno in comune, è che entrambi dovranno iniziare a esplorare la loro vita sentimentale da una nuova prospettiva, ora che il loro rapporto a tre sembra essersi dissolto in qualcosa di più platonico sulla scia della relazione tra Avery e Max.

Cosa aspettarsi dalla seconda stagione di Doctor Odyssey

La teoria del coma di Max probabilmente non avrà molto seguito

Dato il finale piuttosto realistico della prima stagione di Doctor Odyssey, sembra improbabile aspettarsi molto dalla teoria del coma di Doctor Odyssey, anche se alcune battute del finale continueranno inevitabilmente a convincere alcuni fan che The Odyssey è un sogno che Max sta vivendo in Purgatorio. Se la serie continuerà, probabilmente risolveranno quella teoria o aggiungeranno qualche elemento divertente per tenere i sostenitori della teoria con il fiato sospeso. Ma la cosa principale da aspettarsi dalla seconda stagione di Doctor Odyssey è un approfondimento delle relazioni sviluppatesi durante la prima stagione.

Max e Avery non hanno trascorso un solo giorno intero su The Odyssey come una coppia tradizionale, quindi la loro relazione potrebbe incontrare qualche ostacolo mentre cercano di navigare. Probabilmente anche Tristan troverà un nuovo amore, avendo apparentemente dimenticato Vivian in tutti gli episodi della seconda metà della prima stagione di Doctor Odyssey, tranne uno. E mentre l’equipaggio affronta nuove relazioni e obiettivi professionali, le stravaganti settimane a tema dovrebbero diventare più folli che mai, mentre i futuri episodi in due parti aumenteranno la posta in gioco abbastanza da rivaleggiare con tsunami e attacchi di orche, il che equivale a una stagione incredibilmente divertente se la serie tornerà.

 
 

Doctor Odyssey – Stagione 2 si farà? Tutto quello che sappiamo

Doctor Odyssey - Stagione 2

La serie medica non convenzionale della ABC Doctor Odyssey ha dato una nuova svolta al genere popolare, ma verrà rinnovata per una seconda stagione? Creata da Ryan Murphy (insieme a Jon Robin Baitz e Joe Baken), la serie racconta le vicende del dottor Max Bankman (Joshua Jackson), che guida il team medico a bordo della lussuosa nave da crociera Odyssey. Mentre affrontano le innumerevoli emergenze mediche che si verificano su una nave da crociera, il dottor Bankman e il suo team stringono anche legami intimi tra loro. Realizzato con il tipico occhio di Murphy per i drammi sexy, Doctor Odyssey si distingue facilmente dagli altri medical drama.

Doctor Odyssey è una delle tante nuove serie mediche che hanno debuttato durante la stagione autunnale 2024, ma la sua ambientazione e il suo concept lo rendono unico. Il cast di Doctor Odyssey prevede ogni settimana ospiti che aggiungono pepe al dramma interpersonale dei protagonisti, ma sono in definitiva i casi medici esagerati che rendono la serie interessante. Ryan Murphy non è nuovo ai successi e sono poche le sue creazioni che non hanno ottenuto stagioni aggiuntive. Detto questo, è possibile che Doctor Odyssey torni in onda in futuro, ma la ABC non ha ancora rinnovato la serie.

Ultime notizie su Doctor Odyssey Stagione 2

Il medical drama potrebbe essere cancellato

Nonostante l’ottimo inizio, le ultime notizie confermano che Doctor Odyssey potrebbe essere cancellato dopo la prima stagione. Anche se non c’è ancora nulla di ufficiale, è stato riferito che la ABC starebbe valutando la possibilità di cancellare la nuova serie dopo una sola stagione a causa dei costi elevati e del calo degli ascolti.

È emerso tuttavia che il destino di Doctor Odyssey non dipende interamente dalla ABC. Il presidente della Disney Television Studios Eric Schrier ha rivelato che la decisione di rinnovare o meno la serie è stata lasciata a Ryan Murphy. È raro che gli studi e le reti concedano tanta libertà a un singolo produttore esecutivo, ma Schrier ha dichiarato:

Adoro Doctor Odyssey, penso che sia uno show estremamente creativo e stiamo facendo tutto il possibile per sostenerlo. La decisione finale spetta a Ryan Murphy, se vuole continuare a farlo e se ritiene che ci siano storie da raccontare in cui crede.

Sebbene la prima stagione della serie potrebbe facilmente rimanere una miniserie unica, c’è ancora spazio per riportare il cast e raccontare altre storie in un seguito.

La seconda stagione di Doctor Odyssey non è stata confermata

Doctor Odyssey non è stato ancora rinnovato

Nonostante il debutto impressionante e il raggiungimento del primo posto su Hulu nella sua prima settimana, il destino della seconda stagione di Doctor Odyssey non è stato ancora deciso. La ABC ha un solido rapporto di collaborazione con il creatore Ryan Murphy, e la serie 9-1-1 di Murphy ha ottenuto buoni risultati per il network. 9-1-1, tuttavia, avrà uno spin-off che andrà in onda sulla ABC nell’ambito del palinsesto autunnale del 2025, mentre il destino di Doctor Odyssey è ancora incerto.

Doctor Odyssey ha mandato in onda il finale della sua prima stagione il 15 maggio 2025.

La prima stagione di Doctor Odyssey è andata in pausa a metà stagione nel novembre 2024 ed è rimasta fuori onda fino a marzo 2025. Questa lunga pausa ha aiutato la serie esordiente, consentendo ai nuovi fan di recuperare il ritardo. Il finale di stagione ha anche concluso la maggior parte delle trame principali dello show, quindi sarebbe comprensibile se Murphy e la ABC decidessero di concludere la serie.

Dettagli sul cast della seconda stagione di Doctor Odyssey

Chi salperà nella seconda stagione di Doctor Odyssey?

Si prevede che il cast principale di Doctor Odyssey tornerà per la seconda stagione. Le serie procedurali sono note per mantenere insieme il cast di stagione in stagione, e il medical drama della ABC ha puntato molto sulle relazioni interpersonali tra i personaggi. Tenendo conto di tutto ciò, è quasi certo che Joshua Jackson riprenderà il ruolo del dottor Max Bankman.

Ad affiancarlo ci sarà sicuramente Tristan Silva, interpretato da Sean Teale, l’infermiere che fa parte del trio protagonista della serie. Avery Morgan, interpretata da Phillipa Soo, potrebbe invece non far parte del cast principale se la serie dovesse tornare. L’infermiera, infatti, dopo gli eventi della prima stagione, sta per iscriversi alla facoltà di medicina, quindi la serie dovrebbe trovare un modo convincente per riportarla in scena.

L’icona televisiva Don Johnson interpreta il capitano Robert Massey, leader dell’Odyssey, e non c’è motivo di pensare che non tornerà anche nella seconda stagione. Anche i membri del cast ricorrente Marcus Emanuel Mitchell (nel ruolo di Spencer Monroe) e Jacqueline Toboni (nel ruolo di Rosie) hanno visto ampliarsi i loro ruoli nella seconda serie di episodi e probabilmente torneranno per una seconda stagione.

Forse la prospettiva più interessante per il cast della seconda stagione di Doctor Odyssey è quella delle guest star, ma resta da vedere chi apparirà nel cast stellare della serie. La prima stagione ha visto la partecipazione di Shania Twain e John Stamos, oltre che di Angela Bassett in un crossover con 9-1-1.

Un membro del cast che sembra improbabile che torni è Laura Harrier nel ruolo di Vivian Montgomery. È apparsa in quattro episodi della prima stagione e all’inizio sembrava destinata a diventare un membro del cast principale, ma poi è quasi scomparsa dalla trama. Se la serie dovesse riportarla nel ruolo di chef della nave, gli sceneggiatori dovrebbero trovare un modo per utilizzare meglio il suo personaggio invece di farlo scomparire per sette episodi alla volta.

 
 

Mission: Impossible – The Final Reckoning, la spiegazione del finale (nel dettaglio)

Mission: Impossible - The Final Reckoning

Mission: Impossible – The Final Reckoning offre a Ethan Hunt una missione finale perfetta, anche se deve risolvere il pericolo immediato rappresentato dall’Entità. Sulla scia degli eventi di Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One del 2023, Ethan, interpretato da Tom Cruise, si trova ad affrontare varie forze malvagie in tutto il pianeta. Si va dalle macchinazioni dell’imprevedibile Gabriel e dalle intenzioni dell’Entità digitale ai governi mondiali disperati che sperano di sfruttare il caos a proprio vantaggio.

Alla fine, i personaggi di Mission: Impossible – The Final Reckoning risolvono i pericoli dell’Entità e danno persino a Ethan Hunt un addio tranquillo e appropriato che permetterà al personaggio di andare in pensione. Lungo il percorso, la serie getta anche le basi affinché l’attuale roster dell’IMF possa portare avanti le proprie avventure, anche senza alcuni dei membri veterani della squadra. Ecco come l’acclamato Mission: Impossible – The Final Reckoning offre a Ethan Hunt una potenziale via d’uscita.

Dove va Ethan Hunt dopo la fine di The Final Reckoning?

Ethan entra ufficialmente in clandestinità dopo aver sconfitto l’Entità

Ethan Hunt entra effettivamente in clandestinità alla fine di Mission: Impossible – The Final Reckoning, affidandosi a un’ultima missione fondamentale che ha anche permesso al personaggio di essere facilmente eliminato dalla serie. Ethan è ancora preso di mira dal suo stesso governo in The Final Reckoning, riuscendo a malapena a convincere il presidente degli Stati Uniti a lasciargli contenere l’Entità. Piuttosto che consegnare la tecnologia a Kitridge, Ethan raddoppia la sua convinzione che nessuno possa essere considerato affidabile con l’Entità e la nasconde con sé.

Questo potrebbe essere visto come un finale appropriato per Ethan Hunt, che riesce a intraprendere un’ultima missione diventando il guardiano dell’Entità. Il finale del film implica che Ethan ha accettato questa missione con una certa consapevolezza di ciò che essa comporta. Dato che molti governi mondiali probabilmente continueranno a volere l’Entità, Ethan potrebbe dover fuggire per il resto della sua vita. Questo potrebbe essere il modo perfetto per far uscire Ethan dalla serie, permettendogli di sopravvivere nell’ombra ma rimanendo fondamentale per la sopravvivenza della società.

Cosa succede all’Entità e a Gabriel dopo il climax di The Final Reckoning?

Mission: Impossible - The Final Reckoning

Il destino di Gabriel è inaspettatamente brutale

Le due minacce principali di The Final Reckoning sono l’Entità e Gabriel, che nel film precedente lavoravano di concerto. Tuttavia, dopo i fallimenti in quella trama, Gabriel si è separato dall’Entità e ora cerca di controllarla. La loro speranza è che Ethan aderisca ai piani dell’Entità (che porterebbero a una guerra nucleare su tutta la Terra) o che consegni il controllo della macchina a Gabriel (che manterrebbe l’attuale società ma avrebbe il controllo su tutti i principali governi).

Alla fine del film, l’IMF ha trovato il modo di contrastare l’Entità, riuscendo a catturare l’intelligenza artificiale all’interno di una chiavetta USB 5D. Questa è la chiavetta che Ethan riceve alla fine del film, il che suggerisce che l’Entità è ancora tecnicamente “viva”, ma contenuta. Anche se potrebbe facilmente tornare nei futuri capitoli della serie, questa potrebbe anche essere una soluzione pratica per quella trama. Al contrario, Gabriel viene eliminato in modo piuttosto brusco mentre cerca di saltare da un aereo durante il climax del film, rendendo il suo ritorno molto più improbabile.

Quali membri dell’IMF sopravvivono agli eventi di Final Reckoning?

Mission: Impossible - The Final Reckoning

I nuovi membri dell’IMF potrebbero portare avanti la serie

Per la maggior parte, l’IMF esce indenne dagli eventi di Final Reckoning. Il team si espande anche in modi sorprendenti, come l’ingresso di ex nemici come l’assassina francese Paris e l’agente dei servizi segreti statunitensi Theo Degas. La vittima più importante del film è Luther, che è stato una presenza costante nella serie per decenni. La salute di Luther è già precaria nelle sequenze iniziali del film, con il camice ospedaliero e le apparecchiature mediche che suggeriscono che sta lottando contro una grave malattia.

Nel tentativo di piegare Ethan, Gabriel fa piazzare una bomba in una stanza con Luther rinchiuso in una gabbia. Luther riesce a disinnescare la bomba megaton per salvare Londra, ma è costretto ad attivare una quantità sufficiente di esplosivo da provocare un crollo che lo uccide. Il ricordo di Luther rimane con Ethan per il resto del film, con un messaggio finale del suo alleato di lunga data che accompagna il successo nell’aver fermato l’Entità. Questo sottolinea la triste realtà che Ethan e Benji hanno perso molti dei loro alleati per la loro causa.

Qual è lo stato del mondo di M:I dopo The Final Reckoning?

Tom Cruise in Mission Impossibile 8

Una Terra tesa potrebbe facilmente ricadere in un conflitto armato

Il mondo è in uno stato fragile ma duraturo alla fine di Mission: Impossible – The Final Reckoning, suggerendo quanto facilmente le cose potrebbero degenerare nuovamente nel caos. Nonostante gli sforzi delle forze statunitensi e russe, l’Entità rimane fuori dalla loro portata. Anche se questo sembra aver stabilito una pace tesa tra i governi mondiali, le tensioni messe in moto dalla guerra nucleare quasi riuscita dell’Entità potrebbero lasciare i governi mondiali sull’orlo di un conflitto aperto.

L’IMF potrebbe non essere più un’organizzazione formale, ma la sua missione potrebbe essere facilmente riattivata con una nuova generazione di agenti che sostituiscono Hunt sulla scena mondiale.

A contribuire a risolvere tutto ciò potrebbe essere proprio l’IMF, che alla fine del film è stato effettivamente ricostituito. Mentre Ethan sembra destinato a nascondersi per proteggere l’Entità, Benji è sopravvissuto alle ferite e ha accettato il ruolo di capo squadra affidatogli da Ethan. Nel frattempo, nuove reclute come Grace, Paris e Theo garantiscono alla squadra il talento e i mezzi necessari per proteggere il mondo in caso di emergenza. L’IMF potrebbe non essere più un’organizzazione formale, ma la sua missione potrebbe essere riattivata con una nuova generazione di agenti che sostituiscono Hunt sulla scena mondiale.

Il vero significato di Mission: Impossible – Il destino

Tom Cruise in Mission Impossibile 8

Ethan Hunt batte l’intelligenza artificiale in più di un modo

Mission: Impossible – Il destino è il finale più felice che Ethan Hunt potesse desiderare. Ethan non muore in un ultimo momento di gloria né se ne va al tramonto. Invece, come gli dice Luther nel suo messaggio d’addio, era suo destino trovarsi in una situazione in cui le sue scelte potevano avere un impatto sul mondo. Ethan che prende l’Entità e sembra nascondersi con essa gli dà un modo per lasciare con grazia la serie con l’idea che la missione non finisce mai, anche se rimane invisibile e sconosciuta al grande pubblico.

Il finale del film potrebbe anche essere interpretato come una celebrazione della visione di Cruise sul cinema. Campione delle acrobazie e critico aperto dell’eccessivo ricorso all’intelligenza artificiale nell’industria cinematografica, non è un caso che Cruise sia determinato a sconfiggere un’intelligenza artificiale che usa algoritmi per dettare il futuro del mondo. La vittoria di Hunt è una celebrazione degli eroi umanisti (anche se caotici) che rischiano la vita per il mondo. È un interessante significato secondario del finale di Mission: Impossible – The Final Reckoning e un chiaro riferimento alle opinioni di Cruise sull’industria cinematografica.

 
 

Avengers: Doomsday e Secret Wars, date di uscita entrambe posticipate

Avengers: Doomsday film 2026

La Marvel Studios ha rinviato l’uscita di Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars. La Marvel Cinematic Universe‘s Multiverse Saga non ha ancora visto l’uscita di un film degli Avengers, anche se Thunderbolts* tecnicamente era uno sotto mentite spoglie. I prossimi film degli Avengers della MCU porteranno nella serie gli X-Men originali della Fox, vedranno i Fantastici Quattro allearsi con gli Avengers e introdurranno il Dottor Destino interpretato da Robert Downey Jr. Tuttavia, i fan dovranno aspettare più a lungo per vedere quelli che dovrebbero essere due dei migliori film della MCU, poiché entrambi i progetti hanno subito dei ritardi.

La Marvel ha rinviato Avengers: Doomsday dal 1° maggio 2026 al 18 dicembre 2026 e Avengers: Secret Wars dal 7 maggio 2027 al 17 dicembre 2027. I ritardi arrivano proprio mentre il primo dei due film è entrato in produzione. La Marvel ha organizzato un grande evento per annunciare online il cast di Avengers: Doomsday, le cui riprese sono già iniziate, e Avengers: Doomsday ha pubblicato alcune foto dal set che mostrano le conseguenze di uno scontro tra gli X-Men e i Sentinels.

La Marvel Studios ha ancora tre date per film senza titolo nel 2028: 18 febbraio, 5 maggio e 10 novembre.

I ritardi dei film degli Avengers non sono stati gli unici cambiamenti al programma della MCU. La Disney ha rimosso la data di febbraio 2026 per un film “Untitled Marvel”. Lo studio ha anche apportato modifiche alle date del 6 novembre 2026 e del 5 novembre 2027, che un tempo appartenevano ai film Marvel ma ora sono state assegnate a film “Untitled Disney”. La Marvel Studios ha ancora tre date per film senza titolo nel 2028: 18 febbraio, 5 maggio e 10 novembre.

Cosa significano i ritardi di Avengers: Doomsday & Secret Wars

La saga del Multiverso è stata piuttosto travagliata per l’MCU. Con la creazione di Disney+, la Marvel Studios ha rapidamente iniziato a rilasciare un numero elevato di progetti in un breve lasso di tempo, aggiungendo film, serie TV, presentazioni speciali e altro ancora al MCU. Ciò ha portato diversi progetti a ottenere risultati deludenti al botteghino o a non essere accolti bene dalla critica e/o dai fan. Da allora, la Marvel ha preso provvedimenti per risolvere questi problemi, riducendo il numero di film e serie che saranno rilasciati ogni anno e concedendo ai progetti tempi di sviluppo più lunghi.

Le riprese di Avengers: Doomsday sono iniziate nell’aprile 2025. La produzione dovrebbe durare sei mesi, il che avrebbe lasciato poco tempo agli artisti degli effetti speciali se il film avesse dovuto rispettare la data di uscita originariamente prevista per maggio 2026. Con il rinvio di Avengers: Doomsday e Avengers: Secret Wars, la Marvel Studios concede più tempo per portare i film ricchi di effetti speciali al livello elevato che devono raggiungere. Questo dà anche alla Marvel il tempo di chiudere i contratti con gli attori ancora da annunciare per Avengers: Doomsday, come Tom Holland, protagonista di Spider-Man: Brand New Day, e Hugh Jackman, protagonista di Wolverine.

 
 

Dune: Prophecy – Stagione 2: data di inizio delle riprese rivelata dalla star

Dune: Prophecy - Stagione 2

Una star di Dune: Prophecy rivela il calendario delle riprese della seconda stagione. Ambientata 10.000 anni prima degli eventi narrati in Dune di Denis Villeneuve, la serie prequel di HBO Max racconta le origini della Sorellanza, in seguito conosciuta come Bene Gesserit. Guidata da Valya (Emily Watson) e Tula Harkonnen (Olivia Williams), la prima stagione ruota attorno alla loro battaglia contro una minaccia in un momento critico della storia della Sorellanza. In vista del finale della prima stagione a dicembre, HBO Max ha ordinato una nuova stagione.

In un’intervista con Collider, Josh Heuston, che interpreta Constantine Corrino, ha condiviso alcuni aggiornamenti sulla produzione della seconda stagione di Dune: Prophecy. L’attore ha rivelato che le riprese dovrebbero iniziare intorno ad agosto e continuare “per il resto dell’anno”. Ha anche confermato che Constantine, il figlio dell’Imperatore, tornerà nella nuova stagione. Ecco cosa ha detto quando gli è stato chiesto se sarebbe stato coinvolto nella seconda stagione:

Sì, sicuramente nella seconda stagione. Credo che torneremo ad agosto e poi gireremo per il resto dell’anno.

Cosa significano i commenti di Josh Heuston per Dune: Prophecy – stagione 2

Watson aveva già parlato delle date delle riprese della seconda stagione a gennaio, indicando un programma di produzione autunnale. Sebbene l’aggiornamento di Heuston offra un calendario e una data di inizio più specifici, colloca anche le riprese della seconda stagione nell’ultimo trimestre dell’anno, il che significa che Dune: Prophecy non tornerà quest’anno.

Dune: Prophecy stagione 1 è stata trasmessa per la prima volta nel novembre 2024, circa 11 mesi dopo la fine delle riprese nel dicembre 2023. Se la seconda stagione seguirà la stessa tempistica, il ritorno della serie è previsto per la fine del 2026. Anche se il cast della seconda stagione non è ancora stato confermato ufficialmente, Heuston tornerà. Nella stessa intervista, ha anticipato che la seconda stagione seguirà probabilmente il suo personaggio “in un viaggio movimentato” dopo la rivelazione esplosiva sull’eredità di Constantine.

 
 

La petite dernière: recensione del film di Hafsia Herzi

Dopo Tu mérites un amour e Bonne mère, Hafsia Herzi approda per la prima volta nella competizione ufficiale di Cannes con La petite dernière, adattamento cinematografico dell’omonima opera autobiografica di Fatima Daas. Il film si inserisce nel solco del coming-of-age contemporaneo, cercando di restituire con pudore e sincerità il percorso di crescita, scoperta e affermazione identitaria di una giovane donna musulmana cresciuta nella banlieue parigina. A interpretarla è Nadia Melliti, alla sua prima esperienza cinematografica, vera rivelazione del film.

Un’identità in movimento

Fatima è l’ultima di tre sorelle e vive all’interno di una famiglia tradizionale di origine algerina. Ha 17 anni, gioca a calcio, frequenta il liceo e sogna di iscriversi alla facoltà di Filosofia. Ha un fidanzato, ma la sua vita affettiva è attraversata da una frattura profonda: attratta dalle ragazze, inizia a esplorare la propria sessualità attraverso un’app di incontri, fino a conoscere Ji-na (Park Ji-min), una giovane dottoressa di origini coreane con la quale intreccia una relazione intensa ma non priva di zone d’ombra. Ji-na soffre infatti di depressione e l’equilibrio tra le due si rivela fragile.

Herzi filma tutto questo con una sensibilità rara, scegliendo di non spettacolarizzare nulla, quasi come se si limitasse ad osservare con rispetto. Le scene di intimità, le abluzioni, i pasti familiari e i silenzi sono trattati con pari attenzione. La regista mostra così la complessità di un’identità in costruzione che non rinnega le proprie radici culturali o religiose, ma tenta di ridefinirle a partire dall’esperienza personale. Fatima partecipa con Ji-na a una manifestazione dell’orgoglio LGBTQ+, ma non smette di pregare, e questa convivenza tra elementi apparentemente in conflitto è una delle chiavi più interessanti della narrazione.

Tra cinema del reale e sguardo autoriale

La scelta di volti non professionisti, l’uso costante del primo piano, la durata generosa delle scene e l’attenzione al linguaggio del corpo richiamano l’esperienza di Hafsia Herzi come attrice in alcuni film di Abdellatif Kechiche. Tuttavia, a differenza del regista franco-tunisino, Herzi sceglie di non indulgere mai nel voyeurismo: c’è un amore profondo per i personaggi e una volontà sincera di raccontarli senza giudicarli.

Eppure, proprio questa delicatezza talvolta sembra limitare la forza narrativa del film. La seconda parte si fa infatti più didascalica, soprattutto nei momenti in cui la protagonista si confronta con la comunità lesbica e il suo attivismo. L’intreccio si appiattisce in alcuni passaggi, e si ha la sensazione che Herzi voglia dire troppo, con il rischio di sacrificare la naturalezza che aveva caratterizzato la prima ora di girato.

Una promessa ancora in cerca della sua voce più forte

La petite dernière è un film che affronta temi urgenti – la fede, la sessualità, il patriarcato, la marginalità – con onestà e uno sguardo che non cerca lo scandalo, ma l’empatia. È un’opera che vale per ciò che racconta e per il modo in cui lo fa, ma che avrebbe forse beneficiato di una maggiore compattezza drammaturgica e di uno sviluppo più profondo del conflitto interno alla protagonista.

Nadia Melliti regge con grande naturalezza il peso del racconto, imponendosi come un volto da tenere d’occhio nel panorama europeo. Hafsia Herzi, d’altro canto, conferma di essere una regista sensibile, capace di ascoltare e restituire con sincerità la complessità dei suoi personaggi. Tuttavia, resta l’impressione che, rispetto alle sue precedenti prove, questa terza regia sia meno incisiva, un po’ trattenuta, forse timorosa di osare di più.

 
 

Murderbot, recensione della serie Apple TV+

Dopo aver prodotto la miglior serie di fantascienza degli ultimi anni (se non avete avuto modo di vederla stiamo parlando di Foundation, tratta dal capolavoro letterario di Isaac Asimov) Apple TV+ ha deciso di affrontare nuovamente il genere con Murderbot, trasposizione in dieci episodi del romanzo All Systems Red di Martha Wells – primo capitolo della serie The Murderbor Diaries. In questo caso però il tono è diametralmente opposto, in quanto lo show scritto, prodotto e diretto da Chris e Paul Weitz è nel suo intento primario una commedia dell’assurdo.

La storia di Murderbot

Al centro della vicenda si trova infatti il cyborg denominato SecUnit (Alexander Skarsgård), il quale dopo aver hackerato il sistema che lo costringeva a essere manipolato dagli esseri umani si è rinominato Murderbot. Per evitare di essere scoperto ed eliminato, l’androide si finge funzionale e viene spedito a lavorare come garante della sicurezza di un gruppo di scienziati approdati su un pianeta sconosciuto e potenzialmente pericoloso. Incapace di interagire normalmente con gli esseri umani, ai quali preferisce di gran lunga le soap opera, Murderbot inizia a destare i sospetti di alcuni dei membri della squadra, in particolar modo Gurathin (David Dastmalchian).

Da un’idea di partenza piuttosto intrigante anche se non propriamente originale – pensiamo prima di tutto al robot depresso e filosofeggiante di Guida galattica per autostoppisti – i creators Chris e Paul Weitz avrebbero potuto trarre uno show decisamente più coinvolgente. Murdebot fin dall’episodio pilota si rivela invece un qualcosa che non trova mai un suo vero e proprio equilibrio, diviso costantemente tra una messa in scena che vuole rispettare lo sfarzo della fantascienza e un tono scanzonato il quale non si fonde con l’estetica del prodotto. Quello che avviene nei vari episodi è francamente poco interessante, anzi appare quasi un pretesto per regalare momenti di ilarità dovuti alla personalità sui generis del personaggio principale. La scelta di adoperare costantemente la voce interiore si rivela azzeccata soltanto in alcuni momenti, mentre alla lunga risulta un altro ostacolo all’efficacia della progressione narrativa. Anche se oggettivamente divertente in alcune sequenze, come ad esempio il primo interrogatorio tra Gurathin e SecUnit, Murdebot si poggia su scenette che quasi mai sviluppano reali situazioni, ovvero troppo poco per costruire una trama quanto meno interessante. La scelta poi di far durare gli episodi poco più di venti minuti ciascuno non offre alcuna possibilità di entrare in sintonia emotiva con quello che accade in ogni capitolo. Quando sembra che qualcosa stia per accadere, ecco che la puntata termina.

Un cast messo in difficoltà dalla scrittura

Dovendo lavorare con questo materiale, il cast di attori riesce soltanto in rarissimi casi a offrire il meglio delle proprie qualità di interpreti. Sarsgård risulta tutto sommato simpatico nella sua espressione costantemente attonita, il che funziona in maniera appropriata al personaggio di Murderbot. Dastmalchian invece risulta efficace soltanto a corrente alternata, il che risulta strano visto quanto il caratterista abbia dimostrato di essere a suo agio quando si tratta di personaggi lontani da una rappresentazione realistica. Tutti gli altri sono fracmaente dimenticabili, compresa in Noma Dumezweni solitamente invece capace di imporsi all’attenzione dello spettatore.

Se si pensa che Chris e Paul Weitz sono quelli che sfiorarono l’Oscar per il brioso adattamento di About a Boy – Un ragazzo da Nick Hornby, diventa ancora più sconcertante vedere quanto poco interessante sia stato il loro lavoro su Murderbot. La loro serie proprio non possiede mordente, non sviluppa caratteri in cui ci si può identificare né che si ama detestare, e tanto meno offre una trama avvincente. Se non fosse per alcuni momenti di stralunata ilarità dovuta ai rapporti complessi tra i personaggi, i vari episodi scivolerebbero via nella noia più completa. In alcuni momenti Murderbot diverte, ma nel complesso risulta un’operazione davvero scialba.

 
 

Paternal Leave, recensione del film di Alissa Jung

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Dopo la vetrina europea del Festival di Berlino, Paternal Leave, l’esordio alla regia dell’attrice tedesca Alissa Jung ha trovato nuova conferma con l’inserimento nel cartellone ufficiale di Open Roads, la rassegna di cinema italiano contemporaneo della Society of Lincoln Center a New York. Una nuova e prestigiosa passerella internazionale che testimonia la qualità artistica di una produzione che rispecchia le molte influenze con cui è stata realizzata.

La storia di Paternal Leave

La protagonista di Paternal Leave è l’adolescente Leo (Juli Grabenhenrich), la quale di punto in bianco lascia la Germania per recarsi sulla costa marittima del Nord Italia, dove vive suo padre biologico Paolo (Luca Marinelli) che non ha mai conosciuto. Sorpreso dalla visita inaspettata, l’uomo fatica non poco a inserire la giovane figlia in una vita che lui stesso non è ancora pienamente riuscito a sistemare, dovendo anche fare i conti con la frustrazione e la rabbia repressa. Sia in Leo che, come capirà, in lui stesso.

La qualità migliore di questo primo lungometraggio dietro la macchina da presa della Jung sta nell’attenzione al tono del racconto, il quale evita costantemente lo scivolamento nel melodramma ostentato. Paternal Leave viene costruito sequenza dopo sequenza lavorando con efficacia sull’equilibrio metaforico tra le ambientazioni e lo stato psicologico ed emotivo dei personaggi, in particolar modo i due protagonisti. Dal momento che non si tratta di una storia che cerca nell’originalità il suo motivo fondante di racconto, la modalità con cui viene sviluppata ed espressa diventa allora il lato più importante, e la Jung dimostra di saperlo gestire con sicurezza: le spiagge malinconiche e semideserte, il paesino di provincia dove poco o nulla accade nelle stagioni maggiormente fredde, rappresentano il luogo perfetto per esternare lo stato di stasi in cui, per motivi diversi se non opposti, Paolo e Leo si trovano. Anche il non saper parlare l’uno la lingua dell’altre, il dover adoperare come primo tentativo un linguaggio “altro” insieme a quello che il corpo e il volto nonostante tutto esprimono, è un’idea di sceneggiatura che funziona pienamente nell’esprimere il distacco esistenziale, la difficoltà nel tentativo di avvicinarsi. Cosa che invece può avvenire principalmente con un atto di gentilezza o un sorriso, come avviene tra Leo ed Edoardo.

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Animi ricchi di contrasti

Questo per raccontare che sotto la superficie pacata, mai urlata di questo racconto si celano invece psicologie ed animi ricchi di contrasti: il dolore sorpreso di Leo lo si deve andare a cercare dietro le piccole ma pungenti frecciate che lancia costantemente prima al padre e poi agli altri uomini che incontra. Allo stesso modo gli occhi sempre penetranti di Marinelli riescono a esprimere pienamente lo scoraggiamento di Paolo, incapace di fare i conti col suo passato, paralizzato (come lo stesso personaggio più volte confessa) nelle relazioni con l’altro sesso che possano veramente contare. I duetti tra la Grabenhenrich e l’attore italiano sono quasi sempre preziosi per quello che esprimono quasi in contrasto con i dialoghi, fino allo “showdown” emozionale che è giustamente frettoloso, quasi violento a livello emotivo, e rompe il ghiaccio tra padre e figlia ma senza veramente risanare un rapporto ancora sconosciuto, e non poteva essere altrimenti. La Jung segue un percorso narrativo conosciuto ma non lo adopera per arrivare a una conclusione retorica e falsamente allietante: quando salutiamo Leo e Paolo alla fine di Paternal Leave, il loro percorso di scoperta, di accettazione soprattutto dei propri rispettivi ruoli, è appena iniziato. E questo rende il film più vero.

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Anche se si potrebbe obiettare che quello di Alissa Jung è in fondo un film “già visto”, la lucidità dell’esposizione e la compostezza del tono del racconto costituiscono quel qualcosa in più che rende Paternal Leave un lungometraggio denso di sostanza emotiva. Un buon esordio che racconta di una convivenza tanto “forzata” quanto necessaria. Per Leo che la ricerca ma senza dubbio anche per Paolo che deve accettarla.

 
 

Il significato dietro il titolo “Quando la vita ti regala mandarini”

Quando la vita ti dà mandarini

Se sei un fan dei K-drama e non hai ancora visto When Life Gives You Tangerines, allora questo è il tuo segno. La serie Quando la vita ti dà mandarini, guidata da IU  e Park Bo Gum, è il drama “It” di questa stagione. Non solo è attualmente al primo posto su Netflix, ma è anche ovunque sui nostri social media, con gli spettatori che continuano a condividere le loro emozioni e reazioni a ogni episodio. 

Il vero significato del titolo “Quando la vita ti dà i mandarini”

Un dramma di vita quotidiana che segue la tenace Ae-sun e il devoto Gwan-sik mentre attraversano insieme la vita nell’arco di oltre 60 anni. Mentre Ae-sun desidera fuggire dalla sua povera vita sull’isola e diventare una poetessa, Gwan-sik non desidera altro che starle accanto e aiutarla a realizzare i suoi sogni. Quello che ne otteniamo è una storia d’amore generazionale che si estende fino a mostrare anche la vita dei loro futuri figli.

Essendo ambientata a Jeju, il titolo della serie trae spunto dall’espressione dialettale di Jeju “Pokssak Sogatsuda”, che si traduce letteralmente in “Hai lavorato sodo”. Invece di usare la frase tradotta per il titolo inglese, Netflix ha scelto di catturare l’essenza della serie con un’espressione più familiare, che potesse facilmente trovare riscontro nel suo pubblico globale.

Conosciamo tutti il ​​vecchio adagio “Quando la vita ti dà limoni, fai una limonata”. Da qui, il titolo del drama è diventato “When Life Gives You Tangerines” per trasmettere il messaggio di rimanere positivi e resilienti di fronte alle avversità. Un articolo del Korea Times spiega che “tangerines” è stato utilizzato al posto dell’originale “lemons” in omaggio al luogo delle riprese della serie, Jeju, e alla sua abbondanza di piantagioni di mandarini.

In una conferenza stampa, IU ha ulteriormente approfondito il significato del titolo inglese, affermando: “Anche se la vita ci presenta dei mandarini aspri, trasformiamoli in dolce marmellata e assaporiamo una calda tazza di tè al mandarino”.

Altre traduzioni straniere di When Life Gives You Tangerines hanno seguito la stessa strada per evocare il cuore dello spettacolo. In tailandese, si intitola Let’s Smile Even on Days When Tangerines Aren’t Sweet (Sorridiamo anche nei giorni in cui i mandarini non sono dolci) , mentre a Taiwan, si può trovare in un’espressione idiomatica cinese che, tradotta e con un tocco di Jeju, risulta in Bitterness Ends, Tangerines Come (L’amarezza finisce, i mandarini arrivano).

 
 

Andor – Stagione 2, il finale ci porta dritti a Rogue One: gli Easter Eggs e i riferimenti a Star Wars

Andor - Stagione 2, spiegazione del finale

Gli episodi finali di Andor – Stagione 2 presentano molteplici legami e connessioni con Rogue One e la galassia di Star Wars. Preparando il terreno per gli eventi del film di Gareth Edwards e la Battaglia di Scarif, gli episodi finali di Andor sono tra i capitoli più intensi ed emozionanti della serie. Inoltre, presentano numerosi riferimenti e spunti chiave per l’iconico film.

Dopo il Massacro di Ghorman nel 2 BBY e l’estrazione di Mon Mothma negli episodi 7-9 di Andor – Stagione 2, gli episodi finali si svolgono un anno dopo, nell’1 BBY. Si tratta dello stesso anno degli eventi di Rogue One. Tenendo presente questo, ecco i più grandi e migliori Easter egg, riferimenti e connessioni che abbiamo trovato negli episodi 10-12 della seconda stagione di Andor.

Gli Easter Eggs di Andor – Stagione 2

  • Partigiani a Jedha. L’ultima resistenza di Saw – Il supervisore dell’ISB Jung conferma a Luthen che l’Impero sa che i Partigiani di Saw sono su Jedha.
  • Carburante da Ghorman. E Kyber da Jedha – Sebbene la kalkite di Ghorman fosse effettivamente necessaria per il progetto della Morte Nera, l’Impero ora si è dedicato anche all’estrazione del kyber da Jedha, collegandosi agli eventi di Rogue One.
  • Loth Cat. Un classico animale domestico di Star Wars – Quando viene rivelato che Jung è stato ucciso da Luthen, si vede un passante nelle vicinanze con un Loth-Cat come animale domestico.
  • Galen Erso. Un architetto chiave della Morte Nera (e un ribelle segreto) – Galen Erso di Rogue One e il laboratorio su Eadu sono confermati come parte delle informazioni fornite da Jung a Luthen.
  • Scarif. In possesso di dati top secret (e della Morte Nera) – Anche Scarif fa parte delle informazioni, il mondo imperiale che detiene tutti i piani e i dati per i progetti più top secret dell’Impero (così come la Morte Nera stessa durante le fasi finali del progetto).
  • L’uccisione di Jung da parte di Luthen rispecchia le scene iniziali di Rogue One. Cassian uccide Tivik – L’uccisione del suo informatore dell’ISB rispecchia l’uccisione del suo informatore Tivik da parte di Cassian Andor all’inizio di Rogue One.
  • Kalikori. Un collegamento con Star Wars Rebels – Nella galleria di Luthen si può ammirare un Kalikori Twi’lek, una reliquia storica che rappresenta la storia di un clan familiare (apparsa per la prima volta in Star Wars: Rebels).
  • Sanguinatore Nautolano. Un omaggio alla specie di Kit Fisto – Luthen mostra a Dedra Meero un raro coltello sanguinante Nautolano. Uno dei Nautolani più noti di Star Wars è il Maestro Jedi Kit Fisto.
  • Unità Starpath Imperiale d’epoca. Un richiamo alla première della prima stagione di Andor – L’unità Starpath di Dedra è lo stesso dispositivo rubato a Steergard che ha attirato l’attenzione di Luthen e Cassian nella prima stagione di Andor.
  • Teschio Gungan. Spremimi? – Un teschio vicino a uno dei copricapi nubiani nella galleria di Luthen assomiglia incredibilmente a quello di un Gungan, con i segni cerimoniali in oro incisi sull’osso.
  • Le origini di Luthen. Sergente Lear – I flashback rivelano che Luthen Real un tempo era un sergente della Fanteria Imperiale di nome Lear.
  • L’Ospedale Lina Soh. Cancelliere dell’Alta Repubblica – L’ospedale nell’episodio 10 della seconda stagione di Andor prende il nome dall’ex Cancelliere Lina Soh dell’Alta Repubblica (tradotto dall’Aurebesh).
  • Collana della Vittoria Devaroniana. Una specie classica di Star Wars – Ulteriori flashback di Luthen e Kleya li mostrano mentre vendono una collana della vittoria Devaroniana. Tra i Devaroniani più noti ci sono il Vizago di Rebels e il Burg di The Mandalorian. I Devaroniani sono stati visti per la prima volta nella scena canina di Una Nuova Speranza.
  • Un bombardamento su Naboo. “È un bel posto” – Viene rivelato che Luthen e Kleya una volta bombardarono un ponte pieno di Imperiali. A giudicare dall’architettura e dall’abbigliamento dei civili nelle vicinanze, sembra proprio che questo pianeta fosse Naboo.
  • “Fallo”. Sfuggiremo mai al meme? – Mettendo alla prova Kleya con l’innesco della bomba, Luthen le urla di “fallo”. Siamo in Star Wars, quindi viene in mente il Cancelliere Palpatine de La vendetta dei Sith.
  • “Chi altro lo sa?”. Un parallelo chiave con Rogue One – Titolo dell’episodio 11 della seconda stagione di Andor e domanda principale che Krennic pone a Dedra sulla Morte Nera, questa è anche la domanda chiave che Cassian pone a Tivik in Rogue One.
  • “Di’ la parola”. L’arma più potente dell’Impero ha finalmente un nome – Dedra pronuncia finalmente il nome “Morte Nera” su suggerimento del Direttore Krennic, la prima volta che la designazione ufficiale della stazione da battaglia viene pronunciata ad alta voce in Andor.
  • “Five Fives”. La versione di Star Wars dei Dadi dei Pirati? – La partita di Cassian e Melshi con K-2SO assomiglia notevolmente ai Dadi dei Pirati di Pirati dei Caraibi: La maledizione del forziere fantasma, che per coincidenza vedeva Stellan Skarsgård di Luthen nei panni di Bootstrap Bill Turner.
  • “Risparmia il sermone per Palpatine”. Le cose non vanno bene per Krennic – Il Maggiore Partagaz ricorda a Krennic che non è lui quello a cui il Direttore deve trovare scuse per i ritardi della Morte Nera, il che si collega alle note pressioni a cui Krennic era sottoposto da Palpatine e dal Gran Moff Tarkin per fornire una stazione da battaglia operativa.
  • K-2SO a una parata imperiale. Giorno dell’Impero? – Kaytoo rivela di aver partecipato a una parata tra 200 droidi KX l’ultima volta che è stato su Coruscant, e che l’Imperatore era presente. Probabilmente si trattava di una celebrazione del Giorno dell’Impero, una festività annuale che celebra l’alba dell’Impero Galattico. Dopo la fine delle Guerre dei Cloni.
  • L’eredità di Luthen. Non gradito dall’Alleanza – A causa della sua mancanza di collaborazione, della sua rete di bugie e della sua paranoia, Luthen Rael era visto dall’Alleanza tanto male quanto Saw Gerrera, nonostante avesse fornito le basi fondamentali per le sue origini.
  • K-2SO ottiene una scena in corridoio. Salvare la situazione rispecchiando Rogue One – Non diversamente dalla scena in corridoio di Darth Vader alla fine di Rogue One, K-2SO ottiene la sua epica battaglia in corridoio contro una squadra di agenti tattici dell’ISB per salvare Andor, Melshi e Kleya.
  • Pao. Un memorabile ribelle di Rogue One – Durante il trambusto della base dell’Alleanza su Yavin, si può vedere Paodok’Draba’Takat Sap’De’Rekti Nik’Linke’Ti’ Ki’Vef’Nik’NeSevef’Li’Kek di Rogue One, alias “Pao”, camminare nell’hangar: è un Drabatan maschio che si è unito alla squadra d’assalto di Scarif.
  • Mon, Bail e Saw. Il trio all’alba della ribellione – Proprio come quando il trio si incontrò canonicamente all’alba dell’Impero nel romanzo La maschera della paura, Mon Mothma e Bail Organa cercano di contattare Saw tramite ologramma offrendogli aiuto, solo per vedere il paranoico leader partigiano rifiutare il loro aiuto nonostante l’arrivo di uno Star Destroyer imperiale su Jedha.
  • Diversi stili di Rogue One. Andor si avvicina a Rogue One – Diversi personaggi degli episodi finali della seconda stagione di Andor (Bail Organa, Mon Mothma, il Generale Draven) ora hanno gli stessi costumi e acconciature di Rogue One, a dimostrazione dell’imminenza degli eventi del film del 2016.
  • Ammiraglio Raddus. Un grande eroe di Rogue One – L’Ammiraglio Raddus appare nell’episodio finale della seconda stagione di Andor, il comandante della Ribellione che dà la vita durante la Battaglia di Scarif per assicurarsi che i piani della Morte Nera arrivino alla Principessa Leia. In Gli Ultimi Jedi, una delle navi ammiraglie della Resistenza prende il suo nome.
  • “Una nave rubata in missione non autorizzata”. Non è la prima, né l’ultima volta… – Questa non è la prima né l’ultima volta che Cassian vola su un U-Wing contro gli ordini, anche se la prossima volta che lo farà in Rogue One sarà ovviamente la più importante, garantendo la sopravvivenza e le possibilità di vittoria della Ribellione, fornendo loro i piani della Morte Nera.
  • Generale Merrick. Leader dello Squadrone Blu – Il Generale Merrick di Rogue One è menzionato da Raddus, un altro membro dell’Alto Consiglio dell’Alleanza e leader dello Squadrone Blu, una delle squadre che si trovava in orbita durante la Battaglia di Scarif.
  • Senatori di Rogue One. Jebel e Pamlo si uniscono all’Alto Comando dell’Alleanza – I senatori Jebel e Pamlo compaiono nell’episodio 12 della seconda stagione di Andor, gli altri membri dell’Alto Comando dell’Alleanza che hanno debuttato in Rogue One del 2016.
  • Tivik su Kafrene. Il debutto di Cassian in Rogue One – Informatore di Cassian e uno dei Partigiani di Saw Gerrera, Tivik si rivela aver telefonato a Yavin con informazioni che condividerà solo con Andor sull’Anello di Kafrene, il che si collega alla scena iniziale di Rogue One, dove Cassian conferma le informazioni sulla nuova superarma dell’Impero e su Galen Erso.
  • Brinda ai Caduti. Ricordando Aldhani, Ferrix, Ghorman e altri – Prima che Andor parta per Kafrene, Cassian e Vel brindano a coloro che sono caduti per la causa nelle stagioni 1 e 2 di Andor: Luthen, Gorn, Nemik, Taramyn, Cinta, i Ghorman, Ferrix, Maarva e i Dhani.
  • Manifesto di Nemik. “La Maschera della Paura” – Viene rivelato che il manifesto di Nemik si è diffuso in tutta la galassia di Star Wars, e persino il Maggiore Partagaz possiede una registrazione in cui ascolta le parole del giovane Ribelle su come “La frontiera della Ribellione sia ovunque”, “La tirannia richiede uno sforzo costante” e che “L’oppressione è la Maschera della Paura”. Ispirata dal manifesto, la Lucasfilm ha recentemente pubblicato un romanzo canonico intitolato “La Maschera della Paura”, ambientato durante i primi giorni dell’Impero.
  • “Andare giù a suon di pugni”. Uno degli ultimi ordini di Bail Organa – Nonostante i suoi dubbi tristemente ironici sulla Morte Nera, considerando l’imminente distruzione sua e di Alderaan da parte del superlaser della stazione da battaglia, Bail Organa approva la missione di Cassian Rogue One nell’Anello di Kafrene, volendo “andare giù a suon di pugni” contro l’Impero.
  • Andor indossa il costume di Rogue One. Cassian è pronto per Rogue One – Proprio come i personaggi precedenti nell’episodio finale della seconda stagione di Andor, Cassian indossa la stessa giacca, la stessa fondina e la stessa pistola che indossava nel suo debutto in Rogue One.
  • Dedra in prigione. Imprigionata su Narkina? – Non diversamente da Cassian e dal suo periodo su Narkina 5, Dedra Meero viene mostrata in una prigione imperiale molto simile, con la stessa uniforme bianca e arancione.
  • Saw su Jedha. Gerrera è pronto per Rogue One – Saw è mostrato mentre guarda fuori da una finestra dalla sua base operativa su Jedha, rispecchiando un’inquadratura simile di Rogue One.
  • Krennic supervisiona la Morte Nera. I test sono pronti per iniziare – Krennic è anche mostrato mentre supervisiona le fasi finali della costruzione della Morte Nera, un’altra inquadratura parallela a quella vista in Rogue One.
  • Bix con il suo bambino a Mina Rau. Il figlio segreto di Cassian – Bix Caleen è tornata a Mina Rau, il mondo agricolo visto nei primi episodi della seconda stagione di Andor. Nella scena finale che conclude l’epica serie di Star Wars, Bix tiene in braccio un bambino il cui padre è senza dubbio quello di Cassian Andor, il che significa che Cassian non ha mai conosciuto la famiglia che lo circonda. lo aveva aspettato prima che si sacrificasse in Rogue One.
 
 

Senza Rimorso (Without Remorse): la spiegazione della scena post-credits

Senza rimorso trama film
Jodie Turner-Smith e Michael B. Jordan in Senza rimorso. Foto di Nadja Klier/Nadja Klier - © 2020 Paramount Pictures

Senza Rimorso (Tom Clancy’s Without Remorse) ha una scena a metà dei titoli di coda che prepara il terreno per un sequel, Rainbow Six. Tratto dal romanzo di Tom Clancy, Without Remorse vede Michael B. Jordan nei panni del Senior Chief John Kelly, un membro d’élite dei Navy SEAL che è uno dei personaggi più popolari dell’universo di Jack Ryan di Tom Clancy. Without Remorse è la storia delle origini di John Kelly, che riporta il pericoloso agente operativo nell’attuale tumultuoso scenario geopolitico.

Dopo che Kelly e la sua squadra SEAL, sotto il comando del tenente comandante Karen Greer (Jodie Turner-Smith), salvano un agente della CIA da ex soldati russi in Siria, la famiglia di John e i membri della sua unità vengono presi di mira per essere assassinati. La moglie incinta di Kelly, Pam (Lauren London), viene uccisa, spingendo John in una spirale di vendetta. Kelly scopre che un russo di nome Victor Rykov (Brett Gelman) ha guidato l’attacco alla sua casa. Con il supporto dell’agente della CIA Robert Ritter (Jamie Bell) e del Segretario alla Difesa Thomas Clay (Guy Pearce), Kelly e Greer guidano una missione a Murmansk, in Russia, per estrarre Rykov. Tuttavia, cadono in una trappola e riescono a malapena a scappare. Kelly poi mette insieme i pezzi del puzzle e capisce che il segretario Clay era la mente dietro tutto questo e che stava cercando di provocare una nuova guerra tra gli Stati Uniti e la Russia. Kelly rapisce Clay e lo costringe a confessare prima di assicurarsi la morte del segretario. Ma Kelly viene dato per morto in azione in Russia, quindi diventa “un fantasma” e la CIA procura una nuova identità al Navy SEAL ribelle: John Clark.

La scena a metà dei titoli di coda di Without Remorse si svolge un anno dopo, quando Robert Ritter incontra John Clark nei pressi del Washington Memorial. Ritter ha usato la confessione estorta da John al segretario Clay per smascherarne la corruzione e sfruttarla per diventare il nuovo direttore della CIA. Dopo che Clark si è congratulato con Ritter per la sua promozione, gli ha presentato la sua nuova idea per impedire che ciò che ha fatto Clay si ripeta:

“una squadra antiterrorismo multinazionale composta da personale statunitense, britannico e NATO selezionato con cura, con il pieno sostegno dei servizi segreti nazionali”. Clark vuole che la sua nuova squadra abbia il nome in codice Rainbow per motivi “personali” e, naturalmente, vuole dirigerla e presentare la sua idea al presidente. Questo è un preludio diretto al sequel, Rainbow Six.

Michael B. Jordan ha firmato per due film in cui interpreta John Kelly/Clark e Rainbow Six è sempre stato il sequel previsto. Il piano del produttore Akiva Goldsman era quello di utilizzare Without Remorse per presentare le origini di John Kelly e la sua trasformazione in John Clark, che avrebbe portato direttamente a Rainbow Six. Il sequel avrebbe adattato il romanzo Rainbow Six di Tom Clancy del 1998, che ha avuto spin-off e adattamenti per videogiochi. Rainbow Six avrebbe continuato la serie di film su John Clark incentrati su una squadra antiterroristica multinazionale che sventa complotti contro gli Stati Uniti, mentre i romanzi di Jack Ryan erano più incentrati sulla politica nazionale, anche se sia i film di Jack Ryan che la serie Amazon Jack Ryan con John Krasinski coinvolgono complotti terroristici e Ryan in azione.

Ci vorranno alcuni anni prima che Rainbow Six arrivi nei cinema (o su Amazon Prime, come ha fatto Without Remorse). È anche troppo presto per dire quanto Rainbow Six sarà fedele al libro di Tom Clancy, anche se è probabile che si discosterà in modo significativo dal materiale originale, come ha fatto Without Remorse. I punti di forza di Without Remorse erano l’attenzione all’azione mozzafiato e l’interpretazione intensamente viscerale di Michael B. Jordan nei panni di John Kelly, quindi ci si può aspettare che Rainbow Six aumenti l’azione ora che John Clark sarà circondato dalla sua squadra appositamente selezionata nel sequel.