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The Residence: recensione della serie Netflix con Uzo Aduba

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The Residence: recensione della serie Netflix con Uzo Aduba

Netflix e Shondaland tornano a collaborare con The Residence, una serie mistery in otto episodi creata da Paul William Davies e ispirata al libro The Residence: Inside the Private World of the White House di Kate Andersen Brower. Tra intrighi, omicidi e un cast corale di personaggi stravaganti, la serie si posiziona a metà tra la classica detective story e la commedia satirica, con una vena di assurdità che la rende irresistibile. 

La storia intricata di The Residence

La vicenda prende il via durante una cena di stato alla Casa Bianca, organizzata per rinsaldare i rapporti con l’Australia. Mentre gli ospiti si godono la serata e la performance di Kylie Minogue, un urlo squarcia l’aria: il Capo Usciere della Casa Bianca, A.B. Wynter (Giancarlo Esposito), è stato trovato morto nella sala del biliardo. L’indagine viene affidata alla detective Cordelia Cupp (Uzo Aduba), un’investigatrice eccentrica con una passione per il birdwatching e le sardine in scatola. Accompagnata dal riluttante agente dell’FBI Edwin Park (Randall Park), Cordelia si addentra nei segreti dell’edificio più sorvegliato d’America, interrogando ospiti e membri dello staff per ricostruire gli eventi della fatidica notte.

Cordelia Cupp è un personaggio memorabile

Il fascino della serie risiede nel suo tono ironico e nel cast eccezionale. Aduba regala una performance magnetica, Cordelia è un personaggio memorabile: brillante, bizzarra e sempre un passo avanti agli altri. Al suo fianco spiccano Giancarlo Esposito nel ruolo della vittima, Susan Kelechi Watson nei panni della sua ambiziosa vice Jasmine Haney e Jane Curtin, l’esilarante suocera alcolizzata del Presidente. La presenza di Al Franken nei panni di un senatore cinico aggiunge un ulteriore strato di satira politica.

La narrazione si sviluppa su due linee temporali: da un lato, l’indagine di Cordelia, arricchita da flashback e versioni contrastanti degli eventi; dall’altro, un’audizione al Congresso in cui Jasmine e altri testimoni tentano di chiarire il mistero. Questo doppio livello di racconto mantiene alta la tensione, anche se a volte la serie sembra perdersi nei suoi stessi intrecci. Il numero elevato di personaggi e sottotrame può risultare dispersivo, aspetto aggravato da alcuni flashback dedicato alla passione di Cordelia per l’ornitologia e il birdwatching. Il ritmo risulta rallentato in questi frangenti, ma il personaggio si arricchisce, diventando sempre più bizzarro e approfondito.

Una residenza di lusso per un Cluedo contemporaneo

Visivamente, The Residence è un gioiello. La Casa Bianca viene trasformata in un gigantesco puzzle, con stanze nascoste e corridoi segreti che amplificano il senso di mistero e rendono più complessa la risoluzione del crimine. La regia di Liza Johnson e Jaffar Mahmood gioca con prospettive insolite e un montaggio vivace, mentre la colonna sonora omaggia il cinema noir e i classici del giallo, senza dimenticare le derive più moderne dei classici whodunit, come la serie di Knives Out di Rian Johnson o gli ultimi adattamenti da Agatha Christie con Kenneth Branagh (tutti che vengono esplicitamente citati dai personaggi).

La satira sociale

Nonostante il tono leggero, che struttura l’indagine con intriganti svolte e con le piacevoli digressioni di Cordelia che si orienta nel mondo degli esseri umani grazie agli insegnamenti del comportamento degli uccelli che ama avvistare, The Residence non si risparmia quando si parla di satira sociale e di critica alle alte cariche della società. Il cast corale  rappresentativo e variegato e si confronta alla fine con la meschinità del mondo moderno, che concentra potere e autorità nelle mani di pochi, ma non quelli che ci aspetteremmo, per cui la serie mantiene una componente di imprevedibilità che la rende ancora più divertente, fino al confronto finale, con tanto di atteso ma necessario spiegone su “come sono andate davvero le cose”.

In definitiva, The Residence è una serie con una trama coinvolgente e con dei protagonisti sopra le righe, che unisce il fascino di un giallo alla Agatha Christie con l’umorismo dissacrante tipico di ShondalandUzo Aduba brilla nel ruolo della detective Cordelia Cupp, e il cast di supporto contribuisce a rendere ogni episodio un’esperienza spassosa e avvincente. Un whodunnit in salsa comica da divorare in un binge-watching senza rimpianti.

Biancaneve: recensione del live-action Disney con Rachel Zegler

Biancaneve: recensione del live-action Disney con Rachel Zegler

Biancaneve è il classico dei classici. Primo film d’animazione a colori Disney, nonché uno dei suoi maggiori successi al botteghino, è riuscito a entrare nell’immaginario collettivo come una delle fiabe più amate, con una delle principesse più memorabili. Nell’era dei live-action, prodotti ormai con continuità, era quindi impensabile escludere proprio il primo lungometraggio che segnò un’epoca straordinaria per la Casa di Topolino e per generazioni di bambini. E così, dopo un iniziale stop dovuto alla pandemia, le riprese hanno preso il via nel 2022 sotto la direzione di Marc Webb.

Come accaduto per La Sirenetta, anche questo live-action non è stato esente da critiche e polemiche, legate alla scelta della protagonista. Non è cambiato nulla rispetto alle accuse rivolte alla produzione per aver selezionato un’attrice che non rispecchiasse nella carnagione la piccola sirenetta, polemica poi messa a tacere dalla performance di Halle Bailey, che ha dimostrato come il valore di una storia emerga ben oltre il colore della pelle. Lo stesso destino è toccato a Rachel Zegler, criticata per una carnagione ritenuta troppo scura per interpretare Biancaneve, rinomata per la pelle bianca come la neve e le labbra rosse. Eppure, nel film, che si apre sfogliando il classico libro delle favole, viene subito spiegato l’origine del suo nome: è nata durante una bufera di neve e, nonostante il gelo, questa neve, lei, è riuscita “a dominarla”, come sottolinea la narrazione più volte.

La pellicola, in uscita nelle sale il 20 marzo, è scritta da Erin Cressida Wilson, con canzoni originali curate da Pasek & Paul.

La trama di Biancaneve

In un regno lontano, circondato da amore e serenità, la regina dà alla luce una bambina, in una giornata di neve. E poiché la piccola dimostra una straordinaria forza, non lasciandosi indebolire dal gelo, le viene dato il nome di Biancaneve. Cresce felice, ballando e infornando torte per i sudditi, con la promessa ai genitori di rimanere sempre impavida, buona, e giusta.

Ma la sua vita è destinata a cambiare: alla morte della madre, una donna bellissima arriva a palazzo, ammaliando il re. Ben presto la sua natura si rivela, e, quando convince il sovrano a partire per una missione volta a salvare alcune terre, la Regina Grimilde prende il potere, gettando il regno nell’oscurità e nel terrore. Biancaneve viene relegata nell’ala più alta del castello, come serva, ignara che Grimilde, invidiosa di lei, stia progettando di ucciderla. Seguendo la storia del film d’animazione, Biancaneve, una volta fuggita, si ritrova nella casa dei sette nani, ma questa volta sceglie di combattere, affiancata da Jonathan, un ribelle ladro che, anziché essere un principe, lotta in nome del re ormai scomparso.

Scenografie sontuose, fotografia magica. I sette nani? Una sorpresa

I trailer diffusi nel 2024 avevano già dato un’idea di ciò che sarebbe stato il film, e la visione completa conferma molte delle impressioni iniziali. La ricostruzione degli interni del castello, del regno e persino della dimora dei sette nani riesce a restituire quella magia tipica delle fiabe Disney, merito senza dubbio di una scenografia sontuosa e di una fotografia elegante dai toni caldi, che avvolge lo spettatore trasportandolo in un mondo di sogni, speranze e meraviglia. Il grande impegno produttivo è evidente anche nei costumi, realizzati con cura per evitare il famigerato effetto cosplay, ma purtroppo, il celebre abito blu e giallo di Biancaneve, indossato da Rachel Zegler, risulta il meno incisivo tra tutti.

Per quanto riguarda invece i sette nani, al centro di numerose discussioni, dobbiamo ricrederci: sebbene la CGI non sia impeccabile e il loro design non brilli per bellezza – al punto che alcuni potrebbero persino risultare inquietanti – la loro caratterizzazione è riuscita. Sono loro il vero cuore emotivo del film, con un’energia che li rende autentici e, a conti fatti, anche i più divertenti. Simpatici, buffi, genuini: i sette nani si rivelano la sorpresa di un film che, invece, non trova il suo punto di forza nei protagonisti principali.

Il punto debole di Biancaneve

E qui arriviamo al problema principale: attori e sceneggiatura, due pilastri fondamentali per il successo di un film. Se nelle prime scene la narrazione sembra funzionare, tutto inizia a vacillare dopo la canzone Waiting On a Wish, che, va detto, non ha la stessa potenza sonora in doppiaggio. Dal momento in cui Biancaneve fugge nel bosco, la pellicola prende una piega differente. Diversi passaggi narrativi risultano poco chiari, con dinamiche affrettate e scene che si interrompono bruscamente, creando un ritmo spezzato che finisce per distanziare il pubblico dalla storia.

A rafforzare questo distacco è la performance di Rachel Zegler, che in molte sequenze carica troppo le espressioni facciali, rendendo evidente la finzione. Anche Gal Gadot, pur mostrando impegno, fatica a trasmettere appieno la crudeltà e l’invidia di Grimilde. Questo perché, pur avendo assorbito il fascino del personaggio con sguardi intensi e sorrisi malvagi, si scontra con uno script che non valorizza a dovere la villain. Grimilde avrebbe potuto avere maggiore profondità, ma la sceneggiatura la priva di sfumature, rendendo il climax finale debole e respingente nello scontro con la sua rivale in bellezza.

Il valore del grande classico

Se alcuni aspetti lasciano l’amaro in bocca, Biancaneve riesce comunque a regalare momenti di nostalgia grazie ai numerosi riferimenti al classico del 1937, che conquisteranno gli amanti della pellicola originale e i fan Disney. La riproduzione di scene iconiche – come la trasformazione di Grimilde, la fuga nel bosco e i sette nani al lavoro in miniera – è un omaggio commovente. Sono questi i momenti che creano il legame più forte con il passato, suscitando quel senso di familiarità per chi, da bambino, ha visto e rivisto Biancaneve e i sette nani in VHS accoccolato sul divano, premendo il tasto rewind ogni volta che finiva. Un tuffo, perciò, nei ricordi d’infanzia. Una scelta forse prevedibile, ma anche profondamente sentita, che per le vecchie generazioni diventa un motivo in più per rimanere a guardare.

The Equalizer 2 – Senza perdono: la spiegazione del finale del film

The Equalizer – Il vendicatore è il thriller d’azione del 2014 che ha visto Denzel Washington interpretare Robert McCall, un marine letalmente pericoloso diventato ufficiale della DIA. Nel teso film, diretto da Antoine Fuqua, il personaggio di Washington torna in azione con riluttanza per salvare un adolescente dalla mafia russa. Dato il successo di questo lungometraggio, è poi stato realizzato un sequel, The Equalizer 2 – Senza perdono, in cui Robert e il suo ex collega Dave York indagano sull’omicidio di un’altra collega, Susan Plummer, uccisa da assalitori non visti durante quella che sembrava una rapina a Bruxelles.

Nell’indagare su questo omicidio, non ci vuole poi molto perché l’antieroe incallito di Washington scopra la scioccante verità che ha porta al finale. Nel frattempo, un artista adolescente problematico di nome Miles si è offerto di dipingere un murales nell’appartamento di Robert. Queste due trame convergono nelle scene finali di The Equalizer 2 – Senza perdono, quando Miles viene rapito dall’assassino di Susan e Robert deve tornare nella sua città natale per affrontare gli assassini. Nel frattempo, il finale fornisce anche nuove informazioni sulla visione del mondo di Robert, sulle sue lotte e sul percorso che lo ha portato a una vita di protezione degli innocenti.

La spiegazione del finale di The Equalizer 2 – Senza perdono, chi ha ucciso Susan Plummer?

È scioccante apprendere che èstato l’apparentemente dolce e onesto Dave York interpretato da Pedro Pascal a uccidere Susan in The Equalizer 2 – Senza perdono. La donna era stata incaricata di risolvere un caso a Bruxelles dove un agente della CIA ha ucciso la moglie per poi spararsi. Tuttavia, è stata eliminata prima di poter stabilire cosa effettivamente fosse successo. A farla fuori è stato proprio Dave, responsabile di quel crimine. Insieme agli altri ex colleghi di Robert, Kovak, Ari e Resnik, si è infatti dato al crimine dopo essere stati abbandonati dalla DIA nonostante anni di fedele servizio. Sapendo che Susan sarebbe arrivata ad incastrarli, hanno dunque deciso di eliminarla.

Alla luce di ciò, anche se Dave ha trascorso la maggior parte del film cercando di trovare l’assassino di Susan insieme a Robert, si è alla fine rivelato proprio lui il colpevole dell’omicidio. Robert se ne rende conto quando vede il numero di Dave nell’elenco delle chiamate di un assassino che ha tentato, senza riuscirci, di uccidere Robert. A questo punto il sequel diventa veramente brutale: Dave e i suoi soci rapiscono Miles e seguono Robert fino alla sua città natale in riva al mare. Lì, usando la torre di guardia locale come base, Robert li fa però fuori usando una forte tempesta come copertura, per poi affrontare Dave in un combattimento uno contro uno.

Denzel Washington e Pedro Pascal in The Equalizer 2 – Senza perdono
Denzel Washington e Pedro Pascal in The Equalizer 2 – Senza perdono © 2018 – Sony Pictures

Perché c’è un uragano nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono?

L’uragano nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono è un classico caso di fallacia patetica, in cui la natura diventa l’incarnazione delle emozioni dei personaggi. L’omicidio di Susan da parte di Dave ha sconvolto i ricordi di Robert sul periodo trascorso insieme alla DIA e lo ha costretto a confrontarsi con gli orrori del suo passato. Così, la sua città natale è stata letteralmente fatta a pezzi mentre, interiormente, Robert sentiva che anche la sua meritata pace era stata interrotta e fatta a pezzi. L’immagine dell’uragano esteriorizza quindi l’agitazione interna di Robert, che si rende conto che non si può mai tornare veramente a casa dopo aver vissuto gli orrori della guerra. Robert deve invece accettare brutalmente di aver fatto parte della squadra di Dave e di dover uccidere i suoi ex amici.

Il significato della morte di Dave, Kovak, Ari e Resnik

Robert attirato quindi Kovak, Ari e Resnik nella sua città natale e li uccide con un fucile subacqueo, dei coltelli e un’esplosione di polvere. In termini pratici, Robert ha ucciso questi scagnozzi uno alla volta per rendere più facile la resa dei conti finale. A livello metaforico, Robert aveva bisogno di tornare nella sua casa d’infanzia e di infliggere questi destini violenti ai suoi colleghi per uccidere le parti di sé che volevano trasformare la sua rabbia in una vendetta omicida. Robert, come i suoi colleghi, si sentiva ingannato e tradito da un governo noncurante dopo anni di fedele servizio. Per questo motivo, aveva bisogno di ucciderli per assicurarsi di non diventare come loro.

Infine, Robert ha lentamente pugnalato a morte Dave con il suo stesso coltello, utilizzando le tecniche che entrambi hanno imparato alla DIA. Dave si è appoggiato alla sua rabbia, amarezza e risentimento per diventare un assassino, mentre Robert ha rivolto la lama su Dave (e, per estensione, sul suo stesso risentimento). The Equalizer 2 – Senza perdono è stato il primo sequel nella carriera di Denzel Washington e questo pesante finale spiega perché. Quando Robert ha ucciso Dave, ha scelto la strada del perdono piuttosto che quella della vendetta violenta. Questo gli ha conferito un senso di responsabilità che mancava nel finale dell’originale The Equalizer – Il vendicatore.

Denzel Washington e Ashton Sanders in The Equalizer 2 – Senza perdono
Denzel Washington e Ashton Sanders in The Equalizer 2 – Senza perdono © 2018 – Sony Pictures

Il significato del murales di Miles

Per quanto riguarda la linea narrativa dedicata a Miles, nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono, il ragazzo dipinge un’idilliaca scena rurale sul lato dell’edificio in cui vive Robert. Il murale raffigura una comunità che si prende cura dei propri raccolti, riflesso dell’orto comune del condominio e testimonianza del potere della riabilitazione comunitaria. Dopo tanti spargimenti di sangue e morti, Robert non avrebbe potuto trovare uno scopo nella sua vita se non fosse stato per il potere riparatore della comunità. Offrendosi come mentore di Miles, Robert ha incarnato l’approccio olistico alla vita, incentrato sulla comunità, descritto nella visione utopica di Miles. Tuttavia, l’incapacità di Robert di offrire la stessa guida ai suoi colleghi lo perseguita dopo la loro morte per mano sua.

Il vero significato del finale di The Equalizer 2 – Senza perdono

Anche se il finale di The Equalizer 2 – Senza perdono non è del tutto tragico, c’è un forte senso di tristezza. Robert riunisce un sopravvissuto all’Olocausto con il fratello perduto da tempo grazie alle sue capacità, ma non riesce a costringere Dave a vedere un percorso per la sua vita che non sia definito dalla violenza e dalla punizione. Come dice il Nuovo Testamento, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”, e Robert se n’è reso conto quando si è dimostrato più facile cavare gli occhi a Dave che fargli capire l’errore dei suoi modi.

Robert avrebbe potuto facilmente diventare un altro mercenario scontento come Dave, Kovak, Ari e Resnik, e nel finale di The Equalizer 2 – Senza perdono è stato costretto a fare i conti con questo fatto. Incoraggiando Miles a perseguire l’arte invece di una vita criminale, Robert ha trasmesso la sua saggezza alla generazione successiva. Tuttavia, non è riuscito a salvare gli uomini con cui ha combattuto e, alla fine, è stato lui a doverli uccidere. Nonostante i suoi tentativi di aiutare i bisognosi, Robert McCall è dunque ancora turbato dai suoi limiti nel finale di questo film, poiché si rende conto che avrebbe potuto essere tentato dal crimine proprio come i suoi fratelli in armi. Forse è anche per questo che in The Equalizer 3 – Senza tregua, cerca pace lontano da quei luoghi.

The Monkey: recensione del nuovo film del regista di Longlegs

The Monkey: recensione del nuovo film del regista di Longlegs

Dopo aver trasformato Nicolas Cage nel suo incredibile LonglegsOsgood – detto Oz – Perkins rilancia con il nuovo The Monkey, distribuito al cinema da Eagle Pictures a partire dal 20 marzo 2025. Un film che riunisce parte di un ipotetico Gotha dell’horror, nel quale non potrebbero mai mancare James Wan (il padre delle saghe di The Conjuring e Saw, qui produttore) e Stephen King, autore del racconto (contenuto nella raccolta “Scheletri“) dal quale nasce questo adattamento, interpretato da Theo James, nel doppio ruolo del tormentato e disperato protagonista, e diretto appunto dal figlio dell’Anthony Perkins di Psycho.

Da Psycho a Stephen King

Che abbiamo visto muovere i primi passi su un set nel 1983, come ‘giovane Norman’ nel Psycho II di Richard Franklin, ed esordire alla regia nel 2015, con February – L’innocenza del male nel 2015, prima dell’interessante Sono la bella creatura che vive in questa casa nel 2016 e la versione personale del poco fiabesco Gretel e Hansel nel 2020, prima del citato Longlegs. E che per questo gradito ritorno sceglie di attingere alla storia “La scimmia“, pubblicata dal Re del Brivido nel novembre del 1980, dopo che in passato era stato Kenneth J. Berton, nel 1984, a farne un film con il suo Il dono del Diavolo (The Devil’s Gift).

La trama di The Monkey

Nel 1999, Petey Shelburn tenta di restituire, e distruggere, una scimmia giocattolo in un negozio di antiquariato, ma il congegno meccanito tutto è tranne che un gioco. Come dimostra la reazione a catena che si scatena, solo la prima stazione di una interminabile via crucis disseminata di morti incredibili che sembrano funestare la famiglia Shelburn e i due piccoli figli di Petey, Hal e Bill. Sono loro a sospettare del potere nefasto della scimmia e a disfarsene… ma per quanto? Venticinque anni dopo, infatti, i due, ormai separati dalla vita e dalla precisa intenzione di non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, sono costretti a riavvicinarsi dall’inatteso riapparire del “giocattolo”. Ma se non fosse un caso? Come potrebbe Hal evitare che la maledizione ricada su suo figlio Petey?

Il destino è quel che è

Tutti muoiono, il film ce lo ricorda, ma accettato questo assunto tanto vale sbizzarrirsi. Chissà che non sia stato questo il pensiero di Oz Perkins nell’architettare questo adattamento infarcendolo di invasioni di vespe assassine, donne che esplodono e incidenti mortali di ogni tipo, nel quale il pericolo è dietro ogni angolo, dalla piscina al ristorante, sia che si resti in casa sia che si vada a fare shopping. Morti talmente assurde, esagerate ed esplicite da fargli andare stretto persino il collegamento – spontaneo, a vedere il film – con il franchise di Final Destination, e che probabilmente faranno la gioia di molti appassionati del genere.

Il Dark Humour in The Monkey

Questo senso dell’umorismo ‘malato’ è in fondo la cifra principale del film, nel bene e nel male, visto che spesso, a fronte della grande creatività omicida e dell’abilità del regista a costruire gradualmente la tensione, viene a mancare proprio quella che dovrebbe essere la spina dorsale dell’horror. La forza evocativa e inquietante del giocattolo ha molta meno intensità e presa di altri suoi simili, sostanzialmente ridotto a osservatore silente e trasformato in una sorta di innesco di quello che è il vero conflitto, quello tra i due fratelli.

Una scelta spiazzante, che spezza in due il film, dopo un prologo avvincente e una premessa promettente, affidandosi spesso a cliché e a una storia debole nella sua rappresentazione, anche come mero tessuto connettivo tra sequenze emozionanti e visivamente di impatto, che finisce per dilungarsi eccessivamente prima della definitiva conclusione. Anche questo effetto della libertà che Perkins dimostra di prendersi nella trasposizione del racconto, insieme alla fondamentale aggiunta di un fratello gemello, elemento che gli permette di fare proprio il film e approfondire le dinamiche familiari (dal rifiuto della paternità al senso di colpa per quanto vissuto nell’infanzia) e i traumi che uniscono Hal e Bill, fino ad assumere i tratti di una vera e propria maledizione, da affrontare, accettare o scontare.

Un tentativo di catarsi personale per Perkins

Tutto ciò, unito alla relazione fratturata affidata al doppio Theo, aggiunge profondità al racconto e un peso specifico particolare al cercarsi e confrontarsi dei due gemelli. Forse non quella desiderata dallo spettatore medio, che certo non si aspetterà Bergman, ma si ritroverà di fronte a un progetto decisamente personale per il regista, che ha pubblicamente ammesso di continuare a sfruttare i propri film – almeno Longlegs e The Monkey – per affrontare la depressione causata dalla morte “mediatica” dei suoi genitori (il padre a causa dell’AIDS e la madre Berinthia “Berry” Berenson negli attentati dell’11 settembre 2001) e mettere in scena genitori assenti, le drammatiche conseguenze di certi segreti familiari, il desiderio di vendetta e la paura di una distruttiva coazione a ripetere il passato.

Attenti al gorilla

Attenzione a fraintendere, The Monkey è sufficientemente divertente, splatter e grottesco da appartenere a buon titolo al genere e da poter essere apprezzato dallo stesso King (nonostante il tradimento del suo originale), a patto di possedere lo stesso humour del regista e sceneggiatore. Che, come detto, a scelte convincenti di stile (dai titoli ‘western’ a una fotografia desaturata e un commento musicale ben calibrato) e una pletora di personaggi di contorno surreali, unisce uno sviluppo non sempre di livello. Per ritmo e coerenza. Che rischierà di annoiare qualcuno, forse i poco impressionabili, ma che per lo meno non si prende sul serio. Decisamente.

Sconfort Zone: la recensione della serie Prime Video di Maccio Capatonda

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Marcello Macchia, meglio noto come Maccio Capatonda, torna con Sconfort Zone, una serie disponibile dal 20 marzo su Prime Video che rappresenta una svolta nella sua carriera, quasi una auto analisi che Macchia trasforma in racconto semi serio di una sua difficoltà personale. Conosciuto per il suo stile comico surreale e dissacrante, Capatonda questa volta si spinge oltre i confini della semplice parodia, esplorando il lato più intimo e vulnerabile della sua creatività.

Di cosa parla Sconfort Zone?

La serie segue Maccio Capatonda nei panni di sé stesso, alle prese con una profonda crisi creativa. Incapace di scrivere una nuova sceneggiatura, si affida alle cure del Professor Braggadocio (Giorgio Montanini), uno psicologo dai metodi non convenzionali che lo sottopone a una serie di esperimenti per aiutarlo a riscoprire la propria ispirazione. Quello che inizia come un percorso di rinascita artistica si trasforma presto in una vera e propria ridefinizione della sua identità, portandolo a mettere in discussione non solo la sua carriera, ma anche la sua intera esistenza.

Un esperimento metatestuale

Fin dalle prime immagini, Sconfort Zone si presenta come un’opera metatestuale, giocando con la realtà e la finzione. Il protagonista affronta prove che affondano in riflessioni su temi profondi come la malattia, la morte e il senso della propria arte. In un primo momento, questa virata verso un tono più drammatico può lasciare spiazzati i fan abituati alle gag esilaranti dell’attore abruzzese, ma man mano che la storia si sviluppa, emerge un perfetto equilibrio tra momenti di riflessione e la sua inconfondibile vena comica, mai del tutto abbandonata. Anche nei momenti più drammatici risulta difficile non stare allerta in attesa della prossima intrusione nel surrealismo tipico della comicità di Maccio.

Uno degli elementi più riusciti della serie è la presenza di Valerio Desirò nei panni di un infermiere esuberante e sarcastico, capace di alleggerire i momenti più tesi con battute taglienti e una efficace cadenza romana. Il suo personaggio non è solo un elemento comico, ma anche una figura che incarna il precariato e le difficoltà della generazione contemporanea che si aggrappa alla risata come esorcismo nei confronti della difficoltà. Il cast di supporto, composto da Francesca Inaudi (compagna di Maccio nella finzione), Luca Confortini, Camilla Filippi, e il trio di comici Valerio Lundini, Edoardo Ferrario e Gianluca Colucci, che interpretano gli amici intimi del protagonista (uno specchio deformato in cui Marcello/Maccio riflette le proprie insicurezze) arricchisce ulteriormente il tessuto narrativo della serie, offrendo interpretazioni autentiche e sfumate, continuamente tentate dal superare la linea di demarcazione tra tono drammatico e surreale

Citazioni pop accanto a riflessioni sull’arte e sulla vita

Se Sconfort Zone si distingue per il suo coraggio tematico, altrettanto audace è il suo approccio stilistico. Maccio Capatonda fonde la sua tipica ironia con un linguaggio più cinematografico, impreziosendo la narrazione con riferimenti alla cultura pop e citazioni colte. Alcune scene, tra cui una toccante sequenza che richiama Ritorno al Futuro, dimostrano una maturità registica sorprendente (Macchia dirige a quattro mani con Alessio Dogana, che viene dal documentario). La serie riesce a bilanciare il suo umorismo con momenti di pura introspezione, creando un’esperienza coinvolgente e stratificata.

Ma ciò che rende Sconfort Zone davvero speciale è la sua capacità di parlare a un pubblico trasversale. Dietro la trama autobiografica e i riferimenti ironici al mondo dello spettacolo, si cela una riflessione più ampia sulla pressione creativa e sull’identità nell’era della sovraesposizione digitale, quando la necessità di creare contenuto a tutti i costi sovrasta l’estro naturale e ispirato che alimenta la creatività di artisti e attori. Capatonda non si limita a intrattenere, ma solleva interrogativi su cosa significhi essere un artista oggi, in un mondo in cui l’originalità sembra sempre più soffocata dalle logiche di mercato.

Marcello Macchia dimostra con Sconfort Zone di riuscire a gestire sia la sua nota vocazione comica fondendola con un registro insolito per lui, che mira a un’analisi più profonda, un viaggio dentro la mente di un artista in crisi, che riesce in egual misura a divertire e emozionare, offrendo spunti di riflessione e aprendo porte sul mondo privato dell’autore.

A Different Man, recensione del film con Sebastian Stan

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A Different Man, recensione del film con Sebastian Stan

Un’opera audace che gioca con il concetto di identità, percezione e bellezza, A Different Man è il nuovo film scritto e diretto da Aaron Schimberg. Con una trama che riecheggia il classico Operazione diabolica (1966) di John Frankenheimer, il film segue Edward (interpretato da Sebastian Stan), un attore newyorkese con neurofibromatosi, una condizione che gli causa vistosi tumori facciali e lo relega a ruoli marginali come quelli nei video aziendali sulla diversità e l’inclusione. La sua vita cambia quando accetta di sottoporsi a un trattamento sperimentale che lo trasforma radicalmente, dandogli l’aspetto di una star del cinema. Ma il cambiamento esteriore non si traduce in una nuova vita felice: Edward scopre che il suo senso di inadeguatezza non era solo una questione estetica.

Il fascino di una narrazione complessa

La forza di A Different Man risiede nella sua capacità di esplorare il concetto di identità in modo sfumato e spesso ironico. Schimberg non tratta Edward con condiscendenza, evitando la tipica rappresentazione di personaggi diversi come esseri straordinariamente virtuosi o saggi. Edward è insicuro, mediocre come attore e non particolarmente brillante. Il suo desiderio di cambiare aspetto non nasce da un bisogno di accettazione sociale, ma da una cieca ambizione artistica. Tuttavia, quando il cambiamento avviene, le cose non migliorano come sperava: il suo nuovo aspetto lo porta solo a una crisi ancora più profonda.

L’ironia sottile che percorre tutto il film e l’estetica vintage ottenuta anche grazie alla pellicola Super 16mm scelta dal direttore della fotografia Wyatt Garfield contribuiscono a rendere credibile l’atmosfera da cinema indipendente anni ’70 e coniuga l’omaggio stilistico al senso di intimità e contraddizione che il protagonista porta avanti nella sua turbolenta parabola personale.

Un cast brillante e performance straordinarie

Sebastian Stan, noto per il suo ruolo di Bucky Barnes nel MCU, dimostra ancora una volta il suo talento nelle produzioni più rischiose. La sua interpretazione di Edward/Guy non si basa solo sul cambiamento estetico, ma su una profonda trasformazione fisica e vocale. La sua postura rimane esitante, il suo tono di voce incerto, mostrando che l’insicurezza è radicata nella sua personalità, non nel suo aspetto. Stan mette a segno un’altra performance di grande spessore nella stagione cinematografica che gli è valsa la sua prima nomination agli oscar con l’interpretazione del giovane Donald Trump in The Apprentice – Alle origini di Trump.

Accanto a lui, Renate Reinsve (già acclamata per La persona peggiore del mondo) offre un’altra interpretazione affascinante. Il suo personaggio, Ingrid, è una drammaturga norvegese che si trasferisce a New York con grandi sogni e una personalità carismatica ma ambigua. Il suo rapporto con Edward è inizialmente di supporto, ma si complica quando lei scrive un’opera teatrale ispirata alla loro amicizia e alla sua trasformazione, creando una dinamica di potere intrigante.

Il vero fulcro emotivo del film è però Adam Pearson nel ruolo di Oswald. Pearson, che nella realtà convive con la neurofibromatosi, incarna un personaggio diametralmente opposto a Edward: sicuro di sé, affascinante e dotato di una magnetica presenza scenica. Oswald rappresenta tutto ciò che Edward avrebbe voluto essere, nonostante condividano la stessa condizione fisica. Questa dicotomia genera una tensione psicologica che diventa il cuore pulsante del film.

A Different Man è una satira sull’autenticità

A Different Man è una satira oscura sulla bellezza e sull’autenticità. Il film suggerisce che la società ha una visione ristretta di ciò che è desiderabile e normale, ma va oltre la semplice critica. Schimberg scava più a fondo, mettendo in discussione anche la rappresentazione della disabilità nel cinema. Edward e Oswald dimostrano che una condizione fisica può portare a percorsi di vita molto diversi, smentendo il cliché della persona diversamente abile come vittima o come esempio di forza sovrumana.

Un finale aperto in linea con lo spirito del film

Nella seconda parte, il film si fa sempre più surreale, con una narrazione frammentata che riflette la crisi d’identità del protagonista. Quando Edward/Guy si rende conto di non essere comunque felice, la sua ossessione per Oswald cresce fino a diventare autodistruttiva. Il film lascia molte domande senza risposta, preferendo suggerire piuttosto che spiegare. Questo senso di sospensione potrebbe risultare frustrante per alcuni spettatori, ma è coerente con il tono della storia che non si ferma mai a un giudizio univoco e lascia sempre spazio per discussione e contraddittorio.

A Different Man è un film stimolante, che sfugge alle convenzioni del genere e propone una riflessione profonda sul rapporto tra aspetto fisico, autostima e percezione sociale. Grazie a una regia intelligente, un’estetica ricercata e interpretazioni memorabili, Schimberg firma un’opera unica nel suo genere. Non tutto funziona perfettamente, soprattutto nella seconda parte, ma il film rimane un’esperienza intrigante e provocatoria, da vedere e discutere.

Adolescence, la spiegazione del finale: Jamie ha davvero ucciso Katie?

Il finale della miniserie Netflix Adolescence, visivamente impressionante ed emotivamente straziante, rivela la verità su chi ha ucciso Katie. Stephen Graham è il protagonista del cast di Adolescence nel ruolo di Eddie Miller, il padre devastato di Jamie Miller, un ragazzo apparentemente normale che viene accusato di aver accoltellato a morte la sua compagna di classe, Katie. Graham, che ha sviluppato la serie thriller culinaria del 2023 Boiling Point, ha anche co-creato la miniserie in quattro parti con Jack Thorne. Adolescence ha ricevuto un raro punteggio del 100% da parte della critica su Rotten Tomatoes, diventando una delle nuove serie più acclamate dalla critica del 2025.

Adolescence è realizzata in modo brillante e si svolge come uno spettacolo teatrale, con ogni episodio girato in un unico piano sequenza. Mentre l’aspetto visivo della serie Netflix è un’impresa a sé stante, la storia di Adolescence rimane la parte più avvincente del dramma psicologico. Dopo che l’episodio 1 segue Jamie attraverso il protocollo della polizia dopo il suo intenso arresto e il primo interrogatorio, l’episodio 2 dà uno sguardo alla scuola frequentata da lui e Katie, mentre l’episodio 3 rivisita il tormentato Jamie mentre entra e esce dal controllo con uno psicologo. L’episodio 4 si svolge 13 mesi dopo che Jamie è stato accusato dell’omicidio di Katie e si conclude con una tragica nota definitiva su ciò che è realmente accaduto.

La scelta di Jamie di dichiararsi colpevole è la prova che ha ucciso Katie

Jamie confessa finalmente di aver ucciso Katie con la sua dichiarazione di colpevolezza

L’episodio 4 di Adolescenza si svolge il giorno del 50° compleanno di Eddie, motivo per cui riceve un biglietto di auguri da Jamie, che è detenuto da oltre un anno in attesa di processo. L’episodio mostra come la famiglia Miller abbia superato in parte il trauma causato da Jamie, ma non del tutto. Dopo aver avuto a che fare con alcuni teppisti che vandalizzano il suo furgone, Eddie perde la calma fuori da un negozio di bricolage, causando una scenata. Eddie riceve una telefonata da Jamie, che gli augura buon compleanno e gli dà una notizia allarmante: si dichiara colpevole. Questo conferma essenzialmente che Jamie ha effettivamente pugnalato Katie sette volte e l’ha uccisa, come mostrato dalle prove video delle telecamere a circuito chiuso nell’episodio 1.

Perché Eddie non riusciva a credere che Jamie fosse un assassino dopo aver visto le prove video

Adolescence

Eddie era spinto dal rifiuto di proteggere suo figlio a tutti i costi

Uno degli aspetti più affascinanti del personaggio di Jamie era quanto fosse convincente nel mentire e manipolare. Questo aspetto viene messo in piena evidenza con il suo terapeuta nell’episodio 3. Anche se Eddie ha visto le immagini innegabili di Jamie che accoltellava e uccideva Katie, non riusciva a crederci completamente.

Dopo aver finalmente ascoltato la confessione di Jamie, Eddie capisce di essere stato ingannato per tutto il tempo e la realtà finalmente affiora nella sua mente e in quella della sua famiglia.

Negli ultimi 13 mesi, sembrava che la famiglia Miller avesse ancora qualche speranza che il figlio non fosse un assassino, probabilmente come misura difensiva perché il dolore di una tale verità sarebbe stato troppo grande. Dopo aver finalmente ascoltato la confessione di Jamie, Eddie capisce di essere stato ingannato per tutto il tempo e la realtà finalmente affiora nella sua mente e in quella della sua famiglia.

La spiegazione della conversazione emotiva di Eddie e Manda su Jamie

Adolescence

Si sentono in colpa per aver creato un assassino, ma hanno anche cresciuto una figlia fantastica

Dopo la notizia scioccante della decisione di Jamie, Eddie e Manda hanno una conversazione emotiva e riflessiva sul figlio, che dovrà sicuramente affrontare anni di prigione. Ricordano i giorni migliori, analizzando anche cosa avrebbero potuto fare diversamente, assumendosi la colpa e la responsabilità di averlo “creato”.

Eddie dice che ha cercato di avvicinarlo allo sport, ma Jamie non era interessato, mentre Manda ricorda come Jamie tornava a casa da scuola, si metteva al computer e rimaneva sveglio fino a tarda notte. Mentre Eddie e Manda si assumono la responsabilità di averlo reso un assassino, la loro figlia Lisa entra e ricorda loro che hanno creato anche lei e che non possono incolpare se stessi per il lato oscuro di Jamie.

Perché alcuni ragazzi hanno scritto “Nonse” sul furgone di Eddie

Adolescence episodio 4 inizia con Eddie che scopre che il suo furgone di lavoro è stato vandalizzato, con alcuni ragazzi che hanno scritto “Nonse” con vernice spray gialla affinché tutti i vicini di Eddie potessero vederlo. In gergo britannico, un “nonce” si riferisce a un molestatore sessuale, in particolare uno che coinvolge bambini. Lisa vede la scritta e dice a sua madre di essere confusa su chi sia il “nonse”, se Eddie o Jamie. Jamie ha rivelato nell’episodio 3 di essere stato tentato di toccare Katie in modo inappropriato, ma di non averlo mai fatto. D’altra parte, è impossibile sapere quanto Jamie fosse sincero.

L’episodio 4 evidenzia anche il fatto che Eddie sta avendo qualche difficoltà a gestire la situazione di Jamie e la sua continua lotta contro la rabbia. Quando Eddie affronta l’adolescente che ha vandalizzato il suo furgone, gli urla “Non prendermi in giro”, che può essere interpretato come una leggera ammissione di colpa, come se sapesse che “nonse” era riferito a lui. Mentre Lisa non ha idea della questione, Manda potrebbe sapere qualcosa sul passato di Eddie che non viene necessariamente alla luce alla fine di Adolescenza. Forse i ragazzi che hanno scritto “nonse” hanno sentito dire che Eddie aveva abusato sessualmente di Jamie. In ogni caso, l’accusa di “nonse” nei confronti di Eddie o Jamie sembra infondata.

Chi è Jenny e perché Manda continua a parlarne

Manda menziona “Jenny” più volte durante la sua discussione con Eddie, ricordandogli ciò che lei ha detto su alcuni suoi comportamenti. Anche se Jenny non appare nella serie, è lecito supporre che sia la terapista di Eddie e potrebbe anche essere una consulente di coppia per Eddie e Manda.

Eddie ha chiaramente dei difetti e il suo problema più evidente è la rabbia incontrollabile: chiede a sua moglie se lui ha “trasmesso” questo a Manda, che nega, quando in realtà è una domanda a cui è impossibile rispondere. Sicuramente i bambini esposti all’idea che gli uomini esercitano il dominio o il controllo attraverso la rabbia e la violenza potrebbero implementare queste nozioni nella loro personalità e percezione.

Spiegato il motivo per cui Jamie ha ucciso Katie

Adolescence

Adolescence esplora diversi aspetti della mentalità malsana di Jamie

Jamie lo ha reso ufficiale nell’episodio finale di Adolescence, ma era già chiaro fin dalla fine del primo episodio. Attraverso la visione giovanile di suo figlio, Bascombe scopre che Jamie era vittima di bullismo subliminale da parte di Katie, che usava determinate emoji nei commenti sui suoi post Instagram per insinuare che lui fosse un “incel”. Si parla anche della “manosfera” e di altri pilastri della mascolinità tossica, perpetuati da figure controverse come Andrew Tate, che viene persino menzionato direttamente nella serie.

Questi elementi, combinati con la scuola turbolenta di Jamie, la sua patologica propensione alla menzogna, la storia familiare di rabbia e la profonda insicurezza, dipingono un quadro comprensibile del perché qualcuno che è stato rifiutato e vittima di bullismo da una ragazza che gli piaceva avrebbe potuto vendicarsi con la forza bruta, potenzialmente senza rendersi conto della gravità delle sue azioni.

Il vero significato del finale di Adolescenza

Adolescence fa un ottimo lavoro non solo nel sollevare le questioni relative alle aggressioni con arma da taglio tra adolescenti nella vita reale, che hanno ispirato la serie, ma anche nell’offrire alcune circostanze applicabili e vie verso la comprensione. Graham e Thorne presentano l’esperienza dell’adolescenza stessa come enigmatica e spesso irrazionale, alimentata sempre più dal gergo di Internet, dai cosiddetti influencer e da ingegnosi espedienti di cyberbullismo. Considerando il contesto completo della situazione di Jamie, è chiaro che aveva molte difficoltà sociali e personali che non sapeva come elaborare o esprimere a un adulto di fiducia. Gli spettatori di Adolescenza decidono quindi a chi attribuire la colpa.

Con un argomento così confuso e indescrivibile, Adolescenza offre brillantemente una prospettiva empatica, avviando al contempo un dibattito sociale fondamentale.

Jamie non era in terapia fino a dopo aver ucciso Katie, il che gli avrebbe almeno aiutato a chiarire in anticipo alcuni dei suoi sentimenti intensi e violenti. Jamie è senza dubbio tragico in un certo senso e solleva ogni sorta di domande e dibattiti, come ad esempio se fosse davvero destinato a diventare un assassino e, in tal caso, cosa lo abbia condizionato: i suoi genitori, i suoi coetanei, il mondo esterno (Internet)? L’ultima frase di Eddie sullo schermo, “Avrei dovuto fare di meglio”, mostra il suo dolore naturale, ma l’indagine di Bascombe rivela che c’erano alcune cose che sfuggivano al controllo di Eddie e Manda. Con un tema così confuso e indescrivibile, Adolescenza offre brillantemente una prospettiva empatica, avviando al contempo un dibattito sociale fondamentale.

The Electric State: la recensione del film Netflix con Millie Bobby Brown

Immagina una Eleven ancora più solitaria e arrabbiata, con un biondo ossigenato da vera ribelle e un’energia da outsider in rotta col mondo. Affiancale ora uno Star-Lord più trasandato e disilluso del solito, spogliato della sua ironia sfacciata, e catapulta entrambi in un universo dove il retrò e il futuristico si fondono in un’estetica nostalgica e intrigante. Sulla carta, The Electric State dei fratelli Russo sembrerebbe un mix esplosivo, il perfetto road movie sci-fi capace di conquistare cuore e mente. Eppure, qualcosa non torna del tutto.

Basato sull’omonimo romanzo illustrato del 2018 di Simon StålenhagThe Electric State è il nuovo emozionante film Netflix diretto da Anthony e Joe Russo, con una sceneggiatura firmata da Christopher Markus e Stephen McFeely. Il cast è stellare: accanto a Millie Bobby Brown e Chris Pratt troviamo il premio Oscar® Ke Huy Quan, Jason Alexander, Giancarlo Esposito, il candidato all’Oscar® Stanley Tucci e Woody Norman. The Electric State è disponibile dal 14 marzo su Netflix.

Cosa racconta The Electric State?

The Electric State è ambientato in un’America rétro-futuristica degli anni ’90, segnata dalle conseguenze di una guerra devastante tra umani e robot. In questa versione alternativa del passato, le macchine senzienti erano state inizialmente accolte come strumenti essenziali per la società, occupandosi di compiti di pubblica utilità e supportando gli esseri umani nella vita quotidiana. Nonostante ciò, la loro richiesta di diritti e riconoscimento ha scatenato un conflitto inevitabile tra umani e macchine, culminato nella sconfitta di questi ultimi e nel loro esilio.

Il mondo che ne è scaturito è profondamente mutato: la tecnologia permea ogni aspetto della vita, ma invece di avvicinare le persone, le ha rese sempre più isolate, immerse in realtà digitali attraverso i loro neurocaster. In questo scenario, Michelle (Millie Bobby Brown – Stranger ThingsEnola HolmesDamsel), un’adolescente segnata dalla perdita dei genitori e del fratellino Christopher in un incidente stradale avvenuto anni prima, fatica ad adattarsi a una società ormai disumanizzata. Nel frattempo, i robot senzienti, un tempo pacifici e dalle sembianze quasi giocose, sono stati relegati in un fatiscente paesino, un limbo di rottami e sogni infranti dopo la loro ultima, fallita ribellione.

Ma la vita di Michelle cambia di nuovo quando, all’improvviso, riceve la visita di Cosmo, un misterioso e affettuoso robot che sostiene di essere controllato da Christopher, il fratellino che ha perduto. Con lui si riaccende la speranza di riunire la sua famiglia, o almeno ciò che ne resta. Determinata a scoprire la verità, Michelle intraprende un viaggio pericoloso verso la Zona Interdetta nel sud-ovest americano, decisa a capire chi li ha separati e perché, dopo quel tragico incidente. Ad accompagnarla in questa avventura sarà Cosmo, ma anche Keats (Chris PrattGuardiani della GalassiaJurassic World), un contrabbandiere dal carattere ruvido, e il suo inseparabile compagno robotico Herman, doppiato nella versione originale da Anthony Mackie.

Ritrovare l’umanità che abbiamo perso

Può un ammasso di metallo e circuiti provare più empatia e lealtà di un essere umano? D’istinto, verrebbe da rispondere con un no secco. Eppure, la storia nata dall’immaginazione di Simon Stålenhag ci porta a riconsiderare questa certezza. La commovente avventura di Michelle e Keats dipinge un mondo in cui gli esseri umani si sono fatti più freddi, distanti e alienati di qualsiasi macchina. Nel loro lungo viaggio attraverso un’America fatiscente e nostalgica, i due trovano ben poco calore tra le persone, ad eccezione di Keats stesso, che condivide con Michelle un senso di inadeguatezza, ribellione e solitudine.

Paradossalmente, il vero rifugio lo scopriranno in un villaggio dimenticato, un luogo dove i robot dotati di coscienza sono stati esiliati e abbandonati, scartati dalla società umana nonostante il loro desiderio di restare accanto alle persone. In questo angolo di rottami e malinconia, Michelle e Keats realizzeranno che forse l’umanità non risiede più nelle persone, ma in ciò che loro stesse hanno creato e poi respinto.

Ed è proprio attraverso la tragica storia familiare di Michelle che Stålenhag sembra rivolgere al pubblico una domanda silenziosa ma potente: quando abbiamo smesso di essere umani? Mentre la giovane determinata protagonista cerca di ricostruire ciò che ha perduto, il film invita lo spettatore a guardare dentro se stesso e riflettere su quanto l’umanità abbia sacrificato sull’altare della tecnologia. In un mondo dove le connessioni reali si sono assottigliate e l’empatia sembra sempre più un’illusione, The Electric State diventa un monito: forse non sono i robot a voler essere più umani, ma siamo noi a dover riscoprire cosa significhi davvero esserlo.

Un cast stellare e un’ambientazione che rapisce

Al di là della sua emozionante storia e del profondo messaggio sottostante, The Electric State conferma ancora una volta la maestria dei fratelli Russo nel miscelare sentimentalismo, avventura e azione, regalando due ore di puro intrattenimento. Il film scorre con un equilibrio perfetto tra emozione e spettacolo visivo, riuscendo a coinvolgere il pubblico sia a livello narrativo che estetico.

Il cast hollywoodiano brilla, con una coppia protagonista che funziona alla perfezione. Millie Bobby Brown e Chris Pratt dimostrano fin dalle prime scene un’alchimia vincente, riuscendo a conquistare la scena grazie al loro carisma e talento. I loro personaggi, apparentemente opposti, si rivelano in realtà molto più simili di quanto sembri inizialmente, dando vita a un rapporto che evolve in modo naturale e convincente.

Ma non sono solo gli eroi a spiccare: anche gli antagonisti lasciano il segno. Stanley Tucci (Amabili resti, Il diavolo veste Prada) è impeccabile nel ruolo di Ethan Skate, il folle magnate della tecnologia a capo della Sentre, una corporazione tanto potente quanto inquietante. Al suo fianco, Giancarlo Esposito (Captain America: Brave New World, Breaking Bad) regala un’interpretazione memorabile nei panni del Colonnello Bradbury, detto Il Macellaio, un uomo spietato che ha guadagnato il suo soprannome sterminando robot senzienti durante la guerra. Il loro carisma e la loro presenza scenica elevano il film, offrendo antagonisti credibili e sfaccettati, che incarnano perfettamente le tematiche di potere e disumanizzazione esplorate dalla storia.

Anche l’ambientazione gioca un ruolo chiave nell’immergere il pubblico in un mondo che mescola passato e futuro con un tocco di malinconia. La nostalgia degli anni ’90 – un decennio ormai mitizzato da un’intera generazione – si intreccia con un futuro distopico fin troppo plausibile, creando un’atmosfera unica. La fusione tra elementi vintage, colonna sonora pop e tecnologie obsolete si integra perfettamente con la presenza di dispositivi futuristici come i neurocaster e le imponenti macchine da guerra telecomandate dagli umani, comodamente seduti nel salotto di casa. Il risultato è un universo visivo che non solo affascina, ma che fa anche riflettere sul rapporto sempre più alienante tra uomo e tecnologia.

Non è tutto oro ciò che luccica

Che i fratelli Russo sappiano come sfruttare al meglio il mezzo cinematografico per dare vita a storie che restano impresse è ormai una verità consolidata. Con The Electric State, continuano a dimostrare il loro talento nel creare un’esperienza visiva coinvolgente, arricchita da emozioni forti e momenti che lasciano il segno. Tuttavia, nonostante la bellezza estetica e l’intensità delle emozioni che cercano di suscitare, il film manca di quella profondità e della tensione drammatica che ci si aspetterebbe da una storia così ricca e un cast altrettanto vincente.

Il film, purtroppo, sembra seguire la stessa sorte di un soufflé: cresce e si eleva nelle prime scene, mostrando la sua forma più affascinante e ben costruita, per poi sgonfiarsi e perdere di consistenza nel corso della narrazione. Il viaggio emotivo e di formazione che Michelle intraprende all’inizio, segnato da una ricerca di riscatto e dalla necessità di elaborare il lutto, trova nella seconda parte del film una trasformazione che, seppur significativa, manca di quella potenza che ci si aspetterebbe in un racconto così carico di potenziale. La sua presa di coscienza e l’accettazione del dolore sembrano troppo snelle e prive di un percorso davvero coinvolgente, lasciando lo spettatore con una sensazione di incompiutezza.

Pur toccando le corde giuste, The Electric State fallisce nel mantenere alta la tensione emotiva necessaria per trasformare questo viaggio in una vera e propria rivelazione

Scissione – Stagione 2, episodio 9, la spiegazione del finale:

Scissione – Stagione 2, episodio 9, la spiegazione del finale:

L’episodio 9 della seconda stagione di Scissione (Severance) prepara perfettamente il terreno per il finale, dando un assaggio di come potrebbe concludersi la storia di ogni personaggio principale. Nei primi minuti, l’episodio 9 della seconda stagione rivela le grandi aspettative che Jame Eagan ripone in Helena. Tuttavia, qualunque cosa lei faccia, lui sembra deluso e persino infastidito dal fatto che lei non mangi le uova crude come Kier. Dopo aver mostrato come Helena sia schiacciata dalle aspettative del padre e dall’eredità della sua famiglia, l’episodio 9 della seconda stagione di Severance fa empatizzare gli spettatori con Huang, accennando al suo futuro alla Lumon. Anche Dylan, l’innie, attraversa una delle fasi più difficili della sua vita quando incontra di nuovo la moglie del suo outie.

Nel frattempo, gli outie di Burt e Irving parlano finalmente della relazione dei loro innies e vivono una serie di emozioni complesse prima di separarsi. L’episodio della seconda stagione di Scissione (Severance) si conclude finalmente con l’arrivo di Cobel, Mark e Devon al Damona Birthing Retreat, dove Cobel spera di poter parlare con l’innie di Mark.

Perché Cobel vuole parlare con l’innie di Mark nel finale dell’episodio 9 della seconda stagione di Severance

Quasi per tutto l’episodio 9 della seconda stagione di Severance, Mark non può fare a meno di sospettare che Cobel voglia aiutarli. Il suo sospetto ha senso, dato che Cobel è stata cresciuta da Lumon. Tuttavia, Mark alla fine cede quando Cobel rivela che Gemma potrebbe essere ancora viva se il suo innie non avesse finito di elaborare il file Cold Harbor. Rendendosi conto che solo un ex insider come Cobel può aiutarli a salvare Gemma, Mark accetta di seguire il suo consiglio.

Nell’ultima scena dell’episodio 9 della seconda stagione di Severance, Mark entra in una capanna del Ramona Birthing Retreat e si trasforma nel suo alter ego. Con sua grande sorpresa, trova Cobel ad aspettarlo, che gli suggerisce di aiutare Gemma a fuggire dalla Lumon. Dopo essere stata tradita e abbandonata da Lumon, Cobel sembra finalmente aver capito quanto l’azienda si preoccupi poco del benessere delle persone. Tuttavia, dato che non può più entrare nell’edificio Lumon, non può fare molto per aiutare direttamente Mark. Pertanto, sembra sperare di convincere l’innie di Mark ad aiutarli a salvare Gemma.

Il futuro della signora Huang in Lumon spiegato: perché Milchick le chiede di interrompere il gioco

Milchick annuncia il completamento della borsa di studio Wintertide della signorina Huang, che avrebbe dovuto determinare il suo futuro alla Lumon. Proprio come Cobel è diventata una dipendente a tempo pieno della Lumon dopo aver completato la sua borsa di studio, anche Huang sembra poter fare lo stesso. Milchick conferma che sarà trasferita al Gunnel Eagan Empathy Center, dove continuerà a lavorare per la Lumon. Sebbene la signorina Huang lavori duramente per completare la sua borsa di studio, è triste per il trasferimento perché significa che dovrà allontanarsi dai suoi genitori.

Il processo di distruzione del totem non solo serve come simbolo per segnare la fine dell’infanzia di Huang, ma è anche parte del processo di indottrinamento di Lumon per spogliare le persone della loro identità e renderle parte del culto che venera Kier.

Il suo tragico futuro alla Lumon evidenzia come l’azienda costringa molti minori a lavorare mascherando il lavoro minorile come un’opportunità di crescita professionale. Anche Cobel ha vissuto un’esperienza simile quando era molto più giovane. Milchick le fa anche capire la gravità del suo ruolo alla Lumon facendola distruggere il suo amato gioco. Il processo di distruzione del totem non solo serve come simbolo per segnare la fine dell’infanzia di Huang, ma è anche parte del processo di indottrinamento di Lumon per privare le persone della loro identità e renderle parte del culto che venera Kier.

Cosa intende Jame Eagan quando dice di vedere Kier in Helly

Jame Eagan ha detto la stessa cosa a Helly e Harmony

Nell’arco narrativo finale dell’episodio 9 della seconda stagione di Severance, Jame Eagan si intrufola nel piano separato della Lumon e sembra voler affrontare Helly. Tuttavia, più le parla, più diventa evidente che vorrebbe che sua figlia fosse più simile a lei. Afferma di aver visto Kier in Helena una volta, ma ora fatica a vedere la stessa cosa.

La sua insoddisfazione nei confronti della figlia emerge anche nei primi minuti dell’episodio, quando la guarda con disappunto e afferma che vorrebbe che mangiasse le uova crude come Kier.

La ribellione di Helly e la sua volontà di costruirsi una propria strada e identità sembrano ricordare a Jame Eagan Kier, suggerendo che preferirebbe avere lei come erede al posto di Helena. Dato che Helena è già gelosa della sorella, diventerà ancora più invidiosa di Helly se scoprirà come la vede suo padre. Questo potrebbe non solo esacerbare ulteriormente il rapporto già teso tra Helena e suo padre, ma anche complicare il rapporto di Helly con Mark.

Perché il destino di Gemma dipende dal completamento di Cold Harbor

Cobel dice a Mark che i numeri dei file MDR sono sua moglie, suggerendo che il destino di Gemma è sempre dipeso dal lavoro di Mark con l’MDR. Questo ha senso, dato che l’episodio 7 della seconda stagione di Scissione (Severance) ha stabilito che il nome di ogni stanza del piano di test corrispondeva al nome di un file su cui Mark aveva lavorato in precedenza. Gli sviluppi della trama dell’episodio 7 sembrano aver stabilito che Mark stava “creando” le innies individuali di Gemma lavorando sui file nel reparto MDR.

Severance ha rivelato finora i nomi delle seguenti stanze del piano di test:

  • Allentown
  • Dranesville
  • Siena
  • Lucknow
  • Loveland
  • Wellington
  • St. Pierre
  • Zurich
  • Cold Harbor

Per questo motivo, è difficile non credere che il completamento di Cold Harbor creerà un altro innies per Gemma, che si attiverà dopo che Gemma entrerà nella stanza Cold Harbor nel piano di test. Cobel continua a insinuare che Gemma sarebbe viva solo se l’innies di Mark non avesse completato il file Cold Harbor. Questo potrebbe significare che una volta che Lumon avrà testato la stanza finale su Gemma, la uccideranno invece di liberarla? Il finale della seconda stagione di Severance probabilmente fornirà ulteriori risposte.

Perché Burt costringe Irving a lasciare la città di Kier

Burt rivela la sua storia con Lumon nell’episodio 9 della seconda stagione di Severance, confessando di non aver mai fatto del male direttamente a nessuno. Ha solo accompagnato delle persone a Lumon, ma ha sempre saputo che l’azienda stava facendo qualcosa di sbagliato. Si sente in colpa perché ha facilitato le azioni illecite di Lumon. Come spiega, è entrato a far parte di Lumon come dipendente separato perché credeva che gli avrebbe dato l’opportunità di trovare una parvenza di redenzione.

Irving prova empatia per lui e non lo giudica per il suo passato. Si rende anche conto che raccontandogli del suo passato con Lumon, Burt sta rischiando la vita. Irv spera di esplorare il suo rapporto con Burt nel mondo esterno, credendo che potrebbero potenzialmente avere lo stesso rapporto che avevano da “innies”. Tuttavia, con suo grande disappunto, Burt lo incoraggia ad andarsene, rendendosi conto che Lumon è a conoscenza della sua operazione segreta contro di loro.

Sebbene Irv cerchi di convincerlo a lasciare la città di Kier con lui, Burt rifiuta l’offerta di restare con il suo partner, Fields.

La decisione di Dylan di dimettersi

Come altri lavoratori MDR, Dylan era inizialmente motivato dai vantaggi che Lumon offriva a tutti i dipendenti con prestazioni elevate. Tuttavia, il suo mondo è crollato quando l’incidente dell’Overtime Contingency gli ha fatto capire di avere una famiglia al di fuori dell’ufficio Lumon. Per mantenerlo motivato, Milchick capì che avrebbe dovuto fargli incontrare sua moglie, Gretchen. Poco dopo aver incontrato la moglie del suo outie, Dylan trovò un nuovo motivo per rimanere fedele alla Lumon. I suoi incontri occasionali con Gretchen divennero il momento clou della sua vita, mentre gradualmente si innamorava di lei.

Anche Gretchen gli ha dato speranza quando lo ha baciato. Purtroppo, l’outie di Dylan non ha gradito quando Gretchen gli ha detto di aver baciato il suo innie. Di conseguenza, Gretchen ha deciso di interrompere gli incontri. Con questo, l’unica cosa che spingeva Dylan a lavorare per Lumon dopo gli eventi della prima stagione di Severance gli è stata portata via. Pertanto, ha deciso di porre fine alla sua esistenza scrivendo una lettera di dimissioni. Se le sue dimissioni saranno accettate nel finale della seconda stagione di Severance dipenderà interamente dal suo outie.

FBI – stagione 6: uscita, trama, cast, episodi e streaming

FBI – stagione 6: uscita, trama, cast, episodi e streaming

FBI 6 è la sesta stagione della serie tv FBI creata da Dick Wolf e Craig Turk per CBS. La serie è prodotta da Wolf Entertainment, CBS Studios e Universal Television, con Dick Wolf, Arthur W. Forney, Peter Jankowski e Turk come produttori esecutivi.

 La serie presenta un cast corale che include Missy Peregrym , Zeeko Zaki , Jeremy Sisto, Ebonée Noel , Sela Ward , Alana de la Garza , John Boyd Katherine Renee Turner

FBI 6: quando esce e dove vederla in streaming

FBI 6 ha debuttato negli USA il 13 febbraio 2024 su CBS. In Italia FBI 6 debutterà su RAI 2 in chiaro e FBI 6 in streaming sarà disponibile su RAIPLAY

FBI 6: trama e cast dei nuovi episodi

Nella sesta stagione di FBI La squadra entra in azione per sconfiggere l’organizzazione terroristica responsabile dell’esplosione di un autobus.

Nella sesta stagione di FBI Missy Peregrym riprende il ruolo di Maggie Bell, agente speciale dell’FBI. Zeeko Zaki riprende il ruolo di Omar Adom “OA” Zidan, agente speciale dell’FBI e partner di Maggie. Jeremy Sisto riprende il ruolo di Jubal Valentine, assistente agente speciale incaricato dell’FBI (ASAC). Alana de la Garza riprende il ruolo dell’agente speciale in carica (SAC) Isobel Castille.

John Boyd riprende il ruolo di Stuart Scola, agente speciale dell’FBI e partner sul campo di Kristen, e più tardi, di Tiffany. Katherine Renee Kane riprende il ruolo di Tiffany Wallace, agente speciale dell’FBI ed ex ufficiale della polizia di New York e agente della White Collar Division.

Nei ruoli ricorrenti troviamo Roshawn Franklin nel ruolo di Trevor Hobbs (stagioni 2-6), un agente speciale dell’FBI e un analista dell’intelligence. Vedette Lim nel ruolo di Elise Taylor (stagione 2-presente), un’analista dell’intelligence dell’FBI.

Mare Fuori 5: recensione dei primi 6 episodi

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Mare Fuori 5: recensione dei primi 6 episodi

Mare Fuori 5 deve gestire un finale di stagione della stagione precedente che ha lasciato tutti con il fiato sospeso, ancora più di quello sparo nel buio che aveva chiuso invece il terzo cicloRosa Ricci lascia Carmine Di Salvo all’altare, il matrimonio tra le due grandi famiglie come promessa di pace non si celebra, mentre Edoardo Conte trova la sua morte per mano sconosciuta sul fondo della cripta dei Ricci, tra la bara di Ciro e quella di Don Salvatore, che proprio lui aveva a sua volta ucciso.

“Voglio che tu sappia che sei l’unico che sia riuscito a vedere la luce in me. Sei puro, sei luce ed esplodi come un vulcano ogni volta che ami. Per salvarti ti sei aggrappato alla cosa più bella che esista: l’amore. E io non sono quella cosa bianca limpida che pensavi tu. Io sono rossa e nera, sono passione e vendetta. Mi hai insegnato che l’amore salva e io ti ho salvato dall’unica cosa che ti poteva uccidere: da me.” Con queste parole di addio, Rosa giustifica il suo addio all’amore e a una vita normale, quella che è quasi una poesia liquida in apertura la scelta di Rosa. E Carmine diventa un ricordo… per ora.

Un’alleanza al femminile per Mare Fuori 5

La giovane vuole ora prendere le redini del regno criminale ereditato dal padre e si rende subito conto che Carmela, moglie e vedova di Edoardo, è l’unica alleata che le resta. Entrambe hanno fatto qualcosa per ferire l’altra, ma perdonarsi e fare squadra sembra l’unico modo per sopravvivere contro Donna Wanda Di Salvo.

Il loro scopo è ovviamente riprendere possesso delle piazze di spaccio, ma anche scoprire chi ha ucciso Edoardo. Come spesso accade nella serie, la risposta arriva dall’interno dell’IPM, dove nuovi sconvolgimenti sono pronti ad avvenire per portare scompiglio nel delicato equilibrio all’interno della struttura. Simone (Alfonso Capuozzo) e Tommaso (Manuele Velo) di Napoli, e Samuele (Francesco Alessandro Luciani) e Federico (Francesco Di Tullio), di Milano, arrivano a turbare le sorti dei protagonisti, in particolare i due ragazzi del nord, che si rivelano spregiudicati e violenti. Completano il cast Elisa Tonelli e Rebecca Mogavero, rispettivamente nei ruoli di Sonia e Marta, che nella prima parte della serie non hanno ancora avuto un ruolo importante ma che, lo immaginiamo, verranno raccontate meglio nella seconda parte.

Volti vecchi e nuovi

Il mondo esterno all’IPM porta nel flusso del racconto di Mare Fuori 5 anche Assunta, madre di Rosa e Ciro, creduta morta perché così aveva dichiarato Don Salvatore, e che il pubblico sa essere viva, vegeta e libera dalla quarta stagione, dove si scopre che è stata aiutata da Ciro a rimettersi in sesto dopo che il marito l’aveva fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico. La donna vorrebbe riallacciare i rapporti con la figlia, visto che era presente al suo non-matrimonio? Lo scopriremo…

Tornano ovviamente tutti i volti noti e amati della serie: Pino, Cardiotrap, Mimmo, Cucciolo e Micciarella, Milos, Dobermann, Silvia, Alina, ma anche gli adulti Massimo, Sofia, Beppe con le loro storie, i loro drammi e le loro aspirazioni.

Messo da parte il grande dramma romantico di Rosa e Carmine, Mare Fuori 5 torna a raccontare storie di violenza, soldi, vendetta e difficoltà, riportando la serie alle sue origini, e relegando ai margini del racconto l’aspetto soapoperistico che tanto aveva fatto innamorare il pubblico. Ogni personaggio è chiamato verso la salvezza, ma questa non arriverà per tutti, come si scopre man mano che gli episodi vanno avanti. Il ritorno alle origini con la centralità di determinati temi però non corrisponde alla replica di quello che era il tono delle prime stagioni, in cui c’era una forte aspirazione alla speranza e al cambiamento per i giovani protagonisti. Quel mare fuori era davvero una metafora radicata anche nel modo di raccontare le aspirazioni di ciascuno.

Mare Fuori 5 la speranza è bandita

In Mare Fuori 5 la speranza è bandita. Rosa, emblema “romantica” della quarta stagione, diventa qui un oscuro angelo di vendetta, sopraffatta dai compiti oscuri che ha scelto di ereditare. Ludovico Di Martino, che prende il posto di Ivan Silvestrini alla direzione degli episodi, cambia ancora una volta le carte in tavola e preferisce una regia presente, invasiva, drammatica, quasi solenne, così come sono solenni le minacce, le frasi stentoree e le parole dei protagonisti. Il risultato è un tono artefatto che in qualche modo strano trova comunque la sua armonia, perché più che empatia genera distacco dalle disavventure che guardiamo sullo schermo.

Non sappiamo dove ci porterà la seconda parte di stagione di Mare Fuori 5, ma senza dubbio si tratta di un cammino oscuro, in cui il confine tra bene e male verrà oltrepassato e confuso più volte.

The Breaking Ice, recensione del film di Anthony Chen

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The Breaking Ice, recensione del film di Anthony Chen

Il regista e sceneggiatore singaporeano Anthony Chen torna con The Breaking Ice, presentato a Cannes 76, un’opera intensa e poetica che esplora il senso di smarrimento, solitudine e desiderio di evasione di tre giovani in una gelida città cinese al confine con la Corea del Nord. Il film si distingue per la sua atmosfera malinconica e contemplativa, in cui la neve e il ghiaccio diventano elementi simbolici di uno stato emotivo sospeso tra l’immobilità e il cambiamento.

The Breaking Ice è un racconto di anime perdute

La pellicola si apre con un’immagine evocativa: uomini intenti a tagliare blocchi di ghiaccio, una rappresentazione visiva del titolo stesso. Subito dopo incontriamo Li Haofeng (Haoran Liu), un giovane che partecipa con distacco al ricevimento di nozze di un collega coreano. La sua alienazione si manifesta nella solitudine con cui mastica il ghiaccio del suo drink, rompendolo sotto i denti, di nuovo si evoca il titolo e si racconta una difficoltà a inserirsi dentro un contesto vitale, come può essere un matrimonio. La sua esistenza si intreccia presto con quella di Nana (Dongyu Zhou), una guida turistica che accompagna visitatori alla scoperta della comunità coreana della regione, e Han Xiao (ChuxiaoQu), cuoco di un ristorante coreano che nutre sentimenti irrisolti per Nana.

Un incontro casuale e una notte di alcol e confidenze fanno nascere tra i tre una connessione insolita e temporanea, trasformandoli in una sorta di famiglia improvvisata. Il loro legame si cementa attraverso momenti di fuga dalla realtà: balli sfrenati, escursioni pericolose, sfide insensate e un viaggio fino al remoto e innevato sentiero che porta al Lago del Paradiso. Questo cammino non è solo fisico, ma anche metaforico: ciascuno di loro è alla ricerca di una via di fuga dalla propria esistenza stagnante e irrisolta.

Un film d’atmosfera

Chen si affida a un racconto fatto di frammenti, momenti sospesi e silenzi che parlano più delle parole, realizzando una composizione visiva che evoca più che raccontare, ricordando il cinema della Nouvelle Vague francese, con riferimenti espliciti a “Bande à part” e “Jules e Jim”. Le immagini costruite dal regista sono costantemente costruite per rimandare a un altro significato oltre a quello che mostrano: una gabbia di animali in uno zoo riflette la prigionia interiore dei protagonisti, mentre un orologio costoso che smette di funzionare sottolinea l’inesorabile scorrere del tempo in qualsiasi condizione socio economica si possa vivere. Quel ghiaccio che Li Haofeng mastica all’inizio del film diventa di nuovo un riferimento al titolo ma questa volta viene condiviso dagli altri, acquista una ulteriore simbologia: connessione e vulnerabilità.

Tre protagonisti magnetici

A dare forma a questo cinema di suggestioni, intervengono i tre protagonisti: Dongyu Zhou dona a Nana un’intensità struggente, un personaggio che cerca di soffocare il dolore tra alcool e sesso privo di intimità. Haoran Liu interpreta Haofeng con una delicatezza toccante, incarnando il disagio di chi si sente fuori posto ovunque vada. Chuxiao Qu, nel ruolo di Han Xiao, trasmette una mascolinità ruvida ma ferita, mostrando il conflitto tra il desiderio di fuggire e l’incapacità di farlo. Tre voci che si uniscono in un coro di disagio e inadeguatezza, specchio di una generazione Z che chiede aiuto ma non sa a chi rivolgersi.

Chen dimostra ancora una volta la sua capacità di catturare i dettagli più sottili e significativi, come nel modo in cui posiziona i personaggi in un’ambientazione che ricorda il quadrante di un orologio, suggerendo ancora una volta l’inesorabile avanzare del tempo. Uno sforzo di composizione che viene accentuato dalla fotografia, con le sue tonalità fredde e una composizione meticolosa, che enfatizza il senso di isolamento.

The Breaking Ice ha un grande fascino visivo ma soprattutto emotivo, capace di trasmettere con estrema sensibilità la condizione di giovani che si sentono intrappolati nelle loro vite. Il film non manca di incongruenze, ma rimane un’opera di grande valore artistico. Il finale suggerisce poi una circolarità alla narrazione che sembra voler indicare che il senso di inadeguatezza e incertezza verso la strada da prendere non si supera, ma si impara a dare valore alla ricerca del cammino, non più alla destinazione del viaggio.

The Breaking Ice è un’opera che cattura con delicatezza la vulnerabilità dei suoi personaggi, immergendoli in un paesaggio invernale che riflette le loro anime alla deriva. Con una regia evocativa, Anthony Chen conferma la sua capacità di raccontare storie intime e profonde, regalandoci un film che lascia il segno con la sua bellezza visiva e il suo toccante ritratto di giovani alla ricerca di un senso di appartenenza.

Yellowjackets – Stagione 2, la spiegazione del finale: dove andranno i sopravvissuti?

Il finale della seconda stagione di Yellowjackets ha portato la storia in una direzione inaspettata, aprendo la strada a una terza stagione ricca di suspense. La seconda stagione di Yellowjackets è stata piena di sorprese e rivelazioni scioccanti, fornendo risposte a misteri di lunga data come il significato del biglietto di Travis a Natalie, l’idea che la natura selvaggia sia un’entità influente e molto altro ancora. Il finale è iniziato con l’ipotesi che uno degli adulti sopravvissuti dovesse morire per soddisfare il crescente bisogno della natura selvaggia nella linea temporale del 2021. Tuttavia, le cose non sono andate necessariamente secondo i piani.

In questo contesto, si sono svolti altri intrecci ad alto rischio che hanno portato a conclusioni soddisfacenti. La polizia ha dato la caccia all’adulta Shauna per l’omicidio di Adam Martin per gran parte della stagione, è stato spiegato cosa stava realmente tramando Walter Tattersall, il “fidanzato” di Misty, e il rituale ufficiale di cannibalismo sacrificale descritto nella linea temporale del 1996 è stato finalmente svelato nella sua interezza. Tutto questo è confluito nell’episodio 9 della seconda stagione di Yellowjackets, che ha visto trionfi e delusioni in egual misura per i sopravvissuti adulti rimasti. Dopo la fine della seconda stagione di Yellowjackets, solo una cosa è certa: la natura selvaggia non ha finito il suo lavoro, né nel passato né nel presente.

Perché Travis ha mangiato il cuore di Javi

Quando le ragazze sono tornate con il corpo di Javi dopo che era annegato nell’episodio 8 della seconda stagione di Yellowjackets, nessuno era più sconvolto di Travis. Natalie aveva sicuramente il proprio senso di colpa da placare dopo averlo lasciato morire, ma Travis era davvero quello che aveva sofferto di più per la perdita. Ha cercato di spiegare la portata della distruzione che stavano causando a Van, il quale, a sua volta, lo ha convinto che la morte di suo fratello era un sacrificio per salvare i sopravvissuti e che avrebbe dovuto onorare il sacrificio e la morte di Javi. Travis ha quindi preso a cuore questa conversazione e si è unito al cannibalismo del resto del gruppo.

Shauna ha offerto a Travis il cuore di suo fratello da mangiare per primo, quasi come un segnale al resto del gruppo che se Travis era d’accordo a consumare Javi, allora anche gli altri avrebbero dovuto farlo. Travis ha mangiato il cuore di Javi per dimostrare la sua lealtà al gruppo e onorare il sacrificio di suo fratello. Quel momento ha dimostrato che Travis era completamente caduto nella sua convinzione che la natura selvaggia fosse un’entità e che questi sacrifici fossero necessari e vantaggiosi per la loro sopravvivenza. Ha visto Javi come un martire piuttosto che come una tragica vittima e ha giustificato il fatto di aver mangiato suo fratello gettandosi in questa convinzione.

Come Natalie è diventata la regina delle corna

Uno dei colpi di scena più grandi del finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato che Natalie era la vera regina delle corna, non Lottie. Sembrava che tutta la serie suggerisse e preparasse Lottie come regina delle corna, ma quando sarebbe stata rivelata per la prima volta nel suo abito ufficiale, non sarebbe stato poi così sorprendente. Tuttavia, nella seconda stagione di Yellowjackets, Lottie ha deciso di dimettersi e cedere la leadership a Natalie, lasciando Shauna un po’ gelosa. Guardando indietro, le insicurezze di Lottie come leader erano cresciute, come dimostrato dalla sua visione al centro commerciale in precedenza, ma nessuno si aspettava che passasse la mano.

Lottie ha scelto Natalie perché credeva che Nat fosse sempre stata la “preferita” della natura selvaggia. Ha citato il fatto che il gruppo aveva cercato di ucciderla quando aveva pescato la Regina di Cuori, ma la natura selvaggia non glielo aveva permesso. C’erano segni che indicavano che la natura selvaggia favoriva Natalie, come il fatto che fosse la cacciatrice principale. Sebbene Lottie fosse stata la prima a comunicare con la wilderness, tutti i sopravvissuti avevano imparato a farlo, quindi non avevano più bisogno della sua guida. È possibile che il fatto che Natalie non fosse così influenzata dal pensiero di gruppo la rendesse una leader più naturale di una seguace, il che potrebbe essere un altro motivo per cui Lottie le ha dato la precedenza.

Il piano di Walter per porre fine alle indagini su Adam Martin

Walter ha ideato un piano elaborato per salvare Misty e i suoi amici dall’essere scoperti dalla polizia, che prevedeva la corruzione della polizia. Dopo averlo ucciso con il fenobarbital, Walter è riuscito a collegare una grande quantità di documenti bancari e telefonici relativi ad Adam a Kevyn Tan. Ha poi sparato a Kevyn con la pistola di Saracusa e gli ha proposto di aiutarlo a incastrare Kevyn per gli omicidi di Adam e Jessica Roberts, utilizzando una storia secondo cui Saracusa aveva “scoperto” una massiccia corruzione nella polizia e aveva quasi perso la vita per questo. Ha poi aggiunto che tutte queste informazioni potevano essere ricondotte a Saracusa se non avesse accettato.

Il piano di Walter aveva diverse funzioni importanti in Yellowjackets. In primo luogo, dimostrava la sua fedeltà a Misty, cosa discutibile per gran parte della stagione, soprattutto quando lui la paragonava a Sherlock e se stesso a Moriarty. In secondo luogo, dimostrava che Walter stesso non era al di sopra dell’omicidio e probabilmente condivideva le tendenze psicopatiche della sua “ragazza”.

Infine, dimostrava le abilità di Walter come hacker e detective dilettante. Essere in grado di manomettere le prove in modo tale da incastrare qualcuno che non c’entrava nulla era davvero impressionante.

Il gruppo avrebbe davvero ucciso Shauna nella nuova caccia?

Shauna ha avuto la sfortuna di scegliere la Regina di Cuori nella linea temporale del 2021, ed è possibile che il gruppo stesse preparando la sua uccisione. Durante le scene culminanti del rituale rivissuto dagli adulti e l’inseguimento con le maschere che ne è seguito nel finale della seconda stagione di Yellowjackets, il tono oscillava tra il gruppo che vedeva la realtà e il gruppo che cadeva preda della natura selvaggia. Sebbene inizialmente fossero d’accordo sul fatto che Lottie volesse soddisfare la natura selvaggia fosse una cattiva idea, le cose si sono complicate quando Van ha convinto Taissa a chiamare la squadra di crisi che avrebbe dovuto interrompere il rituale e portare Lottie al sicuro.

Lo sguardo affamato dell’adulta Van durante l’inseguimento era particolarmente terrificante, e il fatto che abbia chiamato le autorità ha sicuramente dipinto le sue intenzioni in una luce negativa. Lottie era pronta a sacrificare Shauna, completamente assorbita dal compito di nutrire la natura selvaggia. Misty, Natalie e Taissa, invece, sembravano le più combattute. Se Lottie avesse raggiunto Shauna per prima, sarebbe sicuramente morta, e lo stesso avrebbe potuto accadere a Van, visto quanto sembrava presa durante l’inseguimento.

Il sacrificio e la morte di Natalie spiegati

Sfortunatamente, la natura selvaggia ha mietuto un’altra vittima tra gli adulti sopravvissuti, e si è trattato di Natalie. Il momento scioccante ha visto Misty cercare di pugnalare Lisa con una siringa, ma Natalie si è sacrificata e si è gettata davanti a lei. Il sacrificio di Natalie e la reazione straziante di Misty all’aver ucciso (di nuovo) la sua “migliore amica” hanno fatto riferimento a diversi momenti chiave di Yellowjackets. Natalie si è sacrificata perché il senso di colpa più grande che portava con sé dal suo periodo nella natura selvaggia era quello di essersi fatta da parte e aver lasciato morire Javi. Se si fosse sacrificata nella stagione 2, episodio 8 di Yellowjackets, non sarebbe mai diventata la prima Antler Queen.

Natalie probabilmente provava molto più senso di colpa di quanto Yellowjackets lasciasse inizialmente intendere per essere stata l’Antler Queen e aver dato il via agli eventi del resto della serie. La rivelazione del suo status elevato nel 1996 e il senso di colpa che ne è seguito hanno anche contribuito a spiegare le sue difficoltà nella vita adulta e il suo successivo tentativo di suicidio. Pertanto, quando ha visto l’opportunità di salvare qualcuno che era stato buono con lei, ha pagato per i suoi peccati passati sacrificandosi per loro. Anche la reazione di Misty ha dimostrato la sua devozione verso Natalie. È possibile che fosse stata così affascinata e ossessionata da lei per tutto questo tempo perché Natalie era la sua leader.

Dove Taissa e Van hanno mandato Lottie adulta (verrà mandata via?)

Lottie è stata mandata in una struttura di salute mentale conosciuta come Whitmore alla fine della seconda stagione di Yellowjackets a causa della sua convinzione irrefrenabile che l’entità della natura selvaggia fosse tornata e volesse uno dei sopravvissuti. Il resto dei sopravvissuti adulti non ha preso troppo bene il piano di Lottie con il fenobarbital ed era comprensibilmente preoccupato per la sua salute mentale quando ha voluto ripetere il rituale cannibalistico sacrificale di Yellowjackets. Lottie ha orchestrato la caccia, che ha portato i sopravvissuti a chiamare una squadra di crisi per portarla via, ma era ormai troppo tardi. Lottie trascorrerà molto probabilmente la terza stagione di Yellowjackets in un istituto psichiatrico.

Taissa ha promesso che lei e il resto dei sopravvissuti avrebbero fatto visita a Lottie al Whitmore. Tuttavia, Lottie è rimasta convinta che il sacrificio di Natalie abbia nutrito la natura selvaggia e che tutti ne vedranno i risultati positivi. L’episodio 9 della seconda stagione di Yellowjackets ha chiarito che i sopravvissuti, Van in particolare, si sentono in colpa per il deterioramento dello stato mentale di Lottie. I flashback alla linea temporale del 1996, comprese le coerciioni di Misty, la storia di Van sulla natura selvaggia e il fatto che Lottie non abbia mai voluto che il rituale fosse istituito, indicano che le ragazze hanno contribuito a rendere possibile la psicosi di Lottie e il suo crollo finale da adulta.

Perché il coach Ben ha dato fuoco alla capanna dei sopravvissuti

Gli ultimi momenti della seconda stagione di Yellowjackets hanno visto le ragazze fuggire mentre la loro casa nella natura selvaggia bruciava completamente, e solo una persona non era con loro: Ben. Ben ha dato fuoco alla capanna perché era terrorizzato da ciò che era diventata la squadra e le vedeva come mostri privati della loro umanità. La sanità mentale del coach Ben era andata scemendo come quella del resto del gruppo. Tuttavia, aveva chiarito fin dall’inizio che non avrebbe oltrepassato il limite del cannibalismo e vedeva in Natalie un’anima gemella. Purtroppo, Natalie ha respinto i suoi tentativi di nascondersi con lui nella grotta di Javi per il resto dell’inverno.

Dopo aver assistito alla dissezione del cadavere di Javi, aver capito che l’unica persona con cui aveva trovato un’affinità era passata al lato oscuro, aver rivissuto in visioni tormentate la vita che avrebbe potuto avere e aver visto che la squadra ora si stava sacrificando a vicenda, Ben ne aveva finalmente avuto abbastanza. Credeva che la squadra fosse ormai troppo lontana per ragionare e fermare lo spargimento di sangue, e che fosse diventata una setta cannibale in grado di compiere atti di estrema violenza. Per la sua sicurezza, ha deciso di bruciare la capanna per impedire che la follia continuasse e presumibilmente si nasconde nella caverna di Javi.

Il vero significato del finale della seconda stagione di Yellowjackets

Yellowjackets, stagione 2, episodio 9, è intriso di un significato molto più profondo rispetto alle paure in superficie, sebbene sia anche uno show horror efficace nella sua semplicità. Il finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato una sorta di punto di svolta per i personaggi, poiché non solo ha risposto alle domande, ma ha anche sollevato ulteriori misteri per il futuro. Ma soprattutto, il finale ha dimostrato che c’è qualcosa di speciale nei giovani sopravvissuti, qualcosa che continua a perseguitarli nel presente. Se Yellowjackets ha rivelato qualcosa di sé, è che quasi nulla è come sembra.

Come il finale della seconda stagione di Yellowjackets prepara la terza

Il finale della seconda stagione di Yellowjackets ha preparato il terreno per numerosi filoni narrativi per la terza stagione e una serie di nuovi misteri. Innanzitutto, i sopravvissuti adulti dovranno affrontare le conseguenze del sacrificio e della morte di Natalie. Misty sembrava inconsolabile per il suo ruolo nella vicenda e, anche se la terza stagione dovrebbe vederla coinvolta in una relazione romantica con Walter, dovrà lottare con qualcosa che non ha mai provato prima: il senso di colpa. La terza stagione vedrà anche Natalie nel passato come nuova leader del gruppo e la sua discesa verso il diventare la Yellowjackets‘ Antler Queen. Il finale ha lasciato intendere che Shauna è gelosa del fatto che Natalie sia diventata la leader, quindi questo sicuramente entrerà in gioco.

La setta di Lottie adulta molto probabilmente verrà sciolta ora che lei è in un istituto psichiatrico, e probabilmente riceverà la visita di Taissa, affetta da sonnambulismo.

Il culto dell’adulta Lottie verrà probabilmente sciolto ora che lei è in un istituto psichiatrico, e probabilmente riceverà la visita di Taissa, affetta da sonnambulismo. La terza stagione di Yellowjackets potrebbe finalmente vedere un po’ di pace nella famiglia Sadecki, dato che l’indagine su Adam Martin è stata portata a termine da Walter. Tuttavia, le cose si surriscalderanno notevolmente nel 1996 con l’incendio della baita. I sopravvissuti adolescenti potrebbero scoprire che è stato Ben ad accendere il fiammifero, dato che è l’unico a non essere presente, ma dovranno comunque trovare una nuova casa. Speriamo che non trovino Ben nascosto nel rifugio di Javi, così potrà sopravvivere un altro giorno in Yellowjackets.

Come è stato accolto il finale della seconda stagione di Yellowjackets

Nel complesso, il finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato accolto bene. Il nono e ultimo episodio della seconda stagione di Yellowjackets, “Storytelling”, ha attualmente un punteggio di 7,1/10 su IMDb e un punteggio Tomatometer del 70% su Rotten Tomatoes. Tuttavia, il finale della prima stagione ha ottenuto un punteggio di 8,2/10 su IMDb (anche se non ha una valutazione individuale su Tomatometer) e, in generale, il finale della prima stagione di Yellowjackets è considerato superiore. Tuttavia, questo non significa che il finale della seconda stagione di Yellowjackets sia stato brutto, ma semplicemente che la seconda stagione della serie non ha avuto lo stesso impatto della prima.

Questo è stato sottolineato da molti critici nelle loro recensioni, e i paragoni tra il finale della seconda stagione di Yellowjackets e quello della prima si estendono al resto degli episodi in generale. È opinione della maggior parte degli spettatori e dei critici che la prima stagione di Yellowjackets sia stata più coerente. Tuttavia, ci sono stati molti momenti degni di nota nella seconda stagione, specialmente durante il finale, che hanno più che eguagliato il primo capitolo della storia, e questi sono stati sottolineati in molte recensioni. Ad esempio, Esther Zuckerman del New York Times scrive:

La seconda stagione di “Yellowjackets” è stata discontinua, cosa non insolita per una serie di successo che cerca di trovare il proprio equilibrio dopo un primo giro sensazionale. Ma ci sono stati frequenti momenti di trascendenza. L’addio alla Natalie adulta è stato uno di questi. È stato tragico e in qualche modo catartico e sarà difficile da dimenticare man mano che la serie andrà avanti.

Tuttavia, mentre molti critici non sono riusciti a superare l’incoerenza della seconda stagione rispetto alla prima, altri hanno avuto solo parole di elogio per “Storytelling”. In particolare, sono stati elogiati il modo abile con cui il finale della seconda stagione di Yellowjackets ha sovvertito le aspettative degli spettatori e riposizionato molte delle “verità” su cui i fan avevano fatto affidamento fino all’arrivo dell’episodio 9 del secondo capitolo. A riassumere incredibilmente bene questa prospettiva è Hattie Lindert di AV Club, che scrive:

Una lezione magistrale sia nel sovvertire la propria etica che nel coltivare i semi di una nuova stagione, il finale della seconda stagione di Yellowjackets prende le rivelazioni limitate che la stagione ha costruito e le ricontestualizza ancora una volta, ricordando ai sopravvissuti (e di conseguenza al pubblico) che la verità della loro esperienza – ciò che era reale e ciò che non lo era, e ciò che è rimasto reale nel tempo – è malleabile quanto la loro bussola morale. Ciò che è sempre stato più importante, sia nel proteggersi dalla polizia da adulti che nel giustificare le loro azioni da bambini, è la storia che hanno scelto di raccontare, una storia di selvaggio che hanno scolpito con sangue, sudore, lacrime e merda.

Quindi, il finale della seconda stagione di Yellowjackets è stato all’altezza di quello della prima? Probabilmente no. Tuttavia, è stato comunque un finale incredibilmente solido per la serie, e ha funzionato più che bene per creare l’hype e lo slancio necessari per l’attesissima terza stagione di Yellowjackets.

Le donne al balcone – The Balconettes: recensione del film di e con Noémie Merlant

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Le donne al balcone – The Balconettes di Noémie Merlant non è solo un film, è un affascinante viaggio attraverso un racconto femminista stratificato e punk, che sa essere tanto divertente quanto provocatorio. Presentato a Cannes 77 con il titolo originale Les Femmes au Balcon, questo film esplora la vita di tre donne – Nicole, Ruby ed Elisa – legate da una profonda amicizia e da un’intensa ribellione contro i dogmi della società patriarcale, il tutto ambientato in un appartamento e un balcone condiviso nel caldo di Marsiglia.

La dichiarazione di intenti di Le donne al balcone – The Balconettes

Fin dall’inizio, Merlant ci introduce in un’atmosfera sospesa e surreale, grazie a un piano sequenza che spazia tra due palazzi. La macchina da presa sembra fluttuare, stabilendo una distanza tra il pubblico e la storia, come se fossimo anche noi osservatori dietro una finestra, abbracciando così il più classico dei contesti voyeuristi e impiantandoci sopra il suo racconto. In questo primo momento vediamo una donna, riversa a terra e coperta di lividi, incalzata da un marito che la accusa di essere “esageratamente drammatica.” La scena, che mescola dramma e sarcasmo, offre una chiave di lettura per comprendere la portata del film: un’opera che sfida le convenzioni, trascendendo i generi e mescolando commedia, thriller, e un femminismo mai didascalico. Questa scena fondamentale, un cortometraggio dentro al film: una specie di riassunto di quello che la storia vuole significare e di quello che racconterà.

Le protagoniste di Le donne al balcone – The Balconettes

Al centro della storia ci sono Nicole (Sanda Codreanu), Ruby (Souheila Yacoub) ed Elisa (Noémie Merlant). Ognuna di queste donne ha una storia unica: Nicole è una scrittrice che prova a tratte ispirazione dalla vita delle sue amiche, sempre più divertente e sfrenata della sua; Ruby è una cam girl fiera della propria sessualità, esibizionista almeno quanto Nicole è pudica; Elise invece è un’attrice che cerca di sfuggire da un innamorato opprimente, sembra svampita, ma trova il suo ancoraggio alla realtà grazie alle sue coinquiline. Insieme, condividono momenti di complicità e confidenze, esplorando una libertà autentica e quasi sfacciata, che include un’esposizione del corpo sincera, svincolata da giudizi.

Merlant dimostra una grande padronanza del mezzo cinematografico, mostrando una disinvoltura sorprendente per una regista al suo secondo lungometraggio. La narrazione sembra muoversi disordinata, riflettendo però un caos ben calibrato che rispecchia la vitalità e la libertà delle tre protagoniste. E infatti nulla è lasciato al caso: la scrittura coadiuvata da Céline Sciamma e il montaggio di Julien Lacheray conferiscono alla trama una coerenza interna che esplode solo alla fine, lasciando lo spettatore in una sorta di estasi visiva e narrativa.

Una delle grandi trovate di Le donne al balcone – The Balconettes è il modo in cui affronta la questione della mascolinità tossica senza mai scivolare nella retorica. L’aitante vicino di casa (interpretato da Lucas Bravo), ad esempio, inizialmente oggetto dei sogni di Nicole, si rivela poi un predatore mascherato da principe azzurro. La svolta narrativa è feroce e geniale: un incontro apparentemente innocente si trasforma in una lotta disperata, e le tre protagoniste devono difendersi dalla violenza inaspettata, optando per un’autodifesa radicale e liberatoria. La loro “vendetta” non è solo una reazione istintiva, ma anche un simbolo di una ribellione.

La mescolanza di generi

La commistione di generi è una caratteristica distintiva di questo film: da commedia grottesca e horror leggero si passa a un thriller crudo e spietato, fino a un gore che strizza l’occhio a Tarantino, pur rimanendo sempre vitale e libero, come il primo cinema di Almodovar. Merlant evira il corpo maschio della storia per affermare la femminilità come unica forza vitale, e nonostante questo è sempre ironica e leggera, non perde mai di vista il fuoco del suo racconto. Questo rende Le donne al balcone – The Balconettes un’esperienza visivamente affascinante e emotivamente coinvolgente. La violenza viene messa in scena in modo iperbolico, ma il vero nucleo del film è la ferita invisibile che la violenza infligge all’animo femminile.

La fiera esposizione del corpo femminile

Merlant si dimostra non solo una regista di talento, ma una narratrice coraggiosa, pronta a infrangere le convenzioni e a esplorare i confini della rappresentazione cinematografica del femminile. In questo film, i corpi delle protagoniste non sono mai oggetto di sguardi esterni/giudicanti; sono corpi che si espongono con fierezza, rivendicando il diritto di esistere senza compromessi. Le donne al balcone – The Balconettes non è solo un film che parla di emancipazione femminile: è un atto di insurrezione, un’opera che si rivolge allo spettatore con uno spirito di sorellanza feroce e libera.

Lee Miller: recensione del film con Kate Winslet

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Lee Miller: recensione del film con Kate Winslet

Il 13 marzo arriva nelle sale Lee Milleril film dedicato alla straordinaria fotografa americana interpretata da Kate Winslet, qui anche in veste di produttrice. Per la sua performance intensa e coinvolgente, l’attrice ha ottenuto una candidatura ai Golden Globes come Miglior Attrice drammatica (il premio è andato poi a Fernanda Torres). Diretto da Ellen Kuras, alla sua prima regia cinematografica dopo una lunga carriera come direttrice della fotografia, il film trae ispirazione dall’opera Le molte vite di Lee Miller di Antony Penrose, figlio della fotografa e del surrealista Roland Penrose.

Il film ripercorre la vita di Miller, una donna che ha rifiutato ogni etichetta: da modella di successo a fotografa d’avanguardia, fino a diventare corrispondente di guerra per Vogue durante la Seconda Guerra Mondiale. Unica fotografa donna a documentare la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald, ha lasciato un segno indelebile nella storia con le sue immagini di straordinaria potenza. Intorno a Winslet, ruota un cast di supporto che vanta nomi del calibro di Alexander SkarsgårdMarion CotillardAndrea RiseboroughJosh O’ConnorNoémie Merlant ma anche Andy Samberg alla sua prima performance drammatica (molto riuscita).

La trama di Lee Miller

La narrazione inizia nel 1977 con un’intervista tra Lee e un giovane giornalista (Josh O’Connor), che desidera conoscere la verità dietro le sue fotografie. O almeno è quello che sembra all’inizio del film. Questo espediente narrativo introduce la lunga retrospettiva sulla vita della Miller, dal suo lavoro come modella e artista surrealista fino alla sua esperienza sul fronte di guerra. Tuttavia, il film fatica a mantenere un equilibrio tra il ritratto intimo della protagonista e la sua carriera professionale, risultando a tratti distaccato. Il finale si apre all’emozionante rivelazione della vera identità di quel giornalista, offrendo un interessante omaggio a quello che è veramente successo dopo la morte di Lee, tuttavia è troppo tardi per sentire anche il pur minimo gancio emotivo con i protagonisti.

Kate Winslet regala una delle sue interpretazioni più intense, riuscendo a restituire la determinazione e il coraggio di Miller. Tuttavia, la sceneggiatura non offre un ritratto completamente sfaccettato del personaggio e il film si concentra più sul suo lavoro come fotografa di guerra, lasciando in secondo piano la sua vita personale e le sue fragilità. Le relazioni con il partner Roland Penrose (Alexander Skarsgård), l’amicizia con David Scherman (Andy Samberg) e il rapporto con la direttrice di Vogue Audrey Withers (Andrea Riseborough) vengono accennate senza un vero approfondimento, facendo sì che molti personaggi appaiano come semplici comparse o sponde su cui Lee rimbalza.

Regia realistica e fotografia desaturata

Dal punto di vista registico, Kuras adotta un approccio visivo potente, sfruttando il contrasto cromatico tra il mondo vibrante e saturo del pre-guerra e le tonalità spente e cupe del periodo bellico. La scelta di integrare le fotografie reali di Miller nel film conferisce autenticità alla narrazione, restituendo con forza il peso delle immagini chela donna ha catturato e consegnato alla Storia.

Uno degli aspetti più riusciti del film è la capacità di mostrare la Miller come una testimone della storia, capace di cogliere dettagli che i suoi colleghi uomini spesso trascuravano. La sua sensibilità nel ritrarre la sofferenza e l’umanità dietro il conflitto è un elemento centrale del film, ben interpretato da Winslet. Tuttavia, il film manca di quel pathos che avrebbe potuto renderlo memorabile, risultando a tratti troppo schematico, un biopic che non sfrutta le potenzialità del materiale originale.

Un biopic innocuo anche se visivamente affascinante

Nel complesso, Lee Miller è un’opera visivamente affascinante e impreziosita da una grande interpretazione di Kate Winslet, ma che non riesce a scavare a fondo nella complessità della sua protagonista risultando quindi innocuo. Il film si limita a raccontare la sua carriera senza esplorare appieno le sue contraddizioni e le sue battaglie interiori, rendendo il racconto più informativo che emozionale.

Seven: la spiegazione del finale del film di David Fincher

Seven: la spiegazione del finale del film di David Fincher

Quando si pensa al genere del thriller contemporaneo, uno dei primi nomi che vengono in mente è certamente quello di David Fincher. Oggi conosciuto per opere di grande prestigio come The Social Network e Il curioso caso di Benjamin Button, questi diede vita nel 1995 a quello che è ancora oggi considerato uno dei thriller per eccellenza. Si tratta di Seven, film che ha contribuito a riscrivere le regole del genere, gettando la base per numerose opere simili realizzate in seguito. Pur avendo una classica storia con uno psicopatico serial killer, un maligno gioco da questi orchestrato, e due detective a seguirne le tracce, il film presenta così tante originalità da essersi affermato da subito al di sopra della media.

L’idea nasce dall’esperienza di Andrew Kevin Walker, il quale agli inizi degli anni Novanta stava cercando di affermarsi come sceneggiatore a New York. Qui si imbatté nello squallore dei vizi capitali, decidendo così di costruire una storia a partire da questi. Il progetto venne poi proposto dalla New Line Cinema a Fincher, il quale era reduce dalla terribile esperienza di Alien³. Il regista vide in Seven la possibilità di realizzare un film più piccolo, attraverso il quale riscoprire la propria passione per quel mestiere. Attratto dall’intreccio, egli decise così da subito di iniziarne la lavorazione, componendo un cast di grandi attori.

Una volta arrivato in sala, il film si affermò come un successo assoluto. A fronte di un budget di soli 33 milioni di dollari, arrivò ad incassarne circa 327 in tutto il mondo. In Italia si classificò al quarto posto tra i film più visti della stagione cinematografica 1995/96. Seven fu un successo anche di critica, la quale elogiò l’atmosfera cupa e violenta, la sceneggiatura e le interpretazioni dei protagonisti. Particolarmente apprezzato, infine, fu anche il macabro finale. Tutto ciò, insieme anche a numerosi premi vinti, portò il film ad affermarsi come un cult, segnando un vero e proprio momento di transizione all’interno del genere thriller. Dopo Seven, questo non sarebbe più stato lo stesso di prima.

Seven cast

La trama di Seven

Protagonista del film è il detective William Somerset, saggio e anziano, egli si ritrova ora a vivere una profonda disillusione nei confronti di un mondo sempre più violento e degradato. Ad una settimana dalla pensione, si ritrova poi affiancato dal giovane e impulsivo agente David Mills, il quale prenderà poi il suo posto. Somerset inizia così ad insegnare al giovane i trucchi del mestiere, anche se date le differenze caratteriali tra i due non scorre da subito buon sangue. I due si ritrovano però improvvisamente ad indagare su un particolare omicidio. Un obeso è infatti stato costretto a mangiare fino a morire. A tale episodio segue quello di un avvocato corrotto orrendamente mutilato. Sul cadavere di questo i due agenti ritrovano scritta la parola “avarizia”.

Somerset e Mills sospettano che dietro tali omicidi vi sia un unico serial killer, e che quanto da lui compiuto sia connesso da uno strano rapporto. Ben presto, con il susseguirsi di ulteriori omicidi, i due capiranno di trovarsi di fronte ad un pazzo che punisce con la morte persone colpevoli dei sette vizi capitali. Mentre cercano di prevedere le prossime mosse di questo, Somerset e Mills stringono una buona amicizia, e quest’ultimo arriva a presentare al collega la bella moglie Tracy. Nel momento in cui il killer farà però capire loro di sapere chi sono, la vita dei due agenti e di quanti a loro cari finirà con l’essere in pericolo.

Il cast del film

Il film ha come protagonista nei panni del detective Somerset il premio Oscar Morgan Freeman. Il giovane Mills è invece interpretato da Brad Pitt, qui alla sua prima collaborazione con Fincher. L’attore accettò il ruolo desideroso di togliersi di dosso l’etichetta da “sex symbol” ed evidenziò così gli aspetti meno affascinanti del personaggio. Nei panni di Tracy, moglie di Mills, vi è invece la premio Oscar Gwyneth Paltrow. Inizialmente non interessata, su consiglio di Pitt, all’epoca suo compagnò, decise infine di accettare. L’attore Kevin Spacey, infine, è Jon Doe, il killer della storia. Per mantenere un’aura di mistero a riguardo, egli chiese che il proprio nome non venisse pubblicizzato, così da far diventare una vera e propria sorpresa il suo ingresso in scena.

La spiegazione del finale del film

Il finale di Seven è ormai uno dei più noti e scioccanti di sempre. È la perfetta conclusione di una storia cupa e senza apparente speranza. Proprio per via della sua grande drammaticità, i produttori del film non volevano che fosse questo il finale, e decisero dunque di cambiarlo. Fincher, però, si oppose fermamente a tale decisione e dalla sua parte si schierò anche Pitt, il quale si rifiutò di recitare nel film se il finale non fosse stato quello con la celebre scatola. Alla fine, i produttori dovettero cedere alle pressioni, permettendo così di realizzare un finale che ha poi effettivamente contribuito alla fama del film. Con questo, viene definitvamente alla luce il piano di Joe Doe, il quale sta sostanzialmente conducendo un gioco con il detective Mills, all’insaputa di quest’ultimo.

Seven film

Sia Doe che Mills fanno infatti parte dei sette peccati capitali e l’assassino è pronto a dimostrarlo facendo sì che Mills getti via la sua maschera da persona per bene per soccombere al rabbia, uccidendo Doe. Così facendo, fa però il suo gioco, dimostrando dunque che non sembra esserci via di fuga dai sette peccati capitali. Nonostante ciò, il detective Sommerset chiude il film con quella che è divenuta una delle più grandi battute finali della storia del cinema: “Ernest Hemingway una volta scrisse: ‘Il mondo è un bel posto e vale la pena di lottare per esso’. Sono d’accordo con la seconda parte”. Questa citazione finale evidenzia in realtà un cambiamento significativo anche in Somerset.

Unita al fatto che egli assicura al suo capitano che “resterà in giro”, dimostra innanzitutto che non intende più ritirarsi come aveva fatto in precedenza. Ma è importante soprattutto perché dimostra ulteriormente che le azioni di John Doe hanno avuto l’effetto desiderato sui suoi avversari. Non solo è riuscito a manipolare Mills, ma ha anche scosso Somerset dalla sua stessa apatia, costringendo il detective più anziano a rivalutare la sua scelta di ritirarsi. I momenti finali di Seven sono lasciati relativamente aperti all’interpretazione, ma la citazione di Hemingway implica che Somerset ha deciso di combattere per il mondo, anche se non lo ritiene un bel posto. Anzi, forse è proprio nel tentativo di farcelo diventare che bisogna lottare con più forza.

Il finale di Seven è dunque particolarmente interessante perché non solo permette al suo cattivo di vincere, ma sembra giustificare alcune delle sue azioni nel processo. Manipolando il detective Mills affinché lo uccida e portando a compimento il suo piano, John Doe vince e dimostra che nessuno, anche la persona più ammirevole, è al di sopra del peccato. Ciò è ulteriormente dimostrato dalla decisione di Somerset di non ritirarsi, in quanto è sconvolto dalla sua apatia, a cui si fa riferimento in una scena precedente in cui discute con Mills le sue ragioni per ritirarsi. Questo dipinge John Doe come un personaggio “nel giusto”, poiché il finale convalida le sue intenzioni.

Il finale, inoltre, vede i sette peccati rappresentati in modo appropriato e consolida l’ambientazione del film come un luogo simile al purgatorio, con Somerset che rimane come detective per continuare a lottare contro il male che John Doe incarna. Per tutto il film, Mills è considerato il successore di Somerset e il fatto che Doe prenda di mira il giovane detective sembra essere un modo per costringere Somerset a fare un bilancio di se stesso. In realtà Somerset rappresenta l’ultimo (e ottavo) “peccato” di Se7en: l’apatia. Il piano di John Doe vede quindi Somerset continuare a svolgere il suo ruolo di detective, intrappolandolo di fatto nel purgatorio e rendendolo una vittima finale del film.

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Il trailer del film e dove vederlo in streaming e in TV

Per gli appassionati del film è possibile fruire di questo grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Seven è infatti disponibile nel catalogo di Infinity+ e Amazon Prime Video. Per vederlo, basterà sottoscrivere un abbonamento generale, avendo così modo di guardare il titolo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno sabato 8 marzo alle ore 21:00 sul canale Iris.

Holy Spider: la spiegazione del finale del film

Holy Spider: la spiegazione del finale del film

Diretto da Ali Abbasi (regista anche di Border – Creature di confine e del recente The Apprentice), Holy Spider è un film in lingua persiana che presenta una ricostruzione fittizia di eventi reali accaduti a Mashhad, in Iran. Nell’arco di circa undici mesi, nel 2000-2001, un uomo di nome Saeed Hanaei ha adescato e ucciso sedici donne che lavoravano come lavoratrici del sesso e piccole spacciatrici di droga nelle strade della città. Il regista Abbasi ha detto chiaramente che la sua intenzione con questo film non era solo quella di raccontare la macabra storia del serial killer, ma di concentrarsi maggiormente sulla misoginia che esisteva, e esiste ancora, nella società iraniana.

Abbasi era infatti principalmente interessato ad approfondire la storia di questo serial killer e il fatto che per buona parte della popolazione fosse diventato un eroe, offrendo così anche un ritratto inedito della condizione femminile in Iran. Ciò è evidente in tutto il film, poiché Holy Spider si assicura di includere il fanatismo religioso e il sostegno sessista a un assassino lungo tutta la narrazione. Nel complesso, si tratta di un’ottima esperienza di visione, con immagini e momenti lodevoli che si dipanano con precisione. Il suo finale, inoltre, risulta l’apice di un racconto particolarmente scioccante, tanto da richiedere una spiegazione generale.

La trama e di Holy Spider

Ambientato in Iran nel 2001, il film racconta la storia di un uomo di nome Saeed, un padre di famiglia alle prese con la propria ricerca religiosa. Saeed è intenzionato a compiere una sacra missione: purificare la città santa di Mashhad, sradicando del tutto la prostituzione, simbolo di immoralità e corruzione. Il modo che sceglie per portare a termine questa impresa è l’eliminazione fisica delle donne. Dopo l’ennesima vittima, una giornalista di Teheran, Arezoo Rahimi, giunge in città per indagare sullo spietato serial killer, rendendosi conto che le autorità locali non sembrano avere fretta di trovare il colpevole. Si scontra infatti con pregiudizi sessisti ed una polizia apatica e potrà contare solo sul reporter locale Sharifi.

Holy Spider trama film
Mehdi Bajestani in Holy Spider.

La spiegazione del finale: come fa Arezoo a scoprire l’identità dell’assassino?

La lotta di Arezoo Rahemi per scoprire di più sul serial killer e gli ostacoli che deve affrontare riassumono la posizione di una donna nella società dei primi anni 2000. L’unica ragione per cui potrebbe non assomigliare esattamente al presente è che il presente è ancora peggiore. Senza entrare nello specifico, la società e la cultura che Abbasi presenta in Holy Spider, in piena somiglianza con la realtà, sono estremamente dure nei confronti delle donne. Nella primissima scena di Arezoo, dopo essere scesa da un autobus che l’ha portata a Mashhad, la donna fa il check-in in un hotel dove ha prenotato una stanza. Tuttavia, l’impiegato dell’hotel non è disposto a farla entrare perché è una donna single e non sposata, sottintendendo che una donna senza una figura maschile di riferimento non dovrebbe stare fuori casa.

All’inizio Arezoo non vuole ostentare i suoi diritti, ovviamente, perché le viene negato un servizio di base, ma quando la situazione le sfugge di mano, mostra all’impiegato il suo tesserino da giornalista. Il fatto che sia una giornalista costringe l’impiegato a cambiare la sua decisione, ma fa subito notare che Arezoo dovrebbe coprire di più i capelli e la testa con il suo foulard. Questo comportamento categorico e sessista è qualcosa che Arezoo, purtroppo, affronta per tutto il film e diventa parte del suo personaggio in senso positivo. L’unico contatto che sembra avere a Mashhad per iniziare il suo lavoro è un uomo di nome Sharifi, che lavora come direttore editoriale della sezione penale del giornale locale.

Sharifi è perlopiù contenuto e ben educato con Arezoo, ad eccezione dell’unica volta in cui ricorda di aver sentito parlare del licenziamento di Arezoo da un lavoro a Teheran. Anche se Sharifi non sembra avere intenzioni sbagliate nel parlarne, il modo in cui lo presenta irrita Arezoo, perché anche questa storia è carica di ingiusto sessismo. Il capo di Arezoo nel suo precedente posto di lavoro voleva avere una relazione sentimentale con lei e, quando lei ha negato il suo approccio, la donna è stata licenziata. Non solo Arezoo ha perso il lavoro, ma il capo ha anche diffuso la falsa notizia che il licenziamento era dovuto al fatto che lei aveva avuto una relazione sentimentale con lui, il che è contrario alle regole del posto di lavoro.

La giornalista cerca ora di mettere da parte tutto questo e di concentrarsi sul suo lavoro, ma si trova di nuovo di fronte a un comportamento simile quando incontra l’ufficiale di polizia che si occupa del caso. L’agente, un uomo orgoglioso del suo lavoro e della sua statura, a un certo punto chiede ad Arezoo di uscire e ha una reazione inappropriata e al limite dell’abuso quando lei lo rifiuta. Nella sua ricerca del serial killer, Arezoo è quindi spinta da una preoccupazione simile a quella di tutte le donne di questa società, perché sa che probabilmente a nessun altro interesserà molto di quest’uomo in preda a una furia omicida. È importante notare che, sebbene Holy Spider sia basato su eventi e personaggi reali, il personaggio di Arezoo è in realtà completamente inventato, ed è un’aggiunta creativa di Abbasi.

Va anche detto che questa aggiunta è semplicemente meravigliosa, ed è Arezoo a rendere il film ancora più stratificato e degno di nota. La giornalista inizia a studiare il carattere di questo assassino attraverso le telefonate che egli fa a Sharifi dopo ogni suo omicidio, vantandosi di informare lui e il mondo su dove trovare il corpo della sua ultima vittima. L’autrice si concentra sui fili comuni che legano tutti i crimini: tutte le donne erano lavoratrici del sesso e la maggior parte di loro erano anche spacciatrici e abusatrici di droga, oltre al fatto che tutte sono state strangolate con le loro stesse sciarpe. Arezoo e Sharifi capiscono dunque che si tratta di una questione religiosa.

Holy Spider cast
Forouzan Jamshidnejad in Holy Spider.

Per questo Sharifi era stato cauto nel riferire la notizia, perché i suoi superiori gli avevano ordinato di non mettere in cattiva luce i crimini religiosi. Dopo numerosi omicidi da parte dell’assassino, però, Arezoo e Sharifi vanno a incontrare uno dei leader religiosi, chiedendogli di aiutarli a scoprire l’assassino. Con grande sorpresa, il leader concede loro i suoi migliori auguri e il suo sostegno, ma è anche diretto nel dire che non si fida di Arezoo per denunciare i crimini nel modo esatto in cui sono stati commessi. All’epoca, c’erano pressioni politiche su questi leader per non tollerare tali crimini contro la legge, ma anche la pressione sociale di essere moralisti non ha mai lasciato la scena.

Successivamente, Arezoo decide di incontrare le donne che si prostituiscono per strada ogni notte, ma nessuna di loro è disposta a parlare con lei. Aiuta poi una donna di nome Soghra quando questa è malata in un caffè e all’inizio fa amicizia con lei, ma le domande sulla droga e sull’assassino la allontanano immediatamente. Nel giro di pochi giorni, però, Soghra viene ritrovata cadavere, ultima vittima dell’a. Questo non solo commuove Arezoo oltremisura ma le dimostra che ha cercato nel posto giusto. Avendo ormai oltrepassato tutti i limiti e rendendosi conto che, sebbene tutti le assicurino di aver trovato l’assassino ma che nessuno ha realmente intenzione di farlo, Arezoo decide di prendere in mano la situazione.

Si finge una prostituta per strada per farsi prendere dall’assassino, ed è proprio quello che succede. Ma una volta entrata nella casa dell’assassino, Arezoo non demorde e riesce in qualche modo a fuggire. È la sua denuncia alla polizia, il giorno seguente, a far arrestare Saeed, perché è l’unica donna sopravvissuta alla presa dell’assassino. Negli ultimi minuti del film, l’attenzione si concentra sul se Saeed sarà punito dalla legge o meno. All’epoca tutti sapevano che l’arresto dell’assassino era avvenuto solo perché c’erano pressioni politiche dovute alle imminenti elezioni. Tuttavia, c’era anche la convinzione generale, sostenuta fino alla fine anche da Arezoo, che Saeed sarebbe stato lasciato fuggire o tenuto al sicuro.

L’avvocato difensore dell’uomo vuole presentare Saeed in tribunale come affetto da problemi di salute mentale, ma Saeed si rifiuta di accettarlo. In modo piuttosto drammatico, dice a tutti in tribunale che aveva il pieno controllo delle sue azioni e che la sua unica follia era l’amore per Dio e per l’Imam Reza. Nelle sue conversazioni private, Saeed afferma di essere consapevole di quante persone nella società lo ammirino e di non volerle deludere dichiarando di essere un pazzo. È chiaro che Saeed stesso crede di fare la cosa giusta perché è spronato da una società che glielo faceva credere. Così, quando il suo migliore amico Haji lo va a trovare in carcere dopo l’udienza della sentenza definitiva e gli dice che è in atto un grande piano per farlo evadere prima della pena di morte, Saeed si sente immensamente sollevato.

L’uomo è estremamente spaventato dalla morte, ma è spronato alle sue azioni solo dalla religione e dalla società. Alla fine, però, questo grande piano non viene portato a termine e Saeed Azeemi viene impiccato. Il motivo esatto di questo cambiamento di piani o della falsa promessa di Haji non viene chiarito, ma sembra che sia stata Arezoo a garantire che l’uomo fosse consegnato alla giustizia. Dopo aver concluso il suo lavoro a Mashhad, Arezoo Rahimi sale su un autobus diretto a Teheran e, durante il tragitto, guarda l’intervista che aveva fatto al figlio di Saeed, Ali, in cui il ragazzo esprime il suo orgoglio per le azioni del padre. Holy Spider si conclude con la triste constatazione che numerosi altri Saeed sono spuntati nella società, spinti da cieche convinzioni e dal fanatismo religioso.

Beauty in Black – Parte 2, la spiegazione del finale: Horace e Kimmie si sposeranno davvero?

Beauty in Black ha pubblicato il resto della sua prima stagione e il finale della seconda parte ha portato alcune delle rivelazioni più sconvolgenti della serie drammatica di Tyler Perry. Beauty in Black parte 1 si è conclusa con un finale scioccante: Horace ha sventato un furto nella sua casa, Rain è finita in ospedale con un destino incerto e la sorella minore di Kimmie, Sylvie, è stata rapita. La seconda parte riprende proprio da questo finale sospeso, con Kimmie che intraprende una guerra senza quartiere per trovare Sylvie e farla pagare ai suoi rapitori (naturalmente, facendosi molti nemici pericolosi lungo il percorso).

Nei primi otto episodi, Beauty in Black ha lasciato molte domande senza risposta che saranno esplorate nei prossimi otto. La seconda parte della prima stagione di Beauty in Blackè uscita su Netflix il 6 marzo e si tuffa a capofitto in quelle domande. Si arriva a un finale emozionante, l’episodio 16, “Now Make It Thunder”, in cui un Horace malato fa un’ultima mossa di potere contro la sua famiglia doppia. Kimmie riceve una proposta inaspettata, Olivia fa una mossa spietata contro Lena e il palcoscenico è pronto per una seconda stagione emozionante.

Perché Horace vuole sposare Kimmie nel finale di Beauty in Black – Parte 2

Horace non vuole che i suoi figli ereditino i suoi soldi

All’inizio del finale di Beauty in Black – Parte 2, Kimmie va a trovare Horace in ospedale, dove lui le dice che sta morendo e che vuole sposarla. Ma non vuole sposarla perché è innamorato di lei o perché non vuole morire da solo; ha un motivo molto più pratico. Quando morirà, Horace vuole assicurarsi che la sua fortuna guadagnata con fatica non vada ai suoi figli fannulloni – che sono “fottuti perdenti”, secondo le sue parole – e l’unico modo per farlo è sposarsi.

Beauty in Black è la prima serie drammatica di Tyler Perry per Netflix.

Horace è impegnato in un’intensa lotta finanziaria con la sua famiglia e non vuole perdere, nemmeno con la morte. È disposto a sposare una quasi sconosciuta per tenere i suoi soldi lontani dalle loro mani. Kimmie non accetta di sposare Horace a meno che lui non le spieghi perché odia così tanto i suoi figli, e lui le dice che non hanno mai lavorato un giorno in vita loro, quindi non pensa che meritino di diventare ricchi per caso. Kimmie chiede di quanto denaro si tratta e Horace risponde in modo criptico: “Abbastanza perché tu non debba più lavorare in vita tua”.

Perché Kimmie accetta davvero la proposta di Horace

Kimmie non accetta subito la proposta di Horace, ma ci pensa su per qualche minuto, prima di accettare di sposarlo. Quando racconta della proposta alla sua amica Rain, Rain cerca subito su Google il patrimonio netto di Horace e scopre che vale ben 376 milioni di dollari. Questo rende sicuramente più allettante l’offerta, dato che Kimmie pensa che sarà più che sufficiente per pagare i suoi debiti e liberarsi delle persone pericolose che la perseguitano. Ma non è l’unico motivo per cui Kimmie accetta di sposare Horace.

Quando Kimmie sposerà Horace, diventerà una Bellarie, che nel mondo di Beauty in Black è come essere una Kennedy o una Vanderbilt.

Quando Kimmie sposerà Horace, diventerà una Bellarie, che nel mondo di Beauty in Black è come essere una Kennedy o una Vanderbilt. Potrà ottenere tutto ciò che desidera semplicemente cambiando il proprio cognome da sposata. Quando un’infermiera entra nella stanza d’ospedale di Sylvie in fondo al corridoio e cerca di cacciarla per trasferirla in un ospedale meno prestigioso, Kimmie le dice che è fidanzata con un Bellarie, e l’infermiera cambia immediatamente atteggiamento e lascia Sylvie nella stanza. Questo matrimonio porterà con sé alcuni vantaggi piacevoli.

Il piano di ricatto di Olivia contro Lena spiegato

Fin dalla prima parte, l’avvocato Lena ha costruito un caso contro l’impero dei prodotti per capelli Bellarie. Nel finale, finalmente consegna alla matriarca Olivia Bellarie un mandato di comparizione per avviare il procedimento giudiziario. Tuttavia, Olivia ricatta rapidamente Lena affinché ritiri il caso. Provoca Lena affinché la schiaffeggi, la filma e minaccia di diffondere il video se lei porta avanti la causa collettiva. Per provocarla, Olivia schiaffeggia Lena ripetutamente, ma dato che Olivia è così potente, l’unico testimone chiude un occhio. Questo è un commento interessante su come lo Stato di diritto non si applichi ai super ricchi.

Perché i Bellarie si oppongono così tanto al matrimonio

Non appena i Bellary vengono a sapere del matrimonio, fanno di tutto per impedirlo. Mallory corre all’ospedale per fare casino, Olivia chiede a Roy e Charles di raggiungerla e Jules si unisce a loro. Horace ha previsto tutto, quindi ha chiesto alla sicurezza dell’ospedale di chiudere il suo reparto e di tenere i Bellary nella hall. Alla fine, i Bellary si coalizzano contro la guardia di sicurezza e la spintonano per entrare nell’ala e vedere Horace. Ma quando arrivano, è troppo tardi: il matrimonio è già stato celebrato.

Ci sono un paio di ragioni per cui i Bellary sono così determinati a impedire a Horace di sposare Kimmie. Per cominciare, non vogliono che il denaro esca dalla famiglia e finisca nelle mani di una persona che non è un Bellarie. Come la maggior parte delle persone ricche, non hanno mai abbastanza e vogliono tenersi ogni singolo centesimo a cui sentono di avere diritto. E soprattutto non vogliono che il denaro vada a Kimmie, una loro nemica di lunga data, che ha causato loro problemi per 16 episodi.

Perché l’avvocato di Horace ha fatto uscire Kimmie dalla sua stanza d’ospedale

Mentre Horace sta sostenendo il test cognitivo necessario per il matrimonio, il suo avvocato porta Kimmie nel corridoio per rispondere a tutte le sue domande. Ma lui inizia subito a comportarsi in modo sospetto. Inventa ogni tipo di scusa per portare Kimmie nella hall, e Kimmie capisce subito il trucco. L’avvocato voleva attirare Kimmie nella hall, dove si trovavano i Bellary, in modo che potessero affrontarla. Ma ciò che rende Kimmie il miglior personaggio di Beauty in Black è che non cade facilmente in trucchi del genere.

Il vero significato del finale di Beauty in Black – Parte 2

Beauty in Black è stata fin dall’inizio una soap opera sul classismo, e il finale mette in evidenza la banalità della divisione di classe. Esplora l’idea che alcune persone che lavorano duramente, come Kimmie, passano la vita sommerse dai debiti, mentre altre che non hanno mai mosso un dito, come i figli di Horace, sono nate in famiglie benestanti e possono godersi lussi che non si sono guadagnate. Il finale tocca il tema del “non puoi portarlo con te”, quando Horace, dopo aver accumulato ricchezze per anni, cerca di lasciare la sua fortuna nelle mani giuste alla fine della sua vita.

La città proibita, recensione del film di Gabriele Mainetti

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La città proibita, recensione del film di Gabriele Mainetti

Gabriele Mainetti torna al cinema con La città proibita, un’opera ambiziosa che mescola generi e suggestioni con la consueta consapevolezza, confermando la sua intenzione di portare avanti un’idea di cinema spettacolare e profondamente radicato nella contemporaneità. Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, il regista romano ci accompagna in una Roma ibrida, viva, in perenne trasformazione, raccontando una storia di vendetta, amore e riscatto, vibrante di adrenalina.

La trama de La città Proibita

In un villaggio tra le montagne della Cina, due bambine si allenano con il padre che insegna loro delle mosse di kung fu. Molto anni dopo incontriamo Mei, una delle due ormai cresciuta, protagonista di una scena d’azione mozza fiato degna del miglior Bruce Lee, mentre si difende da un gruppo di malavitosi e cerca sua sorella. Sembra di essere in un qualsiasi localaccio di Shanghai, e invece siamo nel coloratissimo all’Esquilino, nel cuore di Roma. Mei incontra Marcello e, involontariamente, il loro destino si lega per quella che sarà l’avventura che cambierà per sempre le loro vite.

Il più grande pregio di la città Proibita è quello di trovare un buon equilibrio tra l’anima romanesca che il regista aveva già raccontato nei suoi film precedenti, così come le persone che vivono ai margini, e la sua grande passione per i film di kung fu e i revenge movie, elemento che costituisce poi il centro action del racconto.

Un equilibrio trai generi non sempre al servizio della storia

Il film ha la grande capacità di passare senza soluzione di continuità dalla commedia al dramma, dal melodramma al film di arti marziali, sempre con grande coerenza e senza mai risultare forzato. La scrittura, firmata da Mainetti stesso insieme a Stefano Bises e Davide Serino, diventa più sincera e lineare, rispetto ai film precedenti, anche se spesso si nota un compiacimento per la bellezza e l’adrenalina di alcune scene che però non servono la storia, sfociando nel risultato opposto di allontanare lo spettatore anziché tenerlo incollato allo schermo.

Le scene di combattimento, curate dal fight coordinator Liang Yang, elevano le scene d’azione a un livello tecnico competitivo con chi questi film li realizza continuamente, anche perché quando si tratta di azione, Mainetti sa il fatto suo: le scene in cui il protagonista è il kung fu sono fluide, creative e perfettamente integrate nella narrazione, anche se talvolta troppo lunghe e compiaciute.

Mei e Marcello protagonisti irresistibili

In questo crogiolo di riferimenti, sfumature e culture, Gabriele Mainetti sceglie due volti memorabili: Enrico Borello e Yaxi Liu, come eroi semi-romantici di questa storia. Lui, visto in molti altri progetti, tra cui Lovely Boy e il recente Familia, sorprende con una dolcezza e un incanto negli occhi che fanno tenerezza al primo sguardo, non si può non fare il tifo per il suo Marcello. Lei, letale e sottile, è stata la controfigura di Liu Yifei nel Mulan in live action della Disney e “mena come un fabbro”. Non solo, il suo viso pulito sono una rappresentazione perfetta della grinta e della dedizione che Mei, il suo personaggio, mette nel perseguimento dei suoi obbiettivi. Due opposti che trovano il modo di incontrarsi e incrociarsi, in mezzo a un inferno che nessuno dei due ha cercato. A completare il cast intervengono Sabrina Ferilli e Marco Giallini.

Ma Roma nei film di Mainetti è sempre protagonista e così da quella multietnica dell’Esquilino a quella da cartolina dei Fori Imperiali, la Città Eterna fa bella mostra di sé, diventando lo scenario perfetto per questa narrazione. L’Esquilino, con le sue bancarelle, i ristoranti cinesi e le trattorie romane, diventa il palcoscenico perfetto per raccontare un mondo in continua evoluzione. E Mainetti non si limita a rappresentare questa realtà, ma la esalta, mostrandone la bellezza e la complessità.

La città proibita non è solo un film d’azione o una storia d’amore: è un manifesto di come Gabriele Mainetti intende il suo cinema. E nel bene e nel male è ormai una cifra stilistica distintiva, con la sua ricchezza di riferimenti ma anche l’autocompiacimento, lo stile impeccabile e la mancanza di umiltà per mettersi al servizio della storia. Il film si impone come uno dei più interessanti delle prossime settimane al cinema, dal 13 marzo in sala con PiperFilm con anteprime l’8 marzo in anteprima.

L’orto americano: recensione del film di Pupi Avati

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L’orto americano: recensione del film di Pupi Avati

Dopo il sincero omaggio a Dante Alighieri e il malinconico La quattordicesima domenica del tempo ordinarioPupi Avati torna a confrontarsi con il genere che ha segnato la sua carriera: l’horror gotico. Con L’orto americano, tratto dall’omonimo romanzo da lui stesso scritto, il regista bolognese confeziona un’opera densa di riferimenti letterari e cinematografici, in bilico tra la memoria storica e il perturbante.

La trama di L’orto americano

La storia segue un giovane aspirante scrittore bolognese (interpretato da Filippo Scotti) che, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si innamora perdutamente di una giovane infermiera americana incontrata per caso in una bottega di barbiere. Il loro fugace incontro segna l’inizio di un’ossessione amorosa che lo porterà fino in Iowa, dove il protagonista si trasferisce per scrivere il suo romanzo. Lì, accanto alla casa della ragazza, si trova uno strano orto abbandonato, nel quale rinviene una teca di vetro contenente i genitali di una donna e una criptica citazione del poeta greco Bacchilide. Da quel momento, il giovane si troverà invischiato in un inquietante mistero che lo costringerà a fare ritorno in Italia, dove l’orrore troverà la sua compiutezza.

L’orto americano riprende molte delle tematiche care ad Avati: la follia come varco tra il reale e il soprannaturale, la memoria storica come terreno fertile per l’orrore, il gotico padano come cifra stilistica inconfondibile. Il protagonista, segnato da un ricovero in un istituto psichiatrico perché sosteneva di parlare con i defunti, incarna un’umanità fragile e tormentata ma comunque aperta alla meraviglia e al richiamo dello extra-ordinario, anche lui porta d’accesso verso un mondo in cui si può trovare la pace solo nelle “vie di mezzo”, “tra l’acqua dolce del Po e il mare”. Un personaggio delicato e sfumato che Scotti ritrae con grande sensibilità.

Il bianco e nero: narrazione e esperimento

Visivamente, Avati compie una scelta audace adottando il bianco e nero, che conferisce al film un’estetica espressionista e sospesa nel tempo. Le atmosfere oniriche e inquietanti, arricchite da un sapiente uso delle ombre e delle inquadrature, rimandano ai maestri del gotico, da Mario Bava a Carl Theodor Dreyer e la scelta fotografica, un unicum nella carriera di Avati, segnala non solo un’esigenza legata al racconto ma anche una volontà di sperimentare viva e propositiva. La fotografia diventa fondamentale per amplificare il senso di straniamento e la tensione narrativa, sostenendo il costante contrasto tra lirismo e brutalità.

Uno degli aspetti più interessanti di L’orto americano è la sua natura metaforica che ripercorre una discesa agli inferi, un percorso di discesa nel lato oscuro dell’animo umano che richiama la tradizione dantesca (un ritorno!). Il protagonista si muove tra l’amore idealizzato e la crudele realtà della morte, tra il Midwest americano e la Bassa Padana, tra il mito dei testi classici e la cronaca nera. Un continuo ossimoro che trova un equilibrio perfetto in un racconto avvincente, oltre che ammaliante.

Con L’orto americanoPupi Avati rappresenta ancora una volta quanto sia importante raccontare l’inspiegabile, firmando un film che si impone come uno dei suoi migliori lavori in assoluto. Un’esperienza cinematografica sospesa tra sogno e allucinazione, come quegli incubi confusi, che si dissipano al mattino, ma che lasciano un segno di sé sul cuore.

Scissione – Stagione 2, Episodio 8, la spiegazione del finale: Harmony Cobel sta cercando di distruggere Lumon?

L’ottavo episodio della seconda stagione di Scissione non è come gli altri episodi della serie Apple TV+, in quanto si concentra esclusivamente su Harmony Cobel, sul suo passato e sui suoi piani futuri per abbattere Lumon. Anche se Cobel è stata ritratta come uno dei personaggi chiave nella prima stagione della serie di fantascienza di Apple TV+, dopo i primi episodi della seconda stagione ha avuto pochissimo tempo sullo schermo. Dopo non essere stata autorizzata a gestire nuovamente il piano reciso, Cobel si è rivoltata contro l’azienda che aveva lealmente adorato ed è scomparsa prima che qualcuno potesse rintracciarla.

Anche se la seconda stagione inizialmente accennava al fatto che si stava dirigendo verso un luogo chiamato Salt’s Neck, non rivelava mai perché Cobel si stava dirigendo lì e cosa aveva intenzione di fare dopo la sua partenza da Lumon. Dopo aver mantenuto un’aria di ambiguità sulla sorte di Cobel, la seconda stagione di Scissione le dedica un intero episodio, rivelando tutto, dalla sua storia in Lumon al vero motivo per cui si sentiva tradita dall’azienda. Una grande rivelazione sul passato di Harmony Cobel in Lumon cambia tutto ciò che si sapeva su di lei e sul suo contributo all’azienda.

Perché Cobel accetta di incontrare Mark nel finale dell’ottavo episodio della seconda stagione di Scissione

Cobel è rimasta devastata quando Lumon l’ha licenziata nel finale della prima stagione di Scissione. Nonostante fosse stata licenziata, mantenne la sua lealtà e aiutò Lumon a contenere il caos causato dalla contingenza degli straordinari che ne seguì nell’arco finale della prima stagione. Con suo sgomento, anche dopo aver dimostrato la sua dedizione al servizio dell’azienda, Helena non accettò di averla a bordo come responsabile del piano licenziata e le offrì solo un profilo di lavoro alternativo in azienda.

Questo creò un senso di dissonanza nella mente di Helena, che si rese conto di come avesse sprecato tutta la sua vita rimanendo fedele a un’azienda che l’aveva buttata fuori come uno strumento scartato. Con questo, Cobel poteva finalmente vedere quanto fosse malvagia Lumon, spingendola a scappare a Salt’s Neck, la piccola città in cui era cresciuta. Dopo aver ottenuto ciò che voleva dalla sua casa d’infanzia, si allontana da Salt’s Neck e riceve una chiamata da Devon. Invece di ignorare Devon e Mark e rimanere fedele a Lumon, Cobel non si trattiene dall’aiutarli.

Nella scena finale dell’episodio 8 della seconda stagione di Scissione si rende conto di essere stata programmata per credere nella visione di Lumon per tutta la vita. Tuttavia, come i lavoratori tagliati fuori, anche lei era un burattino che l’azienda sfruttava a proprio vantaggio. Questa consapevolezza le fa odiare Lumon e la incoraggia a collaborare con coloro che sono determinati a distruggerla.

Chi arriva a casa di Sissy Cobel nel finale dell’ottavo episodio della seconda stagione di Scissione

Dopo essere arrivata a Salt’s Neck nell’ottavo episodio della seconda stagione di Scissione, Cobel teme di essere seguita. Inoltre, teme che Sissy non la faccia entrare in casa se vede la sua auto parcheggiata fuori. Pertanto, chiede aiuto a Hampton e gli chiede di lasciarla in silenzio a casa di Sissy. Verso la fine dell’episodio, Cobel trova finalmente ciò che stava cercando, ma Hampton vede da lontano un’auto che si avvicina alla casa di Sissy. Anche se l’episodio non rivela chi è arrivato a casa di Sissy, sembra ovvio che si trattasse di qualcuno della Lumon.

Sissy Cobel aveva precedentemente rivelato che dopo che Harmony aveva lasciato Lumon, Drummond l’aveva chiamata per raccontarle della sfida di Harmony. Mentre Harmony trascorre del tempo nella stanza di sua madre e ricorda la sua tragica scomparsa, Sissy sembra tradirla informando le autorità di Lumon del suo arrivo a casa sua. Questo spiegherebbe come Lumon sia venuta a conoscenza di dove si trovasse Cobel. Poiché anche Hampton sembra aver avuto una storia traumatica con Lumon, esprime il suo odio verso l’azienda dicendo “Venite a domare questi temperamenti, stronzi”, mentre l’auto di Lumon si avvicina alla casa di Sissy.

Cosa cerca Harmony nella casa di Sissy Cobel

Harmony cerca in particolare un taccuino nella casa di Sissy che apparentemente contiene intricati disegni di qualcosa che ha creato lei. Dopo aver cercato in tutta la sua stanza e in quella di sua madre, Cobel si rende conto che Sissy non avrebbe mai buttato via le sue cose. Con questo, si rende conto che Sissy potrebbe aver conservato le sue cose in cantina. Quando va in cantina, trova finalmente il taccuino che stava cercando, che contiene intricati disegni di tutti i protocolli e le procedure di override che Lumon utilizza per creare le barriere di separazione nei cervelli dei propri dipendenti.

I disegni nel taccuino di Cobel spiegati: perché James Eagan li ha rubati?

I progetti nel taccuino di Cobel rivelano che la procedura di separazione e le sue numerose componenti erano frutto del suo ingegno. Era la mente dietro tutte le procedure che Lumon utilizza sui suoi lavoratori. Tuttavia, non le è mai stato dato il merito che meritava per il suo lavoro. Invece, Jame Eagan ha rivendicato come sue le sue invenzioni e si è preso tutto il merito per i suoi contributi a Lumon. La storia di Cobel e Jame Eagan ricorda la leggenda che circonda Thomas Edison e Nikola Tesla.

La rivelazione di Cobel spiega perché Harmony si sentì così distrutta dopo che Lumon la allontanò dal piano di separazione. Era orgogliosa di aver contribuito alla crescita di Lumon inventando e studiando la procedura di separazione, ma l’azienda glielo portò via.

È opinione diffusa che Thomas Edison abbia brevettato le invenzioni di Tesla solo a suo nome e le abbia presentate agli azionisti senza dare a Tesla il giusto merito per i suoi contributi. Anche se non ci sono prove che Edison abbia rubato a Tesla, il retroscena di Cobel mette in evidenza come le potenti forze dietro Lumon gestiscano l’azienda come una setta. Manipolano lavoratori come Cobel facendogli credere che il loro unico scopo è servire Kier, mettendo a tacere qualsiasi riconoscimento dei loro contributi individuali.

La spiegazione della storia di Harmony Cobel alla Lumon

L’ottavo episodio della seconda stagione di Scissione non solo rivela la verità sui contributi di Harmony Cobel alla Lumon, ma svela anche come è stata assunta dall’azienda quando era solo una bambina. Come la signorina Huang, anche Cobel era minorenne quando fu assunta dall’azienda come stagista. Come la Huang, anche lei partecipò al prestigioso programma Wintertide Fellowship di Lumon e fu ritenuta meritevole di tale borsa di studio solo dopo aver dimostrato quanto fosse laboriosa durante il suo periodo di lavoro in una fabbrica Lumon.

Sebbene l’episodio non approfondisca i dettagli del viaggio di Cobel a Wintertide, suggerisce che anche Hampton abbia lavorato con lei nella fabbrica Lumon. Hampton continua a sottolineare come Lumon li abbia costretti a lavorare come bambini, rivelando la triste verità sulla storia di sfruttamento di giovani menti impressionabili da parte dell’azienda. Quando Cobel e Hampton si drogano, Cobel ricorda anche di aver fumato etere per la prima volta quando aveva solo nove anni. Questo suggerisce che Cobel e Hampton erano costantemente esposte all’etere e ai suoi effetti inebrianti quando lavoravano nelle fabbriche di etere della Lumon da bambine.

La spiegazione del ruolo di Celestine “Sissy” Cobel nella Lumon 

Anche se l’episodio 8 della seconda stagione di The Divide non menziona esplicitamente il ruolo di Sissy Cobel in Lumon, mette in evidenza come anche lei sia accecata dalla sua devozione all’azienda. Per alcuni secondi, l’episodio mostra anche una foto di una targa su una delle pareti della casa di Sissy, che rivela che lei era la “Maestra apprendista dei giovani”. Mostra anche che era stata etichettata come la “Quarterly Striver” nel “4th Quarter”, suggerendo che aveva legami profondi con l’azienda come sua dipendente per un bel po’ di tempo.

Cosa è successo alla madre di Harmony Cobel

L’episodio 8 della seconda stagione di Scissione rivela che la madre di Cobel aveva una malattia terminale. Cobel accettò di lavorare per Lumon in giovane età perché credeva che l’azienda l’avrebbe aiutata a pagare le cure per sua madre. Tuttavia, mentre era via per lavoro per Lumon, sua madre morì. Come si vede nell’episodio di Scissione – stagione 2, Cobel rimane traumatizzata dalla morte di sua madre e porta persino con sé il suo tubo per la respirazione.

La stagione 2 di Scissione dovrebbe avere un totale di 10 episodi, con l’ultimo episodio in uscita il 21 marzo 2025.

Cobel cerca di incolpare Celestine per la morte di sua madre sostenendo che non si è presa cura di lei. Tuttavia, con grande sorpresa di Harmony, Celestine sostiene che sua madre è morta dopo che lei stessa ha scollegato il tubo di respirazione dal suo macchinario di supporto vitale. Sebbene Harmony si rifiuti di credere alle affermazioni di Sissy Cobel, la rivelazione la sconvolge profondamente.

L’impatto e l’influenza di Lumon su Salt Neck spiegati

Anche se l’ottavo episodio della seconda stagione di Scissione non approfondisce l’influenza di Lumon su Salt’s Neck, accenna a come l’azienda abbia distrutto la città. Molti cittadini sembrano soffrire di gravi problemi di salute e utilizzare tubi per respirare, il che suggerisce che Lumon abbia fortemente inquinato l’aria e l’acqua. Per fare spazio alla sua crescita, l’azienda sembra anche aver costretto molte persone a trasferirsi, mentre quelle rimaste sono state costrette a lavorare per Lumon.

Mickey 17, spiegazione del finale: cosa significa lo sci-fi di Bong Joon-ho

L’attesissimo Mickey 17 di Bong Joon-ho è finalmente in sala (qui la nostra recensione), ed ecco di seguito un’analisi sul finale del film, nel tentativo di spiegare cosa succede in questo bizzarro approccio alla fantascienza del regista premio Oscar. Basato sul romanzo Mickey 7, Mickey 17 costruisce un nuovo mondo fantascientifico in cui le persone, previo consenso, possono diventare “sacrificabili”. Il protagonista (interpretato da Robert Pattinson) è uno di questi, che vengono sacrificati per fare degli esperimenti e capire come e quando un uomo muore. Dopo OGNI SINGOLA MORTE, Mickey viene ristampato, con tutte le sue emozioni pregresse. Il problema insorge quando Mickey 17 non muore come dovrebbe, mentre dalla centrale operativa stampano un nuovo Mickey 18.

Alla fine del film, le cose sono degenerate a un livello pericoloso. Mickey 18 ha tentato di assassinare il capo della colonia Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), mentre lui e i suoi seguaci radicali si stanno preparando a spazzare via le specie native del pianeta, i creepers, che però Mickey sa essere pacifiche, dal momento che è proprio grazie al loro intervento che non è morto. Fortunatamente, Mickey 17, Mickey 18 e Nasha (Naomi Ackie) riescono a sventare il piano di Marshall. E alla fine Mickey 18 si sacrifica per uccide Marshall e liberare Nilfheim.

Mickey 17 elimina il programma dei “sacrificabili” dopo il sacrificio di Mickey 18

Il programma dei sacrificabili è l’amo principale del film, l’intera storia è incentrata sulla pratica di clonare Mickey dopo ogni sua morte. Nel mondo di Mickey 17, il programma è incredibilmente controverso, essendo stato reso illegale sulla Terra. Anche mentre è a Nilfheim, molti coloni guardano dall’alto in basso Mickey per la sua iscrizione al programma. Tuttavia, Marshall ritiene che sia una necessità, perché Mickey viene inviato in tutti i tipi di missioni pericolose e sottoposto a tutti i tipi di esperimenti.

Alla morte di Marshall, Nasha viene promossa in una posizione politica di potere su Nilfheim. Così, Mickey e Nasha colgono questa opportunità per porre fine al programma dei sacrificabili. Durante una cerimonia, a Mickey viene permesso di far esplodere l’unica stampante per umani di Nilfheim, gesto che rende illegale il programma anche su altri pianeti, così come lo è sulla Terra. Poiché Mickey 18 è morto poco prima, Mickey 17 è l’ultimo Mickey. Quindi, quando inevitabilmente morirà, la sua morte rimarrà permanente.

I Creepers possono davvero uccidere tutta l’umanità?

L’atto finale di Mickey 17 è piuttosto intenso, incentrato su uno scontro tra i coloni umani di Nilfheim e i creepers. Marshall ha rapito un cucciolo di creeper e ha intenzione di sterminare tutti i creeper in una volta sola mentre circondano la base umana. Quando i deu Mickey vengono mandati a parlare con i creeper, scoprono che i creeper possono emettere una frequenza che ucciderà tutta l’umanità, minacciando di farlo se il cucciolo di creeper non verrà riportato indietro.

Dopo che Marshall viene ucciso e il programma dei sacrificabili termina, il protagonista riesce ad avere un’altra conversazione con i creeper. Durante questa conversazione, lui scopre che i creeper non possono effettivamente uccidere tutta l’umanità. La minaccia della frequenza era un bluff, dato che sono per lo più innocui. Tuttavia, questo bluff è esattamente ciò di cui avevano bisogno per salvare la loro specie.

Perché Kenneth Marshall voleva spazzare via i Creepers e colonizzare Nilfheim

Kenneth Marshall è il principale antagonista del film e, mentre la performance di Mark Ruffalo è satirica, il piano del potente politico è invece genocida. Come spiega il film, Kenneth Marshall è un politico popolare che ha perso un’elezione. Per questo motivo, Marshall e i suoi seguaci hanno iniziato la missione Nilfheim, con la colonizzazione di un pianeta lontano in grado di supportare la vita. Una volta arrivato, Marshall vuole che Nilfheim sia interamente per gli umani. Ecco perché vuole uccidere tutti i Creepers, ottenendo un pianeta in cui lui è l’autorità suprema.

Cosa significa in realtà la sequenza onirica di Mickey 17

Sebbene Mickey 18 uccida Marshall e sua moglie Ylfa venga imprigionata, questa non è la fine del conflitto di Mickey 17. Verso la fine del film, Mickey sogna che la stampante umana è ancora in funzione. Vede Ylfa lì, che gli dice di provare una nuova salsa. Poi, Ylfa inizia a stampare un’altra versione di Marshall, che apparentemente torna in vita. Sebbene questa sia una sequenza onirica, il pubblico non se ne accorge subito.

I sogni di Mickey 17 mettono in luce la sua paranoia e, sebbene sia impossibile che Kenneth Marshall stesso torni, Mickey ha paura che qualcuno come lui salga al potere. Questa è la chiave del commento politico di Mickey 17. Anche se quel politico fascista, un’altra persona come lui potrebbe facilmente ribellarsi e destabilizzare di nuovo le cose. La stampante in sé dovrebbe essere un simbolo di questo ciclo e Mickey dovrà continuare a combattere per impedire che questo sogno si avveri.

Mickey 17 imposta il libro sequel, Antimatter Blues?

Mickey 17 è basato sul romanzo di Edward Ashton Mickey 7 e, sebbene molti spettatori potrebbero non saperlo, il libro ha in realtà un sequel. Ashton ha anche scritto il romanzo del 2023 Antimatter Blues, che si svolge due anni dopo gli eventi di Mickey 7. Nel libro, Mickey scopre che una bomba è stata nascosta a Nilfheim e deve trovarla per rifornire la base dei coloni evitando il conflitto con i creepers.

È improbabile che si realizzi un sequel del film Mickey 17, poiché Bong Joon-ho non è noto per aver realizzato sequel. Sebbene sia possibile, poiché la storia potrebbe basarsi sul finale di Mickey 17, probabilmente non accadrà a meno che Mickey 17 non sia un enorme successo finanziario (e sembra improbabile).

Il vero significato di Mickey 17

Come altri film di Bong Joon-ho, Mickey 17 è pieno di riflessioni su classe, politica, potere e capitalismo. Il programma dei sacrificabili è pensato per essere parallelo a quanto siano sacrificabili molti lavoratori, con l’atteggiamento indifferente di Nilfheim nei confronti di Mickey che è simile agli atteggiamenti di molti superiori nei confronti dei loro dipendenti. Kenneth Marshall è anche chiaramente ispirato da alcuni politici della vita reale, con la sua retorica e i suoi obiettivi non lontani da alcune ideologie politiche nonostante l’ambientazione fantascientifica del film.

Yellowjackets, la spiegazione della linea temporale: quanto tempo passa nella serie tv?

La cronologia delle Yellowjackets è molto vaga, rendendo difficile per gli spettatori capire da quanto tempo le ragazze sono disperse, ma alcuni indizi durante lo show forniscono qualche informazione in più. Yellowjackets segue la squadra di calcio di una scuola superiore che lotta per sopravvivere dopo che il loro aereo diretto alle nazionali si è schiantato nella natura canadese. Lo show, che alterna le ragazze da adolescenti nel 1996 nel bosco a donne adulte ai giorni nostri, rivela che le Yellowjackets sono rimaste bloccate per 19 mesi. Tuttavia, finora è stata mostrata solo una parte di quel periodo, lasciando il pubblico con domande senza risposta.

Descritta come una versione più cupa e tutta al femminile de Il signore delle mosche, la scena di apertura di Yellowjackets mostra le ragazze che alla fine ricorrono al cannibalismo, che dà i suoi frutti quando la linea temporale di Yellowjackets raggiunge la seconda stagione e Jackie e Javi vengono mangiate. La raccapricciante tattica di sopravvivenza sembrava essere molto lontana nella linea temporale, ma un inverno rigido durante i due mesi che separano le stagioni li ha costretti a farlo. Senza date esplicite, è difficile determinare per quanto tempo i sopravvissuti del volo 2525 sono rimasti nei boschi. Tuttavia, alcuni indizi contestuali possono essere raccolti per stabilire una linea temporale approssimativa di Yellowjackets.

Cronologia della prima stagione di Yellowjackets: 5-6 mesi

Yellowjackets film 2021

Ci sono indizi e riferimenti nascosti in tutta la prima stagione di Yellowjackets, che aiutano il pubblico a sviluppare teorie e servono come indizi contestuali per la cronologia di Yellowjackets. Il pubblico sa che i Yellowjackets hanno saltato il ballo di fine anno per andare alle nazionali, quindi è probabile che l’aereo sia precipitato nel maggio 1996. Anche la gravidanza di Shauna (Sophie Nélisse) è uno dei maggiori indicatori di quanto tempo sia passato, poiché la serie lascia intendere che sia rimasta incinta la notte prima dell’incidente aereo.

Durante il finale, la sua pancia ha iniziato a diventare più prominente, al punto che fatica a entrare nel suo vestito da “fine del mondo”. Anche se è difficile stabilire a che punto della gravidanza si trovi, è molto probabile che sia al secondo trimestre, il che suggerisce che gli eventi del finale si svolgano almeno tre mesi dopo l’incidente aereo. Altri indizi della linea temporale di Yellowjackets sono i cambiamenti del tempo e diversi commenti improvvisi dei personaggi.

All’indomani dell’incidente, le Yellowjackets possono dormire tranquillamente all’aperto, ma il tentativo di Jackie di farlo nel finale ha conseguenze mortali. I personaggi riconoscono ripetutamente che la sopravvivenza diventa più difficile quanto più fa freddo fuori, e l’improvvisa nevicata nel finale indica che hanno iniziato a entrare nell’inverno. Le ragazze organizzano la loro festa di “doomcoming” in sostituzione del ballo di fine anno, un evento che si svolge a settembre/ottobre, e Jackie dice che si sarebbero preparate per la “rush week” se l’aereo non si fosse schiantato.

Le Yellowjackets sono rimaste bloccate per 5 o 6 mesi.

Prima dell’incidente, gli studenti più grandi si stanno preparando per l’università, e la giocatrice Allie si lamenta del fatto che il viaggio alle nazionali le farà perdere il ballo di fine anno, che di solito si tiene a maggio. Questi indizi combinati forniscono una risposta approssimativa, in quanto suggeriscono che l’aereo si è schiantato a maggio o all’inizio di giugno, e gli eventi del finale si svolgono a fine ottobre o inizio novembre, il che significa che le Yellowjackets sono rimaste bloccate per 5-6 mesi.

Cronologia della seconda stagione di Yellowjackets: 4-5 mesi

Yellowjackets 2 stagione

Il secondo capitolo copre un periodo leggermente più breve

La cronologia di Yellowjackets si accorcia per la seconda stagione, ma è più ricca di azione rispetto alla prima puntata. La seconda stagione di Yellowjackets si apre con la rivelazione che sono passati due mesi dal finale della prima stagione. Pertanto, si può intuire che, contando il salto temporale di due mesi, gli eventi del secondo episodio si svolgono nel corso di 4-5 mesi, concludendo la stagione al più presto a febbraio e al più tardi ad aprile. Durante l’intera stagione, la natura selvaggia è coperta di neve, con una tempesta torrenziale alla vigilia del travaglio di Shauna.

La neve inizia a sciogliersi a marzo o aprile, ma può rimanere più a lungo, a seconda della zona. Quattro cose indicano quanto tempo passa nella linea temporale di Yellowjackets: il tempo, il cibo, la gravidanza di Shauna e il dialogo. Il salto temporale di due mesi è stato stabilito quando Taissa osserva che Shauna ha conversato con il corpo di Jackie per due mesi e, sebbene non si stia decomponendo così velocemente come farebbe normalmente a causa del freddo, le cade l’orecchio.

All’inizio della puntata, la carne dell’orso ucciso da Lottie nella prima stagione è diventata sottilissima, e non consumano più animali, riempiendo invece le loro pance di carne umana, fino a quando gli uccelli morti cadono sulla capanna nell’episodio 3, “Digestif”. Shauna ha anche avuto il suo bambino selvaggio nell’episodio 6, “Qui”. Quando è iniziato il travaglio, nessuno ha fatto menzione del fatto che il bambino sarebbe nato troppo presto, e il team si era preparato per il parto attraverso le meditazioni mattutine di Lottie.

Il team è rimasto bloccato per nove mesi in totale.

Pertanto, si può supporre che, a metà della pausa stagionale nella cronologia delle Yellowjackets, la squadra sia rimasta bloccata per nove mesi in totale. Dopo che Shauna è costretta a seppellire il suo bambino, accadono molte cose, come l’istituzione del rituale e il passaggio della leadership da Lottie a Natalie. Tuttavia, c’è ancora neve a terra, il che significa che è probabile che l’ultima serie di episodi della seconda stagione delle Yellowjackets si svolga nell’arco di un mese.

Le Yellowjackets rimangono bloccate per 19 mesi in totale

Si suggerisce che il team rimarrà nella natura selvaggia per un anno e mezzo

Anche se la cronologia di Yellowjackets non è stata stabilita esplicitamente nel 1996, è possibile calcolare esattamente per quanto tempo la squadra è rimasta bloccata nella natura selvaggia. È stato rivelato che le Yellowjackets sono rimaste bloccate per 19 mesi, circa un anno e mezzo. Se la cronologia di Yellowjackets seguisse le stime elencate, è probabile che la serie abbia finora coperto un periodo di tempo compreso tra i 9 e gli 11 mesi.

Ciò significa che mancano circa 8-10 mesi prima che venga mostrato come le ragazze vengono salvate. Tuttavia, i creatori della serie hanno suggerito che una terza linea temporale potrebbe entrare in gioco. Solo il tempo lo dirà, mentre Yellowjackets continua con la terza stagione.

La linea temporale degli adulti di Yellowjackets

Il segmento del 2021 copre molto meno

Sebbene la maggior parte delle domande sulla linea temporale di Yellowjackets si concentri sul periodo del 1996 e su quanto a lungo i sopravvissuti del volo 2525 siano stati abbandonati a se stessi nella natura selvaggia, questo non è l’unico punto della storia dei personaggi trattato dalla serie. Yellowjackets si concentra anche sul presente dei suoi personaggi, esplorando l’impatto di ciò che è accaduto nella natura selvaggia e l’impatto che ha avuto sulle loro vite 25 anni dopo.

Le parti di Yellowjackets ambientate nella natura selvaggia si svolgono tra il 1996 (l’incidente) e il 1998 (quando le ragazze vengono salvate). La narrazione poi riempie retroattivamente gli spazi vuoti man mano che rivela altro del mistero. La linea temporale attuale, d’altra parte, viene esplorata in modo lineare. Tuttavia, l’arco temporale degli eventi del 2021 in Yellowjackets è molto più breve. Mentre la parte degli anni ’90 della serie copre circa un anno e mezzo, finora la linea temporale degli adulti in Yellowjackets copre poco più di un mese o due.

Il ritmo degli eventi nella linea temporale attuale di Yellowjackets è molto più compatto. Questo vale sia per la prima e la seconda stagione di Yellowjackets, sia per il tempo che intercorre tra di esse. Nella linea temporale degli anni ’90, tra la prima e la seconda stagione di Yellowjackets passano due mesi. Tuttavia, per quanto riguarda la vita adulta dei sopravvissuti nel 2021, ci sono solo pochi giorni tra gli eventi del finale della prima stagione e la prima della seconda.

È probabile che la terza stagione di Yellowjackets si espanderà maggiormente sulla linea temporale degli adulti, ed è anche possibile che ci possa essere un salto temporale che estenda ulteriormente l’arco temporale della parte odierna della storia.

Quanto tempo è probabile che passi nella terza stagione

Le prime due stagioni di Yellowjackets sembrano essere durate tra i 10 e i 12 mesi. Si suggerisce anche che le ragazze siano rimaste intrappolate nella natura selvaggia per 19 mesi, ovvero per poco meno di due anni. I co-creatori Ashley Lyle e Bart Nickerson hanno dichiarato di avere un piano di cinque stagioni per la serie (tramite THR), e poiché intendono passare dalle ragazze bloccate alle situazioni attuali, la terza stagione non dovrebbe durare più di tre o quattro mesi, a meno che la serie non arrivi completamente ai giorni nostri alla fine.

Naturalmente, tutto questo potrebbe cambiare se ci fosse una terza linea temporale, quindi tutto è possibile.

Lost è un buon esempio di serie che ha dato una scossa con flash-forward piuttosto che flashback, quindi se ciò accadesse, la terza stagione potrebbe essere simile per durata alle prime due e portare quasi al loro salvataggio prima che i creatori scuotano le cose per i personaggi. Con il primo sguardo alle ragazze che iniziano a diventare più animalesche quando si tratta di cannibalismo, Yellowjackets potrebbe essere pronta per una terza stagione molto traumatizzante su Showtime.

Nella tana dei lupi 2: Pantera, recensione del film di Christian Gudegast

Uscito nel 2018, Nella tana dei lupi si è rivelato il miglior action-thriller realizzato dai tempi di The Town, seconda regia di Ben Affleck. Costruito con realismo pungente soprattutto nelle sequenze di sparatorie e nelle interpretazioni carismatiche del cast, il lungometraggio diretto da Christian Gudegast ha ottenuto un discreto successo al botteghino e un’ampia schiera di fan.

Sviluppare un sequel non sarebbe stato tuttavia un compito facile, per due ragioni specifiche: in primo luogo, il film avrebbe avuto bisogno di una nuova ambientazione, lontana da una Los Angeles stilizzata e in fiamme; in secondo luogo (SPOILER ALERT!) sarebbe stato più che complesso restituire allo spettatore il tono teso e struggente una volta uscito di scena il personaggio di Ray Merrimen, nell’originale interpretato da un impressionante Pablo Schreiber, di gran lunga il maggiore punto di forza dell’intera operazione.

Nella tana dei lupi 2: Pantera accetta le sfide

Nella tana dei lupi 2: Pantera ha accettato queste sfide e, pur non raggiungendo l’eccellenza cinematografica del primo capitolo, dimostra chiaramente che Gudegast è un regista intelligente. Ambientato quasi completamente nel sud della Francia, questo sequel si orienta maggiormente verso l’heist-movie, scegliendo un approccio più dolce e rilassato sia nei confronti della storia che, fattore ancor più importante, del tono. Alla fine, il regista utilizza i personaggi rimasti per realizzare qualcosa che risulta divertente in modo diverso: una scelta che paga soprattutto perché era piuttosto impossibile eguagliare quanto fatto in precedenza, e Gudegast dimostra fin da subito di averlo capito.

Detto questo, Nella tana dei lupi 2: Pantera inizia con una notevole scena d’azione che stabilisce il tono dell’intero film, per poi procedere allo sviluppo di una trama piuttosto efficace e coerente con il ritmo della narrazione. Quando diventa chiaro che non c’è un’altra figura di spessore quale era quella di Merrimen, i protagonisti Nick O’Brien (Gerard Butler) e Donnie Wilson (O’Shea Jackson Jr.) iniziano a sviluppare quel rapporto di amore/odio che abbiamo visto molte volte in questo tipo di heist-movie. Il duello psicologico, carismatico e viscerale tra Gerard Butler e Pablo Schreiber in Nella tana dei lupi non viene replicato in Pantera, perché O’Shea Jackson Jr. non interpreta quel tipo di personaggio e non possiede la presenza scenica di Schreiber. Di conseguenza, il nuovo capitolo non può contenere lo stesso tipo di dramma.

La sceneggiatura sviluppa il piano di rapina e la sua esecuzione utilizzando tutte le coordinate narrative più conosciute e un paio di colpi di scena non particolarmente originali, ma questo non significa che non funzionino per intrattenere. Tranne forse negli ultimi dieci minuti, l’azione non va mai troppo sopra le righe, impostando un realismo di base che tiene lo spettatore dentro la storia e accanto ai personaggi. Le sequenze d’azione non sono mai incredibili, non c’è violenza usata solo per intrattenere il pubblico, e ovviamente si finisce per tifare per i criminali quando si tratta di rubare milioni di dollari a qualcuno che può sicuramente permettersi di perderli.

Un action che predilige l’intrattenimento

Manca senza dubbio una dose di empatia sviluppata attraverso la narrazione, ma è abbastanza chiaro che, a vogliamo ribadirlo ancora una volta, Pantera preferisce intrattenere con un tono più rilassato invece di cercare di raggiungere lo zenit emotivo del primo Nella tana dei lupi. Questo sequel è molto meno un dramma e uno studio sui personaggi, ma dimostra fin dall’inizio di non volerlo essere, diventando un onesto sequel tutto sommato sa muoversi in autonomia. Spostandosi nella cornice più rilassante dell’heist-movie, Christian Gudegast ha deciso di esplorare toni addirittura antitetici nel sequel del suo acclamato primo lungometraggio. Una scelta che non è sbagliato avallare, visto che il cineasta ha cercato di cambiare rotta e non ripetere una formula che sapeva non avrebbe funzionato. Nella tana dei lupi 2: Pantera è lontano dall’essere perfetto, ma è divertente e in modo evidente sembra essere consapevole di regalare puro intrattenimento.

Mickey 17, recensione del film di Bong Joon-ho

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Mickey 17, recensione del film di Bong Joon-ho

Bong Joon-ho torna sul grande schermo con Mickey 17, il suo primo film dopo il trionfo agli Oscar con Parasite nel 2019. Basato sul romanzo Mickey7 di Edward Ashton, il film si inserisce nel filone della fantascienza satirica, combinando elementi di critica sociale con uno stile visivo spettacolare, che, nel contesto della filmografia di Bong, ci riporta alla mente Snowpiercer. Con Robert Pattinson alla guida del cast, il film si propone di essere un viaggio surreale e filosofico nella colonizzazione spaziale, nell’etica del sacrificio e nella natura dell’identità umana.

La trama di Mickey 17

La storia segue Mickey Barnes, interpretato da Pattinson, un uomo senza particolari capacità o pregi che, per sfuggire a problemi finanziari, accetta di diventare un “sacrificabile” per una missione interplanetaria. Il suo compito è quello di svolgere incarichi estremamente pericolosi, con la consapevolezza che ogni volta che muore il suo corpo verrà ricreato attraverso un processo di bio-stampa, mantenendo intatti i suoi ricordi e la sua personalità. Tuttavia, quando Mickey 17 sopravvive inaspettatamente a una incursione su un pianeta remoto e si trova faccia a faccia con il suo sé successivo, Mickey 18, la situazione sfugge di mano, mettendo in discussione le regole della missione e il concetto stesso di identità.

Bong Joon-ho, con la sua inconfondibile capacità di sovvertire i generi cinematografici, costruisce una narrazione che oscilla tra la satira distopica e la riflessione esistenziale. Il regista riprende le atmosfere di Snowpiercer e Okja, mescolando critica sociale e immaginario sci-fi. Mickey 17 infatti ambisce anche a proporsi come una satira sui magnati della tecnologia, con Kenneth Marshall (interpretato da Mark Ruffalo) che incarna la figura di un leader carismatico e autoritario, convinto che lo spazio sia la soluzione ai problemi ambientali della Terra e che gli esseri umani siano sacrificabili per il progresso. I riferimenti alla contemporaneità si sprecano!

Un nucleo narrativo diluito

Anche se visivamente potente e coinvolgente, pensato (per fortuna) per il grande schermo, Mickey 17 diluisce il suo nucleo narrativo, soprattutto nella seconda parte, e si dilunga, spingendo lo spettatore fuori dal flusso narrativo legato alla storia principale focalizzata sul protagonista. I temi portanti del film, legati come detto soprattutto all’identità, passano totalmente in secondo piano, e Bong comincia a raccontare un’altra storia, di invasioni e lotte inter-specie, che sembrano portare il film fuori dal suo asse di racconto. Questa deviazione, forse necessaria per inserire nella storia un elemento di azione spettacolare in più, rende il film molto meno incisivo rispetto alle opere precedenti di Bong.

Uno degli aspetti più intriganti nelle intenzioni del film è la questione della morte e della rinascita. Mickey, avendo sperimentato la morte sedici volte, viene continuamente interrogato su cosa significhi morire e se sia un’esperienza che lascia traccia. Eppure, nonostante la sua esperienza unica, il protagonista non sembra avere una risposta definitiva, lasciando intendere che la coscienza umana sia qualcosa di inafferrabile e misterioso. Peccato che anche questo aspetto appaia superficiale e sacrificato a parti della storia che ne annacquano il cuore filosofico.

Robert Pattinson al meglio delle sue capacità

D’altro canto, però, Robert Pattinson offre un’interpretazione notevole, alternando momenti di smarrimento comico a scene di intensa introspezione, regalando al suo personaggio una grande tenerezza che, almeno per la prima parte della storia, riesce a creare una connessione intima con lo spettatore. Il suo Mickey è un eroe improbabile, un uomo comune costretto a confrontarsi con il suo stesso doppio e con un destino apparentemente scritto. Il contrasto con Mickey 18, più aggressivo e determinato, aggiunge un elemento di tensione alla narrazione, mentre la sua relazione con Nasha (Naomi Ackie) introduce una componente emotiva che rende il personaggio ancora più sfaccettato.

Non mancano riferimenti a classici della fantascienza, come Alien di Ridley Scott, ma, a differenza di altri film del genere, Mickey 17 non si abbandona al puro horror o alla disperazione. Bong Joon-ho introduce un’insolita vena ottimistica, suggerendo che l’umanità possa trovare una via per sopravvivere senza distruggere tutto ciò che incontra.

Al netto dei troppi momenti di stallo narrativo e una durata forse eccessiva (due ore e diciassette minuti), Mickey 17 potrebbe anche essere visto come un film affascinante e stimolante. Conferma la bravura e la capacità immaginativa di Bong Joon-ho, anche se non è il capolavoro che era stato Parasite, né l’efficace adattamento che avevamo visto con Snowpiercer.

School Spirits 3: si farà? tutto quello che sappiamo

School Spirits 3: si farà? tutto quello che sappiamo

La serie drammatica soprannaturale School Spirits di Paramount+ ha il potenziale per diventare un successo di lunga durata, ma lo show sarà presto rinnovato per la terza stagione? Creata da Megan e Nate Trinrud, la serie è incentrata su Maddie (Peyton List), un’adolescente di Split River, nel Wisconsin, che si ritrova bloccata nell’aldilà dopo essere apparentemente morta in circostanze strane. Con l’aiuto dei fantasmi che abitano anche nella sua scuola, Maddie deve arrivare al fondo del suo mistero, svelando un intero mondo di sorprese soprannaturali. Mescolando elementi di drammi scolastici con il soprannaturale, School Spirits è una sintesi affascinante.

La prima stagione ha ricevuto recensioni per lo più positive ed è stata rinnovata a metà del 2023. Purtroppo, gli scioperi di Hollywood del 2023 hanno tenuto la serie in disparte per il resto dell’anno, e non è tornata fino all’inizio del 2025. Nonostante questa enorme battuta d’arresto, la seconda stagione di School Spirits ha continuato lo slancio positivo del suo predecessore e ha già aggiunto una serie di nuove sfaccettature all’esperienza ultraterrena di Maddie. Tuttavia, resta da vedere se Paramount+ riporterà lo show per la terza stagione, e la decisione dipenderà in gran parte dal successo della seconda puntata.

Ultime notizie su School Spirits 3

Sebbene la notizia non riguardi direttamente una potenziale terza stagione, le ultime notizie confermano che la seconda stagione di School Spirits ha visto un enorme aumento del pubblico. Gli episodi di debutto della seconda stagione sono stati visti da 1,7 milioni di spettatori nei primi sette giorni, il che segna un miglioramento del 104% rispetto alla prima stagione. Con la messa in onda della prima stagione su un secondo servizio di streaming, Netflix, è chiaro che School Spirits ha effettivamente aumentato il suo pubblico durante il lungo periodo di inattività tra le stagioni. Non è chiaro se questo porterà a un rinnovo della terza stagione, ma sicuramente aiuta.

La terza stagione di School Spirits non è confermata

School Spirits ha ottenuto il rinnovo per la seconda stagione dopo un debutto acclamato dalla critica e l’ordine è arrivato piuttosto rapidamente, tutto sommato. A poche settimane dalla conclusione della prima stagione, il rinnovo della seconda stagione ha dimostrato che la serie ha fatto qualcosa di giusto durante la prima stagione per garantirne un’altra. I ritardi che hanno tenuto la serie fuori onda per tutto il 2024 sono stati scoraggianti, ma dati recenti mostrano che il pubblico della serie è effettivamente cresciuto durante la pausa. La seconda stagione di School Spirits ha debuttato con un pubblico più vasto rispetto al suo predecessore, un buon segno per il suo futuro.

Con un aumento così massiccio di spettatori (senza dubbio stimolato dall’arrivo della prima stagione su Netflix), Paramount+ probabilmente terrà d’occhio la stagione 2 di School Spirits man mano che procede. Uno degli svantaggi di un programma di uscite settimanali è che non c’è alcuna garanzia che gli spettatori rimangano nel tempo. Il binge-watching richiede meno impegno, ma a volte non è così accurato nel giudicare la vera popolarità di uno show. Se la seconda stagione di School Spirits mantiene il suo pubblico (o addirittura lo aumenta), la terza stagione è una certezza.

Dettagli del cast di School Spirits 3

Il cast di School Spirits è cresciuto nella seconda stagione e questa tendenza probabilmente continuerà anche nella terza. Tuttavia, è impossibile indovinare chi saranno i nuovi arrivati finché non emergeranno maggiori dettagli. Oltre a questo, è altamente probabile che il cast principale tornerà a riprendere i propri ruoli, anche se la seconda stagione promette ancora qualche colpo di scena. Maddie Nears, interpretata da Peyton List, è il fulcro della serie e tornerà sicuramente nella terza stagione. Insieme a lei ci sarà Kristian Ventura nel ruolo di Simon Elroy, il migliore amico di Maddie, l’unica persona in vita che può interagire con lei.

Milo Manheim tornerà probabilmente nei panni del fantasma Wally Clark, mentre Spencer MacPherson dovrebbe riprendere il ruolo di Xavier Baxter, l’ex fidanzato di Maddie. Anche Rhonda Rosen, l’adolescente assassinata, dovrebbe tornare nella terza stagione, e il suo cinico senso dell’umorismo è fornito da Sarah Yarkin nel ruolo del fantasma. Nick Pugliese interpreta il fantasma timido e amichevole, Charley, mentre Josh Zuckerman appare come il fantasma del misterioso signor Martin. A completare il cast dei vivi, Nicole Herrera è interpretata da Kiara Pichardo, una persona vicina a Simon e a Maddie quando era in vita.

Il cast della terza stagione di School Spirits includerà probabilmente:

  • Peyton List Maddie Nears
  • Kristian Ventura Simon Elroy
  • Milo Manheim Wally Clark
  • Spencer MacPherson Xavier Baxter
  • Sarah Yarkin Rhonda Rosen
  • Nick Pugliese Charley
  • Josh Zuckerman Mr. Martin
  • Kiara Pichardo Nicole Herrera

Dettagli della trama della terza stagione di School Spirits

La prima stagione si è conclusa con la sconvolgente rivelazione che Maddie non è morta e che uno spirito di nome Janet ha preso possesso del suo corpo. Anche se questa trama potrebbe concludersi nella seconda stagione, crea un precedente per ciò che ci si può aspettare dalla terza.

Il finale della seconda stagione ha già promesso di lasciare agli spettatori più domande che risposte (secondo Peyton List in un’intervista con Collider), e questo significa che un enorme colpo di scena scuoterà di nuovo le cose.

Quale sarà questo colpo di scena sarà impossibile da prevedere fino al finale della seconda stagione, ma probabilmente significa che Maddie non si riunirà al suo corpo fisico in tempi brevi. Con le regole dei fantasmi e dell’aldilà ancora da definire, non è chiaro cosa accadrebbe se Maddie tornasse alla normalità. Probabilmente significherebbe la fine della sua amicizia con i fantasmi, ma solo il tempo potrà dirlo. La terza stagione di School Spirits ha già molto su cui lavorare, ma la seconda stagione aggiungerà senza dubbio altro carburante al proverbiale fuoco della storia.

School Spirits – stagione 2, il finale spiegato dalle star

School Spirits – stagione 2, il finale spiegato dalle star

Jess Gabor, che interpreta Janet nella serie School Spirits Paramount+, spiega perché il suo personaggio sceglie di non passare oltre nel finale della seconda stagione. La serie drammatica soprannaturale vede Maddie (Peyton List) intrappolata nell’aldilà della Split River High dopo che Janet ha dirottato il suo corpo e si è avventurata fuori dalla scuola. Dopo molte riflessioni, Janet torna alla Split River High e offre a Maddie il suo corpo. Quando viene a galla la verità sulla sua morte, Janet sblocca l’uscita prendendo il controllo della sua cicatrice. Tuttavia, sceglie di rimanere piuttosto che passare oltre.

In un’intervista con The Wrap, Gabor parla della decisione di Janet di rimanere. Spiega come il tempo trascorso da Janet con gli amici di Maddie l’abbia cambiata in meglio e fa luce sulle dinamiche tossiche che ha con il signor Martin (Josh Zuckerman). Mentre Janet ha fatto pace con ciò che le è successo, l’attrice sottolinea anche come l’identità fondamentale del suo personaggio di scienziata entri in gioco nel suo processo decisionale dopo aver capito che potrebbe esserci dell’altro. Gabor sottolinea che Janet ha preso “una decisione coraggiosa” per aiutare i suoi amici. Ecco cosa ha detto:

Janet inizia finalmente a entrare in empatia con Maddie vedendola attraverso i suoi amici. Quando è nella capanna con tutti gli amici di Maddie, che chiaramente le vogliono abbastanza bene da rapirla, Janet non sa cosa significhi avere amici che ti coprono le spalle o cosa significhi fidarsi di nuovo di qualcuno. La persona su cui contava di più al mondo, il signor Martin (Josh Zuckerman), l’ha maltrattata e ha approfittato completamente di lei e della sua innocenza.

Si rende conto che quello che sta facendo non è il modo giusto di comportarsi e forse c’è un altro modo. Forse c’è una seconda possibilità di una seconda vita da qualche altra parte, ma non può essere rubando il corpo di Maddie.

È una scienziata. Vuole risposte. Vuole capire le cose. Anche se la sua porta è aperta e ha accettato il suo trauma e quello che le è successo, questo non significa che possa aiutare anche tutti gli altri a uscirne. Si rende conto che forse c’è di più nella vita di quanto pensasse. Forse non è tutto bianco o nero. Deve decidere: “Ci sto o non ci sto?” E fa questa scelta davvero coraggiosa di entrare nella zona grigia e aiutare questi nuovi amici a capire come possono uscirne anche loro.

Cosa significa questo per Janet in School Spirits

I commenti di Gabor offrono un po’ di chiarezza sull’arco del personaggio di Janet. Nello show, Janet scherza dicendo di avere “affari in sospeso” mentre decide di chiudere la porta di uscita per ora. In precedenza era stato anche rivelato che Janet potrebbe sapere di più su una potenziale minaccia che si sta profilando a Split River. Anche se il finale della seconda stagione non ha le risposte a queste domande, i commenti di Gabor rivelano che la decisione di Janet di rimanere alla fine della seconda stagione è motivata dal suo desiderio di svelare il mistero e aiutare i suoi amici, il che significa anche che il personaggio ha davvero voltato pagina.

In un’intervista separata, lo showrunner Oliver Goldstick ha rivelato che la seconda stagione di School Spirits ha quasi avuto un finale diverso, in cui Janet avrebbe trovato la sua via d’uscita. Tuttavia, la scelta di rimanere dimostra che Janet è diventata una persona a sé stante, che ha il potere di aiutare gli altri e di scegliere come apportare un cambiamento, anche nell’aldilà. Il colpo di scena è un momento di empowerment nell’arco del personaggio, e anche di redenzione.

Paradise – Stagione 2: conferme e tutto ciò che sappiamo

Paradise – Stagione 2: conferme e tutto ciò che sappiamo

La serie thriller politica Paradise di Hulu e Disney+ è stata un successo immediato e lo streamer ha rapidamente rinnovato lo show per una seconda stagione all’inizio del 2025. Interpretata da Sterling K. Brown, la serie è ambientata all’interno di un enorme bunker sotterraneo creato dal governo degli Stati Uniti per ospitare figure politiche chiave in caso di catastrofe mondiale. Tre anni dopo che un misterioso scenario apocalittico ha costretto tutti a rifugiarsi sottoterra, l’agente dei servizi segreti Xavier Collins (Brown) è determinato a scoprire la verità dietro l’evento catastrofico e a scoprire chi ha davvero ucciso il presidente degli Stati Uniti.

Mescolando gli elementi sconvolgenti di un mistero con la tensione avvincente di un thriller politico, Paradise è un’offerta unica nel moderno mondo dello streaming. Inoltre, le brillanti interpretazioni contribuiscono a elevare il materiale sopra le righe, dando concretezza a Xavier e rendendo il suo viaggio ancora più credibile. Sebbene la prima stagione abbia risolto il mistero di chi ha ucciso il presidente Bradford, ha semplicemente preparato il terreno per un mondo molto più vasto oltre il bunker titolare. Con Hulu che ha rinnovato rapidamente la seconda stagione dello show, è chiaro che la prima stagione era solo un assaggio di ciò che Paradise ha da offrire.

Ultime notizie su Paradise – stagione 2

Dopo una prima stagione dinamica che ha lasciato molte domande senza risposta, le ultime notizie arrivano sotto forma di un’anticipazione della trama della seconda stagione di Paradise. Sterling K. Brown ha parlato candidamente di ciò che accadrà nella seconda puntata, ed è chiaro che Paradise sta ampliando i propri orizzonti. “Quindi penso che nella seconda stagione,” ha detto Brown, l’idea sia quella di esplorare cosa è successo al resto del mondo. Questo è stato ampiamente suggerito dal finale della prima stagione, ed è il passo logico successivo per Xavier dopo aver appreso che sua moglie è viva e che il mondo al di fuori di Paradise è abitabile.

Leggi qui i commenti completi di Brown:

“Sappiamo cosa hanno fatto i miliardari e le persone al potere. Hanno costruito una città, giusto? Poi abbiamo scoperto nell’episodio 4 che c’è ancora aria respirabile. Nell’episodio 7 si vede che le bombe atomiche non sono esplose, che c’è ancora vita come la conosciamo, ma forse molto diversa perché il disastro naturale è ancora in corso. Quindi penso che nella seconda stagione l’idea sia quella di esplorare cosa è successo al resto del mondo, come si presenta?

Paradise: confermata la seconda stagione

Hulu rinnova la serie prima del finale della prima stagione

A differenza di altri programmi in streaming che spesso languiscono nel limbo tra una stagione e l’altra, Hulu non ha perso tempo nel decidere il destino di Paradise. Il thriller politico è stato rinnovato per una seconda stagione nel febbraio 2025, diverse settimane prima ancora della fine della prima stagione. La decisione non è stata particolarmente difficile per Hulu, dato che la creazione di Dan Fogelman è stata un enorme successo fin dall’inizio. La prima stagione di Paradise, composta da tre episodi, ha attirato 7 milioni di spettatori nella prima settimana e non è mai uscita dalla top 15 di Hulu per tutta la sua durata di otto episodi.

Non sorprende che non siano stati ancora rivelati dettagli sulla seconda stagione, probabilmente per evitare spoiler. Tuttavia, con la prima stagione completata, le informazioni sul prossimo episodio potrebbero iniziare ad arrivare prima piuttosto che dopo. Il rinnovo anticipato dà ai creatori la possibilità di iniziare subito a lavorare alla seconda stagione e Paradise può evitare i ritardi che hanno iniziato a tormentare le esclusive in streaming di alto profilo. Se Paradise riesce a ottenere una clip annuale, potrebbe mantenere il suo status di una delle serie originali di maggior successo di Hulu. La prima stagione di Paradise si è conclusa il 4 marzo 2025.

Dettagli sul cast della seconda stagione di Paradise

Sebbene non sia ancora stato annunciato il cast della seconda stagione di Paradise, ci sono molti personaggi che presumibilmente torneranno nella seconda puntata. Forse la cosa più importante è che è certo che Sterling K. Brown tornerà a riprendere il suo ruolo di agente dei servizi segreti Xavier Collins, e il suo viaggio alla ricerca della verità è appena iniziato. Inoltre, si scopre che la moglie di Xavier è ancora viva, il che significa che Eunuka Okuma potrebbe avere un ruolo molto più importante nella stagione 2 nei panni della dottoressa Teri Rogers-Collins. Anche se è sempre possibile un altro flashback, è improbabile che James Marsden torni nei panni del defunto presidente Bradford.

Anche se le hanno sparato nel finale della prima stagione, è probabile che Julianne Nicholson tornerà nei panni di Samantha “Sinatra” Redmond, dato che è stata vista in convalescenza in ospedale. Svelando le sue cattive intenzioni e il suo amore per i videogiochi, anche l’agente Jane Driscoll (interpretata da Nicole Brydon Bloom) dovrebbe tornare a creare problemi. Il vicepresidente di Matt Malloy, Henry Baines, ha assunto più potere in assenza di Sinatra e Cal, e tornerà, anche se le sue vere intenzioni non sono ancora note. Con Xavier che si avventura nel mondo dell’aldilà, incontrerà senza dubbio anche nuovi personaggi.

Dettagli della storia della seconda stagione di Paradise

Il creatore della serie Dan Fogelman ha rivelato di avere un piano di tre stagioni per Paradise (tramite TV Line) e questo aiuta a indovinare cosa accadrà nella seconda stagione. Il finale della prima stagione non solo ha smosso le acque all’interno di Paradise, ma ha visto Xavier lasciare il bunker per cercare sua moglie. Il colpo di scena che il mondo esterno non è un disastro completamente inabitabile apre le porte a toccanti riunioni, ma rappresenta anche una seria minaccia per Paradise. Se gli oltre 50 milioni di persone che ancora vivono sulla Terra scoprono il rifugio di lusso, potrebbero venire a cercare risorse.

La ricerca di Xavier per sua moglie sarà probabilmente il punto cruciale dell’intera seconda stagione, ma ci sono molti colpi di scena previsti prima che lui possa trovarla. La vera natura della fine del mondo è ancora piuttosto vaga e le cospirazioni portano ad altre cospirazioni nel mondo di Paradise. Nel frattempo, una lotta di potere si sta preparando all’interno del bunker, poiché Cal e Sinatra sono stati neutralizzati (almeno per ora), il che significa che è necessaria una nuova leadership. Baines si è fatto avanti, ma le sue vere intenzioni non sono note.

Paradise – stagione 1, la spiegazione del finale: chi ha ucciso il Presidente Bradford?

Il finale della stagione 1 di Paradise risponde alla domanda su chi abbia ucciso il presidente Cal Bradford (James Marsden), ma la rivelazione è solo uno dei tanti colpi di scena della trama. Nel finale dell’episodio 7 di Paradise, Samantha “Sinatra” Redmond dice a Xavier Collins (Sterling K. Brown) che se vuole rivedere sua figlia Presley (Aliyah Mastin), deve trovare l’assassino del presidente Bradford e porre fine alla ribellione. Xavier obbedisce e scopre che l’assassino si è nascosto in bella vista per tutto il tempo.

Risolvere il mistero dell’omicidio di Paradise è l’obiettivo del finale della prima stagione, ma ci sono anche altre trame che devono essere risolte. Tra queste, spiegare il significato dei numeri sulla sigaretta lasciata dal presidente Bradford e Jeremy Bradford (Charlie Evans) che racconta ai cittadini di Paradise le bugie che sono state dette loro. Grazie a queste rivelazioni, le vite dei personaggi di Paradise sono cambiate per sempre, mentre si preparano ad affrontare nuove sfide nella seconda stagione.

L’assassino del presidente Bradford e le sue motivazioni

L’assassino del presidente Bradford è Trent (Ian Merrigan), che ha vissuto a Paradise sotto le spoglie di un bibliotecario di nome Eli. Trent era il responsabile dei lavori di costruzione quando Paradise è stata costruita sotto una montagna del Colorado. Durante questo processo, Trent si rese conto che i suoi lavoratori venivano avvelenati da sostanze chimiche pericolose a cui erano esposti durante la demolizione e la costruzione. Quando Trent lo disse al suo superiore e insistette affinché il progetto venisse interrotto, fu licenziato e gli fu impedito l’accesso al cantiere poiché le sostanze chimiche sarebbero state letali solo durante lo scavo e il cantiere sarebbe stato alla fine sicuro.

Trent sapeva solo che la costruzione continuava perché stava per accadere qualcosa di catastrofico. Cercò di avvertire i suoi ex dipendenti e di allertare i media su quanto stava accadendo, ma nessuno lo ascoltò. Ciò portò infine a un tentativo di assassinio del presidente Bradford, lo stesso tentativo in cui Xavier si gettò davanti al proiettile e salvò il presidente. Trent fu mandato in prigione, ma il giorno della fine del mondo di Paradise, ci fu una rivolta di massa nella struttura in cui era incarcerato e lui fuggì.

Questo tentativo di omicidio è stato mostrato in un flashback dell’episodio 1, ma il volto dell’assassino non è stato mostrato in quel momento.

Ha trovato il vero bibliotecario diretto a Paradise, lo ha ucciso e ha preso il suo posto, e ha fatto in modo che una donna incontrata lungo la strada sostituisse la moglie del bibliotecario. Trent intendeva finire ciò che aveva iniziato, ma si è abituato alla sua nuova vita. Solo dopo che il presidente Bradford venne in biblioteca per fare una compilation, Trent si ricordò del motivo per cui si era infiltrato a Paradise. Uccise il presidente e intendeva andare in superficie e rivelare al resto del mondo la posizione di Paradise.

Perché Jane spara a Sinatra e non a Presley

Sinatra ordina a Jane Driscoll (Nicole Brydon Bloom) di impedire a Presley di rivelare le informazioni compromettenti di cui è a conoscenza. Jane chiede in cambio i videogiochi del presidente Bradford, in particolare la sua Wii. Sinatra non accetta queste condizioni e definisce Jane “fottutamente pazza”. Jane termina la conversazione, facendo credere a Sinatra che abbia preso in mano la situazione e ucciso Presley. Invece, Jane lascia andare Presley e spara a Sinatra perché è stanca di essere usata come una pedina non apprezzata e non le piace essere chiamata “pazza”.

Sinatra è ora in coma, ma quando si sveglierà, Jane avrà un vantaggio significativo su di lei.

Jane fa sembrare che abbia trovato Presley e che abbia membri della ribellione di Xavier di guardia per proteggerla. Tutto ciò che Jane voleva in cambio di anni di fedele servizio erano i videogiochi del presidente. Sparando a Sinatra e aiutando Xavier e i suoi alleati, Jane si libera dal controllo di Sinatra. Sinatra è ora in coma, ma quando si sveglierà, Jane avrà un vantaggio significativo su di lei. Soprattutto, Jane ora ha la Wii e gli altri videogiochi che Sinatra le aveva negato.

Cosa sono i numeri sulla sigaretta e come aiutano Xavier

Uno dei misteri della stagione è stato cosa fossero i numeri 812092 che il presidente Bradford ha scritto su una delle sue sigarette prima di morire. Mentre ascolta un CD che il presidente ha fatto per Jeremy, Xavier capisce che i numeri si riferiscono a un libro nel sistema decimale Dewey. Questi numeri sono utilizzati per organizzare e trovare i libri in una biblioteca. Quando Xavier va al posto 812.092 della biblioteca, trova un libro su Frank Sinatra, e dietro c’è un altro libro intitolato L’uomo che custodiva i segreti.

All’interno di The Man Who Kept the Secrets, il presidente Bradford ha scritto tutto ciò che ha appreso dal suo tablet sulla superficie, insieme alle istruzioni su come aprire la porta esterna verso il mondo esterno. Con le informazioni lasciate dal presidente Bradford, Xavier è in grado di lasciare Paradise e cercare sua moglie, Teri (Enuka Okuma), che ora sa essere sopravvissuta al giorno dell’evento catastrofico. Il presidente Bradford si è assicurato di lasciare tutto ciò che poteva per aiutare Xavier a trovare Teri.

Come Xavier sta tornando in superficie Impostazione di Paradise – Stagione 2

Ora che Xavier sta tornando in superficie per trovare Teri, la stagione 2 sarà molto diversa dalla stagione 1. Invece di essere divisa tra flashback e una storia attuale a Paradise, la stagione 2 sarà divisa tra la storia di Xavier in superficie e la storia di coloro che sono ancora nella comunità sotterranea. Si sa molto poco della superficie, se non che alcune parti sono ancora abitabili e che ci sono ancora numerosi sopravvissuti, tra cui la moglie di Xavier. Gli appunti del presidente Bradford indicano che potrebbero esserci fino a 55 milioni di sopravvissuti.

Gli appunti del presidente Bradford menzionano anche che le estati stanno diventando più calde e che la vegetazione e la fauna selvatica sono tornate più del previsto.

Con Sinatra in coma, c’è un vuoto di potere a Paradise, mentre la classe superiore bisticcia su come procedere in sua assenza e dopo i segreti che sono stati rivelati. Jeremy continua a entrare in contatto con il pubblico, che si fida e lo rispetta dopo aver condiviso la verità con loro. L’agente Robinson (Krys Marshall) si sta occupando dei figli di Xavier e Jane rimane un jolly. Si tratta di una situazione precaria che potrebbe diventare più instabile se milioni di sopravvissuti in superficie venissero a conoscenza di Paradise e cercassero di infiltrarsi per ottenere risorse.

Il vero significato del finale della prima stagione di Paradise

Indipendentemente dagli errori che una persona ha commesso, la prima stagione di Paradise dimostra che non è mai troppo tardi per fare la differenza e rendere il mondo un posto migliore. Il presidente Bradford ha trascorso gran parte della sua vita come pedina di suo padre, Kane Bradford (Gerald McRaney), e di altri individui potenti come Sinatra. Eppure, anche quando il mondo stava per finire, il presidente Bradford ha ripreso il controllo della sua vita disarmando tutti i missili nucleari e, in seguito, lasciando tutto ciò che Xavier e Jeremy avevano bisogno di sapere per poter condividere la verità sulla superficie.

Xavier, la dottoressa Gabriela Torabi (Sarah Shahi), Robinson, Billy Pace (Jon Beavers) e persino Jane fanno tutti dei passi per imparare dai propri errori passati e rifiutano di continuare a cooperare con un sistema ingiusto. Vogliono giustamente creare una società migliore in cui la classe superiore non controlli tutto attraverso l’inganno e l’abuso di potere. La storia di Trent, che termina con la sua tragica morte, è un esempio straziante del danno arrecato alla gente comune in una società distrutta. Si spera che venga creato un mondo migliore e che Xavier e i suoi figli si riuniscano a Teri nella seconda stagione di “Paradise”.

Il Gattopardo: recensione della serie Netflix con Kim Rossi Stuart

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La storia de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa rivive sul piccolo schermo grazie alla nuova serie Netflix, disponibile dal 5 marzo 2025. A oltre sessant’anni dalla storica e sublime trasposizione cinematografica di Luchino Visconti, la produzione italo-britannica diretta da Tom Shankland, Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti si misura con un capolavoro della letteratura e del cinema italiano. Il cast, guidato dal carismatico Kim Rossi Stuart nel ruolo del principe Fabrizio di Salina, vede protagonisti i volti del giovanissimo cinema italiano Saul Nanni (Tancredi), Deva Cassel (Angelica), Benedetta Porcaroli (Concetta) e la partecipazione di Paolo Calabresi nel ruolo di padre Pirrone. 

L’impresa non è semplice: il testo originale è un romanzo storico, ma anche un affresco della Sicilia e dell’Italia intera nel delicato passaggio dall’Ancien Régime al nuovo ordine post-unitario, con un racconto che intreccia politica, società e sentimenti in una riflessione profonda sui cambiamenti storici e sul concetto di potere. Da questo punto di partenza, il progetto certamente ambizioso aveva un grande potenziale, ma il risultato finale lascia l’amaro in bocca.

Un confronto impossibile con Il Gattopardo di Visconti

Chiunque affronti Il Gattopardo sullo schermo deve inevitabilmente confrontarsi con la titanica versione di Visconti, con le sue immagini sontuose, la ricostruzione storica impeccabile e interpretazioni che hanno segnato la storia del cinema. Il confronto, ovviamente, è impari. Se invece si fa lo sforzo di aggirare il confronto con il capolavoro del ’63, questa nuova versione appare un’opera dignitosa, soprattutto dal punto di vista della cura nei dettagli della messa in scena, dei costumi in particolare modo e dell’interpretazione di Kim Rossi Stuart al cui fascino è difficile rimanere indifferenti: il suo principe di Salina ha tutta la gravitas di cui il personaggio necessita, compresa una modernità nello sguardo che lo traghetta nell’oggi con credibilità.

Intorno al protagonista, si muovono i tre giovani rampolli attorno ai quali ruota la parte principale del racconto. Saul Nanni dà il volto a Tancredi; non ha nulla da invidiare all’estetica del suo illustre predecessore Alain Delon, se non un pizzico di talento e una presenza scenica più adulta e grave che forse arriverà con l’esperienza. Alla piccola diva per diritto di nascita, Deva Cassel, invece spetta il ruolo della bella Angelica e certamente l’attrice sostiene adeguatamente il ruolo che fu di Claudia Cardinale, anche se la scrittura trasforma la vitale e esuberante Sedara in una femme fatale dotata di consapevolezza, ambizione e disincanto, spogliando il ruolo della poesia quasi adolescenziale che il corrispettivo cinematografico portava con sé. Discorso diverso invece va fatto per la Concetta di Benedetta Porcaroli. La migliore del cast di giovani, Porcaroli si trova a essere il vettore principale della storia, il punto di vista (progressista e femminista) da cui ci viene concesso di seguire la storia; e la riscrittura del suo personaggio è l’unico momento di modernità e vicinanza che viene concesso allo spettatore moderno, certamente ormai lontano dal punto di vista del mondo dei nobili in declino che venivano raccontato nel romanzo originale e che nel film di Visconti assumevano una dimensione esistenziale, oltre a un sentimento politico molto più evidente e sentito.

Completano il cast Francesco Colella e Francesco Di Leva, come sempre estremamente efficaci e credibili in ognuna delle loro interpretazioni, siano esse da protagonisti o da spalle. In particolare l’arrivista Sedara di Colella è un personaggio a prima vista sgradevole che però non evita una crisi dello spettatore, dimostrandosi molto più vicino e riconducibile al sentire contemporaneo che promuove l’impegno e l’ambizione come strumenti per la scalata sociale, non certo un diritto divino dato alla nascita (posizione inamovibile del Principe di Salina).

Una modernizzazione maldestra del classico

Il Gattopardo Kimmi Rossi Stuart
Credits: Netflix/Lucia Iuorio

Il principale difetto de Il Gattopardo in versione Netflix è la sua ri-lettura in chiave moderna. Nonostante il formato seriale consenta di approfondire i personaggi e le dinamiche storiche, la serie fatica a sviluppare un racconto coeso e avvincente. Il ritmo è incerto, e le scelte narrative privilegiano la componente sentimentale a scapito della profondità storica e politica del romanzo, con degli episodi molto buoni nella parte centrale e un finale piatto, che perde il tempo di climax del racconto.

Il vero punto di forza del romanzo e del film è il tema del cambiamento storico e della lotta tra vecchio e nuovo, incarnato nella celebre frase: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». Questo concetto, centrale nell’opera originale e per Visconti, viene relegato in secondo piano nella serie, a una ripetizione della storica citazione, mentre si preferisce concentrarsi su dinamiche romantiche e individuali, sacrificando la portata politica e sociale della storia, probabilmente perché in un contesto politico e sociale governato dalla sfiducia nel futuro è difficile assumere una posizione che possa essere anche solo vagamente sfidante.

Sicilia, dove sei?

Dave Cassel in Il Gattopardo

La Sicilia, barocca e struggente dall’atmosfera decadente, è un elemento chiave del romanzo e del film, e in parte riesce a ritagliarsi un suo spazio anche in questa produzione, sfociando a volte troppo nella “promozione del territorio” e meno in quel personaggio ingombrante ma profondamente amato dei predecessori. Qui, invece, la sua presenza è marginale, ridotta a scenari di sfondo e mai realmente approfondita nelle sue sfumature culturali, storiche e linguistiche. Anche la componente dialettale, che avrebbe potuto dare maggiore autenticità ai dialoghi, è quasi del tutto assente.

Netflix aveva tra le mani un materiale straordinario, ma ha scelto di trasformarlo in un dramma romantico patinato, dimostrandosi non in grado di gestire la complessità e la ricchezza della storia originale. La serie rimane comunque un prodotto fruibile, grazie a una buona produzione e ad alcune interpretazioni solide, ma non riesce a essere incisiva.