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Box office: Oppenheimer mantiene il primo posto

Box office

L’estate 2023 è stata caratterizzata dalla riscoperta dei cinema per molti, grazie all’arrivo nelle sale italiane di due pellicole che hanno saputo attirare il grande pubblico: stiamo parlando di Barbie ed Oppenheimer! Quest’ultimo conquista per la seconda settimana consecutiva il primo posto nella classifica Box office, con un incasso di €1.308.936 nel solo fine settimana, su un totale che sfiora i 18 milioni solo in Italia.

Al secondo posto, con un notevole distacco, ritroviamo The equalizer 3- senza tregua, terzo capitolo della serie cinematografica con Denzel Washington come protagonista. Il film incassa €197.764 al suo primo week end nei cinema, essendo nelle sale italiane dal 30 agosto.

Terzo classificato è Tartarughe ninja: caos mutante, film animato basato sui noti personaggi della serie di fumetti. Il cartone incassa €167.967 a fronte di un totale di circa 743 mila euro dalla sua uscita nei cinema il 30 agosto.

Box office: il resto della classifica

Rispettivamente al quarto ed al quinto posto ritroviamo La casa dei fantasmi, remake dell’omonimo film del 2003 con Eddie Murphy, e Jeanne Du Barry- la favorita del re, pellicola che sigla il ritorno di Johnny Depp sulla scena dopo il lungo processo con Amber Heard. La casa dei fantasmi raggiunge un incasso di €140.137 su un totale che sfiora i due milioni di euro dalla prima uscita il 23 agosto, mentre Jeanne Du Barry incassa €132.847 nel suo primo week end. Scende vertiginosamente di posizione Barbie, sesta classificata, con un incasso di €132.143, a fronte però di un totale che supera i 31 milioni di euro dalla sua uscita nelle sale italiane il 20 luglio.

Al settimo ed ottavo posto si trovano due pellicole italiane: L’ordine del tempo, diretto da Liliana Cavani e tratto dall’omonimo saggio di Carlo Rovelli, e Una commedia pericolosa. L’ordine del tempo incassa €57.683, mentre Una commedia pericolosa raggiunge un guadagno di €34.368.

Ultimi due classificati nel Box office del fine settimana appena concluso sono Mastaney, pellicola indiana, e Manodopera, film d’animazione prodotto da Francia, Italia e Svizzera. Mentre Mastaney incassa €29.103, Manodopera raggiunge un guadagno di soli €17.304.

 
 

The Caine Mutiny Court-Martial di William Friedkin arriverà su Paramount+

The Caine Mutiny Court-Martial recensione film

Paramount+ ha annunciato l’arrivo di The Caine Mutiny Court-Martial – scritto e diretto dal celebre regista premio Oscar William Friedkin e basato sull’omonima opera teatrale di Hermon Wouk, vincitrice del premio Pulitzer – prossimamente in Italia e in tutti i mercati internazionali in cui il servizio è attualmente attivo.

L’avvincente film, che è stato presentato ieri in anteprima all’80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, segue le vicende di un primo ufficiale della Marina degli Stati Uniti che viene processato per aver orchestrato un ammutinamento dopo che il suo capitano inizia a dare segni di squilibrio, mettendo a repentaglio la vita del suo equipaggio. Interpretato da un cast eccezionale, The Caine Mutiny Court-Martial vede il coinvolgimento di Kiefer Sutherland (24), Jason Clarke (Oppenheimer), Jake Lacy (White Lotus), Monica Raymund (Chicago Fire), Lewis Pullman (Top Gun: Maverick), Jay Duplass (Transparent), Tom Riley (The Nevers) e Lance Reddick (John Wick).

All’inizio della corte marziale della Marina, Barney Greenwald (Clarke), uno scettico avvocato della Marina, accetta con riluttanza di difendere il tenente Steve Maryk (Lacy), un primo ufficiale della Marina che ha preso il controllo della U.S.S. CAINE dal suo capitano autoritario, il tenente Philip Francis Queeg (Sutherland) durante una violenta tempesta in acque ostili. Con l’avanzare del processo, Greenwald si preoccupa sempre di più e si chiede se gli eventi a bordo del Caine siano stati un vero ammutinamento o semplicemente atti di coraggio di un gruppo di marinai che non si fidavano del loro leader instabile.

Il lungometraggio della Republic Pictures, The Caine Mutiny Court-Martial, è un film di William Friedkin (The French Connection, L’esorcista) basato sull’opera teatrale di Herman Wouk. Scritto e diretto da Friedkin, il film è prodotto da Annabelle Dunne (Joan Didion: The Center Will Not Hold, Everything Is Copy And Fake Famous) e Matt Parker (Beasts of the Southern Wild) con Michael Salven (Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves) e Mike Upton (John Wick) come produttori esecutivi. Il film è distribuito da Paramount Global Content Distribution.

Il film, The Caine Mutiny Court-Martial, è stato completato poco prima della morte di William Friedkin, avvenuta il 7 agosto scorso.

 
 

La Bête, recensione del film di Bertrand Bonello #Venezia80

La Bete, una scena del film di Bertrand Bonello

Un presentimento oscuro attanaglia i protagonisti del film La Bête di Bertrand Bonello, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023. Una bestia pronta a scatenarsi, un’esitazione che provocherà una catastrofe: Lea Seydoux e George McKay incarnano due anime unite da più passati, che cercano un modo di comunicare nel presente per potersi aprire al futuro in uno dei film, finora, più interessanti di Venezia 80, che potrebbe andare a premi.

La Bête: ripulendo le emozioni del passato

In un futuro prossimo in cui regna suprema l’intelligenza artificiale, le emozioni umane sono ormai considerate una minaccia. Per liberarsene, Gabrielle deve purificare il suo DNA: si immerge quindi in vite precedenti, dove rincontra Louis, suo grande amore. Ma la donna è vinta dalla paura, un presagio che la catastrofe è vicina.

Nel 2024 del film di Bonello, il 67% della popolazione è disoccupata: per dedicarsi a percorsi professionali di un certo livello, infatti, bisogna disfarsi di ogni emozione, estrarre ogni trauma e paura che ci hanno segnati nel passato dal nostro DNA. I personaggi di La Bête vivono in un mondo ormai completamente automatizzato, eppure, non fanno altro che parlare di emozioni: si dicono che l’ansia rende vive, si confrontano con la paura che l’amore porta con se, vivono scenari in cui devono affrontare lutti, si cercano e non si trovano, o incidenti spiacevoli. In ogni immersione purificante, il pattern di vita dei protagonisti è sempre lo stesso, con dettagli si adattano alle diverse realtà temporali. Si corteggiano, si allontanano, cercano di incontrarsi per scacciare questo infasto presentimento che passa di rimbalzo dall’uno all’altro.

Lea Seydoux e George McKay in La Bete di Bertrand Bonello

Tra melodramma e fantascienza

Con La Bête, Bonello riadatta la fantascienza al melodramma, in un gioco di specchi, possibilità mancate e senso di allerta, in cui una singola esitazione potrebbe pregiudicare l’intero corso della storia. Una visione che non incontrerà il favore di tutti, che è facile confondere con una complessità egoriferita. D’altronde, come la Bestia del titolo, il film di Bonello mette il pubblico di fronte alla stessa scelta dei suoi protagonisti, che oppone le emozioni alla performance, in un incontro tra passato, presente e futuro repentino quanto i suoi cambi stilistici.

Lea Seydoux si presta a un’interpretazione che riecheggia quella di Scarlett Johansson in Under the Skin di Jonathan Glazer, adattandosi a ogni cambio di registro che l’alternanza temporale porta con se. Si passa dall’atmosfera bohémien del 1914, che ricorda l’House of Tolerance di Bonello, a una parte ambientata in una Los Angeles del 2014 – molto The Neon Demon – per tornare al futuro prossimo nel 2044, qualcosa di non molto distante a ciò a cui ci ha abituati Black Mirror. George McKay, che ha sostituito Gaspard Ulliel dopo la morte del giovane attore, si mette alla prova con un ruolo insidioso, dimostrando non solo di saper reggere il confronto con una veterana come la Seydoux, ma anche di accompagnare l’arco della sua amata coerentemente, sfuggevole, inquietante, innamorato o angosciato a seconda delle circostanze.

Volutamente imponente nella dimensione estetica e strutturale, La Bête racconta un’idea di cinema estremamente personale, che attrae e respinge in ugual misura, confondendoci e disseminando la trama di indizi nella sua parte iniziale per poi esplodere in un terzo atto da amare od odiare. Bertrand Bonello ne è consapevole, non ha mai forzatamente cercato di arrivare al cuore degli spettatori con i suoi film. Tuttavia, aggiungendo un certo livello di emotività alla vicenda di Gabrielle e Louis, confeziona il suo film più maturo, che vuole essere ricordato, sopravvivere all’annientamento tecnologico e diventare memoria.

 
 

Evil Does Not Exist, Ryūsuke Hamaguchi presenta il film alla Mostra del Cinema di Venezia

Evil Does Not Exist Ryusuke Hamaguchi

Reduce dalla vittoria agli Oscar per il suo Drive my Car, il regista giapponese Ryūsuke Hamaguchi porta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo film, dal titolo Evil Does Not Exist, storia di Takumi e sua figlia Hana, che vivono nel villaggio di Mizubiki, nei pressi di Tokyo. Come altre generazioni prima di loro, conducono una vita modesta assecondando i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli abitanti del villaggio vengono però a conoscenza del progetto di costruire, vicino alla casa di Takumi, un glamping, inteso a offrire ai residenti delle città una piacevole fonte di “evasione” nella natura.

Quando due funzionari di Tokio giungono al villaggio per tenere un incontro, diventa chiaro che il progetto avrà un impatto negativo sulla rete idrica locale, e ciò causa il malcontento generale. Le intenzioni contraddittorie dell’agenzia mettono in pericolo sia l’equilibrio ecologico dell’altopiano sia lo stile di vita degli abitanti. “In questo film ho avuto la meravigliosa opportunità di lavorare nuovamente con il compositore di Drive My Car, Eiko Ishibashi. – racconta Hamaguchi – Il progetto del film è iniziato quando mi ha chiesto di creare alcune riprese per la sua performance dal vivo e ho concepito il film come un “materiale originale” per le riprese”.

Man mano che mi legavo sempre di più al film che stavamo creando, anche Eiko e le sue amiche mi hanno aiutato molto nelle riprese. Era un modo molto libero di fare cinema, cosa che mi ha rivitalizzato molto. Dopo le riprese, sentivo di aver catturato le interazioni delle persone nella natura e di aver completato il lavoro come un unico film con il bellissimo tema musicale di Eiko Ishibashi. Spero che il pubblico senta la forza vitale delle figure che si agitano nella natura e nella musica di Evil Does Not Exist”.

Evil Does Not Exist conferenza stampa Venezia

Il lavoro degli attori sui personaggi

“Per quanto riguarda il mio personaggio, – racconta Ryuji Kosaka, interprete di Takumi – mi ha molto interessato il suo stile di vita così vicino alla natura, il tagliare la legna, raccogliere l’acqua del fiume o cercare funghi e altre piante del bosco. Era un modo di vivere che mi interessava poter esplorare”.Io invece ho pensato ad Hana come una bambina molto vivace e curiosa – aggiunge la giovane Ryo Nishikawa, interprete della figlia di Takumi.

Aiko Masubuki, interprete di uno dei due funzionari, afferma invece che “c’erano aspetti del mio personaggio con cui potevo immedesimarmi ma sin da subito ho scelto di non stringermi troppo alla sua personalità e mantenere un minimo di distacco“. “Per il mio personaggio mi sono invece chiesta come poter dar vita ad una personalità confusa, divisa tra il proprio lavoro e il bisogno di mantenersi vicino al bene comune”, spiega Ayaka Shibutani, interprete dell’altro funzionario presente nel film.

Il rapporto con la natura di Hamaguchi

“Prima di girare Evil Does Not Exist, in realtà, non avevo una grande connessione con la natura, mi limitavo a frequentare i parchi di Tokyo. – spiega Hamaguchi – Dopo averlo girato mi sono reso conto di quanto essa sia importante per sentirci ispirati ma anche per guarirci dai mali di ogni giorno. Ho notato che di questi tempi quando poni degli elementi naturali in un film emerge subito il tema della salvaguardia ambientale, quindi sapevo di non poter evitare questa idea e per questo mi sono concentrato sul mostrare come un dialogo sincero possa essere, forse, l’opzione migliore per cercare delle concrete soluzioni su tale questione”, conclude Hamaguchi.

 
 

Sofia Coppola presenta Priscilla, il biopic sull’eterno amore di Elvis

Il cast di Priscilla alla conferenza stampa del film

Scritto e diretto da Sofia Coppola, Priscilla, in concorso al Festival di Venezia 2023, è basato sul libro di memorie del 1985 Elvis and Me, scritto da Presley e Sandra Harmon. Nel film, la giovanissima Priscilla Beaulieu (incontra Elvis a una festa, quando è già una superstar del rock-and-roll, ma diventa  per lei una persona del tutto inaspettata nei momenti privati: una cotta entusiasmante, un alleato nella solitudine, un migliore amico vulnerabile. Dal punto di vista di Priscilla, il film esamina il lato inedito di un grande mito americano nel lungo corteggiamento e nel turbolento matrimonio di Elvis e Priscilla.

Alla conferenza stampa di presentazione del film, la regista ha spiegato cosa l’abbia spinta a dedicarsi a questo progetto: “sono rimasta colpita dal fatto che l’ambientazione è così insolita, ma lei attraversa tutte le cose che tutte le ragazze attraversano crescendo verso la femminilità – il suo primo bacio e il diventare madre – tutti questi momenti a cui potevo riferirmi, ma in questa ambientazione così insolita che siamo così curiosi di conoscere“.

In un momento molto emozionante della conferenza stampa, la stessa Priscilla Presley ha raccontato come è stato affiancare Coppola e il cast condividendo con loro momenti della sua vita: “È molto difficile stare seduti a guardare un film che parla di te, della tua vita e del tuo amore. Sofia ha fatto un lavoro straordinario, ha fatto il suo dovere… E io ho dato tutto quello che potevo per lei“.

È stato molto difficile per i miei genitori capire che Elvis si interessasse così tanto a me e penso davvero che, poiché ero più una persona che ascoltava, Elvis mi riversava il suo cuore, le sue paure, le sue speranze, la perdita di sua madre che non aveva mai superato, e io ero la persona che si sedeva davvero per ascoltarlo e confortarlo. Ero un po’ più grande nella vita che nei numeri e questa era l’attrazione. La gente pensa: “Oh, era sesso, era questo”. Non è affatto così. Non ho mai fatto sesso con lui. Era molto gentile, molto tenero, molto affettuoso, ma rispettava anche il fatto che avessi solo 14 anni“.

Presley ha anche chiarito che quando se ne andò, anni dopo, “non fu perché non lo amavo, era l’amore della mia vita. Era lo stile di vita che era così difficile per me… Avevamo nostra figlia e mi assicuravo che lui la vedesse sempre, era come se non ci fossimo mai lasciati. Voglio che questo sia chiaro“.

Il film è interpretato da Cailee Spaeny nel ruolo di Priscilla Beaulieu Presley e da Jacob Elordi nel ruolo di Elvis. Il cast ha potuto recarsi a Venezia per sostenere il film dopo aver ricevuto un accordo provvisorio SAG-AFTRA. Proprio in merito allo sciopero, Coppola ha detto: “È un lavoro duro lottare per un giusto compenso e spero che si risolva presto perché ci sono così tante persone che vogliono tornare a lavorare“.

Spaeny ha detto di aver accettato il ruolo: “Con molto timore, ma sono stato molto fortunato ad avere un po’ di tempo con Priscilla. È stata molto generosa con il suo tempo e molto gentile con me e mi ha sostenuto“. Elordi ha commentato: “L’intera prospettiva che avevo di fronte era una specie di enorme montagna e mi ha detto: “Mettiti i paraocchi e vai fino in fondo”. Non c’era spazio per non farlo“.

Parlando della relazione tra Priscilla ed Elvis, il giovane protagonista di Euphoria ha attirato gli applausi dei giornalisti: “La cosa più impressionante per me è la portata di questo amore e la potenza di questo amore. E ancora oggi, anche se lui non è qui, quando parli con Priscilla puoi ancora sentire l’amore. È vero, è imperituro ed è semplicemente bellissimo… È questo legame che unisce due persone e penso che sia per l’eternità“.

Priscilla arriverà nelle sale statunitensi il 27 ottobre tramite A24. Mubi ha anche acquisito i diritti in diversi territori, tra cui il Regno Unito.

 
 

Coup de Chance, Woody Allen: “Quando ero giovane i film che più mi colpivano erano francesi e italiani”

COUP DE CHANCE Valerie Lemercier Woody Allen e Lou de La ge
Credits Giorgio Zucchiatti © La Biennale di Venezia

Woody Allen arriva a Venezia 80 per presentare la qua cinquantesima pellicola. Il regista torna in Francia, ormai una seconda casa per i suoi film anche se il nuovo Coup de Chance è girato internamente in francese. Parigi, ambientazione che nel 2010 Woody Allen porta in scena in Midnight in Paris e in Tutti dicono I Love You: “Quando ero giovane i film che più mi colpivano erano quelli francesi e italiani, tutti volevamo realizzare film come gli europei e per tutta la mia vita ho cercato di fare così e da tempo volevo realizzare la storia di due americani che vivono a Parigi e sono così innamorato della Francia che ho voluto realizzarlo in lingua francese. Volevo unirmi a quel gruppo di registi composto da Truffaut, Godard, Renoir e tanti altri ancora che considero maestri”, afferma il regista.

In Coup de Chance, già dal titolo appare chiaro il risultato dell’opera. Il colpo di fortuna, il caso, il destino sono tutti argomenti ricorrenti. Per Woody Allen sono anche argomenti con cui ha un forte legame: “Sono stato fortunato per tutta la mia vita, ho una famiglia, non sono mai stato in ospedale, non mi è mai accaduto nulla di male. Quando ho iniziato a fare film altrettanto sono stato fortunato, ho ricevuto molto rispetto e spero che continui ad essere così”. Continua dicendo: “Coupe de Chance e Match Point riflettono entrambi su come il caso e la fortuna possano avere un impatto nella nostra vita. Non penso ci sia nulla che possiamo fare con la morte. Alla fine di questo film abbiamo lasciato che il sottotitolo “non farci troppo caso” rimanesse più a lungo delle immagini perché è così che dovremmo rapportarci con la morte e il caos della vita.

Coup de Chance, Vittorio Storaro: “Chiamatemi autore della fotografia non direttore”

Quella tra Allen e Vittorio Storaro è una collaborazione che va è iniziata nel 2016 per Café Society. Autore della fotografia la sua impronta nei film di Allen contribuisce una resa delle immagini particolarmente curiosa. “Bisogna dare rispetto al regista e all’autore della fotografia. Noi non siamo director, noi siamo co-autori della fotografia cinematografia, ovvero scrivere con la luce in un’immagine. Noi dobbiamo avere un rapporto con i colori e le ombre per analizzare il concetto delle parole e presentarle al regista e se lui approva quella mia lettura allora mi sento soddisfatto, perché ho saputo comprendere le intenzioni del solo e unico regista”, racconta Vittorio Storaro in conferenza stampa.

Io senza uno scritto e senza un regista non esisto. Quando ho letto la sceneggiatura di questo film ho quindi ritrovato una cosa che amo molto, ovvero la dualità: con il marito Fanny ha un preciso tono cromatico, mentre quando è con l’amante ne ha un altro che è più concentrato sui toni caldi e solari. Quando è con il marito è invece tutto azzurro, freddo. Questo è stato il concetto visivo che ho presentato a Woody e lui lo ha ritenuto coerente con quanto aveva scritto”, conclude.

Nonostante da ormai diversi anni giri voce di un possibile addio alla sedia da regista per Woody Allen, 87 anni, c’è ancora molto lavoro da fare: “Ho una nuova buona idea per un film a New York e se qualcuno si offrirà di finanziarlo alle mie strette condizioni, allora sì, lo farò”.

 
 

Enea, il trailer del film di Pietro Castellitto

Ecco il trailer di Enea, che sarà presentato in Concorso alla 80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia. Nel suo nuovo film, Pietro Castellitto recita anche al fianco di Giorgio Quarzo Guarascio, Benedetta Porcaroli, Chiara Noschese, Giorgio Montanini, Adamo Dionisi, Matteo Branciamore, Cesare Castellitto, Clara Galante, Paolo Giovannucci e con Sergio Castellitto.

Enea, la trama

Enea rincorre il mito che porta nel nome, lo fa per sentirsi vivo in un’epoca morta e decadente. Lo fa assieme a Valentino, aviatore appena battezzato. I due, oltre allo spaccio e le feste, condividono la giovinezza. Amici da sempre, vittime e artefici di un mondo corrotto, ma mossi da una vitalità incorruttibile. Oltre i confini delle regole, dall’altra parte della morale, c’è un mare pieno di umanità e simboli da scoprire. Enea e Valentino ci voleranno sopra fino alle più estreme conseguenze.  Tuttavia, droga e malavita sono l’ombra invisibile di una storia che parla d’altro: un padre malinconico, un fratello che litiga a scuola, una madre sconfitta dall’amore e una ragazza bellissima, un lieto fine e una lieta morte, una palma che cade su un mondo di vetro. È in mezzo alle crepe della quotidianità che l’avventura di Enea e Valentino lentamente si assolve. Un’avventura che agli altri apparirà criminale, ma che per loro è, e sarà, prima di tutto, un’avventura d’amicizia e d’amore.

 
 

L’Esorcista oggi in versione restaurata a Venezia Classici

l'esorcista

L’Esorcista, che ha sconvolto il mondo terrorizzando generazioni di spettatori ed è tuttora considerato un capolavoro della storia del cinema, viene presentato oggi all’80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sua versione restaurata Director’s Cut 4K nell’ambito della sezione Venezia Classici.

In occasione del 50° anniversario di quest’opera epocale tratta dal romanzo omonimo di William Peter Blatty, il film sarà proiettato nei cinema italiani nei giorni25, 26 e 27 settembre nella sua spettacolare versione Director’s Cut, completamente restaurata in 4K da Warner Bros. Discovery. Questo evento senza precedenti porterà nuovamente l’orrore e il brivido nelle sale cinematografiche, illuminando il buio con immagini straordinarie che terranno gli spettatori incollati allo schermo, proprio come ha fatto con le generazioni passate.

Credo che The Exorcist sia tanto intenso oggi, a distanza di cinquant’anni, quanto lo fu al momento della sua prima uscita. È questa la genialità della storia di William P. Blatty’ – dichiarava il compianto regista William Friedkin, scomparso nelle scorse settimane, in occasione dell’annuncio della presenza della versione restaurata del film alla Mostra del Cinema.

L’Esorcista è molto più di un semplice film horror; è un’icona del cinema, una pietra miliare nella storia del grande schermo. Da quando è stato presentato per la prima volta nel lontano 1973, ha spaventato, affascinato e incantato il pubblico di tutto il mondo. Le sue scene indimenticabili, i personaggi iconici e l’atmosfera da brivido lo rendono un’opera d’arte cinematografica senza tempo. Anche dopo cinque decenni, continua a esercitare un impatto culturale straordinario, influenzando il genere horror e l’arte del cinema in generale. È una testimonianza del potere duraturo del cinema nel catturare l’immaginazione e spingere gli spettatori al limite del terrore e della suspense.

In occasione di questo anniversario epocale, Warner Bros. Discovery ha dedicato un impegno straordinario per restaurare L’Esorcista in una magnifica versione Director’s Cut, con una qualità visiva ineguagliabile grazie alla tecnologia 4K. Ogni dettaglio è stato curato con precisione, dal suono inquietante ai dettagli visivi mozzafiato, creando un’esperienza cinematografica completamente immersiva.

Per celebrare questa ricorrenza straordinaria, “L’Esorcista Director’s Cut – 4K Restaurata” farà il suo ritorno spettacolare nei cinema di tutta Italia. L’evento si terrà nei giorni 25-26-27 settembre e offrirà agli spettatori una rara opportunità di rivivere l’angosciante storia di possessione e fede su uno schermo grande come la vita stessa. Questa tre giorni di evento esclusivo promette di essere un’esperienza imperdibile per gli amanti del cinema, sia per coloro che conoscono già l’opera, sia per chi vuole sperimentarla per la prima volta. Questo evento epico è un omaggio a un capolavoro senza tempo, che ha spaventato, incantato e influenzato innumerevoli spettatori attraverso le generazioni.

 
 

The Caine Mutiny Court-Martial: recensione del film di William Friedkin #Venezia80

The Caine Mutiny Court-Martial recensione film

“Tutti i film che ho realizzato, che ho scelto di realizzare, riguardano la sottile linea tra il bene e il male. E anche la sottile linea che esiste in ognuno di noi. Questo è ciò di cui parlano i miei film”. Con questa citazione del regista William Friedkin viene introdotto alla Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo film dal titolo The Caine Mutiny Court-Martial, che arriva a dodici anni dal suo precedente lungometraggio, Killer Joe, dopo essersi scolpito un posto nella storia del cinema grazie a film come Il braccio violento della legge, L’esorcista e Vivere e morire a Los Angeles.

Si tratta, come noto, dell’ultima fatica cinematografica di Friedkin, venuto a mancare nell’agosto di quest’anno, prima di poter dunque presentare il nuovo film al grande pubblico. Arrivato a Venezia senza il proprio regista, The Caine Mutiny Court-Martial si dimostra essere in ogni caso la testimonianza di un Friedkin in piene forze, che adatta l’opera teatrale di Herman Wouk dal titolo Corte marziale per l’ammutinamento del Caine con meticolosa precisione, gusto per la parola e completa padronanza del ritmo, facendo dunque di questo nuovo lungometraggio un’opera di grande valore.

The Caine Mutiny Court-Martial, la trama del film

La vicenda narrata vede l’avvocato Greenwald (Jason Clarke) difendere con riluttanza Maryk (Jake Lacy), l’ufficiale della Marina che ha sollevato dal comando il  tirannico capitano Queeg (Kiefer Sutherland), accusato di instabilità mentale nel corso di una violenta burrasca. Man mano che il processo va avanti, Greenwald diventa sempre più interessato a fare chiarezza, domandandosi se quello del Caine sia stato un vero ammutinamento o semplicemente l’atto coraggioso di un gruppo di marinai che non potevano più fidarsi del loro instabile capitano.

Dal testo allo schermo

Legal drama a tutti gli effetti, The Caine Mutiny Court-Martial era un film che Friedkin ambiva a realizzare da tempo, affascinato dai dubbi che il racconto morale solleva e da quel confine tra bene e male esistente in ogni essere umano e che per tutta la sua carriera il regista ha esplorato. Lo spettatore viene dunque fatto entrare in una piccola aula dove si svolge il processo tra Maryk e Queeg e qui rimarrà sostanzialmente fino alla fine, ascoltando le testimonianze dei due diretti in causa come anche quelle di una serie di testimoni ed esperti. Ci si trova dunque di fronte ad un film dalla forte economia narrativa, dove alla parola è conferita massima attenzione.

Friedkin, anche sceneggiatore del film, riadatta il testo non solo per aggiornarlo ma anche per incrementare la musicalità delle battute, delle parole, dando così vita ad un film che è un piacere ancora solo da ascoltare. The Caine Mutiny Court-Martial è però non solo una vera e propria lezione di adattamento, quanto anche di costruzione delle immagini. Quelle che potrebbero apparire delle limitazioni – la sola location e il forte uso della parola – non impediscono a Friedkin di lavorare su una ricerca del ritmo e in generale della messa in scena degni di un maestro quale è lui. Non è un film facile questo, specialmente se non si è amanti di questo genere di opere, ma è davvero difficile staccare gli occhi dallo schermo.

Il confine tra bene e male

Friedkin riesce dunque a rendere appassionante la vicenda narrata, fornendo indizi, testimonianze, prove o suggestioni che permettono di far emergere tutta l’ambiguità e l’universalità di quanto proposto. Lo spettatore si trova infatti a dover scegliere egli stesso da che parte stare, se da quella dell’ufficiale Maryk o quella del capitano Queeg. Per scegliere, occorre ascoltare quanto viene detto, cercare di formulare il proprio giudizio, che può essere naturalmente influenzato da innumerevoli fattori personali. Il regista sceglie di rimanere volutamente ambiguo, proponendo sì una risoluzione dei fatti ma concentrandosi sul far emergere, una volta di più, quel confine tra bene e male e la sua facilità nell’oltrepassarlo, sia in un senso che nell’altro.

 
 

Saltburn: Emerald Fennell ha scelto Jacob Elordi senza aver mai visto Euphoria

Saltburn

Jacob Elordi ha ottenuto il ruolo da co-protagonista in Saltburn anche se la regista Emerald Fennell non ha mai visto un episodio di Euphoria, la serie HBO che ha regalato a Elordi il primo assaggio di fama.

Meglio conosciuto per aver interpretato il personaggio di Nate Jacobs nel cast principale della serie HBO, Jacob Elordi sarà sul grande schermo accanto a Barry Keoghan (Gli spiriti dell’isola) in Saltburn. Il film segue uno studente di Oxford di nome Oliver Quick (Keoghan) che viene trascinato in un mondo sensuale di intrighi e opulenza durante una visita alla sontuosa tenuta del suo irresistibile compagno di classe Felix (Elordi).

Emerald Fennell (vincitrice dell’Oscar per la sceneggiatura del suo debutto alla regia Una donna promettente, e parte del cast di Barbie) ha recentemente parlato con Vanity Fair prima dell’uscita di Saltburn, prevista per il 24 novembre negli USA, commentando il fatto che non ha mai visto un solo episodio di Euphoria. Tuttavia, ha scelto Elordi per un ruolo importante nel suo film grazie al provino dell’attore:

“Ha offerto una performance incredibilmente potente, rilassata e reale di una persona che potrebbe facilmente non essere reale. Puoi capire perfettamente che nessuno sarebbe capace di resistere a questa persona. Ma allo stesso tempo puoi anche capire che è anche una sorta di illusione, un’illusione che altre persone proiettano su di lui – e in realtà non è necessariamente particolarmente speciale o interessante. Sembra proprio che lo sia.”

Nel cast del film ci sono Jacob Elordi (Euphoria), Barry Keoghan (Gli Spiriti dell’Isola) e Rosamund Pike (Gone Girl). I dettagli della trama sono stati tenuti nascosti, con l’unico indizio che Saltburn è una “storia di ossessione”. Guarda il trailer del film.

 
 

Woody Allen continua a pensare al ritiro. Sulla cancel culture: “È sciocca”

Un colpo di fortuna (Coup de chance) film 2023

Woody Allen presenta al Festival del cinema di Venezia il suo ultimo film, Coup de Chance, un thriller romantico che sarà il suo cinquantesimo e che potrebbe essere il suo ultimo film. Il film in lingua francese, proiettato in uno dei maggiori festival europei, rappresenta il continuo abbraccio reciproco tra il regista e il continente, dice Variety, dopo che le controversie legali che lo hanno visto protagonista lo hanno allontanato dagli Stati Uniti.

“Ho così tante idee per i film che sarei tentato di realizzarli, se fosse facile finanziarli – ha spiegato Woody Allen – Ma oltre a ciò, non so se ho la stessa verve di un tempo per andare a cercare i fondi.” 

Nel corso dell’intervista con Variety, il regista ha anche ribadito il fatto di essere un sostenitore del #MeToo. “Penso che qualsiasi movimento in cui ci sia un beneficio reale, in cui si fa qualcosa di positivo, in questo caso per le donne, sia una buona cosa. Quando diventa sciocco, è sciocco. Ho letto casi in cui è stato molto vantaggioso, in cui la situazione è stata molto vantaggiosa per le donne, e questo è positivo. Quando leggo di alcuni casi in un articolo sul giornale in cui il movimento diventa sciocco, allora lo è.” 

E quando gli viene chiesto di spiegarsi meglio, Woody Allen risponde: “È sciocco, sai, quando non è realmente una questione femminista o una questione di ingiustizia nei confronti delle donne. Quando si è troppo estremi nel cercare di trasformarlo in un problema quando, in realtà, la maggior parte delle persone non considererebbe la situazione specifica per nulla offensiva.”

E per quello che riguarda la sua esperienza personale, Allen conferma di non aver mai ricevuto lamentele riguardo ai suoi set e al suo modo di lavorare: “Non ho mai ricevuto lamentele. Anni fa ho detto che avrei dovuto essere un manifesto [del movimento #MeToo] e ne sono rimasti tutti entusiasti. Ma la verità è che è proprio così. Ho realizzato 50 film. Ho sempre avuto ottime parti femminili, ho sempre avuto donne nella troupe, le ho sempre pagate esattamente la stessa cifra che pagavamo agli uomini, ho lavorato con centinaia di attrici e non ho mai, mai avuto una sola lamentela da parte di nessuna di loro in nessun caso. Punto. Nessuno ha mai detto: “Lavorando con lui, era cattivo o molesto”. Questo non è stato un problema. I miei redattori sono state donne. Non ho alcun problema con questo. Non è mai stato nella mia mente in alcun modo. Assumo chi penso sia adatto al ruolo. Come ho detto, ho lavorato con centinaia di attrici, attrici sconosciute, star, attrici di medio livello. Nessuno si è mai lamentato e non c’è niente di cui lamentarsi.”

E sulla cancel culture e sull’eventualità di esserne vittima, Woody Allen spiega: “Sento che se questa cultura vuole cancellarti, allora va bene. Trovo che sia tutto così sciocco. Non ci penso. Non so cosa significhi essere cancellato. So che nel corso degli anni per me è stato tutto uguale. Faccio i miei film. Ciò che è cambiato è la presentazione dei film. Sai, lavoro e per me è la stessa routine. Scrivo la sceneggiatura, raccolgo i soldi, realizzo il film, lo giro, lo monto, esce. La differenza non è dovuta alla cultura dell’annullamento. La differenza è il modo in cui presentano i film. È questo il grande cambiamento.”

Woody Allen presenterà al Festival di Venezia 80, nel Fuori Concorso, Coup de Chance.

 
 

Guillermo Del Toro ha fatto da regista di riserva per l’ultimo film di William Friedkin

Guillermo Del Toro
Guillermo Del Toro - Leone d'Oro - Foto de La Biennale

Guillermo Del Toro ha fatto da regista di riserva per il suo amico, il grande William Friedkin, durante le riprese dell’ultimo film di Friedkin The Caine Mutiny Court-Trial, presentato in anteprima mondiale al Festival del cinema di Venezia.

William Friedkin: l’omaggio di Damien Chazelle a Venezia 80

Friedkin, morto il 7 agosto a Los Angeles all’età di 87 anni, aveva bisogno contrattualmente di un sostegno per poter realizzare il film, “È molto comune come pratica, Hollywood è discriminatoria verso l’età”, ha detto la produttrice Annabelle Dunne che ha deciso di non rivelare la cosa fino alla conferenza stampa di presentazione al Lido e ha raccontato che quando ha sollevato la questione con Friedkin lui ha detto: “Lasciatemi pensare” prima di dirle che aveva il nome: “Ok, tesoro, ho il ragazzo. Prendi una penna: è Guillermo Del Toro, hai capito?”.

Quando Dunne ha poi contattato Del Toro, che all’epoca stava promuovendo il suo Pinocchio, le disse: “Verrò sul set ogni singolo giorno e mi siederò accanto a te”. “È stata una gioia per tutti noi, compresi gli attori, avere la sua presenza lì”, ha ricordato. “Ha chiarito abbondantemente che era il film di Billy. Ha detto che era la nostra mascotte.” Il film è stato completato prima della morte di William Friedkin.

The Caine Mutiny Court-Trial vede Kiefer Sutherland nei panni del tenente comandante Queeg, sotto processo per ammutinamento per aver usurpato il comando di una nave dopo che le azioni del comandante di diritto erano state ritenute pericolose per la nave e per il suo equipaggio.

L’ultimo film di William Friedkin della Republic Pictures è basato sull’opera teatrale vincitrice del Premio Pulitzer di Hermon Wouk. La storia è stata precedentemente adattata per lo schermo in un film del 1954 di Edward Dmytryk con Humphrey Bogart nel ruolo di Queeg e in un film per la TV del 1988 diretto da Robert Altman.

The Caine Mutiny Court-Martial, distribuito da Paramount Global Content Distribution, uscirà su Paramount+ questo autunno in tutti i mercati internazionali in cui il servizio di streaming è attivo e verrà trasmesso su Showtime negli Stati Uniti. Non sarà distribuito nelle sale.

 
 

Yorgos Lanthimos sulle scene di sesso di Emma Stone in Povere Creature: “Era importante che il film non fosse pudico”

Yorgos Lanthimos
Yorgos Lanthimos sul red carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Alla conferenza stampa di presentazione di Povere Creature (leggi la recensione) alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia 80, il regista Yorgos Lanthimos ha detto che avrebbe davvero desiderato che Emma Stone fosse al Lido per parlare, tra le altre cose, del fatto che Bella Baxter, il personaggio che interpreta, ha molte scene di sesso nel film.

“È un peccato che Emma non possa essere qui per parlarne di più”, ha detto il regista. “Prima di tutto il sesso è una parte intrinseca del personaggio del romanzo stesso, la sua libertà su tutto, compresa la sessualità (…) In secondo luogo, per me era molto importante non fare un film che fosse pudico, perché sarebbe stato come tradire completamente il personaggio principale”, ha continuato. “Dovevamo essere sicuri che Emma non dovesse vergognarsi del suo corpo, della sua nudità, del coinvolgimento in quelle scene e lei lo ha capito subito.”

“La cosa bella di me ed Emma è che abbiamo realizzato quattro film insieme; c’è una scorciatoia e possiamo comunicare senza dover spiegare o parlare molto delle cose”, ha continuato a spiegare Lanthimos. “Appena cominciavo a dire qualcosa su quelle scene, lei diceva: ‘sì’, certo, è Bella. Faremo quello che dobbiamo fare”.

Basato sul romanzo omonimo di Alasdair Gray, Povere Creature è una storia ispirata a Frankenstein e vede Emma Stone nei panni di una giovane donna che viene riportata in vita da uno scienziato (Willem Dafoe) che le impianta il cervello del suo bimbo mai nato. Nel film recitano anche Mark Ruffalo, Ramy Youssef e Jerrod Carmichael. Il film uscirà nelle sale italiane il 25 gennaio 2024.

 
 

William Friedkin: l’omaggio di Damien Chazelle a Venezia 80

Damien Chazelle
Damien Chazelle sul red carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Damien Chazelle ha reso omaggio al defunto William Friedkin in un commovente discorso al Festival del cinema di Venezia, dove l’ultimo film di Friedkin, The Caine Mutiny Court-Trial, è stato presentato in anteprima fuori concorso tra calorosi applausi.

Friedkin, morto il 7 agosto a Los Angeles all’età di 87 anni, aveva completato il film, che vede Kiefer Sutherland nei panni del tenente comandante Queeg, sotto processo per ammutinamento per aver usurpato il comando di una nave dopo che le azioni del comandante di diritto erano state ritenute pericolose per la nave e per il suo equipaggio.

“Quando ho sentito per la prima volta il nome Billy Friedkin ero un bambino, e il nome stesso mi ha riempito di paura”, ha detto Chazelle, che presiede la giuria di Venezia 80. “Probabilmente avevo in mente L’Esorcista. Non avevo ancora visto il film, ma avevo visto le lettere scritte con quel carattere e il suono della parola “Fried-kin” sembrava suggerirmi i recessi più oscuri e proibiti dell’immaginazione. Il genere di cose che ispirano incubi per il resto della tua vita”, ha aggiunto Chazelle.

“Quindi per me William Friedkin significava paura. Ma oggi penso al suo nome, e penso all’amore. Penso all’amore per il cinema, all’amore per tutta l’arte e alla visione di come le arti possano intersecarsi e informarsi a vicenda. Una visione del cinema non separata, ma indissolubilmente legata alla musica, alla letteratura, alla pittura. Ovviamente all’opera”, ha sottolineato Chazelle. “Penso alla gentilezza e alla generosità che mi ha mostrato quando avevo iniziato a lavorare come regista”, ha continuato Damien Chazelle raccontando che quando aveva appena realizzato il suo film del 2014, Whiplash, Friedkin lo ha invitato a casa sua.

“E non dimenticherò mai l’esperienza di scoprire che un uomo responsabile di film che mi hanno dato un pugno nello stomaco così spietato, come “Sorcerer”, “French Connection”, “Cruising” e “Killer Joe”, era di persona così affettuoso, così accogliente, così dolce, umile, amorevole. Conoscere Billy e trascorrere del tempo con lui e Sherry [Lansing] è stato uno dei più grandi onori della mia vita” ha continuato il regista.

“Era impavido in ogni senso della parola. Nei suoi film si ha la sensazione di un regista e dei suoi personaggi che si spingono oltre i confini di ciò che è possibile e alla fine li superano.

L’ultimo film di William Friedkin della Republic Pictures è basato sull’opera teatrale vincitrice del Premio Pulitzer di Hermon Wouk. La storia è stata precedentemente adattata per lo schermo in un film del 1954 di Edward Dmytryk con Humphrey Bogart nel ruolo di Queeg e in un film per la TV del 1988 diretto da Robert Altman.

The Caine Mutiny Court-Martial, distribuito da Paramount Global Content Distribution, uscirà su Paramount+ questo autunno in tutti i mercati internazionali in cui il servizio di streaming è attivo e verrà trasmesso su Showtime negli Stati Uniti. Non sarà distribuito nelle sale.

 
 

Veneza 80, le foto dal red carpet di Filming Italy Best Movie Award

Gabriele Salvatores
Gabriele Salvatoressul red carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Ha avuto luogo a Venezia la nuova edizione del FILMING ITALY BEST MOVIE AWARD, in cui Tiziana Rocca, Direttore Generale Filming Italy Award e Vito Sinopoli, Amministratore Unico Duesse Communication e Presidente onorario del Premio, annunceranno tutti i premiati di quest’anno. Il FILMING ITALY BEST MOVIE AWARD conta sulla collaborazione e il supporto della Biennale di Venezia e del Direttore Artistico della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia Alberto Barbera, e gode del patrocinio della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del MIC, di ANEC, di ANICA e del Centro Sperimentale di Cinematografia.

La giuria di qualità è composta da diversi esponenti tra le eccellenze della cinematografia italiana: Alberto Barbera,  Direttore Artistico della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia; Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema; Chiara Sbarigia, Presidente di Cinecittà; Guglielmo Marchetti, Presidente e AD di Notorious Pictures; Tinny Andreatta, VP delle serie originali italiane Netflix; Giampaolo Letta, VP e AD di Medusa; il giornalista Antonello Sarno; Maria Pia Ammirati, Direttore Rai Fiction; Luciano Sovena, Presidente della Fondazione Roma Lazio Film Commission; Nicola Maccanico, AD di Cinecittà; Roberto Stabile, Responsabile delle relazioni internazionali di ANICA; Massimiliano Orfei, AD di Vision Distribution; Marta Donzelli, Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia; Mario Lorini, Presidente di ANEC; Stefano Sardo, Presidente dell’Associazione 100autori; Franco Montini, Presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI). Ecco tutte le foto dei protagonisti che hanno sfilato sul red carpet del lido:

 
 

Venezia 80: le foto di David Fincher sul red carpet per The Killer

David Fincher
David Fincher sul red carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Si è tenuta nella serata la premiere del film Originale Netflix The Killer di David Fincher in concorso a Venezia 80. Assente il cast per via dello sciopero in corso ad hollywood Michael Fassbender, Tilda Swinton, Charles Parnell, Arliss Howard, Kerry O’Malley, Sophie Charlotte, Sala Baker.

Dopo un disastroso passo falso, un assassino sfida i propri committenti, e se stesso, in una caccia all’uomo su scala globale che giura non essere personale.

Sul film The Killer

In merito al film il regista ha commentato. The Killer rappresenta il mio personale tentativo di conciliare la visione che ho da anni delle storie cinematografiche con la maniera di raccontarle. Penso da sempre che la frase: “Cosa ci facevi a Chinatown?… Il meno possibile” sia la più riuscita evocazione di una retroscena che io abbia mai sentito. Nutrivo anche una certa curiosità per il genere revenge, come strumento per creare tensione. Così quando il Sig. Walker ha deciso di unirsi a noi e ha abbracciato le mie idee/domande sulle ampie pennellate di senso che lasciano il posto all’invisibile “espansione del momento”, ho capito che dovevamo inventarci qualcosa. La risposta tre ore dopo del Sig. Fassbender: “Si, facciamolo!” ci ha convinto entrambi, e, ovviamente, volevamo tutti Tilda (Il Sig. Walker ha scritto la storia intorno a lei – ma per favore non diteglielo, potrebbe diventare insopportabile se scoprisse che letteralmente tutti pensano questo di lei).

 
 

El Paraiso: intervista ai protagonisti del film di Enrico Maria Artale

In occasione della presentazione, in Concorso, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia edizione 80, di El Paraiso, il regista Enrico Maria Artale e i protagonisti Edoardo Pesce e Margarita Rosa de Francisco hanno parlato del film.

El Paraiso, la trama

Julio Cesar ha quasi quarant’anni e vive ancora con sua madre, una donna colombiana dalla personalità trascinante. I due condividono praticamente tutto: una casetta sul fiume piena di ricordi, i pochi soldi guadagnati lavorando per uno spacciatore della zona, la passione per le serate di salsa e merengue. Un’esistenza ai margini vissuta con amore, al tempo stesso simbiotica e opprimente, il cui equilibrio precario rischia di andare in crisi con l’arrivo di Ines, giovane ragazza colombiana reduce dal suo primo viaggio come “mula” della cocaina. Tra desiderio e gelosia la situazione precipita rapidamente, al punto che Julio si troverà a compiere un gesto estremo, in un viaggio doloroso che lo porterà per la prima volta nella sua terra di origine.

 
 

Die Theorie Von Allem, recensione del film di Timm Kröger #Venezia80

Una scena del film Die Theorie Von Allem (2023)

Prima la fisica e poi le donne“: una battuta pronunciata da uno scienziato nel corso del film Die Theorie Von Allem, presentato in concorso a Venezia 80, che strappa una risata al pubblico. Solo il corso degli eventi del film di Timm Kröger ci farà capire che questa frase potrebbe sintetizzare il conflitto del suo protagonista, Johannes, un dottorando in fisica che sta scrivendo la tesi finale da due anni con non poche difficoltà e il cui percorso verso la laurea potrebbe venire ulteriormente messo in crisi da una serie di doppi femminili.

Die Theorie Von Allem, la trama

1962. Johannes Leinert, insieme al suo consulente di dottorato, si reca a un congresso di fisica sulle Alpi svizzere, dove uno scienziato iraniano dovrebbe rivelare una “teoria rivoluzionaria della meccanica quantistica”. Ma quando i fisici arrivano all’hotel a cinque stelle, l’ospite iraniano non si trova da nessuna parte. In assenza di una nuova teoria da discutere, la comunità dei fisici si rivolge pazientemente allo sci. Johannes, invece, rimane in albergo per lavorare alla sua tesi di dottorato, ma presto si distrae, sviluppando una particolare attrazione per Karin, una giovane pianista jazz. Qualcosa in lei sembra strano, sfuggente. Sembra che lei sappia delle cose su di lui, cose che lui pensava di conoscere soltanto. Quando una mattina uno dei fisici tedeschi viene trovato morto, due ispettori arrivano sulla scena, indagando su un caso di omicidio. Mentre nel cielo appaiono formazioni nuvolose sempre più bizzarre, il pianista scompare senza lasciare traccia e Johannes si ritrova trascinato in una sinistra storia di falsi ricordi, incubi reali, amori impossibili e un oscuro, ruggente mistero nascosto sotto la montagna.

Una teoria di bianchi e neri

Timm Kröger, che è stato per anni direttore della fotografia, usa la fotografia come veicolo principale per la costruzione di un’atmosfera immersiva e avvolgente, consacrata da un bianco e nero d’impostazione estremamente classica. Dal punto di vista visivo e d’immaginario, il film ha un’impronta precisa e sicura, che convince senza sovrastare la narrazione, almeno in una prima parte.

Come la tesi di Johannes, incentrata sulla probabilità e un’idea venutagli in sogno, Die Theorie Von Allem ci catapulta in un racconto di doppi, punti di vista differenti, orbite sconosciute, intrecciando la declinazione di sci-fi che un fortunatissimo prodotto televisivo sempre tedesco, Dark, ha portato in auge, alla cospirazione e all’impianto da noir classico. Purtroppo, la sua struttura sfilacciata e lacunosa, tanto quanto la tesi di Johannes – idea di partenza più che brillante – fatica a tenere alta l’attenzione dello spettatore, sempre più confuso sul ruolo che i personaggi giocano nella storia.

Timm Kröger assicura alla trama una notevole direzione degli attori, che riescono quasi sempre a rimanere dei punti di riferimento per gli spettatori, anche quando il tessuto narrativo inizia a vacillare. Jan Bülow e Olivia Ross, in particolare, convincono in una dinamica amorosa alla Vertigo, che ci fa dubitare di ogni immagine e parole pronunciate da questa famme fatale, una pianista jazz, che potrebbe saperne molto più di lui di fisica. La loro storia d’amore sopravvive all’ipertrofia semantica del film, che sta sempre su un gradino più in alto dello spettatore, sul cucuzzolo delle montagne svizzere, mentre rimaniamo intrappolati nelle grotte sotteranee dove spazio e tempo divergono.

 
 

Venezia 80, le foto dal red carpet di La bête

Presentato oggi in concorso a Venezia 80, La bête, il film francese diretto da Bertrand Bonello con Léa Seydoux e George MacKay, entrambi assenti. Sul red ha sfilato il regista e parte del cast.

In merito al film il regista ha dichiarato: “Per prima cosa, volevo ritrarre una donna e occuparmi di amore e di melodramma. Dopodiché, inserire il tutto nel cinema di genere, visto che secondo me le storie d’amore e il cinema di genere sono una buona combinazione. Ho voluto mescolare l’intimo e lo spettacolare, classicismo e modernità, il noto e l’ignoto, il visibile e l’invisibile. Parlare, forse, del più straziante dei sentimenti, la paura dell’amore. Il film è anche il ritratto di una donna, che diventa quasi documentario su un’attrice.”

Nel film In un futuro prossimo in cui regna suprema l’intelligenza artificiale, le emozioni umane sono ormai considerate una minaccia. Per liberarsene, Gabrielle deve purificare il suo DNA: si immerge quindi in vite precedenti, dove rincontra Louis, suo grande amore. Ma la donna è vinta dalla paura, un presagio che la catastrofe è vicina.

 
 

Frederick Wiseman: “La preparazione di un piatto è la creazione di un’opera d’arte”

Frederick Wiseman Menus Plaisirs

Fondato nel 1930 nella Francia centrale, il ristorante della famiglia Troisgros detiene 3 stelle Michelin da 55 anni e da quattro generazioni. Frederick Wiseman racconta questa storia attraverso i membri della storica brigata di cucina. Michel Troisgros, terza generazione a capo del ristorante, ha passato la responsabilità della cucina al figlio César, quarta generazione di chef Troisgros. Dal mercato per la raccolta delle verdure fresche, all’impianto di lavorazione del formaggio, al vigneto, all’allevamento di bestiame biologico, fino all’orto che rifornisce il ristorante, Wiseman ci accompagna in un viaggio goloso e piacevole nelle cucine dei tre ristoranti della famiglia. Un’esperienza coinvolgente, che mostra la grande maestria, l’ingegno, l’immaginazione e il duro lavoro dello staff del ristorante nel creare, preparare e presentare piatti di altissima qualità.

Michel Troisgros, Léo Troisgros e Frederick Wiseman hanno presentato il film Fuori Concorso a Venezia 80. Un film che ruota intorno al tema della gastronomia e della cucina unito all’amore per la famiglia. Lo stesso regista è affascinato da questo processo creativo e della preparazione: “Penso che la preparazione e la creazione del cibo siano una forma d’arte. Ogni piatto prima di lasciare la cucina viene esaminato con cura da Michel e Leo e ho voluto soffermarmi anche su questi piccoli dettagli come mettere in ordine gli elementi sul piatto attraverso l’uso delle pinze da cucina”.

Frederick Wiseman presenta Menus Plaisirs – Les Troisgros

Anche dalla parte degli attori e protagonisti di questa storia familiare hanno commentato la collaborazione con il regista e sono rimasti colpiti dalla sua dedizione al progetto. “Non conoscevo il cinema di Fred. Il progetto è iniziato l’anno prima del Covid. È venuto a visitarci al ristorante e ha incontrato mio figlio e ha amato il piatto che gli hanno preparato dimostrando una certa attenzione al nostro mondo, alla nostra eredità e alla nostra storia di famiglia. Ogni generazione appartiene a questo mondo. Quando ci è venuto a trovare subito dopo ci ha parlato del progetto. Poi ho recuperato tutti i suoi film, ho visto Crazy Horse [ride]”., racconta Michel.

Un progetto che ha messo a dura prova il regista con delle scene particolari e dettagliate sul lavoro di preparazione dei piatti: “La famiglia mi ha dato il permesso di girare e introdurmi ovunque, senza nessuna restrizione. Le parti da girare in cucina sono state le più difficili perché c’erano sempre molte persone e volevo essere sicuro di dare uno sguardo accurato al loro lavoro all’interno della cucina. La famiglia ci ha aiutato ad ottenere i permessi anche per gli ospiti che venivano serviti durante il servizio. Ho voluto anche soffermarmi su quello che riguarda la preparazione del piatto quindi elementi di quotidianità come la spesa al mercato”.

La narrazione fuori dal ristorante è stata necessaria per raccontare il dietro le quinte della composizione e preparazione dei piatti e ha sottolineato ancora una volta la cura e la dedizione al progetto da parte di Frederick Wiseman: “È stata una parte importante perché fa parte del nostro quotidiano perché è come se facessero parte della famiglia, sono più dei compagni di viaggio che dei fornitori, sono la risorsa che porta avanti il ristorante”.

Entrambe le parti si sono spesa anima e corpo per la riuscita di Menus Plaisirs e anche per la brigata di cucina è stato intenso condividere uno spazio così riservato con le telecamere: “È stata una sfida anche per noi ma ci siamo abituati. C’erano solo un paio di persone che si muovevano attorno a noi mentre cucinavamo. Cercava di dare consigli per rendere la scena sempre più fluida ma allo stesso tempo gli conferisce rispetto e trasmette la complicità della squadra anche attraverso i dialoghi. C’è molta intensità in cucina, Fred vuoel dare a vedere la forza dei gesti nella successione tra le varie tecniche che si accavallano in cucina, che seguono un certo ritmo” ha detto Michel.

La storia della famiglia Troisgros va avanti da moltissime generazioni e come racconta Leo, è una passione che è cresciuta con il tempo: “La passione si è trasmessa a noi dai nostri genitori davvero in modo naturale. Abbiamo sempre visto fare questo all’interno della nostra famiglia, siamo cresciuto così e questa passione si è ampliata crescendo. I nostri genitori ci hanno permesso di farde moltissime esperienze all’interno della haute cuisine e sono tutti molto interessanti”.

 
 

Bertrand Bonello presenta La Bête, inedito melodramma sci-fi

La Bete, una scena del film di Bertrand Bonello

Bertrand Bonello ha presentato quest’oggi in conferenza stampa il suo nuovo film, La Bête, melodramma sci-fi da una sceneggiatura scritta insieme a Guillaume Bréaud e Benjamin Charbit, liberamente ispirata al racconto di Henry James del 1903 La bestia nella giungla. Il film è interpretato da Léa Seydoux e George MacKay, con Guslagie Malanda e Dasha Nekrasova nei ruoli secondari. È stato presentato in anteprima mondiale in concorso ufficiale alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2023 e sarà distribuito nelle sale francesi da Ad Vitam il 28 febbraio 2024.

La trama del film è ambientata in un futuro prossimo in cui le emozioni sono diventate una minaccia, Gabrielle decide finalmente di purificare il suo DNA in una macchina che la immergerà nelle sue vite passate e la libererà da ogni sentimento forte. Incontra Louis e sente un forte legame, come se lo avesse sempre conosciuto. La storia si svolge in tre periodi distinti: 1910, 2014 e 2044.

Lo sci-fi di Bonello, tra amore e paura

La Bête costituisce la prima incursione del regista francese nel genere fantascientifico: “Avevo molti desideri per questo film, uno tra questi era che sarebbe dovuto essere un melodramma. Il libro di Henry James, che è stato per tantissimo tempo sulla mia scrivania, mi è sembrato il perfetto punto di partenza, che ho poi combinato con lo sci-fi, l’horror e altri generi. Ho pensato di dover portare all’estreme conseguenze i temi dell’amore e della paura, questa è stata la mia interpretazione e il modo in cui ho “tradito” il romanzo“. La fantascienza non fa davvero parte della mia cultura, è la prima volta che mi ci immergo come regista. Ho voluto trovare una via di mezzo tra i grandi temi dello sci-fi e l’apocalittico. Il mio film è ambientato nel futuro, ma un futuro vicinissimo, il nostro domani: è il 2044. Ho voluto eliminare delle cose del nostro presente: non c’è internet, non ci sono i cellulare, gli schermi, non ci sono le macchine: ho cercato una maniera personale di inventare un futuro“.

La struttura del film è complessa, come un gioco matematico, ma tutte le sequenze al suo interno sono molto semplici. Tutte le emozioni proposte sono molto semplici e basiche, anche quello che si dicono i personaggi, tutto è molto più semplice rispetto ai miei altri film“. “Ci sono due tipi di paura, paralizzante e che ti spinge a fare cose. Ma la paura ci fa sentire vivi, è la parte migliore dell’umanità. Ci fa voler agire, trovare delle soluzioni. Film sulla paura dell’amore. Quando c’è amore c’è paura: la paura di perdere, di qualcosa che finisca“.

La Bête: la minaccia dell’IA e il futuro del cinema

Bertrand Bonello ha anche affrontato il tema dell’IA, e quanto questa possa essere vista come opportunità o minaccia al contempo: “Quando ho iniziato a scrivere il copione, mai mi sarei aspettato che sarebbe stato così attinente alle attualiti discussioni sull’IA. Durante l’editing, abbiamo capito pienamente quanto spaventoso fosse quello che avevamo scritto”. è un mix di entrambe, sappiamo che potrebbe essere utilissima in alcuni ambiti, come quello medico. Ma è uno strumento, e gli strumenti diventano minaccia quando sono ormai più grandi di noi: è tutta una questione di etica e morale“.

La Bête parla di futuro e di presente, intrecciandoli costantemente. A questo proposito, il regista francese ha riflettuto sullo stato attuale del cinema e su come quest’arte cambierà, alla luce dei recenti avvenimenti che hanno interessato l’industria. “I capolavori della Settima Arte sono nati da momenti di crisi. Il cinema non morirà mai, il modo di vedere i film cambierà e non so come ma, se li vorremo vedere, ci sarà il modo. Ovviamente siamo tutti preoccupati, è sempre più difficile ottenere i fondi per far partire una produzione.  C’è stato un momento, soprattutto durante il covid, che il pubblico ha iniziato ad allontanarsi dal cinema e avvicinarsi alle serie. In questo momento ci sono dei problemi interni all’industria del cinema, non so cosa succederà, ma non penso che il cinema morirà“.

 
 

The Palace: recensione del film di Roman Polanski #Venezia80

The Palace recensione

Reduce dalla vittoria del Gran Premio della Giuria alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con L’ufficiale e la spiaRoman Polanski torna al Festival, stavolta fuori concorso, con The Palace. Il film segna inoltre il suo ritorno al genere della commedia satirica e dissacrante, da cui sostanzialmente mancava dal 2011, anno di Carnage. Questo nuovo lungometraggio, da Polanski scritto insieme a Jerzy Skolimowski (regista del recente EO) e Ewa Piaskowska, va dunque a riunire un gruppo di ricchi viziati all’interno di un unico ambiente, con l’intento di portare alla luce tutto il loro squallore.

Benvenuti al The Palace

Il racconto si svolge dunque all’interno del Palace Hotel, uno straordinario castello progettato all’inizio del 1900 che si trova nel bel mezzo di una valle svizzera innevata, dove ogni anno convergono da tutto il mondo ospiti ricchi e viziati, in un’atmosfera gotica e fiabesca. La festa di Capodanno 2000 li ha ora riuniti tutti in un evento irripetibile. Al servizio delle loro stravaganti esigenze c’è uno stuolo di camerieri, facchini, cuochi e receptionist. Hansueli (Oliver Masucci), zelante direttore dell’albergo, passa in rassegna lo staff prima dell’arrivo degli ospiti, ribadendo che, pur essendo l’alba del nuovo millennio, non sarà la fine del mondo, nonostante le paure nei confronti del Millennium Bug.

The Palace Fortunato Cerlino John Cleese Oliver Masucci
Fortunato Cerlino John Cleese Oliver Masucci in una scena di The Palace. Foto di M. Abramowska.

Un film dalle buone premesse…

C’era grande attesa per questo nuovo film di Polanski, capace come pochi di mettere davvero alla berlina i suoi personaggi e l’umanità tutta. Le premesse di questo The Palace facevano inoltre immaginare una nuova cinica rappresentazione di un’alta società ultimamente molto spesso posta in ridicolo (si veda ad esempio Triangle of Sadness, con cui certamente The Palace dovrà scontrarsi in un insensato paragone). Probabilmente nessuno si aspettava però di trovarsi di fronte ad un film così spiazzante, purtroppo in senso negativo. Perché The Palace non ha per nulla l’aspetto di una pungente satira, bensì di un’opera che non sa sfruttare il proprio potenziale.

Perché va riconosciuto che l’idea alla base del racconto è del tutto propria del cinema di Polanski, con questo luogo chiuso che impedisce ogni contatto con l’esterno e costringendo quanti all’interno a relazionarsi con sé stessi e con gli altri con cui non vorrebbero avere a che fare. Diversi sono inoltre i personaggi che sfoggiano da subito un certo fascino e potenziale comico, basti pensare al ricco Bill Crush di Mickey Rourke o al direttore dell’albergo Hansueli, per non dimenticare il Tonino di Fortunato Cerlino o l’Arthur William Dallas III di John Cleese, protagonista probabilmente del segmento narrativo più divertente.

Ciò che poi va riconosciuto a Polanski è la capacità di tenere in equilibrio questa grande varietà di protagonisti, passando dall’uno all’altro con grande disinvoltura ed eleganza. Polanski si aggira quasi con fare documentaristico tra i corridoi e gli spazi del Palace Hotel, indagando quanto avviene ai suoi ospiti. Assistiamo così ad una serie di microepisodi dai quali è intenzione del regista far emergere tutta una serie di sfumature sull’umanità alla fine del millennio, che tramontando sembra portare la notte anche su un’intera generazione, le sue paure e i suoi vizi.

The Palace Roman Polanski
Milan Peschel in una scena di The Palace. Foto di M. Abramowska.

… che non vengono però mantenute

Che Polanski si sia divertito a realizzare The Palace si percepisce ed è sempre bello vedere un regista che, anche a 90 anni da poco compiuti, sa infondere una tale passione nel proprio lavoro. Qualcosa deve essere andato storto in fase di produzione, tuttavia, poiché il film inizia, si svolge e finisce senza che vi sia stato un arco evolutivo particolarmente significativo, senza che si sia proposta una reale critica nei confronti di quanto vediamo. Certo, Polanski non è sguaiato come lo è Ruben Östlund, regista appunto di Triangle of Sadness, e dunque il suo messaggio può presentarsi in modo più tacito. Ma in questo caso, tuttavia, questo manca proprio di arrivare a destinazione.

Più che una satira nei confronti di questa classe sociale, del film si potranno ricordare una serie di gag piuttosto grottesche, che stanno già portando a definire The Palace come il cinepanettone di Polanski”. Se fare tale accostamento risulta davvero facile, più difficile è capire cosa possa essere accaduto ad un regista sempre così attento a ciò che avviene sul proprio set. Ciò che è certo, è che The Palace manca nel far ridere, manca nel riuscire a dire qualcosa di nuovo sull’argomento trattato e manca di dotarsi di una messa in scena che si possa dire memorabile. Il risultato è dunque un film molto sottotono, che si spera possa venire rapidamente messo in ombra dall’arrivo di un nuovo lungometraggio del Polanski che tutti conosciamo e amiamo.

 
 

David Fincher racconta il suo The Killer, “revenge thriller”

David Fincher alla conferenza stampa di The Killer

Il nuovo film di David Fincher, The Killer, è tra i titoli più attesi della Mostra del Cinema di Venezia 2023. Il regista di Fight Club e Zodiac ha raccontato quest’oggi in conferenza stampa il suo nuovo progetto, dalla scelta di Michael Fassbender come “protagonista perfetto”, alla sinergia tra ogni reparto per creare il ritratto perfetto di un killer metodico, apparentemente ineccepibile, che non lascia spazio all’empatia ma di cui, paradossalmente attraverso pochissime parole, scopriremo tanto.

The Killer è un film d’azione psicologico neo noir americano diretto da David Fincher da una sceneggiatura di Andrew Kevin Walker, basato sull’omonima serie di graphic novel francese scritta da Alexis “Matz” Nolent e illustrata da Luc Jacamon. Il film è interpretato da Michael Fassbender nel ruolo dell’assassino protagonista, che viene coinvolto in una caccia all’uomo internazionale dopo un colpo andato male. Arliss Howard, Charles Parnell, Kerry O’Malley, Sala Baker, Sophie Charlotte e Tilda Swinton appaiono in ruoli secondari. Sarà distribuito in sale limitate il 27 ottobre 2023, prima di approdare su Netflix il 10 novembre 2023.

The Killer: il codice dell’assassino

David Fincher ha svelato cosa lo ha spinto a creare una versione tanto peculiare di un serial killer: “Ho usato tante altre volte il voice over nei film: mi piace come strumento narrativo ma, in questo caso, ho aggiunto un tassello ulteriore. Mi sono chiesto se quello che ci racconta il personaggio è effettivamente vero. Tramite il voiceover, il killer crea in un qualche modo un suo codice, si impone di non allontanarsene mai, eppure sarà costretto a improvvisare nel corso del film. Quando c’è il voice over, le scene sono molto più rigorose, quando questo manca, cambia lo stile e la fotografia. C’è una scissione tra il suo mantra e il comportamento che deve aggiustare in corso d’opera“.

Michael Fassbender, tra imperturbabilità ed eleganza

Michael Fassbender, interprete duttile, capace di straordinarie azioni fisiche mantenedo sempre compostezza ed eleganza, torna con un ruolo da protagonista in The Killer: “Michael ha un set di skills incredibili, il nostro interprete doveva essere in grado di muoversi dentro uno spazio piccolissimo ma raccontandoci tanto, e Michael è il tipo di attore che riesce a tirare fuori tutte le sfumature necessarie in ogni sequenza“. “Non avevo bisogno di qualcuno che facesse paura anche a livello estetico, ma che sembrasse rigoroso. Non capiamo che quello che ripete ogni giorno è un mantra finchè non arriviamo al secondo omicidio. Pian piano, il mantra viene modificato, interrotto da qualcuno che arriva nella stanza ad esempio. Michael è riuscito a inglobare la totalità dei significati che il killer rappresenta“.

Il sound editing di The Killer

La musica occupa una parte fondamentale nella routine del killer e nella diegesi: “Il mio approccio è stato molto diverso rispetto a Fight Club, soprattutto per quanto riguarda la colonna sonora, il sound editing. Questa volta volevamo sfruttare la lente dell’intimità per entrare nel mondo del killer. Non volevo nemmeno che si sentissero i suoi vocalizzi“. “Gli Smiths sono stati un’aggiunta della post-produzione. Adoravo l’idea che potessimo usare la musica per incanalare le sue ansie o aiutarlo a meditare. La musica è la nostra finestra sulla sua personalità“. Fincher ha inoltre sottolineato come il lavoro di sound design di The Killer sia stato completamente innovativo rispetto alle sue altre produzioni: “Volevo dare un’idea quasi documentartista. In un montaggio normale, non si avvertono quasi i tagli, le immagini sono fluide. Qui, abbiamo voluto sfidare questa estetica rendendo molto più netto l’editing, in modo da aumentare il senso di ansia e disagio“.

Alla domanda se il codice del killer e quello del regista coincidano, Fincher ha risposto: “In un certo senso sì. Hai in entrambi i casi una posta in gioco molto alta, tecnologie avanzate. Così come il killer è maniacale, volevo concepire qualcosa che, nella sua semplicità, fosse mentalmente estenuante per lo spettatore. Tutto dipende da come scegli di raccontare un punto di vista e fare immergere lo spettatore nella vicenda“.

 
 

Venezia 80: Le foto dal red carpet di The Palace

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Milan Peschel e Oliver Masucci sul red carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Oggi in concorso a Venezia 80 è il giorno anche di nu altro pezzo da novanta del cinema mondiale, Roman Polanski che presenta il suo ultimo film The Palace, assente per ovvie ragioni il regista ma presente il cast della pellicola, una produzione Italia/Francia.

Parlando di The Palace il regista ha commentato “Per quasi mezzo secolo ho frequentato in Svizzera il Gstaad Palace, dove soggiorna un’élite estremamente ricca e poliglotta, attorno alla quale si muove il proletariato dell’hotel. Questi due mondi sono, a loro modo, esilaranti, a volte persino grotteschi. Tutto li separa, a partire dalle loro opinioni politiche. Li unisce solo la figura del direttore dell’albergo, che si prende cura di tutti e cerca di accontentare tutti, a volte in verità dovendo sopportare sia i clienti sia il personale. Con abilità diplomatica, trova una via d’uscita dalle situazioni più improbabili. L’idea di fare un film su questo mondo esotico mi è venuta immediatamente. Doveva essere una commedia, un po’ brusca e sarcastica, severa nei confronti dei personaggi del film, ma non priva di un tocco di indulgenza e simpatia.”

 
 

Venezia 80, le foto red carpet di Maestro senza i protagonisti!

Giuria flashmob popolo iraniano
Il direttore del festival Alberto Barbera e il membro della giuria Jane Campion partecipano ad un Flash Mob in solidarietà con il popolo iraniano dopo la condanna di Saeed Roustaee

Si è tenuta la premiere del film originale Netflix in concorso a Venezia 80 Maestro di e con Bradley Cooper, prodotto da Martin Scorsese e Steven Spielberg. Nel cast anche Carey Mulligan, Bradley Cooper, Matt Bomer, Maya Hawke, Sarah Silverman, Josh Hamilton, Scott Ellis, Gideon Glick, Sam Nivola, Alexa Swinton e Miriam Shor. Purtroppo per i fan e per il Festival nessuno dei protagonisti era presente sul tappeto rosso per via dello sciopero del sindacato degli attori e degli sceneggiatori che giustamente manifestano per giusto compenso.

Lo stesso Bradley Cooper e il cast non sono arrivati a Venezia per unirsi alla protesta. Prima del red carpet il direttore del festival Alberto Barbera e i membri della giuria hanno partecipato ad un Flash Mob in solidarietà con il popolo iraniano dopo la condanna di Saeed Roustaee durante un tappeto rosso per il film “Maestro”.

Il film è un tributo agli estasianti alti e angoscianti bassi che accompagnano una vita alla ricerca di amore, famiglia e arte. È interpretato dalla due volte candidata agli Oscar Carey Mulligan (Una donna promettente), nei panni dell’acclamata attrice, artista e attivista Felicia Montealegre Cohn Bernstein, e dal nove volte candidato agli Oscar Bradley Cooper, nel ruolo del leggendario musicista, direttore d’orchestra, compositore, insegnante e autore Leonard Bernstein. A partire dal duetto tra Cooper e Josh Singer (Il caso Spotlight, The Post), coresponsabili della sceneggiatura, per arrivare all’ensemble di acclamati produttori e al coro di artigiani che ha creato un’armonia visiva, Maestro è un entusiasmante sinfonia di gruppo allineata alla visione di Cooper, conduttore sia davanti sia dietro la cinepresa.

In merito al film il regista ha dichiarato “Quando ero piccolo in casa ascoltavamo spesso l’opera e la musica classica. Ho passato molte ore a condurre un’orchestra immaginaria con le capacità limitate di un bambino di otto anni. In particolare, ascoltavamo spesso un disco di Leonard Bernstein. Perciò la fiaccola che mi avrebbe mostrato la via per realizzare Maestro era già accesa molti anni prima che mi capitasse il progetto tra le mani. Dopo aver completato un anno di ricerche su Lenny e sulla famiglia, e aver digerito tutte le informazioni, ho capito che l’aspetto più interessante e toccante per me era il matrimonio tra Lenny e Felicia. Era un amore non convenzionale e sincero, che trovavo estremamente intrigante. Ed era questa la storia che ho voluto raccontare. Sarò per sempre riconoscente a Jamie, Nina e Alex per avermi aperto le porte della loro famiglia e dei loro cuori. È stata una delle più grandi gioie della mia carriera”. MAESTRO in cinema selezionati a dicembre e su Netflix dal 20 dicembre.

 
 

Venezia 80, le foto del Leone d’Oro all’attore Tony Leung Chiu-wai 

Tony Leung Chiu-wai
Tony Leung Chiu-wai sul red carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

E’ stato attribuito il secondo Leoni d’Oro alla carriera all’attore Tony Leung Chiu-wai  alla 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

Tony Leung Chiu-wai – che ha interpretato tre film Leoni d’Oro a Venezia, Città dolente (1989) di Hou Hsiao-hsien, Cyclo (1995) di Tran Anh Hung e Lust, Caution (2007) di Ang Lee –  nell’accettare la proposta ha dichiarato: “Sono colpito e onorato dalla notizia della Biennale di Venezia. Condivido idealmente questo premio con tutti i cineasti con cui ho lavorato. Questo riconoscimento è anche un omaggio a tutti loro”.

 
 

Venezia 80, le foto con i protagonisti dal red carpet di Adagio

Pierfrancesco Favino
Pierfrancesco Favino sul red carpet di Venezia 80 - Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Terzo film in concorso e terzo red carpet Made in Italy per 80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, arriva Adagio diretto da Stefano Sollima e con protagonisti un cast d’eccezione italiano composto da  Pierfrancesco Favino, Adriano Giannini, Toni ServilloValerio Mastandrea,  Gianmarco Franchini, Francesco Di Leva, Lorenzo Adorni, Silvia Salvatori. Ecco tutte le foto dei protagonisti a supporto del film:

Manuel ha sedici anni e cerca di godersi la vita come può, mentre si prende cura dell’anziano padre. Vittima di un ricatto, va a una festa per scattare alcune foto a un misterioso individuo ma, sentendosi raggirato, decide di scappare, ritrovandosi invischiato in questioni ben oltre la sua portata. Infatti i ricattatori che lo inseguono si rivelano essere estremamente pericolosi e determinati a eliminare quello che ritengono uno scomodo testimone e il ragazzo dovrà chiedere protezione a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre.

Dopo le esperienze all’estero, finalmente sono tornato a raccontare la mia città. Roma è cambiata e anch’io. L’ho osservata con occhi diversi percorrendo le sue strade con un altro passo. Un adagio. Questo è il racconto del declino inesorabile, struggente, di tre vecchie leggende della Roma criminale alla ricerca di una redenzione impossibile in un mondo ancora più cinico, caotico e feroce di quello che avevano governato negli anni d’oro. Un mondo che schiaccia relazioni familiari, amichevoli e fraterne senza lasciare altri legami tra gli uomini al di fuori del denaro. Una città governata dal caos, dalla corruzione, dal cinismo e asfissiata dal caldo torrido, devastata dagli incendi e dal buio dei blackout… Ma c’è uno spiraglio di luce. La nuova generazione“. Stefano Sollima

 
 

AGGRO DR1FT: recensione del film di Harmony Korine #Venezia80

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Nello squallido dominio del ventre criminale di Miami, un sicario esperto si lancia all’inseguimento implacabile del suo prossimo obiettivo. Girato interamente con lenti termiche, AGGRO DR1FT naviga in un mondo contorto dove la violenza e la follia regnano sovrane. Le tensioni si sciolgono, portando a un viaggio psichedelico che confonde i confini tra predatore e preda. Se l’obiettivo di Harmony Korine era lasciare il segno in questa Venezia 80 allora il risultato è assicurato. Tra i Fuori Concorso di questa Mostra del Cinema, il film del regista di Spring Breakers torna al Lido. Un film che racconta in maniera cruda uno spaccato di realtà americana e lo fa in una modalità visiva disturbante.

AGGRO DR1FT, la trama

È chiara nella pellicola di Korine l’intenzione di non tracciare una linea retta per AGGRO DR1FT il che deve essere stata una vera e prossima sfida. Se a questo aggiungiamo gli effetti visivi del film appare ancora più chiaro che il film è un’esperienza, quasi come se fosse un videogioco. Lo stesso regista ha specificato che questa storia andava raccontata in modo sensoriale – grazie all’uso delle lenti termiche – concimando immagini e suoni per creare un’esperienza a 360°. Le immagini vanno odi pari passo con i rumori e con i suoi che la colonna sonora riesce a calibrare così come vengono calibrati i colori della lente distorta. La musica ha un ruolo preponderante e rende l’atmosfera ancora più disturbante. Le voci dei protagonisti sono distorte e questo aspetto descrive il mondo criminale che viene rappresentato nella pellicola.

Nel film la trama è semplice e allo stesso tempo lo spettatore è impossibilitato a empatizzare con i personaggi è solo, per l’appunto, lo spettatore esterno della vicenda. E, infatti, quello che più si apprezza del film è la resa delle immagini che lo stesso regista chiama narrazione liquida e come tale assume la forma del contenitore che la contiene. È mutevole così come lo sono le immagini che si alternano a momenti di banalità delle stesse quando vogliono rappresentare ancora di più la realtà.

Tra visione ed esperienza

Dove inizia però la visione e dove parte l’esperienza questa è la lettura chiave di AGGRO DR1FT. Korine fa di tutto per abbandonare i classici dettami della psicologia, delle emozioni semplicemente si è prefissato di creare una visione a tutto tondo delle tecniche cinematografiche, esplorarle e giocare con esse. Non mancano i riferimenti più moderni al nuovo cinema digitale ai visori VR. In aiuto al regista per la gestione delle immagini il direttore della fotografia, Arnaud Potier, che ha sperimentato con le immagini termiche creando scene ipnotiche e fluide, che lasciando i personaggi nudi, come se fossero sotto una radiografia. Sicuramente un film dove Korine ha azzardato e si è lasciato spingere oltre la macchina da presa sperimentando un nuovo tipo di immagini.

Una visione che ha portato sul grande schermo immagini oniriche e reali giocando molto su questo contrasto tra finzione e realtà. Come se la realtà descritta, quel ventre criminale di Miami nascondesse molto di più: dei mostri, dei demoni che controllano gli uomini. Così la lotta tra le parti diventa non solo reale ma anche fittizia quando compaiono sullo schermo le proiezioni mitiche. Anche l’ambientazione di Miami non è del tutto casuale e si mescola alla parte narrativa del film. Miami ha un posto speciale nel cuore del regista – è la città dove vive – ed ha contribuito alla realizzazione del racconto. È una città in continuo cambiamento, la sua storia è fatta di reinvenzione.

 
 

La Ruota del Tempo seconda stagione, la recensione

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Moiraine Damodred played by Rosamund Pike

La Ruota del Tempo è la serie tratta dalla lunga saga di libri scritti da Robert Jordan agli inizi degli anni 90. Il ciclo dei romanzi vanta una media di ottocento pagine per volume per un totale di quattordici pezzi, gli ultimi tre dei quali scritti da Brandon Sanderson a causa della morte di Jordan. Un ricchissimo universo descritto in ogni minimo dettaglio a partire dalle origini della creazione del mondo, aspetto caratteristico del genere fantasy.

Adattata per una prima stagione di otto puntate uscite due anni fa su Prime Video, La Ruota del Tempo aveva già visto altre volte la possibilità di una trasposizione filmica della storia, tanto che il suo stesso autore aveva venduto i diritti nel 2004 alla Red Eagle Entertainment, la quale ha poi aderito all’attuale progetto avviato da Prime nel 2018. Scritta da Rafe Judkins, che ne è anche produttore esecutivo, esce sulla piattaforma con la stessa formula che era stata prevista per la prima stagione: dal 1° settembre sono disponibili le prime tre puntate su un totale di otto, e le seguenti lo saranno ogni venerdì, una per volta, fino al 6 ottobre. E secondo quanto annunciato l’anno scorso al San Diego Comic-Con, è già in lavorazione la terza stagione, che avrà come riferimento il quarto capitolo della saga di Jordan intitolato L’ascesa dell’Ombra.

La Ruota del Tempo, seconda stagione, la trama

La Ruota del Tempo è quella che agli inizi della nascita della vita è stata creata per tessere le esistenze degli uomini e le epoche storiche che si susseguono. A permetterne il movimento continuo è l’Unico Potere, la forza magica che viene incanalata dalle donne (e solo da loro), in particolare quelle appartenenti alla casta delle Aes Sedai, che da millenni sono addette alla difesa, alla protezione della vita, alla formazione di nuove allieve della loro organizzazione e, soprattutto, alla scoperta di chi sia il Drago Rinato, cioè l’unico che sia in grado di fermare il Tenebroso, l’oscura creatura che vuole la distruzione di tutto.

Durante tutta la prima stagione Moiraine (Rosamund Pike) e il suo fedele custode Lan (Daniel Henney) avevano condotto il gruppo di giovani composto da Rand (Josha Stradowski), Egwene (Madeleine Madden), Perrin (Marcus Rutherford), Mat (oggi interpretato da Dónal Finn, prima da Barney Harris) e Nynaeve (Zoë Robins) in un insidioso viaggio verso la Torre Bianca per scoprire tra chi di loro si celasse, appunto, l’incarnazione del Drago.

The Seanchan Empire, Loial played by Hammed Animashaun, The Dark One played by Fares Fares

Se nello svolgimento della prima parte della trasposizione de La Ruota del Tempo emergeva un po’ d’ingenuità nella riproduzione del mondo fantasy con tutti i suoi codici e presupposti impliciti, forse in questo secondo ciclo di episodi la profondità verso la quale inevitabilmente la storia si dirige, avvantaggia per una maggiore credibilità del contesto ricreato da Rafe Judkins.

Adesso la fragilità umana di Moiraine dà una nuova prospettiva da cui guardare tutti i rapporti tra i personaggi, anche perché il suo è uno dei ruoli principali su cui si regge la serie (tra l’altro, Rosamund Pike è anche produttrice). L’intreccio diventa così più coinvolgente, specialmente perché l’aspetto magico e il discorso da cui nasce sono estremamente interessanti.

Quell’Unico Potere che muove la Ruota del Tempo era un tempo dono anche degli uomini ma, a causa di un attacco del Tenebroso, è stato contaminato dal germe della follia, rischio che tutt’ora sussiste, soprattutto per quanto riguarda il Drago Rinato: potrà salvare il mondo o agevolarne la devastazione. Ed è una tematica curiosa con la quale confrontarsi, sicuramente non nuova, anzi.

In ogni caso, l’esordio di questa seconda stagione pare interessante, sempre considerando che l’impatto maggiore è soprattutto dato dalla tensione narrativa e dalla curiosità che genera nello spettatore e dall’affascinante messa in scena.

 
 

Felicità: recensione del film di e con Micaela Ramazzotti #Venezia80

Felicità Micaela Ramazzotti
Foto di Lucia Iuorio ©

Nel film Gli anni più belli Micaela Ramazzotti interpreta Gemma, una donna che ad un certo punto del racconto si confessa e ammette di star attraversando innumerevoli tempeste, ma che nonostante questo è alla ricerca della propria felicità e che prima o poi è certa che la troverà. Sembra quasi nascere da qui la storia di Desirè, la protagonista del primo film da regista della Ramazzotti che si intitola, non a caso, Felicità. Presentato nella sezione Orizzonti Extra della Mostra del Cinema di Venezia, il film è un’opera prima che colpisce sia per l’attenzione della debuttante regista ai dettagli, sia per l’argomento che sceglie di raccontare.

La Ramazzotti, anche protagonista del film, sceglie sì – saggiamente – di rimanere vicina a contesti che cinematograficamente conosce bene, dalle periferie romane a personaggi calamite di problemi, ma anche di affrontare tematiche dal forte impatto in quanto particolarmente urgenti nell’attuale società italiana. Relazioni tossiche, inadeguatezza ad essere genitori e, soprattutto, disagio e depressione giovanile. Il suo Felicità è dunque ricco di contenuti che potremmo definire tosti da affrontare e digerire, ma che la Ramazzotti sa stemperare con una leggerezza e una comicità amara che ha appreso dalle sue tante collaborazioni.

Felicità, tra genitori oppressivi e figli smarriti

In Felicità si racconta la storia di una famiglia “storta”, di genitori egoisti e manipolatori (Max Tortora e Anna Galiena), un mostro a due teste che divora ogni speranza di libertà dei due figli. Desirè (la stessa Ramazzotti), acconciatrice per set cinematografici, si rivela allora la sola che può salvare suo fratello Claudio (Matteo Olivetti), frustrato dall’incapacità di trovarsi un lavoro e smarcarsi dall’ombra dei due genitori. Per lui, ma anche per sé stessa, Desirè si troverà allora a lottare contro tutto e tutti, anche contro l’oppressivo compagno Bruno (Sergio Rubini), in nome dell’unico amore che conosce, per inseguire un po’ di felicità.

La prima volta di Micaela

Le opere prime, si sà, sono pericolose. Bisogna avere qualcosa da dire, bisogna sapere come dirlo altrimenti si rischia di non offrire nulla al proprio pubblico. La Ramazzotti sembra essere stata consapevole di tali rischi, evitati grazie al suo decidere di raccontare una storia in parte ispirata a qualcosa di autentico, come da lei dichiarato. Qualcosa che conosce, che sa indagare e rappresentare. Ci si potrebbe lamentare che di storie su famiglie problematiche se ne vedono tante nel cinema, ma l’ambizione con Felicità non è necessariamente quella di raccontare una storia originale, l’importante è che sia autentica.

Questa autenticità la regista la trova grazie ad una serie di dettagli che ci raccontano i personaggi meglio di tante parole. Basta un’inquadratura di Desirè che fruga nella borsa del fratello, trovandovi pasticche e un gratta e vinci usato, per raccontarci ciò che sullo schermo non viene mostrato. Un “dietro le quinte” che apre dunque le porte dell’immaginazione dello spettatore, arricchendo così il racconto. Allo stesso tempo, la Ramazzotti limita i virtuosismi che si potrebbe essere tentati di utilizzare, specialmente alla prima esperienza come regista, confezionando un film contenuto, focalizzato sui personaggi e le loro vicende.

Felicità recensione
Foto di Lucia Iuorio ©

Raccontare ciò che non si vede

Scritto dalla Ramazzotti insieme a Isabella Cecchi e Alessandra Guidi, Felicità non è esente da alcune ingenuità tipiche delle opere prime, come la rappresentazione di alcune situazioni o la risoluzione di alcune linee narrative. Lo stesso finale, ad esempio, avrebbe probabilmente meritato una maggiore attenzione in fase di scrittura, in quanto così com’è potrebbe risultare troppo brusco nel suo svolgersi, smorzando le emozioni che sì sono fin lì suscitate. Ma davanti a tali difetti si può chiudere un occhio, considerando che si ha con Felicità avuto il coraggio di portare sul grande schermo una serie di tematiche che raramente trovano spazio, nel cinema con nei dibattiti quotidiani.

Parlare di disagio giovanile è un conto, addentrarsi nel bosco oscuro della depressione un altro ancora. La Ramazzotti non si fa però spaventare e sceglie di andare a raccontare ciò che non si può vedere, quella malattia della mente tanto sottovalutata quanto pericolosa. Sono dunque capaci di catturare l’attenzione le scene dove si prende di petto tale argomento, che il giovane Matteo Olivetti prende in modo convincente sulle proprie spalle. Il suo volto diventa la lavagna su cui la regista va a lavorare, costruendo per Claudio un netto abisso tra mondo interiore ed esteriore.

C’è dunque molta attenzione nei confronti di un tema così delicato, così come ce ne è nel raccontare di quanto i genitori o in generale gli appartenenti ad una generazione differente, sottovalutino il problema. In questo deserto delle emozioni, il rapporto tra Desirè e Claudio è allora un punto di calore particolarmente forte. Dal loro rapporto si sprigionano una serie di sensazioni, sentimenti e preoccupazioni che arrivano anche allo spettatore, rendendolo partecipe del loro legame. Insomma, la Ramazzotti si contiene da un punto di vista formale per lavorare sui contenuti, rendendo così Felicità un’opera prima decisamente notevole.