Richard Lowenstein,
regista di E morì con un felafel in mano
e storico collaboratore degli INXS, per cui realizzò la maggior
parte dei video musicali, nonché amico del frontman Michael
Hutchence, porta alla Festa del Cinema di
Roma nella selezione ufficiale, un intenso docufilm sul
cantante.
Il film si concentra sulla parabola
esistenziale dell’uomo, mentre ripercorrere a grandi linee la
carriera della band, tra le poche australiane ad aver conquistato
il pubblico statunitense ed essersi guadagnata fama mondiale,
grazie a una preziosa alchimia imperniata sulla figura del leader,
sul suo carisma, la sua sensualità, ma anche sulle doti vocali
notevoli e le capacità di scrittura, oltre che sull’apporto di
validi collaboratori.
Materiali e testimonianze per
Mystify: Michael Hutchence
Sono proprio alcuni membri del
gruppo – composto oltre che da Hutchence, da Garry
Beers, Kirk Pengilly e
dai fratelli Tim, Jon e
Andrew Farris, co-autore dei brani assieme a
Michael – a parlare di lui. Ci sono i familiari – il padre
Kell, i fratelli Tina e
Rhett Hutchence– e le sue partner
– Michele Bennett, che rimase sempre sua amica e
per la quale scrisse Never tear us apart, uno dei brani
più famosi della band; Kylie Minogue, che lo
conobbe giovanissima; la modella Helena
Christensen e Paula Yates, giornalista
musicale che per lui lasciò Bob Geldoff e gli
diede la sua unica figlia, Tiger.
Infine gli amici, tra cui il leader
degli U2 Bono. Sullo schermo brevi sequenze di
concerti si alternano a interviste a Michael, accanto a una serie
di filmati privati, spesso girati dallo stesso cantante, e foto di
famiglia.
La figura di Michael
Hutchence
Nato il 22 gennaio del 1960, il film
ripercorrere la sua infanzia e adolescenza tra Australia, Hong Kong
e Usa, dove segue la madre, Patricia, dopo la separazione dal
padre. Vi resterà per più di un anno. Nel ’77 l’incontro con i
fratelli Farris, nel 1980 il primo album degli INXS. Michael non sa
suonare, ma la sua voce profonda e sensuale è ciò che
contraddistingue il gruppo.
I primi anni sono un tour continuo,
come racconta la compagna di allora Michele Bennett. Quindi il
successo, milioni di copie vendute in America dall’album
Kick (1987) in poi, da Mystify e Need you
Tonight a Taste it, passando per Suicide
Blonde. Alcuni brani sono parte integrante della colonna
sonora del film, che regala anche due inediti e conta sulle musiche
originali di Warren Ellis, già membro dei
Nick Cave and the Bad Seeds.
Assieme agli stadi pieni arrivano i
riconoscimenti internazionali e le prime pressioni mediatiche.
Intanto, nella vita privata di Michael c’è Kylie Minogue, giovane e
bellissima, entrambi sono impegnati in tour, spesso in parti
opposte del mondo. I fax che si scambiano testimoniano la loro
intensa storia d’amore, dice Minogue, “erano le nostre lettere
d’amore”, assieme a filmati privati girati da Michael nei
viaggi in Provenza, Italia o a bordo dell’Orient Express.
Emerge così il ritratto toccante di
una persona estremamente dolce e timida, accogliente e mite, con un
abbraccio o un sorriso sempre pronto a schiudersi. Insomma,
l’opposto della rockstar trasgressiva, che distrugge camere
d’albergo e manda a monte tour. Al contrario, un gran lavoratore,
che porta su di sé il peso del gruppo come frontman, ma anche
scrivendo testi e componendo melodie assieme ad Andrew Farris. Un
carisma naturale il suo, come ripetono molti degli intervistati,
che emergeva dal suo sguardo magnetico, capace di catturare
l’attenzione di chiunque fosse in una stanza con lui. Una
personalità con le sue fragilità, ma che era riuscita a trovare un
equilibrio.
Fino al 1992 e al giorno
in cui un incidente, in vacanza a Copenaghen, cambia per sempre la
sua vita. La violenta aggressione di un tassista gli causa gravi e
irreversibili danni al cervello, di cui non vorrà mai far parola
neanche con i membri della band. In un attimo Michael Hutchence
perde ciò su cui più di tutto aveva strutturato la sua esistenza: i
sensi, l’olfatto e il gusto. Minogue parla di lui come di un essere
sensuale, i cui sensi avevano bisogno di stimoli continui, curioso
e desideroso di provare tutti i piaceri della vita.
Ora, invece, l’uomo che aveva
cantato Taste it (assaggia), innamorato fin quasi
all’ossessione del romanzo Il profumo di Patrick
Süskind, non è più in grado di sentire odori e sapori. La seconda
parte del documentario mostra un uomo profondamente cambiato,
depresso, a volte anche aggressivo e violento, che ha smarrito sé
stesso. Quindi, il ricorso più massiccio alle droghe e l’incontro
con Paula Yates, la separazione di lei da Geldoff, che dà il via a
un’aspra battaglia per la custodia delle figlie – cui Michael
si lega molto.
L’assedio mediatico dei tabloid
inglesi, sempre più stretto e destabilizzante per il cantante.
L’unica vera gioia di questi anni per lui, che sembra galleggiare
in un vuoto sempre più profondo, è la nascita della figlia, Tiger
Lily. Alla vigilia del tour australiano del ’97 appare stanco, non
vuole allontanarsi da Londra, dalla famiglia. Lontano da casa e
dagli affetti, la solitudine e lo smarrimento prevalgono,
portandolo a togliersi la vita in un hotel di Sidney il 22 novembre
dello stesso anno.
L’approccio di
Lowenstein
Il regista non insiste sugli aspetti
dissoluti della vita di Hutchence, sull’uso di droghe e sulla
dipendenza, pur non nascondendoli affatto. Non è interessato a
questo, non è morboso, non ha intenti voyeuristici.
Anzi, il documentario rende
giustizia a una figura troppo spesso raccontata in modo parziale e
fuorviante dalla stampa. Lowenstein si mantiene alla larga dallo
stereotipo trito della rockstar dissoluta e restituisce qualcosa di
assai più interessante: il carattere, la personalità di Hutchence
con estrema delicatezza, come può fare solo un amico. È sicuramente
grazie allo spirito sincero e accorato che permea il lavoro che
Lowenstein è riuscito ad ottenere la collaborazione di parenti e
amici più stretti, i quali hanno partecipato al film con lo stesso
intento. Ed è anche ciò che conquista lo spettatore.
Non si tratta dell’ennesima
operazione commerciale creata attorno a leader o band di
grandissimo richiamo, di cui già si è detto e scritto tutto il
possibile, ridondante e superflua. Al contrario:
Mystify è il documentario di cui c’era
bisogno per far conoscere l’uomo Hutchence a chi lo ha amato come
musicista, ma anche a chi vi si accosta per la prima volta e
magari, coinvolto da un racconto dolce e struggente, con ancora
negli occhi l’immagine di questo ragazzo mite e gentile, del suo
sorriso largo e accogliente, potrà avvicinarsi al suo lavoro
d’artista.