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The Wild Goose Lake: la recensione del film di Diao Yinan – #Cannes72

The Wild Goose Lake

Esponente della sesta generazione di registi cinesi, Diao Yinan debutta per la prima volta nel concorso ufficiale del Festival di Cannes 2019 con il film The Wild Goose Lake. Già vincitore nel 2014 dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino con Fuochi d’artificio in pieno giorno, il regista ritrova qui tutti i temi a lui più cari, racchiusi all’interno di un torbido noir che svela un talento maturato, sempre più capace di arricchire il racconto di invenzioni registiche degne di un autore.

Il film ha inizio in una fredda notte di pioggia. Zhou Zenong (Hu Ge) è un gangster in fuga dopo aver ucciso un poliziotto. Sulla sua testa grava una taglia che fa gola a molti, e che lo costringe ad una fuga disperata. È proprio durante questa che incontra Liu Aiai (Gwei Lun Mei), una prostituta che sbucata dal nulla si propone di aiutarlo. A lei Zenong confida la sua storia, ripercorrendo una scia di sangue e violenza.

Ancora un noir dunque per Diao Yinan, ma stavolta l’ispirazione sembra provenire in buona parte dal cinema europeo, tra Michelangelo Antonioni e Jean-Luc Godard, e dal cinema di Wong Kar-Wai. Un noir che dunque si macchia di più origini, che fonde al suo interno le varie nature a formare un prodotto che garantisce intrattenimento e malinconiche riflessioni sull’essere umano, la solitudine, la sua crisi.

Yinan ci fornisce da subito tutti gli elementi, tra un protagonista dalla dubbia moralità ad una femme fatale quanto mai criptica, dall’oscurità alla luce, dalla luce che produce ombre deformate a improvvise esplosioni di violenza. È una cura formale che si è andata raffinando con gli anni quella del regista cinese, che sfoggia in questo caso un gusto per la composizione dell’inquadratura da puro cinema d’autore. Lo aiutano in questo gli sporchi e logori ambienti in cui si svolge la narrazione, le abbaglianti luci al neon che sembrano donare ai personaggi ogni volta nuove sfumature e nuove possibili interpretazioni delle loro pulsioni.

Alla cura per il dettaglio si affianca poi la consolidata abilità di Yinan di dar vita a grandi scene d’azione, coreografate con cura e riprese dalle prospettive meno consone. Il pericolo appare così essere sempre dietro l’angolo, e ben presto si diviene preda dell’intricato numero di personaggi, sempre più impenetrabili, sempre più impossibili da conoscere e a cui sempre meno è possibile affidare la propria fiducia.

Yinan non abbandona dunque il genere a lui caro, attraverso il quale gli è invece possibile ritrarre una contemporaneità sempre più cupa, individualista, dove per sopravvivere si deve considerare chiunque un nemico. Con The Wild Goose Lake il regista aggiunge un nuovo affascinante capitolo al suo discorso, confezionando un noir elegante e d’impatto, capace di intrattenere e non in una maniera convenzionale.

 
 

A Hidden Life, recensione del film di Terrence Malick

a hidden life la vita nascosta

A otto anni dalla Palma d’Oro a Cannes con The Tree of Life, Terrence Malick torna in concorso sulla croisette con A Hidden Life. Gli anni che separano il film con Brad Pitt da questo nuovo progetto del regista di Austen sono stati i peggiori della sua produzione, anche se i più fertili. Tuttavia, di fronte a questa nuova prova, si ha la sensazione che Malick sia tornato alle sue suggestioni originali, realizzando un’altra delle sue opere d’arte.

La storia di A Hidden Life è quella vera di Franz Jägerstätter, un contadino austriaco che visse nel borgo di Sankt Radegund: fervente cattolico, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si rifiutò di arruolarsi, definendosi obbiettore di coscienza.

Malick racconta il legame carnale che l’uomo ha con la sua terra, che coltiva, smuove, cura per provvedere alla sua famiglia; a questo legame che sembra indissolubile fa da appendice  e naturale continuazione la forte passione che lega Franz a sua moglie, che con lui lavora la terra e nutre la famiglia. Con una regia che coniuga la classicità della forma cinematografica con intuizioni e invenzioni che ne confermano il ruolo rivoluzionario, Malick realizza un ritratto emozionante, profondo delle contraddizioni di un piccolo villaggio, della decisione difficile ma conscia del protagonista, dell’amore fortissimo, puro, cristallino di questa donna, ennesimo incredibile ritratto femminile, che si dà completamente al suo uomo, mostrando devozione e comprensione.

A Hidden Life, il film

Con A Hidden Life, il regista torna alle sue migliori suggestioni, sia formali che visive. Riesce a piazzare la macchina da presa in posizioni mai tentate prima, rende canone ciò che lui stesso inventa, dà vita e luminosità alle immagini, sfruttando la luce naturale e conferendo ad ogni ambiente una personalità propria. A questa caratteristica classica per il suo cinema, Malick aggiunge delle fortissime suggestioni pittoriche, che vanno dai Mangiatori di Patate di Van Gogh alle luci e le fiamme di De La Tour, elementi che contribuiscono a donare al film la bellezza formale per la quale il regista è diventato celebre.

Non solo, a queste caratteristiche ben note del suo stile, il regista si rivela anche abile costruttore di suspance, legando l’immanenza degli eventi a suoni o personaggi particolari, simboli di una svolta narrativa attesa e temuta. In questo film, Malick ritrova un racconto meno rarefatto, più classico, un elemento che permette di entrare in connessione con i protagonisti e con il loro dramma, ma evolve anche la sua poetica sul contrasto tra natura e cultura, dove, in questo caso, la seconda si fa spettatrice, mentre la prima è rappresentata dalla fede, dalla scelta di rimanere coerenti con il proprio credo, qualunque sia il costo.

A Hidden Life propone anche un ulteriore sviluppo della figura femminile, un percorso di umanizzazione che dall’anestetizzata Holly de La Rabbia Giovane, procede verso l’alto fino alla Madre/Grazia di The Tree of Life. Con Franziska, Malick propone una mater dolorosa (et operosa), un ricongiungimento con la Terra, con la materia che si fa portatrice di vita e di concretezza, anche di fronte alla decisione ineluttabile che la storia imponeva.

Torna il voice over che entra dentro le menti e i cuori dei personaggi, il grandangolo a deformare i primi piani e ad avvicinarli allo spettatore, la durata importante, fondamentale al regista per affondare il suo stiletto appuntato nel cuore della storia. Torna anche la dimensione della guerra, sempre la Seconda Mondiale che aveva così magistralmente rappresentato in La Sottile Linea Rossa. Ma a differenza del capolavoro del 1998, così come è obbiettore il suo protagonista, anche il regista rinuncia in questa occasione alla violenza ostentata; non sentiamo un solo colpo di pistola, non vediamo una goccia di sangue. In compenso l’orrore della guerra non è più quella “nel cuore della natura” di cui parlava il Soldato Witt, ma è un’esperienza tutta umana alla quale si può decidere, come Franz, di non partecipare, rimanendo fedeli a se stessi.

In A Hidden Life, Terrence Malick sembra suggerirci che il Bene, nel mondo, cresce con i gesti privati, piccoli, nascosti, come la vita che vorrebbero condurre i protagonisti del film, come la vita che conduce lui stesso.

 
 

Stand By Me: 10 cose che non sai sul film

stand by me

Stand By Me è uno di quei film che ha rivoluzionato il mondo del cinema, diventando simbolo della gioventù di allora, come per quella di adesso, e del cinema degli anni ’80 in senso più generale.

Questo film, intitolato anche Stand By Me – Ricordo di un’estate, è diventato un vero e proprio cult, un punto di riferimenento per i prodotti audiovisivi odierni. Adattamento cinematografico del racconto Il Corpo di Stephen King, questo film rimarrà sempre nell’immaginario collettivo.

Ecco, allora, dieci cose da sapere su Stand By Me.

Stand By Me film

stand by me

1. Per Stephen King questo film è stato il miglior adattamento dei suoi libri. I lavori di Stephen King sono spesso stati soggetti ad adattamenti cinematografici e anche Stand By Me lo è in quanto è stato tratto dal racconto Il corpo, appartenente alla raccolta Stagioni diverse. Sembra che dopo una proiezione privata del film, alla presenza anche del regista Rob Reiner, King non si mise a parlare e uscì dalla sala a fine film. Al suo ritorno, disse al regista che questo era il miglior adattamento dei suoi racconti che avesse mai visto.

2. Di questo film venne cambiato il titolo. Il racconto sul quale il film di basa è intitolato Il Corpo e, inizialmente, il film si sarebbe dovuto chiamare così. In seguito, la Columbia Pictures decise di ribattezzarlo Stand By Me perché pensava che Il Corpo potesse essere un titolo fuorviante.

3. Sono stati usati dei teleobiettivi appositi per la scena del treno. In Stand By Me, la scena in cui Gordie e Vern stanno correndo verso la macchina da presa con il treno alle spalle è stata realizzata con i due attori all’estremità opposta rispetto al treno. Infatti, la crew del film usò un teleobiettivo con delle lenti che riuscissero comprimere l’immagine in maniera tale che il treno sembrasse alle spalle dei ragazzi

Stand By Me frasi

stand by me

4. Un film con frasi diventate cult. Non sono molti i film che riescono a rimanere nell’immaginario collettivo per diversi anni grazie anche a delle frasi particolarmente incisive. Eppure, Stand By Me è uno di questi. Ecco alcuni esempi:

  • Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha? (Gordie adulto)
  • Non avevo ancora 13 anni la prima volta che vidi un essere umano morto. Fu nell’estate del 1959, molto tempo fa. Ma solo misurando il tempo in termini di anni. (Gordie adulto)
  • È come se Dio ti avesse dato qualcosa. Tutte quelle storie che ti vengono in mente… Dio ha detto: “questa è roba tua, cerca di non sprecarla.” Ma i ragazzini sprecano tutto, se non c’è qualcuno che li tiene d’occhio. E se i tuoi vecchi sono troppo incasinati per farlo, dovrei farlo io, forse! (Chris)
  • Un giorno tu diventerai un grande scrittore, Gordie. Potrai anche scrivere di noi, se sarai a corto di idee. (Chris)
  • Ragazzi, vi va di vedere un cadavere? (Vern)
  • Io ci scommetto che se con te mi metto ci rimetto! (Teddy, Chris, Vern)

Stand By Me streaming

5. Il film è disponibile su diverse piattaforme streaming. Chi volesse vedere Stan By Me – Ricordo di un’estate per la prima volta o volesse rivederlo, è possibile farlo grazie alla sua presenza su diverse piattaforme in streaming digitale, come Rakuten Tv, Chili e iTunes.

Stand By Me canzone

6. La canzone di Ben E. King ha avuto una nuova vita. Il successo del film ha suscitato un rinnovato interesse per la canzone Stand By Me presente nella colonna sonora e ispirando il titolo definitivo del film. La versione di Ben E. King fu originariamente pubblicata nel 1961 e poi venne ri-pubblicata in seguito all’uscita del film. Questa nuova pubblicazione fece arrivare la canzone al numero 9 della Top Ten dell’autunno 1986.

7. Michael Jackson voleva fare una cover di Stand By Me. Nella colonna sonora del film, la canzone Stand By Me è forse la più famosa, realizzata da Ben E. King. Pare che Michael Jackson volesse realizzare una cover della canzone per il film e che Ron Reiner, pur restando in dubbio, preferì utilizzare la canzone della sua versione originale.

Stand By Me cast

stand by me

8. Corey Feldman ha provato tanti diversi tipi di risata. Per realizzare una risata vera, che sembrasse somigliare a quella descritta nella storia di King, Corey Feldman e il regista Rob Reiner si misero a provare ben 30 tipi di risate diversi, prima di decidere quale potesse essere quella ottimale per il personaggio di Teddy Duchamp.

9. River Phoenix aveva ottenuto un altro ruolo. Quando venne preso dopo il provino per far parte del film, River Phoenix venne scelto per il ruolo di Gordie Lachance. Fu il regista Rob Reiner ad intervenire, pensando che sarebbe stato meglio se avesse interpretato il personaggio di Chris Chambers.

10. Il ruolo di Gordie Lachance era uno dei più gettonati. Sebbene il ruolo di Gordie sia andato a Will Wheaton, erano diversi gli attori considerati per interpretare il personaggio. Tra questi, vi erano i famosi Sean Astin, Stephen Dorff e Ethan Hawke.

Fonti: IMDb, Aforismi

 
 

Il sale della terra: 10 cose che non sai sul film

il sale della terra

Il sale della terra è uno di quei film che ha dato nuova linfa al genere documentario, raccontando il punto di vista di uno dei fotografi più rinomati, Sebastião Salgado.

Win Wenders, che ha scoperto questo fotografo per caso, è rimasto immediatamente affascinato dal suo talento, riuscendo, con questo film, a raccontare la storia della sua vita e la comunicazione messa in atto dal suo lavoro.

Ecco, allora, dieci cose da sapere sul film documentario Il sale della terra.

Il sale della terra film

il sale della terra

1. Il regista ha raccontato il punto di vista del fotografo. Con Il sale della terra, Wim Wenders ha voluto raccontare come viene data vita ad una vocazione, portando alla luce l’umanità e la curiosità del mondo in un trotto intorno al mondo, come un dialogo riconoscente alla visione risoluta del fotografo.

2. Il montaggio è stato difficile. Sia Wim Wenders che Juliano Salgado (co-regista) hanno descritto il processo di montaggio come estremamente difficile e dispendioso in termini di tempo. C’erano false partenze e vicoli ciechi e i due hanno combattuto per mesi con quello che il regista tedesco chiamava “problemi dell’ego” su quello che sarebbe stato utilizzato o meno, prima di stabilire un metodo e di avere un risultato che li soddisfacesse.

Il sale della terra streaming

3. Il documentario è dispobile in streaming digitale. Chi volesse vedere o rivedere questo documentario di Wim Wenders, è possibile farlo grazie alla sua presenza sulle piattaforme digitali legali come Rakuten Tv e Chili.

Il sale della terra trailer

4. Un trailer per emozionarsi. Se non è chiaro di cosa parli il film Il sale della terra, è possibile visionare per prima cosa il trailer, rendendosi conto che se già esso riesce ad emozionare, non si può non guardare subito il documentario per intero.

Il sale della terra Salgado

5. Salgado ha spiegato la foto del gorilla. Per quanto riguarda la fotografia che ritrae un gorilla con si mette un dito in bocca, Sebastião Salgado ha dichiarato nel film che l’animale riconosce la propria immagine per la prima volta dopo aver visto il suo riflesso nella lente. Tuttavia, diversi studi hanno smentito questo fatto, dimostrando che i gorilla non riescono a riconoscere il proprio riflesso.

6. Wim Wenders ha conosciuto l’arte di Salgado per caso. Il regista tedesco, verso la fine degli anni ’80, stava camminando lungo La Brea Avenue a Los Angeles quando, con la coda dell’occhio scorse alcune fotografie nella finestra di una galleria. Entrò incuriosito e conobbe il nome dell’artista, un fotografo brasiliano, tale Sebastião Salgado, uscendo dalla galleria, dopo qualche ora, con delle stampe in mano.

7. Wenders ha incontrato Salgado a Parigi, nel suo studio. Dopo molti anni dalla scoperta, il regista tedesco ha incontrato il fotografo solo nel 2009. Dal loro incontro è nato il progetto Il sale della terra, con Salgado che ha portato il regista a concepire e ad imparare dagli angoli più remoti del mondo, realizzando il film con il figlio del signor Salgado, Juliano Ribeiro.

Il sale della terra significato

8. Il titolo del film ha un riferimento biblico. Il sale della terra, film del regista Wim Wenders, si riferisce ad un passaggio biblico, specialmente a Matteo 5:13: “Sei il sale della terra. Ma se il sale perde la sua salinità, come può essere reso di nuovo salato? Non è più buono a nulla, tranne che ad essere buttato fuori e calpestato”.

9. Il titolo si riferisce ad un fotografo. Salgado è un termine portoghese utilizzato per definire una cosa salata. Se si aggiunge il sale a qualcosa, questo diventa salgado. Ciò può essere interpretato, in maniera più ampia, come un contributo che il fotografo Sebastião Salgado ha dato al pianeta Terra o, in maniera più letterale, come il cambiamento che lui e la sua famiglia hanno apportato alla loro terra, riportando la foresta pluviale nativa all’Istituto della Terra (The Earth Insitute).

10. Il riferimento è alle persone di grande valore. Al di là della connotazioni religiose, Il sale della terra è una frase che rappresenta la positività. Infatti, le persone che vengono così descritte sono quello che vengono considerate di grande valore e di grande affidabilità.

Fonti: IMDb, The New York Times, The Phrase Finder, The Guardian

 
 

Too Old To Die Young: recensione della serie di Nicolas Winding Refn

Too Old To Die Young

Ai tempi di Solo Dio Perdona, Nicolas Winding Refn aveva promesso che il suo stile e il suo linguaggio cinematografico e narrativo sarebbero sempre più evoluti nella direzione di un’estetica abbagliante, come appunto quella riscontrabile nel succitato film presentato in concorso a Cannes nel 2013. Promessa fatta, promessa mantenuta. Dopo aver turbato ulteriormente con The Neon Demon, Refn ha proseguito la sua ricerca spostandosi sulla serialità, realizzando così la sua prima serie intitolata Too Old To Die Young, di cui gli episodi 4 e 5 sono stati presentati fuori concorso al Festival di Cannes 2019. La serie, che sarà distribuita su Amazon Prime Video dal 14 giugno, sembra promettere un concentrato di tutte le cifre stilistiche del regia danese, tra avvincente intrattenimento e disincantata contemplazione sulla società odierna.

Too Old To Die Young, la serie tv Prime Original

Protagonista assoluto è Miles Teller, il quale interpreta un detective dalla doppia vita: di giorno garante della legge, di notte spietato assassino. Martin, questo il nome del protagonista, soffre di una crisi esistenziale, la quale lo conduce sempre più all’interno di un inferno fatto di omicidi, violenza e sangue. Questa cupa odissea lo porterà a scontrarsi con strani e temibili personaggi.

Sono particolarmente diversi l’uno dall’altro i due episodi presentati in anteprima. Dove uno sembra vivere della rarefazione di Solo Dio Perdona, l’altro sfoggia invece un dinamismo alla Drive. Dove uno sembra avere i toni disillusi e le atmosfere decadenti di un film sulla crisi della società e dei suoi abitanti, l’altro è invece un adrenalinico noir tra feroci inseguimenti e personaggi dalla perversa natura. Difficile dunque immaginare come possa realmente essere la serie firmata da Refn, quali delle due strade percorrerà, e a quali conclusioni arriverà.

Too Old To Die Young

Ciò che è certo, è che il regista sembra aver dato sfogo a tutte le sue ossessioni, che all’interno di un prodotto della durata complessiva di 13 ore potrebbero aver trovato la giusta collocazione. Potrà certamente infastidire l’uso che Refn fa della messa in scena, totalmente prevalente rispetto all’elemento narrativo. Questo appare infatti un pretesto per mettere in relazione alcune immagini chiave, e l’intrattenimento è dato in primo luogo da una ricerca e una cura per l’aspetto visivo che sbalordisce nuovamente. Refn è sempre più un esteta, e le sue opere vivono di colori forti, dal giallo al verde, dal rosso al viola. Colori che sono diretta esternalizzazione delle pulsioni dei personaggi.

Il mondo che sembra aver costruito stavolta ha un sapore già conosciuto, eppure difficilmente si riesce a staccare gli occhi dallo schermo. Refn sa come ottenere l’attenzione, come riprenderla qualora la si avesse persa. Lo dimostra con continui cambi di tono, continue accelerazioni di ritmo che costringono lo spettatore a vivere sulla propria pelle il metaforico viaggio verso l’inferno che il protagonista ha intrapreso. Miles Teller incarna qui il nuovo volto senza espressioni né emozioni del cinema dell’autore danese. Pur privato di ciò, l’attore riesce comunque a calamitare su di sé l’attenzione, imponendosi come una figura tanto attraente quanto provocante.

Refn è dunque tornato, ed è pronto a far discutere nuovamente, proponendo un prodotto che certamente porrà a dura prova lo spettatore, marcando sempre di più la divisione tra chi lo ama e chi lo odia. Con Too Old To Die Young conferma di sapere perfettamente come provocare e intrattenere, come sorprendere, scioccare e anche divertire. Se la serie vivrà bilanciando al suo interno la differente natura dei due episodi proposti, avrà certamente la possibilità di affermarsi come un nuovo punto cruciale nella filmografia del suo autore.

 
 

Cannes 2019: Nicola Winding Refn presenta Too Old To Die Young

Nicolas Winding Refn Too Old To Die Young

Dopo una lavorazione durata 18 mesi, il regista danese Nicolas Winding Refn presenta Fuori Concorso al Festival di Cannes 2019 la sua nuova creatura: Too Old To Die Young, la prima serie tv firmata dal regista di Drive e The Neon Demon, composta da 10 episodi è disponibile in streaming dal 14 giugno su Amazon Prime Video.

Interpretata da Miles Teller, la serie ha per protagonista un detective dalla doppia vita: di giorno garante della legge, di notte spietato assassino. Martin, questo il nome del protagonista, soffre di una crisi esistenziale, la quale lo conduce sempre più all’interno di un inferno fatto di omicidi, violenza e sangue. Questa cupa odissea lo porterà a scontrarsi con strani e temibili personaggi.

Arrivato in conferenza stampa, insieme a Miles Teller, Refn viene chiamato a raccontare da dove nasca l’idea di questa serie dal titolo così suggestivo. “Tutto nasce in un auto, a Los Angeles. Stavo lavorando a The Neon Demon a quel tempo. Era il periodo in cui Netflix si affermava sempre più come realtà grazie ai suoi contenuti. Tutti intorno a me sembravano volersi spostare in televisione. Io non la guardo molto in realtà, ma ero incuriosito dalle possibilità del mezzo. Era come accettare ed esplorare un modo totalmente nuovo di comunicare.”

“Contemporaneamente ho iniziato ad avere il desiderio di lavorare su qualcosa che avesse come tematiche la religione e la morte, – continua il regista – e il titolo Too Old To Die Young venne spontaneo. Chiamai Ed Brubaker, il co-creatore della serie, e gli esposi la storia, chiarendo che desideravo sviluppare una linea narrativa particolarmente lunga.”

“Quando inizi a lavorare ad una storia hai un’idea, un’intenzione, ma poi qualcosa di veramente strano accade durante il processo di scrittura. – prosegue Refn – Quando abbiamo iniziato a scrivere la serie era il periodo delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Io mi sentivo come un alieno, e mi sentivo influenzato da tutto quello che stava accadendo. Stavo sperimentando l’evoluzione di un Paese, e tutto ciò è finito inevitabilmente all’interno della serie, che parla a suo modo del collasso della società. E volevo indirizzarla in particolare ai giovani, che sono il futuro. Loro qui sono visti come una speranza, mentre gli uomini come un decadente fallimento.

La parola passa poi a Miles Teller, al quale viene chiesto di raccontare il rapporto lavorativo con Refn e il lavoro svolto su di un personaggio tanto impegnativo. “Quando fui contattato per il progetto lessi solo la sceneggiatura del primo episodio. Ero attratto, pur non avendo idea di come sarebbe evoluta la cosa. Ma desideravo lavorare con Nicolas, che adoro, e lui mi ha garantito che avremmo girato le scene in ordine cronologico. Questo mi ha portato ad affrontare la sfida di tenere con me un personaggio per un periodo di tempo veramente lungo, ed è stato affascinante poterne scoprire sempre nuove sfumature e poter apprendere sempre di più sull’arte del filmmaking da Nicolas.”

Nicolas Winding Refn Too Old To Die Young

Refn torna poi a parlare sulla natura del progetto e sul particolare stile che a partire dal film Drive ha raffinato sempre di più. “Questa non è una serie tv, è un film. Un film di 13 ore. E all’interno volevo che tutto dipendesse da due elementi: l’immagine e il silenzio. La prima è fondamentale per me, credo sia l’elemento più comunicativo che abbiamo. Il silenzio invece è un arma usata per rivelare, il più delle volte qualcosa di cui abbiamo paura. Il silenzio può dar vita a situazioni poco confortevoli, e questo era proprio ciò che desideravo esplorare.”

Nicolas Winding Refn è anche proprietario di un proprio servizio streaming attraverso il quale mette a disposizione degli utenti alcuni film classici o quelli che più hanno influenzato la sua carriera. “Qualche anno fa ebbi l’idea di creare la mia propria forma di piattaforma streaming. – racconta Refn  in proposito – Volevo dar vita ad una fondazione che si occupasse di preservare la cultura cinematografica, e volevo che fosse gratis. È nato come un esperimento, ma con il tempo la cosa è cresciuta ed è veramente interessante vedere le forme che sta assumendo.

 Concludendo la conferenza stampa, al regista viene chiesto se abbia inserito, come suo solito, una scena cardine anche in questo nuovo progetto. “In ogni mio film c’è una scena madre che racchiude il cuore del prodotto. C’è anche qui, certo. È nell’episodio 9 ma non vi dirò qual è. Dovrete scoprirlo da soli.”

 
 

Cannes 2019: Penelope Cruz e i ricordi d’infanzia in Dolor y Gloria

In occasione della presentazione a Cannes 2019 di Dolor y Gloria, ecco la nostra intervista alla co-protagonista del nuovo film di Pedro Almodovar, Penelope Cruz.

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Cannes 2019: Dolor y Gloria, recensione del film di Pedro Almodovar

Dolor y Gloria racconta una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo, un regista cinematografico oramai sul viale del tramonto. Alcuni sono fisici, altri ricordati: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna, un comune situato nella provincia di  Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto, l’incommensurabile vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film. “Dolor y Gloria” parla della creazione artistica, della difficoltà di separarla dalla propria vita e dalle passioni che le danno significato e speranza. Nel recupero del suo passato, Salvador sente l’urgente necessità di narrarlo, e in quel bisogno, trova anche la sua salvezza.

 
 

A-Force: le eroine Marvel schierate nel backstage di Endgame

a-force Captain Marvel Avengers: Endgame

Uno dei momenti più emozionanti di Avengers: Endgame è stato quello che ha visto protagoniste tutte le eroine schierate contro Thanos, a proteggere Captain Marvel che custodiva il Guanto dell’Infinito completo di Gemme. La scena ha infiammato i cuori degli spettatori anche se non sappiamo con certezza se rivedremo le eroine tutte insieme in un film sulla A-Force.

Adesso, forse a irrobustire le voci che vorrebbero che tale film fosse già in produzione, l’account ufficiale dei Marvel Studios pubblica una foto di squadra dal backstage di Endgame in cui compaiono tutte le eroine Marvel, eccetto, ovviamente, Vedova Nera.

CORRELATI:

Vi ricordiamo che Avengers: Endgame è nelle nostre sale dal 24 aprile.

Nel cast del film Robert Downey Jr.Chris HemsworthMark RuffaloChris EvansScarlett JohanssonBenedict Cumberbatch, Don Cheadle, Tom HollandChadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Anthony Mackie, Sebastian Stan, Letitia Wright, Dave Bautista, Zoe Saldana, Josh Brolin, Chris Pratt, Jeremy Renner, Evangeline Lilly, Jon Favreau, Paul Rudd, Brie Larson.

Dopo gli eventi devastanti di Avengers: Infinity War (2018), l’universo è in rovina a causa degli sforzi del Titano Pazzo, Thanos. Con l’aiuto degli alleati rimasti in vita dopo lo schiocco, i Vendicatori dovranno riunirsi ancora una volta per annullare le azioni del villain e ripristinare l’ordine nell’universo una volta per tutte, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbero esserci.

Avengers: Endgame, cosa è accaduto davvero a Loki?

 
 

Captain America: una statua dettagliata mostra l’eroe che impugna il Mjolnir

captain america

Il grande colpo di scena di Avengers: Endgame che ha visto Captain America impugnare il Mjolnir ha scatenato la gioia dei fan e ha concretizzato un sospetto che avevamo avuto già in Age of Ultron, ovvero che Steve Rogers è degno del potere del Martello di Thor.

Di seguito potete ammirare le foto di una statua che raffigura proprio Cap con il mano la potente arma e il suo scudo, un oggetto dettagliato e prezioso.

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First Love: recensione del film di Takashi Miike – #Cannes72

First Love

All’interno del Festival di Cannes 2019, arriva in concorso alla Quinzaine des Réalisateurs il regista giapponese Takashi Miike con il suo nuovo film dal titolo First Love. All’interno di questo è possibile ritrovare tutti i principali stilemi del regista, dalla violenza esagerata all’umorismo nero, dall’amore alla natura ambigua dei personaggi. Con il suo nuovo lungometraggio Miike si conferma uno dei registi più controversi e affascinanti dell’odierno panorama cinematografico.

Ambientato nell’arco di una notte a Tokio, il film segue la storia di Leo, un giovane boxer solitario, e di Monica, giovane ragazza costretta a prostituirsi per debiti. Mentre tra i due sboccia l’amore, si ritroveranno anche a doversi difendere da pericolosi personaggi della malavita, i quali li cercano per motivi a loro ignoti. In un tripudio si sangue, comicità e sentimento, i due ragazzi dovranno riuscire a sopravvivere alla notte per consolidare il loro rapporto.

Le premesse della trama non vengono disilluse, in un film che si dimostra dinamico sin dall’inizio. Miike ci presenta da subito, ognuno nel suo contesto i vari personaggi. Molti di questi non si conoscono minimamente, e sembra impensabile che possano presto o tardi ritrovarsi a combattere gli uni contro gli altri per la vita e la morte. Se all’inizio si può quindi rimanere frastornati dalla presenza di molteplici linee narrative da seguire, ben presto si ci si ritroverà sempre più catapultati nel vivo della storia.

Appare sempre più chiaro che Miike desidera raccontare una storia che esce dai binari del realistico, quasi una favola, chiedendo un po’ di partecipazione e fiducia allo spettatore per condurlo all’interno di un incubo notturno dove tutto è possibile. Incubo per i protagonisti, poiché per lo spettatore il film è invece una gioia per gli occhi. Particolarmente violento, ai limiti dello splatter, il regista unisce a quest’elemento quello della comicità. Ogni scena brutale presenta allo stesso tempo situazioni per cui è impossibile non provare divertimento, con trovate particolarmente brillanti.

All’interno di questo delirio visivo, non manca ciò che il titolo promette, ovvero l’amore. I due protagonisti, moderni Romeo e Giulietta, si ritrovano coinvolti in qualcosa di più grande di loro. La loro presenza aggiunge sentimento a quanto avviene intorno a loro, e anche i più cattivi infine sembrano costretti a piegarsi alla forza del loro amore.

Il solito Miike dunque, che com’è giusto che sia non si allontana dai temi a lui cari, ma li riformula per realizzare un film dinamico, particolarmente coinvolgente e divertente. Sua intenzione era infatti quella di dar maggior rilevanza all’aspetto comico, che nel film è ben dosato e costruito. Se anche tutto sembra crescere fino all’inverosimile, ciò non risulta un disturbo. Ormai assuefatti dalla storia si è pronti a seguire il regista in ogni strada intrapresa, e First Love si rivela l’ennesimo interessante progetto di uno dei maestri della cinematografia orientale.

 
 

Cannes 2019: Antonio Banderas parla di Dolor y Gloria di Pedro Almodovar

In occasione della presentazione a Cannes 2019 di Dolor y Gloria, ecco la nostra intervista al protagonista del nuovo film di Pedro Almodovar, Antonio Banderas.

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Cannes 2019: Dolor y Gloria, recensione del film di Pedro Almodovar

Dolor y Gloria racconta una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo, un regista cinematografico oramai sul viale del tramonto. Alcuni sono fisici, altri ricordati: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna, un comune situato nella provincia di  Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto, l’incommensurabile vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film. “Dolor y Gloria” parla della creazione artistica, della difficoltà di separarla dalla propria vita e dalle passioni che le danno significato e speranza. Nel recupero del suo passato, Salvador sente l’urgente necessità di narrarlo, e in quel bisogno, trova anche la sua salvezza.

 
 

Little Joe: recensione del film di Jessica Hausner – #Cannes72

Little Joe

Ci sono film che dimostrano di meritare la partecipazione al concorso ufficiale di un festival prestigioso come quello di Cannes. Little Joe, di Jessica Hausner, tuttavia non è tra quelli. Presentato al Festival di Cannes 2019, il nuovo lungometraggio della regista austriaca rivela una storia debole, penalizzata in particolare da scelte di regia che disturbano anziché attrarre.

Il film ha per protagonista Alice (Emily Beecham), una madre single e particolarmente devota al suo lavoro di sperimentatrice di nuove specie di piante. La sua ultima ricerca riguarda un particolare tipo di fiore, chiamato Little Joe, che, oltre ad attrarre per la sua bellezza, è in grado grazie al suo profumo di rendere felice chi si trova nelle vicinanze. Con l’avvicinarsi del lancio sul mercato di questo però, strane cose iniziano ad accadere e Alice comincia a nutrire sospetti su Little Joe, il quale potrebbe non essere innocuo come sembrerebbe.

Sulla carta il film aveva il potenziale per rivelarsi buon thriller sci-fi. La trama infatti consente numerose strade percorribili, ma al momento della realizzazione del film evidentemente sono state prese quelle errate. Benché le premesse fossero interessanti, la sceneggiatura acquista ben presto un tono di innaturalità che porta al manifestarsi di diversi buchi di sceneggiatura e, in particolare, la mancanza di un vero e proprio sviluppo del conflitto.

Nel momento in cui la protagonista inizia a nutrire sospetti sulla sua creazione, nulla di veramente significativo accade perché lo spettatore possa essere sempre più coinvolto. I sospetti continuano, fino a concretizzarsi ma risolvendosi in un nulla di fatto. Si aspetta così qualcosa che è destinato a non arrivare, e il fatto che le domande poste rimarranno senza risposta diventa chiaro ben prima del finale. Ciò che sembra mancare più di tutto è poi la minaccia che le piante del film portano con sé. Impariamo a conoscerle ma, benché la loro natura appaia pericolosa, si rimane all’oscuro di quale realmente sia il pericolo che si corre. Chi vi entra in contatto subisce effettivamente un cambiamento, ma che non porta a sviluppi né intelligenti né inquietanti.

La regista e sceneggiatrice sembra più che altro interessata a generare un atmosfera di tensione che possa supportare la storia. All’inizio il suo intento sembra riuscire, ma nel momento in cui lo spettatore comprende che ben poco accadrà di nuovo, la tensione viene presto a sgretolarsi lasciando il posto ad un senso di noia e irritazione. Certamente non aiutano i costanti movimenti di macchina, i più dei quali risultano ingiustificati. Se l’intento era quello di generare una tensione nello spettatore, come detto prima, questa viene ben presto a scemare. Altro elemento particolarmente fastidioso è una colonna sonora eccessivamente presente, particolarmente ricca di suoni e rumori. Questa  è marcatamente posta sia nei momenti più cruciali che in quelli meno adatti, finendo per ottenere l’effetto opposto a quello desiderato.

Non è chiaro quale fosse l’intento della Hausner con Little Joe, ma la sensazione generale è di un’occasione sprecata. Un’idea che poteva racchiudere un potenziale ma che, come il fiore protagonista del film, sembra emanare solo una pallida parte di ciò che poteva essere.

 
 

Cannes 2019: Ken Loach dalla parte della gente comune

Con la voglia di gridare contro l’ingiustizia e a favore dei più deboli, Ken Loach torna sulla croisette, nel concorso di Cannes 2019, con Sorry we missed you, il suo nuovo film che racconta sempre con occhio lucido e a volte brutale la realtà degli ultimi.

Il regista ha raccontato così il suo film: “Quando ero giovane la vita era fatta di tappe, dopo lo studio si cercava un lavoro, poi si metteva su famiglia. Oggi non è più così, è subentrata l’insicurezza, i contratti sono sempre più precari, le persone devono lottare per sopravvivere, a volte è necessario inventarsi un lavoro che non c’è prendendo rischi. Quello che volevo fare col mio film era mostrare come questa situazione si rifletta sulla vita familiare”.

Per raccontare questa storia, Loach ha unito le sue forze con lo sceneggiatore Paul Laverty, che ha fatto ricerca sul campo: “Questa è la storia di una famiglia. L’Inghilterra sta percorrendo lo stesso cammino degli USA, le disuguaglianze si stanno intensificando. Per cinquant’anni la rabbia sociale è stagnata e ora sta esplodendo mentre la povertà aumenta e la ricchezza è concentrata nelle mani di pochissimi”.

E poi passa a raccontare del suo confronto con i testimoni diretti, le fonti di ispirazione per questa dolorosa storia: “Proprio nei giorni in cui parlavo con questo corriere stanco, con gli occhi rossi, la barba lunga, Jeff Bezos è diventato l’uomo più ricco del mondo. Amazon si arricchisce facendo profitto su corrieri e magazzinieri che lavorano a ritmi disumani guadagnando poco. Secondo un rapporto di Oxfam gli otto uomini più ricchi del mondo possiedono la stessa ricchezza del 50% del pianeta. Le innovazioni tecnologiche vengono usate per arricchire pochi, mentre i lavoranti non hanno possibilità di avere un contratto né diritti sindacali. La logica conseguenza del mercato è lavorare sempre di più e passare sempre meno tempo con la propria famiglia”.

Cannes 2019: Sorry We Missed You, la recensione del film di Ken Loach

E in generale, sulla condizione dei lavoratori e sulla crisi che sta attraversando il mondo, Loach dichiara: “Credo che la crisi continuerà fino a che non faremo cambiamenti strutturali. Le grandi aziende puntano a fornire il miglior sevizio al minor prezzo, e lo fanno tagliando i costi. A subirne le conseguenze sono i lavoratori, l’anello debole della catena. Se crediamo nel libero mercato questo porta alle grandi corporation, al lavoro precario. L’unico modo per combattere questa situazione è rivalutare l’individuo, la gente comune” cosa che lui puntualmente e con grande onestà fa in tutti i suoi film.

 
 

Dolor y Gloria: recensione del film di Pedro Almodovar

Dolor y Gloria

Ha conquistato il cuore della stampa (e del pubblico, visto che è in sala in Italia dal 17 maggio) Dolor y Gloria, il nuovo film di Pedro Almodovar che torna a lavorare con Antonio Banderas e Penelope Cruz e realizza uno dei migliori film della sua carriera.

Dalla trasgressione dei primi film, fino al tono meditabondo delle pellicole della sua produzione più recente, il regista non ha mai rinunciato a raccontare la grande vitalità dell’essere umano, anche di quello più sofferente, derelitto e solitario. Almodovar ha sempre riversato la sua vita nei suoi film, tanto che è sempre molto difficile capire dove sta il confine tra l’autobiografismo e la finzione, tra ciò che appartiene alla sua storia personale e ciò che invece è stato inventato per l’occasione. E man mano che passa il tempo, la sua produzione si fa sempre più insistente riflessione sul suo passato, sulla sua crescita, la sua infanzia e ovviamente sulle donne della sua vita, in particolare sulla figura materna.

Dolor y Gloria, il film

Biografia, vitalità, ricordo e dolore sono i fili che si intrecciano in Dolor y Gloria, in cui Almodovar racconta la storia di Salvador Mallo, un regista che, arrivato ai 60 anni, ha smesso di realizzare film, pur continuando ad avere una fortissima pulsione verso il racconto e una grande esigenza di scrivere. Salvador affronta una serie di ricongiungimenti, sia fisici sia solo nel suo ricordo: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film.

Come molti altri film di Almodovar, ma in maniera più intima e dolorosa, Dolor y Gloria racconta della creazione artistica e della difficoltà di separare la stessa dalla propria vita personale, ma anzi continuando a nutrire l’una con l’altra e viceversa. Per Salvador, la gloria è quella passata che lui però sembra non rimpiangere affatto ma sembra soltanto ricordare con nostalgia, il dolore invece è quello fisico e spirituale, il corpo che cede, la mente che soccombe, le emicranie e il bisogno di buio e silenzio.

È difficile distinguere la realtà dalla finzione, in una storia che interseca passato e presente, dentro e fuori, voglia di dimenticare e di ricordare, e un soffuso costante e struggente senso di malinconia che sbatte contro i colori vivaci della scenografia, dell’abbigliamento, della messa in scena almodovariana che, di nuovo, non può evitare di mostrarsi anche incredibilmente sensuale e vitale, anche di fronte alla depressione e alla sofferenza più nera.

Sembra chiaro però che Salvador Mallo è in qualche modo il risultato dell’unione di Almodovar stesso e di Antonio Banderas, che scompare completamente nel personaggio, consegnando la sua migliore interpretazione in carriera, per alcuni rivelandosi per altri confermandosi un interprete intenso e delicato, che con questo ruolo è riuscito a rimettersi completamente in gioco e a dare una nuova vita alla sua carriera.

All’ottavo film con Pedro, Antonio ha trovato il modo di mettere da parte la sua fisicità da latin lover e di mettere a nudo un aspetto intimo e profondo che fino ad ora non gli era stato possibile mostrare, complice l’età o forse le esperienze personali (è sopravvissuto a un infarto nel 2017).

Servendosi della ritrovata musa, Almodovar riscrive la sua storia, ripercorrendola e affidando a Penelope Cruz, sempre a suo agio davanti alla macchina da presa del suo amico e regista, il ruolo dell’amata madre. Dolor y Gloria è l’accettazione dei dolori del presente, un ritratto di uomo e di artista, in cui il cinema è la cura e la malattia insieme, con il cuore sempre al passato senza però soccombere alla malinconia.

 
 

Avengers: Endgame, 10 timeline alternative create dai viaggi nel tempo

avengers endgame

avengers endgame

In Avengers: Endgame i viaggi nel tempo attraverso il Regno Quantico e l’intervento dei Vendicatori in determinati momenti del passato hanno creato inavvertitamente delle nuove timeline alternative a quelle che conoscevamo. In questo modo Captain America si è riunito con Peggy e Loki non è mai tornato ad Asgard con Thor dopo la battaglia di New York del 2012.

Ma andiamo con ordine e rivediamo di seguito tutte le linee temporali:

12013: Asgard senza protezione

Mentre Captain America restituisce il Mjolnir ad Asgard durante l’ultimo viaggio nel tempo, c’è ancora una linea temporale in cui il Dio del Tuono non ha il suo martello per respingere l’attacco di Malekith. In tal senso Thor potrebbe aver incontrato il suo creatore insieme a sua madre, o qualcosa che ha aperto la porta all’Elfo Oscuro che è stato in grado di liberare il potere dell’Etere.

Leggi anche – Avengers: Endgame, le scene che potevano essere nel film

Fonte: CBM

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Detective Pikachu: in cantiere un sequel e vari spin-off

Pokemon: Detective Pikachu

Il successo al botteghino di Pokémon Detective Pikachu (nonostante la concorrenza di Avengers: Endgame) ha spinto la Legendary Pictures ad affrettare i lavori sul sequel, già confermato lo scorso gennaio, e sull’espansione dell’universo cinematografico con vari spin-off. Nel frattempo Comicbookmovie riporta che il secondo capitolo delle avventure di Pikachu sarà il primo progetto ufficiale a cui ne seguiranno altri probabilmente dedicati ai personaggi del marchio.

Vi ricordiamo che Detective Pikachu ha messo a segno numeri incredibili nel weekend di apertura, pari a 54 milioni di dollari solo negli Stati Uniti e a 175 milioni in tutto il mondo. La prima avventura Pokémon in live-action vede Ryan Reynolds doppiare il protagonista Pikachu, il volto iconico del fenomeno globale e uno dei brand di intrattenimento multigenerazionale più popolari al mondo ed il franchise multimediale di maggior successo di tutti i tempi.

Pokemon – Detective Pikachu: la recensione

La storia inizia quando il geniale detective privato Harry Goodman scompare misteriosamente, costringendo il figlio di 21 anni Tim a scoprire cosa sia successo. Ad aiutarlo nelle indagini l’ex compagno Pokémon di Harry, il Detective Pikachu: un adorabile, esilarante e saggio super-investigatore che sorprende tutti, persino se stesso. Avendo scoperto che i due sono equipaggiati per comunicare tra loro in modo singolare, dato che Tim è l’unico essere umano in grado di parlare con Pikachu, uniscono le loro forze in un’avventura elettrizzante per svelare l’intricato mistero. Si trovano così ad inseguire gli indizi lungo le strade illuminate al neon di Ryme City, una moderna e disordinata metropoli dove umani e Pokémon vivono fianco a fianco in un iperrealistico mondo live-action. Qui incontreranno una serie di Pokémon, scoprendo una trama sconvolgente che potrebbe distruggere la loro coesistenza pacifica con gli umani e minacciare l’universo stesso dei Pokémon.

Fanno parte del cast di Pokémon Detective Pikachu anche Justice Smith (“Jurassic World: il regno distrutto”) nel ruolo di Tim; Kathryn Newton (“Lady Bird,” “Big Little Lies – piccole grandi bugie” in TV) nei panni di Lucy, una giovane  reporter alle prese con la sua prima storia importante; al fianco di Suki Waterhouse (“Insurgent”), Omar Chaparro (“Overboard”), Chris Geere (“Modern Family” in TV) e Rita Ora, con il candidato all’Oscar Ken Watanabe (“Godzilla”, “L’ultimo Samurai”) e Bill Nighy (“Harry Potter e i Doni della Morte Parte 1”).

Fonte: Comicbook

 
 

Vedova Nera: il film sarà ambientato dopo Civil War?

vedova nera

A poche settimane dall’inizio delle riprese di Vedova Nera, i Marvel Studios non hanno ancora reso noti i dettagli sulla trama del film, né sull’ambientazione di questo capitolo solista dedicato alle avventure di Natasha Romanoff. Le ipotesi che possa trattarsi di un prequel sono state confermate da Avengers: Endgame, dove abbiamo visto l’eroina morire prima dell’atto finale, ma secondo quanto riportato da un rumor il film potrebbe svolgersi dopo gli eventi di Captain America: Civil War, e non alla fine degli anni Novanta come teorizzato negli ultimi mesi.

L’indiscrezione è stata diffusa durante la convention italiana a cui ha partecipato Sebastian Stan nei giorni scorsi, tuttavia finché non arriverà la conferma da parte dei Marvel Studios  non può esserci l’ufficialità.

Di certo questo scenario inatteso apre un ventaglio di possibilità per la scoperta di quanto accaduto in seguito agli accordi di Sokovia. Sappiamo che Scott Lang e Clint Barton hanno patteggiato per gli arresti domiciliari, e che Steve Rogers, Sam Wilson e Natasha hanno continuato a combattere il crimine nel mondo sotto copertura; eppure ci sarebbero innumerevoli trame da esplorare in merito ai Secret Avengers che il pubblico non ha visto finora nel MCU e che si adatterebbero bene al tipo di film che Vedova Nera può e deve essere.

Che ne pensate?

Vedova Nera: le teorie dei fan sul film solista

CORRELATI:

Deadline ha confermato che O-T Fagbenle (Luke Bankole nella pluripremiata serie The Handmaid’s Tale) è entrato nel cast del film e interpreterà il principale antagonista.

Le riprese inizieranno a Giugno in Inghilterra con la regia di Cate Shortland, con la sceneggiatura riscritta nei mesi scorsi da Ned Benson (The Disappearance of Eleanor Rigby). Insieme alla Johansson ci saranno anche David Harbour, Florence Pugh, e Rachel Weisz, ma i loro ruoli non sono stati ancora rivelati.

Al momento non ci sono ulteriori aggiornamenti sul film, né sui personaggi o le direzioni della trama. Lo studio è invece determinato a mantenere la massima segretezza intorno al progetto che, come saprete, rivedrà la Johansson nei panni della spia sovietica Natasha Romanoff presumibilmente prima degli eventi che l’hanno portata a diventare un membro del team dei Vendicatori.

Leggi anche – Vedova Nera, gli Skrull e la “teoria” dei panini di Nick Fury

Fonte: MCU Exchange

 
 

Avengers: Endgame, tutte le scene tagliate dal film

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Photo: Film Frame..©Marvel Studios 2019
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Photo: Film Frame..©Marvel Studios 2019

Quasi tre ore di montaggio non sono bastate a inserire nella versione finale tutte le scene girate dai fratelli Russo per Avengers: Endgame. A quanto pare i registi si sono visti costretti a sacrificare del materiale che speriamo di ritrovare almeno nell’edizione homevideo del film.

Ma quali sono le sequenze tagliate? Scopriamole insieme qui sotto:

1Lo strano addio fra Thor e Valchiria

Alla fine di Avengers: Endgame, Thor lascia la nuova Asgard nelle mani di Valchiria e si imbarca con i Guardiani della Galassia verso le prossime avventure. Originariamente però il loro addio sarebbe stato diverso da quello visto al cinema: secondo Anthony Russo, Thor si sarebbe approcciato alla guerriera come per darle un bacio dopo la pacca sulla spalla di lei.

Che cosa stai facendo?“, diceva Valchiria, e Thor “Oh, pensavo che quel gesto…“, e lei “È una pacca sulla spalla di addio“.

La scena è stata effettivamente girata, quindi ci sono buone probabilità che venga inserita negli extra della versione homevideo.

Leggi anche – Captain America: 8 modi in cui potrebbe tornare dopo Endgame

Fonte: CBM

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The Batman: ecco i nomi dei primi villain del film

the batman

Dopo aver appreso che Robert Pattinson e Nicholas Hoult si contenderanno il ruolo da protagonista in The Batman, nuovo adattamento delle avventure del crociato di Gotham al cinema, arrivano ulteriori aggiornamenti sui villain che potrebbero essere nel film affidato a Matt Reeves e ora in fase di pre-produzione.

Secondo l’Hollywood Reporter, Pinguino e Catwoman saranno i primi due celebri antagonisti di Bruce Wayne nel cinecomic che riavvierà le sorti del personaggio dopo la versione di Zack Snyder per il DCEU (la cui corsa è terminata due anni fa con Justice League).

Voci su una possibile comparsa dell’alter ego di Oswald Cobblepot erano circolate già la scorsa estate, con diverse fonti che parlavano anche di una sua incursione nel cast di Birds of Prey, lo spin-off con Margot Robbie sulle eroine DC. Ora però sembra che Pinguino affiancherà effettivamente Batman nel film di Reeves insieme ad una figura “purrfect” (scrive l’Hollywood Reporter), gioco di parole che suggerisce senza indugi la presenza di Catwoman.

Vi ricordiamo che gli stessi villain erano stati interpretati rispettivamente da Danny DeVito e Michelle Pfeiffer in Batman Returns del 1992, mentre Anne Hathaway ha vestito i panni di Selina Kyle nel terzo capitolo della trilogia sul cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Sul piccolo schermo i personaggi sono riapparsi nella serie TV Gotham, grazie alle prove di Robin Lord Taylor e Camren Bicondova.

Leggi anche – The Batman: Robert Pattison in trattative per il ruolo di Bruce Wayne

Alcune indiscrezioni su The Batman circolate online hanno ipotizzato un’ambientazione negli anni Novanta, epoca tornata di moda nel corso dell’ultima stagione anche grazie al successo di un altro cinecomic, Captain Marvel dei Marvel Studios, confermando così l’ipotesi del casting di un attore molto più giovane di Affleck che possa calarsi nei panni del supereroe.

Per alcuni 1990 fa rima con gli adattamenti di Batman di Tim Burton che prepararono le basi per i futuri cinefumetti e che sono stati fonte di ispirazione per Zack Snyder per quanto riguarda una scena particolare di Batman V Superman: Dawn of Justice(dove il regista aveva omaggiato lo scontro tra il cavaliere oscuro e Pinguino di Batman Returns del 1992), per non parlare del fatto che alcune delle più importanti trame a fumetti sul personaggio provengono proprio da quel decennio.

Secondo i report, Reeves ha optato per le storie di Batman: Anno Uno come possibile punto di riferimento, proprio per conferire al suo film un tono da genere noir enfatizzando le capacità investigative dell’eroe. Nessuna notizia ufficiale invece sul casting, con la Warner Bros. impegnata a trovare il perfetto sostituto di Affleck e altri interpreti che possano riempire la ricca galleria di villain prevista.

Vi ricordiamo che per The Batman è stata già fissata l’uscita in sala il 25 giugno 2021. Durante la promozione della serie The Passage, di cui è produttore esecutivo, Revees ha confermato che la pre-produzione del suo film sul Cavaliere Oscuro è in atto e che sta lavorando a una nuova riscrittura del copione.

Fonte: THR

 
 

Cannes 2019: Penelope Cruz e Antonio Banderas sul tappeto rosso con Pedro Almodovar

Pedro Almodovar torna a dirigere Antonio Banderas e Penelope Cruz nel suo nuovo film, Dolor y Gloria, presentato a Cannes 2019 e già in odore di Palma, soprattutto grazie alla straordinaria interpretazione di Banderas che si cala nei panni di un alter ego del regista stesso, ma anche di lui attore, alle prese con l’età che avanza.

Ecco di seguito le foto dalla montée de marches appena prima della premiere del film:

Dolor y Gloria – guarda il trailer

Dolor y Gloria racconta una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo, un regista cinematografico oramai sul viale del tramonto. Alcuni sono fisici, altri ricordati: la sua infanzia negli anni ‘60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna, un comune situato nella provincia di  Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto, l’incommensurabile vuoto causato dall’impossibilità di continuare a girare film. “Dolor y Gloria” parla della creazione artistica, della difficoltà di separarla dalla propria vita e dalle passioni che le danno significato e speranza. Nel recupero del suo passato, Salvador sente l’urgente necessità di narrarlo, e in quel bisogno, trova anche la sua salvezza.

 
 

Cannes 2019: Luca Guadagnino presenta The Staggering Girl

The Staggering Girl

The Staggering Girl diretto da Luca Guadagnino sarà presentato alla 72ª edizione del Festival di Cannes nella sezione La Quinzaine des Réalisateurs. Il film nasce dal dialogo artistico tra il regista Luca Guadagnino e il direttore creativo della Maison Valentino, Pierpaolo Piccioli: insieme realizzano un esperimento narrativo che unisce il linguaggio cinematografico e quello della Couture raccontando i capitoli della vita di una donna attraverso il rapporto madre-figlia. Il cast d’eccezione, fortemente voluto da Luca Guadagnino e Pierpaolo Piccioli, dà vita ad un insieme di personaggi complessi interpretati da Julianne Moore, Kyle MacLachlan, Marthe Keller, Kiki Layne, Mia Goth e Alba Rohrwacher.

Muovendosi tra Roma e New York, il film racconta una storia intima, fatta di simboli, gesti, immagini, la forza del legame di sangue e di genere tra due donne giunte alla resa dei conti con loro stesse. Le creazioni Alta Moda Valentino percorrono la pellicola, partecipando alla sua atmosfera onirica e amplificando, con una sofisticata sotto-trama visiva, la brillante sceneggiatura di Michael Mitnick, autore di serie cult come Vinyl e del film The Current War. The Staggering Girl è caratterizzato dalla fotografia di Sayombhu Mudkeeprom e dalle musiche originali composte dal Premio Oscar® Ryuichi Sakamoto. Il film è prodotto da Valentino SpA, Ibla Film, Frenesy Film, Rai Cinema e in collaborazione con Rai Com. Rai Cinema, da sempre attenta ad un cinema che riflette l’identità culturale del nostro Paese, non poteva non essere al fianco di questo progetto.

“Una storia può essere narrata in infiniti modi e questo è stato il nostro – spiega Pierpaolo Piccioli – Ognuno di noi ha lavorato a un’idea osservandola dai rispettivi punti di vista, incoraggiati da un’affinità estetica e di intenti che non è venuta mai meno. Luca è un interprete sottile, che sa adattare alla realtà circostante una sensibilità ironica e gentile al tempo stesso. Abbiamo condiviso la nostra quotidianità lavorativa, io mostrandogli la collezione di Alta Moda che stavo disegnando, lui offrendomi la lente della sua cinepresa per osservare la scena da un’altra prospettiva. Proprio come la collezione, il film è sospeso nel Kairos, il momento opportuno che la persona ha per riflettere, andando avanti e indietro nel suo tempo interiore. Questo film è un racconto apparentemente slegato dallo scorrere del tempo cronologico, un flusso di coscienza attraverso immagini ed emozioni. Il Cinema, come l’Alta Moda, consente una dilatazione del tempo nell’eterno, è pura magia”.

“L’estate scorsa ho avuto il privilegio di incontrare Pierpaolo Piccioli a Roma nel quartier generale di Valentino a Palazzo Mignanelli – spiega Luca Guadagnino – Pierpaolo, di cui ammiro da lungo tempo la strepitosa arte di couturier, mi ha portato attraverso l’atelier dell’Alta Moda. La collezione Autunno/Inverno 2018-19 stava nascendo attraverso il lavoro instancabile e sublime delle Premiere, delle sarte e dei sarti. In quell’incontro con Pierpaolo decidemmo che avremmo tentato qualcosa di mai provato, fare un film basato su una collezione di Alta Moda. La profondità artistica ed emotiva, la capacità trasfigurante del lavoro di Pierpaolo Piccioli sono stati il ‘testo’, come un grande romanzo, sul quale basare il copione di questo film sognato. Da questo incontro e dalla triangolazione tra Pierpaolo Piccioli, il brillante sceneggiatore Michael Mitnick e me nasce questo short film”.

 
 

ARF! 5: il programma completo del Festival del fumetto a Roma

arf ARF!

È stata annunciato il programma completo della quinta edizione dell’ARF! Festival, il festival del fumetto a Roma che si svolgerà dal 24 al 26 maggio prossimo al Mattatoio di Roma, ex Macro Testaccio.

Si comincia con l’ARF! Kids, il luogo dedicato all’immaginario dei bambini (a ingresso gratuito fino ai 12 anni) con un ricco programma di laboratori creativi curati da alcuni dei più rinomati illustratori italiani, letture ad alta voce, disegni, giochi e tanti libri a disposizione di tutti.

Spazio Baby 0-3: La novità di ARF!5 è un intero angolo allestito in maniera stabile con uno spazio allattamento e gioco per i più piccolini (0-12 mesi); per i più grandicelli 2-3 anni sono a disposizione giochi di logica e incastri durante le giornate di sabato 25 e domenica 26 dalle 10 alle 20. Gestito da Il Giardino della Talpa negozio dedicato ai bambini e alle famiglie nei pressi della storica Piazza Testaccio.

Tavoli Gioco: Tavoli gioco per tutti senza l’obbligo di prenotazione, nelle giornate di sabato 25 e domenica 26, dalle 10 alle 20, grazie alla collaborazione con Djeco, azienda europea specializzata in giochi e giocattoli per l’infanzia e con Fatatrac, casa editrice tra l’altro, di Activity book e libri gioco.

KIKI Face Painter: A colorare l’atmosfera durante i tre giorni del Festival ci sarà come sempre KIKI Face Painter professionista del trucco per bambini.

La libreria: Anche quest’anno sarà presente un ampio spazio dedicato alle Libreria dei bambini gestita da Giufà che offre una selezione dei titoli a fumetti e illustrati destinati alle lettrici e ai lettori dei 3 ai 12 anni.

Per la prima volta il «Festival di storie, segni e disegni» ospita la MangARF!, uno spazio interamente dedicato al fumetto giapponese con la presenza di editoriaccademie e un bookshop specializzato, un mare di libri e volumetti che aspettano solo di essere sfogliati, due workshop gratuiti al giorno, «Colorare con Copic», insieme alla Lucca Manga School (età minima: 14 anni) e una bellissima mostra per ripercorrere insieme un viaggio lungo trent’anni: la storia editoriale del manga in Italia!

Tra gli ospiti troveremo, tra gli altri, J-Pop con tutte le sue novità, l’Associazione Culturale Leiji Matsumoto (con il nuovissimo libro dedicato all’acclamato Maestro giapponese celebre per il suo Capitan Harlock), il corner di Mangasenpai con le sue autrici in dedica e firmacopie e un bookshop con tutti i titoli di Planet Manga!

E ancora, la mostra“つづく – Trent’anni di manga in Italia”. Dai cartoni animati alle edicole, dalla Goldrake Generation alla Golden Age degli anni ’90, dal manga d’autore alle prospettive future: sono gli argomenti trattati dall’esposizione a cura di Susanna Scrivo. Un viaggio iniziato nel 1989 che ha cambiato radicalmente la percezione del termine Fumetto nel nostro Paese.

Sempre in collaborazione con Lucca Manga School, ARF! organizza inoltre una super Masterclass con Yoshiyasu Tamura venerdì 24 dalle ore 10 alle 13 dal titolo “KOMAWARI. L’uso della vignetta nella narrazione del manga”.
Una parte del successo del manga nel mondo è anche dovuto alla facilità di lettura.

La Masterclass spiegherà come usare i diversi elementi per guidare l’occhio del lettore all’interno della pagina. Inoltre verrà spiegato come rendere scorrevole la lettura di un fumetto, approfondito l’uso delle vignette, dei balloon oltre alla direzione dell’azione del personaggio per far sì che il lettore si immerga appieno nella storia.

Tre Lectio Magistralis, tre appuntamenti in tre giorni, tre imperdibili performance di disegno dal vivo, tre pietre miliari della storia del fumetto.

I grandi protagonisti del fumetto d’autore si racconteranno mentre disegneranno dal vivo nella Sala Talk, rispettivamente nelle giornate di venerdì 24, sabato 25 e domenica 26 maggio dalle 14.30 alle 16.00.

Ogni lectio presenterà le medesime condizioni: un maestro, un foglio bianco ed un interlocutore. L’ospite sarà messo a suo agio, con gli strumenti del mestiere a sua disposizione e in un clima colloquiale instaurerà una conversazione con un moderatore d’eccezione, come se discutessero senza altri attorno, realizzando nel frattempo un’opera in tempo reale.

José Muñoz (la leggenda del fumetto argentino, il creatore di Alack Sinner e altri indimenticabili personaggi), Angelo Stano (Il disegnatore di Dylan Dog, l’autore dell’indimenticabile numero 1 ma anche degli albi più amati della serie dell’indagatore dell’Incubo), Riccardo Mannelli (fumettista, illustratore, pittore, disegnatore satirico, insegnante, un Maestro dell’arte visiva al servizio di un talento che ha pochi eguali nel mondo della nona arte), accompagnati rispettivamente da Laura Scarpa, Paulonia Zumo e Adriano Ercolani.

Nessuno sa di cosa parleranno o cosa disegneranno, non c’è nessun canovaccio o domanda concordata. Un flusso di coscienza improvviso che solo un grande maestro può concepire, come accadeva un tempo (basti pensare alle esperienze di Hugo Pratt ed Andrea Pazienza che hanno raccontato loro stessi davanti al foglio da disegno), un dono unico e irripetibile per gli spettatori della Sala Talk dell’ARF! Festival.

Per quanto riguarda invece le mostre di ARF! 5, il festival ospiterà quest’anno TEX. 70 ANNI DI UN MITO, aperta dal 24 maggio 2019 al 14 luglio 2019 al MATTATOIO – TESTACCIO. Curata da Gianni Bono, storico e studioso del fumetto italiano, in collaborazione con la redazione di Sergio Bonelli Editore, COMICON e ARF! Festival, la mostra racconterà come Tex sia riuscito ad entrare a far parte delle abitudini di lettura degli italiani trasformandosi negli anni in un vero e proprio fenomeno di costume.

Un viaggio per ripercorrere l’epopea di Tex Willer, che è anche quella della Frontiera americana, dalla sua creazione ai giorni nostri, attraversando gli eventi e i personaggi della serie e gli straordinari artisti della matita e del pennello che hanno reso Tex il mito che noi tutti conosciamo.

Oltre ai 70 anni di Tex, le Mostre del festival per l’edizione 2019 sono:

ALL STAR QUITELY – Per la prima volta assoluta in Italia, Frank Quitely presenta all’ARF! la sua mostra in esclusiva nazionale. Dal 24 al 26 maggio 2019 al Mattatoio di Roma.

PALUMB-O-RAMA – L’autore del manifesto della quinta edizione di ARF!, capace di lasciare il suo personalissimo segno ovunque, sarà in mostra dal 24 al 26 maggio al Mattatoio di Testaccio per la quinta edizione del Festival. L’autore inconterà il pubblico del festival e sarà presente in ARFist Alley.

LA NOSTALGIA DEI LUOGHI MAI VISTI – Da Petra Chérie a Titanic, da L’uomo del Tanganyka a Roy Mann passando per Bab-el-MandebMermozMarcel Labrume, gli Air Mail e Rosso Stenton, fino ad arrivare a svelare l’incredibile serie di tavole inedite, mai viste prima, della sua meravigliosa, ultima storia. Tutto il genio, l’estro, il talento di Attilio Micheluzzi, in mostra all’ARF! La mostra è realizzata in collaborazione con Fox Gallery.

ARF! & Instituto Cervantes Roma presentano BEYOND BLACKSAD” L’arte di Juanjo Guarnido in mostra a Roma! 16 maggio/29 giugno 2019. Animatore, illustratore e fumettista, da Granada agli USA – dove oltre alla collaborazione con la Marvel è stato tra gli animatori di punta del Tarzan della Disney – fino alla vera e propria consacrazione in Francia, Juanjo Guarnido torna in Italia con una mostra su BlackSad, suo personaggio più celebre, e una straordinaria anteprima: le tavole originali del suo nuovo lavoro ancora inedito in Europa! Le tavole di Guarnido saranno in mostra nella Sala Dalì dell’Instituto Cervantes di Roma (Piazza Navona), dal 16 maggio, dal mercoledì al sabato, dalle 16.00 alle 20.00 con ingresso gratuito.

CORPI PERICOLOSI  Maneggiare con cautela – L’autoproduzione torna in prima linea all’ARF! Festival, e presenta quest’anno diverse novità tra cui una mostra molto speciale: una doppia personale che introduce al grande pubblico due artisti che operano nel mondo delle produzioni indipendenti e che, al primo impatto, possono apparire molto diversi.
Uno sguardo più approfondito alle opere di Gloria Pizzilli e Tommy Gun rivela tuttavia che, al di sotto delle innegabili differenze, i due autori dialogano tanto sul piano visionario quanto nello studio del corpo e delle anatomie dei loro personaggi.
L’attenzione che entrambi dedicano al disegno del corpo non è volta alla ricerca di un’armonia delle forme né esclusivamente a una rappresentazione realistica dell’anatomia umana; piuttosto, è orientata a esplorare le infinite possibilità che il movimento e l’immaginazione imprimono nella “materia corporea”. Nei disegni di Gloria e Tommy i personaggi ruotano le anche, contorcono gli arti, svuotano il viso spingendosi fino a oltrepassare i limiti imposti dalla natura per esplodere, fluttuare nel vuoto, trasformarsi in qualcosa di diverso dall’originario. Assenza di gravità, deflagrazione, entropia, caos sono temi che, seppure con risultati nettamente diversi, soggiacciono al segno dei due artisti accomunati anche da un virtuosismo stilistico a tratti ineccepibile. Ulteriore punto di raccordo delle opere di Gloria Pizzilli e Tommy Gun è la sensazione di perdizione, a tratti quasi di violenza, che lo spettatore ne ricava. Non siamo di fronte a storie e disegni che vogliono rassicurare chi le guarda; al contrario, la scompostezza delle forme proposte è studiata per far accendere un campanello di allarme e dare un segnale di pericolo. Le donne di Gloria sono bellissime e fatali: indossano abiti fatti di teschi e lame, si trasformano in tentacoli, giocano ad avvinghiare gli amanti con capelli simili a liane. Altrettanto pericolose sono le composizioni di Tommy che ricreano un universo di ispirazione marcatamente underground fatto di occhi vuoti, arti monchi e volti prosciugati come il guscio di un’arachide.

La mostra CORPI PERICOLOSI – Maneggiare con cautela è realizzata in collaborazione con Fox Gallery & Press Up.

I VINCITORI DEL PREMIO BARTOLI 2018

Dal quel triste 5 ottobre del 2014 in cui ci ha lasciati, molti hanno ricordato e omaggiato le grandi doti di Lorenzo Bartoli come sceneggiatore di fumetti.

Sarebbe d’altronde impossibile dimenticare la penna felice che ha dato vita a tanti memorabili personaggi del fumetto italiano, da quell’Arthur King, filibustiere romantico e sognante come il suo sceneggiatore, fino a John Doe, O’ MalamenteIl dono di EricDetective Dante e tutti quei Cuori da Bar di cui ha narrato, come diceva lui: “le piccole storie, l’epica delle briciole”.

Un’epica che si è riverberata anche nelle opere di Akira Mishima e Franklin Douglas Erwin, il primo suo pseudonimo nei romanzi Bambole e Overminder, il secondo nel poetico pamphlet “Lontre in amore”.

Ma Lorenzo non era solo un grande raccontatore di storie, era soprattutto un eccellente scopritore di talenti e la lista dei giovani autori che ha lanciato è sterminata. Buona parte di loro, oggi, lavora ai massimi livelli del fumetto italiano e tutti concordano nel riconoscere in Lorenzo il mentore che li ha scoperti e messi sotto i riflettori.

Per questo motivo è nato il PREMIO LORENZO BARTOLI ALLA MIGLIOR PROMESSA DEL FUMETTO ITALIANO che ARF! si onora di assegnare in suo nome e che punta, di anno in anno, a riconoscere il talento di una giovane promessa del fumetto italiano.

Per gli orari e il programma completo di ARF! 5 consulta il sito ufficiale.

 
 

A Rainy Day in New York: il trailer del nuovo film di Woody Allen

a rainy day in new york

È finalmente online il primo trailer ufficiale di Un Giorno di Pioggia a New York (A Rainy Day in New York), il nuovo film scritto e diretto da Woody Allen che arriverà nelle nostre sale il prossimo 3 ottobre grazie a Lucky Red.

Nel cast figurano Jude Law, Elle Fanning, Timothée Chalamet, Selena Gomez, Liev Schreiber, Suki Waterhouse e Kelly Rohrbach.

Vi ricordiamo che il regista ha da poco presentato una causa contro Amazon Studios (che ha scelto di non distribuire la pellicola tradendo così gli accordi iniziali). Nel frattempo Allen tornerà ufficialmente sul set per girare il suo prossimo lavoro in Spagna, finanziato dalla compagnia di produzione Mediapro che aveva già collaborato sui progetti di Vicky Cristina Barcelona e Midnight In Paris.

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Cannes 2019: Taron Egerton racconta il suo Elton John di Rocketman

È l’evento glamour di quest’anno, sul tappeto rosso del Festival di Cannes, e a presentarlo al mondo, nella serata del 16 maggio, è intervenuto proprio il protagonista del film, Elton John.

Parliamo di Rocketman, il biopic musical dedicato alla vita della rockstar inglese, interpretato da Taron Egerton e diretto da Dexter Fletcher, che lo scorso anno è stato partecipe del travolgente successo di Bohemian Rhapsody, altro film musicale silla vita di Freddie Mercury. E sembra proprio inevitabile quindi partire da qui e dal paragone con il film che ha visto Rami Malek conquistare un premio Oscar per la migliore interpretazione.

Ma Taron Egerton non sembra troppo felice di parlarne, e si libera rapidamente della curiosità altrui: “Sono orgoglioso di essere citato anche solo nella stessa frase con Rami Malek. Lo conosco un po’, so quanto sia talentuoso e preparato. Il nostro film però è molto diverso, è un musical vero e proprio e c’era bisogno di qualcuno che cantasse in prima persona le canzoni.”

Allo stesso modo è stato inevitabile parlare della calorosa accoglienza che il pubblico della Salle Lumière ha riservato al film, alla fine della prima proiezione mondiale: “È stato uno dei giorni migliori della mia vita. Sono orgoglioso di aver partecipato a questo film. Ci siamo presi delle libertà rispetto alla verità, per esempio le canzoni non sono in ordine cronologico, ma non non abbiamo tradito la verità emotiva della vita e dei personaggi centrali per Elton John. È un fenomeno globale e la sua musica significa molto per tante persone, ha accompagnato momenti cruciali nella vita di ognuno di noi. È stata una grande responsabilità, ne sentivo il peso, poi l’ho conosciuto, ho avuto occasione di trascorrere alcuni giorni con un uomo gentile e generoso, parlando di tutto con lui, perché risponde a tutto, ve lo posso assicurare.”

Cannes 2019: Rocketman, recensione del film con Taron Egerton

Fletcher ha invece spiegato che la forza del film è senz’altro l’onesta con cui Elton ha accompagnato il progetto: “Una delle sue forze è il non aver mai nascosto il suo appetito smodato per la vita. Non ci ha vietato di sondare luoghi specifici della sua vita o del suo carattere, ci ha permesso di giocare e raccontare la nostra versione della sua storia. In questo, tutti i personaggi sono stati importanti, dalla madre interpretata da Bryce Dallas Howard, al grande amore e manager John Reid (Richard Madden).”

Taron Egerton ha cantato dal vivo ogni brano che ascoltiamo nel film, una scelta che, a suo dire, gli ha permesso una immedesimazione completa e autentica con il personaggio: “È stato un privilegio fantastico, la musica così cantata, a cuore aperto, permette una particolare immedesimazione. Elton è stato generoso, ma senza mai entrare nei dettagli della sceneggiatura, che è stata comunque scritta a partire da lunghe conversazioni con lui, sempre disponibile e comprensivo.”

Rocketman arriverà il 29 maggio nelle sale italiane e, forte del successo che sta riscuotendo sulla croisette, potrebbe essere un buon successo di pubblico.

 
 

Rocketman: recensione del film con Taron Egerton #Cannes72

Rocketman cannes 2019

Atteso e temuto, Rocketman ha fatto bella mostra di sé al 72° Festival di Cannes. Il film, accompagnato dal regista Dexter Fletcher e da entrambi i suoi protagonisti, Taron Egerton interprete e Elton John personaggio, hanno ricevuto i caldi applausi di una platea commossa, alla fine della proiezione di gala, applausi guadagnati grazie a un musical che si trasforma in dramma e biopic, con passaggi fluidi da un momento all’altro, seguendo soltanto il filo delle emozioni.

Il racconto è infatti quello del giovane Reginald Kenneth Dwight e del suo cammino che lo ha portato a diventare Elton Hercules John, la rockstar amata in tutto il mondo, con una vita travolgente, immersa negli eccessi e nei vizi. La parabola narrativa è abbastanza lineare: la scoperta del talento, lo studio, i primi successi, i primi eccessi, la grandezza e la caduta, poi la riabilitazione. Tutta questo però raccontato attraverso le canzoni di Elton John (cantate davvero da Egerton), che non sono utilizzate secondo un ordine cronologico, legate quindi al successo che hanno rappresentato nella vita dell’artista, ma accompagnano i momenti biografici in base al contenuto e al racconto che ogni volta propongono.

Il film si apre su una seduta di terapia di gruppo, a cui partecipa un Elton provato, già all’apice del successo, ma perso in se stesso e nei suoi stessi vizi. Il cantate gioca a carte scoparte: “Sono un alcolista, un drogato, un sesso dipendente”, e da questa confessione e ammissione scendiamo tutti insieme lungo il viale dei ricordi dove, un piccolo Reggie già vuole fuggire dalla normalità, essere strano, essere altro, trovare una sua voce e quell’affetto che non ha mai trovato nelle mura domestiche.

Il ritratto, dunque, è quello di una figura isolata, che continua a cercare appigli, figure di riferimento che possano attenuare la sua solitudine e tenerlo in qualche modo ancorato al suolo, dal quale i suoi vizi e le sue scelte di vita tendono vertiginosamente ad allontanarlo. Su tutti, sembra siano state fondamentali le figure di John Reid, manager e per un breve periodo amante di John, e ovviamente Bernie Taupin, l’autore di tutti i testi più belli delle sue canzoni.

Dal canto suo, Dexter Fletcher riesce a proporre diverse intuizioni di regia, sfruttando anche le coreografie dei numeri musicali, momenti che impreziosiscono il film e ne fanno un musical perfettamente riuscito. Bellissima, ad esempio, è la sequenza accompagnata proprio dal brano che dà il titolo al film, Rocketman, che riesce a trasmettere con potenza l’altalena tra la vita e la morte, tra l’altezza artistica e la bassezza umana, che Elton John ha dovuto attraversare all’apice del successo.

E come Elton John è sempre stato il one man show della sua vita, tra alti e bassi, luci e ombre, così Taron Egerton è il cuore del film, il centro di ogni emozione e il veicolo attraverso cui la storia arriva al pubblico. Non era facile, ma il giovane interprete di Kingsman ha consegnato alla storia una performance incredibile, sia nelle interpretazioni delle canzoni, che nei momenti più drammatici e delicati, che in quelli esuberanti ed eccentrici, tipici della vita e della carriera della rockstar inglese.

Rocketman è un’ode all’artista, una preghiera all’uomo, un musical autentico che non ha paura di mostrare le ombre buie del passato del protagonista, un racconto che si esaurisce nella redenzione e nelle seconde possibilità che decidiamo di regalarci, che siamo persone normali, o, come Elton, eccezionali.

Guarda il trailer di Rocketman

 
 

Sorry We Missed You: recensione del film di Ken Loach

Sorry We Missed You

“Sorry we missed you” è una tipica frase riportata sui bigliettini che i fattori rilasciano nel momento in cui, alla consegna del pacco, non trovano il destinatario in casa. All’interno del nuovo film di Ken Loach, intitolato appunto Sorry We Missed You, e in Concorso al Festival di Cannes 2019, questa formula assume significati ben più profondi, primo tra tutti quello di una mancanza, in questo caso genitoriale, che può portare a gravi conseguenze. Dopo aver vinto la Palma d’Oro tre anni fa con I, Daniel Blake Loach torna a parlare della classe lavoratrice con un film sincero e di forte impatto, approfondendo stavolta la dura realtà che investe chi svolge il lavoro di fattorino. Difficoltà che si riversano, di conseguenza, anche sui relativi famigliari.

Il film segue la storia di Ricky (Kris Hitchen) Abby (Debbie Honeywood) e i loro due figli Seb e Liza. Una famiglia particolarmente unita, messa in crisi solamente dalle difficili condizioni economiche. Dopo aver provato ogni tipo di lavoro, Ricky decide di puntare tutto sull’acquisto di un van, intraprendendo la carriera di fattorino freelance. Benché questa possa rivelarsi una buona soluzione ai loro problemi, il nuovo lavoro sembra tuttavia sottoporre la famiglia a nuove e inaspettate crisi.

Si sente spesso parlare delle difficoltà lavorative dei fattorini, ma a volte non si immagina quanto profondamente le loro vite siano influenzate dal sistema capitalista che li governa. Ken Loach cerca con questo film di scavare oltre le polemiche e i dibattiti, andando alla scoperta di ciò che realmente significa lavorare per più di dodici ore al giorno, con la preoccupazione della puntualità e della responsabilità che si ha sulle proprie consegne.

Il regista e lo sceneggiatore Paul Laverty arrivano a dare una risposta a queste e altre domande partendo da un’immagine semplice ma significativa: una famiglia che, pur vivendo sotto lo stesso piccolo tetto, si ritrova insieme con difficoltà, i cui membri sono costantemente divisi durante il giorno da impegni che li portano a stare lontani gli uni dagli altri. È dunque chiaro il messaggio che Loach vuole trasmettere, e per farlo usa il suo consolidato stile fatto di grande imparzialità e controllo.

Non occorre sottolineare con particolari scelte di regia la difficoltà di queste situazioni, esse stesse raccontano già abbastanza a riguardo. Senza calcare la mano, Loach riesce a dare la giusta importanza alla storia, trasmettendo con genuinità  le emozioni che desidera far provare allo spettatore. Un ritratto lucido di una realtà a noi vicinissima, dove non manca una certa comicità, la quale con l’avanzare del film sembra però cedere sempre più il passo ad un pessimismo che non concede grandi speranze.

Loach sembra raccontare sempre la stessa storia, e il confronto con I, Daniel Blake arriva inevitabile, eppure arricchisce questo racconto di nuove sfumature, stavolta concentrandosi non tanto sul rapporto tra l’uomo e il lavoro quanto appunto sui membri di una famiglia. I quattro protagonisti si affermano ognuno come un mondo a sé stante da poter esplorare, tutti legati dalle medesime radici e posti dinanzi allo stesso conflitto. Sopra le loro teste grava una realtà che sembra schiacciarli ogni volta di più, costringendo i genitori a divenire assenti, a poter adempiere ai loro doveri famigliari prevalentemente tramite l’utilizzo del cellulare, e i figli di conseguenza sembrano smarrire la strada, acquisendo non meno nevrosi dei loro padri.

 
 

Spider-Man: Far From Home, le teorie più intriganti sul Multiverso

Il nuovo trailer di Spider-Man: Far From Home ha rivelato che lo schiocco avvenuto in Endgame ha “squarciato” la dimensione spazio tempo creando una realtà alternativa, la stessa da cui proviene Quentin Beck aka Mysterio. A quanto pare quindi esiste un altro pianeta speculare al nostro che conferma l’esistenza di un Multiverso, concetto fin troppo familiare ai fan dei fumetti.

A tal proposito stanno circolando diverse teorie, e queste sono sicuramente le più intriganti:

1Mysterio è lo “Spider-Man” del suo universo

spider-man: far from home

Sempre nel secondo trailer di Spider-Man: Far From Home, Quentin Beck sostiene di provenire da un’altra Terra in cui non esiste Spider-Man e che sicuramente avrebbe avuto bisogno di un eroe come lui. Da qui i fan hanno teorizzato che Mysterio sia in realtà l’Uomo Ragno della sua linea temporale.

Saprete sicuramente che, durante le riprese di Spider-Man 2 Tobey Maguire subì un infortunio abbastanza grave tale da spingere la produzione a considerare un altro attore per sostituirlo. All’epoca il nome individuato fu quello di Jake Gyllenhaal…insomma, se questa teoria fosse fondata, sarebbe un modo divertente per l’attore di interpretare Spidey!

Fonte: ScreenRant

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Kevin Feige conferma il legame tra L’incredibile Hulk e Spider-Man: Homecoming

Quando Martin Starr è comparso in Spider-Man: Homecoming nei panni dell’insegnante di scienze a capo del Decathlon accademico in molti si sono chiesti se potesse trattarsi dello stesso personaggio visto in L’incredibile Hulk del 2009, all’epoca accreditato semplicemente con “Nerd del computer” e al quale Bruce Banner (Edward Norton) consegnava una pizza a domicilio. Ebbene questa teoria è stata appena confermata da Kevin Feige in persona durante il recente Q&A con i fan lanciato dal forum Reddit.

E a chi chiedeva se l’attore avesse interpretato lo stesso ruolo sia nello standalone su Hulk, sia nelle prime avventure in solitario di Peter Parker nel MCU, il presidente dei Marvel Studios ha risposto con un diretto “Si“.

Dunque è vero, ed è possibile che nel momento in cui ha incontrato Banner, Roger Harrington era ancora uno studente liceale che finirà col diventare un professore della Midtown School of Science and Technology, proprio l’istituto dove si sta formando Spider-Man.

Nei fumetti dell’Incredibile Hulk il personaggio di Martin Starr è in realtà Amadeus Cho, giovane americano di origini asiatiche tra gli individui più intelligenti del pianeta. Ovviamente, come avrete notato, nel MCU questa parte del racconto è stata evitata e ripresa tramite il cameo della madre di Amadeus, Helen, in Avengers: Age of Ultron.

Leggi anche – Kevin Feige sul ritorno del Mandarino, Hulk e il “rimpianto” di Stan Lee

Starr tornerà presto sul grande schermo in Spider-Man: Far From Home, il sequel diretto ancora una volta da Jon Watts e in arrivo nelle sale il2 Luglio (invece che il 5). Confermati nel cast del film il protagonista Tom Holland nei panni di Peter Parker, Marisa Tomei in quelli di zia May e Zendaya in quelli di Michelle, Samuel L. Jackson in quelli di Nick Fury e Cobie Smulders in quelli di Maria Hill.

Le riprese del film sono durate circa tre mesi, e nella maggior parte delle foto circolate in rete abbiamo visto Peter Parker alle prese con Michelle. Naturalmente il film vedrà tornare anche Flash Thompson (Tony Revolori) e Ned Leeds (Jacob Batalon), gli altri compagni di scuola di Peter. Ma cosa conosciamo realmente della trama e quali teorie circolano intorno al nuovo titolo dei Marvel Studios?

Per quanto riguarda le novità del sequel, la tuta di metallo di Peter dovrebbe essere una versione rimodellata di quella di Iron Spider. vista in Avengers: Infinity War. Questa nuova tuta, prevede anche una nuova maschera, con degli occhiali al posto delle orbite bianche, come da tradizione, questo perché è ovvio che il personaggio abbia bisogno di una nuova maschera dopo che la sua precedente è andata distrutta su Titano, durante il confronto con Thanos e prima della sua disintegrazione.

Fonte: Reddit

 
 

Fast and Furious 9: Michelle Rodriguez tornerà, ma ad una condizione

fast and furious 9

Michelle Rodriguez sale in cattedra e conferma, durante il suo intervento al Bloomberg Future of Equality Summit di Londra, la sua presenza in Fast and Furious 9 spiegando che la scelta è dipesa da un fattore specifico: ottenere finalmente una voce femminile nel team di sceneggiatori e cambiare il corso di un franchise che finora aveva offerto al pubblico una prospettiva sugli eventi e sul racconto prettamente maschile.

L’attrice, che interpreta Letty Ortiz dal 2001, anno di uscita del primo film della saga automobilistica con Vin Diesel, si era già espressa a favore dei diritti e sulla questione delle disparità lavorative a Hollywood, pubblicando nel 2017 un post su Instagram in cui scrisse che avrebbe lasciato Fast and Furious nel caso in cui i produttori non avessero mostrato “un certo amore verso le donne nel nuovo capitolo”.

Questa la dichiarazione della Rodriguez sul palco dell’evento tenutosi ieri:

Non posso non pensare all’incredibile esposizione che questo franchise ha nel mondo. O al modo in cui questo franchise riesce a raggiungere le persone sparse in tutto il mondo. Credo che questo sia un privilegio e che per questo motivo abbiamo l’obbligo di evolverci insieme ai cambiamenti del nostro tempo […] Sono troppo vecchia per accettare lavori solo per soldi, e ora che sono in una situazione economicamente vantaggiosa non posso più giustificare le ineguaglianze in questo settore. Come il fatto che in Fast and Furious non ci fossero voci femminili abbastanza forti…sono nel franchise da sedici anni e non mi ricordo una singola scena di dialogo con una mia collega donna. È patetico. Quindi si, sarei tornata nel prossimo film soltanto se la produzione avesse aggiunto una voce femminile, e così è stato.”

John Cena si unisce al cast di Fast and Furious 9

Vi ricordiamo che la release di Fast and Furious 9 è stata spostata al 22 maggio 2020, con le riprese che dovrebbero iniziare a breve con il cast originale e il ritorno dietro la macchina da presa di Justin Lin.

Non sono state fornite spiegazioni ufficiali che hanno motivato questa scelta, ma è evidente che nei piani della Universal Pictures ci sia la volontà di garantire alla saga il miglior posizionamento al box office possibile in una stagione già ricchissima di blockbuster molto attesi.

Per quanto riguarda il film, tempo fa era stato lo stesso Vin Disel a spiegare che Lin sarebbe tornato anche per la regia dell’episodio 10, cosa che faceva pensare che i due episodi venissero girati in contemporanea. Il rumor non è stato confermato e, visti i numerosi impegni degli attori, non sembra un’ipotesi facilmente realizzabile.

Si aspettano nel frattempo gli aggiornamenti sul cast che, oltre ai soliti nomi, dovrebbe presentare anche delle new entry ed un nuovo villan.

Fonte: Bloomberg

 
 

The Batman: anche Nicholas Hoult in lizza per il film di Matt Reeves

A quanto pare Robert Pattinson non sarebbe l’unico nome in lizza per vestire i panni del crociato di Gotham in The Batman, nuovo adattamento che riavvierà le avventure del supereroe DC al cinema con la regia di Matt Reeves: dopo il report di Variety, secondo cui la star di Twilight è il candidato numero uno della Warner Bros e si troverebbe ora in trattative con lo studio, è Deadline a spiegare che anche Nicholas Hoult è nella shortlist.

Mentre si aspettano aggiornamenti ufficiali sul casting vi ricordiamo che Hoult sarà presto al cinema con Dark Phoenix, capitolo conclusivo della saga degli X-Men (che molto probabilmente passeranno nelle mani dei Marvel Studios dopo la recente fusione tra Disney e Fox), e in Tolkien, biopic che ripercorre gli anni giovanili e meno conosciuti della vita dello scrittore e filologo autore de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit.

Leggi anche – The Batman: Robert Pattison in trattative per il ruolo di Bruce Wayne

Alcune indiscrezioni su The Batman circolate online hanno ipotizzato un’ambientazione negli anni Novanta, epoca tornata di moda nel corso dell’ultima stagione anche grazie al successo di un altro cinecomic, Captain Marvel dei Marvel Studios, confermando così l’ipotesi del casting di un attore molto più giovane di Affleck che possa calarsi nei panni del supereroe.

Per alcuni 1990 fa rima con gli adattamenti di Batman di Tim Burton che prepararono le basi per i futuri cinefumetti e che sono stati fonte di ispirazione per Zack Snyder per quanto riguarda una scena particolare di Batman V Superman: Dawn of Justice(dove il regista aveva omaggiato lo scontro tra il cavaliere oscuro e Pinguino di Batman Returns del 1992), per non parlare del fatto che alcune delle più importanti trame a fumetti sul personaggio provengono proprio da quel decennio.

Secondo i report, Reeves ha optato per le storie di Batman: Anno Uno come possibile punto di riferimento, proprio per conferire al suo film un tono da genere noir enfatizzando le capacità investigative dell’eroe. Nessuna notizia ufficiale invece sul casting, con la Warner Bros. impegnata a trovare il perfetto sostituto di Affleck e altri interpreti che possano riempire la ricca galleria di villain prevista.

Vi ricordiamo che per The Batman è stata già fissata l’uscita in sala il 25 giugno 2021. Durante la promozione della serie The Passage, di cui è produttore esecutivo, Revees ha confermato che la pre-produzione del suo film sul Cavaliere Oscuro è in atto e che sta lavorando a una nuova riscrittura del copione.

Fonte: Deadline