A due anni da
La stanza delle meraviglie e a
quattro da
Carol, quello che è uno dei suoi migliori film,
Todd Haynes torna dietro alla macchina da presa
con una storia che sembra stonare con la sua filmografia
precedente, ma nella quale infonde il suo rigore e la sua capacità
di scavare con occhi vigile oltre la superficie dei fatti
raccontati: Cattive Acque.
Cattive Acque, la storia vera di
Robert Bilot
Il film racconta della lunga
battaglia processuale dell’avvocato Robert Bilot, interpretato da
Mark
Ruffalo, che si ritrova a fare causa al colosso
dell’industria chimica DuPont. La storia comincia infatti
nel momento in cui Bilot diventa socio di un prestigioso studio
legale che difende le compagnie come la DuPont.
Proprio nel momento in cui la sua
carriera appare florida e in ascesa, l’uomo si troverà di fronte ad
un conflitto personale ed etico: un fattore del West
Virginia, dove lui stesso è nato e cresciuto, gli chiede
aiuto contro il colosso della chimica, che da anni, impunito,
scarica rifiuti altamente tossici nelle falde acquifere di tutto lo
Stato. L’uomo decide di mettere da parte sicurezza economica,
serenità familiare e carriera per rincorrere la giustizia, e si
troverà solo, per 19 anni, a combattere contro un sistema che lo
ostacola e contro l’omertà del mercato che consapevolmente ha
avvelenato migliaia di famiglie americane.
Un film voluto da Ruffalo
Mark
Ruffalo, ambientalista convinto, ha sottoposto la storia
ad Haynes che si è lasciato coinvolgere, adottando un occhio
particolarmente acuto e fuggendo dal film processuale, preferendo
invece i toni del thriller, tesi e oscuri. Insieme a questa perizia
di linguaggio, che nella giustapposizione di ritmi e di tempi
dilatati trova la sua massima efficacia, Haynes si avvale anche di
un protagonista che ancora una volta conferma di essere capace di
dare dignità all’uomo comune, all’eroe di tutti i giorni.
Ruffalo è l’attore che meglio di
tutti i suoi colleghi, nel panorama odierno, riesce a dare spessore
a questi eroi di tutti i giorni. E il suo Robert non fa eccezione:
è la rappresentazione dell’eroe americano come non viene più
raccontato, nelle sue fallibilità e nei suoi momenti di sconforto,
ma mosso dalla sete di giustizia e del sentimenti di rivalsa contro
chi volontariamente crea danni (molto gravi) alla salute di quella
classe americana di periferia, che abita in case bianche e
fatiscenti, ai margini di ciò che in genere il cinema mostra.
L’America nascosta, il Midwest
Proprio questo contrasto tra
l’America nascosta e quella lussuosa di grattacieli e corporazioni
viene messo al centro di un discorso sociale che Haynes porta
avanti, un discorso che prende corpo nel confronto tra il Paese
reale, quello che denuncia l’avvelenamento delle falde acquifere
nel Midwest, e l’istituzione governativa, lontana e inefficace,
distante dalle necessità e dalle verità che affliggono il popolo.
In mezzo a questi due poli che non trovano un punto di incontro né
di comunicazione, si inserisce l’industria, la corporazione, quella
che da una parte avvelena i proprio operai e dall’altra fornisce
spazi, servizi, palliativi ad una situazione di vita insostenibile
che, alla fine, porterà alla morte (non di certo naturale) di
quegli stessi operai.
Contro questi tre vertici che
coesistono nel loro vizioso equilibrio si staglia l’eroe comune,
Robert Billot, che per 19 anni ha portato avanti la sua battaglia
per la giustizia, una motivazione rarissima eppure potente che ha
permesso all’uomo di mettere con le spalle al muro la DuPont.
Accanto a
Mark Ruffalo, nel cast compare anche Anne
Hathaway, nei panni della moglie di Bilot. Il ruolo,
per quanto apparentemente marginale, simboleggia quello a cui il
nostro eroe è costretto a rinunciare per portare avanti la sua
lotta, e questo lo rende addirittura più umano e “sacrificato” alla
sua causa.
Cattive Acque, oltre il dramma
processuale
Di film come questi ce ne sono
molti, anche nel recente passato del cinema, come
Promised Land di Gus Van
Sant, ma in Cattive Acque
Todd Haynes, con il sostegno fondamentale di
Ruffalo, riesce ad andare oltre il dramma processuale e il rischio
ambientale, disegnando una parabola di vita che si erge ad esempio
e monito in mezzo alle brutture del mondo.
Bilot è un eroe che paga sulla
propria pelle la sua sete di giustizia, un uomo solo contro un
sistema avverso, in difesa degli ultimi e di quell’ambiente che
ormai in maniera imperativa dovrebbe rappresentare la priorità di
ogni governo ed essere umano.
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