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The Peacemaker: trama, cast e curiosità sul film con George Clooney

I rapporti tra Stati Uniti e Russia sono sempre stati particolarmente tesi, e il cinema ha raccontato tali conflitti in più occasioni nel corso dei decenni. Si tratta di film ricchi di tensione, dove la situazione di precario equilibrio fra le due parti può rapidamente spezzarsi con gravi conseguenze. Molti dei titoli di questo genere sono inoltre tratti da storie vere o da vere indagini. Tra questi ultimi si annovera anche The Peacemaker, diretto nel 1997 dalla regista Mimi Leder, qui al suo primo lungometraggio per il cinema. In questo si esplora infatti una particolare vicenda del rapporto tra i due Paesi, sempre sull’orlo della guerra.

Arrivato in sala, The Peacemaker si è poi affermato come un buon successo di economico. A fronte di un budget di circa 50 milioni di dollari questo è infatti arrivato ad incassarne circa 110 a livello globale. Ancora oggi è un film che regala grande intrattenimento e una storia avvincente. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità ad esso relative. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alle sue location. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La storia vera dietro The Peacemaker

La storia qui raccontata, come accennato, è stata ispirata un reale vicenda, riportata dall’articolo intitolato One Point Safe, scritto dai giornalisti Andrew e Leslie Cockburn. Il pezzo illustrava il pericoloso contrabbando di armi nucleari nell’ex Unione Sovietica e il titolo si riferisce a quella preziosa funzione che impedisce alle bombe atomiche di essere innescate accidentalmente. La ricostruzione dei due giornalisti ha dunque portato all’attenzione una realtà nascosta ma molto pericolosa, sia per il paese che importa tali ordigni sia per quanti vi entrano in conflitto. La pubblicazione di questo articolo ha dunque reso ancor più tesi i rapporti tra i due paesi ma ha anche sensibilizzato ulteriormente sul tema del nucleare, spingendo ad una maggiore attenzione a riguardo.

La trama di The Peacemaker

La vicenda del film si apre in Russia, dove il corrotto Generale Kodoroff riesce a sottrarre nove pericolosissime testate nucleari trasportate su un treno. Nascosto il furto proprio con l’esplosione di una delle bombe, egli vanta ora un arsenale estremamente letale da poter riutilizzare contro i nemici del suo paese. Nel momento in cui la zona dell’incidente può essere sottoposta ad indagine ci si rende però conto di come ad essere esplosa sia solo una delle dieci bombe traportate. Ha così inizio una frenetica caccia all’uomo di livello internazionale, con il fine di scovare chi possiede le armi nucleari e fermarlo prima che sia troppo tardi.

Sul caso indagano la dottoressa Julia Kelly, responsabile del settore materiale nucleare della Casa Bianca, la quale per prima ricollega l’avvenuto all’azione di terroristi. Accanto a lei vi è il colonnello Thomas Devoe, ufficiale del servizio segreto, il quale a sua volta sospetta il furto degli ordigni. Pur non piacendosi l’un l’altro, a causa dei diversi modi di pensare e agire, i due saranno costretti a lavorare insieme, spostandosi tra gli Stati Uniti e l’Europa. Scoprire quantoprima le reali intenzioni di coloro che hanno rubato le bombe sarà l’unico modo per impedire che il peggio possa avvenire.

The Peacemaker cast

The Peacemaker: il cast del film

Ad interpretare il ruolo del colonnello Thomas Devoe vi è il premio Oscar George Clooney, il quale per questo film si è dedicato ad un’ampia serie di spericolate imprese. L’attore ha infatti eseguito quasi tutte le scene previste per il suo personaggio, anche le più complesse e rischiose, scegliendo di non ricorrere a controfigure. In particolare, egli ha imparato a calarsi con una fune da un elicottero in volo e ad eseguire una serie di pericolose manovre automobilistiche. Per tutto ciò si è guadagnato l’epiteto di “senza paura”, assegnatogli proprio dalla regista. Ad interpretare la sua controparte russa, il colonnello Dimitri Vertifkoff, vi è invece il celebre attore candidato all’Oscar Armin Mueller-Stahl. Tanta era l’adorazione che Clooney aveva nei suoi confronti da continuare ad offrirsi di portargli il caffè sul set.

A dare volto alla dottoressa Julia Kelly vi è invece la premio Oscar Nicole Kidman, anche se il ruolo era inizialmente stato proposto ad Annette Bening. La Kidman è ad oggi una delle poche attrici che possono vantare di non aver subito scherzi da parte di Clooney. L’attore è infatti noto per farne di diversi ai suoi colleghi, ma il rispetto provato per la Kidman l’ha spinto a trattenersi. Contrariamente ai loro personaggi, infatti, i due attori hanno avuto un ottimo rapporto durante il set, e ancora oggi sono grandi amici. Nel film sono poi presenti diversi attori di diverse provenienze. Il rumeno Marcel Iures è Dusan Gavrich, mentre Aleksandr Baluyev interpreta il generale Alexander Kodoroff. Il francese Sebastian Roché veste i panni di Hans, mentre Holt McCallany è Mark Appleton.

Le location di The Peacemaker: ecco dove è stato girato il film

Ricco di location diverse, il film si è avvalso di luoghi naturali e altri invece ricostruiti in studio. Vi sono inoltre alcune ambientazioni del film che non corrispondono alle effettive location dove sono state girate le scene. Un caso esemplare è quello dell’inseguimento di Vienne, una sequenza in realtà realizzata nella città di Bratislava, in Slovacchia. Per le scene finali nella chiesa, l’intenzione della regista era quella di girare in alcuni luoghi sacri di New York. Tuttavia, non avendo ottenuto i permessi necessari, tali ambienti furono ricostruiti grazie alla computer grafica. Un notevole lavoro di effetti speciali che ha ovviamente portato ad un aumento del budget inizialmente previsto. Altre location utilizzate per il film sono il Nord della Macedonia, la Croazia e Horna Stubna in Slovacchia.

Il trailer di The Peacemaker e dove vedere il film in streaming

È possibile fruire di The Peacemaker grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Prime VideoParamount+ Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video.

Fonte: IMDb

La rosa dell’Istria: recensione del film tv con Andrea Pennacchi

La rosa dell’Istria: recensione del film tv con Andrea Pennacchi

Il primo canale televisivo della Rai, dall’inizio di questo nuovo anno, sta proponendo al suo pubblico molti prodotti che vogliono raccontare il Novecento italiano. Dopo la serie La Storia, tratta dall’omonimo romanzo di Elsa Morante e la miniserie La lunga notte – la caduta del Duce ora è la volta de La rosa dell’Istria. Questo film tv in onda in prima serata lunedi 5 febbraio vuole raccontare, attraverso il dramma della famiglia Braico, la tragedia delle Foibe e l’esodo degli istriani scappati dal genocidio del maresciallo comunista jugoslavo Tito, durante gli ultimi anni e la fine dalla seconda guerra mondiale.

La rosa dell’Istria un dramma familiare per raccontare un genocidio

Questo lungometraggio con la regia di Tiziana Aristarco, coproduzione Rai Fiction-Publispei-Venice Film è una storia vera liberamente ispirata al libro intitolato Chi ha paura dell’uomo nero dell’istriana Graziella Fiorentin. La rosa dell’Istria inizia con un lungo flashback, più precisamente alla fine dell’estate del 1943, quando gli italiani che risiedevano nella regione dell’Istria si trovarono nella morsa di due nemici. Da una parte c’erano i partigiani comunisti jugoslavi comandati da Tito, che già avevano attuato la prima ondata di infoibamenti e dall’altra l’ex alleato tedesco cioè i nazisti.

Dopo l’armistizio, quello del 8 settembre, l’esercito italiano restò senza direttive e la popolazione istriana invece priva di ogni difesa, nel frattempo il dittatore Tito avanzava con le sue mire di pulizia etnica per ammettere il territorio istriano alla Jugoslavia e i tedeschi si riorganizzano insieme alle truppe della Repubblica di Salò. La situazione diventa sempre più drammatica tanto che la famiglia protagonista, capitanata dal capofamiglia Antonio Braico, uomo rispettato da tutti e medico di Canfanaro, decide che è il momento di scappare.

Il dottore, interpretato dall’attore Andrea Pennacchi, prenderà questa difficile scelta dopo aver assistito inerme con la figlia diciottenne Maddalena, Grace Kicaj al suo debutto, alla fucilazione di un gruppo di giovani e innocenti carabinieri del paese, da parte dei comunisti slavi che li ritenevano dei fascisti. Quindi nel giro di qualche giorno, Maddalena con la sua famiglia abbandona per sempre la sua terra, la sua casa e anche il suo ragazzo slavo Miran che si è unito ai partigiani di Tito. Purtroppo durante la fuga notturna di nascosto con un treno, Niccolò il figlio maggiore del dottore, l’attore Costantino Seghi, sarà ferito e rimarrà indietro.

Maddalena è la voce di un popolo ferito

I Braico riescono a raggiungere in Italia e cercano riparo presso lo zio Giorgio, Fausto Maria Sciarappa, che lavora come professore e che da anni vive a Cividale, una piccola cittadina del Friuli. Da qui La rosa dell’Istria diventa un racconto di formazione, focalizzato sulla crescita di Maddalena, l’unica figlia di Antonio, che si ritrova spaesata, ritenuta a scuola come una straniera e in lotta con suo padre che la vuole medico. La ragazza invece ama da sempre la pittura e l’incontro con Leonardo, Eugenio Franceschini, un misterioso giovane artista ebreo gli rivoluzionerà per sempre la sua vita.

Dopo i primi mesi in cui l’intera famiglia vive la triste condizione da profughi, sradicati dalla loro terra, dalle loro abitudini e da tutto ciò che prima era la loro vita borghese finalmente Antonio trova lavoro come dottore. I Braico quindi si trasferiscono di nuovo, esattamente in Veneto vicino alla laguna, ma Maddalena continuerà a pensare a Leo, scomparso all’improvviso, ma che dopo qualche tempo riapparirà e convincerà la giovane donna a seguirlo e vivere a Padova con lui per fare la pittrice. Intanto la guerra finisce e Maddalena guardando un cinegiornale al cinema, noterà un volto conosciuto tra i tanti disperati scappati dalla sua Istria e cercherà in tutti modi di ritrovare quella persona che pensava di aver perso per sempre.

La rosa dell’Istria un film che sa dosare vari generi

La rosa dell’Istria fin dalle prime scene mostra il dramma dei profughi istriani per poi tornare alle origini di quando è iniziato tutto. Un film tv melò che parte come un dramma familiare che pian piano diventa un romanzo di formazione di una donna che con il suo spirito lotta per quello che crede. La regia di Tiziana Aristarco, affronta argomenti come il genocidio ma senza alcun uso d’immagini di violenza, si vede l’orrore delle foibe attraverso lo sguardo dei sopravvissuti rifugiati in Italia e che Maddalena poi ha deciso di mostrare attraverso la sua arte e i suoi dipinti su tela.

My Home My Destiny: la dizi turca che racconta l’emancipazione femminile e il desiderio di riscatto

Cosa ci definisce come persone? La casa in cui viviamo, gli amici che frequentiamo, la carriera che scegliamo o l’amore che viviamo? Non c’è una risposta definitiva a una domanda così, esistenziale, ma forse potremmo dire che dipende da cosa si vuole essere nel presente e nel futuro, ma anche da quello che si è stati nel passato. Parte da qui la storia di Zeynep, da un quesito particolarmente introspettivo, che la ragazza rivolge alla psicoterapeuta nella sequenza iniziale di My Home My Destiny, prima di riavvolgere il nastro della sua vita, come in un film, e raccontarla partendo dalla casa d’infanzia in cui viveva e che ha cominciato a plasmarla come individuo. Il prodotto turco, approdato su Canale 5 nell’estate 2023, ha riscosso un enorme successo, forte della presenza di Demet Ozdemir nei panni della protagonista, che torna in auge sul piccolo schermo dopo essere diventata famosa nel Bel Paese grazie al ruolo di Sanem in Daydreamer nel 2020.

Attenzione però: My Home My Destiny, esattamente come tutte le opere provenienti dalla Turchia (il cui debutto fu sancito con Cherry Season – La stagione del cuore) dal 2016 in poi, non è né una soap opera né può considerarsi una serie televisiva dall’impianto classico, ma si posiziona in una terra di mezzo fra l’una e l’altra, una dizi. Per chi non conoscesse le differenze, diciamo in breve che fra le peculiarità più evidenti delle dizi  c’è prima di tutto la durata canonica di circa due ore a episodio, minutaggio che va a incidere sul ritmo del racconto e sull’approccio ai personaggi, molto più lento, in cui di conseguenza la storia ha dei tempi di assorbimento diversi per lo spettatore.

Sono narrazioni estremamente dilatate, spesso costruite su personaggi femminili e sulle rispettive famiglie, in cui a essere messa in risalto, oltre alla crescita del singolo, è la tradizione e le usanze del Paese. Inoltre, si fa molto affidamento al voice over del main character, il quale diventa uno strumento narrativo che permette di addentrarsi meglio nei chiaroscuri dei personaggi, accentuare il pathos e far sentire lo spettatore più coinvolto in ogni scelta dei protagonisti, mentre esperiscono la vita. Le dizi turche non si incasellano in un unico genere, seppur quelle arrivate sulle nostre reti siano principalmente di stampo romantico (ne fanno parte Cherry Season e Daydreamer) e drammatico.

My Home My Destiny: una dizi quanto più attuale

Ed è proprio il dramma – o meglio il melò – su cui si cuce la storia di My Home My Destiny, diretta da Çağrı Bayrak e adattata dal libro Camdaki Kız della scrittrice Gülseren Budaçioğlu. Come suggerisce lo stesso titolo, per Zeynep la casa in cui vive è il suo destino, già scritto, che si deve solo compiere. Cresciuta in una disfunzionale famiglia povera di Balat, con un padre alcolizzato e violento e una madre schiava del suo potere, Zeynep viene adottata da piccola da una coppia facoltosa nella Istanbul “da bene”, consegnata dagli stessi genitori per permettere alla figlia di istruirsi. In realtà, è la madre Sakine a decidere di concederla a Nermin ed Ecrem, in primis per garantirle un futuro migliore e in secondo luogo per evitare che anche lei soccomba a un padre padrone per niente amorevole.

Diversi anni dopo, intrapresi gli studi alla facoltà di legge e oramai coinvolta a pieno nella sua vita elitaria, Zeynep reincontra la madre biologica al suo compleanno, da cui affioreranno una serie di sensi di colpa, scaturiti per non aver avuto il coraggio di dire a nessuno la verità né sulla sua doppia famiglia (e vita) né su chi sia per davvero. Tornata nel quartiere d’origine per recuperare il tempo perso con la madre, si lascia covincere da quest’ultima a sposare un uomo molto umile che neppure conosce, Mehdi, con il quale intraprende una relazione tossica. Tracciate le coordinate della storia, è chiaro che il nucleo centrale di My Home My Destiny sono gli abusi – psicologici e fisici –, il patriarcato, l’emancipazione femminile e la percezione errata che si ha di sé se alle spalle si ha un contesto familiare poco chiaro e problematico.

La dizi, come si è potuto intuire, affronta tematiche molto care al giorno d’oggi e ne approfondisce ogni aspetto senza mai tirarsi indietro, ma anzi guardandolo da ogni prospettiva e angolazione proprio grazie a tempi estesi che permettono un’accurata riflessione in merito. Essendo un prodotto fruibile da chiunque, considerata anche la disponibilità sull’app gratuita Mediaset Infinity, riesce ad abbracciare un pubblico molto ampio ed eterogeneo, e la sua presenza in piattaforma è essenziale e di estremo valore, poiché permette a tutti di dialogare con alcuni argomenti per i quali, ancora adesso, si ha un atteggiamento di negazione o rigetto. Ma esistono, diremmo anche purtroppo, nonostante i cambiamenti messi in moto ma non ancora completati, e un’opera del genere – proprio nella sua semplicità narrativa – è in grado di essere decodificata senza per forza ricorrere all’arte cinematografica più stratificata (come può esserlo magari il nuovo Povere Creature!, per intenderci).

My Home My Destiny serie

La presa di potere, il desiderio di riscatto

Una delle prime tematiche che emergono in My Home My Destiny è la violenza sulle donne. I complessi che Zeynep si porta con sé derivano da un’infanzia infelice nella quale, come si evince sin dai primi frame, è la sopraffazione a dominare. Il padre ha sempre usato la forza bruta nei confronti della madre, denigrandola e malmenandola. Anche nei riguardi della figlia, Bayram non ha mai avuto la sensibilità per comprendere i suoi bisogni, traumatizzandola (le bruciava i libri, per dirne una) e impedendole di potersi formare attraverso un percorso scolastico. Il tipico uomo meschino, limitato e dalla dubbia morale, in cui vengono declinate la maggior parte delle bruttezze dell’animo umano. Usa le mani per farsi ascoltare, per sentirsi superiore, e la ferocia delle parole per mettere a tacere.

L’ignoranza, legata alla condizione economica precaria in cui vive, in questo caso gravano ancor di più sul suo temperamento e le sue idee misogine, che però al tempo stesso innescano in Zeynep, gradualmente, il senso di riscatto sia per lei che per la madre Sakine, da sempre succube e sottomessa. È da qui che infatti parte un percorso atipico di formazione e crescita della ragazza: Zeynep comincia a maturare realmente e a interfacciarsi davvero con gli eventi duri della vita solo in età adulta, quando il suo passato le bussa nuovamente alla porta e lei deve gestirlo. Chiusa precedentemente nella bolla dell’agio e del lusso in cui i genitori adottivi l’avevano inserita, la giovane intraprende un arduo percorso di consapevolezza di sé solo nel momento in cui la realtà che aveva abbandonato fa irruzione nella dimensione quasi perfetta in cui si cullava, obbligandola a fare i conti con la persona che è davvero.

Non avendo un’immagine solida e completa di se stessa, Zeynep non sa chi sia, è irrisolta, poiché voltandosi indietro trova davanti a sé due mondi opposti in cui, ancora, non sa precisamente dove collocarsi, e che hanno solo contribuito a frammentarla quando era bambina non riuscendo nel tempo a ricucirla. Trovare la forza di scavare nelle proprie paure e turbamenti, avere il coraggio di affrontare i propri demoni e guardare a testa alta le difficoltà quotidiane senza dissimulare, diventa il primo e più importante passo verso l’auto affermazione. Ma per farlo, dice lo show, bisogna intanto accettare il passato, elaborarlo, poiché solo così si può capire fino in fondo la propria personalità e migliorare il proprio futuro e quello delle persone che si hanno accanto.

Vivere per far valere i propri diritti

Se dunque è vero che per avere piena dimensione di sé bisogni guardare in faccia ciò che è stato e assimilarlo, c’è anche da considerare che all’inizio del processo, per un animo fragile, può essere disastroso. Nonostante Zeynep sia certa dei suoi ideali e dei suoi principi, alcune certezze crollano quando realizza la sofferenza che ha patito la madre biologica, la quale per tanto tempo ha dovuto sopportare (per il suo bene) di vederla nelle braccia e nella casa di un’altra donna. È lì infatti che arriva la rottura dentro Zeynep, quando diventa consapevole di aver provocato – pur indirettamente – un dolore che deve tentare di colmare in tutti i modi possibili, pur compiendo scelte sbagliate. Non avendo una stabilità né in una famiglia né in un’altra, come una nomade, Zeynep smarrisce la strada, per poi ritrovarla solo dopo aver attraversato una grossa tempesta.

Una tempesta furiosa che ha il nome di Mehdi, vecchio amico del fratello, con il quale la madre decide di farla convolare a nozze combinate per rendere lei stessa finalmente felice. L’ingresso in questa terza e nuova famiglia mette in risalto da una parte la mentalità antiquata che ancora corrode alcuni tessuti sociali, in questo caso circoscritti a Balat, uno dei quartieri più conservatori e arretrati di Istanbul, dall’altra il desiderio di libertà ed emancipazione, che in Zeynep arde come una fiamma viva e accecante. “Sii obbediente, compiacilo, stai sempre un passo dietro di lui e andrà tutto bene”, dice a un certo punto la madre di Mehdi a Zeynep quando i due si sposano, sollevando un altro argomento che mai come in questi nostri tempi difficili sta molto a cuore: il patriarcato. Il Mehdi che inizialmente si presenta al pubblico non è burbero o malvagio, e lo diventa con il tempo solo a causa della sua stessa insicurezza, scaturita da un lato da dubbi infondati ma alimentati in principal modo dalla sorella retrograda Mujgan, che si sostituisce alla madre, dall’altro dal suo non sentirsi all’altezza per un discorso di estrazione sociale, a cui subentra anche un’inferiorità estetica.

Nella famiglia dell’uomo, prima responsabile della messa in moto del suo cambiamento, vige poi l’idea indiscussa per la quale la donna debba essere rilegata nel ruolo di moglie e madre, a tal punto da doversi svegliare prima di lui al mattino per fargli trovare la colazione pronta. Sono convenzioni e rigide regole socio-culturali in cui Zeynep sin da subito non vuole incatenarsi, lottando con le unghie e con i denti per la sua indipendenza e la sua libertà di pensiero. Non incline ad essere accondiscendente, ma desiderosa di sperimentare la vita, la ragazza si scontra ben presto con un muro insormontabile, che dipende – ancora una volta – dal contesto familiare in cui si trova (Mehdi inizialmente non sposava lo stesso pensiero della sua famiglia), e che usa la tradizione come appiglio per confinare la figura femminile in soli due specifici ruoli e forgiare menti potenzialmente pericolose. Vestirsi un po’ più scollata, ritardare un po’ di più a lavoro con il capo (che è un uomo), uscire e avere un proprio unico pensiero sono tutti fattori che depotenziano e sgonfiano l’ego maschile, in tal caso quello di Mehdi, imbruttendo nell’animo un personaggio che al suo debutto – pur essendo fumantino – era fondamentalmente buono. Tanto da farla, all’inizio, innamorare.

My Home My Destiny

Non avere paura di lottare

La partita di My Home My Destiny si gioca in sostanza tutta qui: sfruttando l’ambito familiare, il quartiere povero e gli usi e i costumi di una comunità non ancora à la page con i tempi, la dizi turca evidenzia attraverso la battaglia di Zeynep per far valere se stessa in quanto donna, quanto ancora oggi la strada per sbrogliarsi dalle catene sociali e dalla mentalità patriarcale sia ancora tutta da battere. Il personaggio di Mehdi rappresenta la trasformazione in cui può incorrere un uomo qualora gli venga toccata la sua virilità o, ancor peggio, quando è plagiato dalla sua stessa famiglia, problematica che tutt’ora viene confermata quando ad un atto violento si attribuisce anche la “colpa genitoriale” di non aver educato al meglio i propri figli, avendo la responsabilità di insegnar loro come stare al mondo. Ciò che porta sul piccolo schermo My Home My Destiny è in fondo lo specchio della nostra società, di alcune radici marce non ancora estirpate, in cui c’è una specifica forma mentis per la quale una donna non può essere allo stesso livello di un uomo o avere le stesse concessioni, altrimenti le graverà come una spada di Damocle sempre l’etichetta più dispregiativa che ci sia.

Ponendo però Zeynep a contrasto di una “deformità sociale di giudizio” ancora persistente, la dizi dimostra con il lieto fine della protagonista che ogni sopruso, aggressione o gesto irrispettoso possono comunque essere combattuti, e che denunciare, o più in generale agire contro gli abusi di qualsiasi tipo (e genere), non è mai sbagliato. Le prospettive di salvezza non sono pari a zero, e se ci si affida alle persone che ci amano e che noi amiamo, si può sempre affrontare quel qualcosa che si presenta come una montagna troppo difficile da scalare. La speranza per cambiare le cose c’è. Basta solo non perderla, come fa Zeynep che abbatte le sue paure e raccoglie tutte le sue energie per far valere i propri diritti come donna, figlia, madre e sorella. Senza mai essere sola, ma sostenuta sempre da altre figure femminili, raccontando così una bellissima parabola di solidarietà. E allora, se ancora non lo avete visto, il consiglio è di non farselo scappare.

Orion e il Buio: recensione del film scritto da Charlie Kaufman

Orion e il Buio: recensione del film scritto da Charlie Kaufman

Chi non ha mai avuto paura del buio? Di certo non Orion, il giovane protagonista del nuovo film della DreamWorks Animation distribuito da Netflix dal titolo Orion e il Buio, diretto dall’esordiente Sean Charmatz. Questo timido e impacciato bambino, infatti, non perde tempo e ci rende subito partecipi di tutte le paure che lo attanagliano, praticamente rendendogli impossibile il condurre una normale esistenza. Il film è dunque un viaggio di un’ora e mezza nella sua interiorità, nella sua mente, e la cosa non dovrebbe sorprendere considerando lo sceneggiatore d’eccezione del film: il premio Oscar Charlie Kaufman. L’autore di Essere John Malkovich ed Eternal Sunshine of the Spotless Mind adatta l’omonimo libro illustrato di Emma Yarlett apportandovi infatti tutte le proprie peculiarità e i propri interessi tematici.

Kaufman concentra dunque sull’esplorazione delle paure che affliggono Orion, espandendo il racconto di Yarlett con un’operazione simile a quella compiuta dall’amico Spike Jonze con il suo film del 2009 Nel paese delle creature selvagge. In entrambi i casi, infatti, a partire da un racconto per immagini di poche pagine e parole si costruisce un intreccio narrativo maggiormente elaborato – necessario a giustificare e sorreggere un lungometraggio – che nel caso di Kaufman sfocia in un’opera cervellotica composta da più “livelli” di realtà, che sta però ben attenta a far sì che questa sua natura non oscuri, così come il Buio fa con la Terra, le emozioni che vuole suscitare.

La trama di Orion e il Buio

Protagonista di questo racconto è Orion, il quale sembra proprio un normale studente delle scuole elementari: timido, modesto e con una cotta segreta. Ma sotto questo aspetto all’apparenza ordinario, Orion è sopraffatto dall’ansia adolescenziale, terrorizzato in modo irrazionale da api, cani, onde radio dei cellulari, clown assassini nelle fognature, dall’oceano e dal timore di cadere da un grattacielo. Tra tutte le sue fobie, quella che teme di più è quella a cui si trova davanti ogni sera: il Buio. Una notte, proprio quest’ultimo si materializza e lo porta con sé in un folle viaggio per dimostrargli che la notte non è poi così terrificante. Nel corso di questa avventura, Orion imparerà ad accettare l’ignoto e ad impedire alla paura di controllare la sua esistenza.

Orion e il Buio recensione Netflix

Un racconto generazionale

Questo viaggio immaginato da Yarlett per Orion e il Buio suona un po’ come una favola della buonanotte, di quelle che hanno l’obiettivo di rendere meno spaventoso ciò che ci terrorizza imparando a conoscerlo. Deve averlo pensato anche Kaufman, che ha infatti scelto di arricchire il racconto costruendolo proprio come fosse una storia raccontata per aiutare chi di relazionarsi con il buio (e tutto ciò che l’oscurità rappresenta) proprio non ne vuol sapere. Se allora nel corso della visione si noteranno incongruenze, forzature, improvvise evoluzioni tra i personaggi a fronte di motivazioni poco valide, non bisogna preoccuparsi: Kaufman non tarda a svelare che si tratta di elementi voluti e necessari a riprodurre quel senso di racconto improvvisato e non ponderato che si recita in queste occasioni.

L’importante è che il messaggio e i suoi annessi valori vengano trasmessi, con un tono e una forma adeguati all’età del bambino di turno che ascolta la favola. Ma raccontare tutto ciò per lo sceneggiatore che sul viaggio nella mente umana ha costruito la propria intera carriera, significa proporre un continuo alternarsi tra immaginazione e realtà attraverso incastri tutt’altro che prevedibili, fino a compiere importanti salti temporali per fare di questa favola della buonanotte una questione generazionale. Le paure non vengono infatti mai del tutto sconfitte e spesso si tramandano proprio di generazione in generazione. Consapevole di ciò, a Kaufman sembra infatti anche interessare anche il modo in cui questi racconti evolvono di conseguenza nel tempo, adattandosi alla sensibilità e alle conoscenze di chi li ascolta.

Orion e il Buio recensione Charlie Kaufman

Orion e il Buio: un film d’autore per tutta la famiglia

L’aver introdotto tutti questi elementi non ha però allontanato lo sceneggiatore dalla consapevolezza di dover realizzare un film per tutta la famiglia, con un occhio di riguardo ai più piccoli. Si discosta dunque dai toni cupi e dalle forti sovrastrutture di lavori come Sinecdoche, New York e Sto pensando di finirla qui, per mantenersi ad un livello più adatto al target di riferimento, ovviamente senza annullare del tutto la propria presenza nel progetto. Ed è così che lentamente Orion e il Buio si svela essere un film sul potere della narrazione e dell’immaginazione, sulla necessità di non eliminare le proprie paure ma anzi di comprenderle e imparare a conviverci, essendo proprio i contrasti a rendere la vita straordinaria.

Un messaggio che viene trasmesso attraverso un racconto appassionante ed emozionante, caratterizzato da animazioni non innovative ma comunque affascinanti, con personaggi a cui ci si affeziona facilmente e che in base all’età dello spettatore che guarda il film ha da offrire molteplici sfumature. Orion e il Buio non va infatti sbrigativamente classificato come “un film per bambini”. Proprio come quel già citato Nel paese delle creature selvagge, anche in questo caso si ha a che fare con un’opera che intende esplorare le paure dei più piccoli (e non solo) ma senza mai ricorre ad inutili infantilismi. Firmando una sceneggiatura ben più complessa di quel che potrebbe sembrare, Kaufman ricorre dunque al linguaggio della favola per raccontare un sentimento universale come la paura e le meravigliose possibilità a cui ci si può aprire se la si affronta.

Zuckerberg – Il re del Metaverso: la recensione del documentario di Nick Green

Arriva Zuckerberg – Il re del Metaverso, un documentario Sky Original dedicato alla mente dietro Facebook. Un’opera che andrà in onda in esclusiva a partire da oggi 3 febbraio e che sarà visionabile sul canale Sky Documentaries – oltre che su NOW. Un approfondimento realizzato in occasione dei vent’anni dalla nascita del celebre social network e che, diretto da Nick Green, ne analizza l’ascesa e i momenti bui.

Oggi Facebook connette circa il 49% della popolazione mondiale, 3 milardi di persone. E rappresenta un colosso del valore di 100 miliardi di dollari. Un’impresa datata 4 febbraio 2004.

Zuckerberg – Il re del Metaverso: la trama

Re, genio, principe, dittatore. Questa è solo parte della ricca terminologia con cui nel corso dell’ultimo ventennio si è cercato di definire Mark Zuckerberg. Un uomo che da un’idea ha ricavato un impero e che oggi detiene un potere che solo pochi uomini al mondo possono vantare. Zuckerberg – Il re del Metaverso racconta l’uomo e le sue “divine” aspirazioni, i sogni e le colpe.

Attraverso una narrazione che mescola flashback e linearità, Nick Green si fa strada nel passato dell’imprenditore, ripercorrendone i passi compiuti. Dalla camera dell’università di Harvard, alla Silicon Valley; dal look felpa, jeans e ciabatte, al completo; dai banchi di scuola alle collaborazioni con Sheryl Sandberg, Obama e Trump. Fino agli eventi della Primavera Araba, le accuse di disinformazione, il caso Myanmar, Capitol Hill e il rebranding Meta.

Un vero e proprio viaggio nella mente e nelle ambizioni del creatore di Facebook che passa dal repertorio, ma, in particolar modo, dalle voci di uomini e donne che sono entrati in contatto con lui. Dal giornalista David Kirk Patrick, all’ingegnere informatico Karel Baloun; passando per il redattore capo di Wired Nick Thompson e la coraggiosa Frances Haugen. In un coro polifonico di testimonianze che si sforza di intercettare quella che forse, ancora oggi, rimane un’identità difficilmente incasellabile.

Zuckerberg – Il re del Metaverso: una vecchia storia

La mente corre inevitabilmente all’anno 2010. A quel The Social Network, vincitore di tre premi Oscar, con cui David Fincher e Aaron Sorkin raccontarono per la prima volta la parabola ascendente di uno dei personaggi di maggiore impatto socio-politico della contemporaneità. La mente corre lì, a Jesse Eisenberg e Andrew Garfield, al montaggio serrato di Baxter e Wall, a quel ritmo narrativo incalzante che tentava in ogni modo di restituire almeno parte della frenesia mentale di Mark Zuckerberg – nonché della sua duplice natura di genio informatico e mitomane.

Ed è lì che, ancora inevitabilmente, torna anche Zuckerberg – Il re del Metaverso, docu-film dalla struttura classicheggiante che, a distanza di 14 anni dal capolavoro di Fincher, ricostruisce la prima fase della carriera dell’imprenditore, per spiegare – a partire da essa – le successive derive di Facebook nel corso dell’ultimo decennio.

Connessioni politico-sociali

Attraverso la già citata pluralità di sguardi – e insieme contributi d’archivio – il regista Nick Green sceglie di imbastire un’ampia rete di voci e testimonianze; utilizzando l’incontro tra Zuckerberg e i senatori del Congresso americano (tenutosi a Capitol Hill nel 2018) come perno della narrazione e punto di incontro tra passato e presente.

A dispetto di una dimensione artistica che certo non brilla per originalità di composizione, e che di fatto non riesce – e forse nemmeno vuole – celare la destinazione televisiva del prodotto, il documentario ha un indubbio valore storico-informativo (Il che, considerate le accuse rivolte all’azienda Facebook negli ultimi anni, ha di fatto un che di ironico). E al di là di una sensazione di ridondanza narrativa relativa al “primo atto”, da ricercarsi per l’appunto nella notorietà della crescita del protagonista dovuta al successo del precedente cinematografico, Zuckerberg – Il re del Metaverso gode di una seconda metà di pellicola di notevole interesse.

A colpire, oltre agli approfondimenti di natura politica e commerciale che coinvolgono grandi nomi delle rispettive “scene”, è il progressivo emergere – nelle parole degli intervistati – di una crescente sensazione di dubbio e disagio nei confronti del genio di Harvard. Una sensazione che, oltre a riflettere il cambiamento dell’opinione pubblica negli anni, si serve delle immagini delle trasformazioni globali e locali mostrate a schermo per arrivare, infine, a sollevare diversi quesiti fondamentali. Quanto può essere sacrificato sull’altare del profitto? E fino a che punto è lecito spingersi?

Domande che, tra disinformazione, proliferazione di messaggi d’odio e ipnosi da video non smettono e non devono smettere di risuonare anche oggi. Perché “prima sparo e poi chiedo scusa”; ma qualcuno, prima o poi, dovrà renderne conto.

Out of Time: trama, cast e curiosità sul film con Denzel Washington

Sono molti i thriller in cui il due volte premio Oscar Denzel Washington ha recitato nel corso della sua carriera. Da Il collezionista di ossa a Man on Fire – Il fuoco della vendetta, egli ha sempre dimostrato una certa predisposizione per il genere. Tra questi è probabilmente meno noto, ma ugualmente valido, il film del 2003 Out of Time, diretto da Carl Franklin, altro grande esperto del genere. In questo prende piede un complesso caso che vede un poliziotto come principale sospettato per la morte di una coppia. Una storia ricca di suspence e colpi di scena che non mancano di intrattenere e tenere con il fiato sospeso fino alla fine.

Pur essendo una storia originale, Out of Time sembrerebbe essere un remake non ufficiale di Senza via di scampo, film del 1987 dove allo stesso modo un uomo è accusato di aver ucciso la sua amante e si trova a dover provare la propria innocenza. Rifacimento o meno, il film del 2003, scritto da David Collard, presenta dei tratti di originalità che lo rendono particolarmente intrigante. Ad impreziosirlo, inoltre, vi è non solo l’interpretazione di Washington, ma anche quella di altri nomi noti di Hollywood. Al momento della sua uscita ricevete una discreta accoglienza da parte della critica, che ne lodò l’intreccio narrativo.

In sala Out of Time arrivo ad incassare circa 55 milioni di dollari, affermandosi come un buon successo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo. Grazie a queste sarà possibile fruire di una comoda visione casalinga.

La trama di Out of Time

Protagonista del film è Matt Lee Whitlock, comandante della polizia nella tranquilla cittadina di Banyan Key, in Florida. Considerato da amici, colleghi e concittadini un uomo onesto e rispettabile, egli si ritrova improvvisamente al centro di una tragedia che rischia di cambiare per sempre la sua esistenza. Se sul lavoro le cose vanno a gonfie vele, altrettanto non si può dire della sua vita privata. Dopo essersi separato dalla moglie Alex, detective della squadra omicidi di Miami, Matt ha intrapreso una segreta relazione con Ann Harrison, sposata ad un uomo violento e che ha da poco scoperto di essere malata terminale di cancro.

Quando però la donna e suo marito muoiono improvvisamente in un incidente doloso, Matt si ritroverà ad essere il principale indiziato. Vi sono infatti una serie di indizi che si ricollegano inequivocabilmente a lui, e sul caso inizia ad indagare proprio l’ex moglie Alex. Per lui ha così inizio una vera e propria corsa contro il tempo, durante la quale dovrà scoprire chi ha ucciso la coppia e perché vuole incastrarlo. Evitare Alex, esperta e determinata a portare a termine le proprie indagini, sarà però il suo più grande problema.

Out of Time cast

Out of Time: il cast del film

Denzel Washington aveva già collaborato con il regista Franklin per il film Il diavolo in blu, del 1995. Quando seppe del nuovo progetto di questi, l’attore si disse da subito disponibile ad interpretare il ruolo del protagonista. Essendo reduce dall’Oscar vinto nel 2002 per Training Day, egli venne pagato ben 20 milioni di dollari per la sua parte, una cifra che corrisponde a quasi la metà del budget del film. Come sempre, egli si preparò con grande dedizione alla costruzione del suo personaggio, e per diverso tempo ebbe contatti con veri poliziotti così da poter essere realistico nella sua interpretazione. Questa fu poi particolarmente apprezzata, permettendogli di ottenere ulteriori riconoscimenti.

Nel ruolo dell’ex moglie e detective della omicidi Alex Diaz Whitlock vi è invece l’attrice Eva Mendes. Celebre attrice di origini cubane, questa era divenuta in quegli anni particolarmente celebre. Dal 2014 ha però annunciato il suo ritiro dal mondo della recitazione. L’attrice Sanaa Lathan, divenuta celebre grazie al film Blade, interpreta invece Anne Merai Harrison, amante di Matt. Suo marito, il violento Chris Harrison, è invece Dean Cain, noto per aver interpretato Superman nella serie TV degli anni Novanta Lois & Clark: The New Adventures of Superman. Il personaggio di Chae, medico amico di Matt, era stato inizialmente scritto per un attore asiatico, ma la parte è infine stata affidata a John Billingsley, meglio noto per il ruolo del dottor Phlox in Star Trek: Enterprise.

Il trailer di Out of Time e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile vedere o rivedere il film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Out of Time è infatti disponibile nel catalogo di Apple TV, Now e Infinity+. Per vederlo, in base alla piattaforma scelta, basterà iscriversi o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di poter fruire di questo per una comoda visione casalinga. È bene notare che in caso di solo noleggio, il titolo sarà a disposizione per un determinato limite temporale, entro cui bisognerà effettuare la visione. Il film sarà inoltre trasmesso in televisione il giorno sabato 3 febbraio alle ore 21:00 sul canale Iris.

Fonte: IMDb

Il rapporto Pelican: libro, trama e cast del film con Julia Roberts

Il genere noto come thriller legale o thriller giudiziario è particolarmente popolare a livello internazionale, e sempre più le storie di avvocati, processi o questioni legate al mondo giudiziario si ritagliano il proprio posto di rilievo nel mercato cinematografico. Film come Schegge di paura, La parola ai giurati o The Judge sono solo alcuni dei più celebri film a riguardo. Tra questi si colloca anche Il rapporto Pelican, opera del 1993 sceneggiata e diretta da Alan J. Pakula. All’interno di questo si ritrovano dunque questioni legate a tale ambito, con intrighi particolarmente complessi che rendono la vita dei protagonisti quanto mai complessa.

Il film non è però una storia nata per il cinema, bensì si tratta dell’adattamento dell’omonimo romanzo di John Grisham, pubblicato nel 1992. Mentre ancora lo stava scrivendo, l’autore vendette i diritti per una sua trasposizione alla Warner Bros. Pictures. Per lo studios aver acquistato la possibilità di portare l’opera in sala si rivelò un grande affare, perché al momento della sua uscita il romanzo divenne un vero e proprio best seller. Il film allo stesso modo, divenne un grande successo, merito anche del coinvolgimento di grandi attori nei ruoli dei protagonisti. Costato 45 milioni di dollari, Il rapporto Pelican arrivò a guadagnarne 193 in tutto il mondo.

Ad attrarre del film, in particolare, vi è naturalmente la sua complessa vicenda, intricata e imprevedibile come ogni buon thriller richiede. Ancora oggi, infatti, Il rapporto Pelican è indicato come uno dei migliori del suo genere, che non manca di sorprendere i propri spettatori ad ogni visione. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

La trama di Il rapporto Pelican

La storia si apre sulla misteriosa uccisione di due giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. Il primo di questi è Rosenberg, ucciso con un colpo di pistola nella sua stanza, mentre il secondo è Jensen, soffocato mentre era in un cinema a luci rosse. Coinvolta in questi due casi, la giovane studentessa di legge Darby Shaw segue con interesse la vicenda insieme al suo insegnante e amante Thomas Callahan, collaboratore di uno dei due giudici morti. Darby inizia così a fare alcune ricerche per proprio conto nella speranza di trovare qualcosa che accomuni i due omicidi. Lavorando duramente e con grande passione, scopre infine quel qualcosa.

Dalle informazioni ottenute scrive così quello che in breve diventa famoso come il Rapporto Pelican. L’aver passato ciò che sa all’FBI, però, la pongono in serio pericolo. Nel tentativo di non finire nel mirino degli assassini, si rivolge al giornalista del Washington Herald Gray Grantham, a cui rivela i particolari del complotto scoperto. Insieme cercheranno di far arrivare il Rapporto fino ai vertici della sicurezza nazionale, andando però incontro a numerosi pericoli che coinvolgeranno tanto loro quanti coloro con cui entrano in contatto. Difendere la giustizia e la verità sarà dunque un lavoro tanto pericoloso quanto necessario.

Il rapporto Pelican cast

Il rapporto Pelican: il cast del film

Il ruolo della giovane studentessa di legge Darby Shaw era stato scritto dall’autore del romanzo pensando proprio all’attrice Julia Roberts. Quando questa lesse il libro, accettò di recitare nella parte senza neanche il bisogno di leggere la sceneggiatura. Per prepararsi al ruolo, l’attrice decise di spendere del tempo presso una scuola di legge, seguendo anche alcuni corsi. Così facendo ebbe modo di comprendere meglio le dinamiche di tale materia, potendo così risultare più realistica nella sua interpretazione. Nei panni del suo insegnante e amante Thomas Callahan, invece, si ritrova il celebre attore e drammaturgo Sam Shepard. Tony Goldwyn è Fletcher Coal e John Heard interpreta Gavin Verheek.

Ad interpretare il giornalista Gary Grantham si trova il due volte premio Oscar Denzel Washington. Per prepararsi al ruolo, questi decise di frequentare alcuni giornalisti di Washington, al fine di comprendere come si svolge il loro lavoro e con quali dinamiche. L’attore, inoltre, richiese di eliminare dalla sceneggiatura la sottotrama relativa al coinvolgimento sentimentale che nel libro Grantham sviluppa per Darby. Secondo Washington, infatti, questo avrebbe distolto l’attenzione dalla vera storia del film. Tra gli altri attori noti presenti nella pellicola si citano inoltre Stanley Tucci nei panni di Khamel e Cynthia Nixon, celebre per il ruolo di Miranda in Sex and the City, è Alice Stark. John Lithgow, infine, è Smith Keene.

Il trailer di Il rapporto Pelican e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Il rapporto Pelican è infatti disponibile nel catalogo di Rakuten TV, Now, Google Play, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, basterà sottoscrivere un abbonamento generale alla piattaforma in questione o noleggiare il singolo film. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà a disposizione soltanto un dato periodo temporale entro cui vedere il titolo. In alternativa, il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 3 febbraio alle ore 23:40 sul canale Rete 4.

Fonte: IMDb

Margo’s Got Money Troubles: la serie A24 con Nicole Kidman per Apple Tv+

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L’annunciata serie tv Margo’s Got Money Troubles, con protagonista Nicole Kidman , ha trovato una casa: Apple TV+ ha infatti vinto la guerra per la serie drammatica.

L’Hollywood Reporter ha rivelato che Margo’s Got Money Troubles ha ricevuto da Apple un ordine per otto episodi, direttamente a serie, dopo una guerra di offerte tra gli streamer. Il romanzo su cui si baserà la serie sarà pubblicato da William Morrow – un’impronta della casa editrice HarperCollins – il prossimo giugno.

Figlia di una cameriera di Hooters e di un ex lottatore professionista, Margo ha sempre saputo che avrebbe dovuto farcela da sola“, si legge nella descrizione del libro. “Così si iscrive alla scuola media locale, anche se non riesce a immaginare come potrà mai guadagnarsi da vivere. Sta ancora cercando di capire le cose e non ha mai pianificato di avere una relazione con il suo professore di inglese – e anche se la loro relazione è breve, non è abbastanza breve da impedirle di rimanere incinta. Nonostante i consigli di tutti, decide di tenere il bambino, soprattutto per ingenuità e desiderio di qualcosa di più grande.

Ora, a vent’anni, Margo è sola con un bambino, disoccupata e sull’orlo dello sfratto. Ha bisogno di un’iniezione di denaro, e in fretta. Quando Jinx, il padre da cui si è allontanata, si presenta alla sua porta e le chiede di trasferirsi da lei, accetta in cambio di un aiuto per la cura dei bambini. A quel punto Margo inizia a formulare un piano: avvierà un OnlyFans come esperimento e presto si troverà ad adattare alcuni dei consigli di Jinx dal mondo del wrestling. Ad esempio, come creare un personaggio convincente e far innamorare il pubblico. Prima di rendersene conto, lo trasforma in un successo inarrestabile“.

Chi produrrà Margo’s Got Money Troubles?

Matthew Tinker sarà produttore esecutivo per la David E. Kelley Productions insieme a Elle Fanning, Dakota Fanning, Brittany Kahan Ward di Lewellen Pictures, Nicole Kidman con la sua Blossom Pictures e Per Saari con l’autore Thorpe per A24.

Longlegs: trailer del prossimo horror con Nicolas Cage e Maika Monroe

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Dopo settimane di teaser e poster criptici, Neon ha finalmente svelato il trailer completo di Longlegs, anteprima del prossimo film horror con Nicolas Cage e Maika Monroe.

L’ultimo trailer di Longlegs ci offre il primo sguardo lungo sul prossimo film horror, la cui anteprima è prevista per il 12 luglio 2024. In esso si vede il personaggio di Maika Monroe indagare in vari luoghi, oltre a brevi clip di quello che sembra essere Nicolas Cage nel suo ruolo di serial killer.

Cosa sappiamo di Longlegs?

Finora non si sa molto del misterioso film horror, a parte il fatto che Nicolas Cage sarà il protagonista del progetto nei panni di un serial killer, mentre Maika Monroe reciterà al suo fianco nel ruolo di un’agente dell’FBI incaricata ad acciuffarlo. Anche Alicia Witt e Blair Underwood reciteranno nel film in ruoli ancora sconosciuti.

Negli ultimi due mesi, Neon ha rilasciato lentamente dei teaser criptici sul progetto, tra cui uno solo due settimane fa che mostrava il maggior numero di immagini del film che abbiamo visto finora. Longlegs è diretto da Osgood Perkins (The Blackcoat’s Daughter, I Am the Pretty Thing That Lives in the House) e la sua uscita è prevista per il 2024.

“L’agente dell’FBI Lee Harker viene assegnato a un caso irrisolto di serial killer che prende pieghe inaspettate, rivelando prove dell’occulto. Harker scopre un legame personale con l’assassino e deve fermarlo prima che colpisca di nuovo”, si legge nella sinossi ufficiale del film.

Back to Black: nuovo trailer originale del biopic sulla cantante Amy Winehouse

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È stato pubblicato un nuovo trailer di Back to Black, che offre agli spettatori una migliore visione del prossimo biopic sulla cantante e cantautrice inglese Amy Winehouse. Il film debutterà nelle sale degli Stati Uniti venerdì 17 maggio 2024.

“La straordinaria storia dell’ascesa al successo di Amy Winehouse, dagli esordi a Camden fino alla realizzazione del suo album rivoluzionario, Back to Black, che ha catapultato la Winehouse alla fama mondiale“, recita la sinossi. “Raccontato attraverso gli occhi di Amy e ispirato ai suoi testi profondamente personali, il film esplora e abbraccia i molti strati dell’artista iconica e la tumultuosa storia d’amore al centro di uno degli album più leggendari di tutti i tempi.”

Back to Black su Amy Winehouse

Winehouse era una cantante inglese nota soprattutto per la sua voce e per l’utilizzo di vari generi nella sua musica. Il suo album di debutto, Frank, è stato pubblicato nel 2003 con il plauso della critica, mentre l’album successivo, Back to Black, pubblicato nel 2006, è stato un vero e proprio successo. L’album è diventato uno dei più venduti nella storia del Regno Unito e il singolo “Rehab” rimane immensamente popolare.

Il film Back to Black è diretto da Sam Taylor-Johnson  e si basa su una sceneggiatura scritta da Matt Greenhalgh, che ha già collaborato al film Nowhere Boy del 2009. La pellicola seugue la vita e la musica di Winehouse, che ha iniziato come cantante jazz per diventare infine una superstar della musica vincitrice di un Grammy. La sua vita sarebbe stata interrotta nel 2011 all’età di 27 anni, dopo una lunga battaglia con alcol e droghe.

Suddenly: il regista smentisce le voci sul comportamento “inappropriato” di Jake Gyllenhaal

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Il regista Thomas Bidegain ha risposto alle voci sull’uscita di Jake Gyllenhaal e Vanessa Kirby dal film indipendente Suddenly, dopo che sono emerse voci sul comportamento tenuto da Jake Gyllenhaal.

All’inizio di questa settimana è emersa la notizia che Jake Gyllenhaale la Vanessa Kirby hanno lasciato il progetto, che stava per terminare la pre-produzione. Secondo quanto riportato,  Jake Gyllenhaal ha mostrato un comportamento poco professionale mentre si trovava in Islanda, saltando in un lago ghiacciato, chiedendo di riscrivere il film e persino deridendo le battute con un “accento alla Pepe Le Pew“.

Parlando con la rivista francese Technikart (via Variety), Bidegain non ha parlato apertamente di queste affermazioni, ma ha fatto notare che il trio semplicemente non aveva la stessa visione del film e ha deciso di fermarsi prima dell’inizio delle riprese.

Il regista riconosce che il trio aveva delle divergenze creative

Quando abbiamo iniziato a leggere la sceneggiatura nella stessa stanza, ci siamo resi conto che non avevamo affatto la stessa visione di ciò che il film doveva essere“, ha detto Bidegain. “Volevano sempre più cambiamenti. È normale che ci siano modifiche alla sceneggiatura prima delle riprese, ma in questo caso era diverso. Ognuno di noi aveva la propria idea di quale fosse il messaggio del film. Ho cercato di appianare le cose una volta, due volte – e poi ho capito che non avrebbe funzionato, quindi ho dovuto smettere“.

Bidegain ha anche smentito le voci secondo cui il progetto sarebbe stato abbandonato proprio nel momento in cui si stava girando, affermando che mancavano ancora “otto settimane” alle riprese effettive e che si erano semplicemente incontrati in Islanda perché era quella la location delle riprese. Il regista ha anche affermato che sia Jake Gyllenhaal e Vanessa Kirby volevano che il film fosse incentrato su cose diverse, il che ha portato alla rottura.

Alana Haim e Teyana Taylor si uniscono a Leonardo DiCaprio nel nuovo film di Paul Thomas Anderson

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Alana Haim, Teyana Taylor e altri sono stati scritturati al fianco di Leonardo DiCaprio in BC Project, il nuovo film di Paul Thomas Anderson.

Secondo The Hollywood Reporter, Haim, Taylor, Wood Harris e Shayna McHayle si uniranno a Leonardo DiCaprio, Sean Penn e Regina Hall nel nuovo film di Anderson, ancora senza titolo. La trama del film non è ancora stata resa nota. Il film è attualmente in fase di produzione.

In quali film hanno recitato Alana Haim, Teyana Taylor, Wood Harris e Shayna McHayle?

La Haim ha già lavorato con Anderson in Licorice Pizza del 2021, candidato come miglior film alla 94ª edizione degli Academy Awards e interpretato anche da Cooper Hoffman, Penn, Tom Waits, Bradley Cooper e Benny Safdie.

Taylor, invece, è nota per essere apparsa in The After Party del 2018, Coming 2 America del 2021, Mille e uno del 2023 e il remake di White Men Can’t Jump del 2023. Recentemente ha anche interpretato il ruolo di Maria Maddalena in The Book of Clarence di Jeymes Samuel, attualmente in programmazione nelle sale cinematografiche statunitensi.

Harris ha precedentemente interpretato il ruolo di Tony “Little Duke” Evers nella serie Creed, mentre ha partecipato anche a Dredd del 2012, Ant-Man del 2015, Blade Runner 2049 del 2017 e Space Jam: A New Legacy del 2021.

McHayle, il cui nome d’arte professionale è Junglepussy, ha recitato in Support the Girls del 2018 e The Perfect Find del 2023.

Inoltre, Chase Infiniti, che non è accreditato in nessun film o serie televisiva precedente, si unirà al film di Anderson, che per il momento viene indicato come “BC Project“.

Paul Thomas Anderson, invece, è noto per aver realizzato film come Boogie Nights del 1997, Magnolia del 1999, Punch-Drunk Love del 2002, There Will Be Blood del 2007, The Master del 2012, Inherent Vice del 2014, Phantom Thread del 2017 e, più recentemente, Licorice Pizza del 2021.  Paul Thomas Anderson sta anche producendo con Sara Murphy il nuovo film con Leonardo DiCaprio, che non ha ancora una data di uscita.

La zona d’interesse: un video svela il dietro le quinte del dramma candidato all’Oscar

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A24 ha pubblicato un nuovo video di La zona d’interesse, l’acclamato film drammatico di Jonathan Glazer sulla Seconda Guerra Mondiale, che ha recentemente ottenuto cinque nomination agli Oscar, tra cui quella per il Miglior Film.

La featurette dietro le quinte mostra Jonathan Glazer che parla della premessa del film, che racconta di un uomo che vive una vita idilliaca con la sua famiglia nella casa dei loro sogni, che si trova vicino al campo di concentramento di Auschwitz. Il direttore della fotografia Lukasz Zal ha parlato anche del processo di ripresa, rivelando che hanno cablato l’intera casa con telecamere visibili e nascoste.

Chi è coinvolto in La zona d’interesse?

Tratto dal romanzo di Martin Amis del 2014, La zona d’interesse è scritto e diretto da Jonathan Glazer, che torna alla regia dopo dieci anni da Under the Skin del 2013. Il film è interpretato da Christian Friedel nel ruolo del comandante del campo di Auschwitz Rudolf Höss, Sandra Hüller nel ruolo di Hedwig Höss, Johann Karthaus nel ruolo di Klaus Höss, Nele Ahrensmeier nel ruolo di Inge-Brigitt Höss, Lilli Falk nel ruolo di Heidetraut Höss e Medusa Knopf nel ruolo di Elfriede.

La zona d’interesse è prodotto da Reno Antoniades, Daniel Battsek, Len Blavatnik, Danny Cohen, Ke’Lonn Darnell, David Kimbangi, Ollie Madden e Tessa Ross. I produttori sono Bugs Hartley, Ewa Puszczynska, Bartek Rainski e James Wilson. Il film ha vinto il Grand Prix al Festival di Cannes 2023.

World Breaker: Luke Evans e Milla Jovovich protagonisti di un film d’azione fantascientifico

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Secondo Variety, la star di Dracula Untold Luke Evans e la star di Resident Evil Milla Jovovich hanno firmato per i ruoli principali del prossimo thriller d’azione fantascientifico intitolato World Breaker. La produzione dovrebbe svolgersi in Irlanda del Nord.

Guidato da due delle più forti star del genere e sotto la direzione del bravissimo Brad Anderson, World Breaker è un film confezionato che non può mancare e che ha una fortissima commercialità universale“, ha dichiarato in un comunicato Nat McCormick, capo di The Exchange.

Oltre a World Breaker, Luke Evans è attualmente impegnato nella serie drammatica britannica The Way della BBC One, creata dal co-creatore e co-protagonista Michael Sheen. Nel frattempo, Milla Jovovich sarà protagonista in In the Lost Lands di Paul W.S. Anderson e nel thriller d’azione Breathe di Stefon Bristol.

Chi è coinvolto in World Breaker?

World Breaker sarà diretto da Brad Anderson (The Call) da una sceneggiatura scritta da Joshua Rollins. Il film è prodotto da Martin Brennan per 23ten, mentre The Exchange si occuperà delle vendite internazionali.

La storia è incentrata su un padre e sua figlia“, si legge nella sinossi. “Cinque anni prima, uno strappo nel tessuto della realtà ha portato nel nostro mondo creature provenienti da una dimensione alternativa e intenzionate a distruggerci. Il padre nasconde la figlia su un’isola per tenerla al sicuro, mentre la prepara alla sopravvivenza e alle battaglie che verranno. Ma nessun luogo è sicuro“.

Carl Weathers: il tributo di hollywood per la scomparsa di “Apollo Creed”

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Dopo la tragica notizia della scomparsa di Carl Weathers, innumerevoli celebrità sono intervenute sui social media per rendere omaggio alla leggenda della recitazione.

In una serie di tweet di venerdì, Adam Sandler – che è apparso al fianco di Weather nell’iconica commedia Happy Gilmore – ha riflettuto sul suo passato con Weathers, definendo l’attore “un vero grande uomo“.

Grande padre. Grande attore. Grande atleta”, ha detto Sandler nei suoi tweet. “Così divertente da avere sempre intorno. Intelligente come l’inferno. Leale come l’inferno. Divertente come l’inferno. Amava i suoi figli più di ogni altra cosa. Che uomo! Tutti lo amavano. Io e mia moglie ci siamo divertiti tantissimo con lui ogni volta che lo abbiamo visto. Con affetto a tutta la sua famiglia e Carl sarà sempre conosciuto come una vera leggenda“.

Su Instagram, anche Pedro Pascal ha reso omaggio, dicendo di non avere parole per la scomparsa della sua co-star di The Mandalorian.

 

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Molto toccante anche l’omaggio di Sylvester Stallone che ha scritto quello che poi sarebbe diventato l’iconico personaggi interpretato da Carl Weathers di Apollo Creed.

 

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Altri tributi sono arrivati dal mondo della recitazione e dello sport, tra cui il giornalista di boxe Michael Benson, Dana White dell’UFC e altri ancora. Di seguito è possibile consultare un elenco di omaggi da parte di altri attori, giornalisti e social media nel loro complesso:

Cillian Murphy potrebbe tornare in 28 anni dopo di Danny Boyle e Alex Garland

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Di recente abbiamo appreso che il regista e lo sceneggiatore del classico “zombie” del 2002 28 anni dopo uniranno ancora una volta le forze per almeno un sequel (forse una trilogia), e ora abbiamo un aggiornamento (potenzialmente) molto eccitante.

Anche se non siamo sicuri del motivo per cui hanno deciso di saltare 28 mesi, Danny Boyle (Trainspotting, TheMillionaire, Yesterday) e Alex Garland (Ex machina, Annientamento) si riuniranno per 28 anni dopo, il progetto del sequel che ha trovato casa presso la Sony Pictures dopo quella che viene descritta come “una lunga guerra di offerte per aggiudicarsi i diritti del pacchetto sequel“.

Secondo THR, Cillian Murphy, che ha interpretato il protagonista del film originale, è a bordo come produttore esecutivo e potrebbe riprendere il suo ruolo anche nel nuovo film (o almeno nel primo).

Cillian Murphy in 28 anni dopo ?

Cillian Murphy è candidato all’Oscar come miglior attore per la sua interpretazione in Oppenheimer, quindi una vittoria potrebbe influenzare la sua decisione! Un vincitore dell’Oscar sarà in una posizione migliore per negoziare un compenso, dopo tutto.

28 anni dopo è stato un grande successo ed è ancora considerato un film incredibilmente influente nel genere horror. Ha già generato un seguito meno apprezzato (ma che vale comunque la pena di vedere), 28 settimane dopo del 2007.

Tuttavia, Boyle e Garland erano coinvolti solo come produttori esecutivi in quel progetto, quindi molti fan considereranno questo nuovo film come il primo vero sequel. Boyle dovrebbe dirigere il primo capitolo, mentre Garland dovrebbe scrivere tutti e tre i film. Il budget per ogni film si aggirerebbe intorno ai 75 milioni di dollari.

Il primo film 28 giorni dopo

Il primo film vedeva Cillian Murphy  nei panni di un uomo senza nome che si risveglia dal coma dopo un incidente in bicicletta e scopre che l’Inghilterra è stata invasa dagli “Infetti”. Il virus trasforma le sue vittime in assassini furiosi, ma a differenza dei soliti “zombie” de La notte dei morti viventi e di altri classici del genere, queste creature possono muoversi con una velocità spaventosa.

L’uomo si mette quindi in viaggio per scoprire cosa sta succedendo, incontrando lungo la strada i compagni sopravvissuti interpretati da Naomie Harris e Brendan Gleeson, oltre a un maggiore dell’esercito squilibrato interpretato da Christopher Eccleston.

I dettagli sulla trama di 28 anni dopo non sono ancora stati resi noti, ma il periodo suggerisce che si svolgerà in un futuro prossimo, il che significa che il film potrebbe includere alcuni elementi fantascientifici. Nel precedente rapporto non si faceva menzione dei personaggi sopravvissuti (interpretati da Murphy e Harris), ma si era ipotizzato che Boyle e Garland avrebbero arruolato un nuovo cast.

Rebel Moon – Parte 2: La Sfregiatrice, Sofia Boutella è pronta per la guerra nel nuovo sguardo al sequel di Zack Snyder

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Netflix ha condiviso un nuovo sguardo alla Kora di Sofia Boutella nella seconda parte dell’epopea sci-fi di Zack Snyder, Rebel Moon – Parte 2: La Sfregiatrice, e abbiamo anche qualche frammento di nuovo filmato grazie a un breve video teaser che evidenzia alcuni dei prossimi progetti dello streamer.

Alla fine di Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco è riuscita a sconfiggere il malvagio Ammiraglio Noble (Ed Skrein), ma abbiamo scoperto che il cattivo è in realtà sopravvissuto (sembra essere una sorta di cyborg) ed è stato riportato in vita  dal suo padrone, il Reggente Balisarius (Fra Fee), per cercare vendetta.

Rebel Moon – Parte 2: La Sfregiatrice, di cosa tratterà?

Kora e i suoi alleati non hanno idea che l’Imperium stia per arrivare, ma la guerriera impavida sembra più che pronta alla guerra in questa nuova foto.

Rebel Moon - Parte 2: La Sfregiatrice, Sofia Boutella

Di seguito il breve teaser di Rebel Moon – Parte 2: La Sfregiatrice.

 

Durante un recente podcast della DGA Director’s Cut con il regista Louis Leterrier come moderatore, Zack Snyder ha rivelato che la versione vietata ai minori di Rebel Moon – Parte 1 arriverà quest’estate. Non sono stati menzionati né il mese né la data, ma almeno ora abbiamo un calendario approssimativo.

In una precedente intervista, Snyder ha parlato del director’s cut e di come si differenzierà dalla versione PG-13. “Molto più brutale. Più bizzarro. Stile Verhoeven. Più RoboCop che altro… nel modo in cui usa la violenza come un altro personaggio. E c’è molto sesso e fantasia fantascientifica“. Snyder ha anche condiviso su Vero una nuova immagine del film, e sembra che passeremo più tempo con Jimmy il Robot.

 

Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco è ora su Netflix. Il sequel, Rebel Moon – Parte 2: La Sfregiatrice, debutterà il 19 aprile 2024.

Rebel Moon – Parte 2: La Sfregiatrice riprende l’epica saga di Kora e dei guerrieri sopravvissuti, pronti a sacrificare tutto combattendo al fianco dei coraggiosi abitanti di Veldt per difendere un villaggio un tempo pacifico dove ha trovato rifugio chi ha perso la propria casa nella guerra contro il Mondo Madre. Alla vigilia della battaglia i guerrieri devono affrontare il proprio passato rivelando uno a uno il motivo per cui combattono. Quando la scure del Regno si abbatte sulla nascente ribellione, si formano legami indissolubili, emergono eroi e nascono nuove leggende.

Superman: Legacy, John Murphy comporrà la colonna sonora del reboot!

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La colonna sonora di Superman: The Movie di John Williams rimane iconica e, in misura minore, anche quella di Hans Zimmer in Man of Steel. Ora, il co-CEO dei DC Studios e sceneggiatore/regista di Superman: Legacy, James Gunn, ha confermato che il compositore John Murphy presterà il suo talento al prossimo reboot.

John Murphy, compositore britannico che ha collaborato con artisti del calibro di Danny Boyle, Guy Ritchie, Michael Mann, Matthew Vaughn e Stephen Frears, collaborerà per la quarta volta con Gunn.

In precedenza ha firmato le colonne sonore di Suicide Squad – Missione Suicida e Peacemaker e successivamente si è unito al regista nel MCU per Guardiani della Galassia Holiday Special e Guardiani della Galassia Vol. 3. Ha lavorato anche al film a fumetti del 2010, Kick-Ass. Tra gli altri crediti figurano Sunshine, Miami Vice e 28 giorni dopo.

Le dichiarazioni di James Gunn sul compositore di Superman: Legacy

Sono felice di annunciare che il mio frequente collaboratore [John Murphy] sta realizzando la colonna sonora di [Superman: Legacy]”, ha dichiarato oggi James Gunn su Instagram. “John è stato una delle prime persone che ho chiamato quando ho finito la sceneggiatura, molti mesi fa, perché sapevo quanto fosse incredibilmente importante la colonna sonora per questa produzione“.

Da allora John ha lavorato instancabilmente, creando ore e ore di musica che suoneremo sul set durante le riprese [e] utilizzeremo nel montaggio [e] che alla fine sarà registrata con una gloriosa sinfonia per tutti voi”. Benvenuto alla DCU, John!“.

Quando sentiremo per la prima volta il suo nuovo tema di Superman? La produzione del film inizierà a marzo, il che significa che James Gunn potrebbe avere qualcosa da mostrare per il Comic-Con di luglio; tuttavia, fino a quando non verrà rilasciato un vero e proprio trailer, probabilmente non potremo ascoltare appieno ciò che Murphy ha sognato per il nuovo Uomo del Domani del DCU.

 

The Brave and the Bold: James Gunn aggiorna sul film, il prossimo cast sarà quello di Batman del DCU?

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Quando i DC Studios hanno annunciato il loro programma per il DCU, tra i progetti più interessanti c’era The Brave and the Bold. Una nuova versione di Batman, che vedrà l’eroe scoprire di essere padre quando incontrerà Damian Wayne e prenderà il ragazzo sotto la sua ala come nuovo Robin.

Purtroppo, questo significa anche che la trilogia di The Batman di Matt Reeves rimarrà un franchise Elseworlds. Molti fan hanno poi sostenuto che è stato un errore da parte dei DC Studios non portare il Bruce Wayne di Robert Pattinson nel DCU, anche se è sempre stato improbabile che fosse disposto a diventare un attore del franchise e unirsi alla Justice League.

Il co-CEO dei DC Studios James Gunn ha recentemente risposto a un fan su Threads che gli ha chiesto se The Brave and the Bold uscirà solo dopo la conclusione della trilogia di Matt Reeves. Chiarendo di non essere preoccupato per eventuali sovrapposizioni, il regista ha risposto con un semplice “No“.

Di cosa parlerà The Brave and the Bold?

Altre notizie: dopo il casting di Superman e Supergirl, sembra che Batman potrebbe essere il prossimo protagonista del DCU a trovare un attore. “Ho sentito che le agenzie stanno anticipando che un bando di casting uscirà molto presto e che i DC Studios accenderanno il Bat-Segnale“, ha dichiarato di recente lo scooper Charles Murphy su X. Che le speculazioni abbiano inizio!

Parlando l’anno scorso dei piani dei DC Studios per The Brave and the Bold, James Gunn ha detto: “Questa è l’introduzione del Batman del DCU. È la storia di Damian Wayne, il vero figlio di Batman, di cui non conoscevamo l’esistenza per i primi otto-dieci anni della sua vita. È stato cresciuto come un piccolo assassino e assassina. È un piccolo figlio di puttana. È il mio Robin preferito“. “È basato sulla run di Grant Morrison, che è una delle mie run preferite di Batman, e la stiamo mettendo insieme proprio in questi giorni“.

Il co-CEO dei DC Studios, Peter Safran, ha aggiunto: “Ovviamente si tratta di un lungometraggio che vedrà la presenza di altri membri della ‘Bat-famiglia’ allargata, proprio perché riteniamo che siano stati lasciati fuori dalle storie di Batman al cinema per troppo tempo“.

Quandi arriverà The Brave and the Bold?

L’uscita di The Batman- Parte 2 di Matt Reeves è prevista per il 2025, e ci aspettiamo che il Crociato incappucciato del DCU faccia il suo debutto – insieme a Robin – un po’ più avanti nel tempo, in base a un precedente aggiornamento del co-CEO dei DC Studios James Gunn. Alla domanda dello scorso novembre su un possibile annuncio del casting di Bruce Wayne, il regista ha risposto: “No. Non abbiamo ancora una sceneggiatura”.

È ancora molto presto per questo progetto e probabilmente non arriverà nelle sale prima del 2027. Il regista Andy Muschietti, che Gunn ha ingaggiato dopo essere rimasto impressionato dal suo lavoro su The Flash, si pensa si stia concentrando sulla serie televisiva Welcome to Derry, quindi la pazienza sarà fondamentale quando si tratterà di vedere il Cavaliere Oscuro del DCU sui nostri schermi… a meno che non si presenti prima della sua uscita in solitaria, ovviamente!

A differenza di Supergirl, questo non accadrà in Superman: Legacy, poiché James Gunn ha recentemente confermato che Batman non sarà tra gli eroi che appariranno nel prossimo reboot dell’Uomo del Domani. Continuate a seguirci per le ultime novità su The Brave and the Bold.

Spider-Man 4: nuovo aggiornamenti sul prossimo film con Tom Holland!

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I Marvel Studios hanno introdotto il Peter Parker del MCU in Captain America: Civil War, con Tom Holland che ha preso il posto di Andrew Garfield dopo aver interpretato l’eroe nei film di The Amazing Spider-Man.

Era il 2016 e l’anno successivo uscì nelle sale Spider-Man: Homecoming. Jon Watts è salito a bordo per dirigere quel reboot, tornando poi in cabina di regia per Spider-Man: Far From Home e per Spider-Man: No Way Home, che ha battuto il record (contribuendo a rilanciare il cinema) nel 2021.

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Non è un segreto che Jon Watts abbia faticato a concludere la sua trilogia, soprattutto a causa della vastità del film e delle difficoltà imposte alla produzione dal COVID-19. Da allora, il regista ha abbandonato la regia del reboot dei Fantastici Quattro dei Marvel Studios per dedicarsi allo sviluppo di Star Wars: Skeleton Crew per Lucasfilm e Disney+. La domanda ora è: tornerà a occuparsi di Spider-Man 4?

Da tempo si vociferava che non sarebbe tornato e, secondo lo scooper @MyTimeToShineH, “sono riuscito a confermare che Jon Watts non tornerà a dirigere lo Spider-Man 4 di Tom Holland“.

Chi dirigerà Spider-Man 4?

Drew Goddard, che in precedenza ha lavorato a Daredevil e allo sfortunato Sinister Six, è stato nominato come probabile sostituto e una nuova trilogia potrebbe trarre beneficio da una serie di occhi nuovi. Il lavoro di Watts su Spider-Man è stato comunque stellare e la sua visione del wall-crawler ci mancherà senza dubbio.

Quando stavamo preparando [Spider-Man] Homecoming, le discussioni erano sempre incentrate su come fare qualcosa che non si fosse mai visto prima con Peter Parker“, ha detto il regista a proposito della sua visione della trilogia lo scorso anno. “Questo ti porta a percorrere un paio di strade diverse e a fare cose come far scoprire al suo migliore amico la sua identità, far scoprire a sua zia e poi, alla fine dell’ultimo film, far scoprire al mondo intero“.

È stato divertente giocare con questi nuovi aspetti. Ma alla fine è stato bello poter far confluire tutto nella semplice storia di Spider-Man. Ci siamo presi tutto il tempo necessario per raccontare il primo numero di Spider-Man, la storia delle origini“.

Non si sa ancora quando Spider-Man 4 uscirà, ma con le voci che girano sul fatto che Peter sarà uno dei protagonisti del prossimo film degli Avengers, sicuramente dovrà arrivare nelle sale prima del 2026.

Recentemente è stato riferito che i Marvel Studios e la Sony Pictures sono ai ferri corti sulla scelta di fare del film un’avventura di strada o un’altra avventura multiversale con Tobey Maguire e Andrew Garfield.

The Penguin: Colin Farrell più simile al fumetto nelle ultime foto e video dal set!

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Come molte altre produzioni, l’imminente spin-off di Max The Batman, che ruota attorno a uno dei cattivi più iconici del Crociato, The Penguin, è stato costretto a una pausa a causa degli scioperi di Hollywood, ma le riprese sono riprese lo scorso novembre e ora sono apparse online alcune nuove foto del set.

Gli scatti ritraggono la star Colin Farrell mentre gira le scene nei panni di Oswald “Oz” Cobblepot, e l’attore sfoggia un aggiornamento al costume accurata ai fumetti sotto forma di un cappotto foderato di pelliccia che è diventato sinonimo del personaggio (a seconda dell’artista) nel corso degli anni.

Il prossimo passo saranno il monocolo e l’ombrello? Potrebbe essere un passo eccessivo per questa interpretazione più concreta del personaggio, ma non si sa mai. La scena in questione di The Penguin sembra trovare Oz all’indomani di un’esplosione, mentre si trova faccia a faccia con un nemico. Sembra che il boss della mafia decida di attaccare, ma si ritrova a fare i conti con un manganello allungabile.

 

Siamo ancora in attesa di un trailer completo di The Penguin, ma Max ha condiviso un teaser “In Production” all’inizio di quest’anno, dandoci un primo assaggio di alcune immagini della serie. In esso vediamo Cobblepot che si afferma come “nuovo Kingpin di Gotham” dopo il vuoto lasciato nella malavita della città dalla morte di Falcone alla fine di The Batman.

The Penguin non ha una data di uscita, ma si dice che uscirà nel terzo trimestre del 2024. The Batman – Parte 2 uscirà nelle sale il 3 ottobre 2025.

Cosa aspettarsi dal Pinguino?

Ambientato nel mondo di The Batman del 2022, The Penguin si concentrerà sul passato di Oswald Cobblepot e mostrerà la sua ascesa al potere nel ventre squallido di Gotham piuttosto che rappresentarlo come un boss affermato. Il personaggio ha una ricca storia di apparizioni dal vivo, poiché Danny DeVito ha interpretato il famoso Pinguino in Batman Returns mentre Robin Lord Taylor lo ha interpretato in Gotham.

Il dramma limitato sarà basato sui personaggi DC creati da Bob Kane e Bill Finger. È stato scritto da Lauren LeFranc, che è anche la showrunner. I primi due episodi saranno diretti da Craig Zobel. Insieme a Colin Farrell recitano nella serie Cristin Milioti (Made for Love) nel ruolo della figlia di Carmine, Sofia Falcone; Michael Zegen (The Marvelous Mrs. Maisel) nel ruolo del figlio di Carmine, Alberto Falcone; e Clancy Brown (John Wick: Capitolo 4) nei panni di Salvatore Maroni, gangster di Gotham. A loro si uniscono Rhenzy Feliz, Michael Kelly, Shohreh Aghdashloo, Deirdre O’Connell, Carmen Ejogo, François Chau e David H. Holmes.

Si dice anche che Robert Pattinson potrebbe apparire nei panni di Bruce Wayne/Batman. I produttori esecutivi sono Dylan Clark e Matt Reeves di The Batman, Farrell, LeFranc, Daniel Pipski, Adam Kassanand e Rafi Crohn. È un progetto congiunto tra 6th e Idaho, DC Entertainment, Dylan Clark Productions e Warner Bros. Television.

Daredevil: Born Again, le foto mostrano lo scontro con Kingpin, lo slogan da sindaco e il ritorno di [SPOILER]

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Dopo la foto di ieri altre foto dal set di Daredevil: Born Again sono state diffuse online e sono ricche di momenti importanti e di divertenti rivelazioni sulla prossima serie Disney+.

Iniziamo con quello che sembra un altro teso confronto tra Matt Murdock (Charlie Cox) e The Kingpin (Vincent D’Onofrio). È difficile dire cosa stia accadendo, ma pensiamo che questo sia legato alla ricerca di Wilson Fisk di diventare sindaco di New York (se non lo è già a questo punto).

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Sembra inoltre che il sergente Brett Mahoney farà il suo ritorno dopo essere apparso in Daredevil, Jessica Jones e The Punisher. L’attore Royce Johnson ha accennato al suo ritorno nel MCU e sembra che sia tra gli attori sopravvissuti alla precedente versione di Daredevil: Born Again.

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Sebbene questa inquadratura sembri mostrare Charlie Cox che si diverte tra una ripresa e l’altra, rivela anche uno sguardo più ravvicinato a un berretto con lo slogan di Fisk. Ha scelto “FISK CAN FIX IT“, un’allusione al fatto che il cattivo ha promesso di rendere New York City di nuovo grande, probabilmente liberando la Grande Mela dai suoi fastidiosi vigilanti.

In questo video dietro le quinte, vediamo Murdock e la Heather Glenn di Margarita Levieva che si avvicinano, solo che la loro passeggiata viene interrotta da un gruppo di sostenitori di Fisk estremamente appassionati e chiassosi. A questo punto, siamo certi che avrete capito il parallelismo tra la candidatura di Fisk a sindaco e un certo candidato alla presidenza degli Stati Uniti nella vita reale!

@mickmicknyc So much drama on the Daredevil filming set today!!! This is pure BTS and why sometimes I prefer to avoid going…. #daredevil #drama #filmingset #bts #fyp #foryou #charliecox #press #nyc #newyork ♬ original sound – New York Mickey

Cosa sappiamo su Daredevil: Born Again

Daredevil: Born Again durerà 18 episodi e vedrà il ritorno delle star principali Charlie Cox e Vincent D’Onofrio, che riprenderanno i rispettivi ruoli di Matt Murdock/Daredevil e Wilson Fisk/Kingpin.

Lo scorso ottobre è stato reso noto che Daredevil: Born Again stava subendo un “significativo reboot creativo” dopo la pausa produttiva dovuta agli scioperi della WGA e della SAG-AFTRA. Gli sceneggiatori Chris Ord e Matt Corman sono stati tolti dal progetto insieme ai registi della serie, mentre alcune scene ed episodi già terminati saranno mantenuti con l’aggiunta di ulteriori elementi seriali.

Entrambi i personaggi hanno debuttato nel Marvel Cinematic Universe nel 2021. Kingpin è stato guest-star nella serie Disney+ Hawkeye e Matt Murdock è apparso brevemente in Spider-Man: No Way Home. Cox è stato anche guest-star in due episodi di She-Hulk: Attorney at Law, dove ha mostrato un lato più leggero dell’eroe. Kingpin, invece, è stato tra i protagonisti della recente serie Echo.

Carl Weathers: morto a 76 anni l’Apollo Creed della saga di Rocky

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Carl Weathers, interprete di Apollo Creed nei primi quattro film di Rocky al fianco di Sylvester Stallone, è morto martedì, come ha confermato a Variety il suo manager Matt Luber. L’attore aveva 76 anni. Oltre alla saga di Rocky, Weathers ha recitato anche in Predator del 1987 e ha avuto un ruolo memorabile in Happy Gilmore con Adam Sandler. Più recentemente, era stato nominato per un Primetime Emmy Award come Miglior Guest Star in una serie drammatica per il suo lavoro nella serie di Star Wars, The Mandalorian, dove ha interpretato il capo della gilda di cacciatori di taglie Greef Karga.

Weathers è però noto per aver anche doppiato Combat Carl nei film di Toy Story e aver interpretato una versione romanzata di sé stesso in un ruolo ricorrente in Arrested Development. Tra gli altri suoi crediti figurano le serie televisive Street Justice, Colony, The Shield, Chicago Justice e Brothers, e i film Incontri ravvicinati del terzo tipo, Death Hunt e The Comebacks. Prima di diventare un attore, Weather si era però costruito una carriera da giocatore di football professionista, giocando per una stagione nei Oakland Raiders, nel ruolo di linebacker. Nel 1971 passò al football canadese, nei British Columbia Lions, per rimanervi fino al 1974, data del suo ritiro dall’attività agonistica.

La consacrazione arriva poi nel 1976, quando viene scelto per interpretare Apollo Creed, il pugile antagonista di Rocky Balboa nella pellicola Rocky di John G. Avildsen, ruolo che tornerà a interpretare per i successivi tre seguiti. Sylvester Stallone scelse Carl Weathers ai provini del film per via del suo carattere e il suo temperamento, simili a quelli di Muhammad Ali, pugile da cui Stallone aveva tratto ispirazione per il personaggio di Apollo Creed. Grazie a quel ruolo, oggi iconico, Weathers si è scolpito un posto nella storia del cinema, dove continuerà a vivere.

Il ritratto del Duca: la vera storia dietro al film

Il ritratto del Duca: la vera storia dietro al film

Uno dei film più apprezzati del 2021, sia dalla critica che dal pubblico, è Il ritratto del Duca, l’ultimo film diretto da Rogert Michell (meglio noto per aver diretto Notting Hill) prima della sua scomparsa, con cui va a raccontare una storia tanto singolare quanto appassionante. Il film è infatti ispirato alla vera vicenda di Kempton Bunton e all’incredibile caso del furto del ritratto del Duca di Wellington, firmato dal celebre pittore Francisco Goya. Una storia forse oggi poco nota ai più, ma passata alla storia per essere stato il primo e unico caso di furto avvenuto alla prestigiosa National Gallery di Londra.

Attraverso questa vicenda si propone dunque allo spettatore non solo una divertente commedia dall’inconfondibile sapore british, ma anche un racconto ricco di desiderio di rivalsa sociale e amore per il prossimo. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative ad esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e al cast di attori, per poi passare a scoprire la vera storia dietro il film. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il titolo nel proprio catalogo.

La trama e il cast di Il ritratto del Duca

Protagonista del film è Kempton Bunton, un inguaribile idealista pervaso da un forte senso civico, che impiega il suo tempo e le sue energie a sostenere e promuovere battaglie sociali a favore delle persone svantaggiate. Sua moglie Dorothy, che lavora come donna di servizio, porta invece avanti la famiglia e disapprova lo “stile di vita” del marito. Quando però un giorno Kempton si ritrova coinvolto nel furto del ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya, sarà l’occasione, per tutta la famiglia, di “ritrovarsi” e, per la signora Bumpton, di capire e comprendere, finalmente approvandolo, l’animo e il pensiero di suo marito.

Ad interpretare il ruolo di Kempton Bunton vi è il premio Oscar Jim Broadbent. L’attore era la prima e unica scelta per questo ruolo. Nel ruolo di sua moglie Dorothy vi è l’attrice Helen Mirren. Fionn Whitehead, invece, interpreta Jackie Bunton. Recitano poi nel film anche Matthew Goode nel ruolo di Jeremy Hutchinson e Anna Maxwell Martin in quelli di mrs. Gowling. Joshua McGuire ricopre il ruolo di Eric Crowther, l’assistente di Hutchinson, mentre John Heffernan ha il ruolo di Neddie Cussen, avvocato dell’accusa. Andrew Havill è Sir Philip Hendy, direttore della National Gallery, mentre James Wilby ha il ruolo ruolo di Carl Aarvold, giudice del caso Kempton.

Il ritratto del Duca cast Jim Broadbent Helen Mirren

La storia vera dietro Il ritratto del Duca

Come anticipato, quella narrata in Il ritratto del Duca è una storia vera. Nel 1961 Kempton Bunton era un autista di autobus disabile in pensione che guadagnava la misera cifra di 8 sterline a settimana (equivalenti a 189 sterline nel 2021). In quell’anno, Charles Bierer Wrightsman, un ricco collezionista d’arte americano che si guadagnava da vivere nel settore petrolifero, acquistò il dipinto di Goya Ritratto del Duca di Wellington per la somma di 140.000 sterline (390.000 dollari, equivalenti a 3.315.375 sterline nel 2021). Il governo britannico decise però di riacquistare il dipinto, per la stessa cifra, per evitare che lasciasse la Gran Bretagna. La mossa fece però infuriare Bunton, scontento dal modo in cui il governo impiegava i soldi.

Secondo il suo stesso racconto, Bunton apprese da conversazioni con le guardie della National Gallery che l’elaborato sistema elettronico di sicurezza, composto da sensori a infrarossi e allarmi, veniva disattivato la mattina presto per consentire le pulizie. La mattina del 21 agosto 1961, Bunton si introdusse allora nel museo da una finestra di una toilette, staccò il dipinto incorniciato dall’espositore ed uscì nuovamente dalla finestra, portando così a compimento il furto del prestigioso dipinto. L’agenzia di stampa Reuters ricevette poi una lettera in cui si chiedeva una donazione di 140.000 sterline in beneficenza per pagare le licenze televisive per i meno abbienti e si chiedeva un’amnistia per il ladro.

Bunton, infatti, si opponeva al canone televisivo, ritenendo che la TV dovesse essere messa a disposizione di tutti coloro che ne avevano bisogno. Si è più volte battuto per la gratuità delle licenze televisive per i pensionati ed era stato imprigionato più volte per essersi rifiutato di pagare la licenza. Nel 1965, quattro anni dopo il furto, Bunton contattò un giornale e, tramite un deposito bagagli della stazione ferroviaria di Birmingham New Street, restituì volontariamente il dipinto. Sei settimane dopo, si consegnò anche alla polizia, che inizialmente lo scartò come sospetto, ritenendo improbabile che un pensionato di 61 anni potesse aver compiuto il furto.

Il ritratto del Duca storia vera

Durante il successivo processo, la giuria condannò poi Bunton solo per il furto della cornice, che non era stata restituita. Il team di difesa di Bunton, guidato da Jeremy Hutchinson, ha sostenuto con successo che Bunton non ha mai voluto tenere il dipinto, il che significa che non poteva essere condannato per il furto. Tuttavia, Bunton è poi stato effettivamente condannato e ha scontato tre mesi di carcere. Nel 1996 però, ben trent’anni dopo la restituzione del dipinto, la National Gallery rilasciò una documentazione sul caso riguardante John Bunton, il figlio di Kempton, senza, tuttavia, scendere nei dettagli per ragioni di privacy.

Nel 2012, invece, l’Archivio Nazionale rilasciò un file confidenziale risalente addirittura al 1969 dove si rivela che fu proprio John con la complicità del fratello Kempton Jr l’autore materiale del furto del Duca. Non furono però intraprese ulteriori azioni legali da parte del Governo. L’ammissione di colpa di John era infatti troppo circostanziale e in ogni caso non sufficiente per riaprire il caso né tanto meno per perseguire Kempton per falsa testimonianza. In risposta al caso, fu però emanata la Sezione 11 del Theft Act 1968, che rendeva reato la rimozione senza autorizzazione di qualsiasi oggetto esposto in un edificio pubblico. La BBC decise poi – forse pensando a Bunton – di annullare il canone per i cittadini over 75.

Il trailer di Il ritratto del Duca e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di Il ritratto del Duca grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Google Play, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 2 febbraio alle ore 21:20 sul canale Rai 3.

John Rambo: trama, cast e curiosità del film con Sylvester Stallone

Nato come film per denunciare una volta di più gli orrori della guerra in Vietnam, Rambo è in breve diventato un grande classico, nonché uno dei più apprezzati film del suo anno, il 1982. È inoltre il film che, insieme a Rocky, ha contribuito a lanciare la carriera dell’attore Sylvester Stallone. Oggi inserito tra i più grandi personaggi della storia del cinema, il combattivo veterano si è visto diventare protagonista di un’intera saga, oggi composta da ben 5 film realizzati tra il 1982 e il 2019.

Nel 2008 è uscito in sala il quarto film a lui dedicato, JohnRambo, scritto e diretto dallo stesso Stallone. Questo venne realizzato a ben vent’anni di distanza dal precedente capitolo, e i motivi di tale attesa sembrano ritrovarsi nella mancanza di una storia che risultasse convincente agli occhi dell’interprete protagonista. Con il successo del film Rocky Balboa, l’altro grande personaggio di Stallone, anche Rambo venne riportato all’attenzione ed ottenne infine una nuova storia tutta per sé.

Stallone, che aveva accettato di interpretare nuovamente il personaggio, si dichiarò però scettico alla richiesta di dirigere anche il film. Si trovò però a cambiare idea nel momento in cui decide di girare la pellicola come se il regista fosse proprio Rambo, imprimendo dunque all’opera la stessa personalità del suo protagonista. L’operazione si rivelò particolarmente vincente, e portò il film a guadagnare un totale di circa 113 milioni a livello mondiale, a fronte di un budget di 50. Nel 2019, Stallone darà poi vita al quinto e attualmente ultimo capitolo della saga: Rambo: Last Blood.

La trama di John Rambo

Sono passati ormai molti anni dalle sue ultime avventure. Rambo continua la sua pacifica vita lavorando su un battello al confine tra la Thailandia e la Birmania. Su questo riceve un giorno la visita di alcuni missionari, i quali gli chiedono di accompagnarli nel territorio birmano dove si sta svolgendo un conflitto, con l’intento di portare aiuti umanitari ai soldati. Inizialmente riluttante, Rambo infine accetta, consapevole che il territorio è cosparso di pericolose mine antiuomo. A missione compiuta, scopre però che quello stesso gruppo di missionari è stato ora catturato e rinchiuso in un campo di prigionia. Insieme ad un gruppo di mercenari, il veterano parte allora in loro salvataggio.

La missione va a buon fine, e Rambo riesce a salvare il gruppo di ostaggi, che durante la loro prigionia avevano subito atroci torture. Durante la fuga, però, l’esercito birmano scopre l’accaduto ed organizza una tempestiva caccia all’uomo. Rambo è così costretto a rifugiarsi nella giungla, dove darà nuovamente prova delle sue capacità di sopravvivenza e combattimento. A finire nei guai sono però ora i mercenari che lo avevano aiutato nell’impresa. Il suo nuovo obiettivo sarà dunque ora quello di organizzare un ultimo colpo, annientando l’esercito birmano e salvando i suoi alleati.

John Rambo cast

John Rambo: il cast del film

Riprendere un ruolo come Rambo non è stato facile per Sylvester Stallone. Pur non avendo mai del tutto perso la sua celebre forma fisica, l’attore dovette sottoporsi ad ulteriori allenamenti intensivi al fine di guadagnare la muscolatura necessaria per poter eseguire le spericolate acrobazie presenti nel film. Alcuni incidenti sono però stati inevitabili. L’attore, infatti, finì per strapparsi un quadricipite realizzando una scena che lo vedeva correre attraverso la giungla. Riuscì però a recuperare alla svelta, tornando presto sul set. L’allenamento gli è inoltre tornato utile anche per poter sollevare le vere e pesanti armi presenti nel film. Stallone ebbe infatti degli iniziali problemi a gestire queste, ma lavorando sui suoi noti bicipiti ha potuto acquisire credibilità nel manovrare tali oggetti.

Stallone, che aveva deciso di ambientare il film nel contesto del poco noto conflitto birmano, decise di portare il cast a recitare in location vicine a quelle dei reali scontri a fuoco. L’attore ha poi ricordato l’esperienza come particolarmente spaventosa. Dal set era loro possibile udire il rumore degli spari e in più occasioni rischiarono di entrare in conflitto con i soldati birmani. L’esperienza fu però particolarmente utile al film, poiché portò tutti gli attori ad essere particolarmente realistici e ben calati nei panni dei rispettivi personaggi. Stallone chiarì in seguito che il suo intento, nell’ambientare lì il film, era quello di portare l’attenzione su una guerra poco conosciuta ma ugualmente brutale alle tante altre presenti nel mondo.

Nel cast del film sono poi presenti diversi noti attori di cinema e televisione. La prima di questi è Julie Benz, che ricopre qui il ruolo della missionaria Sarah Miller. L’attrice è nota in particolare per il ruolo di Rita Bennett nella serie televisiva Dexter. Stallone la volle in John Rambo proprio dopo averla vista nella serie crime, di cui si è dichiarato un grande fan. Paul Schulze, noto per le serie I Soprano, 24 e Nurse Jacke – Terapia d’urto, interpreta invece Michael Burnett, anche lui facente parte del gruppo dei missionari. L’attore Graham McTavish interpreta invece Lewis, il leader del gruppo di mercenari. Questi è in seguito divenuto noto per aver recitato in numerosi episodi della serie Preachers. Infine, nei panni dello spietato Pa Tee Tint, si ritrova l’attore Maung Maung Khin.

Il trailer di John Rambo e dove vedere il film in streaming e in TV

Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. John Rambo è infatti presente su Rakuten TV, Google Play, Apple iTunes, Prime Video e Now. In base alla piattaforma scelta, sarà possibile noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale al catalogo. In questo modo sarà poi possibile fruire del titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video. Il film è inoltre in programma in televisione per venerdì 2 febbraio alle 21:20 sul canale Italia 1.

Fonte: IMDb

The Warrior – The Iron Claw: la vera storia dietro al film con Zac Efron

Con il film The Warrior – The Iron Claw (qui la recensione), il wrestling torna sul grande schermo, proponendo l’appassionante ma triste vicenda della famiglia Von Erich, storica dinastia di questa disciplina caratterizzatasi per i suoi successi ma anche per i numerosi lutti che l’hanno sconvolta. Il film, diretto da Sean Durkin e con protagonisti gli attori Zac Efron, Lily James, Jeremy Allen White, Harris Dickinson e Holt McCallany, si è affermato come uno dei lungometraggi più apprezzati di questa stagione, tanto da venire inserito nell’elenco dei Dieci migliori film del 2023 stilato dal National Board of Review. Pur proponendo una storia molto coinvolgente – anche per i non fan del wrestling – il film si prende però diverse libertà rispetto alla vera vicenda dei Von Erich. Scopriamo allora qui di seguito la vera storia dietro al film.

La vera storia dietro al film The Warrior – The Iron Claw

Le origini della dinastia Von Erich

Per cominciare, è bene sapere che Von Erich non è il vero cognome della famiglia. Il capostipite, Fritz Von Erich, è infatti nato il 16 agosto del 1929 con il nome Jack Barton Adkisson. Egli assunse il personaggio di Von Erich solo dopo essere diventato un affermato wrestler professionista. Prima di intraprendere tale carriera, però, Fritz tentò senza successo di perseguirne una nel football. Capendo che non sarebbe mai diventato un professionista, iniziò ad allenarsi come wrestler sotto la guida di Stu Hart, patriarca della famiglia Hart che in seguito produrrà il cinque volte campione dei pesi massimi Bret “the Hitman” Hart. Iniziò a lottare allo Sportatorium di Dallas con il personaggio di Fritz Von Erich, un cattivo nazista di Berlino che le folle amavano odiare.

Poco dopo il debutto, aggiunse al proprio repertorio il suo attacco caratteristico, l’Iron Claw (Artiglio di ferro) – da qui il titolo del film -, che prevedeva di afferrare e stringere le tempie dell’avversario con una mano. Una mossa poi tramandata anche al resto della famiglia. Fuori dal ring, nel 1950 Fritz sposò Doris, sua fidanzata del liceo. Con la crescita della notorietà di Von Erich, iniziò a crescere anche la sua famiglia. Lui e Doris diedero il benvenuto ai figli Jack Jr. nel settembre 1952, Kevin nel maggio 1957 e David nel luglio 1958. Ma solo un anno dopo la nascita di David, persero il loro figlio maggiore. Nel 1959, all’età di appena 6 anni, Jack Jr. morì a causa di una forte scossa elettrica e al conseguente annegamento in uno stagno.

The Warrior - The Iron Claw Von Erich Zac Efron

I Von Erich salgono sul ring

La morte di Jack Jr. fu un evento che sconvolse profondamente la famiglia, ma non impedì a Fritz e Doris di avere altri figli. Nel 1960 nacque Kerry, seguito poi da Mike e Chris (quest’ultimo omesso dal film) rispettivamente nel marzo 1964 e nel settembre 1969. Con i suoi cinque figli, Fritz si alternava tra padre amorevole e severo disciplinatore. Insegnò loro a cacciare, ad andare in moto e a reagire ai bulli. Più di ogni altra cosa, però, Fritz insegnò loro l’arte del wrestling, iniziando dunque a tramandare ciò che sapeva di quella disciplina e formando così la seconda generazione Von Erich. Dal canto loro i cinque figli, pur non essendo certi di apprezzare il wrestling, non si opposero, desiderosi di poter essere come il padre.

Quanto da Fritz seminato, diede ben presto i suoi frutti. I fratelli maggiori Kevin, David e Kerry sono diventati il fulcro della federazione di Fritz, la World Class Championship Wrestling. I loro spettacoli andarono in onda in tutti gli Stati Uniti e persino in Giappone e in Medio Oriente. Questo ha aiutato l’intera famiglia a costruire una base di fan devoti, anche se i fratelli hanno avuto diversi gradi di successo sul ring. David era considerato il miglior wrestler del gruppo, ma Kerry ha ottenuto la vittoria più memorabile, battendo la superstar Ric Flair per il titolo mondiale NWA nel 1984. Kevin è invece ricordato per i suoi feud memorabili contro wrestler come Chris Adams, Fabulous Freebirds, e il già citato Flair.

La maledizione dei Von Erich

Il periodo di maggior splendore della famiglia subì però una brusca incrinatura proprio nel 1984, quando il terzo figlio, David, venne ritrovato morto nella propria stanza d’albergo in Giappone. La causa ufficiale del decesso sarebbe stata un’enterite acuta, ma nell’ambiente in molti si convinsero che fosse morto per overdose. Solo tre anni dopo, Mike – a quanto si dice il meno interessato a diventare un wrestler – si infortunò ad una spalla durante un tour in Israele e si dovette operare. Dopo l’intervento si scoprì che soffriva di sindrome da shock tossico, una patologia rarissima nei maschi adulti. Qualche tempo dopo, Mike fu costretto a ritirarsi dal ring non essendo più in grado di combattere a tempo pieno. Si suicidò il 12 aprile 1987 a Denton, Texas, ingerendo grandi quantità di tranquillanti.

La successiva tragedia arrivò nel 1991, quando Chris si è suicidato all’età di 21 anni sparandosi alla testa con una pistola. Alto circa un metro e mezzo, Chris soffriva di asma e aveva ossa particolarmente fragili e per via di ciò, nonostante i tanti sforzi, non raggiunse mai il livello di successo dei suoi fratelli. Iniziò allora a sviluppare una forma di depressione e devastato anche dalla morte del fratello Mike finì vittima della dipendenza dalle droghe. Il regista Sean Durkin ha scelto di non inserirlo nel film perché “sarebbe stata tragedia in più che il film non avrebbe potuto davvero sostenere“. Infine, nel 1993 anche Kerry si uccise sparandosi al petto. Sette anni prima, un incidente in moto gli aveva provocato l’amputazione di un piede.

The Warrior - The Iron Claw storia vera famiglia Von Erich

L’eredità della famiglia Von Erich

La morte dei figli aveva avuto ripercussioni sull’orgoglio del padre e il cancro ai polmoni e al cervello ha intaccato il suo benessere fisico, ma anche il suo matrimonio. Fritz e Doris divorzieranno infatti nel 1992. Lui, morirà il 10 settembre 1997. Kevin, rimasto solo, ha ammesso di aver dovuto lottare contro pensieri suicidi, ma è riuscito infine a trovare la pace. Dopo una serie di risultati minori ottenuti in varie federazioni, si ritirò definitivamente dal wrestling nel 1995. Oggi lui e la moglie Pam hanno quattro figli e undici nipoti. Oggi, un nuovo ramo dei Von Erich continua l’eredità di famiglia. I figli di Kevin, Ross e Marshall, competono come tag team Von Erich e hanno lavorato in promozioni come la Major League Wrestling.

La WWE, la più importante federazione di wrestling al mondo, ha poi inserito la famiglia Von Erich nella Hall of Fame nel 2009, facendo così in modo che i loro successi sul ring possano essere ricordati da generazioni di fan. Kevin ha poi dato il suo consenso alla realizzazione del film, ritenendosi soddisfatto del risultato. Quando gli è stato chiesto cosa vuole che le persone traggano da The Warrior – The Iron Claw, ha detto: “La vita è dura e le cose accadono, e ci sono molte persone che hanno avuto cose peggiori di me, ma la mia era pubblica. Ma non bisogna arrendersi. Combattete con forza. Combattete ancora di più e seguite Dio. Questo mi ha portato a superare le mie tragedie. Non è facile, ma potete farcela. Combattete per questo“.

The Last of Us – Seconda stagione: Catherine O’Hara nel cast

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The Last of Us – Seconda stagione: Catherine O’Hara nel cast

Secondo quanto appreso da Variety, l’attrice Catherine O’Hara è stata scritturata per la seconda stagione di The Last of Us della HBO. I dettagli sul personaggio che la O’Hara interpreterà non sono però stati resi noti. L’attrice si unisce così ai protagonisti Pedro Pascal e Bella Ramsey nella serie di successo, insieme ai nuovi membri del cast Isabela Merced nel ruolo di Dina, Young Mazino nel ruolo di Jesse e Kaitlyn Dever nel ruolo di Abby.

O’Hara è una delle attrici comiche più celebri dei tempi moderni, avendo esordito durante la sua partecipazione all’acclamata serie di sketch comedy “SCTV”. Di recente è nota soprattutto per il suo ruolo di protagonista nella serie comica “Schitt’s Creek“, in cui ha interpretato Moira Rose per tutte le sei stagioni dello show. Per questa serie ha vinto il premio come miglior attrice in una commedia nel 2020 per la stagione finale. Ha poi recitato in celebri film come Beetlejuice – Spiritello porcello, Mamma ho perso l’aereo e Mamma ho riperso l’aereo: Mi sono smarrito a New York. A settembre di quest’anno tornerà al cinema con Beetlejuice 2.

La serie tv The Last of Us

La prima stagione di The Last of Us ha presentato Joel come un padre amorevole, prima di perdere la figlia la notte in cui l’epidemia è scoppiata e il mondo è andato fuori controllo. Anni dopo aver dovuto escogitare diversi modi per sopravvivere agli infetti, Joel si imbatte in Ellie, una ragazza che ha imparato a prendersi cura di se stessa nel pericoloso mondo dell’adattamento dei videogiochi. Le tensioni iniziarono a salire quando Joel fu informato che la sua missione era in realtà quella di portare Ellie dall’altra parte del Paese perché il suo sangue poteva essere la risposta a una cura per il virus, a costo della vita della ragazza. Joel non avrebbe permesso che accadesse qualcosa alla persona che per lui significava una seconda possibilità per essere un PADRE.

La seconda stagione di The Last of Us si baserà sul secondo gioco della serie, in cui Ellie inizia a innamorarsi di Dina. Come ogni adattamento di un videogioco prodotto per la televisione, The Last of Us potrebbe allontanarsi dalla trama e dai nodi emotivamente intensi del videogioco, ma in base alla prima stagione della serie, il team dietro lo show ama rimanere molto fedele. Jesse, ex fidanzato di Dina, non sarà a suo agio con l’idea che Ellie si innamori di lei, mentre tutti cercano di stare lontani dagli infetti e dai membri della Firefly in cerca di risposte. La prima stagione di The Last of Us è attualmente in streaming su NOW.

Sonic 3: un teaser conferma il ritorno di Jim Carrey, mentre nuovi attori si uniscono al film

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È ufficiale: Jim Carrey riprenderà il ruolo dello scienziato pazzo dalla formidabile peluria facciale, il Dr. Robotnik, in Sonic 3. La notizia arriva nonostante il fatto che (seguono spoiler) il secondo film della serie si sia concluso con la caduta del Dr. Robotnik da un robot gigante al suolo, una caduta potenzialmente fatale. Nella scena post-credits del film, tuttavia, viene rivelato che il corpo del Dr. Robotnik non è stato trovato, ponendo le basi per un drammatico ritorno del principale antagonista di Sonic.

Ritorno che viene dunque ora confermato da un primo teaser del nuovo film, diffuso su X (ex Twitter), nel quale si può ascoltare la risata di Robotnik. Jeff Fowler, che ha supervisionato i primi due film, tornerà a dirigere anche questo nuovo sequel, che uscirà nelle sale il 20 dicembre 2024. Recentemente inoltre, era stato confermato con una foto che nel film farà il suo ingresso anche Shadow the Hedgehog, il cui arrivo era stato preannunciato dalla scena post credits di Sonic – Il film 2. Di seguito, ecco il teaser di Sonic 3:

Il cast di Sonic 3

A dare voce a Sonic ci sarà nuovamente Ben Schwartz, mentre Colleen O’Shaughnessey darà voce a Miles “Tails” Prower) e Idris Elba a Knuckles the Echidna. James Marsden riprenderà il ruolo di Tom Wachowski, mentre Tika Sumpter tornerà nel ruolo di Maddie Wachowski. Oltre al confermato ritorno di Jim Carrey, IGN riporta che sei nuovi attori si uniranno al sequel. Tra le nuove star ci sono Krysten Ritter (Jessica Jones) James Wolk (Zoo), Alyla Browne (Ascolta i fiori dimenticati), Jorma Taccone (Cattivi vicini), Sofia Pernas (Blood & Treasure) e Cristo Fernández (Ted Lasso), anche se non è ancora chiaro chi interpreteranno questi attori.

Mark Gustafson, vincitore dell’Oscar per il Pinocchio di Guillermo del Toro, muore a 64 anni

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Mark Gustafson, vincitore di un Oscar lo scorso anno per aver co-diretto il film d’animazione “Pinocchio di Guillermo del Toro“, è morto giovedì, come riportato da The Oregonian. Gustafson aveva 64 anni. Guillermo del Toro, suo co-regista per la rivisitazione in chiave dark del classico racconto di Pinocchio, ha pubblicato su X un tributo a lui venerdì mattina. “Ho ammirato Mark Gustafson, anche prima di conoscerlo“, ha scritto del Toro su social network. “Un pilastro dell’animazione in stop motion – un vero artista. Un uomo compassionevole, sensibile e mordacemente spiritoso. Una leggenda e un amico che ha ispirato e dato speranza a tutti coloro che lo circondavano. È morto ieri. Oggi lo onoriamo e ci manca“.

Del Toro ha poi continuato nel suo tributo a Gustafson affermando che: “Lascia un’eredità titanica nell’animazione che risale alle origini della claymation e che ha plasmato la carriera e il mestiere di innumerevoli animatori. Lascia amici e colleghi e una filmografia storica. Le preghiere e i pensieri vanno alla sua amata moglie, Jennifer. Si dice: “Non incontrare mai i tuoi eroi”… Io non sono d’accordo. Non si può essere delusi dal fatto che qualcuno sia umano. Lo siamo tutti. Bruciare l’olio di mezzanotte durante la post-produzione, o fare i cambi di animazione giornalieri via Zoom durante il COVID o essere intrappolati in un ascensore in un cinema di Londra… Sono felice di aver conosciuto Mark, l’uomo, così come sono stato onorato di aver conosciuto l’artista“.

Come ho detto, lo ammiravo prima di conoscerlo. Mi è piaciuto molto aver avuto la possibilità di condividere con lui il tempo e lo spazio durante gli alti e i bassi. Sempre e per sempre“. Gustafson ha iniziato la sua carriera di animatore negli anni ’80 e si è cimentato in diversi tipi di animazione. I suoi lavori di claymation sono visibili nello speciale televisivo del 1987 “Claymation Christmas Celebration“, nella serie “The PJs” e nello speciale televisivo “Meet the Raisins“, con i California Raisins. È stato anche il regista dell’animazione del film di Wes AndersonFantastic Mr. Fox“, candidato all’Oscar nel 2009, e ha lavorato alla claymation di “A Very Harold and Kumar Christmas“.

Guillermo del Toro e Mark Gustafson: il loro Pinocchio

Diretto da Guillermo del Toro e Mark Gustafson, il film d’animazione, premiato agli Oscar, presenta un cast vocale stellare con Ewan McGregor nei panni del Grillo Parlante, David Bradley in quelli di Geppetto, mentre l’esordiente Gregory Mann presta la voce a Pinocchio. Nel cast vocale figurano anche Finn Wolfhard, la vincitrice dell’Oscar Cate Blanchett, John Turturro, Ron Perlman, Tim Blake Nelson, Burn Gorman, insieme al premio Oscar Christoph Waltz e alla vincitrice dell’Oscar Tilda Swinton.

Il film reinventa il grande classico di Carlo Collodi dedicato al burattino di legno che prende magicamente vita per riscaldare il cuore di Geppetto, intagliatore in lutto. Questo stravagante film in stop-motion si seguono dunque le spericolate e indisciplinate avventure di Pinocchio nella sua ricerca di un posto nel mondo. Il racconto è però ambientato negli anni della Seconda guerra mondiale, cosa che porterà Pinocchio anche a scontrarsi con il fascismo e le sue rigide regole di ordine e disciplina.

Adesso vinco io – Marcello Lippi: intervista a Simone Paragnani e Paolo Geremei, registi del documentario

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L’Italia lo ricorda principalmente come il condottiero che ha portato la nostra nazionale sul tetto del mondo nel 2006, i tifosi juventini come l’uomo che ha indirizzato la loro squadra del cuore su binari vincenti dopo anni di purgatorio, il mondo del calcio lo celebra ancora oggi come uno degli allenatori più vincenti della storia di questo sport.

Simone Paragnani e Paolo Geremei lo raccontano nel documentario Adesso vinco io – Marcello Lippi, presentato al Festival di Torino e scelto come film d’apertura della sezione DOC del Sudestival 2024 presentato il 1° febbraio a Monopoli. Abbiamo raggiunto telefonicamente i due registi che ci hanno raccontato la genesi del film e la collaborazione con Lippi, i suoi ex atleti e la famiglia.

Dopo Torino, Adesso vinco io – Marcello Lippi viene presentato al Sudestival. Che importanza ha il circuito dei festival per promuovere e portare avanti questi progetti? 

Paragnani: I festival sono essenziali. Il consumo cinematografico sta cambiando, lo abbiamo visto con il film di Paola Cortellesi (C’è ancora domani). Non era un film pensato per un grande pubblico, ma per un pubblico raffinato, un cinema d’autore per cui chi l’ha fatto si aspettava molto meno in termini di incassi. Invece sta cambiando qualcosa. Questo grazie anche al proliferare dei festival e di occasioni per mostrare un cinema diverso, che offre sguardi laterali. Il pubblico cinematografico è diventato un po’ più raffinato, forse il pubblico popolare trova più interesse nelle piattaforme. Essere stati al festival di Torino ci ha dato visibilità e siamo felici di essere qui al Sudestival e di essere nella selezione dei Nastri d’Argento, il film è stato visto, quindi trovo essenziale che ci siano queste occasioni, soprattutto sul territorio.

Geremei: I festival, grandi o piccoli che siano, sono fondamentali. Molti documentari hanno una vita televisiva, ma il confronto diretto con la sala può essere brusco. Invece i festival sono una cartina di tornasole, ai festival si respira un calore, una sincerità, è un’occasione di confronto che è raro trovare in altre circostanze. Poi un prodotto festivaliero è considerato sempre un progetto d’autore, che magari farà pochi soldi, invece molte volte anche i film che vengono presentati ai festival accolgono il favore del pubblico, indipendentemente da quello che raccontano. La chiave forse è proprio confrontarsi con un pubblico vario.

Come mai si è deciso di raccontare Marcello Lippi?

Paragnani: Marcello è una persona straordinaria, appartiene a quel tipo di persone che hanno l’X Factor, ha il superpotere del carisma. La cosa incredibile è che lui da calciatore non ha vinto nulla, ma da allenatore si è trasformato in questa macchina inesorabile di vittorie, pur avendo a che fare con grandissimi campioni e grandi personalità e li ha convinti tutti. È una personalità dominante, e noi abbiamo cercato di raccontare questo maestro del calcio, e attraverso il calcio, siamo arrivati a raccontare anche il suo privato.

Geremei: Umberto Cartoni e Francesco Palazzi, insieme allo stesso Simone, tutti e tre produttori, hanno espresso la volontà di raccontare la storia umana e sportiva di questo personaggio così carismatico. Ed è incredibile che questa storia non sia stata raccontata prima, abbiamo colmato una grande lacuna.

Adesso vinco io – Marcello Lippi racconta il pubblico e il privato dell’allenatore, del padre, del marito, dell’amico. Quale aspetto è stato più complicato mettere su pellicola?

Paragnani: Quarto Potere racconta la ricostruzione quasi documentaria della storia di Charles Foster Kane. Il personaggio di Joseph Cotten, Jedediah Leland, un giornalista, indaga sul mistero della grandezza di quest’uomo. Alla fine del film non risolve il mistero, ha sempre fatto le giuste domande ma non ha trovato le risposte che cercava. Ha chiesto cosa fosse questa ‘Rosebud’, ma a lui non viene svelato quel mistero, allo spettatore invece sì. Questo per dire che in realtà entrambi gli aspetti, quello pubblico e quello privato, sono difficili da raccontare, ma il documentarista deve esercitare la maieutica ed essere presente per raccogliere quello che viene raccontato. Ad esempio Davide Lippi, il figlio di Marcello, si è molto aperto nel film, ha detto delle cose che non erano mai state dette, la sua esplosione emotiva è autentica. Allo stesso modo, Marcello non è uno che parla tanto, spingeva e guidava gli eventi senza spiegare e infatti il figlio ha capito dopo quello che il padre ha fatto per lui.

Geremei: Nessuno dei due aspetti, anche se io come autore e regista ho un certo interesse nel raccontare le vicende umane nel loro intimo. Non ho provato grande difficoltà perché mi sono trovato in una situazione propizia. Davide, il figlio, era in una disposizione d’animo favorevole, voleva raccontare quelle cose del loro privato che non erano mai state dette. Abbiamo aperto un cassetto che conteneva delle cose che non vedevano l’ora di mostrarsi, nonostante la sofferenza passata e presente per certe scelte che sono state fatte. Sarebbe stato un problema se invece Davide non fosse stato così tanto disposto, se Marcello stesso fosse stato chiuso. Invece abbiamo trovato apertura e schiettezza. Il bello del documentario è anche questo: ti trovi a confrontarti con delle situazioni che non sono previste in scrittura ma che, se si verificano, diventano un vantaggio per tutti, per il soggetto intervistato ma soprattutto sono a vantaggio del film. L’unica difficoltà è stata quella di cercare di capire dove far pendere l’ago e riuscire a farsi raccontare le sconfitte. È un aspetto che a me interessa molto, ma Marcello non è un personaggio che ama raccontare le sue sconfitte, ma non gli va neanche troppo di rivangane le vittorie, è uno che ragiona molto poco con i ‘se’ e con i ‘ma’.

Com’è stato lavorare con Lippi per la realizzazione di Adesso vinco io – Marcello Lippi?

Paragnani: È stato complicato. Marcello è una persona affascinante per qualsiasi interlocutore, poi è proprio bello, non riesci a non subire il suo fascino, ma è comunque una persona che è abituata a comandare, può decidere in autonomia se parlare o meno di qualcosa. Può dire anche ‘no, questo non voglio dirlo’. Io e Paolo ci siamo avvicinati con grande rispetto e curiosità alla sua storia umana.

Geremei: Marcello non ha cercato di dare una direzione al documentario, semplicemente quando non voleva rispondere chiedeva di andare avanti e passare ad un altro argomento, faceva capire con grande serenità che non era disposto. Ma per il 95% delle nostre richieste o domande abbiamo avuto disponibilità totale, dalla famiglia, alle partite, agli schemi che utilizzava, ci ha risposto con partecipazione e disponibilità. È stato un lungo viaggio. Tutti gli atleti coinvolti sono stati molto generosi, ognuno aveva piacere a dire la sua sull’uomo, non solo sull’allenatore, e non è frequente trovare atleti che dopo 25 o 30 anni sono così affezionati al proprio allenatore.

Adesso vinco io – Marcello Lippi racconta una vicenda emozionante, anche per chi non tifa le squadre che vengono raccontate nel film, anche per chi non segue affatto il calcio. Perché la storie sportive sono sempre emozionanti?

Paragnani: Penso che lo sport ci coinvolge perché ci affezioniamo alla storia personale. A me non piace la boxe, ma in film Toro Scatenato o Rocky mi faccio coinvolgere dalla storia personale di Balboa o Marciano. Lo sport, drammaturgicamente, ha un andamento cinematografico. Ci sono delle tappe obbligate nella struttura del film sportivo che sono capaci di coinvolgere. A me piacerebbe tantissimo che questo documentario facesse nascere la voglia di fare un film su Marcello Lippi. Lancio un appello, il film è pronto, bisogna trovare solo qualcuno abbastanza bello da interpretare Marcello.

Geremei: E’ vero che lo sport è metafora della vita, nella sua difficoltà, per le sconfitte, i sacrifici, le vittorie. È tutto vero, per quanto a volte questo concetto sia banalizzato. Ma un film sportivo ripercorre una carriera apparentemente già strutturata che in realtà è imprevedibile, esattamente come la vita. Si ripercorrono gli alti e bassi, i momenti, le sliding doors, perché replica un percorso che è come quello della vita e poi perché spesso sono storie aspirazionali, sono storie che vengono condizionate dalla volontà, dalla determinazione, la fortuna non esiste nei film sportivi. Sono storie che raccontano questa determinazione.

Presentato in apertura nella sezione DOC del Sudestival 2024 il 1° febbraio a Monopoli, Adesso vinco io – Marcello Lippi arriva al cinema dal 26 al 28 febbraio.

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