Nel romanzo di Eshkol Nevo, come nell’adattamento cinematografico che Nanni Moretti ne ha tratto nel suo ultimo Tre piani, i livelli sono molti di più di quelli catastali della palazzina in cui vivono vittime e carnefici di questo dramma corale. Che, se nel libro erano chiusi ciascuno nella storia che li riguardava, nel film diventano co-protagonisti di linee narrative che si intrecciano, incontrano e scontrano. Una scelta coraggiosa, che il regista romano affronta facendo un passo indietro, rinunciando a molto del suo cinema e lasciando spazio alla narrazione originaria. Con un’unica licenza, quella di portare gli accadimenti – lasciati in sospeso sulla carta – fino in fondo, per mostrarne le conseguenze e le ripercussioni sulla vita propria e degli altri.
Una scelta coraggiosa, ma che toglie qualcosa all’affresco, almeno a livello partecipativo. Più o meno tutte le vicende messe in scena, a prescindere dall’adeguatezza dei personaggi impegnati e dai dialoghi assegnati loro, tendono a essere sottolineate oltremodo. Potremmo definirlo un eccesso di didascalismo, volendo essere sintetici, ma con tante situazioni a rubarsi la scena la generalizzazione è riduttiva più che ingiusta. Conseguenza immediata ne è una sequela di confronti dai quali è difficile sentirsi coinvolti, spesso a causa di scambi o interpretazioni più banali del dramma che vorrebbero esprimere.
Ed è un peccato considerato i nomi messi in campo e la mano a dirigerli. Tra tutti, spiccano particolarmente – per equilibrio, misura e risultato – Elena Lietti (Sara) e Margherita Buy (Dora), moglie cinematografica scelta da Moretti a contrastare un personaggio che sullo schermo avrebbe forse potuto avere una parabola e una caratterizzazioni maggiori di quella consentitagli dal libro. Senza voler lontanamente ‘dare i voti’ a questo o quella, tutti ugualmente molto coinvolti e visibilmente appassionati al ruolo richiestogli, si resta spesso perplessi. Anche e soprattutto nei goffi tentativi di inserire un contesto sociale e politico, inevitabilmente distante anni luce da quello israelo-palestinese di Nevo, o una parentesi surreal-musicale (ma la salsa aveva funzionato meglio della milonga).
I Tre piani di Nanni Moretti: chi sono i protagonisti
Al primo piano di una palazzina vivono Lucio, Sara e la loro bambina di sette anni, Francesca. Nell’appartamento accanto ci sono Giovanna e Renato, che spesso fanno da babysitter alla bambina. Una sera, Renato, a cui è stata affidata Francesca, scompare con la bambina per molte ore. Quando finalmente i due vengono ritrovati, Lucio teme che a sua figlia sia accaduto qualcosa di terribile. La sua paura si trasforma in una vera e propria ossessione.
Al secondo piano vive Monica, alle prese con la prima esperienza di maternità. Suo marito Giorgio è un ingegnere e trascorre lunghi periodi all’estero per lavoro. Monica combatte una silenziosa battaglia contro la solitudine e la paura di diventare un giorno come sua madre, ricoverata in clinica per disturbi mentali. Giorgio capisce che non potrà più allontanarsi da sua moglie e sua figlia. Forse però è troppo tardi.
Dora è una giudice, come suo marito Vittorio. Abitano all’ultimo piano insieme al figlio di vent’anni, Andrea. Una notte il ragazzo, ubriaco, investe e uccide una donna. Sconvolto, chiede ai genitori di fargli evitare il carcere. Vittorio pensa che suo figlio debba essere giudicato e condannato per quello che ha fatto. La tensione tra padre e figlio esplode, fino a creare una frattura definitiva tra i due. Vittorio costringe Dora a una scelta dolorosa: o lui o il figlio.
Una speranza per il futuro
Moretti lo aveva espressamente dichiarato a Cannes di non volere attori spontanei, e forse per non esagerare o ‘invadere’ il territorio di una storia cui voleva essere fedele si è scivolati nell’eccesso opposto. Resta sicuramente interessante il suo essersi messo alla prova con un testo che gli offriva molti limiti, e in sospeso la domanda se questa potrà essere una nuova strada sulla quale lo vedremo ancora. Anche se i suoi fan più tradizionalisti apprezzeranno che stia attualmente lavorando a un soggetto originale, di proprio pugno.
Nel quale potremmo trovare di nuovo alcuni dei topoi classici del suo cinema come altri elementi psicanalitici, piuttosto cari al regista, il quale in questo film stabilisce una evidente corrispondenza dei piani fisici e dei personaggi centrali delle tre storie con la tripartizione freudiana di Es, Io e Super-io. A conferma che anche in un film tanto criticato come quest’ultimo, continuano a essere molti gli spunti a disposizione degli spettatori meno superficiali, che non si fermeranno alla visione di figli manipolatori, uomini egoisti e donne in grado tanto di mettere da parte il proprio bene in nome di altre priorità quanto di riprendere in mano la propria vita e scegliere una nuova strada, anche dolorosa. Un modo per superare le ossessioni che ci affossano quotidianamente o di cedere loro definitivamente?


Chiamata in inglese rom-com, combina l’umorismo (a volte sottile, a volte esagerato) con romanticismo e, sì, anche il lieto fine. L’elemento comico si intreccia con quello romantico e, come nel teatro classico, è spesso un intreccio di equivoci, occasioni mancate, allontanamenti e rappacificazione. Il maestro del genere è probabilmente
Chi si ricorda i tempi della commedia classica americana? Quelli di Marylin Monroe e Billy Wilder (chi non ha mai visto A qualcuno piace caldo deve correre immediata mente ai ripari), quelli di Howard Hawks. La commedia americana contemporanea, invece, si allontana dall’ironia sottile per accentuare spesso e volentieri i toni demenziali. Ma non diffidate dell’eccesso, perché il genere ci ha donato dei gioielli del cinema e delle risate impareggiabili: film come
La stagione migliore della commedia italiana, quella che ha fatto storia, viene dopo la guerra, ed è quella che viene propriamente chiamata commedia all’italiana. Si considera iniziata con I soliti ignoti di Mario Monicelli, mentre il nome viene dal film storico di Pietro Germi, Divorzio all’italiana. Sono commedie brillanti e spesso satiriche, che si concentrano su temi sociali (come il sesso, il divorzio, la contraccezione, la crescita economica, l’influenza della religione cattolica) con forti temi di critica sociale, diluiti e rafforzati dalla comicità forte.
Il 2016 è invece un anno brillante. In Italia, Checco Zalone fa uscire Quo Vado, ci sono i The Pills al cinema, ed esce un altro film, divertente e allo stesso tempo amaro, e di grande merito: Perfetti sconosciuti. In america, si ride molto e bene.
È un anno con grandi registi: Woody Allen con Magic in the Moonlight e Wes Anderson con Grand Budapest Hotel. Ma i film indipendenti sono quelli che fanno ridere davvero, ecco le commedie consigliate del 2014:
Arriviamo agli anni più recenti, con i film commedia da vedere degli ultimi anni.




Anche l’importanza della scena post-credit di 

La scena post-credit di
Uno dei momenti più significativi del MCU si è verificato nella scena post-credit del primo film degli Avengers del 2012. Le conseguenze di quella rivelazione furono davvero cosmiche.
La scena post-credit più importante di tutti i tempi, nel MCU, è la prima, che si verifica alla fine di
La madre di Thor, Frigga, è sempre stata un personaggio minore nel MCU, ma grazie a What If… ? abbiamo finalmente la possibilità di scoprire qualcosa in più sul personaggio. Dopo che Odino entra nel sonno profondo e Frigga si allontana da Asgard, Thor è libero dalla supervisione dei genitori. Vista l’opportunità, decide di dare un party intergalattico sulla Terra, ma quado Thor sente che Frigga sta andando a Midgard per controllarlo e assicurarsi che stia studiando, come sostiene, si spaventa e inizia subito a cercare di annullare tutti i danni che ha causato al pianeta.
Una buona parte dell’episodio 7 di What If… ? è dedicata alla battaglia tra Captain Marvel e Thor. La lotta si estende in tutto il mondo, con entrambi i titani che sfoggiano colpi di potere e ferocia giganteschi. Sebbene non vinca a titolo definitivo, tuttavia, Captain Marvel sembra piuttosto forte contro Thor e il Mjolnir, poiché è impermeabile ai suoi attacchi fulminei e può chiaramente eguagliare la sua forza.
Il momento più intrigante del settimo episodio di What If… ? arriva proprio alla fine, quando Thor, Jane e l’Osservatore assistono al ritorno di Ultron, attraverso un portale aperto, che brandisce le Gemme dell’Infinito. Sembrerebbe che questo Ultron abbia avuto origine in una realtà completamente diversa, ma ciò non spiega necessariamente come abbia acquisito tutte le gemme.
Ultron appare alla fine del settimo episodio di What If… ?, e il suo ritorno sembra sorprendere anche lo stesso Osservatore. Il presunto essere onnisciente ha previsto e supervisionato tutto ciò che è accaduto finora nella serie. Se Ultron avesse trascorso del tempo in altre realtà alla ricerca delle Gemme dell’Infinito, sicuramente l’Osservatore ne sarebbe stato consapevole.







