Subito dopo la proiezione del film
Il mundial dimenticato, Lorenzo Garzella e Filippo
Macelloni, registi e sceneggiatori del film, incontrano la
stampa.
Molte delle domande ovviamente
vertono sul sottile filo sul quale corre il film, tra realtà e
finzione, e sono gli stessi autori a sottolineare più volte come
spesso l’opera venga fraintesa e creduta veramente un
documentario.
In Il Mundial
Dimenticato tra il 1938 e il 1950 le manifestazioni
sportive si fermano per la seconda guerra mondiale. Così fa anche
il calcio, che quindi non fa disputare i mondiali nel 1942 e nel
1946. Anche se, da un racconto di Osvaldo Soriano, sembra trapelare
un’altra verità: nel 1942 nella terra lontanissima di Patagonia,
nel sud dell’Argentina, si sono disputati i mondiali di calcio, con
alcune squadre europee, e la squadra dei Mapuche, gli indios
argentini. Questa “scoperta” solletica la curiosità di Lorenzo
Garzella e Filippo Macelloni, documentaristi esperti, e con un
interesse particolare per il calcio giocato, visto che
precedentemente avevano realizzato documentari sui Mondiali e
alcune monografie di atleti, che partono per andare a vedere se
tutto fosse solo un’intuizione geniale dello scrittore o
celasse un minimo di verità.
Il quantitativo minimo di realtà di
Il Mundial Dimenticato, che è un mockumentary in
piena regola, risiede nella spontaneità degli intervistati,
vecchietti che ricordano i bei tempi, e che magari avrebbero
davvero voluto che invece della guerra, ci si disputasse la
supremazia tra nazioni giocando per la coppa Rimet. L’inganno è
perfetto e ben calibrato, tanto che ricorda un’altra opera che è
addirittura stata selezionata prima a Cannes e poi nella cinquina
degli Oscar per il miglior documentario, Exit through the
gift shop, del celebre street artist di cui nessuno ha mai
visto il volto, il britannico Banksy. In quel caso però, il
mockumentary attorno allo street artist francese inventato era un
mezzo per portare in scena un vero documentario sulla street art e
vedere all’opera artisti come Obey, Space Invader
e lo stesso Banksy.
In questo caso il mockumentary è
perfettamente ricostruito: filmati di repertorio, alcuni targati
Istituto Luce, per gentile concessione, alcuni ex
atleti accondiscendenti che hanno dissertato sul metodo Mapuche,
diventato anche un video viral sul web ad opera dell’agenzia
pubblicitaria Tbwa che ha ingaggiato Gianluigi Buffon, prestatosi
con un visibile divertimento a raccontare quanto questo metodo lo
avesse aiutato ad esempio durante i mondiali in Germania. Insomma,
Il mundial dimenticato è una vera opera
dell’ingegno, studiata a tavolino, con molto materiale e molti
argomenti; il calcio infatti è un pretesto per parlare ad esempio
delle popolazioni Mapuche, una minoranza etnica con una lunga
storia alle spalle sia in Cile che in Argentina, di cinema perchè
ha un ruolo molto importante per lo sviluppo della storia il
ritrovamento delle bobine di quello che fu l’operatore dei
mondiali.
C’è quindi, come dicono i registi,
una “messa in scena” di un documentario, un racconto della realtà
reso film di finzione. Un’opera crossmediale e moderna che mette in
gioco tutte le nuove tecniche di comunicazione e messa in scena, il
film è stato girato totalmente in digitale e non è stato ancora
“gonfiato” in pellicola, quindi gli effetti di invecchiamento e di
adeguamento del materiale moderno ad un cinegiornale degli anni ’30
sono un risultato della lavorazione in postproduzione momento in
cui si è inserito anche un contributo in grafica 3D nel film.
Insomma un piccolo film che racchiude in sé molti film, un paio di
generi e qualche decennio di tecnica cinematografica, un mix
riuscito che svela soprattutto la passione e l’amore per il
racconto cinematografico dei due registi.
Nuovo remake in arrivo prodotto da
Warner Bros. e Jerry Bruckheimer: stavolta sarà Il Mucchio
Selvaggio di Sam Pekinpah a essere riadattato per il
grande schermo con la regia di Mel Gibson, a quanto pare già legato
al progetto come riporta in esclusiva Deadline. Nel cast dovrebbero
arrivare Michael Fassbender, Peter
Dinklage e Jamie Foxx, attualmente in
trattative per interpretare i protagonisti.
La sceneggiatura è stata curata da
Bryan Bagby, mentre da Cannes si attendono le prime offerte di
mercato per iniziare le riprese il prossimo autunno. Questa sarebbe
la sesta regia per Gibson, che torna dietro la macchina da presa a
tre anni dall’ultimo lavoro, Hacksaw Ridge,
candidato al premio Oscar come Miglior Film e Miglior Regista.
Uscito nel 1969, Il Mucchio
Selvaggio figura nella lista dei dieci migliori western
della storia del cinema. La trama segue il bandito Pike Bishop e la
sua banda mentre svaligiano la banca della ferrovia, e un gruppo di
tagliagole capeggiato da un ex membro del mucchio, che uccide i
fuorilegge e si lancia all’inseguimento dei superstiti. Dopo aver
scoperto di essere caduti in una trappola (il bottino è infatti
costituito solo da rondelle di acciaio), e braccati dai loro
inseguitori, i personaggi arrivano in Messico e si legano ad un
villaggio dove vive la famiglia di un componente del mucchio…
Sarà l’attore Will
Smith a produrre con Jerry Weintraub il
remake di Il
Mucchio selvaggio di Sam
Peckinpah, il capolavoro western che ha fatto la storia
del cinema. Will Smith come prevedibile sarà anche
il protagonista del film, quasi sicuramente interpreterà Wild
Bunch anche se non c’è ancora una notizia ufficiale in merito.
Il nuovo adattamento viene descritto come un moderno remake che
coinvolge i cartelli della droga a sud del confine e racconterà di
un agente della Dea in disgrazia che mette insieme un gruppo di
uomini per perseguire un boss della droga messicano.
Per coloro che non conoscono il
film originale Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch) è un film
statunitense del 1969, diretto da Sam Peckinpah. Il film (che buona
parte della critica statunitense considera tra i 10 migliori
western di sempre) divenne famoso non tanto per l’eccellente cast
(William Holden, Ernest Borgnine, Robert Ryan, Warren Oates per
citarne alcuni) o per la storia truculenta e “sporca” dei
protagonisti, quanto per la scena finale del massacro. Nel 1999 è
stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della
Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Il film è tratto da un
racconto di Roy N. Sickner, attore e stuntman. La sceneggiatura fu
scritta da Walon Green, poi riscritta da Sam Peckinpah stesso. Dal
1995 è disponibile in home video una versione director’s cut.
Nell’edizione italiana le scene inedite non sono state sottoposte
ad un doppiaggio con nuove voci ma semplicemente sottotitolate.
Trama:
Il bandito Pike Bishop e la sua
banda svaligiano la banca della ferrovia. Un gruppo di tagliagole
capeggiato da un ex appartenente al mucchio, ingaggiato da un
dirigente della ferrovia, decima i fuorilegge e si lancia
all’inseguimento dei superstiti.
Dopo aver scoperto di essere caduti
in una trappola (il bottino sono delle rondelle di acciaio), e
sempre inseguiti dai loro cacciatori, sconfinano in Messico e
raggiungono un villaggio dove vive la famiglia di un componente del
mucchio.
Alla testa di cinque uomini Pike
raggiunge poi la città messicana di Agua Verde, dove si trova
l’esercito che combatte contro Pancho Villa. Il capo delle
truppe, Mapache, auto-nominatosi generale, propone a Pike di
impadronirsi di un carico di armi dell’esercito USA in
cambio di diecimila dollari.
L’impresa va a segno. Mapache però
si avvede che uno dei banditi ha rubato una cassa di armi per sé,
proprio allo scopo di rifornire il suo villaggio sostenitore di
Pancho Villa. Scatta automaticamente la tortura, e quindi
l’omicidio. Per vendicare il sodale ucciso, Pike e gli altri
ingaggiano la celebre sparatoria finale.
Kevin Costner è stato uno dei motivi
principali del grande successo di Yellowstone,
ma ciò che lo ha spinto ad accettare di partecipare alla serie è
anche il motivo per cui è stata un trionfo. La serie TV creata da
Taylor Sheridan e John Linson ha debuttato nel 2018 ed è andata in
onda per cinque stagioni e 53 episodi prima di concludersi nel
2024. Naturalmente, alcune parti di Yellowstone erano migliori di altre.
Tuttavia, la serie ha avuto un enorme successo complessivo, poiché
ha dato il via a un franchise, è stata amata da milioni di
persone e ha rivitalizzato il genere western. Quindi, Costner
ha fatto una buona scelta quando ha accettato di interpretare John
Dutton III.
Taylor Sheridan ha in cantiere
molti spin-off di Yellowstone, tra cui The Madison, uno spin-off senza titolo su Beth Dutton e
Rip Wheeler, uno spin-off senza titolo su Kayce Dutton, 1944
e 6666.
Purtroppo,
Costner ha lasciato Yellowstone prima della seconda
parte della quinta stagione, causando di fatto la sua
cancellazione. La serie semplicemente non funziona senza l’attore e
il suo iconico personaggio, come hanno dimostrato gli ultimi sei
episodi. Ciononostante, Yellowstone rimane una delle
serie TV più influenti e rivoluzionarie degli ultimi tempi, e
Costner ne ha riconosciuto la grandezza ancora prima che fosse
trasmessa.
Kevin Costner ha accettato di
partecipare a Yellowstone perché era “cruda” e
“disfunzionale”
Durante un’intervista con Variety nel 2022, Kevin Costner ha spiegato perché ha
detto “sì” a Yellowstone. Il suo ragionamento è esattamente
il motivo per cui la serie ha avuto così tanto successo e perché la
sua eredità continuerà a vivere anche dopo la sua fine. Costner
ha rivelato di essere rimasto affascinato da Yellowstone
dopo aver letto la sceneggiatura del pilot per la prima volta.
Ha detto a Variety:
“Ho visto che i dialoghi avevano un approccio divertente e
realistico. Erano crudi. Erano disfunzionali.E il tutto era
ambientato sullo sfondo di montagne, fiumi, valli e persone a
cavallo, il che è molto affascinante”.
L’autenticità “cruda” e
“disfunzionale” di Yellowstone è il motivo per cui ha
attirato così tante persone. Non era una rappresentazione
glorificata del West, né si basava su stereotipi e temi western per
guidare la trama e definire i personaggi. Al contrario,
Yellowstone ha modernizzato il genere western, rendendolo
più accessibile (in una certa misura, dato che la serie era pur
sempre un dramma e doveva intrattenere). Quindi, il motivo per cui
Costner ha accettato di interpretare John Dutton III è anche il
motivo per cui la serie ha avuto così tanto successo.
L’approccio unico di
Yellowstone al western potrebbe aver cambiato per sempre il
genere
Hollywood sta vivendo una
rinascita del western
Sulla scia del successo di
Yellowstone, stanno nascendo sempre più serie TV e film
western. I servizi di streaming e le case di produzione stanno
cercando di ricreare il successo della serie di Taylor Sheridan,
dimostrando come questa abbia completamente reinventato il western
nell’era moderna. La serie della Paramount Network ha combinato
personaggi complessi e dinamiche familiari con temi classici,
garantendo un appeal per un pubblico variegato. In definitiva, se
non fosse stato per questa serie, non è chiaro quale sarebbe lo
stato attuale del genere western. Tuttavia, grazie a
Yellowstone, il genere sta vivendo una rinascita a
Hollywood.
Al via le riprese de Il
Mostro, la serie tv Originale Netflix in 4
episodi diretta da Stefano Sollima, creata da
Leonardo Fasoli e Stefano Sollima, una produzione
The Apartment – società del gruppo Fremantle – e
AlterEgo, prodotta da Lorenzo Mieli e Stefano Sollima, in arrivo
prossimamente solo su Netflix.
Di cosa parlerà il Il Mostro
diStefano Sollima
Otto duplici omicidi. Diciassette
anni di terrore. Sempre la stessa arma. Una beretta calibro 22. Una
delle più lunghe e complesse indagini italiane sul primo e più
brutale serial killer della storia del Paese: Il Mostro di
Firenze. Una serie basata su fatti realmente accaduti,
testimonianze dirette, atti processuali e inchieste giornalistiche.
Tutto terribilmente vero. Perché crediamo che il racconto della
verità, e solo quello, sia l’unico modo per rendere giustizia alle
vittime. In una storia dove i mostri possibili, nel corso del tempo
e delle indagini, sono stati molti, il nostro racconto esplora
proprio loro, i possibili mostri, dal loro punto di vista. Perché
il mostro, alla fine, potrebbe essere chiunque.
Il mostro della laguna
nera è il film cult del 1954 diretto da Jack
Arnold con protagonisti nel cast di Richard
Carlson, Julie Adams, Richard Denning, Antonio Moreno, Nestor
Paiva, Whit Bissell, Bernie Gozier e Henry A.
Escalante.
Anno: 1954
Regia: Jack
Arnold
Cast: Richard
Carlson, Julie Adams, Richard Denning, Antonio Moreno, Nestor
Paiva, Whit Bissell, Bernie Gozier, Henry A. Escalante.
L’ombra
della minaccia nucleare, il costante stato d’ansia dovuto alla
possibile diffusione di radiazioni d’ogni tipo, partorirono,
durante gli anni cinquanta, un campionario ricchissimo di creature
che presero vita sui grandi schermi dell’epoca: tra ragni giganti,
mostri ed alieni, il genere horror/fantascientifico conobbe uno dei
suoi periodi più floridi, producendo pellicole che avrebbero
influenzato tutto il cinema di genere successivo.
Il mostro della laguna
nera diretto da Jack Arnold, regista di punta di un certo
cinema d’intrattenimento spesso sostenuto da budget limitati,
rappresenta una delle opere più celebri di quel periodo. La vicenda
narra di una spedizione di paleontologia lungo il Rio delle
Amazzoni e della conseguente scoperta, da parte di un gruppo di
scienziati, di una laguna rimasta immutata sin dalla preistoria,
abitata da un terribile esemplare di uomo-pesce
che non tarderà a seminare il panico.
Il mostro della laguna
nera
Da questa semplice premessa
assistiamo allo svolgersi di una caccia al mostro esotica che
rappresenta un gioiello di ritmo, regia ed innovazione: girato in
bianco e nero ed in formato stereoscopico, uno dei primi ad
utilizzare una tecnologia 3D, il film è tutt’oggi in grado di
sorprendere per l’incredibile perizia tecnica utilizzata nelle
riprese sott’acqua, durante cui la creatura, impersonata da ben tre
attori differenti (il subacqueo Ricou Browning, Ben
Chapman e lo stuntman Tom Hennessy), è
mostrata in tutta la naturalezza del suo habitat, perfettamente
credibile nelle sue movenze animali, nonostante il costume di gomma
e lattice utilizzato possa strappare, al giorno d’oggi, qualche
sorriso.
Tra
imprudenti nuotate nella laguna in un primo momento e scienziati
interessati alla cattura del mostro dopo, il film calibra
perfettamente l’alternarsi di sequenze di tensione ad altre
caratterizzate da una sottile ironia, utilizzate per descrivere una
serie di personaggi sì macchiettistici, ma tutti funzionali allo
svolgersi della trama: dalla ragazza in pericolo, oggetto primario
del desiderio del mostro, al capo della spedizione interessato alla
creatura, passando poi per il goliardico capitano
dell’imbarcazione, sino alla psicologia tutta eroica del
ricercatore il cui unico fine, come in ogni classico di genere che
si rispetti, diverrà presto l’eliminazione della creatura e la
salvezza della donna. Gli attori, tutti perfettamente calati nelle
loro parti, offrono prove del tutto convincenti, aiutati da ruoli
talmente ben scritti e delineati che donano alle loro performance,
e all’intera pellicola, quell’aria da cult senza tempo che solo i
grandi classici possono vantare.
La visione di questo piccolo grande
film è obbligatoria per chiunque voglia assaporare un modo di fare
cinema che, solo in apparenza, risulta datato: tra gli infiniti
clichè rintracciabili nella pellicola, difatti, si nascondo trucchi
e trovate che quasi sempre gli horror odierni saccheggiano,
utilizzandoli però in maniera ben più irritante e mediocre.
Netflix rilascia il teaser trailer del nuovo di
Il mostro dei mari, film d’animazione Il mostro
dei mari, che debutterà venerdì 8 luglio in tutti i Paesi in cui il
servizio è attivo.
Con la regia del premio
Oscar Chris Williams (Oceania,
Big Hero 6, Bolt: un
eroe a quattro zampe), Il mostro dei
mari conduce lo spettatore ai confini del mondo, dove ha
inizio la vera avventura.
Il mostro dei mari, la trama
In un’epoca in cui
creature terrificanti solcano i mari, i cacciatori di mostri sono
considerati veri e propri eroi. E il grande Jacob Holland è di
certo il più osannato. Ma quando la giovane Maisie Brumble
s’imbarca clandestinamente sulla sua nave leggendaria, l’uomo trova
a sorpresa un’alleata. Insieme intraprendono un viaggio epico in
acque inesplorate ed entrano nella storia.
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Netflix è il più grande
servizio di intrattenimento in streaming del mondo, con 222 milioni
di abbonati paganti in oltre 190 paesi che accedono a un ampio e
variegato catalogo di serie TV, documentari, film e giochi per
dispositivi mobili in numerose lingue. Gli abbonati possono
guardare tutto ciò che vogliono in qualsiasi momento, ovunque e su
ogni schermo connesso a Internet. Possono mettere in pausa e
riprendere la visione a piacimento, senza interruzioni
pubblicitarie e senza impegno.
La recensione de
Il Mostro dei Mari parte dalle suggestioni che il film
Netflix,
disponibile dall’8 luglio sulla piattaforma, risveglia: i film
di kaijū, l’avventura, le storie di bucanieri, di
cacciatori di mostri, sulla scia del leggendario Capitano
Achab. Tutti questi elementi sono stati nella testa del
piccolo Chris Williams, regista cresciuto alla
mensa Disney e ora adottato dalla piattaforma della N
rossa che gli ha dato carta bianca per la realizzazione
della sua avventura.
Il Mostro dei Mari, la
storia
La storia è quella di
Jacob, un giovane aspirante Capitano che serve sulla Inevitabile,
il vascello di Capitan Crow e flagello dei mostri marini che
affliggono le coste del Regno. Siamo in un mondo marinaresco che
ricorda molto l’epoca delle grandi conquiste, nel XVII secolo,
quando a bordo di enormi navi si sfidavano i mari per scoprire
nuove terre. In questo caso il mare si solca per abbattere le
creature che lo popolano, enormi bestie variopinte e assetate di
sangue. L’ossessione di Capitan Crow e di Jacob è la Furia Rossa,
un enorme e spaventosa creatura marina che più volte è sfuggita
alla cattura o all’uccisione. Mentre l’Inevitabile salpa per una
missione che deve essere quella definitiva, per incarico reale, si
intrufola a bordo Maisie, un’orfana, figlia di due cacciatori di
mostri, morti nel naufragio della Monarca, che desidera a tutti i
costi prendere parte a queste avventure.
Il Mostro dei Mari è un’avventura
divertente e molto colorata, che mescola uno stile tendente al
realistico con uno più smaccatamente di matrice
Dreamworks. Non sono pochi gli echi delle creature
di Dragon Trainer nel film, infatti, dal momento
che entrambi i titoli condividono il direttore artistico
Woonyoung Jung e il produttore Jed
Schlanger. Questa eco costante dà la sensazione di essere
in territorio protetto, dato l’amore che il pubblico nutre per la
saga Dreamworks, ma dà anche qualche indicazione
su quello che sarà lo sviluppo della trama. Ebbene, il film Netflix
non tradisce le intuizioni dei più svegli e diventa un’ode
all’accettazione e alla comprensione, allo sfidare le regole se
queste difendono un sistema sbagliato e ad essere sempre presenti a
se stessi e alle proprie idee. La piccola Maisie è una
rivoluzionaria, in questo, e dimostra di avere una mente aperta e
un cuore coraggioso, perché non si spaventa di difendere la realtà,
per quanto assurda e bizzarra possa sembrare.
Un film che si muove in
superficie
La scenografia del film è
essenziale, non troppo caratterizzata né ricca e lo svolgimento
della storia è piuttosto semplice, anche se questo non rappresenta
per forza un difetto. Vero è che Il Mostro dei
Mari si muove in superficie e offre un messaggio
didascalico, per quanto importante, designandosi come un prodotto
destinato ad una singola lettura, appunto superficiale, e
tendenzialmente a un pubblico molto giovane.
Il Mostro dei
Mari è tutto sommato
un film divertente ma che lascia davvero poco e fa di un colpo
di scena telefonato il momento di maggiore interesse della storia.
I personaggi sono amabili e l’azione concitata e divertente,
tuttavia il film è piuttosto modesto e derivativo, addirittura
sciatto nel design delle creature marine, la cui particolarità si
esaurisce con la prima bestia con cui hanno a che fare i nostri
protagonisti per poi sgonfiarsi completamente anche rispetto alla
Furia Rossa (che persino nel nome, non solo nel design, comunque
molto inferiore, ricorda lo Sdentato di Dragon Trainer).
La recensione de
Il Mostro dei Mari non può essere del tutto negativa,
perché non renderebbe giustizia al lavoro di Williams e della sua
squadra, tuttavia, quello che di interessante c’è nel film, da un
punto di vista delle influenze e dei riferimenti, impallidisce di
fronte alla prevedibilità della trama e alla sciatteria della messa
in scena, per quanto il messaggio di cui si fa portatore il film
sia nobile.
Netflix ha appena rilasciato trailer
e poster de Il mostro dei mari, il nuovo film
d’animazione con la regia del premio Oscar Chris
Williams, in arrivo solo su Netflix davenerdì 8 luglio in tutti i Paesi in cui il
servizio è attivo.
La versione italiana del film sarà
impreziosita al doppiaggio da Diego Abatantuono,
che presta la voce al Capitano Crow, Claudio Santamaria, che interpreta il
coraggioso cacciatore di mostri Jacob Holland, e
Giulia Stabile, ballerina e vincitrice della
ventesima edizione di Amici di Maria De Filippi, con un
cameo vocale nei panni della giovane Vedetta
dell’Inevitabile, la più famosa nave da caccia.
In un’epoca in cui creature
terrificanti solcano i mari, i cacciatori di mostri sono
considerati veri e propri eroi. E il grande Jacob Holland è di
certo il più osannato. Ma quando la giovane Maisie Brumble
s’imbarca clandestinamente sulla sua nave leggendaria, l’uomo trova
a sorpresa un’alleata. Insieme intraprendono un viaggio epico in
acque inesplorate ed entrano nella storia.
Con la regia del premio Oscar
Chris Williams (Oceania, Big Hero
6, Bolt: un eroe a quattro zampe), “Il mostro dei
mari” conduce lo spettatore ai confini del mondo, dove ha
inizio la vera avventura.
NECA (la National Entertainment
Collectibles Association) ha condiviso un’anteprima di un
nuovissimo giocattolo ispirato al mostro di La Cosa di John Carpenter. Il
classico del genere horror ha debuttato nel 1982 ed è stato
ispirato dal romanzo di John W Campbell JrWho
Goes There?, uscito oltre quattro decenni prima. Con Kurt Russell nel ruolo del protagonista
principale R.J. MacReady, la storia segue un
gruppo di ricercatori in Antartide che scoprono un organismo alieno
parassita che assorbe e imita qualunque forma di vita incontri.
Ora, in un post di NECA, i fan de
La Cosa hanno potuto dare una prima occhiata a
un nuovo oggetto da collezione ispirato al famoso horror
fantascientifico. Condividendo due possibili iterazioni del cane da
slitta affetto dal parassita del film, i giocattoli presentano le
grottesche appendici mutanti e la carne sanguinolenta associate al
classico mostro. Il post rileva che si tratta di un lavoro in corso
ed entrambe le figure sono attualmente in attesa di approvazione da
parte del detenente licenza.
La tana del bianconiglio non è mai
stata così lontana dall’idea fiabesca che Carroll racconta in
Alice nel Paese delle Meraviglie. Ci sono però
tante somiglianze: il nome di una delle protagoniste di Il
morso del coniglio, Alice, la sorella del personaggio di
Sarah (interpretato da Sarah Snook) scomparsa quando erano piccole.
Ma anche il tema della tana, del nascondiglio, e di questo piccolo
coniglio bianco che si aggira per casa. Il film di Diana Reid con i suoi colpi di scena ha
guadagnato il primo posto nella classifica dei più visti di
Netflix.
In Il morso del
coniglio Sarah è una ginecologa e vive con sua figlia
Mia (Lily
LaTorre) dell’età di sette anni. Dopo aver subito un
grave lutto in seguito alla morte del padre, il personaggio di
Sarah Snook si trova in difficoltà a gestire
anche le semplici cose di vita quotidiana come preparare i pancake
per il compleanno della figlia. Da questo compleanno, quando Mia
compie sette anni, le cose iniziano a peggiorare. Il clima di
tensione è esacerbato dalle continue richieste della figlia che
sostiene di chiamarsi Alice.
Il morso del coniglio, la
trama
Elaborazione del lutto,
traumi sepolti, sensi di colpa e il tema della maternità. In
Il morso del coniglio c’è molta carne al fuoco che
cerca di portare sullo schermo con l’aiuto di una brillante
interpretazione di Sarah Snook, che può bastare fino a un certo
punto. Sarah sta vivendo un momento complicato della sua vita dove,
la morte del padre, l’ha devastata aprendo in lei ferite che
pensava di aver chiuso da tempo. Nella vita di
Sarah e Mia altre figure di
contorno più o meno fondamentali come l’ex marito,
Pete (interpretato da Damon
Herriman) e la compagna.
Quando ancora siamo nelle fasi
iniziali del film, quando la premessa ancora non è stata gettata
davanti agli occhi dello spettatore, capiamo subito un dettaglio
fondamentale per il personaggio di Sarah. L’ex
marito e la compagna le annunciano di voler avere un bambino quando
lei non ha mai voluto che Mia avesse un fratello o
una sorella. Da qui in poi si iniziano a scoprire le carte e
veniamo a conoscenza del passato misterioso di
Sarah per cui anche la figlia Mia adesso, dal
nulla, inizia a chiedere spiegazioni. C’è un motivo per cui Sarah
non ha mai voluto un altro figlio, un trauma sepolto nel suo
passato in quella tana del bianconiglio che è la sua mente.
Chi sono?
Un semplice gioco, mettere le mani
sugli occhi di una persona per farle sentire la tua presenza. Un
semplice gioco che per Sarah ormai è stato portato
all’estremo. Sua figlia Mia si trasforma in una
sconosciuta mentre realtà e soprannaturale si mischiano e fondo in
Il morso del coniglio. Stiamo quasi per scoprire
il colpo di scena finale ma nel frattempo nel lungo viaggio di
ricordi che Mia costringe Sarah a
fare tutto è nero e confuso. Ci trasferiamo in aperta campagna
dove, in una casa solitaria circondata da un fitto bosco, abitava
una piccola Sarah insieme alla sua famiglia. Lì gli atteggiamenti
di Mia iniziano a esasperarsi: fa i dispetti, le
compaiono misteriosi lividi e le esce sangue dal naso
continuamente. Sarah non sa più come gestire la figlia a poco a
poco anche la sua salute mentale inizia a venire meno. Mentre cerca
di aiutare la figlia il suo grosso bagaglio sepolto nella sua mente
riaffiora.
Arriviamo nel momento in cui la
sorella Alice è scomparsa e le immagini di una
giovane Sarah, di Mia, di
Alice e della Sarah adulta si sovrappongono fino a
mostrare allo spettatore quello che è successo realmente il giorno
in cui Alice scompare. Il morso del coniglio di
per sé è molto dinamico ma anche riflessivo: lascia allo spettatore
il tempo di meditare sulle scene, di guardare le vecchie fotografie
insieme alle protagoniste. Ma quando è il momento si carica di
tensione e vitalità con una telecamera dinamica che inquadra
Sarah e Mia in un inquietante
gioco con delle forbici in mano.
La tana del bianconiglio
La scena finale di Il morso del
coniglio lascia tantissimi punti interrogativi in sospeso. Il
destino di Mia è lasciato alle speculazioni e chiacchiere post
film. La tana del bianconiglio cosa è in realtà: la mente di Sarah
vittima dei suoi stessi problemi e traumi del passato che ha
lasciato sedimentare. Ma mentre la mente di Sarah di deteriora,
vede Mia allontanarsi mano nella mano con Alice. Una spiegazione
anche soprannaturale che toglie però il fulcro del racconto dal
thriller psicologico che però regge fino a un
certo punto del film. Le motivazioni che portano Sarah al crollo
sono legate all’elaborazione del lutto per il padre, un pilastro
nella sua vita.
Il morso del
coniglio presenta alcuni elementi tipici del genere,
rincorrendo lo spettatore come il coniglio di Alice nel
Paese delle Meraviglie, ma costringendolo a entrare nella
sua tana in modo da ritrovarsi a fare i conti con sé stessi.
Nel catalogo di Netflix è arrivato, dal 28 giugno, il film
Il morso del coniglio, thriller
psicologico diretto da DainaReid, recentemente distintasi per aver diretto
alcuni episodi delle serie The Handmaid’s Tale e Shining
Girls, a partire da una sceneggiatura di Hannah
Kent. Si tratta di un film che sin da quando è stato
annunciato ha generato molta curiosità per via delle sue premesse –
una madre dal passato problematico alle prese con una figlia che
manifesta inquietanti comportamenti – ma anche per via della
presenza dell’attrice Sarah Snooke, reduce dal
successo della serie Succession, da poco
conclusasi. Un titolo dunque, particolarmente appetibile
all’interno del catalogo della piattaforma.
Chi ha apprezzato thriller
psicologici presenti su Netflix come La donna alla finestra, Tin & Tina o L’apparenza delle cose,
troverà dunque in Il morso del coniglio pane per i propri
denti. Ancora una volta, infatti, questo genere si dimostra ideale
per riflettere su tematiche inerenti la complessità della mente e
dell’esistenza umana. Con Il morso del coniglio, nello
specifico, ci si ritrova davanti ad una storia che riflette sulle
cicatrici lasciate dai traumi e dai lutti passati, mostrando
l’effetto che essi possono avere se non correttamente risolti. Il
film si rivela dunque essere una specie di incubo sulla difficoltà
di elaborare il lutto. Naturalmente il tema viene presentato
attraverso una serie di eventi e simboli che richiedono una loro
spiegazione.
La trama e il cast di Il morso del coniglio
Prima però ecco alcuni dettagli
sulla trama e il cast: protagonista del film è la dottoressa
Sarah, che si occupa di aiutare coppie con
problemi di fertilità. Quando sua figlia Mia
compie sette anni, la stessa età a cui morì la sorella di Sarah,
Alice, la bambina inizia a manifestare strani
comportamenti. Inoltre, la donna vede spesso un coniglio fuori
dalla loro porta di casa, che pare sia un misterioso regalo donato
a Mia, ma nel quale sua madre trova qualcosa di sinistro. I giorni
passano e la bambina continua ad apparire sempre più diversa dal
solito, arrivando infine a dire a sua madre di essere Alice. È così
che Sarah si ritroverà a sfidare i suoi stessi valori, mentre un
fantasma del passato irromperà nella sua vita e la donna dovrà
lottare per tenere sua figlia con sé.
A guidare il cast del film vi è
l’attrice Sarah Snook, celebre per la
serie Succession, che interpreta Sarah. Per il
ruolo era in realtà originariamente stata scelta l’attrice Elisabeth Moss,
che ha però dovuto rinunciare per via di altri impegni.
Lily LaTorre interpreta invece la figlia di sette
anni di Sarah, Mia, debuttando così come attrice in un
lungometraggio. L’attore australiano Damon
Herriman recita invece nei panni di Peter, ex marito di
Sarah e padre di Mia. L’attrice Greta Scacchi,
nota per i film I protagonisti, Presunto innocente e
Prova schiacciante, recita invece nei panni di Joan, madre
di Sarah con cui la protagonista ha un brutto rapporto.
Il morso del coniglio: la spiegazione del finale
Il finale di Il
morso del coniglio ha una serie di elementi piuttosto
ambigui che richiedono qualche spiegazione. Ecco di seguito, punto
per punto, un’analisi del significato del film alla luce dei suoi
risvolti conclusivi.
Cosa è successo ad Alice?
Per tutto il film, l’assenza di
Alice incombe sulle interazioni di Sarah con Mia. Questo diventa
ancor più evidente quando la bambina inizia a sostenere di essere
Alice. Verso la fine del film, Sarah sperimenta quindi una crisi
psicotica che mostra in piccoli flash ciò che è realmente accaduto
ad Alice. Da giovane Sarah aveva rinchiuso Alice in un armadietto
nella stalla. Quando riapre la porta, Alice le urla contro e
stringe le mani intorno al collo di Sarah. Quest’ultima per
liberarsi afferra una trappola per conigli e colpisce Alice in
testa. In stato di shock, Alice inizia a scappare da Sarah. Sarah
insegue Alice attraverso un campo fino a una scogliera. Qui, Sarah
spinge Alice giù dal dirupo.
La scena finale di Il morso del coniglio è stata tutta
un’allucinazione?
Alla fine del film, Mia decide di
seguire il suo coniglio bianco. Sarah vede allora alla finestra Mia
che cammina con un’altra ragazza verso la scogliera vicino alla
casa. La sconosciuta si rivela essere Alice. Sarah inizia allora a
bussare alla finestra e a urlare, ma le due continuano ad
allontanarsi. Due teorie principali possono spiegare la scena
finale del film: la sequenza è un’allucinazione causata dal crollo
psicologico di Sarah; Alice potrebbe realmente comparire come
fantasma e possedere Mia, in cerca di vendetta per il suo omicidio.
Il film, tuttavia, è pubblicizzato come un thriller non
paranormale. In nessun momento i fantasmi o gli spiriti vengono
proposti come argomento del film. La prima opzione risulta dunque
la più probabile.
Il senso della realtà di Sarah
Per tutta la prima metà di Il
morso del coniglio ci sono indizi che portano a pensare che
Sarah stia solo immaginando i comportamenti di Mia, di cui né la
bambina né chiunque altro sembrano accorgersi. Nella seconda metà
del film, l’instabilità mentale di Sarah diventa più pronunciata ed
esplicita. Le ferite a Mia iniziano a scomparire dopo che Sarah le
nota, o ancora le foto tolte dai muri, riappaiono lì dov’erano.
Inoltre, Sarah inizia a sentire dei colpi che la portano a un
armadietto nella stalla. Quindi inizia a rivivere gli eventi della
morte di sua sorella. Quando alla fine cerca Mia con il suo ex
marito, ha allucinazioni di Mia annegata nell’acqua. Alla fine del
film, Sarah è dunque una donna senza più alcun legame con la
realtà.
Ha realizzato Sarah quei disegni inquietanti?
Sebbene Sarah incolpi Mia per i
disegni inquietanti trovati sui compiti e sul libro della
biblioteca, Il morso del coniglio include una scena verso
la fine in cui un’adulta Sarah disegna inconsciamente la stessa
immagine dal libro della biblioteca sul pavimento della vecchia
casa dei suoi genitori. Al contrario, l’unica volta che il film
mostra Mia mentre disegna, sta solo disegnando un albero
dall’aspetto normale. Queste due scene combinate implicano che è
stata Sarah a realizzare quei disegni. Dato che Sarah non ha
memoria di aver disegnato le immagini inquietanti, le immagini
stabiliscono ulteriormente quanto Sarah sia mentalmente lontana
dalla realtà. La sua psicosi è così pronunciata che potrebbe
disegnare immagini estremamente inquietanti senza mai
ricordarsene.
Il vero significato del finale di Il morso del
coniglio
Il tema della salute mentale in
Il morso del coniglio aiuta a interpretare il finale. Il
punto principale è che le persone non possono superare i traumi e
gli errori passati senza affrontare i problemi che da essi
derivano. Sarah evita continuamente il suo passato, la sua famiglia
e i ricordi di sua sorella, il che porta ad allucinazioni
profondamente preoccupanti. Se avesse avuto il tempo di guarire
correttamente, forse non avrebbe mai fatto del male a sua figlia.
Invece, si immerge sempre più a fondo nella sua malattia mentale,
arrivando a trattare la sua stessa figlia come in passato aveva
trattato sua sorella.
Il trailer di Il morso del
coniglio e come vedere il film su Netflix
Come anticipato, è possibile fruire
di Dalla mia finestra: Al di là del mare
unicamente grazie alla sua presenza nel catologo di
Netflix, dove attualmente è al
3° posto della Top 10 dei film più visti
sulla piattaforma in Italia. Per vederlo, basterà dunque
sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma scegliendo
tra le opzioni possibili. Si avrà così modo di guardare il titolo
in totale comodità e al meglio della qualità video, avendo poi
anche accesso a tutti gli altri prodotti presenti nel catalogo.
Il
Montana è diventato il primo stato negli
Stati Uniti a
vietare TikTok. Se il disegno
di legge resiste alle previste sfide legali, entrerà in vigore il
1° gennaio 2024.Il governatore dello stato Greg
Gianforte ha firmato il disegno di legge mercoledì, scrivendo in
una dichiarazione: “Oggi, il
Montana intraprende l’azione più decisiva di qualsiasi stato per
proteggere i dati privati e le informazioni personali sensibili
dei Montanans dall’essere raccolti dal Partito Comunista
Cinese“.Gianforte ha aggiunto
su Twitter: “TikTok è
solo un’app legata ad avversari stranieri. Oggi ho ordinato al
Chief Information Officer dello stato di vietare qualsiasi
applicazione che fornisca informazioni o dati personali ad
avversari stranieri dalla rete statale”.
La legge vieterebbe agli app store di
rendere l’app disponibile per il download nel Montana.TikTok ha risposto al divieto con la
seguente dichiarazione :
“Il governatore Gianforte ha firmato un disegno di legge che
viola i diritti del Primo Emendamento della popolazione del Montana
vietando illegalmente TikTok, una piattaforma che dà potere a
centinaia di migliaia di persone in tutto lo stato. Vogliamo
rassicurare i Montanans che possono continuare a utilizzare TikTok
per esprimersi, guadagnarsi da vivere e trovare una comunità mentre
continuiamo a lavorare per difendere i diritti dei nostri utenti
all’interno e all’esterno del Montana“.
Secondo l’Associated Press, Montana
sarebbe in grado di multare qualsiasi “entità”, come un app store o
lo stesso TikTok, $ 10.000 al giorno ogni volta che a un utente
viene “offerta la possibilità” di accedere o scaricare la
piattaforma. Queste multe non verrebbero imposte ai singoli
utenti.
Di proprietà della società tecnologica
cinese ByteDance, TikTok si è guadagnata la reputazione di minaccia
alla sicurezza nazionale a causa delle preoccupazioni sulla
raccolta dei dati. Ciò ha portato gli Stati Uniti a vietare
TikTok sui dispositivi emessi dal governo a marzo.TikTok, che è esploso in popolarità durante la pandemia,
ospita oltre 1 miliardo di utenti e funge da hub per influencer,
celebrità e creatori. Secondo il portavoce di TikTok Jamal
Brown, il Montana ospita 200.000 utenti TikTok e 6.000 aziende che
utilizzano l’app.
Il monello è il
film culto del 1921 di Charlie Chaplin con
protagonisti lo stesso Charlie Chaplin con
Jackie Coogan, Edna Purviance.
Una lacrima e un sorriso. Questo è
il cinema di Charlie Chaplin. E questo film del 1921 ne è
la massima riprova. Chaplin comincia ad andare oltre i
cortometraggi divertenti; comincia a proporre film dalla media
durata o veri lungometraggi (il presente dura 83’) che fanno
riflettere su tematiche sociali.
Il monello, la
trama
In una Londra divisa tra
ricchi e poveri, una giovane madre sola dalla disperazione
abbandona il suo neonato, e vive nel rimorso anche quando arriverà
per lei il successo e diventerà ricca. Un povero vetraio trova il
fagotto abbandonato e decide, nonostante il proprio stato di
povertà, di allevarlo.
Quando poi il neonato diventa un
po’ più grande, si fa aiutare dal piccolo monello facendogli
rompere i vetri delle case che egli poi ripara, guadagnandosi un
minimo per vivere. Dopo una rissa con un altro monello, il bimbo si
sente male e chiamato il medico, quest’ultimo decide di chiamare
l’orfanotrofio per far vivere il piccolo in condizioni più consone.
Il vetraio però riesce a riprenderselo, ma la legge ha la meglio.
Non fino in fondo però, e al povero ma ricco di amore, alla donna
disperata e al piccolo orfanello, il destino sorriderà…
Il monello
richiese complessivamente diciotto mesi di lavoro, dalla prima
scena girata alla prima proiezione, un periodo non particolarmente
felice per la vita privata di Charlie: poco prima dell’inizio della
lavorazione perse il primo figlio avuto dalla prima moglie (Mildred
Harris), Norman Spencer, nato con gravi deformazioni e
sopravvissuto solo tre giorni. Il matrimonio non fu mai felice,
fallì nel corso della lavorazione del film; l’opera stessa rischiò
di finire sotto sequestro unitamente ai beni di Charlie nella causa
di divorzio intentatogli dalla moglie: Charlie, previdente,
consegnò in custodia una copia dei negativi al fratello Sidney,
terminò il montaggio della pellicola spostandosi in incognito (per
quanto la sua popolarità lo consentisse) in diverse località, tra
alberghi e studi tecnici.
Secondo alcuni fu proprio
la perdita del figlio ad ispirargli il soggetto. L’incontro tra
Chaplin e Jackie Coogan fu un colpo di fulmine,
nacque prima un’amicizia speciale tra i due, solo in seguito pensò
di scritturarlo nella sua compagnia, e quando la lavorazione del
film iniziò Jackie fu perfetto: Chaplin, non potendo interpretare
lui il ruolo, così come desiderava per tutti i ruoli dei suoi film,
lo trovò spontaneo, naturale e perfettamente plasmabile alle sue
indicazioni. Probabilmente, l’intesa tra i due, fu dovuta anche
alla peculiarità della personalità di Chaplin capace di vedere gli
aspetti della vita attraverso gli occhi di un bambino. Un film
toccante, con una tenera interpretazione del piccolo Jackie Coogan.
Un attore che però non ha fatto molta strada da allora, essendo
anche immischiato in una vicenda giudiziaria per sfruttamento dei
suoi diritti da parte dei genitori. Grazie alla sua vicenda, la
California emise “The Child Actors Bill”, meglio conosciuto come il
“Coogan Act”, nel quale venivano tutelati i diritti dei minori
impegnati nel cinema.
Il monello
Oltre al Il
monello, nel 1930-31 Coogan interpretò i popolari
personaggi di Mark Twain: Tom Sawyer e Huckleberry Finn. Poi una
serie di film minori, tornando alla popolarità indovinate come?
Interpretando il turpe Zio Fester nella famosissima serie tv “La
famiglia Addams” del 1964 (trasmessa anche in Italia).
Charlie
Chaplin inizia a trattare struggenti tematiche
sociali con “Charlot emigrante” del 1918, in cui mette in scena la
scandalosa «quarantena» cui venivano sottoposti gli immigranti a
Ellis Island prima di sbarcare a New York. Seguiranno “Vita da
cani” e “Charlot soldato”: col primo pone sotto i riflettori la
vita dei senzatetto, perseguitati dalla legge disuguale e accanita
verso i poveri. Col secondo ironizza sulla guerra, nella
fattispecie l’intervento americano in Europa durante la Prima
guerra mondiale. Un tema che riprenderà con un capolavoro del
1940 “Il
grande dittatore”, dove sbeffeggerà Hitler e il suo
folle progetto di sterminare gli ebrei; ma lancerà anche uno
struggente messaggio finale di speranza ai popoli in guerra. I
dittatori i sovrani sono ridicolizzati anche nel film “Un Re a New
York” del 1957.
La filmografia di
Chaplin ha prevalentemente preso di mira i
potenti, ironizzando su di loro fino a ridicolizzarli. In tal modo
tratterà anche il capitalismo, in modo lapalissiano nel film
“Monsieur Verdoux”, che ha come protagonista un bancario (dal quale
prende il nome il film) che con l’arrivo della crisi finanziaria
del 1930 divenne disoccupato. Per mantenere il tenore di vita della
propria famiglia che ormai vede molto poco, ma soprattutto, per un
acquisito sadismo ed egoismo innescato in lui da una società post
crisi sempre più egoista ed arrivista, nonché violenta dati i
regimi dittatoriali che si diffondevano nel mondo, Verdoux da tre
anni si da alla truffa sposando donne ricche per poi ucciderle e
derubarle. Chaplin voleva dimostrare come la società capitalista ed
egoista potesse ridurre gli uomini, renderli avidi e alienati. Per
queste sue posizioni, fu mal visto dall’America e dall’Inghilterra.
Siamo negli anni ‘50, in piena Guerra Fredda, ed in pieno
maccartismo. Chaplin decise di stabilizzarsi in Svizzera con la
famiglia dove morì nel 1978.
è stato diffuso un nuovo poster per
Epic –
Il mondo segreto nuovo lungometraggio d’animazione dei
Blue Sky Studios (l’Era Glaciale, Rio) e in arrivo negli States il
24 maggio 2013.
Diretto da Chris Wedge
Epic –
Il mondo segreto è tratto dal racconto per bambini di
William Joyce, già autore de Le 5 Leggende. Nel cast di voci
originale ci sono Josh Hutcherson, Amanda Seyfried, Beyoncé Knowles
e Steven Tyler.
In occasione del cinquantesimo
anniversario della morte di John
Ford (31 agosto 1973), uscirà il 1° settembre 2023
“Il mondo secondo John Ford“, libro
che Alberto Crespi ha dedicato al leggendario regista
americano, edito da Jimenes Edizioni.
“Il mondo secondo John Ford”
non è un saggio di pura critica cinematografica né una biografia,
ma piuttosto un viaggio appassionato e appassionante
nell’immaginario fordiano, un racconto in prima persona che regala
una miriade di spunti di riflessione, curiosità, collegamenti e
suggestioni e, soprattutto, svela l’ineffabile poetica che segna
l’opera del regista.
In questo volume, Alberto
Crespi ha scritto una vera e propria lettera d’amore a
John
Ford e al suo cinema, seguendo un percorso tematico
che parte da “Ombre rosse” e, traendo spunto dai nove
passeggeri della diligenza, dagli indiani e dalla Monument Valley,
tocca undici tappe.
In questo suo cammino Crespi entra
ed esce dai film di Ford senza scrupoli di genere, critici o
cronologici e offre al lettore le chiavi per comprendere come il
regista ha interpretato il mondo e come, di conseguenza, lo ha
raccontato nel suo cinema: un cinema nel quale si ride e si piange
allo stesso tempo; un cinema nel quale l’avventura, il West, la
storia, la violenza, le frontiere si mescolano sempre con l’ironia
sommersa, il senso della famiglia e della comunità, il dolore della
perdita e il passaggio di consegne da una generazione
all’altra.
In attesa dell’uscita di
Jurassic World, ecco tutti gli errori di
Il Mondo Perduto: Jurassic Park raccolti
in un video realizzato da Cinema Sins!
Il mondo perduto – Jurassic
Park è un film del 1997 diretto da Steven Spielberg, basato
dall’omonimo romanzo Il mondo perduto di
Michael Crichton e sequel di Jurassic
Park.
Alla sua uscita, il film ha riscosso
un notevole successo, con un incasso, a livello mondiale, di
618.638.999$ di dollari, che lo rende tra i 100 maggiori incassi di
tutti i tempi[1],
secondo solo all’epoca allo stesso Jurassic
Park sempre di Spielberg. Il film ha conservato per
quattro anni e mezzo il record d’incasso per il primo weekend di
programmazione.
Il titolo del romanzo originale di
Crichton da cui è tratto il film è un omaggio al romanzo
Il mondo perduto di Arthur Conan
Doyle e ai numerosi film che da esso furono ispirati.
Il franchise è proseguito con
Jurassic Park III (2001) e
Jurassic World(2015).
Con l’arrivo nei cinema di tutto il
mondo, nel 1993, di Jurassic Park,
il regista
Steven Spielberg mostrò le reali potenzialità della computer
grafica, cambiando per sempre la settima arte. Sullo schermo era
ora possibile veder prendere vita, dopo milioni di anni dalla loro
estinzione, i celebri dinosauri in tutta la loro maestosità. Questi
sono poi tornati a calcare il grande schermo nel 1997 con il sequel
Il mondo perduto – Jurassic Park. Diretto
nuovamente da Spielberg, questo è ambientato quattro anni dopo gli
eventi del precedente capitolo, e narra di una nuova spedizione a
Isla Sorna, dove i dinosauri vengono riportati in vita.
Come anche per il film del 1993, il
regista si è nuovamente affidato alla penna di Michael
Crichton. Lo scrittore da cui prese vita la storia narrata
nel primo film venne più volte pregato di dare un sequel a tale
racconto, ma questi si rifiutò ogni volta. Ci pensò infine
Spielberg a fargli cambiare idea, e fu così che nel 1995 venne
pubblicato Il mondo perduto. Il regista intraprese subito
la produzione della trasposizione, inserendo in questa anche
elementi scartati da Jurassic Park. Il lavoro sui
dinosauri si rese qui ancor più complesso, richiedendo oltre 18
mesi per poterli realizzare tutti in modo realistico e
avvincente.
Il mondo perduto – Jurassic
Park contiene infatti quasi il doppio di animazioni
generate al computer rispetto al suo predecessore, promettendo così
anche il doppio dell’intrattenimento. Il film si affermò poi come
il secondo più alto incasso dell’anno dopo Titanic, e confermò l’interesse degli spettatori nei
confronti della storia e delle sue creature. Un interesse vivo
ancora oggi, e che ha permesso alla Universal di dar vita a diversi
sequel, di cui l’ultimo annunciato, Jurassic
World Rebirth, è atteso prossimamente in sala. Nel
mentre, riscopriamo il lungometraggio del 1997 e le curiosità ad
esso legate.
Quattro anni dopo gli eventi
svoltisi a Isla Nubar, dove sorgeva il Jurassic Park, John
Hammond avverte il professor Ian Malcolm
della presenza di un’isola vicina, chiamata Isla Sorna, dove
venivano ricreati i dinosauri. La vita presente su di essa è ora in
pericolo, poiché il corrotto Peter Ludlow aspira a
catturare quanti più dinosauri possibili per collocarli in un parco
nella città di San Diego. Malcolm si trova così a doversi recare
sull’isola, con l’intento di documentare quanto lì sta avvenendo e
denunciando tutto ciò ai media e alle autorità. Memore della
traumatica vicenda vissuta anni prima, questi rifiuta però
l’offerta. Nel momento in cui Hammond gli rivela che la sua
fidanzata Sarah Harding si è già recata
sull’isola, Malcolm si vede però costretto ad accettare.
Arrivato a Isla Sorna, Malcolm è
intenzionato a recuperare quanto prima Sarah e lasciare quel luogo
pieno di pericoli. I suoi obiettivi verranno però ostacolati dalla
volontà della donna di rimanere lì e difendere le creature presenti
dalla violenza dell’uomo. Nonostante l’esercito di Ludlow sia
particolarmente numeroso, e capitanato dall’esperto cacciatore
Roland Tembo, ciò non sembra sufficiente a gestire la furia dei
dinosauri. Ritrovatisi in terra a loro ostile, con nessuna
recinzione tra loro e le creature, gli esseri umani lì presenti
capiranno ben presto di non essere i cacciatori bensì i cacciati.
La sfida per Malcolm e Sarah sarà allora quella di sopravvivere,
evitando che il peggio possa accadere. Il ruggito del T-Rex,
tuttavia, non sembra lasciare grandi speranze a riguardo.
Il cast di attori
A causa dell’indisponibilità degli
attori Sam Neill e
Laura
Dern, il protagonista divenne il professor Ian
Malcolm, già presente nel precedente film. Ad interpretarlo vi è
nuovamente l’attore Jeff
Goldblum, il quale si è dichiarato particolarmente
entusiasta di poter riprendere il personaggio. Come lui, anche
Richard Attenborough ha dato disponibilità per
comparire nuovamente nel ruolo di John Hammond. Grande ingresso nel
cast è quello dell’attrice Julianne
Moore, oggi premio Oscar, che interpreta qui Sarah
Harding. Spielberg la contattò dopo averla vista recitare nel film
Il fuggitivo. Questa accettò di partecipare al film per
poter lavorare con Spielberg, del quale è una grande
ammiratrice.
Nel film è poi presente l’attrice
Vanessa Lee Chester. Questa era diventata popolare
dopo aver recitato nel film La piccola principessa.
Spielberg rimase colpito da lei proprio grazie a tale pellicola, e
decise da subito di offrirle il ruolo di Kelly, figlia di Ian
Malcolm. Il ruolo del cacciatore Roland Tembo è invece affidato
all’attore Pete Postlethwaite, da
Spielberg considerato il migliore del mondo. Il regista lo scelse
per la sua grande presenza scenica, requisito fondamentale per il
personaggio di Roland. L’attore Vince
Vaughn interpreta il ruolo di Nick Van Owen, alleato
di Ian e Sarah. Infine, gli attori Arliss Howard e
Peter Stormare interpretano rispettivamente i
crudeli Peter Ludlow e Dieter Stark.
Dato il successo del film, nel 2001
si realizza un terzo e conclusivo capitolo della trilogia. Jurassic Park III, da Spielberg solamente
prodotto, vede il ritorno del personaggio di Alan Grant,
interpretato nuovamente da Sam Neill. Il titolo ottenne però
un’accoglienza particolarmente meno entusiasmante rispetto ai
precedenti due film, e sembrò dunque porre fine alle vicende
dedicate ai dinosauri. Nel 2015, tuttavia, arriva al cinema
Jurassic
World. Pur cambiando titolo, questo si configura come
sequel diretto dei precedenti film, anche se ambientato diversi
anni dopo. La coppia di protagonisti è qui interpretata dagli
attori Chris Pratt
e Bryce Dallas
Howard.
Il trailer del film e dove vederlo
in streaming e in TV
In attesa di vedere gli sviluppi
della saga, per gli appassionati è possibile fruire di Il
mondo perduto – Jurassic Park grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di
Infinity, Apple iTunes e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di lunedì
14 ottobre alle ore 21:00 sul canale
20 Mediaset.
Alessandro
Lunardelli esordisce con Il Mondo fino in
fondo, un film on the road, realizzando un
viaggio dell’anima alla scoperta dei desideri e delle paure di due
fratelli italiani, talmente diversi tra loro da essere ormai come
due rette parallele, che guardano nella stessa direzione ma non si
incontrano mai.
Ne Il Mondo fino in
fondo Davide (Filippo Scicchitano) è un
adolescente di Agro, piccolo paese industriale del nord est
italiano. Il ragazzo è gay, e non sa come comunicarlo al padre
(industriale disinteressato ai figli) e tantomeno al fratello
maggiore Loris (Luca
Marinelli). Loris ha quasi trent’anni, è cresciuto in
fretta rinunciando alla propria adolescenza per seguire le orme
paterne, lavorando nella fabbrica di famiglia, cercando di
sistemare il fratello e sposando Veronica (Camilla
Filippi) donna dalla quale aspetta pure un figlio. Una
trasferta dell’Inter (squadra del cuore di Loris) diventa il
pretesto per fare un viaggio insieme, i due fratelli, verso
Barcellona. Ed è proprio in Spagna che Davide conosce Andy
(Cesare Serra), giovane ecologista cileno, del
quale si innamora a prima vista, decidendo di seguirlo fino in
Cile. Ma qui, le cose non vanno come Davide aveva previsto, e Loris
decide di andare a cercarlo; entrambi hanno finalmente l’occasione
di dare una svolta definitiva alle loro vite.
Il Mondo fino in fondo è un road movie
dal sapore leggero e fresco; il regista sceglie la Patagonia come
paesaggio, un luogo intrepido e dalla maestosa bellezza, come
supporto per il viaggio interiore, emotivo ed umano, di due
fratelli diversi tra loro e distanti, ma forse non troppo diversi
l’uno dall’altro: Davide è giovane, e al contrario di Loris ha
ancora l’opportunità di cambiare la propria vita e di indirizzarla
dove vuole; Loris, al contrario, ormai è incastrato in una
situazione dalla quale non può fuggire, ma attraverso un percorso
di consapevolezza può imparare ad accettarla e a vivere in un modo
diverso. Ma la vera domanda sollevata è un’altra: riusciranno
queste due anime in cerca di loro stesse a ritrovarsi da qualche
parte, perfino alla fine del mondo, perfino nella selvaggia
Patagonia? E riusciranno, infine, umanamente cambiati, a tornare da
dove sono partiti, ripercorrendo i loro passi verso Agro e verso il
limitato orizzonte della provincia?
Il regista usa un linguaggio
audiovisivo pulito e limpido: il paesaggio è compenetrato al tema
del viaggio, è l’altro grande protagonista del film oltra alla
coppia Scicchitano –
Marinelli, giovani, promettenti e affiatati, che
tratteggiano delicatamente il ritratto di due fratelli diversi ma
forse più simili del previsto, due anime ingabbiate in una realtà
che forse non gli appartiene fino in fondo e dalla quale vogliono
evadere ad ogni costo, per continuare a seguire i loro sogni e per
continuare ad assaporare il sapore proibito ed inebriante della
libertà.
Loris e Davide sono fratelli, hanno
una fabbrica nel nord Italia. Sono diversi: Loris è un
imprenditore, conformista, tifoso di calcio, con una moglie e forse
un figlio in arrivo. Davide è appena maggiorenne, la fabbrica di
famiglia gli va stretta, è gay, ma non osa dirlo ai suoi. Per caso
si trova a Barcellona col fratello, che vuole vedere l’Inter in
trasferta. Lì Davide conosce Andy, un ambientalista cileno di cui
s’invaghisce, e decide di partire con lui per il Cile. Per tutti
comincia così un viaggio che li porterà fino in Patagonia: Loris va
in cerca del fratello, mentre Davide conosce gli amici di Andy e il
mondo dell’attivismo ecologista, cercando di capire meglio se
stesso.
Alessandro
Lunardelli esordisce nel lungometraggio con questa
commedia on the road – presente fuori concorso al Festival di Roma,
sezione Alice nella città – ambientata tra Italia, Spagna e Cile.
Ma si fa prendere dalla metafora del viaggio, dall’azione, dai
cambi di location, dalla voglia di dire tante cose e non riesce ad
andare davvero fino in fondo (suoi anche soggetto e sceneggiatura,
con Vanessa Picciarelli). I temi sono tanti.
Personali: l’omosessualità, il rapporto fra fratelli, il
tradimento, la maternità. Sociali, culturali e politici: il
perbenismo ottuso della provincia italiana, il libertarismo,
l’ambientalismo, la politica come impegno comune, la dittatura
cilena. Tante le parentesi aperte, tanti i personaggi incontrati
nel cammino dai protagonisti, troppi. Difficile tenere tutto
insieme e trattare come meritano almeno i temi centrali:
omosessualità, rapporto tra fratelli, ecologia.
Così accade che Davide
(Filippo Scicchitano) sia gay, ma la sua storia
con Andy non sia sviluppata, né quella con altri uomini.
Un’omosessualità accennata o espressa con poca convinzione. È
incerto, impacciato, mai davvero a suo agio – in famiglia, in
azienda, nei locali gay, nel mondo degli attivisti – non parla di
sé e non bastano pochi gesti istintivi a definirlo. Sembra sempre
un passo indietro rispetto alle sue scelte. Ne risente anche la
resa di Scicchitano, che non riesce, se non in qualche momento, a
ritrovare la vivida efficacia di Scialla! Se la sua
figura fosse emersa maggiormente avrebbe creato anche una dinamica
più interessante con Loris: il suo antagonista involontario, il
personaggio più da commedia, che diverte il pubblico. È sfortunato,
gli capita tutto ciò che può sconvolgere i suoi parametri e
metterlo in difficoltà. Incarna alcuni stereotipi. È provinciale,
limitato, un po’ingenuo, in fondo affezionato al fratello minore.
Gli dà vita ed efficacia Luca Marinelli.
Il ritmo del film poi è diseguale:
veloce nella prima parte, lento nella seconda, attraverso continue
soste che prolungano il viaggio verso il ghiacciaio, con rari
momenti significativi.
Alla presenza del
regista Alessandro Lunardelli e degli attori
Luca Marinelli e Filippo
Scicchitano, insieme alla sceneggiatrice Vanessa
Picciarelli, si è tenuta la conferenza stampa di
presentazione del film Il Mondo Fino in
Fondo, opera prima del regista.
Presentato al Festival Del Cinema di
Roma nella sezione Alice nella città, uscirà in circa 40 copie il
prossimo 30 Aprile, riconfermando la forza della distribuzione
“piccola” di Microcinema, già supporto fondamentale
dell’ultimo successo dei fratelli Manetti.
La prima domanda riguarda la
scelta del luogo: perché la Patagonia Cilena?
Secondo Lunardelli, la Patagonia
Cilena è la parte meno conosciuta di questa terra affascinante, un
luogo desolato e selvaggio, funzionale all’arco emotivo che
avrebbero vissuto i personaggi. Un luogo “vergine” dove vivere al
meglio l’emotività dei protagonisti, un luogo che riflettesse la
loro sfera emotiva.
Inoltre, la Patagonia serviva da
contrasto con la realtà di provincia che vivevano Davide
(Filippo Scicchitano) e Loris (Luca
Marinelli).
Inoltre, Lunardelli ribadisce
l’importanza fondamentale di Alfredo Castro,
eccezionale attore cileno che si è prestato ad interpretare il
ruolo di Lucho, il tassista cileno che aiuta Loris a ritrovare suo
fratello Davide attraverso il Cile più selvaggio ed
inesplorato.
Una domanda, invece, è stata rivolta
alla sceneggiatrice Picciarelli, riguardo alle difficoltà
incontrate, in fase di scrittura, nel delineare dei personaggi così
“lontani” senza ricadere nei cliché tipici della narrativa di
viaggio: il valore aggiunto, per evitare di ricadere in questa
dimensione e per recuperare quella naturalezza in grado di cogliere
luoghi e atmosfere, è stato dato dalle interpretazioni degli
attori.
Secondo Lunardelli il personaggio di
Loris subisce il maggior cambiamento: è lui la vera vittima del
sistema provinciale dove vivono, si piega alle logiche paterne
imposte dal genitore e accetta passivamente, prima però di rompere
con le consuetudini andando a cercare suo fratello fino… alla fine
del mondo. In una dimensione lontana e non sua, si sente liberato e
compie un arco narrativo molto profondo, trascinato dall’ebbrezza
della fuga e del viaggio.
E proprio il tema del viaggio “on the road” coinvolge i due
protagonisti: Scicchitano è uscito cambiato da questa esperienza,
definendo questo viaggio un’avventura incredibile e inaspettata,
che lo ha influenzato dal lato artistico e umano.
Per Marinelli, Lunardelli è stato in
grado di cogliere gli aspetti “fraterni” tra i due attori,
permettendo loro di compiere un viaggio addirittura oltreoceano,
cambiandoli a livello umano.
In fase di scrittura Lunardelli e
Picciarelli non pensavano specificatamente ai due attori scelti
alla fine: si mantenevano un ampio margine di scelta. Di Marinelli
lo ha colpito la freschezza e la brillantezza trasmessa in alcune
commedie (tipo quella di Virzì Tutti i Santi
Giorni), e per tale motivo è stato scelto; di
Scicchitano temeva, invece, la sua dirompente “romanità”, che
invece non è emersa sullo schermo ma che ha sottolineato- e
sancito- il profondo senso di “fratellanza” che si era creato tra i
due attori.
E proprio loro due si sono divertiti
sul set, concedendosi delle “variazioni sul tema”, provando le
situazioni e creandole, come per esempio il loro lavoro sul
dialetto del paesino di Agro, luogo inesistente che ha una lingua
non convenzionale, un dialetto non codificato immaginato, in un
primo momento, simile al veneto e poi diventato invece qualcosa di
completamente diverso. Gli elementi “temporali” scelti da
Lunardelli dovevano coincidere alla perfezione: la partita
dell’Inter a Barcellona, la conferenza di Copenaghen, la ribellione
degli studenti in Cile… tutto doveva giustificare il viaggio di
questi due fratelli, un viaggio collocato in una dimensione spazio
temporale ben precisa.
Essendo un’opera prima, le
difficoltà non si sono sprecate, anzi: la produzione ha appoggiato
“un rischio”, scommettendo su un’opera che partiva dall’Italia
allargandosi però alla sfera emotiva dei personaggi.
Lunardelli, iniziando a girare il
film, non parlava lo spagnolo (e questo rientrava in una delle
prime difficoltà incontrate nel momento in cui prese la decisione
di girare in Patagonia); anche realizzare i provini con gli attori
cileni è stato un problema, soprattutto linguistico. Il Cile ha
giocato un ruolo importante nella realizzazione: oltre allo
scenario prestato- la Patagonia- anche la troupe era del posto e,
nonostante le difficoltà incontrate durante tutto il tempo delle
riprese, hanno creato un clima costruttivo e creativo dove
lavorare, grazie anche alla profonda ammirazione che i cileni
nutrono (ancora!) nei confronti del nostro cinema, pur non
possedendo, quest’ultimi, un mercato cinematografico molto
sviluppato.
L’ultima, cruciale, domanda
riguardava tempi e costi: quanto tempo e quanti finanziamenti sono
stati concessi? La parte iniziale (come i sopralluoghi) sono stati
realizzati a carico del regista; il film è durato sette settimane
ed è costato circa un milione e duecentocinquanta euro, con un
contributo del ministero di duecentomila euro.
Una vacanza di famiglia viene
sconvolta da due estranei sopraggiunti nel cuore della notte per
sfuggire a un cyberattacco che diventa sempre più terrificante,
obbligando tutti a venire a patti con il proprio ruolo in un mondo
prossimo al collasso.
La trama di Il mondo
dietro di te
In questo thriller apocalittico dal
premiato sceneggiatore e regista Sam Esmail (Mr. Robot), Amanda (il
premio Oscar Julia Roberts) e il marito Clay (il candidato
agli Oscar Ethan Hawke) affittano una casa di
lusso per un fine settimana con i figli Archie (Charlie Evans) e
Rose (Farrah Mackenzie). La vacanza viene subito sconvolta
dall’arrivo di notte di due sconosciuti: G.H. (il premio Oscar
Mahershala Ali ) e la figlia Ruth (Myha’la),
che li informano di un misterioso cyberattacco e vogliono
rifugiarsi nella casa di cui dicono di essere i proprietari. Le due
famiglie fanno il punto del disastro che incombe e che diventa
sempre più terrificante, obbligandoli a venire a patti con il loro
ruolo in un mondo prossimo al collasso. Il film è tratto dal
romanzo – candidato ai National Book Award – di Rumaan Alam,
Il
mondo dietro di te, ed è prodotto da Esmail Corp e Red
Om Films. La produzione esecutiva è di Higher Ground
Productions.
Una vacanza di famiglia viene
sconvolta da due estranei sopraggiunti nel cuore della notte per
sfuggire a un cyberattacco che diventa sempre più terrificante,
obbligando tutti a venire a patti con il proprio ruolo in un mondo
prossimo al collasso.
La trama di Il mondo
dietro di te
In questo thriller apocalittico dal
premiato sceneggiatore e regista Sam Esmail (Mr. Robot), Amanda (il
premio Oscar Julia Roberts) e il marito Clay (il candidato
agli Oscar Ethan Hawke) affittano una casa di
lusso per un fine settimana con i figli Archie (Charlie Evans) e
Rose (Farrah Mackenzie). La vacanza viene subito sconvolta
dall’arrivo di notte di due sconosciuti: G.H. (il premio Oscar
Mahershala Ali ) e la figlia Ruth (Myha’la),
che li informano di un misterioso cyberattacco e vogliono
rifugiarsi nella casa di cui dicono di essere i proprietari. Le due
famiglie fanno il punto del disastro che incombe e che diventa
sempre più terrificante, obbligandoli a venire a patti con il loro
ruolo in un mondo prossimo al collasso. Il film è tratto dal
romanzo – candidato ai National Book Award – di Rumaan Alam,
Il
mondo dietro di te, ed è prodotto da Esmail Corp e Red
Om Films. La produzione esecutiva è di Higher Ground
Productions.
Il mondo dietro di
te (Leave the world behind) porta sullo schermo una tale
atmosfera di tensione e di inquietudine da mantenere sempre salda
l’attenzione dello spettatore. Diretto dal regista statunitense di
origini egiziane Sam Esmail (creatore della serie
Mr.
Robot), il film è stato presentato il 25 ottobre al AFI fest
per poi essere distribuito solamente in piattaforma. Il cast è
formato da alcune delle maggiori star di Hollywood del momento.
Julia Roberts (Wonder, Mangia,
prega, ama) interpreta Amanda, mentre l’attore
Mahershala Ali (Green
Book,
Moonlight) interpreta il proprietario di casa George Scott. A
questi si aggiungono anche
Ethan Hawke (trilogia
Before) e Kevin Bacon. Il mondo dietro di
te è una trasposizione cinematografica dell’omonimo libro
di Rumaan
Alam.
Il mondo dietro di te: la
catastrofe fuori dal cortile di casa
Amanda, stressata dalla vita
frenetica di New York, decide di organizzare per tutta la sua
famiglia una vacanza fuori città, affittando una magnifica villa
immersa nel verde e vicina al mare. Al loro arrivo tutto sembra
perfetto, ma le prime stranezze non tardano ad accadere. Mentre
Amanda si trova in spiaggia con il marito Clay e i suoi due figli
Rose e Archie, una petroliera si dirige verso di loro, fino a
raggiungere la sabbia. Da allora, tutti i mezzi di comunicazione
sembrano non funzionare: telefoni, computer ed infine anche la
televisione.
La sera, due persone si presentano
alla loro porta: George Scott, il proprietario della casa, e sua
figlia Ruth. I due hanno preferito provare a rifugiarsi li, fuori
dalla città, piuttosto che tornare nella loro casa a Manhattan.
Nonostante la diffidenza di Amanda nei confronti dei due
sconosciuti, questi restano per la notte. La mattina seguente tutti
insieme cercheranno di capire meglio cosa stia succedendo: un
cyberattacco sembra essere in corso, ma la situazione sembra essere
anche peggiore di così.
Tensione senza fine
Il primo elemento che emerge alla
visione di Il mondo dietro di te è certamente la
presenza di un’atmosfera ad alta tensione. Questo è favorito da
tanto fattori: primo fra tutti il sottofondo musicale. Si
prediligono melodie molto tese che alimentano di molto il clima
sinistro. A questo si aggiungono le performance degli attori,
specialmente di Julia Roberts e di
Mahershala Ali nei panni di Amanda e George. I due
interpretano delle figure che reagiscono in maniera diversa ad una
tale situazione di catastrofe, contribuendo in egual modo alla
suspense del film. Amanda è di natura diffidente verso tutti,
detesta l’essere umano per la sua natura egoista ed avida, e non
mancano i momenti in cui il panico e la paura prendano il
sopravvento in lei. George invece si mostra sempre in una calma
tetra, quasi spettrale.
Interessante è anche l’attenzione
dedicata ai particolari, specialmente ad alcune interessanti
inquadrature. Oltre alle scene che mostrano la rotazione terrestre,
le riprese di Rosie in spiaggia con l’imponente petroliera davanti
colpiscono lo spettatore fin dall’inizio del film. A queste si
aggiunge la visione della bandiera americana sulla luna: immagine
evocativa che dovrebbe rappresentare l’imponenza di una grande
potenza mondiale quali erano gli Stati Uniti d’America e di come
questo attacco sembra averla portata alla distruzione.
Il potere della ferocia umana
Analizzando le tematiche de
Il mondo dietro di te, l’argomento focale che
maggiormente salta alla mente di qualsiasi spettatore è la ferocia
umana, ciò che il filosofo Thomas Hobbes ha definito come
homo homini lupus, ovvero l’uomo è lupo all’altro
uomo. L’essere umano, con la sua natura intrinsecamente egoista,
punta prima di tutto alla salvaguardia propria e della propria
famiglia. Per Hobbes questo è il motivo per cui la creazione dello
Stato è indispensabile: il collasso dello Stato dovuto agli
attacchi esterni nel film porta ad un paradossale ritorno allo
stato di natura. Ciò è ravvisabile soprattutto nelle scene finali,
nell’incontro con il vicino di casa Danny, ma sono presenti altri
esempi sottintesi. Amanda è disposta a lasciare George e sua figlia
Ruth in mezzo alla strada nel bel mezzo di un blackout per
salvaguardare la sua famiglia ed i suoi figli; Clay lascia una
donna implorante aiuto in mezzo alla strada.
Il mondo dietro di te: un finale
inaspettato
Il mondo dietro di
te sorprende in tutto, anche nel finale, ma in questo caso
non necessariamente positivamente. Per tutto il film lo spettatore
cerca di comprendere insieme ai personaggi ciò che sta realmente
accadendo, aspettandosi delle risposte nel finale. Senza fare alcun
spoiler, si afferma semplicemente che la pellicola lascia delle
domande in sospeso, creando una certa frustrazione nel pubblico che
si aspettava una conclusione chiara a tutto il mistero del
film.
Il mondo dietro di
te si chiude con degli importanti spunti di riflessione ma
con pochi chiarimenti sull’attacco in sé e su coloro che vi hanno
dato inizio. Ad ogni modo si potrebbe vedere questo come un
ulteriore elemento di suspense: si crea un finale aperto
all’interpretazione dello spettatore.
Il mondo dietro di
te è il nuovo film di Netflix, scritto e diretto
da Sam Esmail e basato sull’omonimo
romanzo di Rumaan
Alam, in cui eventi apocalittici iniziano a
verificarsi nel mondo. Disponibile dall’8
dicembre, il titolo è da subito divenuto uno dei più visti
sulla piattaforma, merito anche della partecipazione di attori del
calibro di
Julia Roberts,
Ethan Hawke,
Mahershala Ali e
KevinBacon. Ad aver incuriosito gli spettatori vi
sono però anche i tanti elementi che preannunciano la fine del
mondo in cui vivono i protagonisti, per molti dei quali occorre
però qualche piccola spiegazione.
La trama di Il mondo dietro dite
Amanda, stressata
dalla vita frenetica di New York, decide di organizzare per tutta
la sua famiglia una vacanza fuori città, affittando una magnifica
villa immersa nel verde e vicina al mare. Al loro arrivo tutto
sembra perfetto, ma le prime stranezze non tardano ad accadere.
Mentre Amanda si trova in spiaggia con il marito
Clay e i suoi due figli Rose e
Archie, una petroliera si dirige verso di loro,
fino a raggiungere la sabbia. Da allora, tutti i mezzi di
comunicazione sembrano non funzionare: telefoni, computer ed infine
anche la televisione.
La sera, due persone si presentano
alla loro porta: George Scott, il proprietario
della casa, e sua figlia Ruth. I due hanno
preferito provare a rifugiarsi li, fuori dalla città, piuttosto che
tornare nella loro casa a Manhattan. Nonostante la diffidenza di
Amanda nei confronti dei due sconosciuti, questi restano per la
notte. La mattina seguente tutti insieme cercheranno di capire
meglio cosa stia succedendo: un cyberattacco sembra essere in
corso, ma la situazione sembra essere anche peggiore di così.
Spiegazione della struttura a
cinque parti de Il mondo dietro di te
Il mondo dietro di
te è diviso in cinque sezioni, ognuna delle quali è
caratterizzata da un titolo: I: la casa,
II: la curva, III: il rumore,
IV: l’inondazione e V: la fine.
Ogni titolo fa riferimento ad un avvenimento che caratterizzerà
quel capitolo, ma il significato della divisione in cinque parti
non si limita a questo. Le prime due sono infatti una sorta di
preludio, mentre le parti III, IV e V coincidono con una delle fasi
del programma che George descrive a Clay alla fine del film.
Con la fase I si crea isolamento, si
rende l’obbiettivo sordo e muto, il che coincide chiaramente con il
rumore della parte III. La fase II prevede invece un caos
sincronizzato, caratterizzato da attacchi sincronizzati e
disinformazione. Questo corrisponde all’inondazione della parte IV:
i personaggi sono inondati da disinformazione, come i volantini
piovuti dal cielo. Infine, l’ultima fase porterà naturalmente ad un
colpo di stato, che coincide con l’ultima parte: la fine. Il
mondo dietro di te avrebbe quindi potuto essere formato anche
da sole tre parti, ma le prime due sezioni permettono di
comprendere meglio il tutto.
Perché gli animali si comportavano
in maniera tanto bizzarra?
Dopo che i Sandford vedono la
petroliera incagliarsi nella spiaggia all’inizio de Il
mondo dietro di te, i quattro fanno ritorno a casa,
dove i genitori vedono dei cervi nel giardino. Inizialmente Clay
vede la presenza di tali animali in maniera positiva: questi erano
considerati un buon presagio secondo la cultura mesoamericana. Ma i
cervi non sono i soli animali a comparire vicino alla casa dei
Sandford: vengono trovati dei fenicotteri rosa nella piscina,
mentre durante tutto il film si mostrano in alcune scene degli
stormi di uccelli. Verso la fine, una spaventosa mandria di cervi
circonda Ruth e Amanda in maniera alquanto minacciosa, sembrando
quasi sul punto di attaccarle. Per quanto non ci sia una reale
spiegazione riguardo il comportamento anomalo degli animali, ci
sono alcuni indizi.
Mentre Clay cerca di raggiungere il
villaggio, nel momento in cui scende dall’auto, la radio riceve a
tratti del segnale e alcune frasi sono distinguibili: si fa
riferimento agli effetti catastrofici dal punto di vista ambientale
che il cyber attacco ha avuto, specialmente negli stati del sud,
compromettendo le normali migrazioni degli animali. La natura
effettiva dell’attacco non è chiara, ma eventi come l’arrivo della
petroliera sulla spiaggia può dare un’idea di cosa possa essere
successo nel resto del paese. Il posto più vicino da cui i
fenicotteri rosa possano provenire è la Florida: i danni causati da
un’altra petroliera incagliata nel golfo del Messico possono aver
spinto gli animali a migrare a nord.
Danny aveva saputo in anticipo
dell’attacco?
Quando Amanda va nella cittadina,
vede Danny che acquista grandi quantità di scorte di viveri, ma
solamente dopo lei si renderà conto che lui si stava già preparando
per la catastrofe che era in arrivo. Mentre George ha i suoi
sospetti per via dei comportamenti dei mercati finanziari e l’ha
previsto per via della “curva”, Danny non aveva la possibilità di
ottenere informazioni dalle sue stesse fonti. Ciononostante, lui
sapeva che qualcosa stava per succedere e si è assicurato di essere
pronto.
Danny ha letto i segnali di ciò che
sarebbe successo in tante piccole cose, informazioni che molti
altri non avevano notato come il ritiro del personale diplomatico
russo. Allo stesso tempo collega l’attacco o ai coreani o ai
cinesi, teoria nata da una base xenofoba unita alla testimonianza
di un amico da San Diego riguardo ai volantini rossi con scritte in
coreano o mandarino.
La spiegazione del finale e il
significato di Friends in Il mondo dietro di
te
Cosa realmente stia avvenendo al
mondo del film, non viene mai chiarito del tutto. Di base, il
guasto ad un satellite ha portato al blackout informatico e a tutti
gli inceidenti successivi, ma ci sono anche indizi per cui lo
scenario apocalittico che si viene a generare possa essere causato
da radiazioni o qualche degenerazione legata al clima o da tutte e
tre le cose insieme. Il mondo dietro di te, però, non
fornisce vere risposte in quanto vuole che l’attenzione dello
spettatore si concentri su come i personaggi protagonisti
reagiscono alla consapevolezza che il mondo sta per finire.
L’evoluzione dei personaggi in
Il mondo dietro di te, specialmente di
Amanda e Ruth, garantisce dunque la base per una riflessione
sull’umanità stessa. Dopo i numerosi contrasti avuti durante tutto
il film, le due trovano un punto comune nella visione della natura
umana. I Sandlord e gli Scott non si fidano gli uni degli altri e
non vorrebbero vivere nella stessa casa, finché tutti si rendono
conto di dover mettere da parte la loro diffidenza per aiutarsi
l’un l’altro per la sopravvivenza.
L’ossessione di Rose per Friends
serve da base e spunto di riflessione per il resto del film. Prima
che George e Ruth si presentino alla loro porta, Clay parla ad
Amanda del libro della sua studentessa che è un’esplorazione di
come i media servano come strumento di evasione e riflessione. Allo
stesso modo, Il mondo dietro di te è un
thriller sul collasso della società, ma rivela anche la verità
sulla natura umana attraverso i suoi personaggi. Mentre il mondo
sembra cadere a pezzi, Rose vuole solamente vedere il finale della
serie Friends. Allo stesso tempo, per Ruth
Friends è una serie nostalgica per un tempo che non è mai
esistito.
“Se non c’è speranza per questo mondo, almeno voglio sapere
come finisce tra loro” – Rose Sandford
Quando Rose non riesce più a
sopportare il caos alla fine de Il mondo dietro di
te, lei scappa e si rifugia nella casa dei Thorne a
mangiare tutti i dolci e cibi appetitosi che riesce a trovare. Qui
lei riesce a trovare anche il bunker e l’enorme collezione di DVD,
dove è presente anche la serie Friends. Mentre tutti gli
altri scoprono che New York viene bombardata, lei inizia il finale
di stagione, “The last one”, il quale è lo spunto che da
il titolo alla parte V.
“Per me rappresentava pura
evasione“, dice Esmail. “Nei momenti di crisi, quando
abbiamo perso di vista la nostra comune umanità, quando ci sentiamo
isolati, vogliamo fuggire per trovare conforto. E per Rose, ho
pensato che il suo viaggio non sarebbe stato completo finché non
avesse guardato l’ultimo episodio del suo show preferito. Penso che
per quanto questo film sia un racconto ammonitore e voglia essere
un avvertimento, non vuole darci una risposta su cosa fare dopo –
ma vuole dire: ‘Per quanto possa diventare buio, per quanto possa
diventare desolante, possiamo sempre sforzarci di trovare un po’ di
speranza’“, e Friends va dunque a rappresentare tale
elemento.
Il pubblico può dunque ritrovarsi a
ritenere Il mondo dietro di te sia come
un modo per evadere dal mondo esterno, sia come uno spunto di
riflessione su come ci si relaziona con le grandi catastrofi che
sempre più caratterizzano il nostro mondo. Dipende tutto dal punto
di vista da cui lo si vuole guardare.
Il mondo di Arthur
Newman l’esordio alla regia del giovane Dante
Ariola, apprezzato autore di spot pubblicitari, si presenta
come una più che ordinaria commedia romantica, condita di tutti i
crismi del genere, senza lesinare in fatto di luoghi comuni e di
situazioni da puro manuale rosa.
In Il mondo di Arthur
Newman insoddisfatto della propria vita, del proprio
lavoro e con alle spalle un divorzio e un difficile rapporto col
figlio, Wallace Avery decide di dare un taglio col passato. Dopo
aver inscenato la propria scomparsa, acquista la nuova identità di
Arthur Newman, brillante golfista che incarna il suo alter ego
ideale. Ma l’incontro fortuito con la giovane tossica Michaela
Fitzerland, anche lei sotto falsa identità, farà nascere nell’uomo
l’impulso di ritornare sulla propria strada per affrontare le
proprie responsabilità.
Il mondo di Arthur Newman, il film
Affidandosi totalmente ad una
sceneggiatura scritta più di vent’anni fa da Becky Johston,
qui lontana anni luce dalla purezza di Sette anni in
Tibet, che risente indubbiamente del peso del tempo,
Ariola confeziona un prodotto che, seppur godibile a livello di
intrattenimento, non può nascondere alcune gravissime pecche di
forma e di stile, confermando come il regista risenta della
fantomatica crisi da opera prima. Innanzitutto non vi è un
sufficiente approfondimento psicologico dei due personaggi
principali, i quali vengono presentati come semplici manichini
mossi da motivazioni posticce, all’interno di un quadro narrativo
in cui i fatti e gli avvenimenti semplicemente accadono senza dare
il tempo allo spettatore di digerirli e di capirne a fondo le
dinamiche.
Come se non bastasse poi, il film
si presenta pieno zeppo di riferimenti metacinematografici e
narrativi più che evidenti, occhieggiando più volte senza vergogna
a Il fu Mattia Pascal di Pirandello e citando in maniera
inquietante Ferro 3, proponendo la figura dei due
protagonisti impegnati ad intrufolarsi nelle abitazioni altrui. A
salvare il tutto ci pensano fortunatamente le interpretazioni più
che soddisfacenti dei due protagonisti, a cominciare da sir
Colin Firth, che riesce a dar vita in maniera perfetta
alla personalità semplice, pura e sincera di Arthur / Wallace,
ponendo l’accento sulla riflessione riguardo al tema dell’identità
(peraltro già affrontata in L’importanza di chiamarsi
Ernest). Ciò che salta però all’occhio è il fatto che
ultimamente l’attore appare sclerotizzato, sia fisicamente che a
livello prestazionale, all’interno di un modello di personaggio
che, dopo A Single Man, pare averlo ingabbiato
definitivamente. Allo stesso modo risulta ammirabile e genuina
l’interpretazione di Emily Blunt, bravissima nel conferire
al personaggio di Michaela / Charlotte una gustosa vena di follia e
di erotismo (peraltro in alcune scene abbastanza spinto).
Di sicuro ammirabile l’intento di
Ariola, ma ciò non toglie il fatto che il tutto, nelle mani forse
di un regista più esperto e con una sceneggiatura di maggiore
freschezza, avrebbe potuto dar vita ad un universo del tutto
differente. Rimane comunque innegabile come il tema predominate,
ovvero l’identità morale e fisica di un individuo, divenga la
struttura portante del mondo del protagonista, ovvero Il
mondo di Arthur Newman, e che esso venga qui affrontato
con intelligenza e profondità.
C’era una volta Sigmund Freud che nella
sua opera “Totem e tabù” dichiarava: «l’uomo civile ha barattato
una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di
sicurezza» – sicurezza che in Surrogates gli uomini sembrano aver
trovato in macchine che rispecchiano i loro canoni estetici e se ne
vanno in giro in loro vece a vivere la vita, mentre l’operatore,
comodamente rilassato nell’imperturbabilità della propria casa,
controlla ogni sua movenza.
C’era una volta Sigmund Freud che
nella sua opera “Totem e tabù” dichiarava: «l’uomo civile ha
barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di
sicurezza» – sicurezza che in Surrogates gli uomini sembrano aver
trovato in macchine che rispecchiano i loro canoni estetici e se ne
vanno in giro in loro vece a vivere la vita, mentre l’operatore,
comodamente rilassato nell’imperturbabilità della propria casa,
controlla ogni sua movenza. Il mondo dei
replicanti prende le mosse dall’uccisione del figlio
del dottor Lionel Canter (James Crownell), uno dei principali
artefici del progetto Surrogates. Sulle tracce del suo assassino,
si mettono i detective dell’FBI
Greer (Bruce
Willis) e Peters (Radha Mitchell) che
indagheranno sui segreti della VSI, azienda produttrice dei
robot-surrogati.
In un mondo ormai privo di crimine,
una serie inaspettata di morti di operatori, collegati al proprio
surrogato, desta non poche perplessità, generando psicosi. Si è
diffuso un virus che mette a rischio la vita degli operatori e dei
surrogati a loro connessi. Le vicende del detective Greer si
intrecciano con la sua vita personale, in particolare è in
primo piano il rapporto conflittuale con la moglie Maggie (Rosamund
Pike), ormai intrinsecamente legata a proprio
surrogato.
La donna entra in crisi proprio
quando un malvivente distrugge il suo “replicante”, costringendola
a ritornare alla vita fuori dalla sicurezza di casa sua. Maggie è
così costretta a tornare sulla strada e a mettersi alla ricerca
della verità. In questo mondo di automi, la minaccia non viene da
un altro pianeta. Il nemico non è l’alieno malvagio che vuole
impadronirsi del nostro pianeta (come in “La guerra dei mondi”), il
nemico – in questo caso – è dentro di noi ed è, quindi, più
pericoloso: siamo noi stessi che abbiamo deciso di non vivere la
nostra vita e delegato macchine “perfette”, ma senz’anima, a farsi
carico dei rischi della quotidianità.
Il mondo dei
replicanti diretto da Jonathan
Mostow, è uscito nelle sale italiane l’8 gennaio di
quest’anno ed è subito entrato nella classifica dei primi dieci
film del mese più visti al cinema. Mostow vince al botteghino,
confezionando un buon action-movie adrenalinico, che – tuttavia –
vede nella povertà di spunti introspettivi e nella superficialità
dell’analisi di tematiche antropologiche il suo più grande
limite.