Quando si nasce in un piccolo paese,
è frequente che si sviluppi un desiderio di evasione e la ricerca
di un nuovo orizzonte. Questa emozione, basica e facilmente
comprensibile per un pubblico di tutto il mondo, è alla base di
L’Ultimo Paradiso, il film interpretato
scritto e prodotto da
Riccardo Scamarcio, che si fa promotore di una
storia che lo vede recitare nel suo dialetto. Alla regia c’è
Rocco Ricciardulli, che firma con Scamarcio, la
sceneggiatura, rielaborando una vecchia storia lucana, di passione,
amori clandestini e anarchia.
L’Ultimo Paradiso è
ambientato nel 1958 in un paesino del sud Italia. Qui vive Ciccio
(Riccardo
Scamarcio), un agricoltore 40enne, sposato con Lucia
(Valentina Cervi), dalla quale ha avuto un figlio.
Il sogno dell’uomo è quello di riuscire, un giorno, a cambiare le
cose nel suo paese, di modo che i più deboli non vengano più
sfruttati. Ciccio, infatti, lotta insieme ad alcuni suoi compaesani
affinché ciò non accada, ma la situazione è dura e anche un minimo
cambiamento di questo status sembra, se non impossibile, difficile
da realizzare.
Inoltre, l’uomo è segretamente
infatuato di Bianca (Gaia Bermani Amaral), figlia
di Cumpà Schettino (Antonio Gerardi), un
proprietario terriero che sfrutta i suoi contadini, nonché il tipo
di latifondista che Ciccio tanto disprezza. L’agricoltore
desidererebbe scappare lontano con Bianca, ma quando Cumpà
Schettino scopre la loro relazione e il piano della coppia, decide
di farla pagare a Ciccio.
A metà tra dramma passionale e
rivendicazione sociale
I binari principali su cui cammina
il film di Ricciardulli sono due, da una parte la storia d’amore,
avventata e passionale, tra Ciccio e Bianca, il proletario e la
figlia del latifondista, lui sposato con un bambino, lei bellissima
giovane nubile piena di sogni, dall’altra la ribellione contro un
sistema, quello del caporalato, che non faceva sconti e che
sfruttava i lavoratori per il beneficio di uno solo.
Il nodo tra questi due binari è
quello della speranza, del sogno di un mondo diverso, più giusto o
lontano dai piccoli confini del paese. Nella figura di Ciccio,
questi due temi si fondono e in lui c’è sia il ribelle che sfida la
forza del padrone, sia la sconsideratezza dell’uomo che si innamora
perdutamente e dimentica la famiglia e tutti i suoi doveri.
L’Ultimo Paradiso,
che gioca sin dal titolo tra la bellezza paradisiaca, appunto, dei
posti in cui il film è ambientato, la Murgia tra Puglia e
Basilicata, e il cognome del protagonista, vorrebbe quindi essere
un racconto che fa leva su dinamiche profonde, ancestrali, ma che
allo stesso tempo non riesce a dare profondità ai suoi intenti.
Emozioni e parole
superficiali
Le parole e le emozioni dei
protagonisti si spengono prima di infiammarsi e non diventano mai
vera e propria spinta propulsiva dell’azione. Tutte le passioni
messe in gioco sembrano superficiali, approssimative, più declamate
che sentite e forse nella scrittura debole risiede questa grande
debolezza del film, dalla quale poi deriva la poca incisività del
messaggio stesso.
Il mondo che viene rappresentato
presenta una divisione dei ruoli e delle mansioni trai generi che
all’occhio di oggi sembrano superati, tuttavia propone comunque
diversi modi di essere uomini e/o donne in un’epoca in cui il
divario economico e la lotta di classe erano davvero una questione
sociale rilevante e sentita.
Le realtà che collidono sono da una
parte quella della famiglia Paradiso, dall’altra quella di Cumpà
Schettino. Nella prima l’uomo è sì il padrone della casa, ma è una
figura solida e rassicurante, caparbia e onesta, nella seconda
l’uomo è il padre/padrone, è violento, sgradevole, ingiusto,
aggressivo e prepotente nei confronti dei sottoposti, dei deboli,
delle donne. Proprio le diverse donne che ci racconta il film, in
primis Bianca e Lucia, amante e moglie di Ciccio, sono frutto della
realtà in cui vivono.
Due donne, due vite, due
caratteri
Se da una parte Lucia, moglie e
madre devota, vive in una famiglia in cui il ruolo della donna è
fondamentale, perché per i Paradiso la donna è la forza motrice
della casa, la donna e il suo amore di madre, moglie e sorella, nel
caso di Bianca, invece, la donna è reazione alla brutalità maschile
paterna. Bianca è una sognatrice, affamata di novità, un’anima
libera che desidera altro e che vede in Ciccio una via d’uscita
dalla sua realtà chiusa.
Tuttavia, né gli sforzi di
Riccardo Scamarcio, né l’occhio del regista
Ricciardulli, né il palese impegno profuso da tutti gli interpreti
nel mettere insieme i loro personaggi, né tantomeno la bellezza
innegabile delle location naturali che tanta importanza hanno nel
testo, riescono a sopperire la mancanza del film di entrare in
profondità nelle intenzioni e i sentimenti della storia, che
risulta per questo depotenziata di tutto il suo valore, quasi
tribale, che poteva mettere in scena. Il desiderio di libertà, di
novità, la necessità di sognare per chi non ha niente, il desiderio
di evasione e di rivendicazione di sé dovrebbero esplodere dal
petto dei personaggi, che però sembrano solo pedine in un flusso di
eventi che non riesce a coinvolgere lo spettatore.
Resta una buona occasione per la
produzione nostrana originale di Netflix per ricreare un link tra il nostro Paese e le
comunità di emigranti italiani sparse per il mondo.