È stato proiettato in concorso uno
dei film più attesi della 76° Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia, Joker di Todd
Phillip, interpretato da un superlativo
Joaquin Phoenix, nei panni del noto, quanto
ilare, acerrimo nemico di Batman.
Nei film di supereroi, ma anche nei
fumetti o nella letteratura, i nemici e i cattivi destano da sempre
empatia e fascino, tanto da surclassare spesso le meste figure, che
bardandosi con la bandiera del bene e dell’ordine pubblico, si
prodigano per combatterli. Joker è di certo uno dei più
popolari di questi antieroi e il ritratto che ne costruisce
Todd Phillips contribuisce a donargli spessore,
umanità e motivazioni. Il suo oscuro affresco metropolitano fa
comprendere che il male non è sempre dalla stessa parte e che molte
volte i paladini della giustizia combattono contro chi ha invece
ragione da vendere. Joker è intriso di tanta disperazione
e forse avrebbe anche più diritti rispetto a chi lo combatte e deve
mantenere il controllo della legalità.
La storia si sposta indietro nel
tempo, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, quando Bruce
Wayne/Batman era ancora un bambino, in una fatiscente
Gotham City , molto simile a NY, afflitta da sporcizia e
invasioni di ratti, regno sudicio di violenza e disperazione e dove
la lotta della sopravvivenza è all’ordine del giorno, soprattutto
per i deboli e i derelitti. Il giovane Arthur Fleck
racimola i pochi soldi per sopravvivere esibendosi come clown in
strada o negli ospedali pediatrici, ma è continuamente vittima di
aggressioni e scherno che minano il suo già fragile equilibrio
psichico. Soffre di un disturbo emotivo che lo costringe a fare
continuo uso di psicofarmaci e a essere monitorato dai servizi
sociali. Quando è colto dall’emozione scoppia in un riso
incontrollabile, isterico e forzato, che non riesce a
reprimere. Il sogno di Arthur è quello di diventare un
comico e di esibirsi nei locali, ma viene deriso ed emarginato in
modo crudele. Un giorno, durante l’ennesima aggressione, al
culmine della sopportazione, ha una reazione che cambierà per
sempre il corso della sua vita.

Joker va oltre le
tante storie che i film di supereroi ci hanno raccontato, è un
viaggio nel profondo della psiche di un uomo al quale tutto è
negato, non è permesso essere normale, nato in un posto sbagliato,
in un momento sbagliato, tra persone sbagliate. Non ha colpe, non
ha mai fatto nulla di male, non è cattivo, non pretende nulla di
più del condurre una vita ordinaria, di amare e di essere amato. La
madre gli ha imposto fin da bambino di sorridere e lui lo fa, si
sforza di farlo, si allarga la bocca con le dita per apparire
sorridente, si dipinge con i colori del pagliaccio. Ma è tutta
apparenza, la gioia non si esprime semplicemente con il sorriso.
Per lui le fondamenta della felicità sono marce dal profondo e al
suo orizzonte si stagliano solamente i cancelli del tetro
Arkham Asylum, il manicomio di Gotham City.
Todd Phillips
racconta con piglio energico e concitato una storia tragica e
rivela l’inizio di una vicenda fin troppo conosciuta. La mostra da
un’angolazione completamente diversa, così differente da farci
sperare che da grande quel piccolo, mesto insignificante rampollo
viziato che si chiama Bruce Wayne, abbia sorte differente.
Costruisce una Gotham City lontana dai fumetti e
dall’immaginario comune, tradendo ogni aspettativa. La città è più
affine ai contesti urbani della saga de
La notte del giudizio, piuttosto che alle
architetture gotiche Bartoniane o alla maestosità degli edifici
esibiti da Nolan. La fotografia, il suono e la musica
contribuiscono nella costruzione di un mondo credibile, che si
avverte essere fuori dalla porta di casa e non allocato nei meandri
dell’immaginazione, come troppo spesso avviene in questo genere di
film. Non ci sono effetti speciali o elementi prodigiosi, ma solo
lacrime, sudore, sangue, che sciolgono in continuazione il cerone
bianco da pagliaccio e si confondono col rosso sbafato del sorriso
sforzato di Joker. E poi c’è dolore, tanto dolore.
Todd Phillips sembra sussurrarci all’orecchio che
anche noi potremmo essere Arthur Fleck. E noi dovremmo
preoccuparcene.
Il regista racconta di essere stato
sempre attratto dalla complessità del personaggio di
Joker, pensando che sarebbe stato appassionante esplorarne
le origini, oltretutto nessuno lo aveva ancora fatto, salvo
sporadiche narrazioni inserite nei vari film che lo vedevano
presente. Ragione fondamentale del suo fascino, risiede proprio nel
mistero oscuro del non avere un’origine precisa.
Phillips sostiene che in fase di scrittura ha
voluto conservare gli elementi di riconoscibilità e ha pensato
sempre a
Joaquin Phoenix, perché è un attore che quando
recita è capace di trasformazioni sorprendenti, andando oltre i
limiti. E non si può dare torto a questa felice intuizione, perché
il film si regge tutto sulle spalle scheletriche di
Joaquin Phoenix, sul suo volto capace di
espressioni furastiche che tradiscono celata tenerezza, di smorfie
crudeli e di profonde esternazioni di sofferenza. E’ in grado di
esibirsi in balli squinternati, di raggomitolarsi su se stesso come
un randagio impaurito, di esplodere in improvvisi lampi di cieca
violenza, di cadere come un sacco di stracci e di rialzarsi come se
tutte le ossa del suo scheletro siano frantumate.
Joaquin Phoenix non interpreta Joker,
è Joker.
Joker di
Todd Phillips è un film oscuro, convincente,
tagliente, raccontato con la minuzia di uno psichiatra. Scandaglia
le origini profonde di un personaggio diventato mito, supera i
canoni e gli stereotipi del genere e regala una delle più toccanti
interpretazioni di Joaquin Phoenix.
Joker è però altamente sconsigliato agli
ammiratori irriducibili dell’uomo pipistrello.
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