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First Love: recensione del film di Takashi Miike – #Cannes72

First Love: recensione del film di Takashi Miike – #Cannes72

All’interno del Festival di Cannes 2019, arriva in concorso alla Quinzaine des Réalisateurs il regista giapponese Takashi Miike con il suo nuovo film dal titolo First Love. All’interno di questo è possibile ritrovare tutti i principali stilemi del regista, dalla violenza esagerata all’umorismo nero, dall’amore alla natura ambigua dei personaggi. Con il suo nuovo lungometraggio Miike si conferma uno dei registi più controversi e affascinanti dell’odierno panorama cinematografico.

Ambientato nell’arco di una notte a Tokio, il film segue la storia di Leo, un giovane boxer solitario, e di Monica, giovane ragazza costretta a prostituirsi per debiti. Mentre tra i due sboccia l’amore, si ritroveranno anche a doversi difendere da pericolosi personaggi della malavita, i quali li cercano per motivi a loro ignoti. In un tripudio si sangue, comicità e sentimento, i due ragazzi dovranno riuscire a sopravvivere alla notte per consolidare il loro rapporto.

Le premesse della trama non vengono disilluse, in un film che si dimostra dinamico sin dall’inizio. Miike ci presenta da subito, ognuno nel suo contesto i vari personaggi. Molti di questi non si conoscono minimamente, e sembra impensabile che possano presto o tardi ritrovarsi a combattere gli uni contro gli altri per la vita e la morte. Se all’inizio si può quindi rimanere frastornati dalla presenza di molteplici linee narrative da seguire, ben presto si ci si ritroverà sempre più catapultati nel vivo della storia.

Appare sempre più chiaro che Miike desidera raccontare una storia che esce dai binari del realistico, quasi una favola, chiedendo un po’ di partecipazione e fiducia allo spettatore per condurlo all’interno di un incubo notturno dove tutto è possibile. Incubo per i protagonisti, poiché per lo spettatore il film è invece una gioia per gli occhi. Particolarmente violento, ai limiti dello splatter, il regista unisce a quest’elemento quello della comicità. Ogni scena brutale presenta allo stesso tempo situazioni per cui è impossibile non provare divertimento, con trovate particolarmente brillanti.

All’interno di questo delirio visivo, non manca ciò che il titolo promette, ovvero l’amore. I due protagonisti, moderni Romeo e Giulietta, si ritrovano coinvolti in qualcosa di più grande di loro. La loro presenza aggiunge sentimento a quanto avviene intorno a loro, e anche i più cattivi infine sembrano costretti a piegarsi alla forza del loro amore.

Il solito Miike dunque, che com’è giusto che sia non si allontana dai temi a lui cari, ma li riformula per realizzare un film dinamico, particolarmente coinvolgente e divertente. Sua intenzione era infatti quella di dar maggior rilevanza all’aspetto comico, che nel film è ben dosato e costruito. Se anche tutto sembra crescere fino all’inverosimile, ciò non risulta un disturbo. Ormai assuefatti dalla storia si è pronti a seguire il regista in ogni strada intrapresa, e First Love si rivela l’ennesimo interessante progetto di uno dei maestri della cinematografia orientale.

Cannes 2019: Antonio Banderas parla di Dolor y Gloria di Pedro Almodovar

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In occasione della presentazione a Cannes 2019 di Dolor y Gloria, ecco la nostra intervista al protagonista del nuovo film di Pedro Almodovar, Antonio Banderas.

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Cannes 2019: Dolor y Gloria, recensione del film di Pedro Almodovar

Dolor y Gloria racconta una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo, un regista cinematografico oramai sul viale del tramonto. Alcuni sono fisici, altri ricordati: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna, un comune situato nella provincia di  Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto, l’incommensurabile vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film. “Dolor y Gloria” parla della creazione artistica, della difficoltà di separarla dalla propria vita e dalle passioni che le danno significato e speranza. Nel recupero del suo passato, Salvador sente l’urgente necessità di narrarlo, e in quel bisogno, trova anche la sua salvezza.

Little Joe: recensione del film di Jessica Hausner – #Cannes72

Little Joe: recensione del film di Jessica Hausner – #Cannes72

Ci sono film che dimostrano di meritare la partecipazione al concorso ufficiale di un festival prestigioso come quello di Cannes. Little Joe, di Jessica Hausner, tuttavia non è tra quelli. Presentato al Festival di Cannes 2019, il nuovo lungometraggio della regista austriaca rivela una storia debole, penalizzata in particolare da scelte di regia che disturbano anziché attrarre.

Il film ha per protagonista Alice (Emily Beecham), una madre single e particolarmente devota al suo lavoro di sperimentatrice di nuove specie di piante. La sua ultima ricerca riguarda un particolare tipo di fiore, chiamato Little Joe, che, oltre ad attrarre per la sua bellezza, è in grado grazie al suo profumo di rendere felice chi si trova nelle vicinanze. Con l’avvicinarsi del lancio sul mercato di questo però, strane cose iniziano ad accadere e Alice comincia a nutrire sospetti su Little Joe, il quale potrebbe non essere innocuo come sembrerebbe.

Sulla carta il film aveva il potenziale per rivelarsi buon thriller sci-fi. La trama infatti consente numerose strade percorribili, ma al momento della realizzazione del film evidentemente sono state prese quelle errate. Benché le premesse fossero interessanti, la sceneggiatura acquista ben presto un tono di innaturalità che porta al manifestarsi di diversi buchi di sceneggiatura e, in particolare, la mancanza di un vero e proprio sviluppo del conflitto.

Nel momento in cui la protagonista inizia a nutrire sospetti sulla sua creazione, nulla di veramente significativo accade perché lo spettatore possa essere sempre più coinvolto. I sospetti continuano, fino a concretizzarsi ma risolvendosi in un nulla di fatto. Si aspetta così qualcosa che è destinato a non arrivare, e il fatto che le domande poste rimarranno senza risposta diventa chiaro ben prima del finale. Ciò che sembra mancare più di tutto è poi la minaccia che le piante del film portano con sé. Impariamo a conoscerle ma, benché la loro natura appaia pericolosa, si rimane all’oscuro di quale realmente sia il pericolo che si corre. Chi vi entra in contatto subisce effettivamente un cambiamento, ma che non porta a sviluppi né intelligenti né inquietanti.

La regista e sceneggiatrice sembra più che altro interessata a generare un atmosfera di tensione che possa supportare la storia. All’inizio il suo intento sembra riuscire, ma nel momento in cui lo spettatore comprende che ben poco accadrà di nuovo, la tensione viene presto a sgretolarsi lasciando il posto ad un senso di noia e irritazione. Certamente non aiutano i costanti movimenti di macchina, i più dei quali risultano ingiustificati. Se l’intento era quello di generare una tensione nello spettatore, come detto prima, questa viene ben presto a scemare. Altro elemento particolarmente fastidioso è una colonna sonora eccessivamente presente, particolarmente ricca di suoni e rumori. Questa  è marcatamente posta sia nei momenti più cruciali che in quelli meno adatti, finendo per ottenere l’effetto opposto a quello desiderato.

Non è chiaro quale fosse l’intento della Hausner con Little Joe, ma la sensazione generale è di un’occasione sprecata. Un’idea che poteva racchiudere un potenziale ma che, come il fiore protagonista del film, sembra emanare solo una pallida parte di ciò che poteva essere.

Cannes 2019: Ken Loach dalla parte della gente comune

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Con la voglia di gridare contro l’ingiustizia e a favore dei più deboli, Ken Loach torna sulla croisette, nel concorso di Cannes 2019, con Sorry we missed you, il suo nuovo film che racconta sempre con occhio lucido e a volte brutale la realtà degli ultimi.

Il regista ha raccontato così il suo film: “Quando ero giovane la vita era fatta di tappe, dopo lo studio si cercava un lavoro, poi si metteva su famiglia. Oggi non è più così, è subentrata l’insicurezza, i contratti sono sempre più precari, le persone devono lottare per sopravvivere, a volte è necessario inventarsi un lavoro che non c’è prendendo rischi. Quello che volevo fare col mio film era mostrare come questa situazione si rifletta sulla vita familiare”.

Per raccontare questa storia, Loach ha unito le sue forze con lo sceneggiatore Paul Laverty, che ha fatto ricerca sul campo: “Questa è la storia di una famiglia. L’Inghilterra sta percorrendo lo stesso cammino degli USA, le disuguaglianze si stanno intensificando. Per cinquant’anni la rabbia sociale è stagnata e ora sta esplodendo mentre la povertà aumenta e la ricchezza è concentrata nelle mani di pochissimi”.

E poi passa a raccontare del suo confronto con i testimoni diretti, le fonti di ispirazione per questa dolorosa storia: “Proprio nei giorni in cui parlavo con questo corriere stanco, con gli occhi rossi, la barba lunga, Jeff Bezos è diventato l’uomo più ricco del mondo. Amazon si arricchisce facendo profitto su corrieri e magazzinieri che lavorano a ritmi disumani guadagnando poco. Secondo un rapporto di Oxfam gli otto uomini più ricchi del mondo possiedono la stessa ricchezza del 50% del pianeta. Le innovazioni tecnologiche vengono usate per arricchire pochi, mentre i lavoranti non hanno possibilità di avere un contratto né diritti sindacali. La logica conseguenza del mercato è lavorare sempre di più e passare sempre meno tempo con la propria famiglia”.

Cannes 2019: Sorry We Missed You, la recensione del film di Ken Loach

E in generale, sulla condizione dei lavoratori e sulla crisi che sta attraversando il mondo, Loach dichiara: “Credo che la crisi continuerà fino a che non faremo cambiamenti strutturali. Le grandi aziende puntano a fornire il miglior sevizio al minor prezzo, e lo fanno tagliando i costi. A subirne le conseguenze sono i lavoratori, l’anello debole della catena. Se crediamo nel libero mercato questo porta alle grandi corporation, al lavoro precario. L’unico modo per combattere questa situazione è rivalutare l’individuo, la gente comune” cosa che lui puntualmente e con grande onestà fa in tutti i suoi film.

Dolor y Gloria: recensione del film di Pedro Almodovar

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Dolor y Gloria: recensione del film di Pedro Almodovar

Ha conquistato il cuore della stampa (e del pubblico, visto che è in sala in Italia dal 17 maggio) Dolor y Gloria, il nuovo film di Pedro Almodovar che torna a lavorare con Antonio Banderas e Penelope Cruz e realizza uno dei migliori film della sua carriera.

Dalla trasgressione dei primi film, fino al tono meditabondo delle pellicole della sua produzione più recente, il regista non ha mai rinunciato a raccontare la grande vitalità dell’essere umano, anche di quello più sofferente, derelitto e solitario. Almodovar ha sempre riversato la sua vita nei suoi film, tanto che è sempre molto difficile capire dove sta il confine tra l’autobiografismo e la finzione, tra ciò che appartiene alla sua storia personale e ciò che invece è stato inventato per l’occasione. E man mano che passa il tempo, la sua produzione si fa sempre più insistente riflessione sul suo passato, sulla sua crescita, la sua infanzia e ovviamente sulle donne della sua vita, in particolare sulla figura materna.

Dolor y Gloria, il film

Biografia, vitalità, ricordo e dolore sono i fili che si intrecciano in Dolor y Gloria, in cui Almodovar racconta la storia di Salvador Mallo, un regista che, arrivato ai 60 anni, ha smesso di realizzare film, pur continuando ad avere una fortissima pulsione verso il racconto e una grande esigenza di scrivere. Salvador affronta una serie di ricongiungimenti, sia fisici sia solo nel suo ricordo: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film.

Come molti altri film di Almodovar, ma in maniera più intima e dolorosa, Dolor y Gloria racconta della creazione artistica e della difficoltà di separare la stessa dalla propria vita personale, ma anzi continuando a nutrire l’una con l’altra e viceversa. Per Salvador, la gloria è quella passata che lui però sembra non rimpiangere affatto ma sembra soltanto ricordare con nostalgia, il dolore invece è quello fisico e spirituale, il corpo che cede, la mente che soccombe, le emicranie e il bisogno di buio e silenzio.

È difficile distinguere la realtà dalla finzione, in una storia che interseca passato e presente, dentro e fuori, voglia di dimenticare e di ricordare, e un soffuso costante e struggente senso di malinconia che sbatte contro i colori vivaci della scenografia, dell’abbigliamento, della messa in scena almodovariana che, di nuovo, non può evitare di mostrarsi anche incredibilmente sensuale e vitale, anche di fronte alla depressione e alla sofferenza più nera.

Sembra chiaro però che Salvador Mallo è in qualche modo il risultato dell’unione di Almodovar stesso e di Antonio Banderas, che scompare completamente nel personaggio, consegnando la sua migliore interpretazione in carriera, per alcuni rivelandosi per altri confermandosi un interprete intenso e delicato, che con questo ruolo è riuscito a rimettersi completamente in gioco e a dare una nuova vita alla sua carriera.

All’ottavo film con Pedro, Antonio ha trovato il modo di mettere da parte la sua fisicità da latin lover e di mettere a nudo un aspetto intimo e profondo che fino ad ora non gli era stato possibile mostrare, complice l’età o forse le esperienze personali (è sopravvissuto a un infarto nel 2017).

Servendosi della ritrovata musa, Almodovar riscrive la sua storia, ripercorrendola e affidando a Penelope Cruz, sempre a suo agio davanti alla macchina da presa del suo amico e regista, il ruolo dell’amata madre. Dolor y Gloria è l’accettazione dei dolori del presente, un ritratto di uomo e di artista, in cui il cinema è la cura e la malattia insieme, con il cuore sempre al passato senza però soccombere alla malinconia.

Avengers: Endgame, 10 timeline alternative create dai viaggi nel tempo

avengers endgame

In Avengers: Endgame i viaggi nel tempo attraverso il Regno Quantico e l’intervento dei Vendicatori in determinati momenti del passato hanno creato inavvertitamente delle nuove timeline alternative a quelle che conoscevamo. In questo modo Captain America si è riunito con Peggy e Loki non è mai tornato ad Asgard con Thor dopo la battaglia di New York del 2012.

Ma andiamo con ordine e rivediamo di seguito tutte le linee temporali:

2014: Thanos scompare

Photo: Film Frame..©Marvel Studios 2019

Quando Thanos apprende della morte del suo sé futuro nel 2014, viaggia nel tempo e arriva giungendo al 2023 per combattere contro i Vendicatori sulla terra. Ciò significa che ora c’è una linea temporale in cui il villain non collezionerà mai le gemme dell’infinito e il corso degli eventi sarà completamente diverso da quello mostrato dal MCU.

2012: la fuga di Loki

Uno dei più grandi cambiamenti nella timeline originale avviene quando Loki ruba il Tesseract e lo usa per fuggire dopo esser stato catturato alla fine della battaglia di New York del 2012. Dunque ora esiste una linea temporale in cui il Dio dell’Inganno non aiuterà suo fratello durante gli eventi di Thor: The Dark World.

Ciò significa che Thor non tornerà mai sulla Terra per combattere Ultron e Loki sarà libero di causare ogni sorta di caos nel cosmo con il Tesseract.

Seconda Guerra Mondiale: Steve ritorna da Peggy

mcu Avengers: Endgame

Le dichiarazioni contrastanti dei fratelli Russo e degli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely sulla decisione di Captain America di tornare a Peggy Carter alla fine di Endgame lasciano intendere che da una parte l’eroe ha vissuto la sua vita con l’amata in una timeline alternativa, mentre dall’altra sembra essere stato da sempre destinato a sposare Peggy e ad avere dei figli con lei.

Qualunque sia il caso, il fatto che Steve Rogers sia tornato indietro negli anni 40-50 significa che il mondo ha avuto il suo Captain America dalla seconda guerra mondiale in poi e quello stesso eroe può aver combattuto anche la guerra in Vietnam e in Iraq.

2012: Cap scopre che Bucky è vivo

Tornato al 2012 Steve Rogers si confronta con il suo “gemello” e riesce a liberarsi dalla sua presa soltanto quando gli dice che Bucky, il suo amico e compagno d’armi, è ancora vivo.

Così facendo gli eventi di Captain America: The Winter Soldier probabilmente non si verificheranno mai e Sam Wilson non diventerà Falcon. L’HYDRA potrebbe anche essere scoperta ad un certo punto, e a seconda di come vadano le cose, c’è la serie possibilità che Steve non riesca mai a riconciliarsi con Bucky.

2012: l’Hydra non ottiene la gemma della mente

Se il compito di Captain America era restituire le gemme dell’infinito alle rispettive timeline originali, questo significa che quella della mente è stata riportata nelle mani dell’HYDRA? E anche se lo avesse fatto, l’organizzazione crede che Cap sia uno di loro dopo la scena dell’ascensore di Endgame, quindi qualcosa è sicuramente cambiato nei loro piani…

C’è tuttavia il rischio che la gemma non venga affatto restituita all’Hydra, quindi di conseguenza gli eventi di Avengers: Age of Ultron non accadranno mai, compresa la trasformazione di Wanda e Pietro Maximoff in individui superdotati.

2014: i Guardiani della Galassia non diventano una squadra

Con Star-Lord sconfitto su Morag e Nebula e Gamora direte verso il “presente” lo scenario presentato da Endgame preannuncia che i Guardiani della Galassia non si formeranno mai. Rocket e Groot continuerebbero sulle loro strade, Peter Quill sarebbe molto probabilmente tornato dai Ravagers e Ronan sarebbe stato libero di distruggere Xandar senza opposizioni, uccidendo milioni di persone.

1970: Hank Pym perde le particelle Pym

Durante il viaggio nel 1970, Tony Stark e Steve Rogers sottraggono le particelle Pym alle quali stava lavorando Hank Pym, dunque nella timeline alternativa lo scienziato avrà in qualche modo reagito al furto e si sarà chiesto come rimediare.

Forse questa è la causa che lo porterà a collaborare con Howard Stark, oppure che gli impedirà di diventare il primo Ant-Man della storia.

2014: Captain America incontra Teschio Rosso

Chi ha visto Avengers: Endgame saprà che Steve Rogers, una volta archiviata la battaglia contro Thanos e dopo aver celebrato la morte di Tony Stark insieme ai colleghi Vendicatori, decide di viaggiare ancora una volta nel Regno Quantico per restituire tutte le gemme dell’infinito alla rispettiva timeline in cui erano custodite. In una di queste realtà passate incontra Peggy, l’amore della sua vita, e si concede quel famoso ballo promesso in Captain America: Il Primo Vendicatore. Ma cosa è accaduto negli altri salti temporali? Chi ha incontrato?

A quanto pare, come confermato da Anthony e Joe Russo in un’intervista, Cap è tornato su Vormir per riportare la gemma dell’anima al suo protettore originario, Teschio Rosso, confrontandosi dunque con il suo primo vero antagonista del MCU.

2012: l’Antico conosce tutti gli scenari futuri

Quando Bruce Banner spiega all’Antico che Doctor Strange ha ceduto la gemma del tempo a Thanos, lo stregone appare sinceramente scioccato, anche se sembra comprendere le sue azioni…o forse no?

il personaggio cede a sua volta la gemma a Hulk, e la sensazione è che abbia già esplorato tutti gli scenari possibili, al contrario di ciò che afferma. Difficile dire quali potrebbero essere le conseguenze…

2013: Asgard senza protezione

Mentre Captain America restituisce il Mjolnir ad Asgard durante l’ultimo viaggio nel tempo, c’è ancora una linea temporale in cui il Dio del Tuono non ha il suo martello per respingere l’attacco di Malekith. In tal senso Thor potrebbe aver incontrato il suo creatore insieme a sua madre, o qualcosa che ha aperto la porta all’Elfo Oscuro che è stato in grado di liberare il potere dell’Etere.

Leggi anche – Avengers: Endgame, le scene che potevano essere nel film

Fonte: CBM

Detective Pikachu: in cantiere un sequel e vari spin-off

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Detective Pikachu: in cantiere un sequel e vari spin-off

Il successo al botteghino di Pokémon Detective Pikachu (nonostante la concorrenza di Avengers: Endgame) ha spinto la Legendary Pictures ad affrettare i lavori sul sequel, già confermato lo scorso gennaio, e sull’espansione dell’universo cinematografico con vari spin-off. Nel frattempo Comicbookmovie riporta che il secondo capitolo delle avventure di Pikachu sarà il primo progetto ufficiale a cui ne seguiranno altri probabilmente dedicati ai personaggi del marchio.

Vi ricordiamo che Detective Pikachu ha messo a segno numeri incredibili nel weekend di apertura, pari a 54 milioni di dollari solo negli Stati Uniti e a 175 milioni in tutto il mondo. La prima avventura Pokémon in live-action vede Ryan Reynolds doppiare il protagonista Pikachu, il volto iconico del fenomeno globale e uno dei brand di intrattenimento multigenerazionale più popolari al mondo ed il franchise multimediale di maggior successo di tutti i tempi.

Pokemon – Detective Pikachu: la recensione

La storia inizia quando il geniale detective privato Harry Goodman scompare misteriosamente, costringendo il figlio di 21 anni Tim a scoprire cosa sia successo. Ad aiutarlo nelle indagini l’ex compagno Pokémon di Harry, il Detective Pikachu: un adorabile, esilarante e saggio super-investigatore che sorprende tutti, persino se stesso. Avendo scoperto che i due sono equipaggiati per comunicare tra loro in modo singolare, dato che Tim è l’unico essere umano in grado di parlare con Pikachu, uniscono le loro forze in un’avventura elettrizzante per svelare l’intricato mistero. Si trovano così ad inseguire gli indizi lungo le strade illuminate al neon di Ryme City, una moderna e disordinata metropoli dove umani e Pokémon vivono fianco a fianco in un iperrealistico mondo live-action. Qui incontreranno una serie di Pokémon, scoprendo una trama sconvolgente che potrebbe distruggere la loro coesistenza pacifica con gli umani e minacciare l’universo stesso dei Pokémon.

Fanno parte del cast di Pokémon Detective Pikachu anche Justice Smith (“Jurassic World: il regno distrutto”) nel ruolo di Tim; Kathryn Newton (“Lady Bird,” “Big Little Lies – piccole grandi bugie” in TV) nei panni di Lucy, una giovane  reporter alle prese con la sua prima storia importante; al fianco di Suki Waterhouse (“Insurgent”), Omar Chaparro (“Overboard”), Chris Geere (“Modern Family” in TV) e Rita Ora, con il candidato all’Oscar Ken Watanabe (“Godzilla”, “L’ultimo Samurai”) e Bill Nighy (“Harry Potter e i Doni della Morte Parte 1”).

Fonte: Comicbook

Vedova Nera: il film sarà ambientato dopo Civil War?

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Vedova Nera: il film sarà ambientato dopo Civil War?

A poche settimane dall’inizio delle riprese di Vedova Nera, i Marvel Studios non hanno ancora reso noti i dettagli sulla trama del film, né sull’ambientazione di questo capitolo solista dedicato alle avventure di Natasha Romanoff. Le ipotesi che possa trattarsi di un prequel sono state confermate da Avengers: Endgame, dove abbiamo visto l’eroina morire prima dell’atto finale, ma secondo quanto riportato da un rumor il film potrebbe svolgersi dopo gli eventi di Captain America: Civil War, e non alla fine degli anni Novanta come teorizzato negli ultimi mesi.

L’indiscrezione è stata diffusa durante la convention italiana a cui ha partecipato Sebastian Stan nei giorni scorsi, tuttavia finché non arriverà la conferma da parte dei Marvel Studios  non può esserci l’ufficialità.

Di certo questo scenario inatteso apre un ventaglio di possibilità per la scoperta di quanto accaduto in seguito agli accordi di Sokovia. Sappiamo che Scott Lang e Clint Barton hanno patteggiato per gli arresti domiciliari, e che Steve Rogers, Sam Wilson e Natasha hanno continuato a combattere il crimine nel mondo sotto copertura; eppure ci sarebbero innumerevoli trame da esplorare in merito ai Secret Avengers che il pubblico non ha visto finora nel MCU e che si adatterebbero bene al tipo di film che Vedova Nera può e deve essere.

Che ne pensate?

Vedova Nera: le teorie dei fan sul film solista

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Deadline ha confermato che O-T Fagbenle (Luke Bankole nella pluripremiata serie The Handmaid’s Tale) è entrato nel cast del film e interpreterà il principale antagonista.

Le riprese inizieranno a Giugno in Inghilterra con la regia di Cate Shortland, con la sceneggiatura riscritta nei mesi scorsi da Ned Benson (The Disappearance of Eleanor Rigby). Insieme alla Johansson ci saranno anche David Harbour, Florence Pugh, e Rachel Weisz, ma i loro ruoli non sono stati ancora rivelati.

Al momento non ci sono ulteriori aggiornamenti sul film, né sui personaggi o le direzioni della trama. Lo studio è invece determinato a mantenere la massima segretezza intorno al progetto che, come saprete, rivedrà la Johansson nei panni della spia sovietica Natasha Romanoff presumibilmente prima degli eventi che l’hanno portata a diventare un membro del team dei Vendicatori.

Leggi anche – Vedova Nera, gli Skrull e la “teoria” dei panini di Nick Fury

Fonte: MCU Exchange

Avengers: Endgame, tutte le scene tagliate dal film

Avengers: Endgame, tutte le scene tagliate dal film
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Photo: Film Frame..©Marvel Studios 2019

Quasi tre ore di montaggio non sono bastate a inserire nella versione finale tutte le scene girate dai fratelli Russo per Avengers: Endgame. A quanto pare i registi si sono visti costretti a sacrificare del materiale che speriamo di ritrovare almeno nell’edizione homevideo del film.

Ma quali sono le sequenze tagliate? Scopriamole insieme qui sotto:

Smart Hulk in laboratorio

Photo: Film Frame..©Marvel Studios 2019

Gli sceneggiatori di Endgame hanno rivelato che originariamente Bruce Banner si sarebbe trasformato in Smart Hulk durante la battaglia finale di Avengers: Infinity War nel Wakanda, soluzione poi posticipata per capire come avrebbero potuto introdurre questa nuova versione del personaggio nel sequel.

Una delle possibilità era mostrarlo nel suo laboratorio, dove Bruce avrebbe studiato una formula per combinare la sua intelligenza e la forza senza che le due parti entrassero in conflitto come nel passato. La scena è stata tagliata e sostituita da quella della tavola calda dove Hulk incontra Steve, Natasha e Scott.

Il sacrificio di Occhio di Falco

La scena ambientata su Vormir è una delle più controverse di Avengers: Endgame, ed è stato proprio McFeely a spiegare che in una bozza iniziale Occhio di Falco si sarebbe sacrificato al posto di Vedova Nera saltando giù dal dirupo.

Jen Underdahl, una delle nostre responsabili degli effetti speciali, ci disse di non portare Clint via dalla vita di Natasha, e trovammo la cosa davvero commovente a tal punto da farci cambiare idea.”

Hank Pym e Janet Van Dyne si uniscono alla battaglia

Ant-Man and the Wasp

Sempre secondo gli sceneggiatori, l’idea di avere Hank Pym e Janet Van Dyne nella battaglia finale di Endgame era stata presa in considerazione ma il dovere di conciliare sullo schermo così tanti personaggi ha spinto la produzione a procedere in un altro modo, lasciandoli al margine della storia. Peccato, perché sarebbe stato fantastico rivedere gli originali Ant-Man and The Wasp in azione.

Tony incontra Morgan adolescente

iron man

Nella chiacchierata con MTV News i registi hanno svelato il motivo dell’assenza di Katherine Langford nel film, dopo che la star della serie 13 Reasons Why era stata confermata ufficialmente nel cast lo scorso ottobre e il cui ruolo non era mai stato specificato.

Avevamo questa idea che vedeva Tony entrare in una sorta di universo metafisico, lo stesso in cui si è trovato Thanos dopo aver schioccato le dita in Infinity War. Lì ci sarebbe stato l’incontro con la versione futura di sua figlia […] Presto ci siamo resi conto che mancava quel legame emotivo con Morgan adulta, e la scena non funzionava né risuonava a livello di emozione, ed è per questa ragione che abbiamo deciso di eliminarla e di allontanarci da quell’idea“.

Nell’intervista viene inoltre spiegato che la versione del film con la sequenza che vedeva protagonista la Langford era stata mostrato al pubblico durante i test-screening, tuttavia la mancanza di reazioni positive e la confusione generale hanno spinto i Marvel Studios a procedere in un’altra direzione.

Iron Man vs Heimdall

Endgame ha rivisitato varie fasi del passato del Marvel Cinematic Universe, eppure una sequenza tagliata dal film sarebbe stata sicuramente entusiasmante, forse più delle altre. Inizialmente la sceneggiatura prevedeva il viaggio di Iron Man e Thor ad Asgard nel 2013 per recuperare sia la gemma del potere che quella dello spazio, e durante quell’avventura, Tony avrebbe indossato una tuta invisibile per scontarsi con Heimdall.

Thor, nel frattempo, avrebbe trascorso più tempo con Jane Foster, ma niente di tutto questo ha superato le prime fasi di produzione…

Il nuovo lavoro di Vedova Vera

vedova nera

In una recente intervista Anthony e Joe Russo hanno svelato l’originale destino di Vedova Nera e l’epilogo alternativo considerato insieme agli sceneggiatori. A quanto pare l’eroina sarebbe stata risparmiata dagli eventi di Endgame e avrebbe speso il suo tempo dirigendo un’attività molto particolare:

Abbiamo discusso a lungo di una cosa che pensavamo fosse davvero profonda, ma anche quasi troppo grande che ci avrebbe fatto litigare…L’idea era di questo mondo post schiocco dove tantissimi bambini restavano senza genitori, e ad un certo punto dello sviluppo della storia di Endgame pensavamo che Vedova Nera avrebbe potuto dirigere un’organizzazione a Washington D.C. per gli orfani. Cinque anni dopo sarebbe stata lei la responsabile“.

Le parole dei Russo ci riportano subito ad Avengers: Age of Ultron, dove abbiamo scoperto che Natasha non poteva avere i suoi figli perché durante il suo addestramento in Russia era stata sterilizzata come parte della sua “iniziazione”. Evidentemente essere alla guida di un istituto per bambini avrebbe in qualche modo colmato quel vuoto e consegnato al personaggio un finale altrettanto degno di quello mostrato nella versione definitiva del film.

Lo strano addio fra Thor e Valchiria

Alla fine di Avengers: Endgame, Thor lascia la nuova Asgard nelle mani di Valchiria e si imbarca con i Guardiani della Galassia verso le prossime avventure. Originariamente però il loro addio sarebbe stato diverso da quello visto al cinema: secondo Anthony Russo, Thor si sarebbe approcciato alla guerriera come per darle un bacio dopo la pacca sulla spalla di lei.

Che cosa stai facendo?“, diceva Valchiria, e Thor “Oh, pensavo che quel gesto…“, e lei “È una pacca sulla spalla di addio“.

La scena è stata effettivamente girata, quindi ci sono buone probabilità che venga inserita negli extra della versione homevideo.

Leggi anche – Captain America: 8 modi in cui potrebbe tornare dopo Endgame

Fonte: CBM

The Batman: ecco i nomi dei primi villain del film

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The Batman: ecco i nomi dei primi villain del film

Dopo aver appreso che Robert Pattinson e Nicholas Hoult si contenderanno il ruolo da protagonista in The Batman, nuovo adattamento delle avventure del crociato di Gotham al cinema, arrivano ulteriori aggiornamenti sui villain che potrebbero essere nel film affidato a Matt Reeves e ora in fase di pre-produzione.

Secondo l’Hollywood Reporter, Pinguino e Catwoman saranno i primi due celebri antagonisti di Bruce Wayne nel cinecomic che riavvierà le sorti del personaggio dopo la versione di Zack Snyder per il DCEU (la cui corsa è terminata due anni fa con Justice League).

Voci su una possibile comparsa dell’alter ego di Oswald Cobblepot erano circolate già la scorsa estate, con diverse fonti che parlavano anche di una sua incursione nel cast di Birds of Prey, lo spin-off con Margot Robbie sulle eroine DC. Ora però sembra che Pinguino affiancherà effettivamente Batman nel film di Reeves insieme ad una figura “purrfect” (scrive l’Hollywood Reporter), gioco di parole che suggerisce senza indugi la presenza di Catwoman.

Vi ricordiamo che gli stessi villain erano stati interpretati rispettivamente da Danny DeVito e Michelle Pfeiffer in Batman Returns del 1992, mentre Anne Hathaway ha vestito i panni di Selina Kyle nel terzo capitolo della trilogia sul cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Sul piccolo schermo i personaggi sono riapparsi nella serie TV Gotham, grazie alle prove di Robin Lord Taylor e Camren Bicondova.

Leggi anche – The Batman: Robert Pattison in trattative per il ruolo di Bruce Wayne

Alcune indiscrezioni su The Batman circolate online hanno ipotizzato un’ambientazione negli anni Novanta, epoca tornata di moda nel corso dell’ultima stagione anche grazie al successo di un altro cinecomic, Captain Marvel dei Marvel Studios, confermando così l’ipotesi del casting di un attore molto più giovane di Affleck che possa calarsi nei panni del supereroe.

Per alcuni 1990 fa rima con gli adattamenti di Batman di Tim Burton che prepararono le basi per i futuri cinefumetti e che sono stati fonte di ispirazione per Zack Snyder per quanto riguarda una scena particolare di Batman V Superman: Dawn of Justice(dove il regista aveva omaggiato lo scontro tra il cavaliere oscuro e Pinguino di Batman Returns del 1992), per non parlare del fatto che alcune delle più importanti trame a fumetti sul personaggio provengono proprio da quel decennio.

Secondo i report, Reeves ha optato per le storie di Batman: Anno Uno come possibile punto di riferimento, proprio per conferire al suo film un tono da genere noir enfatizzando le capacità investigative dell’eroe. Nessuna notizia ufficiale invece sul casting, con la Warner Bros. impegnata a trovare il perfetto sostituto di Affleck e altri interpreti che possano riempire la ricca galleria di villain prevista.

Vi ricordiamo che per The Batman è stata già fissata l’uscita in sala il 25 giugno 2021. Durante la promozione della serie The Passage, di cui è produttore esecutivo, Revees ha confermato che la pre-produzione del suo film sul Cavaliere Oscuro è in atto e che sta lavorando a una nuova riscrittura del copione.

Fonte: THR

Cannes 2019: Penelope Cruz e Antonio Banderas sul tappeto rosso con Pedro Almodovar

Pedro Almodovar torna a dirigere Antonio Banderas e Penelope Cruz nel suo nuovo film, Dolor y Gloria, presentato a Cannes 2019 e già in odore di Palma, soprattutto grazie alla straordinaria interpretazione di Banderas che si cala nei panni di un alter ego del regista stesso, ma anche di lui attore, alle prese con l’età che avanza.

Ecco di seguito le foto dalla montée de marches appena prima della premiere del film:

Dolor y Gloria – guarda il trailer

Dolor y Gloria racconta una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo, un regista cinematografico oramai sul viale del tramonto. Alcuni sono fisici, altri ricordati: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna, un comune situato nella provincia di  Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto, l’incommensurabile vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film. “Dolor y Gloria” parla della creazione artistica, della difficoltà di separarla dalla propria vita e dalle passioni che le danno significato e speranza. Nel recupero del suo passato, Salvador sente l’urgente necessità di narrarlo, e in quel bisogno, trova anche la sua salvezza.

Cannes 2019: Luca Guadagnino presenta The Staggering Girl

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Cannes 2019: Luca Guadagnino presenta The Staggering Girl

The Staggering Girl diretto da Luca Guadagnino sarà presentato alla 72ª edizione del Festival di Cannes nella sezione La Quinzaine des Réalisateurs. Il film nasce dal dialogo artistico tra il regista Luca Guadagnino e il direttore creativo della Maison Valentino, Pierpaolo Piccioli: insieme realizzano un esperimento narrativo che unisce il linguaggio cinematografico e quello della Couture raccontando i capitoli della vita di una donna attraverso il rapporto madre-figlia. Il cast d’eccezione, fortemente voluto da Luca Guadagnino e Pierpaolo Piccioli, dà vita ad un insieme di personaggi complessi interpretati da Julianne Moore, Kyle MacLachlan, Marthe Keller, Kiki Layne, Mia Goth e Alba Rohrwacher.

Muovendosi tra Roma e New York, il film racconta una storia intima, fatta di simboli, gesti, immagini, la forza del legame di sangue e di genere tra due donne giunte alla resa dei conti con loro stesse. Le creazioni Alta Moda Valentino percorrono la pellicola, partecipando alla sua atmosfera onirica e amplificando, con una sofisticata sotto-trama visiva, la brillante sceneggiatura di Michael Mitnick, autore di serie cult come Vinyl e del film The Current War. The Staggering Girl è caratterizzato dalla fotografia di Sayombhu Mudkeeprom e dalle musiche originali composte dal Premio Oscar® Ryuichi Sakamoto. Il film è prodotto da Valentino SpA, Ibla Film, Frenesy Film, Rai Cinema e in collaborazione con Rai Com. Rai Cinema, da sempre attenta ad un cinema che riflette l’identità culturale del nostro Paese, non poteva non essere al fianco di questo progetto.

“Una storia può essere narrata in infiniti modi e questo è stato il nostro – spiega Pierpaolo Piccioli – Ognuno di noi ha lavorato a un’idea osservandola dai rispettivi punti di vista, incoraggiati da un’affinità estetica e di intenti che non è venuta mai meno. Luca è un interprete sottile, che sa adattare alla realtà circostante una sensibilità ironica e gentile al tempo stesso. Abbiamo condiviso la nostra quotidianità lavorativa, io mostrandogli la collezione di Alta Moda che stavo disegnando, lui offrendomi la lente della sua cinepresa per osservare la scena da un’altra prospettiva. Proprio come la collezione, il film è sospeso nel Kairos, il momento opportuno che la persona ha per riflettere, andando avanti e indietro nel suo tempo interiore. Questo film è un racconto apparentemente slegato dallo scorrere del tempo cronologico, un flusso di coscienza attraverso immagini ed emozioni. Il Cinema, come l’Alta Moda, consente una dilatazione del tempo nell’eterno, è pura magia”.

“L’estate scorsa ho avuto il privilegio di incontrare Pierpaolo Piccioli a Roma nel quartier generale di Valentino a Palazzo Mignanelli – spiega Luca Guadagnino – Pierpaolo, di cui ammiro da lungo tempo la strepitosa arte di couturier, mi ha portato attraverso l’atelier dell’Alta Moda. La collezione Autunno/Inverno 2018-19 stava nascendo attraverso il lavoro instancabile e sublime delle Premiere, delle sarte e dei sarti. In quell’incontro con Pierpaolo decidemmo che avremmo tentato qualcosa di mai provato, fare un film basato su una collezione di Alta Moda. La profondità artistica ed emotiva, la capacità trasfigurante del lavoro di Pierpaolo Piccioli sono stati il ‘testo’, come un grande romanzo, sul quale basare il copione di questo film sognato. Da questo incontro e dalla triangolazione tra Pierpaolo Piccioli, il brillante sceneggiatore Michael Mitnick e me nasce questo short film”.

ARF! 5: il programma completo del Festival del fumetto a Roma

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ARF! 5: il programma completo del Festival del fumetto a Roma

È stata annunciato il programma completo della quinta edizione dell’ARF! Festival, il festival del fumetto a Roma che si svolgerà dal 24 al 26 maggio prossimo al Mattatoio di Roma, ex Macro Testaccio.

Si comincia con l’ARF! Kids, il luogo dedicato all’immaginario dei bambini (a ingresso gratuito fino ai 12 anni) con un ricco programma di laboratori creativi curati da alcuni dei più rinomati illustratori italiani, letture ad alta voce, disegni, giochi e tanti libri a disposizione di tutti.

Spazio Baby 0-3: La novità di ARF!5 è un intero angolo allestito in maniera stabile con uno spazio allattamento e gioco per i più piccolini (0-12 mesi); per i più grandicelli 2-3 anni sono a disposizione giochi di logica e incastri durante le giornate di sabato 25 e domenica 26 dalle 10 alle 20. Gestito da Il Giardino della Talpa negozio dedicato ai bambini e alle famiglie nei pressi della storica Piazza Testaccio.

Tavoli Gioco: Tavoli gioco per tutti senza l’obbligo di prenotazione, nelle giornate di sabato 25 e domenica 26, dalle 10 alle 20, grazie alla collaborazione con Djeco, azienda europea specializzata in giochi e giocattoli per l’infanzia e con Fatatrac, casa editrice tra l’altro, di Activity book e libri gioco.

KIKI Face Painter: A colorare l’atmosfera durante i tre giorni del Festival ci sarà come sempre KIKI Face Painter professionista del trucco per bambini.

La libreria: Anche quest’anno sarà presente un ampio spazio dedicato alle Libreria dei bambini gestita da Giufà che offre una selezione dei titoli a fumetti e illustrati destinati alle lettrici e ai lettori dei 3 ai 12 anni.

Per la prima volta il «Festival di storie, segni e disegni» ospita la MangARF!, uno spazio interamente dedicato al fumetto giapponese con la presenza di editoriaccademie e un bookshop specializzato, un mare di libri e volumetti che aspettano solo di essere sfogliati, due workshop gratuiti al giorno, «Colorare con Copic», insieme alla Lucca Manga School (età minima: 14 anni) e una bellissima mostra per ripercorrere insieme un viaggio lungo trent’anni: la storia editoriale del manga in Italia!

Tra gli ospiti troveremo, tra gli altri, J-Pop con tutte le sue novità, l’Associazione Culturale Leiji Matsumoto (con il nuovissimo libro dedicato all’acclamato Maestro giapponese celebre per il suo Capitan Harlock), il corner di Mangasenpai con le sue autrici in dedica e firmacopie e un bookshop con tutti i titoli di Planet Manga!

E ancora, la mostra“つづく – Trent’anni di manga in Italia”. Dai cartoni animati alle edicole, dalla Goldrake Generation alla Golden Age degli anni ’90, dal manga d’autore alle prospettive future: sono gli argomenti trattati dall’esposizione a cura di Susanna Scrivo. Un viaggio iniziato nel 1989 che ha cambiato radicalmente la percezione del termine Fumetto nel nostro Paese.

Sempre in collaborazione con Lucca Manga School, ARF! organizza inoltre una super Masterclass con Yoshiyasu Tamura venerdì 24 dalle ore 10 alle 13 dal titolo “KOMAWARI. L’uso della vignetta nella narrazione del manga”.
Una parte del successo del manga nel mondo è anche dovuto alla facilità di lettura.

La Masterclass spiegherà come usare i diversi elementi per guidare l’occhio del lettore all’interno della pagina. Inoltre verrà spiegato come rendere scorrevole la lettura di un fumetto, approfondito l’uso delle vignette, dei balloon oltre alla direzione dell’azione del personaggio per far sì che il lettore si immerga appieno nella storia.

Tre Lectio Magistralis, tre appuntamenti in tre giorni, tre imperdibili performance di disegno dal vivo, tre pietre miliari della storia del fumetto.

I grandi protagonisti del fumetto d’autore si racconteranno mentre disegneranno dal vivo nella Sala Talk, rispettivamente nelle giornate di venerdì 24, sabato 25 e domenica 26 maggio dalle 14.30 alle 16.00.

Ogni lectio presenterà le medesime condizioni: un maestro, un foglio bianco ed un interlocutore. L’ospite sarà messo a suo agio, con gli strumenti del mestiere a sua disposizione e in un clima colloquiale instaurerà una conversazione con un moderatore d’eccezione, come se discutessero senza altri attorno, realizzando nel frattempo un’opera in tempo reale.

José Muñoz (la leggenda del fumetto argentino, il creatore di Alack Sinner e altri indimenticabili personaggi), Angelo Stano (Il disegnatore di Dylan Dog, l’autore dell’indimenticabile numero 1 ma anche degli albi più amati della serie dell’indagatore dell’Incubo), Riccardo Mannelli (fumettista, illustratore, pittore, disegnatore satirico, insegnante, un Maestro dell’arte visiva al servizio di un talento che ha pochi eguali nel mondo della nona arte), accompagnati rispettivamente da Laura Scarpa, Paulonia Zumo e Adriano Ercolani.

Nessuno sa di cosa parleranno o cosa disegneranno, non c’è nessun canovaccio o domanda concordata. Un flusso di coscienza improvviso che solo un grande maestro può concepire, come accadeva un tempo (basti pensare alle esperienze di Hugo Pratt ed Andrea Pazienza che hanno raccontato loro stessi davanti al foglio da disegno), un dono unico e irripetibile per gli spettatori della Sala Talk dell’ARF! Festival.

Per quanto riguarda invece le mostre di ARF! 5, il festival ospiterà quest’anno TEX. 70 ANNI DI UN MITO, aperta dal 24 maggio 2019 al 14 luglio 2019 al MATTATOIO – TESTACCIO. Curata da Gianni Bono, storico e studioso del fumetto italiano, in collaborazione con la redazione di Sergio Bonelli Editore, COMICON e ARF! Festival, la mostra racconterà come Tex sia riuscito ad entrare a far parte delle abitudini di lettura degli italiani trasformandosi negli anni in un vero e proprio fenomeno di costume.

Un viaggio per ripercorrere l’epopea di Tex Willer, che è anche quella della Frontiera americana, dalla sua creazione ai giorni nostri, attraversando gli eventi e i personaggi della serie e gli straordinari artisti della matita e del pennello che hanno reso Tex il mito che noi tutti conosciamo.

Oltre ai 70 anni di Tex, le Mostre del festival per l’edizione 2019 sono:

ALL STAR QUITELY – Per la prima volta assoluta in Italia, Frank Quitely presenta all’ARF! la sua mostra in esclusiva nazionale. Dal 24 al 26 maggio 2019 al Mattatoio di Roma.

PALUMB-O-RAMA – L’autore del manifesto della quinta edizione di ARF!, capace di lasciare il suo personalissimo segno ovunque, sarà in mostra dal 24 al 26 maggio al Mattatoio di Testaccio per la quinta edizione del Festival. L’autore inconterà il pubblico del festival e sarà presente in ARFist Alley.

LA NOSTALGIA DEI LUOGHI MAI VISTI – Da Petra Chérie a Titanic, da L’uomo del Tanganyka a Roy Mann passando per Bab-el-MandebMermozMarcel Labrume, gli Air Mail e Rosso Stenton, fino ad arrivare a svelare l’incredibile serie di tavole inedite, mai viste prima, della sua meravigliosa, ultima storia. Tutto il genio, l’estro, il talento di Attilio Micheluzzi, in mostra all’ARF! La mostra è realizzata in collaborazione con Fox Gallery.

ARF! & Instituto Cervantes Roma presentano BEYOND BLACKSAD” L’arte di Juanjo Guarnido in mostra a Roma! 16 maggio/29 giugno 2019. Animatore, illustratore e fumettista, da Granada agli USA – dove oltre alla collaborazione con la Marvel è stato tra gli animatori di punta del Tarzan della Disney – fino alla vera e propria consacrazione in Francia, Juanjo Guarnido torna in Italia con una mostra su BlackSad, suo personaggio più celebre, e una straordinaria anteprima: le tavole originali del suo nuovo lavoro ancora inedito in Europa! Le tavole di Guarnido saranno in mostra nella Sala Dalì dell’Instituto Cervantes di Roma (Piazza Navona), dal 16 maggio, dal mercoledì al sabato, dalle 16.00 alle 20.00 con ingresso gratuito.

CORPI PERICOLOSI  Maneggiare con cautela – L’autoproduzione torna in prima linea all’ARF! Festival, e presenta quest’anno diverse novità tra cui una mostra molto speciale: una doppia personale che introduce al grande pubblico due artisti che operano nel mondo delle produzioni indipendenti e che, al primo impatto, possono apparire molto diversi.
Uno sguardo più approfondito alle opere di Gloria Pizzilli e Tommy Gun rivela tuttavia che, al di sotto delle innegabili differenze, i due autori dialogano tanto sul piano visionario quanto nello studio del corpo e delle anatomie dei loro personaggi.
L’attenzione che entrambi dedicano al disegno del corpo non è volta alla ricerca di un’armonia delle forme né esclusivamente a una rappresentazione realistica dell’anatomia umana; piuttosto, è orientata a esplorare le infinite possibilità che il movimento e l’immaginazione imprimono nella “materia corporea”. Nei disegni di Gloria e Tommy i personaggi ruotano le anche, contorcono gli arti, svuotano il viso spingendosi fino a oltrepassare i limiti imposti dalla natura per esplodere, fluttuare nel vuoto, trasformarsi in qualcosa di diverso dall’originario. Assenza di gravità, deflagrazione, entropia, caos sono temi che, seppure con risultati nettamente diversi, soggiacciono al segno dei due artisti accomunati anche da un virtuosismo stilistico a tratti ineccepibile. Ulteriore punto di raccordo delle opere di Gloria Pizzilli e Tommy Gun è la sensazione di perdizione, a tratti quasi di violenza, che lo spettatore ne ricava. Non siamo di fronte a storie e disegni che vogliono rassicurare chi le guarda; al contrario, la scompostezza delle forme proposte è studiata per far accendere un campanello di allarme e dare un segnale di pericolo. Le donne di Gloria sono bellissime e fatali: indossano abiti fatti di teschi e lame, si trasformano in tentacoli, giocano ad avvinghiare gli amanti con capelli simili a liane. Altrettanto pericolose sono le composizioni di Tommy che ricreano un universo di ispirazione marcatamente underground fatto di occhi vuoti, arti monchi e volti prosciugati come il guscio di un’arachide.

La mostra CORPI PERICOLOSI – Maneggiare con cautela è realizzata in collaborazione con Fox Gallery & Press Up.

I VINCITORI DEL PREMIO BARTOLI 2018

Dal quel triste 5 ottobre del 2014 in cui ci ha lasciati, molti hanno ricordato e omaggiato le grandi doti di Lorenzo Bartoli come sceneggiatore di fumetti.

Sarebbe d’altronde impossibile dimenticare la penna felice che ha dato vita a tanti memorabili personaggi del fumetto italiano, da quell’Arthur King, filibustiere romantico e sognante come il suo sceneggiatore, fino a John Doe, O’ MalamenteIl dono di EricDetective Dante e tutti quei Cuori da Bar di cui ha narrato, come diceva lui: “le piccole storie, l’epica delle briciole”.

Un’epica che si è riverberata anche nelle opere di Akira Mishima e Franklin Douglas Erwin, il primo suo pseudonimo nei romanzi Bambole e Overminder, il secondo nel poetico pamphlet “Lontre in amore”.

Ma Lorenzo non era solo un grande raccontatore di storie, era soprattutto un eccellente scopritore di talenti e la lista dei giovani autori che ha lanciato è sterminata. Buona parte di loro, oggi, lavora ai massimi livelli del fumetto italiano e tutti concordano nel riconoscere in Lorenzo il mentore che li ha scoperti e messi sotto i riflettori.

Per questo motivo è nato il PREMIO LORENZO BARTOLI ALLA MIGLIOR PROMESSA DEL FUMETTO ITALIANO che ARF! si onora di assegnare in suo nome e che punta, di anno in anno, a riconoscere il talento di una giovane promessa del fumetto italiano.

Per gli orari e il programma completo di ARF! 5 consulta il sito ufficiale.

A Rainy Day in New York: il trailer del nuovo film di Woody Allen

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È finalmente online il primo trailer ufficiale di Un Giorno di Pioggia a New York (A Rainy Day in New York), il nuovo film scritto e diretto da Woody Allen che arriverà nelle nostre sale il prossimo 3 ottobre grazie a Lucky Red.

Nel cast figurano Jude Law, Elle Fanning, Timothée Chalamet, Selena Gomez, Liev Schreiber, Suki Waterhouse e Kelly Rohrbach.

Vi ricordiamo che il regista ha da poco presentato una causa contro Amazon Studios (che ha scelto di non distribuire la pellicola tradendo così gli accordi iniziali). Nel frattempo Allen tornerà ufficialmente sul set per girare il suo prossimo lavoro in Spagna, finanziato dalla compagnia di produzione Mediapro che aveva già collaborato sui progetti di Vicky Cristina Barcelona e Midnight In Paris.

a rainy day in new york

Cannes 2019: Taron Egerton racconta il suo Elton John di Rocketman

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È l’evento glamour di quest’anno, sul tappeto rosso del Festival di Cannes, e a presentarlo al mondo, nella serata del 16 maggio, è intervenuto proprio il protagonista del film, Elton John.

Parliamo di Rocketman, il biopic musical dedicato alla vita della rockstar inglese, interpretato da Taron Egerton e diretto da Dexter Fletcher, che lo scorso anno è stato partecipe del travolgente successo di Bohemian Rhapsody, altro film musicale silla vita di Freddie Mercury. E sembra proprio inevitabile quindi partire da qui e dal paragone con il film che ha visto Rami Malek conquistare un premio Oscar per la migliore interpretazione.

Ma Taron Egerton non sembra troppo felice di parlarne, e si libera rapidamente della curiosità altrui: “Sono orgoglioso di essere citato anche solo nella stessa frase con Rami Malek. Lo conosco un po’, so quanto sia talentuoso e preparato. Il nostro film però è molto diverso, è un musical vero e proprio e c’era bisogno di qualcuno che cantasse in prima persona le canzoni.”

Allo stesso modo è stato inevitabile parlare della calorosa accoglienza che il pubblico della Salle Lumière ha riservato al film, alla fine della prima proiezione mondiale: “È stato uno dei giorni migliori della mia vita. Sono orgoglioso di aver partecipato a questo film. Ci siamo presi delle libertà rispetto alla verità, per esempio le canzoni non sono in ordine cronologico, ma non non abbiamo tradito la verità emotiva della vita e dei personaggi centrali per Elton John. È un fenomeno globale e la sua musica significa molto per tante persone, ha accompagnato momenti cruciali nella vita di ognuno di noi. È stata una grande responsabilità, ne sentivo il peso, poi l’ho conosciuto, ho avuto occasione di trascorrere alcuni giorni con un uomo gentile e generoso, parlando di tutto con lui, perché risponde a tutto, ve lo posso assicurare.”

Cannes 2019: Rocketman, recensione del film con Taron Egerton

Fletcher ha invece spiegato che la forza del film è senz’altro l’onesta con cui Elton ha accompagnato il progetto: “Una delle sue forze è il non aver mai nascosto il suo appetito smodato per la vita. Non ci ha vietato di sondare luoghi specifici della sua vita o del suo carattere, ci ha permesso di giocare e raccontare la nostra versione della sua storia. In questo, tutti i personaggi sono stati importanti, dalla madre interpretata da Bryce Dallas Howard, al grande amore e manager John Reid (Richard Madden).”

Taron Egerton ha cantato dal vivo ogni brano che ascoltiamo nel film, una scelta che, a suo dire, gli ha permesso una immedesimazione completa e autentica con il personaggio: “È stato un privilegio fantastico, la musica così cantata, a cuore aperto, permette una particolare immedesimazione. Elton è stato generoso, ma senza mai entrare nei dettagli della sceneggiatura, che è stata comunque scritta a partire da lunghe conversazioni con lui, sempre disponibile e comprensivo.”

Rocketman arriverà il 29 maggio nelle sale italiane e, forte del successo che sta riscuotendo sulla croisette, potrebbe essere un buon successo di pubblico.

Rocketman: recensione del film con Taron Egerton #Cannes72

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Rocketman: recensione del film con Taron Egerton #Cannes72

Atteso e temuto, Rocketman ha fatto bella mostra di sé al 72° Festival di Cannes. Il film, accompagnato dal regista Dexter Fletcher e da entrambi i suoi protagonisti, Taron Egerton interprete e Elton John personaggio, hanno ricevuto i caldi applausi di una platea commossa, alla fine della proiezione di gala, applausi guadagnati grazie a un musical che si trasforma in dramma e biopic, con passaggi fluidi da un momento all’altro, seguendo soltanto il filo delle emozioni.

Il racconto è infatti quello del giovane Reginald Kenneth Dwight e del suo cammino che lo ha portato a diventare Elton Hercules John, la rockstar amata in tutto il mondo, con una vita travolgente, immersa negli eccessi e nei vizi. La parabola narrativa è abbastanza lineare: la scoperta del talento, lo studio, i primi successi, i primi eccessi, la grandezza e la caduta, poi la riabilitazione. Tutta questo però raccontato attraverso le canzoni di Elton John (cantate davvero da Egerton), che non sono utilizzate secondo un ordine cronologico, legate quindi al successo che hanno rappresentato nella vita dell’artista, ma accompagnano i momenti biografici in base al contenuto e al racconto che ogni volta propongono.

Il film si apre su una seduta di terapia di gruppo, a cui partecipa un Elton provato, già all’apice del successo, ma perso in se stesso e nei suoi stessi vizi. Il cantate gioca a carte scoparte: “Sono un alcolista, un drogato, un sesso dipendente”, e da questa confessione e ammissione scendiamo tutti insieme lungo il viale dei ricordi dove, un piccolo Reggie già vuole fuggire dalla normalità, essere strano, essere altro, trovare una sua voce e quell’affetto che non ha mai trovato nelle mura domestiche.

Il ritratto, dunque, è quello di una figura isolata, che continua a cercare appigli, figure di riferimento che possano attenuare la sua solitudine e tenerlo in qualche modo ancorato al suolo, dal quale i suoi vizi e le sue scelte di vita tendono vertiginosamente ad allontanarlo. Su tutti, sembra siano state fondamentali le figure di John Reid, manager e per un breve periodo amante di John, e ovviamente Bernie Taupin, l’autore di tutti i testi più belli delle sue canzoni.

Dal canto suo, Dexter Fletcher riesce a proporre diverse intuizioni di regia, sfruttando anche le coreografie dei numeri musicali, momenti che impreziosiscono il film e ne fanno un musical perfettamente riuscito. Bellissima, ad esempio, è la sequenza accompagnata proprio dal brano che dà il titolo al film, Rocketman, che riesce a trasmettere con potenza l’altalena tra la vita e la morte, tra l’altezza artistica e la bassezza umana, che Elton John ha dovuto attraversare all’apice del successo.

E come Elton John è sempre stato il one man show della sua vita, tra alti e bassi, luci e ombre, così Taron Egerton è il cuore del film, il centro di ogni emozione e il veicolo attraverso cui la storia arriva al pubblico. Non era facile, ma il giovane interprete di Kingsman ha consegnato alla storia una performance incredibile, sia nelle interpretazioni delle canzoni, che nei momenti più drammatici e delicati, che in quelli esuberanti ed eccentrici, tipici della vita e della carriera della rockstar inglese.

Rocketman è un’ode all’artista, una preghiera all’uomo, un musical autentico che non ha paura di mostrare le ombre buie del passato del protagonista, un racconto che si esaurisce nella redenzione e nelle seconde possibilità che decidiamo di regalarci, che siamo persone normali, o, come Elton, eccezionali.

Guarda il trailer di Rocketman

Sorry We Missed You: recensione del film di Ken Loach

Sorry We Missed You: recensione del film di Ken Loach

“Sorry we missed you” è una tipica frase riportata sui bigliettini che i fattori rilasciano nel momento in cui, alla consegna del pacco, non trovano il destinatario in casa. All’interno del nuovo film di Ken Loach, intitolato appunto Sorry We Missed You, e in Concorso al Festival di Cannes 2019, questa formula assume significati ben più profondi, primo tra tutti quello di una mancanza, in questo caso genitoriale, che può portare a gravi conseguenze. Dopo aver vinto la Palma d’Oro tre anni fa con I, Daniel Blake Loach torna a parlare della classe lavoratrice con un film sincero e di forte impatto, approfondendo stavolta la dura realtà che investe chi svolge il lavoro di fattorino. Difficoltà che si riversano, di conseguenza, anche sui relativi famigliari.

Il film segue la storia di Ricky (Kris Hitchen) Abby (Debbie Honeywood) e i loro due figli Seb e Liza. Una famiglia particolarmente unita, messa in crisi solamente dalle difficili condizioni economiche. Dopo aver provato ogni tipo di lavoro, Ricky decide di puntare tutto sull’acquisto di un van, intraprendendo la carriera di fattorino freelance. Benché questa possa rivelarsi una buona soluzione ai loro problemi, il nuovo lavoro sembra tuttavia sottoporre la famiglia a nuove e inaspettate crisi.

Si sente spesso parlare delle difficoltà lavorative dei fattorini, ma a volte non si immagina quanto profondamente le loro vite siano influenzate dal sistema capitalista che li governa. Ken Loach cerca con questo film di scavare oltre le polemiche e i dibattiti, andando alla scoperta di ciò che realmente significa lavorare per più di dodici ore al giorno, con la preoccupazione della puntualità e della responsabilità che si ha sulle proprie consegne.

Il regista e lo sceneggiatore Paul Laverty arrivano a dare una risposta a queste e altre domande partendo da un’immagine semplice ma significativa: una famiglia che, pur vivendo sotto lo stesso piccolo tetto, si ritrova insieme con difficoltà, i cui membri sono costantemente divisi durante il giorno da impegni che li portano a stare lontani gli uni dagli altri. È dunque chiaro il messaggio che Loach vuole trasmettere, e per farlo usa il suo consolidato stile fatto di grande imparzialità e controllo.

Non occorre sottolineare con particolari scelte di regia la difficoltà di queste situazioni, esse stesse raccontano già abbastanza a riguardo. Senza calcare la mano, Loach riesce a dare la giusta importanza alla storia, trasmettendo con genuinità  le emozioni che desidera far provare allo spettatore. Un ritratto lucido di una realtà a noi vicinissima, dove non manca una certa comicità, la quale con l’avanzare del film sembra però cedere sempre più il passo ad un pessimismo che non concede grandi speranze.

Loach sembra raccontare sempre la stessa storia, e il confronto con I, Daniel Blake arriva inevitabile, eppure arricchisce questo racconto di nuove sfumature, stavolta concentrandosi non tanto sul rapporto tra l’uomo e il lavoro quanto appunto sui membri di una famiglia. I quattro protagonisti si affermano ognuno come un mondo a sé stante da poter esplorare, tutti legati dalle medesime radici e posti dinanzi allo stesso conflitto. Sopra le loro teste grava una realtà che sembra schiacciarli ogni volta di più, costringendo i genitori a divenire assenti, a poter adempiere ai loro doveri famigliari prevalentemente tramite l’utilizzo del cellulare, e i figli di conseguenza sembrano smarrire la strada, acquisendo non meno nevrosi dei loro padri.

Spider-Man: Far From Home, le teorie più intriganti sul Multiverso

Il nuovo trailer di Spider-Man: Far From Home ha rivelato che lo schiocco avvenuto in Endgame ha “squarciato” la dimensione spazio tempo creando una realtà alternativa, la stessa da cui proviene Quentin Beck aka Mysterio. A quanto pare quindi esiste un altro pianeta speculare al nostro che conferma l’esistenza di un Multiverso, concetto fin troppo familiare ai fan dei fumetti.

A tal proposito stanno circolando diverse teorie, e queste sono sicuramente le più intriganti:

Mysterio mente e non c’è nessun Multiverso

Spider-Man: Far From Home

Chi ha letto i fumetti e conosce le azioni di Mysterio saprà che Quentin Beck è un bugiardo cronico, un illusionista e un prestigiatore molto esperto che non ha mai raccontato la verità. Dunque accettare che la sua “versione” dei fatti in Far From Home sia sincera è un errore…

L’intera struttura del gioco porta la bugia ad un livello superiore, come quando ha convinto Spider-Man che fosse il responsabile di crimini gravissimi, o quando ha finto la morte di alcune persone. Insomma, Mysterio ama far impazzire la gente. Per riuscirci utilizza vari mezzi, tra cui effetti speciali, ed è probabile che anche nel MCU si serva di questi strumenti per far credere alle persone che viene da un altro mondo mentre è in realtà fa parte della stessa.

Forse Mysterio non è l’eroe che appare, ma il villain di Spider-Man: Far From Home. Gli Elementali sono sue creazioni che sta usando in modo da sconfiggerle e apparire come il salvatore dell’umanità. Ma qual è lo scopo di tutto ciò? Questa domande ci spinge a considerare l’idea che dietro un comportamento del genere ci siano delle motivazioni forti, e che il film esplorerà il passato dell’uomo (prima che del super criminale con poteri magici).

Nick Fury è in realtà il Camaleonte

samuel l. jackson

La trama di Spider-Man: Far From Home non è stata chiarita dai due trailer diffusi finora, e il fatto che Mysterio, uno dei più celebri nemici di Spidey dei fumetti, sia stato presentato come suo alleato di certo non aiuta. Lo stesso vale per Nick Fury, che ha introdotto il concetto di multiverso a Spider-Man, quando avrebbe potuto farlo con un altro Avenger (vedi Doctor Strange, ad esempio).

Per questo motivo i fan ipotizzano che il Fury dei trailer sia in realtà il Camaleonte in incognito, e che il personaggio sta lavorando con Mysterio (e forse con i Sinistri Sei) per ingannare Peter trascinandolo una specie di trappola elaborata.

Gli X-Men e i Fantastici 4 fanno parte di un altro universo

X-men - conflitto finale

Avendo ottenuto i diritti sugli X-Men e i Fantastici Quattro grazie al recente accordo con la Fox permetterà ai Marvel Studios di introdurre, in futuro, questi personaggi nel MCU. Ma come? L’operazione potrebbe risultare più difficile del previsto…

È qui che entrerebbe in gioco il Multiverso: se consideriamo l’esistenza di un universo alternativo, sarebbe questo il modo perfetto per spiegare l’assenza dei Mutanti nell’universo condiviso per come lo conosciamo, e la stessa teoria vale per i Fantastici Quattro.

Le nuove succursali dello S.H.I.E.L.D.

avengers infinity war

Il ruolo dello S.H.I.E.L.D. nel MCU ha preso una strana piega da quando Captain America: The Winter Soldier ha rivelato che l’organizzazione era stata infiltrata dall’Hydra fin dalla seconda guerra mondiale, e che tutti tranne Steve Rogers, Natasha Romanoff, Nick Fury, Phil Coulson, e Maria Hill sapevano.

Nei fumetti, nel momento in cui viene introdotto il multiverso, lo S.H.I.E.L.D. si è poi ramificato in due nuove organizzazioni denominate S.W.O.R.D. e A.R.M.O.R. La prima ha costruito la sua base in una stazione spaziale per difendere la Terra dagli alieni, mentre la seconda protegge il nostro pianeta dalle minacce interdimensionali.

Forse questo raccordo narrativo sarà utilizzato in Far From Home spiegando il ruolo misterioso di Nick Fury?

Far From Home è ambientato in due diverse timeline

spider-man far from home

Come spiegato dal regista Jon Watts, rispondere alle domande lasciate in sospeso dopo il caos di Avengers: Endgame è la priorità assoluta di Spider-Man: Far From Home, tuttavia il film vedrà anche Peter Parker occuparsi di timeline alternative:

Abbiamo dovuto esaminare questo sequel in base alla portata di quello che è successo alla fine di Endgame, vedendo tutte le cose folli e le domande che pone. Quindi stiamo cercando di rispondere a una delle più importanti: la timeline alternativa. Alla fine di Endgame si sono aperte così tante possibilità e Peter Parker è una delle poche persone sul campo a occuparsi di questo argomento…

Alla fine del film Peter Parker scomparirà in una dimensione alternativa

spider-man far from home

Il multiverso offrirebbe al MCU innumerevoli occasioni per esplorare la narrazione condivisa, e il fatto che dall’altra parte ci sia la Sony con Venom e Morbius non esclude che un giorno i due universo possano intrecciarsi e far incontrare il simbionte di Tom Hardy con lo Spider-Man di Tom Holland.

L’accordo tra gli studios  ha permesso di realizzare cinque film con il personaggio, e Far From Home sarebbe il quinto. Sul futuro la questione è incerta, ma cosa succederebbe se alla fine del sequel Peter sparisse in un universo alternativo che contiene Venom e Morbius?

Il costume nero fa parte di un’altra realtà

Nei trailer di Spider-Man: Far From Home abbiamo visto Spidey in azione con un nuovo costume nero che ricorda quello di Spider-Man Noir dei fumetti. Non abbiamo molti indizi sulla ragione per cui lo indosserà, tuttavia c’è chi ipotizza che questo abito provenga proprio da un’altra realtà del multiverso…

Mysterio è lo “Spider-Man” del suo universo

spider-man: far from home

Sempre nel secondo trailer di Spider-Man: Far From Home, Quentin Beck sostiene di provenire da un’altra Terra in cui non esiste Spider-Man e che sicuramente avrebbe avuto bisogno di un eroe come lui. Da qui i fan hanno teorizzato che Mysterio sia in realtà l’Uomo Ragno della sua linea temporale.

Saprete sicuramente che, durante le riprese di Spider-Man 2 Tobey Maguire subì un infortunio abbastanza grave tale da spingere la produzione a considerare un altro attore per sostituirlo. All’epoca il nome individuato fu quello di Jake Gyllenhaal…insomma, se questa teoria fosse fondata, sarebbe un modo divertente per l’attore di interpretare Spidey!

Fonte: ScreenRant

Kevin Feige conferma il legame tra L’incredibile Hulk e Spider-Man: Homecoming

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Quando Martin Starr è comparso in Spider-Man: Homecoming nei panni dell’insegnante di scienze a capo del Decathlon accademico in molti si sono chiesti se potesse trattarsi dello stesso personaggio visto in L’incredibile Hulk del 2009, all’epoca accreditato semplicemente con “Nerd del computer” e al quale Bruce Banner (Edward Norton) consegnava una pizza a domicilio. Ebbene questa teoria è stata appena confermata da Kevin Feige in persona durante il recente Q&A con i fan lanciato dal forum Reddit.

E a chi chiedeva se l’attore avesse interpretato lo stesso ruolo sia nello standalone su Hulk, sia nelle prime avventure in solitario di Peter Parker nel MCU, il presidente dei Marvel Studios ha risposto con un diretto “Si“.

Dunque è vero, ed è possibile che nel momento in cui ha incontrato Banner, Roger Harrington era ancora uno studente liceale che finirà col diventare un professore della Midtown School of Science and Technology, proprio l’istituto dove si sta formando Spider-Man.

Nei fumetti dell’Incredibile Hulk il personaggio di Martin Starr è in realtà Amadeus Cho, giovane americano di origini asiatiche tra gli individui più intelligenti del pianeta. Ovviamente, come avrete notato, nel MCU questa parte del racconto è stata evitata e ripresa tramite il cameo della madre di Amadeus, Helen, in Avengers: Age of Ultron.

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Starr tornerà presto sul grande schermo in Spider-Man: Far From Home, il sequel diretto ancora una volta da Jon Watts e in arrivo nelle sale il2 Luglio (invece che il 5). Confermati nel cast del film il protagonista Tom Holland nei panni di Peter Parker, Marisa Tomei in quelli di zia May e Zendaya in quelli di Michelle, Samuel L. Jackson in quelli di Nick Fury e Cobie Smulders in quelli di Maria Hill.

Le riprese del film sono durate circa tre mesi, e nella maggior parte delle foto circolate in rete abbiamo visto Peter Parker alle prese con Michelle. Naturalmente il film vedrà tornare anche Flash Thompson (Tony Revolori) e Ned Leeds (Jacob Batalon), gli altri compagni di scuola di Peter. Ma cosa conosciamo realmente della trama e quali teorie circolano intorno al nuovo titolo dei Marvel Studios?

Per quanto riguarda le novità del sequel, la tuta di metallo di Peter dovrebbe essere una versione rimodellata di quella di Iron Spider. vista in Avengers: Infinity War. Questa nuova tuta, prevede anche una nuova maschera, con degli occhiali al posto delle orbite bianche, come da tradizione, questo perché è ovvio che il personaggio abbia bisogno di una nuova maschera dopo che la sua precedente è andata distrutta su Titano, durante il confronto con Thanos e prima della sua disintegrazione.

Fonte: Reddit

Fast and Furious 9: Michelle Rodriguez tornerà, ma ad una condizione

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Michelle Rodriguez sale in cattedra e conferma, durante il suo intervento al Bloomberg Future of Equality Summit di Londra, la sua presenza in Fast and Furious 9 spiegando che la scelta è dipesa da un fattore specifico: ottenere finalmente una voce femminile nel team di sceneggiatori e cambiare il corso di un franchise che finora aveva offerto al pubblico una prospettiva sugli eventi e sul racconto prettamente maschile.

L’attrice, che interpreta Letty Ortiz dal 2001, anno di uscita del primo film della saga automobilistica con Vin Diesel, si era già espressa a favore dei diritti e sulla questione delle disparità lavorative a Hollywood, pubblicando nel 2017 un post su Instagram in cui scrisse che avrebbe lasciato Fast and Furious nel caso in cui i produttori non avessero mostrato “un certo amore verso le donne nel nuovo capitolo”.

Questa la dichiarazione della Rodriguez sul palco dell’evento tenutosi ieri:

Non posso non pensare all’incredibile esposizione che questo franchise ha nel mondo. O al modo in cui questo franchise riesce a raggiungere le persone sparse in tutto il mondo. Credo che questo sia un privilegio e che per questo motivo abbiamo l’obbligo di evolverci insieme ai cambiamenti del nostro tempo […] Sono troppo vecchia per accettare lavori solo per soldi, e ora che sono in una situazione economicamente vantaggiosa non posso più giustificare le ineguaglianze in questo settore. Come il fatto che in Fast and Furious non ci fossero voci femminili abbastanza forti…sono nel franchise da sedici anni e non mi ricordo una singola scena di dialogo con una mia collega donna. È patetico. Quindi si, sarei tornata nel prossimo film soltanto se la produzione avesse aggiunto una voce femminile, e così è stato.”

John Cena si unisce al cast di Fast and Furious 9

Vi ricordiamo che la release di Fast and Furious 9 è stata spostata al 22 maggio 2020, con le riprese che dovrebbero iniziare a breve con il cast originale e il ritorno dietro la macchina da presa di Justin Lin.

Non sono state fornite spiegazioni ufficiali che hanno motivato questa scelta, ma è evidente che nei piani della Universal Pictures ci sia la volontà di garantire alla saga il miglior posizionamento al box office possibile in una stagione già ricchissima di blockbuster molto attesi.

Per quanto riguarda il film, tempo fa era stato lo stesso Vin Disel a spiegare che Lin sarebbe tornato anche per la regia dell’episodio 10, cosa che faceva pensare che i due episodi venissero girati in contemporanea. Il rumor non è stato confermato e, visti i numerosi impegni degli attori, non sembra un’ipotesi facilmente realizzabile.

Si aspettano nel frattempo gli aggiornamenti sul cast che, oltre ai soliti nomi, dovrebbe presentare anche delle new entry ed un nuovo villan.

Fonte: Bloomberg

The Batman: anche Nicholas Hoult in lizza per il film di Matt Reeves

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A quanto pare Robert Pattinson non sarebbe l’unico nome in lizza per vestire i panni del crociato di Gotham in The Batman, nuovo adattamento che riavvierà le avventure del supereroe DC al cinema con la regia di Matt Reeves: dopo il report di Variety, secondo cui la star di Twilight è il candidato numero uno della Warner Bros e si troverebbe ora in trattative con lo studio, è Deadline a spiegare che anche Nicholas Hoult è nella shortlist.

Mentre si aspettano aggiornamenti ufficiali sul casting vi ricordiamo che Hoult sarà presto al cinema con Dark Phoenix, capitolo conclusivo della saga degli X-Men (che molto probabilmente passeranno nelle mani dei Marvel Studios dopo la recente fusione tra Disney e Fox), e in Tolkien, biopic che ripercorre gli anni giovanili e meno conosciuti della vita dello scrittore e filologo autore de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit.

Leggi anche – The Batman: Robert Pattison in trattative per il ruolo di Bruce Wayne

Alcune indiscrezioni su The Batman circolate online hanno ipotizzato un’ambientazione negli anni Novanta, epoca tornata di moda nel corso dell’ultima stagione anche grazie al successo di un altro cinecomic, Captain Marvel dei Marvel Studios, confermando così l’ipotesi del casting di un attore molto più giovane di Affleck che possa calarsi nei panni del supereroe.

Per alcuni 1990 fa rima con gli adattamenti di Batman di Tim Burton che prepararono le basi per i futuri cinefumetti e che sono stati fonte di ispirazione per Zack Snyder per quanto riguarda una scena particolare di Batman V Superman: Dawn of Justice(dove il regista aveva omaggiato lo scontro tra il cavaliere oscuro e Pinguino di Batman Returns del 1992), per non parlare del fatto che alcune delle più importanti trame a fumetti sul personaggio provengono proprio da quel decennio.

Secondo i report, Reeves ha optato per le storie di Batman: Anno Uno come possibile punto di riferimento, proprio per conferire al suo film un tono da genere noir enfatizzando le capacità investigative dell’eroe. Nessuna notizia ufficiale invece sul casting, con la Warner Bros. impegnata a trovare il perfetto sostituto di Affleck e altri interpreti che possano riempire la ricca galleria di villain prevista.

Vi ricordiamo che per The Batman è stata già fissata l’uscita in sala il 25 giugno 2021. Durante la promozione della serie The Passage, di cui è produttore esecutivo, Revees ha confermato che la pre-produzione del suo film sul Cavaliere Oscuro è in atto e che sta lavorando a una nuova riscrittura del copione.

Fonte: Deadline

Avengers: Endgame, l’ultimo giorno sul set di Robert Downey Jr. in un video

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Per celebrare il suo addio al Marvel Cinematic Universe, Robert Downey Jr. continua a pubblicare su Instagram foto e video relativi alla produzione di Avengers: Endgame, il film che lo vede protagonista ancora una volta nei panni di Tony Stark.

E dopo l’immagine che mostrava uno dei momenti chiave del personaggio, lo schiocco finale che ha permesso ai Vendicatori di sconfiggere Thanos, l’attore ha condiviso una clip registrata alla fine del suo ultimo giorno di riprese in cui riceve l’affetto della troupe, compresi i registi Anthony e Joe Russo, il presidente dei Marvel Studios Kevin Feige e perfino Katherine Langford, che potete notare sulla destra mentre applaude Downey.

Come sapete la giovane star della serie 13 Reasons Why era stata assunta per interpretare la figlia adolescente di Tony, Morgan, in una sequenza ambientata nel regno della gemma dell’anima (lo stesso dove Thanos aveva incontrato Gamora in Infinity War dopo lo schiocco). I Russo hanno poi spiegato nel podcast di Josh Horowitz che la versione del film con l’attrice era stata mostrata al pubblico durante i test-screening e che la mancanza di reazioni positive e la confusione generale avevano spinto lo studio a procedere in un’altra direzione.

Avevamo questa idea che vedeva Tony entrare in una sorta di universo metafisico, lo stesso in cui si è trovato Thanos dopo aver schioccato le dita in Infinity War. Lì ci sarebbe stato l’incontro con la versione futura di sua figlia“, hanno raccontato i registi.

Di seguito invece potete dare uno sguardo al video.

Avengers: Endgame, le foto dal backstage della scena chiave di Iron Man

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Vi ricordiamo che Avengers: Endgame è nelle nostre sale dal 24 aprile.

Nel cast del film Robert Downey Jr.Chris HemsworthMark RuffaloChris EvansScarlett JohanssonBenedict Cumberbatch, Don Cheadle, Tom HollandChadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Anthony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.

Dopo gli eventi devastanti di Avengers: Infinity War (2018), l’universo è in rovina a causa degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbero esserci.

Avengers: Endgame, i Russo condividono la foto dell’ultimo cameo di Stan Lee

The Batman: Robert Pattison in trattative per il ruolo di Bruce Wayne

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Robert Pattison è ad un passo dal diventare il prossimo Bruce Wayne cinematografico: lo conferma Variety nelle ultime ore, spiegando che l’attore si trova ufficialmente in trattative con la Warner Bros. per interpretare il protagonista di The Batman, progetto affidato a Matt Reeves che riavvierà le sorti del crociato di Gotham dopo l’addio al personaggio di Ben Affleck.

Secondo il report, Pattison sarebbe la prima scelta dello studio e ci sono ottime possibilità per una conclusione positiva dell’accordo. Vi ricordiamo che la produzione del film non partirà prima del 2020, come scritto dall’editor di Variety Justin Kroll nei giorni scorsi.

Alcune indiscrezioni su The Batman circolate online hanno ipotizzato un’ambientazione negli anni Novanta, epoca tornata di moda nel corso dell’ultima stagione anche grazie al successo di un altro cinecomic, Captain Marvel dei Marvel Studios, confermando così l’ipotesi del casting di un attore molto più giovane di Affleck che possa calarsi nei panni del supereroe.

Per quanto riguarda i futuri impegni lavorativi dell’attore, tornerà presto sul set del nuovo film di Christopher Nolan in uscita nelle sale il 17 luglio 2020, affiancato da John David Washington. Lo rivedremo sul grande schermo anche in High Life di Claire Denis.

The Batman: la produzione non partirà prima del 2020

Per alcuni 1990 fa rima con gli adattamenti di Batman di Tim Burton che prepararono le basi per i futuri cinefumetti e che sono stati fonte di ispirazione per Zack Snyder per quanto riguarda una scena particolare di Batman V Superman: Dawn of Justice(dove il regista aveva omaggiato lo scontro tra il cavaliere oscuro e Pinguino di Batman Returns del 1992), per non parlare del fatto che alcune delle più importanti trame a fumetti sul personaggio provengono proprio da quel decennio.

Secondo i report, Reeves ha optato per le storie di Batman: Anno Uno come possibile punto di riferimento, proprio per conferire al suo film un tono da genere noir enfatizzando le capacità investigative dell’eroe. Nessuna notizia ufficiale invece sul casting, con la Warner Bros. impegnata a trovare il perfetto sostituto di Affleck e altri interpreti che possano riempire la ricca galleria di villain prevista.

Vi ricordiamo che per The Batman è stata già fissata l’uscita in sala il 25 giugno 2021. Durante la promozione della serie The Passage, di cui è produttore esecutivo, Revees ha confermato che la pre-produzione del suo film sul Cavaliere Oscuro è in atto e che sta lavorando a una nuova riscrittura del copione.

Fonte: Variety

Les hirondelles de Kaboul: recensione del film di Zabou Breitman

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Les hirondelles de Kaboul: recensione del film di Zabou Breitman

Nella selezione di Un Certain Regard de Festival di Cannes 2019, Les hirondelles de Kaboul è un’esperienza visiva ed emotiva coinvolgente, che attira l’attenzione dello spettatore con due storie d’amore che si trovano irrimediabilmente a intrecciarsi, sfruttando la potenza dell’animazione.

L’attrice e regista teatrale Zabou Breitman si cimenta per la prima volta con questo mezzo espressivo, e lo fa con l’aiuto dell’artista Eléa Gobbé-Mévellec, che con la scelta di tonalità chiare e l’utilizzo dell’acquerello e del tratto nero discontinuo contribuisce in maniera determinante a stemperare la drammaticità della storia che segue due coppie nella Kabul governata dal regime talebano.

È il 1998, la vota di Mosheen e della sua bellissima moglie, Zunaira, sono state distrutte dalla guerra. Lui ha dovuto abbandonare per sempre l’idea di fare il diplomatico e persino di insegnare. Lei non può più seguire il suo sogno di diventare un’artista e non può uscire di casa senza burqa. Parallelamente invece incontriamo Atiq, un carceriere incaricato di fare la guardia ai condannati a morte. Anche lui ha subito delle profonde ferite a causa della guerra: una ferita fisica che lo costringe a zoppicare, una ferita emotiva che ha prosciugato la sua anima, anche per causa del lavoro che fa adesso, ovvero sorvegliare persone destinate alla morte (spesso per lapidazione) in una buia prigione. Come se non bastasse, Musarrat, sua moglie, è affetta da un male che i dottori non possono curare.

Questi quattro destini arriveranno a intrecciarsi, in maniera completamente inaspettata, passando attraverso il dolore e il sacrificio, la morte e un amore prorompente.Originariamente, l’idea legata alla storia era quella di realizzarne un live action. Tuttavia è diventato presto chiaro che sarebbe stato un progetto proppo complicato da portare al cinema in location e con attori veri, così si è optato per la scelta dell’animazione che ha dato dei risultati molto interessanti.

L’animazione ha consentito ai due autori dell’opera di avere maggiore libertà, di integrare meglio le emozioni con la scelta soprattutto cromatica del disegno con l’acquerello e potrebbe anche stimolare maggiormente la partecipazione dello spettatore, attraverso soluzioni visive affascinanti, senza mai ricorrere a virtuosismi fini a sestessi.

Les hirondelles de Kaboul, The Swallows of Kabul è il titolo internazionale, è stato doppiato da attori che hanno recitato le loro battute in costume, espediente che ha contribuito a dare spontaneità ed efficacia alle battute, con un risultato davvero realistico e, ancora, coinvolgente. Nel cast figurano Hiam Abbass, Zita Hanrot, Swann Arlaud e Simon Abkarian. La scelta del mezzo narrativo ha contribuito in maniera decisiva a rendere la storia coinvolgente da un punto di vista emotivo e accattivante da quello estetico.

Cannes 2019: Rocketman, il red carpet con Elton John

Questa sera, sulla montée de marches di Cannes 2019 ha sfilato Elton John, in compagnia di Taron Egerton, il giovane attore inglese che lo interpreta in Rocketman, l’evento di questa edizione del Festival francese, presentato fuori concorso.

Ecco fi seguito le immagini dal tappeto rosso, con John e Egerton accompagnati da Richard Madden, Bryce Dallas Howard, David Furnish e il regista Dexter Fletcher.

Rocketman, ambientato nel mondo delle canzoni più amate di Elton John e interpretato da Taron Egerton, segue la sorprendente avventura che ha visto il timido pianista prodigio, Reginald Dwight, diventare la superstar internazionale Elton John. Queste vicende, che sono state d’ispirazione per tanti, rappresentano una storia assolutamente universale, di come un ragazzo di provincia sia diventato una delle figure più iconiche della cultura pop.

Rocketman vede nel cast anche Jamie Bell nei panni del paroliere di lunga data di Elton, Bernie Taupin, Richard Madden nel ruolo del primo manager di Elton, John Reid, e Bryce Dallas Howard nei panni della madre di Elton, Sheila Farebrother.

Bacurau: recensione del film di Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles

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Bacurau è un villaggio brasiliano, piccolo e sperduto, dove, improvvisamente, alla morte della matriarca del villaggio, cominciano ad accadere cose strane, bizzarre: i telefoni cellulari smettono di funzionare, il villaggio scompare dalle mappe, stranieri misteriosi fanno la loro comparsa. Improvvisamente, comincia a scorrere il sangue degli abitanti del paesello.

Il film, diretto da Kleber Mendonça Filho con Juliano Dornelles, fa parte della selezione ufficiale, sezione concorso, al Festival di Cannes 2019 e senza dubbio riesce ad intrattenere il pubblico, a patto che questo sia disponibile a farsi scuotere un po’, a seguire un racconto apparentemente anarchico e divincolato dalle regole della narrazione tradizionale.

Giocando con i genere, i registi mettono insieme una storia che mescola western, thriller e un surrealismo sottile, presente in tutto il film ma mai preponderante o invadente, sempre in equilibrio con il plausibile.

Impossibile non farlo notare, Bacurau presenta anche una forte e manifesta componente politica: gli Stati Uniti invasori si approfittano dell’intero Brasile, che passivamente accetta l’invasione; ma questo non si verifica in questo villaggio, che invece combatte con tutte le armi che ha a disposizione e anche con quelle che non ha, con tutti i membri della piccola comunità, che sembrano una sorta di campione rappresentativo dell’intera popolazione brasiliana, con le sue fasce sociali e le sue caste. Sono pochi ma agguerriti e pronti a tutto, anche a ciò che è illecito.

Meglio di quanto fatto nel 2016 con Aquarius, presentato sempre a Cannes, Mendonça Filho racconta questo micro universo rimanendo in equilibrio tra l’indulgenza verso i suoi protagonisti e la loro piccola realtà e la compiaciuta messa in scena della trivialità; i registi evitano entrambi gli eccessi, rimanendo in un equilibrio vivace. Tuttavia è chiara la volontà di voler scuotere lo spettatore e di coinvolgerlo in un gioco basato sulla libertà espressiva e sull’anarchia dell’immagine, senza mai perderne il controllo.

Beanpole: recensione del film di Kantemir Balagov

Beanpole: recensione del film di Kantemir Balagov

Classe 1991, il regista russo Kantemir Balagov torna al Festival di Cannes 2019 con la sua opera seconda, Beanpole, selezionata all’interno della sezione Un Certain Regard. Il titolo è traducibile con “spilungona”, l’aggettivo con cui viene spesso appellata la protagonista, Iya, il cui appassionante racconto d’amore e speranza, si snoda all’interno di un contesto traumatico come quello che segue di poco la fine della seconda guerra mondiale. Con un film tanto poetico, Balagov dà nuovamente prova del suo talento, dimostrando di meritare l’attenzione che ora gli si rivolge.

Il film si apre a Leningrado, nel 1945. La guerra ha devastato la città, demolendo i suoi edifici e lasciando i suoi cittadini in uno stato fisico e mentale particolarmente fragile. Con la fine dell’oppressione e delle ostilità, la vita sembra riprendere il suo normale corso. È qui che si svolge la storia di Iya (Viktoria Miroshnichenko) e Masha (Vasilisa Perelygina), le quali cercano, ognuna a suo modo, di ricostruire la propria vita tra le rovine.

Prima di abbagliare visivamente con una delle tante bellissime composizioni di cui è ricco il film, il regista cattura l’attenzione facendo udire su schermo nero un boccheggiamento, che riesce a presentarci allo stesso tempo il personaggio protagonista e, metaforicamente, anche la situazione di sfinimento di un popolo logorato dalla guerra. Con l’avanzare della narrazione, si tende a dimenticare il contesto storico, visto come qualcosa da lasciarsi alle spalle il più in fretta possibile, per concentrarsi su una dimensione più intima, che è quella messa in gioco dalle due bellissime e bravissime protagoniste.

Balagov racconta così di personaggi alla disperata ricerca di vita e speranza, un bisogno che fino a quel momento sembrava essere stato spento dagli orrori subiti e visti e che facilmente può trasformarsi in ossessione. È una ricerca che però si scontra inevitabilmente con l’apparente incapacità di riuscire ad aprirsi a nuove emozioni. L’insolita altezza della protagonista non è, a tal proposito, un caso. Tramite questa scelta il regista ci sottolinea la volontà di affrontare la storia attraverso gli occhi di una “diversa”, non vista come tale dagli altri quanto da sé stessa. Questa condizione fisica porta la protagonista ad assumere un atteggiamento che la pone al margine, facendola ben presto diventare succube di quanto la circonda. La sua è una condizione difficile, è in maniera del tutto naturale si arriva ad empatizzare per lei.

Merito anche di una meravigliosa Viktoria Miroshnichenko, attrice di grande grazia che riesce a comunicare la sua instabilità emotiva con pochi gesti del corpo o del volto. La sua Iya è un personaggio fin troppo buono, alla ricerca di un sentimento vero in un mondo che invece non sembra averne più. Balagov tratta con grande rispetto lei e la sua storia, firmando una sceneggiatura che fugge da ogni cliché e colpisce invece per il risvolto poetico di molte delle vicende. Tutto ciò è accompagnato da una regia che non cerca di colpire con virtuosismi o simili, ma trova nella scelta di una messa in scena contenuta, come l’emotività della protagonista, la possibilità di un maggior impatto emotivo.

Con Beanpole, Balagov regala al Festival un piccolo grande gioiello, dotato di sentimenti sinceri, che pervadono l’intera opera di un’atmosfera incantevole, capace di rubare gli occhi e il cuore dello spettatore. Attraverso i desideri e le speranze delle due affiatate protagoniste, il regista ritrae un’umanità intera, ferita, ridotta in ginocchio, ma capace ancora di cullare un sogno di rinascita ad ogni costo.

Les Misérables: recensione del film di Ladj Ly

Les Misérables: recensione del film di Ladj Ly

All’interno di un film intitolato Les Misérables, l’eco di Victor Hugo e della sua celebre opera risuonano in ogni dove. Il regista Ladj Ly chiama in causa il celebre romanziere per compiere così un doppio debutto: quello alla regia del suo primo lungometraggio, e quello nel Concorso del Festival di Cannes 2019. Un film che poco sembra avere a che fare con l’omonimo romanzo, ma che ne riprende invece le tematiche fondanti per riflettere se e quanto sia cambiata la Francia dal 1800 ad oggi. I miserabili di cui Ly vuole parlare differiscono di nome e carattere, ma sembrano ricoprire ancora lo stesso ruolo che Hugo identificò a suo tempo.

Il film segue il punto di vista di Stephane (Damien Bonnard), nuovo arrivato nella squadra anticriminalità di Montfermeil, uno dei sobborghi di Parigi. Trovandosi ad affiancare due agenti con metodi poco ortodossi, Stephane farà presto la conoscenza della tensione sociale che abita quelle strade. Quando infine un arresto sfocerà nella tragedia, tutto sembrerà portare sull’orlo di una sanguinosa rivolta.

Ly decide di raccontare di situazioni che spesso non ottengono un adeguato dibattito sociale, rimanendo per lo più un problema di chi le vive in prima persona. È una volontà ben precisa la sua, che costruisce un racconto scendendo alla radici di gruppi sociali tenuti insieme da precari accordi di pace. Non è di questi però che il regista assume il punto di vista ma, più sorprendentemente e meno banalmente, quello dei tre poliziotti in costante perlustrazione del quartiere. In particolare seguiamo il personaggio di Stephane, l’ultimo arrivato, e proprio per questo il più adatto per permettere di far entrare anche lo spettatore all’interno del mondo raccontato.

La sua innocenza è quella dello spettatore, che si trova a confrontarsi con un continuo oltrepassare il limite tra bene e male. Quello di Stephane è infatti l’unico personaggio con cui sembra possibile intraprendere un’identificazione. Poiché a infrangere i limiti sono rispettivamente, ognuno con i propri tempi e modi, sia gli innocenti che i carnefici, portando così ad un totale annullamento di queste definizioni. Con un linguaggio documentaristico, il regista conduce infatti l’occhio della cinepresa in mezzo ai personaggi del film, facendo sentire lo spettatore in mezzo a loro ma non uno di loro, mostrandogli entrambi i lati della medaglia e impedendo così  il favoreggiamento per l’una o l’altra parte.

Perché quello de Les Misérables non è un racconto di buoni e cattivi, ma di vittime, così come lo erano quelle del romanzo di Hugo. La Francia dunque non sembra essere cambiata poi molto secondo il regista, e benché le sue battaglie siano mutate, altrettanto non si direbbe per i loro motivi. Certamente il film vive di una lenta introduzione, che potrebbe inizialmente inficiare sul ritmo, ma questa appare sempre più necessaria per comprendere a fondo le regole che agitano il tessuto sociale di cui si narra.

Quando infine il film raggiunge il suo apice, ci troviamo di fronte ad una brutalità che sorprende per il suo essere nata improvvisamente. Una lunga e claustrofobia sequenza finale ci consegna un film più duro di quello che ci si poteva aspettare, che non consegna una morale ma una riflessione ogni giorno più attuale: dalla violenza si genera esclusivamente altra violenza. Ly ce lo ricorda senza pietismi, ma con un ritratto sincero e, per questo, particolarmente incisivo.

Cannes 2019: John Carpenter riceve la Carrosse d’Or

Cannes 2019: John Carpenter riceve la Carrosse d’Or

Selezione parallela al Festival di Cannes, la Quinzaine Des Réalisateurs assegna ogni anno, durante la cerimonia d’apertura il prestigioso premio Carrosse d’Or, ideato nel 2002 dalla Société des Réalisateurs. Il premio, assegnato a quegli autori che hanno segnato la storia del cinema con la loro audacia e intransigenza, è stato conferito quest’anno a John Carpenter, per celebrare la sua carriera composta da opere come Halloween, Essi Vivono, La Cosa e 1997: Fuga da New York, film che nella loro cruda, fantastica e spettacolare unicità hanno plasmato l’immaginario di generazioni.

“Sono diventato un regista perché non c’era altro che potessi fare.” – dichiara Carpenter salendo sul palcoscenico, dopo aver ricevuto una lunga e calorosa standing ovation – “Ero ossessionato da ciò, sentivo che era l’unica cosa che potessi fare. Volevo diventare un regista, e realizzare i miei film. Gli studios di produzione invece erano interessati ai soldi, e questo mi ha posto davanti a molti bivi. Dovevo fare in modo di essere certo che i miei film rimanessero miei, e allo stesso tempo dovevo soddisfare le esigenze che mi venivano richieste, affinché potessi ottenere la fiducia, e i soldi, per continuare in ciò che desideravo fare.”

Cannes 2019 John Carpenter

All’interno dell’incontro che lo ha visto protagonista assoluto, Carpenter ha avuto modo di ripercorrere l’intera sua carriera, sin dal primo film che lo ha reso celebre: Halloween. “Ancora oggi non riesco a spiegarmi il successo di quel film. Ero convinto che sarebbe stato un fallimento. Non riuscivamo a trovare una produzione, e quando la trovammo questa si rivelò scontenta per ogni cosa, dagli attori alle riprese. Quando invece uscii, il film venne accolto con entusiasmo, e questo mi catapultò da una situazione in cui nessuno sembrava voler lavorare con me ad una in cui tutti aspiravano a produrre i miei film… questo perché avevo dimostrato di poter far guadagnare molto con poco. Ed in fondo è sempre stata la mia idea, per fare un film non occorrono soldi, basta avere qualcosa per riprendere, reclutare i propri amici, realizzare un buon prodotto, farlo vedere in giro, e convincere i produttori a farsi dare i soldi per realizzare qualcos’altro. Io ho sempre fatto così.”

Altro grande successo cinematografico è quello de La Cosa, per la quale Carpenter rivela di aver avuto le idee ben precise sin da subito riguardo la natura dell’opera. “Ad Hollywood c’è questa regola non scritta per cui il mostro deve sempre nascondersi nel buio, nell’ombra. Io invece volevo che il mio fosse ben visibile, che si presentasse anche alla luce. Così facendo era possibile farlo uscire dalla dimensione onirica dell’incubo e farlo diventare reale. E se qualcosa di spaventoso è reale, anche la paura che proviamo lo sarà. Per quanto riguarda il finale, ha sempre generato molti dibattiti… io so quale dei due personaggi rimasti è “la cosa”, ma non ve lo dirò mai.”

Cannes 2019 John Carpenter

Interrogato sull’attuale panorama cinematografico, Carpenter, il cui ultimo film intitolato The Ward risale al 2010, espone il suo punto di vista partendo da una domanda che spesso gli viene rivolta. “Molti mi chiedono come mai abbia rallentato la mia produzione. Io mi ritengo un regista che ha sempre cercato di raccontare la realtà che lo circondava, attraverso il filtro del genere. Devo ammettere che oggi sono piuttosto spaventato dalla società che popola questo mondo. Sinceramente non voglio immaginare come potrebbe essere un mio film basato su di essa. È una paura che non sono sicuro di voler affrontare. Oggi preferisco dedicarmi ad altro. Ho una carriera da musicista, sono spesso in tour, quando sono a casa mi guardo un film in DVD o gioco ai videogiochi… la mia vita è completa.”

A conclusione dell’incontro, Carpenter lancia un ultimo monito a tutti gli aspiranti registi: “dovete combattere per realizzare il vostro film, perché è vostro non di altri. E chiunque che non sia voi deve categoricamente tenere giù le mani dalla vostra idea.”. Il regista viene così salutato nuovamente da un’ovazione, a dimostrazione che l’affetto del pubblico non ha mai abbandonato, contrariamente alle case di produzione, l’autore di un tale immaginario cinematografico.

Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, ci sarà un flashback de Il Ritorno dello Jedi?

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Dopo il rumor riguardante il ruolo misterioso dell’Imperatore Palpatine diffuso pochi giorni fa, è ancora Making Star Wars a suggerire un’ulteriore possibilità sulla trama di Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, terzo e ultimo capitolo della nuova trilogia che porterà a conclusione la saga familiare iniziata nel 1977 con Una Nuova Speranza.

Stavolta il soggetto della discussione è Billie Lourd, la figlia di Carrie Fisher già apparsa in un piccolo ruolo nel franchise, che secondo il sito avrebbe girato non soltanto le scene relative al suo personaggio, ma anche altro materiale. In particolare, si fa riferimento ad una sequenza di flashback ambientata durante gli eventi di Il Ritorno dello Jedi che mostrerebbe il dialogo tra il giovane Luke Skywalker e la Principessa Leia su una questione importante che cambierà il modo in cui vediamo alcuni dei protagonisti coinvolti.

Insomma, sembra che Episodio IX offrirà al pubblico un altro punto di vista sulla storia già raccontata e una prospettiva inedita su quanto accaduto in Episodio VI. Ma chi ha interpretato Leia sul set al posto della Fisher, scomparsa prima dell’inizio delle riprese? Il rumor spiega che proprio la Lourd abbia vestito i panni della madre e che in post-produzione è stato necessario l’intervento della CGI. Una situazione del genere si era già verificata in Rogue One: A Star Wars Story, dove l’attrice norvegese Ingvild Deila aveva interpretato il personaggio nel breve cameo.

Sarà davvero così? Che ne pensate?

Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, come tornerà l’imperatore Palpatine?

Vi ricordiamo che Star Wars: The Rise Of Sywalker, capitolo conclusivo della nuova trilogia del franchise diretto da J.J. Abrams, arriverà nelle sale a dicembre 2019.

Nel cast Daisy RidleyOscar IsaacJohn BoyegaKelly Marie TranNaomi AckieJoonas Suotamo, Adam Driver, Anthony DanielsBilly Dee Williams Lupita Nyong’o, Domhnall Gleeson, Billie Lourd e il veterano del franchise Mark Hamill. Tra le new entry c’è Richard E. Grant.

Il ruolo di Leia Organa sarà interpretato di nuovo da Carrie Fisher, usando del girato mai visto prima da Star Wars: Il Risveglio della Forza. “Tutti noi amiamo disperatamente Carrie Fisher – ha dichiarato Abrams – Abbiamo cercato una perfetta conclusione alla saga degli Skywalker nonostante la sua assenza. Non sceglieremo mai un altra attrice per il ruolo, né mai potremmo usare la computer grafica. Con il supporto e la benedizione della figlia, Billie, abbiamo trovato il modo di onorare l’eredità di Carrie e il ruolo di Leia in Episodio IX, usando del girato mai visto che abbiamo girato insieme per Episodio VII.”

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Fonte: Making Star Wars