Apple TV+ ha svelato il
primo teaser di Monarch: Legacy of Monsters,
l’attesissima serie di dieci episodi in arrivo il 17 novembre.
Basata sul
Monsterverse della Legendary e interpretata da Kurt Russell, Wyatt Russell, Anna Sawai,
Kiersey Clemons, Ren Watabe,
Mari Yamamoto, Anders Holm,
Joe Tippett ed Elisa Lasowski,
Monarch: Legacy of Monsters farà il suo debutto
con i primi due episodi, seguiti da un episodio ogni venerdì, fino
al 12 gennaio.
Dopo la fragorosa battaglia tra
Godzilla e i Titani che ha raso al suolo San Francisco e la
scioccante rivelazione che i mostri sono reali, Monarch:
Legacy of Monsters segue la vicenda di due fratelli che
ricalcano le orme del padre per scoprire il legame della loro
famiglia con l’organizzazione segreta nota come Monarch. Gli indizi
li conducono nel mondo dei mostri e, infine, nella tana del
coniglio dell’ufficiale dell’esercito Lee Shaw (interpretato da
Kurt Russell e Wyatt Russell), in un arco temporale che va dagli
anni ’50 fino a mezzo secolo dopo, quando la Monarch è minacciata
da ciò che Shaw sa. La drammatica saga – che abbraccia tre
generazioni – rivela segreti sepolti e i modi in cui eventi epici e
sconvolgenti possono riverberarsi nelle nostre vite.
Prodotto dalla Legendary Television,
Monarch: Legacy of Monsters è co-sviluppata e
prodotta esecutivamente da Chris Black e Matt Fraction. Matt
Shakman dirige i primi due episodi e funge da produttore esecutivo
insieme a Joby Harold e Tory Tunnell, per conto di Safehouse
Pictures, Andy Goddard, Brad Van Arragon e Andrew Colville. Hiro
Matsuoka e Takemasa Arita producono esecutivamente per conto della
Toho Co., Ltd., proprietaria del personaggio di Godzilla. La Toho
ha concesso i diritti alla Legendary per “Monarch: Legacy of
Monsters” come naturale conseguenza del loro rapporto a lungo
termine con il franchise cinematografico.
Il Monsterverse di Legendary
Entertainment è un epico universo di intrattenimento con storie
interconnesse che riuniscono le più titaniche forze della natura
della cultura popolare. Il pubblico assiste alla più grande
battaglia per la sopravvivenza dell’umanità, in lotta per salvare
il nostro mondo da una nuova realtà catastrofica: i mostri dei
nostri miti e delle nostre leggende sono reali. Iniziato nel 2014
con “Godzilla” e proseguito con “Kong: Skull Island” del 2017,
“Godzilla: King of the Monsters” del 2019 e “Godzilla vs. Kong” del
2021, il Monsterverse ha accumulato quasi due miliardi di dollari
ai botteghini di tutto il mondo ed è in continua espansione, con
l’attesissimo sequel “Godzilla x Kong: The New Empire”.
La serie si aggiunge all’offerta in
espansione di Apple
TV+ di dramedy sulla costruzione del mondo, tra cui la serie di
successo globale “Silo”; “Foundation”, basata sui pluripremiati romanzi di
Isaac Asimov e creata da David S. Goyer; “Invasion”, la serie
fantascientifica dei produttori Simon Kinberg e David Weil,
nominati agli Oscar® e due volte agli Emmy, e altro ancora.
Memory è il film del
regista messicano Michel Franco
in Concorso a Venezia 80. Il
tema centrale del film che da anche il titolo al lungometraggio è
ovviamente la memoria che fa da filo conduttore tra le storie:
“Non sapevo di stare girando un film sulla memoria fin quando
non l’ho finito. Mentre scrivevo e facevo ricerche ho realizzato
che il concetto della memoria continuava a ritornare in tutte le
pagine ed è poi il titolo che ho dato al film”, ha iniziato
Michel Franco. La memoria viene trattata in tutte le sue forme,
anche quando si tratta di perdita di memoria e in particolare della
demenza. “La mia più grande paura è perdere la memoria, la mia
mente. Se non sai chi sei, sei sempre te stesso ma se non ti
ricordi da dove vieni è quella la cosa che mi fa più
spaventare”, continua il regista.
Jessica Chastain e Peter Sarsgaard
in Memory
Memory tratta della demenza
che colpisce il personaggio di Peter
Sarsgaard. L’attore si è commosso oggi parlando di suo
zio che soffriva di CTE (encefalopatia traumatica cronica) ed è
morto durante la Covid. “Si tratta di una persona che è stata
molto importante nella mia vita, quindi ho sentito come una cosa
magica il fatto che mi sia stato chiesto di interpretare qualcuno
che ha avuto la demenza – a 52 anni, mio zio l’ha avuta a 48… Il
suo spirito di positività e amore e grazia e perdono, anche fino
alla fine. Ho pensato che fosse bellissimo“.
Jessica
Chastain ha dichiarato di essere stata colpita dalla
sceneggiatura di Memory e “dall’assenza di qualsiasi
cliché. Mi ha commosso molto la storia di questa donna che ha
vissuto il trauma della sua vita davanti a sé… e questo l’ha chiusa
al mondo. In sostanza, ha smesso di vivere. È stato bellissimo
assistere al suo viaggio per imparare a vivere di nuovo“.
Lo sciopero
“Ero molto nervosa all’idea di
venire“, ha detto la Chastain, che indossava la maglietta nera
in supporto allo sciopero
SAG-AFTRA, rivelando che “in realtà alcune persone
del mio team mi avevano sconsigliato di farlo. Sono molto
consapevole di quanto sono fortunato. È una professione
meravigliosa quella che possiamo svolgere come attori. Ci viene
fatto credere di dover stare zitti per proteggerci. E spesso ci
viene detto e ricordato quanto dovremmo essere grati. Questo è
l’ambiente che, a mio avviso, ha permesso che gli abusi sul posto
di lavoro restassero incontrollati per molti decenni. Ed è anche
l’ambiente che ha imposto ai membri del mio sindacato contratti
ingiusti”, continua l’attrice premio Oscar.
“Sono qui perché la SAG-AFTRA è
stata esplicitamente chiara sul fatto che il modo di sostenere lo
sciopero è quello di postare sui social media, camminare sui
picchetti e lavorare e sostenere i progetti di accordo interinale.
È quello che il nostro consiglio nazionale e la nostra leadership
ci hanno chiesto di fare. E quando i produttori indipendenti, come
quelli qui presenti, firmano questi accordi provvisori, fanno
sapere al mondo e all’AMPTP che gli attori meritano un compenso
equo, che le protezioni dell’AI devono essere implementate e che ci
deve essere una condivisione dei ricavi dello streaming”,
conclude.
Con il titolo originale di
KobietaZ,Malgorzata Szumowska e
Michal Englert presentano il loro film in Concorso
a Venezia 80. Una
storia di accettazione e identificazione in tre atti, metaforici,
dove la protagonista Aniela si mette a nudo. Woman
Of, questo il titolo internazionale,
ripercorre quattro decenni di storia a partire da un momento molto
particolare vissuto in Polonia durante la guerra. Un racconto ampio
e commovente che ha richiesto molti anni di lavoro e di incontri
con persone transgender.
Protagonista è
Aniela (Małgorzata
Hajewska-Krzysztofik), che ha vissuto per quasi la metà
della sua vita come un uomo in una città di provincia e nel film
compie il suo faticoso viaggio verso la libertà. Lo stesso viaggio
e transizione che affronta diversi cambiamenti passando dal
comunismo alla dipendenza dalla Russia alla libertà. La città
diventa lo specchio di questi protagonisti in Woman Of,
che sarà distribuito in Italia da I Wonder Pictures.
Woman Of, la trama
Ambientato nel contesto della
trasformazione della Polonia dal comunismo al capitalismo, Woman Of
ripercorre 45 anni di vita di Aniela Wesoły, che vive più della
metà della sua vita adulta in una città polacca provinciale come
uomo. Il viaggio di Aniela alla ricerca della
libertà personale come donna trans rivela difficoltà nel matrimonio
e nella genitorialità, relazioni familiari tese e atteggiamenti
complicati nel suo ambiente, che la pongono costantemente in
situazioni impossibili. Quali scelte dovrà fare Aniela? Sarà pronta
a sacrificare tutto per diventare chi è veramente?
Nel racconto di Malgorzata
Szumowska e Michal Englert la vita Aniela
è divisa in tre atti. Cresciuto durante la guerra il giovane Andrej
è stato scartato dall’esercito per lo smalto ai piedi ma fino alla
mezza età questa cosa non lo aveva colpito quanto avrebbe dovuto. O
forse più che altro non sapeva come gestire la cosa. Andrej sposa
Iza, una giovane donna di cui si innamora perdutamente e
all’istante. Nel primo atto si ripercorrono dunque velocemente le
scene del loro corteggiamento e matrimonio fino ad arrivare a una
inquadratura fissa, dove tutti sono di spalle e festeggiano il
compleanno di Andrej. “Esprimi un desiderio”, sempre lo
stesso per 45 anni.
Identificazione
Attraversando varie fasi della vita
di Aniela passiamo anche per tappe storiche
importati in Polonia. Mentre lo schermo segna come data il 1989
vediamo che anche Andrej inizia a cambiare: il periodo di forte
libertà dato dalla caduta del Muro di Berlino porta alla luce il
vero io di Andrej. Contestualmente però i rapporti con la moglie,
prima focosi, iniziano a spegnersi. Non siamo ancora entrati nel
secondo atto, siamo ancora alla fase di negazione e rassegnazione
dove Aniela lotta contro sé stessa per trovare la
sua vera identità. In questo caso cercherà il parere di tutti i
medici per capire cosa c’è di sbagliato in lei, come possono
aiutarla. Non riscontrando nulla che non va inizia così una prima
fase di accettazione da parte di Andrej verso la sua nuova identità
che è ancora offuscata ai suoi occhi.
Cresciuto negli anni della guerra,
quando i sentimenti e le pulsioni andavano represse, la nuova fase
della vita di Andrej si apre dunque alla sperimentazione. Mentre
cerca di esplorare la sua nuova identità nella privacy di casa sua
Andrej ruba gli indumenti della moglie e di nascosto davanti lo
specchio cerca sé stessa. E si vede. Si riconosce. Inizia la
transizione in un periodo in cui ancora in Polonia tutto quello che
usciva fuori dai ranghi canonici veniva associato alla
schizofrenia.
Diventare autentici
Il percorso di transizione è
iniziato e così anche Aniela attraversa il secondo
atto della sua vita. Un atto di consapevolezza del proprio corpo.
Il cambiamento avviene anche tra le mura domestiche perché
Woman Of non si adatta alle norme sociali di una famiglia
tradizionale perché Aniela non si sente a casa
propria nel suo Paese, lo stesso che ha delle regole rigidissime
sulle pratiche di transizione. E ancora una volta la storia si
riflette simbolicamente nella storia della Polonia quando il film
riflette su quanto possa essere difficile comprendere un mondo in
rapida evoluzione.
Un film che sicuramente farà
discutere per i temi trattati e per la presenza così forte di
questa Polonia ancora così indietro cercando di opporsi
all’introduzione di cambiamenti che da tempo sono diventati la
norma in altre parti del mondo. Così una volta superato il nuovo
millennio entriamo nel terzo atto della vita di
Aniela, quella della completa accettazione e
ritorno alla situazione di partenza. Come un viaggio dell’eroe, la
situazione si ristabilizza ma inevitabilmente i personaggi ne
escono cambiati. La moglie e la famiglia imparano ad accettare la
nuova identità di Aniela che non ha più desideri
da esprimere al suo compleanno perché ha già tutto quello che ha
sempre desiderato.
L’80. Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia sta
per giungere al termine e quest’oggi il regista francese
Stéphane Brizé ha presentato in anteprima alla
stampa il suo nuovo film Hors Saison. La trama di
questo suo nuovo progetto ruota attorno a Mathieu
(Guillaume Canet), che vive a Parigi, e ad
Alice (Alba
Rohrwacher) in una piccola località di mare nella
Francia occidentale. Lui è un famoso attore in procinto di
compiere cinquant’anni, lei un’insegnante di piano sulla
quarantina. Innamorati quindici anni fa, successivamente separati.
Il tempo è passato. Ciascuno ha preso la propria strada e le
ferite si sono lentamente rimarginate. Quando Mathieu va in una spa
per cercare di superare la malinconia che lo attanaglia, si imbatte
in Alice.
Brizé ha svelato
come mai, dopo essersi cimentato con vari film d’impianto sociale,
si sia dedicato a un film sull’amore: “La stessa domanda mi era
stata posta prima della trilogia Avevo gia affrontato tematiche
sentimentali esistenziali, il rapporto madre figlia, ad esempio,
come tutti gli esseri umani sono fatti di fasi diverse nella vita e
sento il bisogno di raccontare fasi diverse a seconda del tempo che
passa. Ho condiviso lo stato d’animo dei miei personaggi nel
provare una profonda disillusione, che mi ha molto provato sia sul
piano emotivo che fisico e sentivo la necessita di respirare come
loro. Tutti noi abbiamo vissuto l’esperienza di una pandemia che ha
costretto noi esseri umani, portati naturalmente al movimento, a
stare fermi, chiusi nelle noste case, a fare i conti con quesiti
esistenziai che ci hanno dato un senso di vertigine. Un momento
della vita molto vero che io ho sentito la necessita di
raccontare“.
In Hors Saison, è
evidente che il regista ha apportato modifiche stilistiche rispetto
alla maniera in cui è abituato a girare, pensando alla macchina a
spalla dei film della trilogia: “Il film è fatto anche dai
movimenti della macchina da presa e si prestava a una fissità delle
inquadrature che sono comunque di formato diverso, campi molto
larghi e personaggi piccoli rispetto al contesto in cui si trovano,
quasi a deridere le loro vicissitudini umane“, ha
spiegato.
Alba Rorhwacher ha invece ricordato il suo
primo incontro con la sceneggiatura del film: “Quando ho letto
la sceneggiatura la storia mi ha molto coinvolto: ho trovato
un’aderenza nel modo in cui lui scriveva con la mia vita. Mi ha
coninvolta, fatto piangere e ridere allo stesso momento. Il copione
era molto potente e poi, durante questo film, ho incontrato un
grandissimo regista con una visione molto precisa di quello che
raccontava e io mi sono totalmente affidata nelle sue mani perche
sentivo che erano delle mani che mi potevano reggere. Io che ho
paura, sempre, non ho avuto paura. I confini miei si sono confusi
con quelli del personaggio in totale armonia. La ricerca di
Stéphane è la ricerca di una verità che io raramente trovo nel mio
lavoro, mi è sembrato un miracolo e mi sono perduta. Anche
Guillaume si è perduto nel lavoro di Stéphane e
questo è il miracolo che accade nel nostro mestiere, raramente, per
cui io dico ‘ecco perche lo faccio’“.
L’attrice ha poi raccontato come è
stato lavorare assieme a Guillaume Canet:
“Guillaume è un’anima gentile, abbiamo fatto un viaggio assieme
dentro le mani di Stéphane. Ricordo la sua pazienza, il suo sguardo
sempre attento, quando ieri ho rivisto il film mi ha straziato il
ritratto che ha fatto del suo personaggio, la grazia con cui con
poco ha raccontato questo residuo interiore enorme per lui e cosi
quasi sciocco per altri. Ci siamo entrambi affidati a Stéphane e
siamo diventati quello che lui ci ha chiesto di diventare. Quando
succede questo è un qualcosa di unico che poi rimane nel lavoro. Io
ieri ho guardato questo lavoro per la prima volta e ne ho
riconosicuto la grandezza del processo lavorativo in quello che è
diventato il film“.
Infine, Brizé si è
esposto su una tematica attualissima e che rispecchia anche
l’atmosfera in cui la trama del suo film prende piede: gli scioperi
della SAG-AFTRA e della WGA: “Trovo assolutamente straordinario
questo sciopero in un paese che fatica ad avere una rappresentaza
sindacale, il fatto che un’industria come quella dello spettacolo
si blocchi in un paese come gli Stati Uniti è un qualcosa di
straordinario. Valgono tutte le regole di qualsiasi sciopero, anche
Alba e io siamo operai artigiani nella scrittura e nella
recitazione. Chiaro che diventa uno sciopero spettacolare perchè
coinvolge un’azione che è emblematica della mercificazione del
nostro mondo, affondata da in criterio di reddittività e profitto,
ed è un’aberrazione che ha raggiunto livelli insostenibili. Siamo
di fronte sicuramente uno sciopero potente, ci vuole coraggio come
in tutte le altre forme di sciopero. Il mio sogno sarebbe che
questo sciopero arrivasse a coinvolgere il mondo intero e tutti i
settori industriali del capitalismo“.
Un regista che definiremmo
“surrealista” come Quentin Dupieux,
paradossalmente, firma con Daaaaaali! il suo film
più riflessivo, seppur stravagante dal punto di vista formale e
narrativo. Presentato fuori concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia 2023,
Daaaaaali! è un “non-film” sul padre del
surrealismo Salvador Dalí, in cui l’impossibilità
di raccontare la vita dell’artista si fonde perfettamente con la
tendenza di Dupieux a sminuzzare il racconto
cinematografico, a rielaborarne le forme e sregolarlo. Nel cast,
Anaïs Demoustier, Gilles
Lellouche, Édouard Baer,
Jonathan Cohen, Pio Marmaï,
Didier Flamand, Romain Duris.
Daaaaaali!: un’intervista impossibile
Nel corso di
Daaaaaali! seguiamo una giornalista senza nome
(interpretata da Anaïs Demoustier) che vuole
intervistare quest’artista poliedrico, con l’intenzione di girare
un film sulla sua vita e le sue idee. Tuttavia, ogni incontro, ogni
tentativo di far parlare il maestro si rivela inutile: scappa
l’artista e scappa anche il film, proponendosi come un loop
infinito, una caccia al tesoro senza meta che dà le vertigini:
Dalí è ovunque e in nessun luogo. Il film di
Quentin Dupieux è un racconto che indaga la figura
di Dalì più che altro come genio della comunicazione, oltre il
Dalì artista, rifacendosi direttamente al modo in
cui egli cercava costantemente di sfuggire alla sua immagine
giocando con essa.
Ci troviamo davanti a un non-film su
Dalí per un uomo che non avrebbe mai voluto e non
è mai stato possibile incasellare: Dalí come un’utopia scomparsa,
sia come uomo che come artista, appartenente a un modo in cui
l’arte occupa una posizone centrale, gli artisti sono sulle pagine
dei giornali e in televisione. Non hanno paura di essere
provocatori, assurdi, anche imbarazzanti. Tuttavia, l’arte è
scomparsa dalla nostra vita moderna e Dalí rimane un ricordo del
subconscio potenziato. È stato uno dei primi artisti ad assumere e
promuovere la sua libertà come forma d’arte. C’è una sorta di
sincerità nella sua follia, Dalì non rispetta
nessuna regola, cerca, inventa, a volte fallisce, ma sempre in
maniera inedita: un modus operandi che rispecchia in qualche modo
anche quello di Dupieux, che cerca di avvicinarsi
a questo aspetto di laboratorio nel suo personale parco giochi
cinematografico. Evocando Dalí, Dupieux si è
concesso il diritto di lasciare che l’inconscio prendesse il
controllo della scrittura. Daaaaaali! è un film
molto scritto, molto strutturato ma libero dalla necessità di
“raccontare“: un film che si metamorfizza, in cui
l’immagine racconta la storia.
Si può ancora parlare di surrealismo?
La giornalista senza nome
(Anaïs Demoustier) si definisce normale,
abbastanza noiosa, eppure sarà l’interlocutrice di una figura
straordinaria che, vessandola e sminuendo il suo lavoro, la porrà
sul gradino dell’attenzione, qualcosa a cui non era mai stata
abituata. Dalì “muore di sete“, sete di
vita e sete egocentrica di un artista vanesio oltre ogni limite. Si
fa attendere, ci mette ore a percorre il corridoio dell’hotel in
cui verrà intervistato dal personaggio della
Demoustier, perché la sua figura non si adatta a
nessun tempo e luogo in cui siano presenti altre persone.
Quello di Quentin
Dupieux è un Salvador Dalì mutaforma, che
non sopporta che gli venga fatto perdere tempo, lo stesso concetto
su cui ha plasmato gran parte delle sue opere più conosciute. A un
certo punto farà tutto al contrario, andrà avanti e indietro nel
tempo per cercare di trattenere la sua immagine, fermarla nel
tempo, come la firma con cui si appropria di un dipinto non suo
pensando che basti a identificarla per sempre come “un
Dalì“.
Emerge l’idea che il surrealismo non
abbia più significato nel mondo attuale: all’epoca di
Dalí era una battaglia, un desiderio di cambiare
il mondo, un modo di guardarlo in modo diverso. Oggi, il termine
“surreale” si è sostituito o amalgamato a tanti altri per definire
qualcosa di fuori dagli schemi o che fatichiamo a comprendere.
Daaaaaali! è un gioco, un esperimento, un
tentativo di fare cinema in modo diverso, un modo di evocare Dalí e
rifiutarsi di prendere le cose troppo sul serio, nel tentativo di
proporre l’arte nel suo aspetto più fisico e irrazionale.
I Marvel Studios devono ancora
annunciare un regista per quello che potrebbe rivelarsi il più
grande film del MCU di tutti i tempi, Avengers: Secret
Wars, ma una nuova voce ora sostiene che Kevin Feige
potrebbe affidare la regia di quel titolo ad un regista dietro un
recente sequel del MCU. Un precedente rapporto indicava infatti che
lo studio starebbe cercando registi con una certa esperienza per
garantire che i prossimi progetti, estremamente ambiziosi, siano in
mani sicure. Tra i nomi ad oggi fatti spiccano Jon Favreau
(Iron Man) e Ryan Coogler
(Black Panther).
Si dice che anche il regista di
Shang-Chi e la Leggenda dei
Dieci Anelli, Destin Daniel Cretton, che
dirigerà Avengers: The Kang
Dynasty, sia tenuto in grande considerazione.
Tuttavia, secondo ComicBookMovie.com, Sam
Raimi, regista di Doctor Strange nel
Multiverso della Follia è ad ora emerso come la
“migliore scelta” dello studio per il film conclusivo della
Multiverse Saga. Il sequel di Doctor
Strange è infatti stato accolto con recensioni piuttosto buone
(73% su Rotten Tomatoes) e, sebbene si sia rivelato un po’
controverso tra i fan dell’MCU, ha incassato oltre 950 milioni di
dollari in tutto il mondo.
Naturalmente, Raimi è noto per aver
anche diretto la trilogia originale di Spider-Man, ancora
oggi considerata in modo estremamente positivo tra i fan. Non ci
sono però ancora conferme a riguardo, mentre sappiamo che lo
sceneggiatore di Doctor Strange nel Multiverso
della FolliaMichael Waldron è stato
assunto per scrivere la sceneggiatura alla fine dell’anno scorso,
ma non abbiamo idea di quanti progressi siano stati fatti da
allora, e una voce recente indicava che in realtà egli si sia
separato dal progetto.
Come riportato da Variety, l’attore Danny
Masterson è stato condannato a 30 anni di carcere dopo
essere stato giudicato colpevole di stupro all’inizio di
quest’anno. Masterson, meglio conosciuto per aver recitato nella
sitcom di successo della Fox “That 70’s Show” e in
“The Ranch” di Netflix, stava da tempo affrontando una potenziale
condanna da 30 anni all’ergastolo, cosa che si è poi
concretizzata.
L’attore, che sostiene la sua
innocenza, è stato condannato per due delle tre accuse di stupro
forzato lo scorso maggio. Masterson è stato accusato di aver
violentato tre donne nella sua casa di Hollywood Hills tra il 2001
e il 2003, durante il periodo in cui era in “That 70’s
Show“. La giuria lo ha dunque condannato per aver violentato
due donne nel 2003, ma non è riuscita a raggiungere un verdetto su
un’accusa del novembre 2001 che coinvolgeva un’ex fidanzata,
sebbene i giurati abbiano votato a favore della condanna.
Entrambi i processi hanno inoltre
gettato luce sulla Chiesa di Scientology, di cui Masterson è
membro, con il verdetto che ha dunque segnato una sorprendente
caduta per uno dei membri più importanti di Scientology. Tutte e
tre le vittime erano a loro volta membri della chiesa al momento
delle aggressioni, ma da allora hanno dichiarato di non farne più
parte.
Le tre hanno inoltre affermato – sia
durante la sentenza che nelle testimonianze – che la chiesa le ha
dissuase dal denunciare Masterson alla polizia. I pubblici
ministeri hanno sostenuto durante tutto il processo che Masterson
aveva approfittato della sua posizione nella chiesa per violentare
le donne senza timore di ripercussioni e che la chiesa proibiva
alle donne di rivolgersi alla polizia per denunciare una violenza
sessuale.
Dopo la sentenza, l’avvocato di
Masterson ha detto ai giornalisti fuori dal tribunale che intende
presentare appello contro la sua condanna. “Gli errori che si
sono verificati in questo caso sono sostanziali e sfortunatamente
hanno portato a verdetti non supportati da prove“.
La Writers Guild of America e la SAG-AFTRA stanno spingendo i legislatori della
California a concedere sussidi di disoccupazione ai lavoratori in
sciopero. In California, i lavoratori attualmente non ricevono
l’indennità di disoccupazione quando sono in sciopero. Ma i
legislatori statali stanno lavorando a un disegno di legge, SB 799,
che estenderebbe i benefici ai lavoratori che sono in sciopero da
almeno due settimane.
Se convertito in legge, il disegno
di legge entrerebbe in vigore il 1° gennaio. Se gli scioperi WGA e
SAG-AFTRA fossero risolti entro quella data, il disegno di legge
non avrebbe alcun effetto su questi membri del sindacato. Ma
potrebbe avere un ruolo negli scioperi futuri, sia a Hollywood che
in altri settori.
Il senatore Anthony
Portantino, l’autore principale, ha sostenuto in
un’intervista che il disegno di legge aiuterà l’economia e
estenderà la sicurezza ai lavoratori, livellando al tempo stesso il
campo di gioco tra lavoro e management.
I sindacati di Hollywood hanno
tenuto una manifestazione giovedì fuori alla sede di Amazon a
Culver City per esprimere sostegno al disegno di legge. Hanno
notato che New York e New Jersey già estendono i sussidi di
disoccupazione ai lavoratori in sciopero. “Quattro mesi senza
lavoro sono emotivamente brutali e finanziariamente
disastrosi”, ha affermato Meredith Stiehm,
presidente della WGA West. “Le aziende ovviamente lo sanno e
hanno sfruttato l’insicurezza economica e l’ansia personale dei
nostri membri”.
Kayla
Westergard-Dobson, coordinatrice del lotto WGA presso
Sony, ha sostenuto che l’Alleanza dei produttori cinematografici e
televisivi si è rifiutata di negoziare un contratto equo,
costringendo i membri a scioperare. “Anche se siamo
disoccupati, nessuno di noi può accedere alla disoccupazione”,
ha detto. “Sono passati quasi 130 giorni e sto andando in
rovina. I miei risparmi si sono ridotti quasi a zero. Faccio
affidamento sull’aiuto finanziario della mia famiglia e visito le
banche alimentari per fare la spesa”.
“Questa assicurazione dovrebbe
essere lì per noi quando non possiamo lavorare”, ha detto.
“Che senso ha il fatto che non vi abbiamo accesso ora che ne
abbiamo più bisogno? Se potessi ottenere un impiego durante questa
interruzione del lavoro, proprio come qualsiasi altra pausa o
periodo trascorso senza lavoro, lo stress dello sciopero non
peserebbe così pesantemente. Non dovrei rimandare le visite dal
dentista, o portare il mio gatto dal veterinario o anche solo
tagliarmi i capelli. Non dovrei vedere i miei risparmi toccare il
fondo mentre devo ancora pagare l’affitto.”
L’AMPTP ha rifiutato di commentare.
La Motion Picture Association, che rappresenta gli interessi degli
studi cinematografici a Sacramento, ha rivolto domande alla Camera
di commercio della California. In un’udienza della scorsa
settimana, un rappresentante della Camera ha sostenuto che il
disegno di legge potrebbe portare a centinaia di milioni di dollari
in pagamenti ai lavoratori in sciopero.
Il rappresentante, Robert
Moutrie, ha sostenuto che ciò eserciterebbe ulteriore
pressione sul programma statale di disoccupazione, che già deve al
governo federale più di 18 miliardi di dollari a causa della
pandemia, e costringerebbe le imprese californiane nel loro
complesso a farsi carico del conto sotto forma di premi più
alti.
Moutrie ha affermato che anche i
lavoratori in sciopero si trovano in una situazione diversa
rispetto ai lavoratori che ottengono benefici perché sono stati
licenziati. “Qualcuno che è in sciopero ha un lavoro e sceglie
di non lavorare per creare pressione economica sul proprio datore
di lavoro”, ha detto Moutrie. “Si tratta di una situazione
fondamentalmente diversa rispetto a quella di qualcuno che viene
lasciato andare e non ha idea di quando o se lavorerà di
nuovo”.
Secondo un’analisi dello staff
dell’Assemblea, tra il 2012 e il 2022 in California si sono
verificati 56 scioperi, di cui solo due sono durati più di due
settimane. Il SAG-AFTRA è
iniziato il 14 luglio e tiene il punto ormai da otto settimane,
mentre lo sciopero della WGA è alla sua diciannovesima
settimana.
Il disegno di legge è stato
approvato giovedì dalla Commissione per gli stanziamenti
dell’Assemblea e dovrà essere approvato da entrambe le camere della
legislatura entro il 14 settembre. Il governatore Gavin Newsom non
ha specificato se lo trasformerà in legge.
Un disegno di legge simile, che
avrebbe concesso l’indennità di disoccupazione dopo tre settimane
di sciopero, è stato approvato dall’Assemblea nel 2019 ma per due
voti mancanti non è passato al Senato statale.
I Governor Awards
dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences si sposteranno dal
18 novembre al 9 gennaio nel contesto degli scioperi WGA e
SAG-AFTRA in corso. Angela Bassett, Mel Brooks,
la montatrice Carol Littleton e Michelle
Satter del Sundance Institute saranno premiati al Fairmont
Century Plaza Hotel di Los Angeles. La cerimonia di martedì avrà
luogo due giorni dopo i Golden Globes.
I Governors Awards sono una
produzione sindacale, quindi l’Academy sta lavorando con WGA e
SAG-AFTRA per monitorare la situazione. Il Premio Onorario, una
statuetta dell’Oscar, viene assegnato “per onorare una
straordinaria distinzione nella carriera, contributi eccezionali
allo stato delle arti e delle scienze cinematografiche o per un
servizio eccezionale all’Academy”.
Satter riceverà il Jean Hersholt
Humanitarian Award, anch’esso una statuetta Oscar, che viene
assegnato “a un individuo nel campo delle arti e delle scienze
cinematografiche i cui sforzi umanitari hanno dato credito
all’industria”.
Mel Brooks, 97
anni, è attualmente solo una delle 18 persone esistenti al mondo ad
aver ottenuto lo status di EGOT (ottenendo vittorie competitive da
Emmy, Grammy, Oscar e Tony Awards).
Angela Bassett ha ricevuto la sua prima
nomination all’Oscar come migliore attrice per la sua
interpretazione di Tina Turner in What’s
Love? e ha ottenuto la sua seconda nomination come attrice
non protagonista per il ruolo della Regina Ramonda in Black
Panther: Wakanda Forever.
Carol Littleton ha
ottenuto una nomination all’Oscar per il miglior montaggio
cinematografico per E.T. l’Extraterrestre oltre ad
aver montato molti film che hanno fatto la storia di Hollywood,
come Va e uccidi (The Manchurian
Candidate).
Michelle Satter è
la fondatrice e direttrice senior dei programmi per artisti del
Sundance Institute e per più di 40 anni ha promosso le carriere di
registi famosi e pluripremiati all’interno dell’organizzazione
no-profit, molti dei quali provenienti da comunità
sottorappresentate.
15 anni dopo l’inizio dello sviluppo
del film, il remake di Il
Corvo di Rupert Sanders sembra
aver finalmente trovato una casa di distribuzione domestica nella
Lionsgate. Secondo The Hollywood Reporter, la
Lionsgate si occuperà infatti del rilascio sul territorio
statunitense del tanto atteso rifacimento del film, con Bill Skarsgard
nel ruolo principale. Secondo quanto riferito, CAA Media Finance ha
concluso l’accordo per la distribuzione e Charlotte
Koh, vicepresidente esecutivo, acquisizioni e coproduzioni
della Lionsgate, supervisionerà il processo di rilascio di Il
corvo alla Lionsgate.
La stessa Koh ha recentemente
parlato del profondo apprezzamento della troupe del remake per il
film originale e i suoi personaggi, affermando che il film in
uscita reinventerà la famosa storia nel modo più rispettoso
possibile. “Apprezziamo ciò che il personaggio del Corvo e il
film originale significano per legioni di fan e crediamo che questo
nuovo film offrirà al pubblico una reinterpretazione autentica e
viscerale del suo potere emotivo e della sua mitologia“, ha
affermato Koh.
Il corvo di Sanders si
baserà sulla sceneggiatura di Zach Baylin e
Will Schneider e seguirà Eric Draven, un musicista
deceduto e poi resuscitato, mentre si vendica di una banda per la
sua morte prematura e quella della sua fidanzata. Proprio come
il film di Alex
Proyas del 1994, anche questo remake sarà basato
sull’omonimo fumetto di James O’Barr, che ha
debuttato nel 1989. Skarsgard assumerà dunque il ruolo leggendario
di Eric Draven/Il Corvo, interpretato nel film originale dal
compianto Brandon Lee,
rimasto ucciso in seguito a un tragico incidente sul set nel
1993.
La cantante FKA Twigs
sembra interpreterà invece La fidanzata di Eric, Shelly
Webster. Altri membri del cast confermati includono
Danny Huston, Isabella Wei,
Laura Birn, Sami Bouajila e
Jordan Bolger. Victor Hadida,
Molly Hassell, John Jencks, il
defunto Samuel Hadida e il defunto Edward
R. Pressman sono invece accreditati come i produttori di
Il corvo. “Rupert ha magistralmente portato nuove
dimensioni per creare un universo contemporaneo per questa saga
senza tempo di amore eterno, e non vediamo l’ora di condividere
questa visione con il pubblico cinematografico”, hanno
dichiarato i produttori. Con l’ingresso della Lionsgate nel
progeto, si attende ora solo una data di uscita ufficiale.
Si è tenuta questa sera la
proiezione ufficiale di
Daaaaaali! (recensione), il nuovo film di
Quentin Dupieux presentato fuori concorso Venezia
80, l’80esima
Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Sul red carpet il
regista accompagnato dal cast, Anaïs Demoustier, Gilles Lellouche,
Édouard Baer.
In merito al film il regista ha commentato “Per scrivere e
dirigere questo tributo, mi sono connesso con la coscienza cosmica
di Salvador Dalí e mi sono lasciato guidare, a occhi chiusi. Per
prima cosa, il Maestro mi ha ordinato di reclutare diversi attori
brillanti a cui affidare il suo personaggio (troppo complesso per
un solo uomo); poi insieme abbiamo fatto visita a Buñuel per
carpire alcune immagini e idee; successivamente mi ha condotto a
forza nelle profondità della sua angoscia morbosa e nei suoi sogni
per guidarmi; e infine ho quasi ritrovato il controllo del mio
film, per farne semplicemente una dichiarazione d’amore nei
confronti di quest’uomo. Come ha detto lo stesso Dalí, la sua
personalità è stata probabilmente il suo più grande capolavoro.
Il mio film racconta modestamente questa storia.”
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Quentin Dupieux sul red
carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pomp
Quentin Dupieux sul red
carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pomp
Si è tenuta questa sera la
proiezione ufficiale di Lubo (recensione),
il nuovo film di Giorgio Diritti presentato in
concorso Venezia
80, l’80esima
Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Sul red carpet il
regista accompagnato dal cast, Franz Rogowski, Christophe
Sermet, Valentina Bellè, Noemi Besedes, Cecilia Steiner, Joel
Basman.
Il regista ha commentato: “La
lettura del romanzo Il seminatore di Mario Cavatore mi ha svelato
vicende poco conosciute accadute in Svizzera per cinquanta anni,
portandomi a riflettere sul senso di giustizia, sulle istituzioni,
sul senso dell’educare e dell’amare. Ne è nato il film Lubo, da
cui nello svolgersi degli eventi emerge quanto principi folli e
leggi discriminatorie generino un male che si espande come una
macchia d’olio nel tempo, penetrando nelle vite degli uomini,
modificandone i percorsi, i valori, generando dolore, rabbia,
violenza, ambiguità… ma anche un amore per la vita e per i propri
figli che vuole sopravvivere a tutto e riportare giustizia.”
Di seguito tutte le foto dal red carpet.
Lubo è un nomade, un artista di strada che
nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i
confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo
dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai
gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto
Jenisch, sono stati strappati alla famiglia, secondo il programma
di rieducazione nazionale per i bambini di strada (Hilfswerk für
die Kinder der Landstrasse). Lubo sa che non avrà più pace fino a
quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la
sua storia e per quella di tutti i diversi come lui.
Domina è una serie tv andata in onda con
otto puntate per la prima volta su Sky e NOW a maggio del 2021 e di
cui uscirà la
seconda stagione l’8 settembre sempre sulle stesse
piattaforme.
Ideata e diretta da
Simon Burke, sceneggiatore e regista che era già
stato creatore nel mondo della serialità alla fine degli anni 90
con il titolo di Liverpool One, è prodotta dall’inglese
Tiger Aspect Productions e Sky ed è interamente girata negli
Studios di Cinecittà a Roma con ogni location ricostruita
fedelmente e con gran realismo.
Domina seconda stagione, la trama
La storia infatti
riprende aderendo in maniera piuttosto credibile ai fatti realmente
accaduti. Ci troviamo nel 44 a.C., Cesare è stato da poco
assassinato e Gaio Ottavio ne è il principale erede in quanto
figlio adottivo. Ma il racconto, questa volta, non s’incentra su
una delle figure più potenti dell’antichità, anzi: pone l’accento,
il titolo e la sua stessa trama sulla donna che gli è stata accanto
per quasi tutta la vita e, che per la sua personalità tenace,
astuta e intrepida, è ricordata ancora dopo millenni.
Livia Drusilla Claudia
(Kasia
Smutniak) è la “domina” del nome della serie, cioè la
“signora” in latino, quella che nelle case di uomini potenti aveva
accesso a lusso, gioielli e molto rispetto, certamente, ma da parte
della servitù. Livia, grazie a un’educazione ricevuta da sua padre
che generalmente era concessa solo ai ragazzi, diventa esperta di
politica, intuitiva, sviluppa un senso critico e, soprattutto,
grazie a uno spirito di sopravvivenza spiccato e dirompente, impara
a farsi strada cogliendo le scelte giuste da fare e il momento
perfetto in cui compierle.
Una serie che ruota attorno al fascino della
protagonista
Domina segue dunque la vita della ragazza a
partire dai suoi quindici anni, quando viene data in sposa a
Tiberio Claudio Nerone (antenato di quello che pare abbia appiccato
l’incendio più famoso della storia) e come tenta di divincolarsi
dalla sua brutalità, cosa che poi determinerà l’inizio della sua
ascesa.
Tutti gli aspetti che si
discostano dalla verità degli eventi, riguardano specialmente le
svolte nelle quali viene attribuita una sfumatura maggiore
sull’iniziativa di Livia anziché dell’uomo di turno. La serie di
Simon Burke vuole in realtà ruotare attorno al
personaggio di Livia e respirarne il fascino, le fatiche e le
guerre. Dove normalmente un racconto che leggeremmo sui libri di
scuola parla di centinaia di battaglie combattute da uomini,
Domina si apre con Livia che brandisce un’arma di
fortuna.
Un intero cast che intesse intrighi e
cospirazioni
A supportare gli infiniti
intrighi messi in scena puntata dopo puntata, è anche il cast di
attori piuttosto efficaci nei loro ruoli, uno su tutti
Matthew McNulty nel ruolo di Gaio, Ben Batt in
quello del suo fidato amico Agrippa, Claire
Forlani e Christine Bottomley nelle
tremende parti di Ottavia e Scribonia. Le prime due puntate della
seconda stagione vedono quindi tutti riuniti più o meno lì dove li
avevamo lasciati – al netto di qualche inevitabile e sorprendente
variazione, ovviamente – con l’immensa domus dell’imperatore che
ospita cospirazioni e maneggi come solo la natura umana può tirar
fuori quando è spinta dagli istinti primari.
E in tutto ciò Livia che
tira sempre i fili e le trame, cerca di salvare i suoi amori,
tenere alta la testa e rimanere incisa nella memoria della Roma
antica. Perché, lo ricordiamo, in quegli anni si stava costruendo
quell’incredibile periodo che venne poi denominato come Pax Romana,
durante il quale l’impero raggiunse un’estensione che mai più si
verificò per nessun altro e che racchiudeva un numero altissimo di
popoli di culture e lingue diverse. E pensare al ruolo che una
donna possa aver giocato in un’operazione di questa portata, non è
certo cosa da poco. Domina sicuramente non
lascia a bocca aperta, perché è molto semplice il modo in cui la
narrazione viene condotta, ma fa bene il suo mestiere per
trasmettere l’evidente messaggio che vuole lasciare.
Paramount+
ha presentato oggi il teaser trailer dell’attesissima serie
originale Lawmen: la storia di Bass Reeves, che
debutterà in esclusiva sul servizio con due episodi domenica 5
novembre in tutti i mercati internazionali Paramount+.
La serie antologica è interpretata dal produttore esecutivo e
candidato agli Emmy Award David Oyelowo,
Lauren E. Banks, Demi Singleton,
Forrest Goodluck, Barry Pepper, il vincitore
dell’Oscar onorario Donald Sutherland e il candidato agli Emmy
Award Dennis Quaid.
Svelando la storia
mai raccontata del più leggendario uomo di legge del vecchio West,
LAWMEN: LA STORIA DI BASS REEVES segue il viaggio di
Reeves (Oyelowo) e la sua ascesa dalla schiavitù alle forze
dell’ordine come primo U.S. Marshal nero a ovest del Mississippi.
Nonostante abbia arrestato oltre 3.000 fuorilegge nel corso della
sua carriera, il peso delle responsabilità derivanti dal suo
incarico diventa sempre più oneroso mentre affronta le sfide
emotive ed etiche connesse al suo lavoro e alle implicazioni che
comporta per la sua amata famiglia. LAWMEN: LA STORIA DI BASS
REEVES è una nuova serie antologica a sé stante e le future
produzioni seguiranno altri iconici uomini di legge e fuorilegge
che hanno influenzato la storia.
Il cast include
Shea Whigham e Garrett Hedlund come guest star oltre a Joaquina
Kalukango, Lonnie Chavis, Grantham Coleman, Tosin Morohunfola, Dale
Dickey, Rob Morgan, Ryan O’Nan, Margot Bingham, Mo Brings Plenty,
Justin Hurtt-Dunkley e Bill Dawes.
Creata per la
televisione dal produttore esecutivo e showrunner Chad Feehan, la
serie è prodotta anche dal candidato all’Oscar Taylor Sheridan,
David Oyelowo, David C. Glasser, Jessica Oyelowo, David Permut,
Christina Alexandra Voros, Ron Burkle, Bob Yari e David Hutkin. La
serie è prodotta da MTV Entertainment Studios, 101 Studios, Bosque
Ranch Productions di Sheridan e Yoruba Saxon di Oyelowo in
esclusiva per Paramount+.
LAWMEN: LA
STORIA DI BASS REEVES è l’ultima novità nel crescente panel di
contenuti di Sheridan su Paramount+, che comprende 1923, 1883,
MAYOR OF KINGSTOWN, TULSA KING, SPECIAL OPS: LIONESS e la
serie prossimamente in arrivo LAND MAN.
Non solo i bei film diventano dei
cult nel tempo, ma anzi numerosi sono i casi di opere massacrate
alla loro uscita che acquistano poi un proprio seguito. Il più
delle volte ciò avviene per motivi non preventivati e distanti da
quelli sperati, ma permettono ugualmente a questi film di vivere
una loro popolarità. Tra questi si colloca anche
Ballistic, thriller d’azione del 2002
diretto da Wich Kaosayananda e scritto da
Alan McElroy.Tra spionaggio, tecnologie avanzate e
grandi sequenze d’azione, il film si configura come un caotico
racconto tra generi diversi, regalando anche alcuni elementi di
fascino.
Prima di vedere la luce,
Ballistic dovette però attendere molto tempo. La
sceneggiatura venne infatti scritta nel 1986, subendo poi numerosi
rimaneggiamenti nel corso del tempo. Originariamente, infatti, la
storia prevedeva sequenze d’azione ancor più complesse, come anche
un tono molto più cupo e violento. Ad essere aggiunta è invece
stata la linea narrativa relativa alle nanotecnologie, così da
poter cavalcare l’onda del successo di Matrix, a cui
Ballistic si è inevitabilmente ispirato. Con queste
modifiche, il film riuscì così a concretizzarsi, andando però
incontro ad una disastrosa rovina.
Massacrato dalla critica,
Ballistic è ancora oggi considerato uno dei peggiori film
mai realizzati, nonché uno di quelli a poter vantare lo 0% di
gradimento sul sito Rotten Tomatoes. Proprio questo disastro, lo ha
però portato negli anni a guadagnare un proprio seguito, divenendo
così uno scult a tutti gli effetti. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Ballistic: la trama del film
Protagonista del film è l’agente
FBI Jeremiah Ecks, un tempo tra i migliori
del suo dipartimento e ora caduto in profonda depressione in
seguito alla morte della moglie Vinn, avvenuta
sette anni prima. Nonostante egli non sia più in servizio, il suo
capo Julio Martinez cerca di aiutarlo ad uscire da
quel momento di crisi assegnandogli una missione molto complessa e
importante. Nell’ambiente dello spionaggio internazionale circola
un pericoloso micro-robot in grado di provocare la morte istantanea
se impiantato nel corpo di un essere umano. Ecks dovrà recuperare
il portentoso marchingegno rubato all’agente segreto,
Robert Gant.
Questi, per commercializzare
illecitamente l’arma ha utilizzato suo figlio Michael, impiantando
direttamente su di lui il dispositivo. Il rapimento di suo figlio
per mano dell’agente esperta di arti marziali
Sever, tuttavia, ha infranto i suoi piani. Dietro
il gesto della donna, c’è il desiderio di vendicare un torto subito
anni prima proprio da Gant. Ecks deve così prima di tutto mettersi
sulle tracce di Sever, cercando di ottenere il pericoloso
marchingegno. Nel corso della sfida, tuttavia, emergeranno una
serie di verità che mineranno i rapporti fino a quel momento
vigenti. Ben presto, sarà difficile sapere di chi potersi davvero
fidare.
Ballistic: il cast del film
Originariamente, per i ruoli di Ecks
e Sever erano stati considerati gli attori Wesley Snipes e
Jet Li. Successivamente si considerarono
Vin Diesel e
Sylvester Stallone. Ad
ottenere il ruolo di Ecks fu però infine l’attore spagnolo
Antonio Banderas, il
quale si disse particolarmente interessato alle tematiche trattate.
Durante le riprese del film, però, l’attore visse anche un brutto
momento, che quasi lo portò a subire gravi ustioni. In una scena
dove era prevista un esplosione, i tecnici calcolarono male la
portata di questa, che arrivò molto vicina a Banderas.
Fortunatamente, l’attore riuscì ad uscirne soltanto con alcune
bruciature minori.
Il ruolo di Sever, invece, fu
riscritto come personaggio femminile. Per questo, Banderas suggerì
l’attrice Lucy Liu, con la quale
aveva già lavorato in Incontriamoci a Las Vegas. Fu così
lei ad ottenere il ruolo, sottoponendosi per questo ad una lunga
preparazione fisica. Così facendo ha potuto interpretare molte
delle scene d’azione per lei previste. Nei panni dell’agente Rober
Gant, invece, si ritrova l’attore GreggHenry, mentre Aidan Drummond è
suo figlio Michael Gant. Il capo di Ecks, Julio Martinez, è
interpretato da Miguel Sandoval, noto per la serie
Medium. L’attore e stuntman Ray Park,
celebre per essere stato Darth Maul nella saga di Star
Wars, è invece l’agente Ross. Talisa Soto
compare infine nei panni di Vinn, la moglie di Ecks.
Ballistic: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete.
Ballistic è infatti disponibile nei
cataloghi di Infinity e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 7
settembre alle ore 21:00 sul canale
Iris.
Il cinema horror ha negli anni
regalato innumerevoli iconici personaggi, molti dei quali entrati
ormai nell’immaginario collettivo. Tra i più amati di sempre vi
sono però quelli portati sul grande schermo a partire dagli anni
Trenta, in particolare con i film prodotti dalla Universal.
Dracula, Frankenstein, la mummia, l’uomo invisibile e l’uomo lupo
sono i principali tra questi, più volte riproposti nel corso dei
decenni con rifacimenti e modernizzazioni. Proprio l’ultimo qui
elencato è tornato al cinema nel 2010 con il film
Wolfman (qui la recensione), diretto da
Joe Johnston e scritto da Andrew Kevin
Walker e David Self.
Il film riporta così sul grande
schermo il celebre personaggio che da L’uomo lupo del 1941
in poi ha vantato una lunga e ricca filmografia. Oltre ad essere un
remake di quel classico, però, questo rifacimento ha l’obiettivo di
dar vita ad una storia molto più cupa e spaventosa delle
precedenti, che facesse ampio riferimento alle leggende riguardanti
la creatura. Per dar vita a questa, poi, i produttori hanno deciso
di affidare il trucco al leggendario Rick Baker,
che grazie al suo lavoro qui ha vinto il suo settimo Oscar. Il
risultato fu infatti straordinario e contribuì a donare ulteriore
fascino al film.
Wolfman tuttavia non riuscì
ad affermarsi come un buon successo al box office, anche a causa
del suo elevato budget. Negli anni ha però guadagnato un buon
seguito, divenendo un cult che ripropone elementi e personaggi dal
continuo fascino, nonostante il passare del tempo. Prima di
intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile
approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo.
Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare
ulteriori dettagli relativi alla trama e al
cast di attori. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Wolfman: la trama del
film
Ambientato nell’Inghilterra del
1891, il film ha per protagonista Lawrence Talbot,
attore teatrale, che torna nella sua casa natìa in seguito alla
scomparsa di suo fratello Ben. Qui viene accolto
dall’anziano padre John e da
Gwen, la fidanzata del defunto. La morte di questi
si presenta da subito come particolarmente controversa e
misteriosa, poiché ad averlo ucciso sarebbe stata una bestia dalle
dimensioni particolarmente imponenti. Deciso ad indagare sulla
cosa, Lawrence inizia a ricostruire quanto può essere accaduto
nelle ultime ore di vita del fratello. Così facendo, scopre di
leggende che sembrano non essere poi tanto irrealistiche.
Secondo la gente del luogo, infatti,
la zona è minacciata da un lupo mannaro, che strazia i corpi di
quanti gli capitano a tiro durante le notti di luna piena. Per
tentare di abbattere la bestia viene ingaggiato anche l’ispettore
Aberline, il quale dà vita ad una spietata caccia
al mostro. Lawrence cerca di tenersi lontano da tutto ciò,
proseguendo la sua ricerca, che lo porterà a scontrarsi con segreti
tanto antichi quanto pericolosi. Prima che la luna piena torni a
splendere nel cielo e la bestia si scateni di nuovo, Lawrence e
quanti vicino a lui dovranno essere pronti a difendersi come
possibile.
Wolfman: il cast del
film
Quando seppe che la Universal stava
per realizzare un nuovo film sull’uomo lupo, l’attore premio Oscar
Benicio del
Toro fece di tutto per ottenere la parte del
protagonista Lawrence Talbot. Egli è notoriamente un grandissimo
fan del personaggio e un grande collezionista di memorabilia
relativi a questo. Ottenuta la parte, egli si preparò riguardando i
film Il segreto del Tibet, il primo realizzato sulla
creatura, e L’implacabile condanna. La sua devozione nei
confronti del personaggio gli permise di sopportare anche le tre
ore giornaliere richieste per applicare il pesante trucco da lupo
mannaro.
Nel ruolo di sir John Talbot vi è
invece il due volte premio Oscar Anthony
Hopkins, il quale ha contribuito molto alla
caratterizzazione del personaggio. Emily Blunt,
attrice nota per Sicario e A Quiet Place, è
invece Gwen Conliffe, la fidanzata del fratello di Lawrence. Nel
ruolo del detective Abberline, personalità realmente esistita e
nota per aver indagato sul caso di Jack lo squartatore, doveva
inizialmente esserci l’attore Antonio Banderas.
Nel momento in cui questi abbandonò il film, la parte passò a
Hugo
Weaving. Nel film compare poi anche
Geraldine Chaplin nel ruolo della zingara
Maleva.
Wolfman: il trailer e dove
vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire del film grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Wolfman
è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten Tv, Google
Play, Apple TV, Now e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un
dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è
inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 7
settembre alle ore 21:15 sul canale
Italia 2.
Divenute celebri grazie alla
trilogia di Matrix (di cui è però in lavorazione un
quarto capitolo), le sorelle
Lana e Lilly Wachowski hanno poi
continuato ad esplorare il genere a loro congeniale, quello della
fantascienza, attraverso altri noti blockbuster. Da Speed
Racer a Cloud Atlas,
hanno così continuato ad imporre il loro personalissimo stile in
quel di Hollywood. Attualmente, la loro ultima regia
cinematografica è stata quella per il film Jupiter – Il
destino dell’universo. Nato da una loro idea
originale, il lungometraggio è poi arrivato al cinema nel 2015,
presentando dalla sua un grande cast e un grande budget. Si tratta
inoltre del primo film delle sorelle realizzato con l’utilizzo
della tecnica 3D.
Al di là dei grandi effetti speciali
utilizzati, il film ha alla base della sua storia anche delle
notevoli fonti d’ispirazione letteraria e cinematografica. Per le
due registe, infatti, tutto nasce dal desiderio di dar forma ad un
incontro tra l’Odissea e Il mago di Oz. Le
Wachowski basarono il personaggio della protagonista sulla Dorothy
del film del 1939. Loro desiderio era quello di dar vita ad un
differente tipo di eroe, che supera gli ostacoli grazie alla sua
intelligenza. Il tutto è stato poi naturalmente condito dalle
grandi invenzioni visive tipiche delle due registe, che hanno così
reso particolarmente personale il film.
Al momento della sua uscita in sala
il film ricevette un’accoglienza critica non particolarmente
entusiasmante. In particolare, ad essere indicata come principale
difetto dell’opera è stata la sua sceneggiatura, secondo molti
priva dell’epica necessaria a tale racconto. Tiepido fu anche il
risultato al box office. A fronte di un budget stimato di quasi 200
milioni di dollari, molti dei quali utilizzati per gli effetti
speciali, Jupiter – Il destino dell’universo riuscì ad
incassare soltanto circa 183 milioni. Nonostante tali risultati,
nel giro di breve è diventato uno dei titoli di riferimento per
molti fan del genere, i quali ritrovavano qui una protagonista
lontana dai classici stereotipi.
Jupiter – Il destino
dell’universo: la trama del film
Il film è ambientato in un futuro
non troppo lontano, ed ha per protagonista la giovane Jupiter
Jones. Questa è un’immigrata russa, la quale lavora insieme alla
madre come donna delle pulizie. Per quanto avverta una strana forza
in sé, sentendosi come destinata a qualcosa di più grande, Jupiter
è però convinta che la sua vita non cambierà mai, e che sarà sempre
destinata a ricoprire un ruolo marginale nella società. Tutto
cambia nel momento in cui, improvvisamente, assiste ad un tentato
omicidio ad opera di alcuni alieni. In questa occasione si ritrova
salvata da Caine, un guerriero interplanetario inviato per
rivelarle le sue vere origini.
Jupiter viene infatti a conoscenza
di una potente dinastia aliena, la quale domina gran parte dei
pianeti abitabili. Questi sono da loro stati colonizzati milioni di
anni prima, lasciandovi sopra forme di vita complesse, tra cui
quella umana. La dinastia corre però ora il rischio di finire nelle
mani del malvagio Balem Abrasax, il quale vuole sterminare gli
umani per poter generare dal loro materiale biologico un potente
siero della giovinezza. Per la giovane ha così un viaggio
intergalattico, che la porterà a prendere coscienza dei suoi
poteri. Con questi sarà chiamata a salvare l’intero universo,
scoprendosi anche proprietaria dell’intero pianeta terra. Per poter
dar vita a tutto ciò, però, Jupiter dovrà dimostrare di essere
pronta all’avventura.
Jupiter – Il destino
dell’universo: il cast del film
Note per la loro collaborazione con
alcuni tra i maggiori interpreti di Hollywood, le sorelle Wachowski
si sono anche in questo caso affidate ad alcuni tra i principali
attori del momento. Il ruolo della protagonista Jupiter era da loro
stato inizialmente offerto all’attrice Natalie
Portman, la quale però rifiutò. Si considerò allora
Rooney
Mara, ma la scelta ricadde infine su Mila
Kunis, nota attrice ucraina naturalizzata
statunitense. Per poter dar vita al personaggio, però, l’attrice si
trovò a doversi sottoporre a diverse ore di allenamento al giorno.
Ciò le permise di prendere parte alle complesse sequenze previste
dal copione, senza la necessità di avvalersi in modo continuo di
controfigure. L’attrice, inoltre, ha affermato di essersi ritrovata
molto in Jupiter, condividendo origini e una storia famigliare
simili alle sue.
In ruoli di rilievo sono poi
presenti anche altri noti interpreti. Channing
Tatum è Caine, il quale aiuterà la protagonista nel
corso del suo viaggio. Per poter interpretare il ruolo, l’attore ha
dovuto portare una protesi alla mascella, al fine di conferirvi un
aspetto diverso. Questa è però stata una vera scomodità per lui,
che ha avuto problemi a chiudere la bocca e parlare. Il premio
Oscar Eddie
Redmayne, invece, interpreta il malvagio Balem
Abrasax. La sua interpretazione però non fu particolarmente
apprezzata, e gli fece infatti vincere un Razzie Awards come
peggior attore non protagonista. Sono poi presenti anche Sean
Bean, nel ruolo di Stinger Apini, Douglas
Booth, nei panni di Titus Abrasax, Vanessa
Kirby in quelli di Katharine Dunlevy e James
D’Arcy come Max Jones.
Jupiter – Il destino
dell’universo: il trailer e dove vedere il film in streaming e
in TV
Per gli appassionati del film, o per
chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne
grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali
piattaforme streaming oggi disponibili. Jupiter – Il
destino dell’universo è infatti presente su
Rakuten TV, Google Play, Apple
TV+, Prime Video e Now. Per
poter usufruire del film, sarà necessario sottoscrivere un
abbonamento generale o noleggiare il singolo film. In questo modo
sarà poi possibile vedere il titolo in tutta comodità e al meglio
della qualità video, senza limiti di tempo. Il film è inoltre in
programma in televisione per giovedì 7 settembre
alle ore 21:00 sul canale 20
Mediaset.
Presentato Fuori Concorso alla
Mostra del Cinema di
Venezia, The Penitent – A
Rational Man è il nuovo film da regista di
Luca
Barbareschi, presente al Lido anche in qualità di
produttore di The
Palace, il film di Roman
Polanski presentato anch’esso nella sezione Fuori
Concorso. Intervistato per presentare la sua nuova fatica da
regista, Barbareschi spiega innanzitutto il perché abbia scelto di
adattare per il grande schermo un testo del drammaturgo David Mamet, da lui già portato in
teatro.
In esso si racconta di uno
psichiatra di nome Carlos David Hirsh, che vede
deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi
rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento e
instabile che ha causato la morte di diverse persone.
L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo
ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio
severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di
un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una
reazione a catena esplosiva, che costringerà Hirsh a dover lottare
per la verità.
“Ho scelto questo testo perché
racchiude, grazie all’opportunità di un fatto di cronaca, tutta
l’imbecillità e la violenza che c’è nei confronti di un pensiero
diverso, che non dico che sia giusto ma penso che tutti abbiano
idee diverse e non per questo siano necessariamente meglio o
peggio, anzi è interessante avere un’idea diversa – spiega
Barbareschi. “Questo film doveva farlo un altro attore, ma alla
fine Mamet mi ha detto “secondo me sei più bravo tu, perché non lo
fai?” e a quel punto mi sono trovato a confrontarmi con un
personaggio in cui mi sono ritrovato moltissimo”.
“Proprio come capita al
protagonista, tante volte è capitato anche a me di essere stato
linciato dalla stampa e ho visto quanta sofferenza questo tipo di
situazioni provoca. Alla fine non c’era più differenza tra quello
che dicevo e quello che facevo e questo film è uno dei rari
privilegi in cui il meccanismo della finzione, della
rappresentazione, dà un’opportunità di offrire una restituzione
affettiva allo spettatore, mediata da una realtà dei fatti molto
forte”.
Mostra del Cinema di Venezia, tra
omologazione e controversie
Barbareschi passa poi a parlare più
in generale della Mostra di quest’anno, dove sono presenti autori
controversi come il già citato Polanski e Woody
Allen con Coup de
Chance. Proprio durante il red carpet di
quest’ultimo si è svolto un piccolo evento di protesta per la
presenza del regista newyorkese. “Vedere insultato in quel modo
Woody Allen mi ha fatto male al cuore. Se in quel gruppo ci fosse
stato Gabriel Garcia Marquez, Joyce e Dante Alighieri, allora
sarebbe stata un’interessante sfida ermeneutica tra giganti della
letteratura che danno del mascalzone ad uno dei più grandi registi
della terra”.
“Invece erano un branco di
imbecilli a cui la stampa ufficiale dà voce. Il giornalismo è
importante se mantiene il sacerdozio della sua funzione, cioè della
responsabilità”, continua a spiegare Luca Barbareschi.
“Non ci può essere un giudizio morale sull’artista, peggio
ancora un avviso di garanzia al passato. L’arte non è criticabile
moralmente. Alberto Barbera penso abbia preso seriamente questa
cosa e ha avuto il coraggio di presentare in questa Mostra, ovvero
un’esibizione di arte, registi provocatori”.
“Io vorrei fosse ancor più
provocatoria in realtà, vorrei essere stupito, anche disturbato!
Sono cresciuto vedendo film dove non si capiva nulla ma uscivi
dalla sala e sapevi di esserti confrontato con qualcosa che dice
effettivamente delle cose. Troppo spesso invece il cinema si
omologa, così come si è omologata la critica”.
Il ruolo della critica cinematografica
Luca Barbareschi passa allora a
parlare della critica cinematografica, affermando che: “un
tempo la critica proponeva dei saggi così precisi e chiari da
riuscire davvero ad influenzare il pubblico. Nel tempo lo spazio
per questo tipo di scrittura si è però ridotto, si è corrotto, si è
mercificato e si è autoreferenzializato”.
“Nel momento in cui tu ti metti
davanti al film, tu crei uno stallo per cui non è più importante il
quadro, è importante il fatto che io guardi il quadro. –
continua a spiegare il regista – Diventa più importante chi
guarda dell’artista. Questo nella critica cinematografica è grave.
Tu puoi parlar male di un film, ma non puoi dire “è peggio di
Vanzina”, perché allora sei un imbecille, perché primo devi
rispettare Polanski e poi analizzare il film se sei capace di
farlo. Liquidare un’opera con poco svilisce la critica, la
delegittima e alla fine è un danno per tutti”.
“Io credo che nessuno sappia le
differenze tra le lenti che ho usato per The Penitent – A Rational
Man. Se non lo sai vedi sfocata l’immagine sullo schermo e pensi
sia un errore, mentre l’obiettivo era quello di tenere apposta una
sfocatura per dare un senso di destabilizzazione. Questa è sapienza
narrativa, io ho studiato per usare queste robe qua. Mi andrebbe
bene che mi dicessero “Luca perché usi questo tipo di lenti che è
come fare un errore sintattico?”, allora ti rispetto. Se no non ha
valore il tuo giudizio, a quel punto tanto vale che ci leviamo la
giacca e veniamo alle mani”, conclude Luca Barbareschi.
Netflix rilascia
un video che svela i dietro le quinte e interviste esclusive di
Tutta la luce che non vediamo, la rivoluzionaria
miniserie tratta dall’omonimo romanzo best seller e vincitore del
Premio Pulitzer di Anthony Doerr, diretta da
Shawn Levy e scritta da Steven
Knight. La miniserie in quattro episodi sarà disponibile
solo su Netflix, in tutti i Paesi in cui il servizio è
attivo, dal 2 novembre 2023.
La protagonista
Marie-Laure LeBlanc è interpretata dalle attrici esordienti Aria
Mia Loberti e Nell Sutton (Marie-Laure da giovane). Al loro fianco
Mark Ruffalo (Daniel LeBlanc), Hugh Laurie (zio Etienne), Louis
Hofmann (Werner), Lars Eidinger (Von Rumpel) e Marion Bailey
(Madame Manec).
La miniserie è prodotta da
Shawn Levy, Dan Levine e Josh Barry per 21 Laps Entertainment
(Stranger Things, The Adam Project, Tenebre e Ossa, Arrival, Free
Guy). Anche Steven Knight è produttore esecutivo, mentre Joe
Strechay (See, The OA) è produttore associato e consulente per la
cecità e l’accessibilità.
Tutta la luce che
non vediamo, la trama
Tratta dal romanzo
vincitore del Premio Pulitzer, Tutta la luce che non vediamo è una
miniserie che segue la storia di Marie-Laure, una ragazza francese
cieca, e di suo padre, Daniel LeBlanc, che fuggono dalla Parigi
occupata dai tedeschi con un diamante leggendario per impedire che
finisca nelle mani dei nazisti. Braccati senza sosta da un crudele
ufficiale della Gestapo che vuole impossessarsi della pietra
preziosa per il suo interesse personale, Marie-Laure e Daniel
trovano presto rifugio a St. Malo, dove vanno a vivere con uno zio
solitario che diffonde le trasmissioni clandestine per la
resistenza. In questa cittadina sul mare una volta idilliaca, il
percorso di Marie-Laure incrocia inevitabilmente quello di
un’improbabile anima gemella: Werner, un adolescente brillante
arruolato dal regime di Hitler per rintracciare le trasmissioni
illegali, che invece possiede un legame segreto con Marie-Laure e
con la sua fiducia nell’umanità e la sua speranza. Intrecciando
abilmente le vite di Marie-Laure e Werner nel corso di un decennio,
Tutta la luce che non vediamo racconta la storia dell’incredibile
potere dei legami tra le persone, un faro di luce che può guidarci
anche nei tempi più bui.
Fien Troch, regista belga, presenta
Holly in Concorso a
Venezia 80. Un
racconto di crescita che mescola mito e realtà dove tutto è nelle
mani di una giovane ragazza di 15 anni, alla quale forse si chiede
troppo. Dopo aver già trionfato nella sezione
Orizzonti con il precedente Home, la
regista belga prende le redini di questo progetto cercando un po’
più di libertà creativa, cosa che sicuramente si ritrova in questo
ultimo lungometraggio. La capacità di osare per abbattere barriere
e spingersi oltre. Durante il processo creativo del film, infatti,
c’è stata la volontà di rendere Holly un film corale ma è
stata abbandonata immediatamente mettendo al centro questa
protagonista problematica e complessa anche nella sua messa in
scena.
Una ragazza normalissima che
improvvisamente viene accreditata di un talento speciale, in una
comunità che è molto ricettiva nei confronti di qualcosa di
“soprannaturale” a causa di un evento tragico che fa da premessa al
film. Una favola moderna che per citare un film italiano sempre
presenta a Venezia negli anni passati ricorda
La santa piccola per impostazione e soggetti della
trama.
Holly, la trama
La quindicenne
Holly chiama la scuola per dire che resterà a casa
per tutto il giorno. Poco dopo, nella scuola scoppia un incendio
che uccide diversi studenti. La comunità, toccata dalla tragedia,
si riunisce per cercare di guarire. Anna, un’insegnante,
incuriosita da Holly e dalla sua strana premonizione, la invita a
unirsi al gruppo di volontariato che gestisce. La presenza di Holly
sembra portare tranquillità, calore e speranza a coloro che
incontra. Ma presto le persone iniziano a cercare Holly e la sua
energia catartica, chiedendo sempre di più alla giovane
ragazza.
Fede e mito: due facce della stessa
medaglia. Holly si muove su questo confine senza mani sfociare
nell’uno o nell’altro. L’elemento paranormale che dà però il via
alla premessa del film e tiene chiara la linea della trama fino
alla fine mistica della pellicola. Cathalina
Geeraerts interpreta Holly in modo enigmatico e complesso,
l’attrice riesce a trasmettere allo spettatore il disagio di
portare avanti questo “lavoro” che quasi immediatamente diventa
ancora più tortuoso per la giovane adolescente. È come, infatti, se
per tutto il film si portasse avanti anche la crescita di lei come
giovane donna in un mondo in cui le persone sono sempre pronte ad
approfittarsi di te.
La strega
Nella premessa del film scopriamo
come la famiglia di Holly, in particolare lei e il
fratello, vengano bullizzati a scuola, etichettati come gli strambi
del liceo. L’incidente a scuola non fa altro che aumentare queste
voci solo che le persone della comunità di Holly hanno toccato con
mano il suo potere. Il potere di riuscire a far sorridere le
persone anche solo per un attimo e donare loro il buon umore. Ma
Holly non fa solo questo agisce anche in modo diretto su persone
colpite da malattie, la impongono anche contro la sua volontà come
una specie di giovane profeta, una santa, quando il suo soprannome
a scuola era “la strega”. Nonostante il film giochi molto sul tema
dei miracoli, la fede non viene mai menzionata. Anche
l’associazione inglese tra il nome Holly e
Holy (santa) richiama questo dualismo che Fien Troch tende a portare in scena.
A questo racconto si contrappone una
sorta di fanatismo religioso. Le persone si vogliono approfittare
di Holly e del suo potere soprannaturale al punto che lei arriva a
farsi pagare per le sue prestazioni. Un film che tende molto a
rimarcare questo aspetto quando la macchina da presa si sofferma
sui gioielli e sulle scarpe che Holly compra con questi soldi. Poi
però, come prosciugata da questa vita, il suo umore cambia. Come se
si aspettare ancora che qualcosa di terribile stia per accadere.
Anche il finale lascia comunque parecchi punti in sospeso per un
film dalla trama parecchio semplice e poco articolata.
Alla
Mostra del Cinema di Venezia 2023, oggi è il giorno di
Lubo di Giorgio Diritti. Nel
film, Franz Rogowski interpreta il nomade
Lubo, un artista di strada che nel 1939 viene
chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal
rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua
moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare
via i loro tre figli piccoli, che, in quanto
Jenisch, sono stati strappati alla famiglia,
secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di
strada (Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse). Lubo
sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi
figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti
i diversi come lui.
La stesura di Lubo
Alla conferenza stampa tenutasi
questo pomeriggio, il regista ha raccontato dell’incontro con
questo libro e di come ha deciso di trarne una sceneggiatura:
“Un po’ di anni fa un’amica mi ha parlato di questo romanzo di
Mario cavatore che parlava di questa vicenda particolare e ho avuto
occasione di incontrare Mario con cui ho anche condiviso tante
serate in compagnia fin quando c’è stato il romanzo mi ha colpito
perché raccontava di questa vicenda un po’ particolare avvenuta in
Svizzera in un paese che nell’immaginario comune e simbolo di
democrazia e grande civilita. Questa storia è specchio
dell’incapacità dell’uomo di capire la diversità che a mio avviso è
invece di grande valore“.
“Rispetto al romanzo ho scelto
un percorso differente sono stato molto di più sul protagonista
perché mi sembrava interessante vivere con lui uomo che vive la sua
normalità di artista di strada e a cui viene addosso qualcosa di
molto drammatico che gli modificherà la vita. Importante sentire
risvolti di questo in un uomo che vive l’angoscia della solitudine
ma lotta comunque per avere un futuro. I protagonisti e le vicende
parlano anche a noi in fondo i film sono dei viaggi un po’ onirici
che spesso toccano anche la nostra coscienza ed è una delle grandi
magie del cinema darci occasione di ripensare al valore della vita
è degli altri“.
L’interpretazione di Rogowski
Franz Rogowski,
internazionalmente noto come un interprete camaleontico, ha poi
approfondito il suo lavoro sulle varie identità del personaggio e
in che maniera questa storia lo ha toccato personalmente.
“Questo carattere e una combinazione della storia nostra, della
nostra identità europea. Collaborazione di costume, quello che è
scritto, crei ogni giorno un piccolo pezzo di questa vita e diventa
quasi sempre qualcosa che non ti aspettavi ma e il risultato della
vita che hai avuto con questi artisti attorno. Ho studiato il
testo, tre lingue che non sono le mie, un sacco da preparare in
modo tecniche“.
Valentina Bellè è Margherita
Valentina Bellè ha
espresso la sua gratitudine a Diritti per averla
coinvolta in un progetto di tale rilevanza: “Ci siamo
incontrati con Giorgio un anno fa e abbiamo fatto una lunghissima
chiacchierata in cui ho avuto l’impressione che cercasse la persona
prima del personaggio. Sul set nasce poi effettivamente quello che
si vedrà e ti sorprende sempre non puoi mai prevedere cosa
succcede. Tutti e due hanno subito il contesto della guerra in modi
diversi. Margherita e una possibilità di amore sincero e
tenerezza“.
L’internazionalità di Lubo
L’internazionalità è sicuramente la
caratteristica produttiva che più identifica Lubo.
I produttori del film hanno, a questo proposito, sottolineato come
“il cinema italiano guarda oltre i suoi confini, è stato come
scalare una montagna. Il film ha una grande complessità in più
lingue, location storiche. Anche noi siamo diventati come il carro
di LUBO, persi in un itinerario in cui era impossibile incastrare
clima, riprese e necessità“. “Un film nomade pieno di eroi
un sacco di lingue avventura straordinaria gestazione lunga e
grazie alla tenacia di Giorgio come Rai cinema siamo molto
orgogliosi e ringraziamo Giorgio“.
Infine, una riflessione sulle
istituzioni e sulla violenza che ne deriva quando le leggi sono
sbagliate: “Siamo molto vicini a una guerra che dura da tanto e
di cui si raccontava qualche mese fa di bambini ucraini rapiti dai
russi. Uno dei limiti dell’umanità malgrado gli sforzi e che gli
errori ritornano. Ho avvertito la necessita di raccontare
storia legata anche al cercare di dare un significato politico nel
senso di sensibilizzare raccontando per che le persone abbiano un
atteggiamento vigile nei confronti di tutti quegli elementi che
portano a fare qualcosa contro la vita. In un ambiente di violenza
subita spesso nasce una reazione il nostro protagonista ha un
grande onore di farsi carico di una scelta responsabile per fare
qualcosa per quei famigliari che sono ancora a lui
vicini“.
Dopo un mese di agosto che,
contrariamente alle tradizioni nostrane, ha visto le sale piene
grazie a Oppenheimer, uscito il 23 agosto, e alla
lunga coda di Barbie, il prossimo
settembre in sala si preannuncia altrettanto
interessante, con diversi titoli e novità che abiteranno gli
schermi italiani. Tra questi, c’è uno dei film italiani più attesi
della stagione, presentato alla 80esima
Mostra d’arte cinematografica di Venezia, un restauro
importantissimo, e tanti titoli nuovi.
Vediamo insieme le novità
in sala dal 7 settembre
Una storia vera
La Cineteca di
Bologna riporta sul grande schermo la pellicola del 1999
Una storia vera, in originale The Straight Story,
di
David Lynch realizzato da StudioCanal. Dopo i restauri di
Eraserhead,
The Elephant Man,
Mulholland Drive e Strade perdute è il momento
per gli amanti del cinema d’autore di riscoprire la lunga
traversata di Richard Farnsworth in sella al suo
trattore. La trama è il viaggio di un uomo anziano che vuole
raggiungere suo fratello per far pace con lui è l’unico modo per
raggiungerlo è attraversare gli Stati Uniti guidando un piccolo
automezzo agricolo. Questo si può ritenere un road movie rurale e
il ribaltamento di quello che si mostrava in
Cuore selvaggio uno dei cult della filmografia del creatore
della serie tv
I segreti di Twin Peaks.
The Nun II
Dal 6 settembre è già disponibile
in sala il secondo capitolo della saga horror spin-off di
The Conjuring.
The Nun II è diretto da Michael Chaves e vede
il ritorno della diabolica suora Valak sempre
interpretata da
Bonnie Aarons. Questo sequel è ambientato nella Francia del
1956, dove un prete viene trovato morto e suor Irene Palmer, ancora
una volta l’attrice
Taissa Farmiga, indaga su quanto accaduto. Durante le sue
ricerche la sorella Irene capisce che dovrà affrontare ancora una
volta la demoniaca suora.
Il più bel secolo della mia vita
Presentato in anteprima al
53° Giffoni Film Festival, dove è stato eletto
miglior film nella sezione Generator +18, arriva in sala da questo
primo giovedì del mese
Il più bel secolo della mia vita. Questo film è tratto
dall’omonima pièce teatrale di Alessandro Bardani
e Luigi Di Capua, di cui lo stesso Bardani si è occupato della
regia del suo primo film. Una dramedy che racconta di una legge in
Italia che impedisce a un figlio non riconosciuto alla nascita di
sapere l’identità dei propri genitori biologici prima del
compimento del suo centesimo anno di età. I personaggi principali
di questa folle storia di sono il centenario Gustavo e Giovanni che
sono interpretati da
Sergio Castellitto e
il comico Valerio Lundini qui al suo debutto come protagonista
di un lungometraggio.
Io capitano
Direttamente dal Festival del
cinema di Venezia 80 e in concorso per il Leono d’oro, arriva in
tutti i cinema italiani il nuovo film di
Matteo Garrone.
Io capitano è l’odissea contemporanea dei giovani
Seydou e Moussa che lasciano il Senegal per
raggiungere l’Europa. Ovviamente sappiamo tutti che il cammino di
questi ragazzi non sarà facile, anzi rischieranno la vita tutti i
giorni e forse non arriveranno mai alla loro tanto desiderata meta
per realizzare i loro sogni. Il regista romano non si risparmia e
mostra la verità del loro lungo viaggio dall’insidie del deserto,
dagli orrori dei centri di detenzione in Libia e l’attraversata a
bordo di fatiscenti barche nel Mare Mediterraneo.
Tell It Like a Woman
Tell It
Like a Woman è una pellicola che si declina interamente in
chiave femminile. I vari segmenti che la compongono sono diretti da
registe donne provenienti da diverse parti del mondo, girati tra
Italia, India, Giappone e l’America e spaziano attraverso diversi
generi, dal dramma alla commedia, passando per il documentario e
per il cinema d’animazione. Nonostante ognuna di loro sia diversa
dalle altre, tutte hanno una cosa in comune: si ritrovano a dover
affrontare una dura sfida nella loro esistenza. Nel cast corale
troviamo volti noti come
Margherita Buy,
Cara Delevingne,
Marcia Gay Harden,
Eva Longoria,
Jennifer Hudson e Pauletta Washington.
Uomini da marciapiede
Siamo in giugno e i tifosi più
appassionati si preparano ai trenta giorni di partite degli Europei
di calcio 2021. I protagonisti di
Uomini da marciapiede sono un gruppo di squattrinati che per
sbarcare il lunario si mettono a fare il mestiere più antico del
mondo per mogli e fidanzate annoiate alla ricerca di qualche
avventura facile. Il cast di questa commedia italiana è composto da
Francesco Albanese, che si occupa anche della
regia, dal comico
Paolo Ruffini, Luigi Luciano, Clementino, Rocío Muñoz,
Francesco Pannofino, Serena Grandi e Ilaria
Spada.
Austin Butler e Tom Hardy interpreteranno dei motociclisti in
uno dei loro prossimi film diretto da Jeff
Nichols. 20th Century Studios ha diffuso un nuovo trailer
per The Bikeriders, film è ambientato in una città
immaginaria negli anni ’60 e atteso nelle sale USA per il 1°
dicembre. Il trailer inizia con Johnny (Hardy) che ricorda a Benny
(Butler) di aver fondato il club di motociclisti chiamato The
Vandals, e di come sia diventato una famiglia. Poi mostra Kathy
(Jodie
Comer) che incontra Benny e si innamora di lui. I due
si innamorano e si sposano rapidamente, con Kathy che spera di
riuscire a convertirlo e ad abbandonare i suoi modi violenti.
Tuttavia, il trailer mostra Benny che litiga in un bar, il che
porta Johnny e The Vandals a allontanarlo.
Durante tutto il trailer, la banda
di motociclisti continua a dedicarsi ad attività sempre più
pericolose e illegali. Il trailer mostra anche Johnny che dice a
Kathy che non riuscirà mai a convincere Benny a smettere di essere
un motociclista.
The Bikeriders è
stato diretto da Jeff Nichols. Sebbene il film
racconti una storia di fantasia, The Bikeriders è
stato ispirato dall’omonimo libro fotografico del 1968 di
Danny Lyon. All’inizio di questa settimana, il
film ha debuttato al Telluride Film Festival ottenendo recensioni
entusiastiche. A ottobre sarà proiettato al London Film
Festival.
Nel cast, oltre a Hardy, Comer e
Butler, c’è anche Michael Shannon che interpreta un membro dei
Vandals. Shannon ha lavorato con Nichols in numerosi film, tra cui
Midnight Sun e Take Shelter del
2011. Nel film saranno presenti anche Mike Faist,
Boyd Holbrook e Norman Reedus.
Il 6 settembre è stata
una data importante per le
Giornate degli Autori: in collaborazione con Isola Edipo e
100autori si è presentato il progetto Venice Kids, uno
spazio interamente pensato per i più giovani alla Mostra del
Cinema. Nel 2024 si aprirà infatti un luogo-laboratorio dedicato
alle bambine e ai bambini alla scoperta del cinema, della
creatività, del gioco e della fantasia. Non sarà un semplice
Kinderheim a disposizione di genitori e figli, degli ospiti della
Mostra e degli abitanti del Lido, ma una vera “casa” voluta dalla
sezione indipendente degli autori (promossa da ANAC e 100autori)
per gli spettatori di domani.
I dettagli del programma
Venice Kids, che partirà in coincidenza con la XXI edizione delle
Giornate degli Autori, sono stati svelati alle 11.30 di mercoledì 6 settembre in Sala Laguna (Via
Pietro Buratti 1) con la partecipazione di testimonial d’eccezione
e una folta platea di bambine e bambini.
A guidare il giovanissimo
pubblico alla scoperta della fantasia creativa – che è poi il
tratto distintivo del progetto – è arrivato a Venezia un
protagonista d’eccezione: il regista d’animazione Enzo
d’Alò, che alla Mostra è legato da uno storico (e ricambiato)
affetto, fin dal film d’esordio (La freccia
azzurra, 1996)
e poi con La Gabbianella e il Gatto sino al coloratissimo
Pinocchio, che nel 2012 apriva le Giornate degli Autori.
Alla vigilia del suo
nuovo lavoro, Mary e lo spirito di mezzanotte, liberamente
tratto dal romanzo di Roddy Doyle, in uscita solo al cinema con BIM
il 9 novembre prossimo, Enzo d’Alò così racconta la sua adesione al
progetto Venice Kids: “Prima del mio esordio nel lungometraggio
avevo lavorato alla creazione di cortometraggi d’animazione per più
di dieci anni con bambini e adolescenti, costruendo un percorso
narrativo che mi ha poi accompagnato in tutta la carriera. Vorrei
raccontare questo fil rouge che caratterizza la dimensione
creativa, condividendo con i giovani spettatori di Venezia alcuni
esempi tratti dal dietro le quinte del mio ultimo film. Mi
piacerebbe illustrare il percorso creativo di un film d’animazione:
dal soggetto alla sceneggiatura, dalla sceneggiatura alla ricerca
grafica (mostrando lo studio dei personaggi principali), dalla
ricerca degli ambienti e dei suoni fino alla costruzione
dell’universo grafico del mio cinema”.
Per l’occasione le
Giornate degli Autori, Isola Edipo e 100autori desiderano
ringraziare i produttori e il distributore BIM per la presentazione
in anteprima di una sequenza del film e del trailer di Mary e
lo spirito di mezzanotte; siamo tutti riconoscenti ai
testimonial della giornata e specialmente a Enzo d’Alò per aver
condiviso questo sogno con noi alla vigilia del suo compleanno,
alla mezzanotte del 6 settembre.
In occasione della consegna del
Sorriso Diverso Venezia Award, che si è tenuta il 6
settembre 2023, presso l’Hotel Ecxelsior di Venezia Lido, durante
la 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di
Venezia, è stato presentato, in apertura, il
cortometraggio Il vecchio e il muro, diretto dal
regista e attore Antonio Palumbo.
Il cortometraggio è stato scelto in quanto vincitore assoluto del
Festival Tulipani di Seta Nera 2023, promosso da Rai per il sociale
per una proiezione in apertura della cerimonia di consegna del
premio collaterale.
“La
potenza di questo cortometraggio è evidente
– afferma Claudia Pastorelli, Vicario della Direzione regionale
Inail Puglia, che ha sostenuto la realizzazione del film –
parlano le immagini, la musica e i silenzi: narrano di malattia,
una delle patologie professionali in crescita negli ultimi anni, ma
parlano anche e soprattutto di prevenzione. Dalla nostra parte la
certezza di aver promosso un progetto ben costruito, ben realizzato
e assolutamente innovativo: un modo di parlare di sicurezza sul
lavoro instaurando un dialogo diretto con lo spettatore, con i
lavoratori. Una strada di successo che continueremo a
percorrere.”
Madrina della Cerimonia l’attrice Giovanna Sannino
di Mare Fuori.
L’evento è organizzato da Diego Righini, direttore del Festival
Tulipani di Seta Nera.
Prime Video ha
svelato il trailer ufficiale dell’attesissima serie Original
Gen
V, dal mondo di The
Boys. La serie debutterà in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel
mondo venerdì 29 settembre con i primi tre episodi, seguiti da
nuovi ogni settimana fino all’epico finale di stagione di venerdì 3
novembre.
Ambientato nel mondo diabolico di
The
Boys, Gen
V espande l’universo della Godolkin University,
il prestigioso college per soli supereroi dove gli studenti si
esercitano per diventare una nuova generazione di eroi,
preferibilmente con sponsorizzazioni lucrative. Non tutti, però,
scelgono la strada della corruzione. Oltre al classico caos
universitario, oltre alla ricerca della propria identità e alle
feste, questi ragazzi si troveranno ad affrontare situazioni
letteralmente esplosive. Mentre si contendono popolarità e buoni
voti, è chiaro che la posta in gioco è molto più alta quando sono
coinvolti dei super poteri. Quando il gruppo di giovani dai poteri
soprannaturali scopre che qualcosa di più grande e sinistro sta
succedendo a scuola, saranno messi alla prova: sceglieranno di
diventare gli eroi o i cattivi delle loro storie?
Il cast della serie include Jaz
Sinclair, Chance Perdomo, Lizze Broadway, Shelley Conn, Maddie
Phillips, London Thor, Derek Luh, Asa Germann, Patrick
Schwarzenegger, Sean Patrick Thomas e Marco Pigossi. In Gen
V vedremo anche Clancy Brown e Jason Ritter nel
ruolo di guest star, oltre alla partecipazione straordinaria di
Jessie T. Usher, Colby Minifie, Claudia Doumit e P.J. Byrne negli
stessi ruoli che interpretano in The Boys.
Michele Fazekas e Tara Butters sono
showrunner ed executive producer della serie. Eric Kripke, Seth
Rogen, Evan Goldberg, James Weaver, Neal H. Moritz, Ori Marmur,
Pavun Shetty, Ken Levin, Jason Netter, Garth Ennis, Darick
Robertson, Craig Rosenberg, Nelson Cragg, Zak Schwartz, Erica Rosbe
e Michaela Starr sono executive producer anche dello spinoff della
serie. Nel ruolo di co-executive producer troviamo Brant
Englestein, Sarah Carbiener, Lisa Kussner, Gabriel Garcia, Aisha
Porter-Christie, Judalina Neira e Loreli Alanís. La serie è
prodotta da Sony Pictures Television e Amazon Studios, in
collaborazione con Kripke Enterprises, Point Grey Pictures e
Original Film.
Bentornati a Virgin River, la cittadina romantica e
fittizia situata nel nord della California nata dalla penna di
Robyn Carr e trasposta sul piccolo schermo da
Sue Tenney, la quale per la quinta stagione cede
le redini a Patrick Sean Smith, nuovo showrunner
dello
show. Sembra che Netflix
abbia deciso di far diventare la divisione in parti delle sue serie
un “marchio di fabbrica”, perché anche Virgin River
5 si presenta in due volumi. Quello di settembre, con
i dieci e principali episodi, e che apre lentamente le porte
all’autunno, e quello di fine novembre, che inizierà il periodo
natalizio con gli ultimi due episodi in festa. A differenza di
The Witcher 3, questa potrebbe rivelarsi una scelta
interessante, poiché avvolge uno specifico periodo, il Natale, e
perciò ha il potenziale per rivelarsi una bella chicca, un regalo
che la produzione fa ai suoi fidati sostenitori in vista delle
vacanze. Per la quinta season, ritroviamo il cast
principale: Alexandra Breckenridge, Martin
Henderson, Colin Lawrence, Annette O’Toole, Tim
Matheson, Benjamin Hollingsworth, più
quattro new entry, Kandyse McClure, Susan
Hogan, Elise Gatien e Paolo
Maiolo.
Virgin River 5, la trama
Iniziamo da dove eravamo rimasti. La
quarta stagione di Virgin River si concludeva con la rivelazione di
Charmaine (Lauren Hammersley) a Mel (Alexandra Breckenridge) e Jack
(Martin Henderson,) che i gemelli non sono in realtà figli di
quest’ultimo. Come in ogni season, il cliffhanger finale non funge
da attacco al primo episodio della stagione successiva, ma solo da
ponte per una storia che riprenderà dopo di esso. Ed è così che
inizia Virgin River 5: Jack e Mel devono
fare i conti con le menzogne di Charmaine e sul tempo che hanno
sprecato per starle accanto, decidendo di godersi a pieno la loro
love story una volta chiusi i ponti con la donna. Intanto, Doc (Tim
Matheson) è alle prese con una malattia degenerativa che ha colpito
i suoi occhi e minaccia il suo futuro allo studio medico. Hope
(Annette O’Toole) deve invece confrontarsi con una cittadina che
inizia a mettere in dubbio le sue capacità come sindaco e avrà
bisogno di tutto il sostegno delle sue amiche per non crollare e
lasciarsi abbattere. Sullo sfondo dei problemi quotidiani di Virgin
River, uno spaccio di fentanil, a causa del quale Brady (Benjamin
Hollingsworth) e Mike (Marco Grazzini) si metteranno in serio
pericolo…
Bentornati a Virgin River!
Pur essendo cambiato lo showrunner,
Virgin River 5 non perde il suo
animo romance, e ci apre di nuovo le porte della
cittadina bucolica circondata da foreste, fiumi e laghi da sogno.
Sono proprio i luoghi che avvolgono i personaggi, vivendo i loro
stessi drammi, ad essere una delle carte vincenti dello show, da
quando è nato nel 2019. Posti in cui è immediato perdersi
fra le bellezze paesaggistiche, e che permettono di
staccare la spina dalla realtà, per tuffarsi in un momento di
leggerezza e spensieratezza. Gli stessi che, grazie ai tournage
panoramici, riescono a condurci subito dentro il racconto, negli
incastri della favola. Perché in fondo, Virgin River, è
sempre stato questo: una fiaba impiantata nel mondo
reale, che non ha troppe pretese se non quelle di
regalarci qualche attimo di pausa e relax. Certo, i plot twist
imprevedibili non mancano. Così come i cliffhanger, i quali
caratterizzano l’intera serie e dei quali essa vive, e che
tracciano molto spesso i sentieri della soap opera senza però mai
davvero trasformarsi nel genere.
Ma comunque, questo, non è mai stato
un punto a sfavore, e non lo è neppure per Virgin River
5, che sembra, in questa prima e principale parte,
sbottonarsi ancor di più sugli eventi narrativi,
alzando di conseguenza il suo livello
drammaturgico. Gli episodi centrali sono infatti quelli
più significativi e contengono la sfida più importante con cui i
protagonisti si interfacciano; una scelta da una parte audace,
dall’altra segno di un leggero cambio di rotta per quanto concerne
alcune soluzioni della storyline principale, la quale svela
l’intento di voler confrontarsi con situazioni che contribuiscono,
in modo sostanzioso, al glow up di tutti i protagonisti. E
dello show stesso. Unica sbavatura, che continua ad essere uno dei
tasselli più difettosi, sono alcune sub-trame, come quella di
Preacher o di Jack (per quest’ultimo inerente solo ai suoi traumi
passati), che – pur intrecciate al contesto – risultano essere
linee narrative o ripetitive o insapori. Un appesantimento della
storia che, qualora venisse eliminato, darebbe a Virgin
River solo giovamento.
Un tocco di magia
Cio che però rende davvero speciale
la serie, e quindi anche Virgin River 5,
è sia il modo in cui essa affronta ogni cruccio o problema dei suoi
personaggi, molto attento e premuroso, sia la sua capacità di
restituirci una dimensione idilliaca in grado di cullarci. Ma
andiamo con ordine. Intanto, anche questa season ci pone
dinanzi ad alcuni main character – quali Mel, Jack, Hope e
Doc – alle prese con situazioni sempre più intricate della loro
vita. Il primo a “risolversi” (per fortuna) è Jack, cedendo più
spazio ad una Mel che, pur vivendo l’ennesimo shock, apprezziamo
vederla risorgere dalle sue ceneri. Una crescita consapevole che
non arriva dal nulla, ma è fonte del lavoro svolto sul personaggio
sin dalla prima stagione, e del quale non è stato tralasciato alcun
dettaglio o punto sospeso. Capire, affrontare, soffermarsi
ad analizzare: sono questi i tre atti con cui lo show si è
sempre approcciato ai suoi personaggi, esplorandone la loro
psicologia e permettendo così uno sviluppo credibile di ognuno di
loro. Pur essendo a volte circondati da avvenimenti un po’ troppo
irrealistici.
Virgin River
5, nonostante si ammanti di più drama, non va però a
snaturarsi: entra sempre in campo la speranza, il senso di
comunità, il motto del “l’unione fa la forza”, mai stato più valido
come in questa season, e che da sempre è motore della
storia. Non mancano poi le solite atmosfere e fotografie calde, il
melieu accogliente, lo spirito combattivo e fiducioso di
ogni singolo protagonista, tutti elementi che rendono Virgin River
una realtà confortevole, in cui tutto sembra possibile da superare,
pur impiantando al suo interno tematiche intense, come l’aborto di
Mel, lo stupro di Brie, la perdita di Jack e la malattia di Doc. Ma
è forse questa la sua dote: riuscire ad essere un posto sicuro,
piacevole, dal tempo sospeso, senza precludersi la possibilità di
essere profondo. Ed è così che va guardata anche questa prima parte
di Virgin River 5: non avendo
pretese, mossi solo dal desiderio di lasciarsi fare una carezza. A
volte, la magia la si può trovare anche in show poco elaborati, ma
dal grande cuore e dalle buone intenzioni. Per cui, alla fine, gli
si può perdonare anche qualche ridondanza.
Il giovanissimo e talentuoso regista
Goran Stolevski ha presentato in anteprima a
Venezia 80 il suo Housekeeping for
Beginners, terzo lungometraggio a cui si è dedicato dopo
You Won’t Be Alone (2022) e Of an
Age (2023), passati entrambi per il Sundance Film
Festival. Con questa nuova prova registica, Stolevski
unisce uno stile da cinema verità, performance attoriali
credibilissime e un controllo dell’immagine notevolissimo per
raccontare una storia quanto mai attuale. Nel cast,
Anamaria Marinca, Alina Serban,
Samson Selim, Vladimir Tintor,
Dzada Selim, Mia Mustafa,
Sara Klimoska, Rozafa Celaj,
Ajshe Useini.
Housekeeping for Beginners: madre
in divenire
Una storia che esplora le verità
universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che quella
che ci scegliamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre, ma
le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua
ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle
Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre
continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che
deve lottare per rimanere unita.
Nonostante le molte crisi che
affrontano – morti, scomparse, abusi – Housekeeping for
Beginners non è un film guidato dalla trama, quanto più
incentrato su questo complesso intreccio di personaggi interpretati
in maniera incredibilmente verosimili. La truppa è guidata da
Marinca, che offre una performance estremamente
convincente nei panni della forte Dita, ma tutti
gli attori sono all’altezza della situazione, persino la giovane
Mia.
Cinema veritè per “non sentirsi
soli”
La scelta di uno stile veritiero,
che include dialoghi sovrapposti, camera a mano, illuminazione
naturalistica, inquadrature strette ma volutamente caotiche e
profondità ridotta, ha permesso a Stolevski di creare un’atmosfera
di grande impatto che eleva Housekeeping for
Beginners. In maniera molto simile a quanto già
sperimentato nel precedente film Of an age, è la
musica che colma i vuoti: quando i personaggi non si confrontano
con qualche canzone di sottofondo, la colonna sonora composta da
Alen e Nenad Sinkauz rievoca il conflitto razziale che emerge
costantemente ai margini della storia. Violini e fisarmoniche
suonano ritmi avvincenti, creando un mix di allegria e malinconia
che sottolinea le innumerevoli discussioni all’interno della
famiglia.
In You Won’t Be
Alone lo spirito stregonesco che è la creatura
protagonista del film non viene mai lasciato solo: diventa un
mutaforma, che si deve scontrare con le difficoltà di legami
sociali primitivi mentre tenta di elaborare una personale
concezione dell’umanità. Mutare forma, essere il corpo degli altri,
diventa il veicolo principale per la conoscenza del se.
Stolevski porta avanti un simile discorso anche in
Housekeeping for Beginners, presentandoci dei
personaggi che devono tenere in considerazione, e anche scontrarsi,
con altri punti di vista e, in questa famiglia così fluida e
composita, scoprono ancora meglio le loro individualità. Basando la
narrazione su questo dialogo così umano, Stolevski
si conferma una delle giovani voci registiche più interessanti e
promettenti della contemporaneità.
È ufficialmente iniziato
il conto alla rovescia per Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del
serpente, il nuovo capitolo della Hunger
GamesSaga che arriverà in Italia, solo al
cinema dal 22 novembre, distribuito da Notorious
Pictures.
Un film attesissimo, tanto
che secondo un sondaggio condotto e pubblicato dalla piattaforma
americana per la prevendita di biglietti cinematografici Fandango,
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpenteè in cima alla lista dei film più attesi dell’autunno da
parte del pubblico!
La road to Hunger
Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è pronta per
essere percorsa e si apre con i character poster del
film:
1 di 7
Rachel Zegler è Lucy Grey
Baird - Tributo del distretto del 12
Tom Blyth è Coriolanus Snow
- Mentore di Lucy Grey Baird
Peter Dinklage è il Decano
Casca Highbottom - Creatore degli Hunger Games
Hunter Schafer è Tigris
Snow - Cugina di Snow
Josh Andres Rivera è
Sejanus Plinth – Amico di Snow e Mentore del distretto 2
Viola Davis è la Dott.ssa
Gaul – Capo stratega degli Hunger Games
Jason Schwartzman è
Lucretius 'Lucky' Flickerman - Il primo conduttore degli Hunger
Games
Hunger Games – La
ballata dell’usignolo e del serpente è ambientato 64 anni
prima della saga. Un prequel ispirato all’omonimo romanzo di
Suzanne Collins e diretto da Francis Lawrence,
regista di tre dei quattro Hunger Games
originali.
I
protagonisti sono l’attore emergente inglese
Tom Blyth,
Rachel Zegler di West Side Story e
Hunter Schafer della serie Euphoria. Nei
ruoli comprimari l’attrice Premio Oscar e vincitrice di un Golden
Globe, di un Emmy Award e di ben due Tony Award
Viola Davis, la star de Il trono di spade e
vincitore di un Golden Globe
Peter Dinklage e Jason
Schwartzman.
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e
del serpente, la trama
Anni prima di diventare il
tirannico presidente di Panem, il diciottenne Coriolanus Snow è
l’ultima speranza per il buon nome della sua casata in declino:
un’orgogliosa famiglia caduta in disgrazia nel dopoguerra di
Capitol City. Con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger
Games, il giovane Snow teme per la sua reputazione poiché nominato
mentore di Lucy Grey Baird, la ragazza tributo del miserabile
Distretto 12. Ma quando Lucy Grey magnetizza l’intera nazione di
Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura,
Snow comprende che potrebbe ribaltare la situazione a suo favore.
Unendo i loro istinti per lo spettacolo e l’astuzia politica, Snow
e Lucy mireranno alla sopravvivenza dando vita a una corsa contro
il tempo che decreterà chi è l’usignolo e chi il serpente.
Un uomo si aggira per le strade di
Genova, riscoprendone colori, odori, sapori, ma anche luoghi,
persone, notandone i cambiamenti e manifestando un profondo senso
di nostalgia nei confronti di tutto ciò. L’uomo in questione è
Luca, protagonista del fim Con la grazia di un
Dio, il film d’esordio dell’attore Alessandro Roia
(Diabolik, …
altrimenti ci arrabbiamo!) alla regia di un lungometraggio.
Presentato alle Giornate degli Autori, il film è
un ambizioso ma umile racconto noir che si sviluppa sui temi della
nostalgia e della malinconia, emozioni provate dal protagonista a
seguito di un inaspettato confronto con il proprio passato e con la
città della sua giovinezza.
Già da queste prime parole si può
notare un’involontaria somiglianza con il recente
film Nostalgia di MarioMartone,
dove Pierfrancesco
Favino dà volto ad un uomo che torna a Napoli – più
precisamente nel Rione Sanità – dopo anni trascorsi in Egitto,
riscoprendo tutto ciò che si era dovuto lasciare alle spalle,
compresi alcuni traumi. Se da una parte risulta difficile non porre
a confronto i due film, data anche la presenza in entrambi
dell’attore Tommaso Ragno
(Luca nell’esordio di Roia, nemico del protagonista per Martone),
sarebbe scorretto ridurre solo a questo il giudizio su Con la
grazia di un Dio, opera imperfetta ma alcuni elementi
interessanti.
La trama di Con la grazia di un Dio
La vicenda si svolge dunque a
Genova, dopo venticinque anni Luca (Tommaso Ragno)
torna per partecipare ai funerali del migliore amico della sua
giovinezza. Qui ritrova i vecchi compagni di un tempo. Tutti
sembrano convinti che quella morte sia l’esito scontato di una vita
di eccessi; tutti tranne Luca, che vuole vederci chiaro, indagare,
capire. Scavando nella memoria, e in una città cambiata almeno
quanto lui, lascerà riaffiorare fantasmi e verità che sembravano
sepolte, insieme alla propria vera natura, che pensava di aver
domato per sempre.
Nei luoghi dell’anima di Genova
Le opere prime, si sà, sono
pericolose. Bisogna avere qualcosa da dire, bisogna sapere come
dirlo, altrimenti si rischia di non offrire nulla al proprio
pubblico. Alessandro Roia, consapevole di questi
rischi, sceglie di “limitarsi” alla scrittura della sceneggiatura
(insieme ad Ivano Falchin) e alla regia, non
comparendo dunque in scena. Ciò gli dà l’opportunità di
concentrarsi totalmente sulla costruzione delle immagini del suo
esordio, attingendo dal cinema di genere per fotografare una Genova
cupa e fredda dove porre i propri personaggi e seguirli nei vicoli
bui, in quelli stretti, nei locali tutti neon e musica a palla o
negli appartamenti spogli che comunicano assenza in ogni loro
stanza.
Roia lavora dunque su un’attenta
scelta di spazi evocativi, che accompagnino le emozioni di chi li
abita ed esaltino i turbamenti del loro animo e sceglie di far
parlare in questo modo le proprie immagini, prediligendo di
conseguenza una regia contenuta e che rifugge particolari
virtuosismi o sperimentazioni di vario tipo. Tutte cose che, per
quanto un neo regista potrebbe essere tentato di provare, rischiano
di distogliere l’attenzione dello spettatore da aspetti ben più
importanti, come in questo caso la costruzione di un atmosfera che
possa effettivamente suscitare gli stati d’animo del
protagonista.
Un film non esente da problemi di scrittura
Certo, non è esente da problemi
Con la grazia di un Dio, riscontrabili specialmente nella
sua scrittura. Ci sono infatti diverse occasioni in cui il mistero
che Luca cerca di risolvere sembra complicarsi salvo poi rivelarsi
meno avvincente del previsto, così come alcune situazioni gestite
troppo frettolosamente e non adeguatamente sviluppate, soprattutto
nel finale, dove gli interrogativi rimasti sono più di quelli
soddisfatti. Tutte carenze che rischiano di portare lo spettatore a
sentirsi confuso o perdere interesse nei confronti di quanto vede.
Luca, come anche alcuni degli altri personaggi, rimangono infatti
talvolta fin troppo misteriosi, rendendo difficile un avvicinamento
nei loro confronti.
A ciò si aggiungono alcune
perplessità circa il pubblico di riferimento di un film come
questo, e non rispondendo chiaramente a tale domanda si svela
ulteriormente la confusione che limita il potenziale del progetto,
che per certi aspetti lascia in ultimo un certo senso di
incompiuto. Sono ingenuità tipiche di un’opera prima, trappole a
loro modo necessarie per poter imparare per poi addrizzare il tiro
in vista di un secondo film, che si spera Roia realizzerà, avendo
in ogni caso dimostrato in Con la grazia di un Dio di
possedere una buona conoscenza tecnica del mezzo.