“La storia del cinema francese
definita da scrittori che sono poi diventati registi mi ha
sicuramente influenzato, ma penso che l’esempio della Nouvelle
Vague si stia perdendo: non c’è più voglia di scrivere, né di fare
film“. Sarà questo il tema dell’incontro di oggi pomeriggio
tra il pubblico e Olivier Assayas, arrivato nella
capitale per la quattordicesima edizione della Festa di Roma;
critico per i Cahiers du cinéma dal 1980 al 1985, poi autore di
pellicole acclamate come Qualcosa nell’aria (Après
Mai), Sils Maria e
Personal Shopper (in entrambi ha diretto
Kristen Stewart), Assayas parte dall’esperienza di
scrittore analizzando la sua crescita personale:
“Scrivevo perché volevo avvicinarmi al mezzo
cinema, e per me la scrittura è stato un modo di apprendere nella
miglior scuola possibile insieme alle penne meravigliose
dei Cahiers. Tra loro ero il più giovane, ascoltavo e volevo capire
come si faceva il cinema. Fino ad allora avevo una conoscenza molto
più tecnica e pratica e poco teorica…se inizio a guardare un film in veste di regista, è un
fallimento completo [ride], quando invece lo guardo con gli occhi
del critico è ancora peggio. Vorrei poter essere semplicemente uno
spettatore che ha il piacere di capire di cosa si sta
parlando.“
Ma che
rapporto ha adesso con la critica? “Purtroppo la leggo
raramente, perché so che influenzerebbe il mio lavoro, Credo che il
cinema si debba imparare grazie alla critica e alla teoria, ma che
poi bisogna liberarsene. Se realizzi un film pensando a
cosa scriverà la critica sei perso… Devi sempre seguire il
tuo intuito di regista, perché è ciò che ti farà andare avanti.
Anche prendendo una decisione opposta a quella che i critici di
aspettano da te.”
Olivier Assayas ospite della Festa
del Cinema di Roma
Obbligatoria la domanda sull’eredità della Nouvelle
Vague e su cosa sia rimasto del movimento. La risposta del
regista è esaustiva e appassionata:
“La Nouvelle Vague non ha inventato ma teorizzato la
questione della libertà, definendo il fatto che un regista poteva
avere la stessa libertà di uno scrittore che non bada alle regole
dell’industria. Nel cinema questo concetto corrisponde
alla possibilità di produrre film con meno soldi e più libertà,
inventando l’arte cinematografica. E quando si parla dell’eredità
del movimento, penso che abbia investito non soltanto il panorama
francese, ma anche quello internazionale, nel modo in cui
generazioni di registi di tutto il mondo hanno abbracciato questa
idea di cinema diverso. Cosa rimane? Tutto, perché oggi io non
farei film, o forse li farei in modo diverso se non ci fosse stata
la Nouvelle Vague, quel sogno di cinema artistico e non
industriale, e quella protezione del cinema
libero.“
E a chi
gli chiede se abbia la critica abbia ancora un’importanza sociale e
culturale per il grande pubblico, Assayas commenta che ci sono
tanti modi per riflettere sull’argomento: “Il primo
parte dalla definizione stessa di critico, che per me differisce
molto dall’opinione che ha il grande pubblico, ovvero quella figura
che mette stelline e punteggi al film. La scrittura sul cinema è
una cosa diversa, e in questo senso penso di essere stato
maggiormente influenzato da quella tipologia di testo, cioè i saggi
sul cinema, che definisco come il mezzo perfetto per far dialogare
persone e arte. Oggi più che mai c’è bisogno di quel dialogo con il
proprio tempo, quindi le riflessioni dei critici potrebbero aiutare
i registi, perché sono letture utili e importanti.”
Assayas e il ruolo della critica ai tempi del web
“Faccio una
divisione netta tra la critica delle stelle alla trip advisor e
quella forma di scrittura che riflette sul senso del fare cinema
oggi. L’altro modo è pensare alla dimensione
dell’internet, perché rispetto al passato la riflessione è migrata
dalla stampa al virtuale. Si scrive molto più di cinema oggi di
quanto se ne scriveva anni fa. Quando ero giovane c’era la stampa
cinefila francese e la critica influente dei quotidiani come Le
Monde, tutte testate culturali che dedicavano uno spazio al cinema.
L’opinione generale veniva definita da riviste cinefile dove
scrivevano decine di redattori, e oggi purtroppo hanno perso la
loro importanza perché la scrittura è diventata accessibile, oltre
che gratuita, grazie a internet, e la cultura cinematografica non è
più unificata ma sempre più ampliata […]
[…] Adesso ogni
individuo può costruire un rapporto specifico con il cinema ed
esprimere il suo giudizio cercando sul web ciò che gli piace, i
ragazzi inventano il loro rapporto con l’arte e non sono d’accordo
con chi sostiene che stiamo vivendo un disastro perché gli studenti
non hanno visto i film di Murnau. Sicuramente però hanno visto
tante altre cose, molte di più di quante ne vedevo io alla loro
età.“
Non
manca nemmeno l’opinione su uno dei dibattiti più accesi degli
ultimi anni: è vero che la sala sta morendo e che la serialità è la
forma migliore di narrazione? “Per me il concetto di sala si collega a qualcosa
di primordiale, nel senso che si è sempre detto che il cinema è in
crisi per colpa della televisione, mentre è evidente che non è
stato così. Oggi, almeno in Francia, stanno costruendo
tanti multiplex per una ragione semplice: gli spettatori sono
giovani e i giovani amano l’esperienza collettiva del cinema,
uscire di casa con gli amici e la forma di divertimento più
accessibile e meno costosa è il cinema. Sfortunatamente questi
spettatori si stanno interessando ad una forma limitata del cinema,
ovvero i blockbuster e i film Marvel, le commedie o i film
d’animazione, definiti come un cinema meno ambizioso artisticamente
e intellettualmente.“
“Per
quanto riguarda la serialità, la questione è più complessa. Non
sono un fanatico delle serie, anzi non le guardo affatto, dunque
tutto quello che dirò è limitato dalla mia ignoranza. Penso che
offra la possibilità di lavorare su un formato più lungo, e la tv
mi ha dato la libertà di realizzare Carlos che era un film di
cinque ore e mezzo, sebbene non l’abbia mai considerato come una
serie. Nello stesso modello credo rientri Fanny e Alexander di
Ingmar Bergman…Però un’altra riflessione che bisogna fare è
sulla dipendenza che la serialità crea negli spettatori.
La ragione per cui non mi interessa e per cui non guardo molta tv.
E non capisco gli amici che ne guardano tante…quando trovi il tempo
per dormire, per vivere, per leggere un libro o andare ad un
museo“.
Assayas
conclude esprimendo il suo personale parere sulla polemica degli
esponenti della New Hollywood (Scorse e Coppola) contro i
cinecomic: “Per me non è tanto una
questione ideologica quanto invece artistica e di gusto. Ho sempre
amato il cinema popolare americano e, per semplificare il mio
discorso, direi che quel cinema non è mai stato così stupido come è
diventato oggi” spiega il regista francese. Penso che i
film Marvel, e lo dico da lettore e appassionato di fumetti,
abbiano smarrito tutto quello che mi piaceva di quelle storie,
dalla violenza al sesso, dalla vita all’originalità, che
non vedo mai in queste produzioni. Non mi piacciono perché
artisticamente e visivamente mi sembrano molto poveri, si
assomigliano tutti e ho difficoltà a identificarmi con personaggi
come Captain America o Thor.
“Non
riesco davvero a prenderli sul serio o a interessarmi, cosa che non
succedeva quando andavo a vedere film di fantascienza da ragazzo.
All’epoca mi sembravano molto più originali e complessi“,
conclude Assayas. “Oggi non trovo un singolo regista che riesca
a far emergere la sua voce attraverso queste pellicole. In questo
senso, l’invasione nei cinema di prodotti sostenuti da
una potenza economica incredibile e questo rapporto industriale di
marketing sta promuovendo l’idea di un cinema che è solo prequel,
sequel, spin off e universi indipendenti…Qualcosa
insomma di industriale che ha anche a che vedere con la
manipolazione di massa. E a parlare è un amante dei fumetti
cresciuto con queste storie e appassionato del cinema popolare
americano. Credo che qualcosa si sia perso lungo la
strada.“