Ecco una clip da “Messi
Meets America“, il nuovo documentario in sei parti che
racconta il dietro le quinte di questo nuovo capitolo della
carriera da record di Messi, disponibile su Apple TV+ dall’11
ottobre.
Dopo oltre vent’anni
indimenticabili di eccellenza calcistica, primati inarrivabili
raggiunti tra Barcellona e Paris Saint-Germain, e dopo aver vinto
la Coppa del Mondo FIFA Qatar 2022 con la nazionale di calcio
argentina, Leo Messi ha preso una decisione epocale che ha cambiato
per sempre il volto del calcio in Nord America, unendosi alla Major
League Soccer e all’Inter Miami CF. Grazie a un accesso senza
precedenti a Messi e alla sua nuova famiglia dell’Inter Miami CF,
“Messi Meets America” porta gli spettatori dietro le quinte della
vita e della carriera del più grande giocatore mai sceso in campo,
osservandolo condurre la sua nuova squadra alla conquista del
titolo in Coppa di Lega e oltre.
Dal record di sold
out registrato in tutta l’America a una velocità impressionante,
all’incredibile gol vincente segnato all’ultimo minuto della sua
prima partita, ai momenti trascorsi con i suoi compagni di squadra
dell’Inter Miami CF, la serie racconta l’immersione di Leo in
America, la trasformazione dell’Inter Miami CF e, soprattutto,
l’impatto che sta attualmente avendo sul calcio in Nord America,
mentre la “Messi Mania” attraversa l’intero continente.
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
I Leoni di
Sicilia, la nuova serie originale italiana
Disney+ diretta da Paolo
Genovese e tratta dall’omonimo bestseller di Stefania Auci, è
stata presentata in anteprima alla diciottesima edizione della
Festa del Cinema di Roma e debutterà
mercoledì 25 ottobre in esclusiva su
Disney+ in Italia con i primi
quattro episodi, mentre i restanti quattro saranno disponibili a
partire dal 1° novembre. La seriesarà disponibile su
Hulu negli Stati Uniti, su Star+ in America Latina e su Disney+ in tutti gli altri
territori.
Dal regista Paolo
Genovese, che ne è anche produttore creativo, la serie in
otto episodi è prodotta da Francesco e
Federico Scardamaglia per Compagnia Leone
Cinematografica e da Raffaella Leone e
Marco Belardi per Lotus Production, una società
Leone Film Group. ILeoni di Sicilia è una serie
scritta da Ludovica Rampoldi e Stefano
Sardo.
I Leoni di Sicilia è
l’avvincente storia della famiglia Florio. I fratelli Paolo e
Ignazio sono due piccoli commercianti di spezie fuggiti da una
Calabria ancorata al passato e in cerca di riscatto sociale. In
Sicilia s’inventano un futuro, dove a partire da una bottega
malmessa danno vita a un’attività florida che il giovane figlio di
Paolo, Vincenzo, con le sue idee rivoluzionarie, trasformerà poi in
un impero. Tuttavia, a travolgere la vita di Vincenzo, e quella di
tutta la famiglia, è l’arrivo dirompente di Giulia, una donna forte
e intelligente, in contrasto con le rigide regole della società del
tempo. I Leoni di Sicilia è un’epopea fatta di amore,
famiglia, successi, guerre e rivoluzioni, che si svolge nella
Sicilia dell’Ottocento fino all’Unità d’Italia del 1861.
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Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
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Cortesia di The Walt Disney Company Italia
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
Foto di Giulia Parmigiani -
Cortesia di The Walt Disney Company Italia
La serie è interpretata da Michele Riondino nel ruolo di Vincenzo Florio,
Miriam Leone in quello di Giulia Portalupi,
Donatella Finocchiaro in quello di Giuseppina,
Vinicio Marchioni nei panni di Paolo Florio,
Eduardo Scarpetta nel ruolo di Ignazio Florio
(figlio di Vincenzo), Paolo Briguglia in quello di
Ignazio Florio, Ester Pantano nel ruolo di
Giuseppina giovane e Adele Cammarata in quello di
Giovanna D’Ondes.
“Durare”, il nuovo singolo di Laura Pausini è
la end credit song di tutti gli otto
episodi della serie. Il brano sarà inoltre disponibile
anche nella sua versione spagnola, intitolata “Durar”, selezionando
l’audio degli episodi in spagnolo.
Ama raccontare storie di donne
Justine Triet. Lo fa anche
alla Festa del Cinema di
Roma con Anatomia di una
caduta, dramma a carattere processuale e di
approfondimento psicologico che esplora nel dettaglio, quasi
dissezionandolo chirurgicamente, il rapporto di coppia tra i due
protagonisti, e con il loro figlio undicenne. Il film, prima di
essere presentato nel festival romano, si era già fatto notare
al Festival di Cannes, dove ha ottenuto il
premio più prestigioso: la Palma d’Oro.
La trama di Anatomia di una
caduta
Sandra (Sandra
Hüller) e suo marito Samuel (Samuel
Theis) entrambi scrittori, vivono con il loro figlio
Daniel (Milo Machado Graner) che ha perso la vista
dopo un incidente, in una baita di montagna vicino a Grenoble. Una
mattina Samuel viene però trovato cadavere sulla neve. È caduto giù
dalla finestra. Se sia stato un incidente, un tentativo di
suicidio, o se l’uomo sia stato ucciso, lo stabilirà il processo
che seguirà, in cui la moglie, Sandra, è la principale
sospettata.
La donna assume per la sua difesa
l’avvocato e vecchio amico, Vincent (Swann
Arlaud). Il processo porterà a ripercorrere le fasi di un
rapporto travagliato, svelerà vecchi rancori, fragilità e verità
nascoste, facendo luce anche su come ciascuno dei coniugi abbia
elaborato l’incidente occorso al figlio anni prima. Daniel, dal
canto suo, dovrà venire a patti con una nuova idea del rapporto tra
i suoi genitori. Al suo fianco, sempre Snoop, il fedele cane
guida.
Anatomia di un rapporto di
coppia
Anatomia di una
caduta potrebbe dirsi un film chirurgico. Se si parte
dall’esame autoptico di un corpo, infatti, si passa presto a una
disamina millimetrica, il più possibile oggettiva nelle intenzioni,
del rapporto fra Sandra e Samuel. Ecco quindi che il titolo è anche
metafora calzante. L’incedere minuzioso e “scientifico” è proprio
del processo, che intende analizzare freddamente la relazione tra i
due, per capire se lì si possano annidare i germi di una volontà
omicida. Daniel, undicenne, assiste a questa dissezione e ispezione
del rapporto tra i suoi e impara a conoscerli di nuovo. L’idea è
buona, ed effettivamente riesce a far emergere le ombre che ci
possono essere anche in una coppia che apparentemente funziona.
L’incedere lento di Anatomia di
una caduta
Del processo chirurgico di
dissezione Anatomia di una caduta ha
anche la lentezza. In chirurgia, si sa, se si sbaglia, le
conseguenze possono essere gravi, e anche in giurisprudenza.
L’andamento lento, però, è anche il punto debole del film,
amplificato poi dal fatto, pur lodevole, che la regista proceda con
particolare delicatezza nel raccontare questa storia, senza il
ricorso a facili soluzioni come scene madri o spettacolarizzazioni.
Le varie sfumature della vicenda vengono snocciolate a poco a poco,
nell’arco di 150 minuti. Occorre ammettere che, pur con le buone
interpretazioni dei protagonisti e di tutto il cast,
Anatomia di una caduta risulta in certi
tratti monotono e poco avvincente.
Interpretazioni sentite e
convincenti
Sicuramente convincenti sono invece
le interpretazioni, in special modo quella della protagonista, di
cui si percepisce lo spaesamento di fronte al processo, come quello
che la aveva colta nel trasferirsi in Francia da Londra,
assecondando un desiderio del marito. Una donna con luci e ombre,
fragilità e punti di forza. Contrasti che la rendono umana, una
donna in cui ci si può riconoscere. Merito va anche al giovane
Milo Machado Graner, nei panni di Daniel e al
border collie che interpreta il cane guida, Snoop. Si tratta di un
film non facile, molto parlato e con pochi momenti di azione, che
effettivamente patisce un’eccessiva lunghezza, ma una buona analisi
psicologica è la forza di Anatomia di una
caduta, assieme all’intensità dei suoi protagonisti,
che danno vita a momenti di coinvolgimento emotivo, seppure
discontinui.
Sfortunatamente, anche dopo mesi di
voci apparentemente infinite, ci vorrà ancora un po’ per avere
notizie concrete sul casting del
film MCUFantastici Quattro.
Tuttavia, mentre era impegnato nella promozione dela serie Monarch: Legacy of
Monsters di Apple
TV+, il regista Matt Shakman è stato in grado
di condividere alcuni aggiornamenti minori sul film durante
un’intervista con The Playlist. Alla domanda su
quali siano le ultime novità sul processo di casting, il regista ha
promesso che “ci sarà un annuncio ad un certo punto“,
aggiungendo poi di sentirsi “entusiasta che le persone siano
appassionate di questi personaggi quanto lo sono io“.
“Il fatto che ci sia così tanto
dibattito, lo adoro. Ho pensato a chi avrebbe dovuto interpretare
questi personaggi prima di avere l’incarico di dirigere il film, e
capisco perché tutti la penserebbero allo stesso modo. La chimica è
estremamente importante… è la prima famiglia della Marvel e devo
costruirla bene. Devo ottenere quella giusta chimica“. Shakman
ha poi continuato affermando che “l’annuncio non sarà immediato
quando lo sciopero del SAG si sarà risolto, ma prima o poi saremo
in grado di condividere alcune notizie. E spero che le persone
saranno entusiaste di questo cast quanto lo sono io.“
Successivamente, rivelando che
Fantastici
Quattro è l’unico progetto per cui ha incontrato
i Marvel Studios, dopo aver lavorato su WandaVision,
Shakman ha condiviso i suoi pensieri sulla sostituzione del regista
di Spider-Man: No Way
Home, Jon Watts, inizialmente scelto come
guida del film. “Jon Watts ha lavorato per un po’ al progetto e
avrebbe fatto un lavoro fantastico, ma poi la sua strada ha preso
un’altra direzione ed io sono stato entusiasta di salire sulla
sedia del regista e prendere il suo posto. Voglio dire, abbiamo
portato avanti il nostro processo in modo coerente”.
“Sono stato nel progetto per
poco più di un anno e ci ho lavorato duro come lavoreremmo su
qualsiasi film della Marvel… a cominciare da qual è la storia che
vogliamo raccontare. Qual è il tema della storia? Perché stiamo
raccontando questa storia? E poi stiamo sviluppando la migliore
versione possibile di quella storia, e come vogliamo dare vita a
questi personaggi?“. Rifiutandosi comprensibilmente di
rivelare se si sia rivolto a qualche fumetto specifico per trarne
ispirazione, Shakman ha però confermato di aver lavorato alla
scrittura sia con il co-sceneggiatore di Avatar: La via
dell’acquaJosh Friedman che con
Cam Squires di WandaVision.
Eagle Pictures
diffonde il primo trailer di Thanksgiving,
il nuovo film ideato e diretto da Eli Roth, con
protagonisti Patrick Dempsey, Addison Rae, Milo
Manheim, Jalen Thomas Brooks, Nell Verlaque, Rick Hoffman
e Gina Gershon, su una sceneggiatura di Jeff
Rendell. Il film arriverà il 16 novembre nelle sale italiane. Il
film è nato da un finto trailer visto in Grindhouse.
Thanksgiving, la trama
La cittadina di Plymouth, in
Massachusetts, è sconvolta da una terribile tragedia avvenuta
all’interno di un centro commerciale durante il Black Friday. Un
anno dopo, durante i festeggiamenti del Thanksgiving,
un misterioso e feroce serial killer comincia ad torturare e
uccidere la popolazione locale, seguendo un grottesco piano di
vendetta e prendendosela soprattutto con un gruppo di ragazzi, che
evidentemente nascondono a loro volta uno scomodo segreto. Quelli
che iniziano come omicidi casuali per vendetta si rivelano presto
parte di un più ampio e oscuro piano legato alle festività.
Ispirato al fake trailer realizzato da Eli Roth per Grindhouse, e
diretto dallo stesso Roth Thanksgiving è pronto a diventare un
nuovo cult del cinema horror contemporaneo.
Thanksgiving
non sarà il primo film a essere trasformato in un lungometraggio
dopo essere apparso come trailer di Grindhouse. Il primo è stato Machete
del 2010, un film d’azione con Danny Trejo,
seguito da Hobo with a Shotgun del 2011, un altro
film d’azione di commedia nera.
Anche se sembra che nel film faranno
squadra, le prime foto dal set di Deadpool 3 ci hanno
confermato che il mercenario chiacchierone interpretato da Ryan Reynolds
e il Wolverine di Hugh Jackman
verranno alle mani, affrontandosi in uno scontro senza
esclusione di colpi. Ora, il regista Shawn
Levy potrebbe aver dato un’idea di come andrà a finire
questa battaglia. Interrogato sul questo attesissimo scontro
durante un’intervista con Sirius XM il
regista, pur evitando di rivelare troppo, ha indicato che il
vecchio Wade Wilson potrebbe non uscire vincitore dallo
scontro.
Il regista ha sottolineato che sia
Reynolds che Jackman sono completamente altruisti quando si tratta
di come vengono rappresentati i loro personaggi, aggiungendo che
“entrambi i ragazzi cercano sempre di far sì che sia l’altro a
vincere. Ryan è straordinario nel volere che Deadpool perda e la
verità è che Deadpool è fantastico ma è profondamente… imperfetto.
Mentre Wolverine, beh, è Wolverine”. Naturalmente le parole
del regista non forniscono un vero e proprio chiarimento sull’esito
della battaglia, che molto probabilmente ad ogni modo non farà che
portare i due ad unire le proprie forze.
Deadpool 3: quello che sappiamo sul film
Sebbene i dettagli ufficiali della
storia di Deadpool 3, con
protagonista Ryan Reynolds,
non siano infatti ancora stati rivelati, si presume che la trama
riguarderà il Multiverso. Il modo più semplice per i Marvel Studios di unire la
serie di film di Deadpool – l’unica parte del
franchise degli X-Men sopravvissuta all’acquisizione
della Fox da parte della Disney – è stabilire che i film di
Reynolds si siano svolti in un universo diverso. Ciò preserva i
film degli X-Men della Fox nel loro universo, consentendo al
contempo a Deadpool e Wolverine, di nuovo interpretato
da Hugh Jackman,
viaggiare nell’universo principale dell’MCU.
Nel film saranno poi presenti anche
personaggi presenti nei primi due film di Deadpool, come
Colossus e Testata Mutante Negasonica. Da tempo, però, si vocifera
che anche altri X-Men possano fare la loro
comparsa nel film, come anche alcuni altri supereroi della
Marvel comparsi sul
grande schermo nei primi anni Duemila, in particolare il Daredevil di Ben
Affleck. L’attrice Jennifer Garner
sarà presente nel film con il ruolo di Elektra, che riprende dunque
a quasi vent’anni di distanza dal film a lei dedicato.
In attesa di ulteriori conferme,
sappiamo che Shawn
Levy dirigerà Deadpool 3,
mentre Rhett Reese e Paul
Wernick, che hanno già firmato i primi due film sul
Mercenario Chiacchierone, scriveranno la sceneggiatura basandosi
sui fumetti creati da Rob Liefeld,
confermandosi nella squadra creativa del progetto. Il presidente
dei Marvel Studios, Kevin
Feige, aveva precedentemente assicurato ai fan che rimarrà
un film con rating R, proprio come i primi due film, il che lo
renderebbe il primo film dello studio con tale classificazione
matura.
Leonardo DiCaprio e Lily
Gladstone in una scena di Killers Of The Flower Moon
Il regista Martin Scorsese
spiega perché nell’affrontare il mistero alla basa di Killers of the Flower
Moon si è allontanato dal libro, il quale
consente invece ai lettori di indagare sull’orribile mistero
giungendo infine allo svelamento dell’identità dei responsabili.
Con il film di Scorsese, invece, gli spettatori scoprono sin
dall’inizio chi è il colpevole, quindi sostanzialmente non c’è
alcun aspetto giallo su cui lavorare. La scelta è ovviamente
intenzionale ed è motivata dal fatto che Scorsese crede che il
mistero più grande non sia chi ha compiuto i crimini, ma
perché.
Nel corso di un’intervista con
IndieWire, il regista ha infatti
dichiarato che: “cosa c’è in noi che ci spinge a farlo? Qual è
il difetto nella nostra natura umana che ci fa approfittare degli
altri, che ci fa credere superiori? Essendo anch’io uno di loro,
europeo americano, vengo da un clima meridionale, la Sicilia, un
po’ diverso dai climi settentrionali dell’Europa e della
Scandinavia. Così tante persone sono arrivate come immigrati, come
coloni. E c’era un’etica secondo cui semini e raccogli. Lavori e
poi Dio ti benedice con le ricompense. Semplicemente, però, non
sembrava giusto, dal punto di vista di quel gruppo di persone
provenienti dall’Europa“.
“Perché queste persone [gli
Osage] che non lavorano, dovrebbero essere improvvisamente
benedette da tutta questa ricchezza, perché viene dalla terra?
Prima di tutto, non sono cristiani. Non sanno nulla su come
maneggiare il denaro, cosa sia il denaro”, spiega Scorsese
cercando di mettersi nei panni di quei coloni. Il regista ha dunque
ritenuto più interessante porsi dal punto di vista di questi
personaggi, cercando di indagarne la natura. Allo stesso tempo,
Scorsese non ha né potuto né voluto ignorare l’amore esistente tra
i due protagonisti, considerandolo il vero cuore del racconto.
Killers of the Flower
Moon, tutto quello che c’è da sapere sul film
Martin Scorsese ha diretto e scritto la
sceneggiatura con Eric Roth, co-sceneggiatore
di Dune e A
Star is Born. Leonardo
DiCaprio interpreta Ernest Burkhart, il nipote di un
potente allevatore locale interpretato da Robert De Niro, mentre Lily
Gladstone interpreta la moglie Osage Mollie e
Jesse Plemons è Tom White, l’agente dell’FBI
incaricato di indagare sugli omicidi. Il cast include anche
Brendan Fraser e John Lithgow.
Killers of the Flower Moon riunisce ancora una
volta Martin Scorsese con i collaboratori di lunga
data Leonardo DiCaprioe
Robert De Niro. Insieme a loro ci sono l’attore premio
Oscar
Brendan Fraser, Jesse Plemons, Lily Gladstone,
Tantoo Cardinal, Jason Isbell, Sturgill Simpson, Louis Cancelmi,
William Belleau, Tatanka Means, Michael Abbott Jr., Pat Healy,
Scott Shepherd e molti altri. Il film è una produzione di
Apple Studios, Imperative Entertainment e Appian Way Productions,
con Dan Friedkin e Bradley Thomas come produttori.
La ricerca di un nuovo interprete
per il ruolo di James Bond è sempre uno dei processi di casting più
attentamente esaminati a Hollywood. Ma mentre il team del
casting ha rilasciato alcune informazioni sull’età e sui
prerequisiti di nazionalità del prossimo attore, sembra che il
sostituto di Daniel Craig per tale
personaggio non verrà annunciato in tempi brevi. In una nuova
intervista con The Guardian, Barbara
Broccoli, produttrice di lunga data del franchise di Bond,
ha spiegato che non ha ancora iniziato a pianificare la prossima
iterazione della serie.
“Daniel [Craig] ci ha dato la
possibilità di scavare nella vita emotiva del personaggio e anche
il mondo era pronto per questo“, ha detto Broccoli. “Penso
che questi film riflettano il momento in cui si trovano, e c’è una
grande, grande strada da percorrere per reinventare la saga con il
prossimo capitolo e non abbiamo nemmeno ancora iniziato”. Pur
comprendendo che la prossima era del franchise dovrà riflettere un
mondo che è cambiato molto da quando Craig è stato introdotto nel
2006, Broccoli ha poi citato la storia della serie come prova della
capacità di adattamento di James Bond.
“Torno a ‘GoldenEye’ quando
tutti dicevano. “La guerra fredda è finita, il muro è finito, Bond
è morto, non c’è bisogno di Bond, il mondo intero è in pace e ora
non ci sono più cattivi“, ha detto Broccoli. “E ragazzi,
quella convinzione era così sbagliata!”. La produttrice ha poi
però chiarito che il futuro di Bond rimane legato al grande
schermo: “realizziamo i film di James Bond per il grande
schermo cinematografico. Tutto ciò che riguarda i film di Bond deve
essere visto dal pubblico di tutto il mondo in quel formato, quindi
non vogliamo spostarci in televisione.“
Tuttavia, Broccoli ha anticipato che
potrebbero esserci ulteriori espansioni del franchise
all’orizzonte. Ha infatti spiegato di essere aperta a riavviare il franchise per i
mercati internazionali e a realizzare spin-off che cambino l’etnia
dell’iconica spia. “Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma
mi piacerebbe vedere le varie versioni del personaggio in tutto il
mondo, dall’Africa, all’India e all’Asia“, ha detto. Che un
prossimo James Bond ci sarà, è certo. Non resta però che attendere
maggiori informazioni, che però non sembrano essere attualmente in
vista.
Il genere del legal drama
circoscrive la sua narrazione agli eventi che si svolgono dentro e
fuori il tribunale giudiziario. Può cambiare il punto di vista, ce
ne possono essere molteplici, ma nel complesso la storia segue una
traiettoria molto specifica, che si conclude alla fine con lo
svelamento della verità e l’assolvenza – o meno – dell’imputato in
questione. In Holiday Edoardo
Gabbriellini decide di fare un lavoro al contrario e di
concederci uno sguardo – molto lungo – a quel che accade dopo.
Protagonista di un racconto tanto ambiguo quanto pieno di zone
d’ombra è Veronica, interpretata da un’esordine ed efficace
Margherita Corradi. Il film è in Concorso alla 18esima
edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione
Progressive Cinema, sceneggiato da Gabbriellini insieme a Carlo
Salsa e Michele Pallagrini, e prodotto da Olivia Musini con Lorenzo
Mieli e Luca Guadagnino.
Holiday, la trama
Dopo due anni di carcere, Veronica
(Margherita Corradi), dichiarata non colpevole di
aver ucciso la madre nella Spa del loro hotel, torna a casa dal
padre. Ad accoglierla c’è subito l’amica Giada (Giorgia
Frank), pronta a farle recuperare tutto il tempo perduto.
Ma tornare alla realtà – e soprattutto alla libertà – non è per
niente facile. In primis perché la gente di lei non parla bene,
molti la credono ancora colpevole, altri la denigrando su Instagram
facendo persino commenti a sfondo pornografico. Mentre cerca di
barcamenarsi in questa serie di situazioni spiacevoli e sciacchiare
play a una vita che aveva dovuto mettere in pausa, lo spettatore
cercherà di capire attraverso sguardi sul passato cosa è davvero
successo prima dell’omicidio, e soprattutto cosa è stato detto
durante il processo. Tutti, però, dal padre alla migliore amica
potrebbero avere un movente. Quindi perché hanno accusato solo
Veronica di aver ucciso la madre? Quando si inizierà a formulare un
pensiero sulla protagonista, ecco che il film cambierà di nuovo
strada, fino all’ambiguo finale.
Uno stile destabilizzante
Holiday è
una storia indecifrabile. Come lo è la sua protagonista, Veronica,
di cui non riusciamo a trarre alcun tipo di giudizio che sia valido
o fondato su prove concrete. Gabbriellini modella un film difficile
da analizzare, complesso da leggere e decifrare. Intanto perché lo
arricchisce di flashback (non proprio esaustivi), i quali non
diventano altro che uno stile narrativo per raccontarci da più
prospettive una vicenda che, fino alla fine, non riuscirà mai ad
essere limpida e chiara. Sono tre i piani temporali da seguire: il
primo è quello del presente, nel quale il regista butta in pasto ai
leoni (utenti social, giornalisti, occhi giudicanti dei passanti)
una ragazza appena stata scarcerata, che deve affrontare una realtà
nella quale nessuno, sostanzialmente, le crede.
Ci sono poi i ricordi suoi e
dell’amica Giada, la quale sia prima che dopo l’omicidio della
madre di Veronica le è sempre stata accanto, ma che non si riesce a
comprendere in che posizione si trovi rispetto la questione
dell’assassinio. E infine c’è la ricostruzione del processo, in cui
i testimoni vengono torturati psicologicamente dall’accusa. Sono
tutti elementi che si mischiano, a volte si accavallano, tanto che
bisogna compiere uno sforzo in più per capire meglio in quale
spazio-tempo ci si trovi. Ad accorrere in aiuto potrebbe essere,
fra le cose più evidenti, l’uso dei colori, che diventa più caldo o
più freddo (ma di poco) a seconda del periodo trattato. Il
passaggio da uno spezzone all’altro è un po’ confusionario, e la
destabilizzazione che se ne ricava impedisce di entrare a pieno nel
tono misterioso dell’opera, che rimane nel suo insieme,
volontariamente, fredda e distaccata. Quasi come se l’intento del
suo regista fosse quello di farcela guardare in un modo che ci
impedisca di giudicare la protagonista.
Chi è Veronica?
Una protagonista della quale alla
fine non si scoprirà poi molto. Né di lei né dell’azione commessa –
se l’ha davvero commessa. Gabbriellini, poi, attraverso lei, ci
introduce sin da subito a delle tematiche molto sentite non solo
dai giovani ma da tutte le generazioni. Una fra queste è
l’influenza che hanno i social sulla nostra vita, strumenti che
permettono a chiunque di aprire bocca anche su cose di cui non
conoscono neppure gli antefatti. C’è anche la difficoltà, ad oggi,
di essere giovani, ma anche di essere adulti, causata in primis da
una società e un sistema a loro volta ambigui e iniqui. C’è poi la
denuncia all’adesione di alcuni canoni di bellezza assurdi,
rappresentata in questo particolare caso dalla madre di Veronica,
Elisabetta, sempre pronta a rammentarle di dimagrire,
disprezzandone persino a gran voce il suo corpo.
Temi molto delicati e dolenti, che
per quanto siano importanti in una storia che tratta di giovani – e
che forse è per i giovani – non riescono a rimanere punti fermi del
film, il quale nonostante voglia sollevare alcune riflessioni in
merito a essi, si impegna di più a costruire un percorso che, man
mano che va avanti, diventa sempre più strano, contorto,
incomprensibile. È che quindi, paradossalmente, diventa la parte
che più coinvolge. Perché Holiday è un
noir atipico, che lascia al pubblico il piacere
dell’interpretazione muovendo i personaggi solo come delle pedine,
senza dargli un vero approfondimento psicologico, con lo scopo di
confondere e depistarli. Chi è il colpevole, in conclusione? Quello
in cui crediamo cambia continuamente. Una volta che gli dà tutti
gli strumenti per pensarci, seminandoli nella storia,
Holiday finisce. Ora siamo noi, con le
nostre nuove idee (sbagliate o giusto che siano) a deciderlo.
“Così il tempo e lo spazio non ci separano.” –
Nuovo Olimpo.
È un cinema che sa di casa, di
famiglia, quello di Ferzan Ozpetek.
È un cinema di sguardi, di intese, sentimenti catartici, conflitti
relazionali, passioni. Di carezze e di lacrime. Soprattutto è un
cinema in cui la collettività, l’appartenenza a una comunità, la
bellezza della convivalità e la condivisione hanno sempre avuto il
posto in prima fila nella platea delle tematiche principali del suo
autore. Ne costituiscono la cifra stilistica e contenutistica,
un’impronta netta che in ogni suo lavoro mai si sbiadisce, e che
pone al centro l’amore. L’amore declinato in tutte le sue forme,
sfaccettature e contraddizioni.
Una forza potente, a volte
devastratrice, altre salvifica, di cui Ozpetek ne maneggia il senso
più puro e profondo decantandola sullo schermo quasi come una
poesia. Non è da meno la sua ultima opera, NuovoOlimpo, che pur rinunciando ad alcune
cifre dominanti presenti in gran parte della sua filmografia, torna
– dopo LaDea
Fortuna – per parlarci di un amore che resiste al tempo e
allo spazio, alla vita che scorre e alle sue incrinature. Il
regista tesse le fila di un racconto un po’ diverso dai suoi
predecessori, e lo fa ispirandosi a una storia vera che proprio a
lui accadde nella Roma del 1979. Nuovo Olimpo, presentato alla 18
esima edizione della Festa del
Cinema di Roma nella sezione Grand
Public, debutterà suNetflix
il 1 novembre.
Nuovo Olimpo, la
trama
È un colpo di fulmine quello che
hanno Pietro (Andrea Di
Luigi) ed Enea (Damiano Gavino)
quando nel 1979 si incontrano sul set di un film a Roma. Si
scambiano un intenso sguardo, poi il secondo, preso dal suo lavoro,
lo distoglie, rompendo la magia. Ma il destino ha in serbo per loro
qualcosa di speciale, e li fa presto rivedere al cinema Nuovo
Olimpo, dove Pietro entra per la prima volta per guardare vecchi
film in bianco e nero, ritrovandosi dopo poco in un bagno con Enea
a scambiarsi appassionanti effusioni. Pietro però all’inizio è
incerto sul da farsi, e a condurlo nel gioco della seduzione è
proprio Enea, che avvia una storia d’amore destinata a infiammarsi.
Giri in vespa, balli in terrazza, baci e risate: i due giovani
ragazzi si innamorano nell’arco di pochi giorni, fino a quando
Pietro non chiede a Enea un appuntamento ufficiale.
Loro due in una trattoria romana, a
bere e mangiare, per poter fare una cosa semplice, che però vale
più di mille parole: guardarsi. L’appuntamento è preso, ma Pietro
non si presenterà mai poiché coinvolto in una manifestazione nella
quale si romperà un braccio. Passano gli anni, loro crescono e
vanno avanti, pur comunque continuando a pensarsi. Enea diventa un
regista, Pietro un medico. Uno convive, l’altro è sposato. Sono
distanti anni luce l’uno dall’altro, ma non con il cuore. Eppure
sembra che la vita non voglia proprio farli rivedere. Ma come canta
Antonello Venditti… “certi amori non
finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano.”
Enea e Pietro: cosa ci resta di
loro?
Vuole saggiare nuove modalità di
narrare e dare forma al racconto, Ozpetek, con Nuovo
Olimpo. E decide di farlo addentrandosi nei territori
del tempo, che qui è inesorabile. Lo divide, lo frammenta, tenta di
analizzarne le conseguenze derivanti dagli anni che passano. A
scandirlo è un ritmo lento, che fa quasi da contraltare all’amore
fulmineo di Enea e Pietro, innamoratisi già dal primo sguardo
scambiatosi su un set dove il primo fa il volontario. Ozpetek sa di
essere uscito dalla sua comfort zone scegliendo questa specifica
operazione strutturale. Non c’è più, infatti, la compattezza
temporale dei suoi precedenti film, e questo si percepisce da una
poca solidità narrativa degli archi temporali che racconta, ben
quattro anni diversi che si distanziano di parecchio l’uno
dall’altro, piccole parentesi di una storia che nel doversi fare
più intensa nel suo progredire, come ci si aspettava, risulta
rimanere sempre in superficie, sia nei sentimenti che nelle azioni,
un po’ tremolante nell’andare fino in fondo.
Il regista turco sembra aver
annaspato e faticato non poco mentre cercava di gestire le linee
narrative, evolutive ed emozionali dei suoi protagonisti nelle
varie fasi della loro vita, in particolare nel passaggio da giovani
ad adulti. E questo, a prodotto ultimato, è andato a scaricare la
tensione emotiva e amorosa della coppia dopo una prima parte molto
convincente, la quale fa parte dell’anno più costruito e sviluppato
rispetto agli altri (ossia il ’79). Un peccato, visto
l’interessante impiattamento della narrazione, che però essendo
così poco approfondita fa essere Enea e Pietro meno coinvolgenti e
convincenti rispetto ad altri personaggi portati sullo schermo da
Ozpetek, pur essendo nel loro complesso piacevoli.
Un’ode al cinema
I difetti, dunque, non mancano in
Nuovo Olimpo. Ma qualcosa da apprezzare
ce l’abbiamo comunque. Sì, perché Ozpetek ci regala una bella
lettera d’amore al cinema, che si lega a doppio
giro con il concetto di memoria. Pietro ed Enea si incontrano su un
set, poi al cinema – il Nuovo Olimpo del titolo – e quando si
separano, quest’ultimo, diventato regista, fa della loro storia
d’amore un film. Imprime i suoi ricordi sulla pellicola, li
traspone e imprigiona sulle immagini per non lasciarli morire.
Trasforma i suoi sentimenti in sequenze concrete, affinché né
questi né la sua relazione possano essere dimenticati. Ma anzi, fa
in modo che vivano in eterno, nel bagliore di una sala che scalderà
e al tempo stesso lenirà il suo cuore sofferente. E in fondo, vuole
dirci Ozpetek nel sottotesto, non è questa la funzione del cinema?
Essere un forziere di memorie e passioni, farle diventare
immortali, pronte a riaffiorare e ardere ogni qual volta se ne
sente il bisogno. Perché il cinema ha la capacità di continuare a
farti sentire una presenza anche là dove c’è assenza; di darti
calma e bellezza anche quando attorno c’è scompiglio; di
riavvolgere i momenti e farli ripartire come se stessero accadendo
di nuovo, anche se poi ai titoli di coda ci si volta e quello che
si ha visto sullo schermo non lo si trova più accanto.
Il cinema è un amico che ci tiene
compagnia e ci rassicura, ci spinge a credere nell’impossibile e ci
aiuta a superare le difficoltà. Ed è anche un luogo, inteso come
dimensione concreta, dove tutto è concesso e nessuno ti giudica.
Nel trasmetterci queste emozioni rivolte alla Settima Arte
Nuovo Olimpo funziona e arriva dritto al
cuore del pubblico, assumendo le vesti di una storia a tratti
metacinematografica, nella quale intercettiamo in Enea l’alter ego
del regista. Una nota, possiamo dire, molto positiva rispetto ai
problemi di sceneggiatura riscontrati nella pellicola. Ozpetek alla
fine saluta il suo pubblico con una sequenza che tocca le corde
dell’animo e solleva un po’ le sorti del film: la voce melodica di
Mina – presenza costante – abbraccia e accarezza i protagonisti in
un tempo indefinito prima che le luci si spengano. Il regalo che ci
fa il regista è lasciarci immaginare, con un “what if”,
quale potrebbe essere secondo noi il futuro dei protagonisti.
Facendoci capire quanto siamo, anche noi, parte di questo
meraviglioso e ipnotico mondo chiamato cinema.
Stephan Komandarev con il suo
Blaga’s Lessons porta nella sezione
Progressive Cinema della
Festa del Cinema di Roma uno sguardo sul mondo
degli anziani, tenuti spesso ai margini delle odierne società, come
tutti coloro che non producono ricchezza, o si ammalano e vengono
visti esclusivamente come un problema.
La trama di Blaga’s
Lessons
Blaga, Eli
Skorcheva, è una settantenne bulgara, ex insegnante, che
ha appena perso il marito. Ha messo da parte tutti i suoi risparmi
per acquistare la tomba del coniuge, che poi diventerà anche la
sua. Proprio quando sta per acquistarla, viene truffata e derubata
di tutto il denaro, che teneva nascosto in casa. Determinata a non
rinunciare al suo progetto, deve inventarsi qualcosa. Non bastano
infatti, ad acquistare la tomba, i soldi che l’anziana guadagna con
le lezioni private di bulgaro che impartisce, né quelli della magra
pensione. Blaga escogiterà uno stratagemma che le farà fare ciò che
mai aveva pensato, fino a cambiare radicalmente il primo modo di
rapportarsi al mondo.
Blaga’s Lessons spinge a
interrogarsi
Blaga’s
Lessons mette sul piatto molte questioni di carattere
sociologico, ma anche legate al modello economico capitalistico,
alla base della società occidentale. Un modello che mette al centro
il profitto, a qualsiasi costo, e che tende a monetizzare tutto,
anche gli affetti. Fino a dove ci si può spingere per ottenere ciò
che si è convinti di meritare? Fino a quale livello di
spregiudicatezza e assenza di scrupoli arriva ciascuno per avere il
proprio tornaconto? Che società è quella in cui gli anziani sono
marginalizzati e considerati come un peso dai propri figli? O alla
stregua di polli da spennare, da parte di persone più o meno
disoneste nei rispettivi contesti? Quanta frustrazione e rancore
possono covare per questo?
Eli Skorcheva in Blaga’s Lessons
La protagonista di Blaga’s
Lessons
A queste domande il regista
Stephan Komandarev, candidato all’ Oscar nel 2008,
risponde con la lunga ed estenuante peregrinazione, a piedi e in
macchina, di giorno e di notte, della sua protagonista,
interpretata da Eli Skorcheva, che percorre la
strada disturbante e financo deprimente, che la porta sempre più
giù, nell’ abisso dell’ abiezione umana. Il film è tutto incentrato
su di lei, che compare quasi sempre da sola, nella propria casa o
in strada, in sequenze ricorsive, sempre simili a sé stesse. Il
regista punta tutto sulla figura di questa donna minuta e dall’
aspetto dimesso, in contrasto con quello che sarà nel corso del
film il suo agire, e su un’atmosfera inquietante, di suspense, che
percorre il lavoro.
Nonostante la bravura della
protagonista, che tiene letteralmente da sola sulle spalle il film,
è però davvero difficile mantenere viva l’attenzione dello
spettatore per quasi due ore, solo attraverso il suo pedinamento.
Gli sguardi, il volto provato della donna comunicano molto a chi
osserva, un ambiente sempre grigio è consono alla vicenda, ma ci si
aspetta qualcosa di più. Qualcosa che non arriva, per tutta la
durata del film.
Un racconto duro e minimalista
Blaga’s
Lessons rimane un racconto duro e minimalista – forse
troppo, e come tale, di non facile fruizione – sui mali del nostro
tempo e le distorsioni cui la società ci ha purtroppo abituato.
Quello di Blaga potrebbe essere uno dei tanti casi di cronaca,
ormai sempre più assurdi, che riempiono le pagine dei
quotidiani.
La carriera di Zucchero
Sugar Fornaciari – pseudonimo di Adelmo
Fornaciari – ha fatto da spartiacque tra la musica
italiana: c’è solo un dopo Zucchero ed è
impossibile stabilirne un prima. Una carriera caratterizzata
dall’umiltà e dell’incertezza di non essere mai abbastanza e che
viene celebrata nel film documentario – diretto da Valentina Zanella e
Giangiacomo De Stefano – attraverso le sue parole
e quelle di colleghi e amici come Bono,
Sting, Brian May,
Paul Young, Andrea Bocelli,
Salmo, Francesco Guccini,
Francesco De Gregori, Roberto
Baggio, Jack Savoretti, Don
Was, Randy Jackson e Corrado
Rustici.
Un viaggio dell’anima che, grazie a
immagini provenienti dagli archivi privati di Zucchero e dal “World
Wild Tour”, il suo ultimo e trionfale tour mondiale, va oltre il
ritratto di un musicista di successo arrivando fin dentro i dubbi e
le fragilità dell’uomo. Zucchero Sugar
Fornaciari sarà al cinema il 23, 24 e 25 distribuito
da Adler Entertainment.
Zucchero Sugar Fornaciari,
la trama
La vita di Zucchero raccontata nel
documentario prende vita in modo non lineare, come se fosse un
concertino jazz, di quelli che ascolti per strada. Ti lasci
trasportare dal ritmo, anche se ogni strumento suona una melodia
diversa dall’altra. Il cantante di Roncocesi ha fatto della musica
la sua vita e la stessa musica lo ha salvato, come dice lui
“prendendomi per i capelli”. La lotta per uscire dalla
depressione, il divorzio e tour mondiali sold-out
in tutto il mondo tra capitali europee, Nord America, Stati Uniti e
anche l’Oceania.
È proprio un viaggio a 360° nella
sua musica, nei suoi ricordi, nelle sue influenze musicali visto
non solo con gli occhi di Zucchero stesso ma di tutte le persone
che ha toccato. Da Bono, con il quale ha scritto
diversi pezzi, ad Andrea Bocelli che afferma come
la sua carriera sia iniziata grazie a lui. Una vita dedicata alla
musica e con la musica, ed è quello che ha voluto dare del suo
World Wild Tour 2022-2023 riuscendo a girare per
il mondo espandendo così il suo successo.
Ph: Matteo Girola
La “voce della tribolazione” come la
chiama De Gregori, amico che ha collaborato a Diamante –
pezzo dedicato alla nonna che portava questo nome. Sì perché
Zucchero è cresciuto in mezzo alla fattoria dei nonni e soprattutto
con la nonna passava molto tempo. La vanga, le radici e un
cappello e ci troviamo nella Roncocesi degli anni
’50, una città che non è una metropoli e vive solo di quello che
ha. Ma Roncocesi per un bambino nato in quegli anni ha tutto ciò
che si desidera e se quel bambino è il futuro Zucchero Fornaciari
l’essenziale è un organo nella chiesa di fronte casa.
Tra l’Emilia e il West
Tra l’Emilia e il West cantava
Guccini che usa queste parole per descrivere i viaggi musicali,
spirituali e fisici di Zucchero all’interno del
film documentario. L’aria di Roncocesi così triste e malinconica lo
porteranno in seguito a ricercare questo stesso blues
altrove, in America dove si radicata la sua anima capace di mettere
insieme l’energia afroamericana e la liricità italiana. Un artista
a tutto tondo che cade, e fa fatica ad alzarsi perché come dice
Salmo: “Questo è il peso del successo”.
La depressione
durata dall’89 al ’95 e che coincide banalmente anche con il
periodo di massimo splendore dell’artista che in quegli anni
accompagnava Eric Clapton ai concerti. Zucchero
racconta dei suoi attacchi di panico e della sua vita nella sua
Lunisiana Soul, il luogo che lo ha salvato.
Un’oasi in mezzo al nulla, nella cornice naturalistica della
Toscana incontaminata. Lì si trova Zucchero Sugar Fornaciari e se
tendete l’orecchio al vostro passaggio potrete sentire una chitarra
strimpellata.
Il film del 1976 Rocky
è una delle più celebri pellicole della storia del cinema, un
classico intramontabile del genere sportivo capace di vincere
l’Oscar come miglior film e lanciare la carriera del suo attore e
sceneggiatore Sylvester
Stallone. Il successo fu tale che i produttori
decisero poi di dar vita ad un sequel nel 1979, Rocky II, il quale fu
poi seguito nel 1982 da Rocky III. La saga
sembrava concludersi così, ma solo tre anni dopo è arrivato
Rocky IV, ancora
scritto, diretto ed interpretato da Stallone, seguito poi nel 1990
da Rocky V, diretto però da John
G. Avildsen, regista del primo film.
Alla sceneggiatura vi è invece
ancora una volta Stallone, che come per i precedenti anche in
questo quinto ha inserito alcuni elementi autobiografici. In
Rocky III e Rocky IV, il protagonista era
imbattibile, incredibilmente famoso e popolare, il che coincideva
con l’apice della popolarità di Stallone. Questa era però scemata
dopo il quarto film e nello scrivere la sceneggiatura di questo
quinto capitolo, l’attore ha deciso di tenere in considerazione
l’idea di come un uomo possa avere tutto, solo per poi perderlo
all’improvviso. Paradossalmente, il quinto capitolo è stato anche
l’unico flop economico della saga.
Negli anni, tuttavia, Rocky
V è stato parzialmente rivalutato dai fan, che vi riconoscono
il portare ad un nuova fase l’arco narrativo del protagonista.
Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente
utile approfondire alcune delle principali curiosità relative ad
esso. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile
ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama e
al cast di attori. Si riporta inoltre quello che
doveva essere il finale originale, prima che
Stallone decidesse di cambiarlo. Infine, si elencheranno anche le
principali piattaforme streaming contenenti il
film nel proprio catalogo.
Sylvester Stallone e Tommy Morrison Rocky V
La trama di Rocky V
Dopo il match contro Ivan
Drago,Rocky Balboa rientra da vincitore
negli Stati Uniti. Per via dei gravi traumi cerebrali rimediati
durante l’incontro, però, annuncia il suo addio definitivo al
pugilato. Nonostante questo annuncio, viene sfidato da un ricco
manager, George Washington Duke, a combattere
contro il suo campione Union Cane, ma Rocky,
fedele a quanto dichiarato, non accetta. Purtroppo il pugile scopre
di essere finito sul lastrico a causa una serie di investimenti
sbagliati, effettuati da suo cognato Paulie. Rocky
vorrebbe quindi accettare la sfida per guadagnare qualche soldo, ma
i medici gli comunicano che il ritorno sul ring potrebbe costargli
la vita.
Per cercare di non far mancare
niente alla moglie Adriana e al figlio
Robert inizia allora ad allenare il giovane
Tommy Gun, che subito si rivela essere molto in
gamba. Il successo di Tommy non passa inosservato e attira
l’attenzione di Duke, che lo convince a combattere contro Cane: il
ragazzo accetta, malgrado Rocky sia contrario. La sera
dell’incontro, un vittorioso Tommy non cita però Rocky nei
ringraziamenti, ma anzi lo sfida sul ring. Rocky rifiuta ancora una
volta ma quando il ragazzo colpisce Paulie in viso, fa cambiare
idea all’ex pugile, deciso a rivendicare il suo onore.
Sylvester Stallone e Sage Stallone in Rocky V
Il cast di Rocky V: da
Sylvester Stallone a Sage Stallone
Ad interpretare Rocky Balboa,
naturalmente, c’è ancora una volta Sylvester
Stallone, mentre l’attrice Talia Shire
riprende il ruolo di Adriana. All’epoca l’attrice era impegnata
anche nelle riprese di Il Padrino – Parte III, dove
interpretava Connie Corleone, e si trovò a doversi dividere tra i
due set. Nel ruolo di Robert, il figlio di Rocky, vi è invece
Sage Stallone,
il primogenito di Sylvester poi tristemente scomparso nel 2012
all’età di 36 anni. L’attore Burt Young, invece,
riprende il ruolo di Paulie Pennino, mentre Tony
Burton ritorna nel ruolo di Tony “Duke” Evers, amico di
Rocky ed ex allenatore e manager di Apollo Creed.
L’attore Richard
Gant interpreta George Washington Duke, un personaggio
esplicitamente ispirato al dirigente sportivo Don
King, noto per aver organizzato innumerevoli incontri
storici di pugilato, ma anche per essere stato il manager di
leggende come Muhammad Ali, George
Foreman e Mike Tyson. Michael
Anthony Williams e Tommy Morrison sono
invece gli interpreti di Union Cane e Tommy Gun, erano pugili nella
vita reale. Circa un mese dopo l’uscita del film, i due avrebbero
dovuto combattere in un vero match pubblicizzato come “The Real
Cane vs. Gunn Match“. L’evento venne però annullato per via di
un infortunio di Williams.
Rocky V: il finale del
film
Originariamente, Sylvester Stallone
considerò l’idea di uccidere Rocky alla fine del film. Il piano era
che Rocky, dopo il match, morisse in ambulanza mentre si recava
all’ospedale con Adriana al suo fianco. La moglie avrebbe allora
annunciato al mondo la sua scomparsa e il film si sarebbe concluso
con un flashback finale della famosa scena del primo film di Rocky
che corre su per i gradini. Alla fine, tuttavia, Stallone abbandonò
quest’idea e riscrisse il finale così come è oggi presente nel
film. Qualora avesse proceduto con l’uccidere Rocky, ciò avrebbe
reso impossibile ulteriori racconti a lui dedicati, come invece
avvenuto poi con Rocky Balboa e Creed.
Il trailer di Rocky V e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Rocky V grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Chili Cinema, Apple TV e Prime Video. Per vederlo, una volta
scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo
film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di
guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. Il
film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato
21 ottobre alle ore 21:25 sul canale
Rete 4.
Con i suoi racconti gialli la
scrittrice Agatha Christie ha fornito un
illimitato patrimonio narrativo anche al cinema, che negli anni ha
adattato e trasformato le sue storie per dar vita a film sempre
diversi. Il regista Kenneth Branagh
si è di recente tuffato proprio nel mondo della Christie,
riportando sullo schermo un personaggio iconico e amato come
Hercule Poirot. Nel 2017 questo è infatti stato
protagonista di Assassinio sull’Orient
Express (qui la recensione), adattamento
di uno dei più celebri romanzi della Christie, da lei scritto nel
1934. Si tratta di un puro giallo, con un omicidio, dei sospettati
e degli indizi con cui arrivare al colpevole.
Assassinio sull’Orient
Express era già stato portato sul grande schermo nel 1974, per
la regia dell’acclamato Sydney Lumet. Un film
ancora oggi ritenuto di estremo valore, dal quale Branagh ha
naturalmente cercato di prendere le distanze per costruire la sua
versione del racconto. Il regista, anche interprete del film, ha
infatti preferito dar vita ad un film molto più cupo rispetto a
quello di Lumet, concentrandosi su sentimenti come il dolore e la
perdita, facendo di questi il filo conduttore e l’elemento portante
dell’intera narrazione. Apprezzato dalla critica, il film si è poi
affermato come un grandissimo successo con un incasso di oltre 350
milioni di dollari in tutto il mondo.
Sull’onda di questo rinnovato
interesse per i casi di Poirot, Branagh ha poi portato al cinema
nel 2022 il sequel Assassinio sul Nilo. In
attesa di vedere questo, una prima o nuova visione di
Assassinio sull’Orient Express sarà certamente utile per
conoscere meglio il protagonista. Prima di intraprendere una
visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune
delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella
lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli
relativi alla trama, al cast di
attori e alle differenze con il libro.
Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme
streaming contenenti il film nel proprio catalogo.
La trama di Assassinio
sull’Orient Express e il cast del film
Ambientato nel 1934, il film ha per
protagonista HerculePoirot,
detective tanto infallibile quanto ossessionato dall’equilibrio e
dall’ordine. Per lui, che ha appena risolto un’esimo caso, si
prospetta ora un periodo di pausa dal lavoro. Per tornare a Londra,
egli si concede dunque il lusso di viaggiare sul celebre Orient
Express. Durante il viaggio, però, si consuma un atroce omicidio
nei confronti del misterioso Ratchett. Per Poirot,
l’assassino non ha però ancora avuto modo di lasciare il treno e si
nasconde tra i dodici passeggeri a bordo. Scoprire chi ha compiuto
l’atto e perché diventa dunque quantomai essenziale per la
sicurezza di tutti.
Come anticipato, ad interpretare il
detective Hercule Poirot vi è lo stesso Branagh, il quale per dar
vita al personaggio si è concentrato molto sui celebri baffi
descritti dalla Christie. Poiché nel libro questi vengono
menzionati numerose volte, Branagh ha ideato dei baffi
particolarmente vistosi e volutamente esagerati. Accanto a lui, nel
ruolo del misterioso Ratchett vi è l’attore Johnny Depp,
mentre il suo maggiordomo è interpretato da Derek
Giacobi. Nei panni della vedova di alta classe Caroline
Hubbard vi è l’attrice Michelle
Pfeiffer, la quale ha raccontato che pur non
conoscendo bene il romanzo ha adorato tanto la storia quanto il suo
personaggio.
Penelope Cruz
interpreta la missionaria spagnola Pilar Estravados, mentre
Willem Dafoe è il
riservato professore austriaco Gerhard Hardman. La premio Oscar
Judi Dench
interpreta l’anziana principessa russa Natalia Dragomiroff,
mentre Olivia Colmanè la
sua fedele cameriera. Josh Gad interpreta invece
Hector McQueen, l’assistente personale di Ratchett. Gli attori
Lucy Boynton e Sergei Polunin
sono i coniugi Andrenyi, mentre Tom Bateman è
l’ufficiale di bordo del treno. Completano poi il cast gli attori
Leslie Odom Jr., nei panni del gentilumo di colore
Arbuthnot, e Daisy Ridley in
quelli di mary Debenham, giovane istruttrice.
Assassinio sull’Orient Express: le differenze con il
libro
Nel portare al cinema il romanzo
della Christie, Branagh non si è allontanato dalla trama di questo
e anzi ha cercato di rimanere fedele in quanti più dettagli
possibile. Vi sono però state alcune modifiche resesi necessarie,
che non hanno però alterato la natura del racconto. Innanzitutto,
Branagh ha come già detto deciso di accentuare la forma dei baffi
di Poirot, facendogli assumere nel film una forma a manubrio,
differente di quella descritta dalla Christie. Piccole variazioni
si ritrovano poi anche nelle backstory dei protagonisti. La
missionaria Pilar, ad esempio, passa dall’essere una svedese nel
libro ad una donna spagnola nel film, mentre il maggiordomo di
Ratchett è molto più anziano di quanto descritto nel romanzo.
Differenti inoltre sono le modalità
con cui Ratchett cerca di convincere Poirot a vegliare su di lui.
Se nel film egli tenta di guadagnare la fiducia del detective con
dolci e chiacchiere, nel libro utilizza invece dei metodi molto più
bruschi, che rivelano la sua vera natura. Particolarmente diversa è
anche la rappresentazione dei motivi per cui il treno rimane
bloccato in mezzo alla neve. Nel romanzo il tutto avviene
maggiormente sullo sfondo, mentre nel film l’impatto con una
valanga è un evento particolarmente significativo. Ciò che
certamente differisce di più tra film e libro è però il finale.
Branagh ha infatti scelto di ambientare la risoluzione del caso
esternamente al treno, dando luogo ad uno svelamento del colpevole
che porta Poirot a compiere un significativo cambiamento etico e
personale.
Assassinio sull’OrientExpress: i sequel, il trailer e dove vederlo in streaming
e in TV
Dato il successo del film, nel 2022
viene rilasciato Assassinio sul
Nilo, adattamento del romanzo del 1937 Poirot
sul Nilo, con il protagonista che si trova a dover
risolvere un delitto passionale particolarmente complesso mentre
attraversa il Nilo su un battello. Nel 2023 viene invece
distribuito un terzo film, sempre diretto da Branagh, dedicato al
personaggio. Si tratta di Assassinio aVenezia, adattamento del romanzo del 1969
Poirot e la strage degli innocenti (Hallowe’en
party). Un racconto, questo, che presenta elementi fantastici e
toni vicini a quelli di un film horror. Anche questo terzo capitolo
ottiene un discreto successo, con Branagh che si è poi detto
interessato a realizzare ulteriori film su Poirot.
È possibile fruire di
Assassinio sull’Orient Express grazie
alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme
streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nei
cataloghi di Rakuten TV, Chili Cinema, Google Play, Apple
iTunes, Disney+, Amazon Prime Video e Tim Vision. Per
vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà
noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale.
Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della
qualità video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo
di sabato 21 ottobre alle ore
21:45 sul canale Rai 3.
Un amor,
titolo dato al nuovo film della spagnola Isabel Coixet, potrebbe a primo
impatto portarci fuori binario. La storia, in Concorso alla
18esima edizione della Festa del
Cinema di Roma nella sezione Progressive Cinema, prima
di essere un racconto d’amore non ordinario, come si potrebbe
pensare dalle immagini ufficiali o dalla sua breve sinossi, è un
inno al raggiungimento della libertà interiore (e sociale), quella
ottenuta in seguito a una forte resistenza ma anche resilienza. La
regista, le cui donne che si devono confrontare con i problemi
della vita sono colonna portante della sua filmografia, per il suo
nuovo lavoro affida a Natalie, protagonista di Un
amor, il compito di parlarci di quanto questo possa
essere complicato e distruttivo se non decidiamo di agire – e
reagire – agli eventi che ci sovrastano.
A fare da sfondo a un racconto in
cui è ancora una volta l’empowerment femminile a dominare, una
campagna rurale spagnola dominata da misoginia, pregiudizi e a
volte chiusura mentale. Sono proprio questi, però, che a forza di
dare a Natalie tutti i giorni uno schiaffo in faccia non proprio
piacevole, le daranno la giusta carica per ribellarsi e poter, alla
fine, farsi valere. Un amor è tratto dall’omonimo romanzo
best seller di Sara Mesa, e ha come interpreti
principali Laia Costa nel ruolo di
Natalie e Hovik Keuchkerian in
quello di Andreas.
La trama di Un amor
Natalie (Laia
Costa) faceva la traduttrice simultanea per i rifugiati,
prima di decidere di trasferirsi a La Escapa, un paese rurale della
Spagna. Il dolore provocato dal suo precedente lavoro era diventato
insostenibile per lei, tanto da provocarle incubi. Ma la scelta di
andare ad abitare in una remota campagna si rivela non essere
quella adatta. Sin dal suo arrivo, la donna si trova a dover
affrontare una serie di situazioni spiacevoli, prima fra queste una
casa che sta crollando a pezzi, fatiscente, ma il cui burbero
proprietario non vuole riparare. Anzi, la tratta con disprezzo, le
inveisce contro senza il minimo scrupolo. Anche il vicinato non è
molto trasparente: c’è chi è sospettoso, c’è chi invece mostra
bontà ma non riesce a nascondere una fin troppo palese malizia.
Per Natalie le cose peggiorano
quando l’abitazione in cui vive inizia ad avere problemi di
infiltrazioni, fino a quando a causa delle piogge non si allaga
tutta, costringendola a mettere dei secchi per arginare il
problema. Una sera arriva alla sua porta Andreas (Hovik
Keuchkerian), un uomo la cui età potrebbe essere superiore
alla quarantina, e il cui aspetto fisico non è proprio dei migliori
e affascinanti. Egli si offre di darle una mano in cambio di
qualcosa di molto specifico: entrare in lei. Dopo un primo rifiuto,
la donna capirà di non avere alternative e alla fine accetterà. Da
quel momento instaurerà con lui una relazione quasi ossessiva,
oltre che malsana. Questo, però, la porterà paradossalmente a una
rinascita.
Una protagonista inaspettata
Isabel Coixet per
il suo Un amor decide di utilizzare il
4:3; una scelta che se all’inizio è quasi incomprensibile,
soprattutto per i panorami rurali e montuosi filmati il cui skyline
perde di maestosità a causa del formato, comprendiamo solo in
seguito essere lo strumento adatto per poterci restituire i
sentimenti – e la condizione – di Natalie. Grazie infatti a queste
inquadrature ristrette, il campo si concentra tutto sulla
protagonista. La macchina da presa aderisce a lei, e in quello
spazio chiuso – dove non riusciamo a vedere molto altro – possiamo
percepire la sofferenza di una donna che si sente stretta in una
morsa dalla quale non riesce a liberarsi. Ha cambiato vita per
allontanarsi da un lavoro che le provocava incubi per quanto
emotivamente stancante, ma il suo trasferimento si è trasformato in
un altro brutto sogno in cui il proprietario di casa è un
maschilista arrogante, gli uomini quasi tutti maliziosi e i vicini
di casa sospettosi e analizzatori. In un ambiente per certi versi
così ostile e ambiguo, Natalie trova riparo in una relazione
amorosa (o dovremmo dire sessuale) con Andreas, ma nella quale
niente è sano se non il suo bisogno di stare bene.
Crede di aver trovato qualcuno con
cui vivere la sua vita solitaria, che però a stento conversa con
lei. L’amore, dunque, diventa solo pretesto per farle
risolvere i suoi dubbi esistenziali. È l’escamotage
narrativo perfetto, non il viaggio. È l’inizio, non la fine. Tanto
che questo singolare legame – in cui c’è comunque una necessità da
parte della regista di sovvertire gli stereotipi di età – nasce
verso il secondo atto e si consuma anche molto brevemente. Quello
che resta, che impregna e bagna ogni sequenza, la ravviva e la
colora, è solo Natalie, che da tutte queste esperienze e
vicissitudini rinasce, nelle ultime battute, come una fenice dalle
proprie ceneri. Il finale di Un amor è
fra gli inserti più belli e puri; è catartico, potremmo dire quasi
sublime: è equilibrato ma impattante, semplice ma significativo. Di
cui difficilmente potremo dimenticarci. E applausi a Laia
Costa.
Presentato fuori concorso al Festival
di Cannes, l’attesissimo Killers of the Flower
Moon è il nuovo film di
Martin Scorsese che arriverà nei cinema italiani il
prossimo autunno, prima di approdare su Apple TV+. Il regista ne ha
anche curato la sceneggiatura insieme a Eric Roth,
basata sull’omonimo libro del 2017 di David Grann.
La trama è incentrata su una serie di omicidi avvenuti in Oklahoma
ai danni Nazione Osage durante gli anni Venti, commessi dopo che è
stato scoperto il petrolio nella loro tribù. Il film è interpretato
da Leonardo DiCaprio, qui anche nelle vesti di
produttore esecutivo, insieme a Robert De Niro, Lily
Gladstone, Jesse Plemons, Brendan Fraser e John
Lithgow. Si tratta della settima collaborazione tra
Scorsese e DiCaprio e dell’undicesima tra Scorsese e De Niro.
Killers of the flower moon, dal
libro al film
Basato sul best-seller di
David Grann del 2017 Killers of the Flower
Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI, il film
targato Apple Studios racconta la storia di come una serie di
omicidi di nativi americani della nazione Osage – per le riserve di
petrolio sulla terra degli Osage – sia coincisa con la nascita
dell’FBI. In questo caso, è Jesse Plemmons a
interpretare Tom White, un Texas Ranger
trasformato in agente dell’FBI inviato in Oklahoma da J.
Edgar Hoover per indagare sui crescenti omicidi dei membri
della Nazione Osage, allora molto ricchi. Inizialmente, DiCaprio avrebbe dovuto interpretare il
personaggio di White, punto di vista centrale del libro ma, assieme
a Scorsese e De Niro, si decise di riorganizzare la trama
del film attorno al sospettato Ernest Burkhart,
nel tentativo di evitare una narrazione incentrata sul “salvatore
bianco”.
Killers of the Flower
Moon è ambientato negli anni ’20 a Fairfax, un’area
dell’Oklahoma nord-orientale che, come sottolinea
Scorsese nell’ottimo prologo del film (una sorta di
mockumentary in bianco e nero), deteneva all’epoca il più alto
reddito pro capite, con gli indiani della Osage Nation come
principali beneficiari. In mezzo alla profusione di pozzi
petroliferi, ricevevano generose royalties ed è per questo che li
vediamo indossare gioielli ostentati e girare in auto lussuose con
autisti bianchi.
Nel bel mezzo di questa corsa
all’oro (nero), Ernest Burkhart (Leonardo
DiCaprio), un veterano della Prima Guerra mondiale (in
realtà era un cuoco della Fanteria) arriva sulla scena insieme a
migliaia di altri lavoratori per unirsi all’azienda gestita da suo
zio William “The King” Hale
(epiteto che spiega da se la sua influenza nella gestione del
potere nella contea). Proprio su suggerimento di Hale, Ernest sposa
Mollie, membro di una delle tante famiglie
autoctone benestanti; in questo senso, una delle domande su cui
Scorsese si soffermerà nel corso della narrazione è se ci sia un
vero amore alla base della relazione tra Ernest e Mollie o se
Ernest abbia optato per un matrimonio di interesse che gli potesse
far acquisire progressivamente un reddito importante. Quel che è
certo è che si scatena un costante e crescente massacro genocida:
la terra e le rendite sono troppo allettanti per gli uomini bianchi
e gli Osange vengono spogliati dei loro averi con ogni tipo di
trucco, inganno o vero e proprio omicidio a sangue freddo.
Robert De Niro e Leonardo DiCaprio in una scena di Killers Of The
Flower Moon
Lupi in Oklahoma
“Riesci a vedere i lupi in
questa foto?“: ad Osage County, i lupi sono nascosti ovunque.
Al contrario dei gufi, presagio di morte per gli indiani e che
appaiono nelle visioni di qualche personaggio, in Killers
of the Flower Moon i lupi non vengono mai rappresentati
nella loro forma animalesca. Devono essere scovati e forse
qualcuno, all’interno della contea, lo ha già fatto. Sono gli
assassini di una terra promessa e perduta, che hanno manipolato un
intero popolo e le sue risorse. Tuttavia, più che come carnefici e
fautori di un vero e proprio genocidio – secondo il Ministero della
Giustizia, quello di Osage fu “il capitolo più sanguinoso della
storia del crimine americano” –
Scorsese inquadra questi lupi con il suo solito
taglio. Sono criminali, truffatori, gangster e ai loro loschi
movimenti è rivolta gran parte dell’attenzione del regista, molto
più di quella dedicata alle vere vittime, gli Osage.
La principale linea narrativa di
Killers of the Flower Moon permette, tramite uno
sguardo incessante sulle figure maschili, un’attenta analisi su
questi nuovi “bravi ragazzi”. Lo scontro tra Ernest e William è,
letteralmente, all’ultimo sangue e non c’è modo per distogliere il
focus registico da questo duello. Una mimica facciale piuttosto
accentuata distingue questi personaggi animaleschi, che ricalcano
effettivamente le sembianze dei lupi con le smorfie che mantengono
per tutta la durata del film. I fan di
Martin Scorsese gioiranno nel partecipare a questo
testa a testa di bravura recitativa tra due attori feticcio del
regista e, soprattutto per quanto riguarda DiCaprio, rimarranno sicuramente colpiti dal
personaggio poco autorevole e debole di spirito che gli è stato
costruito addosso, un qualcosa di sicuramente inedito rispetto ad
altri suoi precedenti ruoli.
Punti di vista secondari
Dall’altro lato, il modo in cui
Scorsese decide di adattare il saggio di partenza, non
permette alla grandissima Lily Gladstone di
brillare nel secondo e terzo atto del film quanto accade nella
prima parte. In questa, la sua Mollie è infatti
spesso sulla scena mentre sta imparando a conoscere
Ernest per poi, come dicevamo, essere tirata fuori
dai giochi assieme agli altri Osage, un po’ perchè la partita
sulla loro vita si gioca altrove, negli spazi in cui ha accesso
l’uomo bianco, un po’ perchè ciò che interessa a Scorsese è
sradicare la falsità che domina i rapporti tra questi criminali,
passando dall’epopea western a quasi il gangster movie.
Anche l’FBI, il punto di vista
fondamentale del libro, che conduce l’indagine e smaschera i lupi,
è poco presente nel film di
Scorsese. Tutto è funzionale alla messa in scena del
rapporto tra zio e nipote – o sarebbe meglio dire servo e padrone –
e che dovrebbe incapsulare il senso metaforico della prevaricazioni
sociale da parte dei bianchi in Oklahoma. Circoscrivere la vicenda
al microcosmo tematico prediletto da Scorsese funziona a tratti:
con un montaggio non sempre puntuale, soprattutto per quanto
riguarda le sequenze degli omicidi degli Osage, la riflessione
sull’act of killing, il vero e proprio genocidio che è
stato commesso, sembra venire meno rispetto alla ferocia con cui si
ritraggono i rapporti tra bianchi. Nonostante ciò, nel ritrarre
questo scontro tra Lupi, Scorsese fa Scorsese, una scelta che
convincerà sicuramente i fan di lunga data del regista, pur aprendo
la porta a quella scelta creativa sicuramente inedita, soprattutto
per quanto riguarda un inaspettato inserto finale.
Loki Stagione 2, Episodio
3 dal titolo 1893 è stata una puntata
molto emozionante, con molti riferimenti e Easter Egg al mondo
Marvel e a quello di Loki stesso,
in particolare. La serie ha finalmente introdotto Victor Timely,
una variante di Kang che abbiamo visto per la prima volta nella
scena post-credits di Ant-Man and the Wasp: Quantumania.
Interpretato ancora una volta da
Jonathan Majors, Victor Timely si preannuncia come
un’importante aggiunta ai personaggi, soprattutto per quello che
accade nel finale dell’episodio.
Dai riferimenti più ampi allo stato del multiverso del MCU ai
suggerimenti e alle anticipazioni su altre varianti di Kang, la
serie ha continuato a fornire una miriade di connessioni più ampie
con altri elementi del vasto universo dei Marvel Studios. Ed ecco
di seguito ogni riferimento, Easter Egg e collegamento ad altre
proprietà Marvel trovate in Loki Stagione 2, Episodio
3:1893.
1Loki
Stagione 2, Episodio 3 fa un riferimento alla regista
della prima stagione
Verso la fine di Loki Stagione 2, Episodio 3, Ravonna e
Victor Timely salgono a bordo di una nave che li porta al
laboratorio vero e proprio di Timely. La nave si chiama SS Herron,
un riferimento a una figura importante della prima stagione di
Loki. Ogni singolo episodio della prima stagione di Loki è stato
diretto da Kate Herron. Sebbene non sia coinvolta
nella produzione della seconda stagione, l’SS Herron è un modo
sottile per il team di Loki di rendere omaggio a
qualcuno che è stato parte integrante del linguaggio visivo, dello
stile e del tono della serie.
Loki Stagione 2, Episodio
3 si conclude con un’importante scena finale, che fa porre
nuove domande sul quello che sarà il futuro della TVA e di Ravonna
Rensayer (Gugu Mbatha-Raw). Nell’episodio viene
rivelato che Ravonna è stata inviata su una linea temporale
ramificata, insieme all’IA senziente Miss Minutes (Tara
Strong) della Time Variance Authority, per creare un nuovo
Colui che Rimane. Tuttavia, sembra esserci una
verità nascosta sulla TVA riguardante sia il passato che il futuro
di Ravonna.
Come visto in Loki Stagione
2, Episodio 3, la nuova variante di Colui che Rimane denominata Victor Timely
(Jonathan
Majors) fa il suo debutto ufficiale nel MCU, dopo la sua scena post credits
di Ant-Man and the Wasp: Quantumania. Posizionato
in una linea temporale ramificata nel 1893, Timely è un inventore a
cui da bambino è stata regalata una guida TVA. Questo grazie a
Ravonna e Miss Minutes che apparentemente stanno seguendo gli
ordini postumi dello stesso Colui che Rimane.
Tuttavia, il loro piani vengono
fatti saltare dall’intervento di Loki (Tom
Hiddleston) e Mobius (Owen
Wilson) che hanno bisogno di Timely per salvare
l’attuale TVA mentre Sylvie (Sophia
Di Martino) vuole semplicemente ucciderlo. L’episodio
si conclude con un sorprendente cliffhanger, in particolare per
quanto riguarda Ravonna.
1Quanto tempo è passato alla fine dei
tempi
Considerando la decomposizione del corpo di
Colui che Rimane, sembra proprio che sia passato
molto tempo da quando è stato ucciso da Sylvie nel finale della
stagione 1 di Loki. Tuttavia, il tempo funziona in modo diverso sia
nella TVA che alla Fine dei Tempi, quindi il passaggio effettivo di
detto tempo è naturalmente relativo e difficile da quantificare
esattamente.
Indipendentemente da ciò, è chiaramente
passato abbastanza tempo perché la Cittadella cadesse a pezzi e una
moltitudine di nuove linee temporali crescesse con un multiverso in
continua espansione. Allo stesso modo, nuove varianti di
Colui che Rimane hanno iniziato ad apparire in
tutto il MCU, come si è già visto in altri prodotti MCU (il
Consiglio dei Kang alla fine di Ant-Man and the Wasp: Quantumania).
Chiaramente, gli effetti della morte di Colui che
Rimane si fanno sentire in larga misura.
La prima volta che incontriamo
Lisa, la protagonista di One Day All
This Will Be Yours, è nella sua vasca da bagno, in
cerca di riparo dalla sua vita confusionaria e frenetica. Un riparo
che però non trova, reimmergendosi ben presto nei tentativi di
trovare un titolo al suo primo libro e nei complessi rapporti con
il suo editore. Andreas Öhman – regista
svedese fattosi notare nel 2010 con il suo esordio Simple
Simon – ci presenta dunque sin da subito una protagonista
totalmente fuori controllo e proprio la ricerca di esso come anche
del proprio posto nel mondo saranno alla base di questo
racconto.
Un racconto, affrontando il quale
Öhman, anche sceneggiatore del film, sceglie di mettersi per primo
totalmente a nudo, rielaborando vicende personali ma anche la
dolorosa scomparsa della sorella quando era solo un bambino. Così
facendo permette a One Day All This Will Be Yours
– Presentato nella sezione Progressive
Cinema della Festa del Cinema di
Roma, di acquisire una spontaneità seducente e una
vitalità contagiosa, infondendogli inoltre il giusto equilibrio per
raccontarci una volta di più di quanto le persone possano essere
imperfette, complicate, fragili e proprio per questo amabili.
La trama di One Day All This
Will Be Yours
Come già detto, protagonista di
One Day All This Will Be Yours è Lisa (Karin Franz
Körlof), una fumettista trentenne che proprio mentre sta
lavorando per terminare in tempo il suo nuovo libro, viene
convocata insieme alla sorella e al fratello nella fattoria di
famiglia nel nord della Svezia. I due anziani genitori, infatti,
devono fare loro un importante annuncio riguardante la foresta che
la famiglia possiede da generazioni. Questo ritorno a casa
costringe però Lisa ad affrontare i problematici rapporti che
l’hanno allontanata dai suoi parenti, come anche un trauma del
passato mai realmente risolto.
La strada verso casa
Si è soliti dire che tutta la vita
non è altro che un lungo e continuo viaggio di ritorno a casa,
qualunque essa sia e ovunque possa trovarsi. La Lisa che
incontriamo all’inizio del film sembra rispondere perfettamente a
questo modo di dire, poiché pur avendo fatto della propria passione
il suo mestiere, sembra continuamente non appartenere al mondo che
si è costruita intorno. E se anche lei non vuole ammetterlo, ce lo
suggerisce il regista con la sua tremolante macchina a mano,
evidenziando così quel tremore che la protagonista cerca di
camuffare.
Ma anche quando tornerà a casa dai
suoi genitori, a Lisa verrà in più occasioni detto che non
appartiene a quel posto. Ma allora dov’è la casa di Lisa? Qual è il
suo posto nel mondo? È quello che lei cerca di scoprire, dapprima
riluttante poi sempre più determinata. Lentamente inizia allora a
rifuggire da quel mondo di fantasia che si è costruita negli anni –
e che le permette di vedere oggetti inanimati prendere vita, come
la schiuma, gli alberi o perfino le lattine di birra che beve
continuamente – per abbracciare sempre di più la natura e la
rinnovata serenità che essa sembra conferirle.
Quando ciò avviene, anche se non è
immersa dal verde della foresta, Lisa avrà sempre qualche elemento
di questo colore accanto a sé, indicandoci che il suo pensiero o il
suo animo continua ad andare in quella direzione. Ma Lisa non è il
tipo di persona che si abbandona facilmente e incondizionatamente
agli istinti del proprio cuore. Sboccata, cinica e aggressiva, si è
costruita nel tempo una corazza – o corteccia, per rimanere in tema
natura – difficile da scalfire e che prontamente indossa quando le
cose sembrano complicarsi troppo a livello emotivo.
Karin Franz Körlof in una scena di One Day All This Will Be
Yours.
La bellezza dei personaggi imperfetti
Risulta allora difficile prevedere
le sue azioni e reazioni, anche se il racconto che Öhman costruisce
rimane saldamente ancorato (a volte forse troppo) a determinati
binari tipici di questo genere di racconti. Ma il regista riesce a
non far pesare questa aderenza, che anzi sembra servirgli per
potersi concentrare totalmente sulla sua protagonista, un
personaggio che ci ricorda quanto siano belli i personaggi così
imperfetti e umani, specialmente quando scritti in modo accurato,
con le giuste caratterizzazioni e interpretati da attori
all’altezza.
Karin Franz Körlof
si dimostra essere anche di più, una vera e propria forza della
natura capace di accentuare quanto da Öhman scritto per Lisa,
rendendola un personaggio impossibile da non amare. La si segue
allora con grande attenzione nel corso del suo viaggio e nel suo
ricercare il coraggio di affrontare il passato e dunque crescere.
Un viaggio nel quale si può sperimentare un umorismo amaro, i
drammi dell’esistenza e dei rapporti umani, ma anche le
innumerevoli sfumature colorate che la vita può assumere e svelare
nei momenti più impensabili.
Öhman, attraverso Lisa, riesce a
cogliere tutto ciò e a racchiuderlo in un feel-good
movie dotato di grande sincerità, che nel momento in cui porta
a compimento il viaggio della sua protagonista riesce a far
strabordare dallo schermo emozioni che investono lo spettatore
lasciandogli addosso sensazioni particolarmente positive. Un
risultato che non sempre riesce a questa tipologia di film,
talvolta così concentrati nel ricercare l’emozione a tutti i costi
da non riuscire a farla propria. One Day All This Will Be
Yours non perde invece di vista la sua protagonista e le sue
vicende, ed è proprio lì che trova infine il proprio posto, il
proprio cuore e le emozioni che lo renderanno memorabile.
Nella sera più paurosa dell’anno
arriva in prima tv su Sky Halloween
Ends (recensione),
ultimo capitolo dell’acclamata saga horror che ha appassionato il
mondo, martedì 31 ottobrealle 21.15 su
Sky Cinema Halloween, in streaming su NOW e disponibile on
demand. Su Sky il film sarà disponibile on demand
anche in 4K.
Diretto da David Gordon
Green, Halloween
Ends vede il ritorno dell’icona Jamie Lee Curtis nei panni di Laurie Strode,
per affrontare per l’ultima volta, dopo 44 anni dalla nascita del
franchise, l’incarnazione del male Michael Myers. Con lei anche
Andi Matichak, nel ruolo della nipote Allison, e
Rohan Campbell, che interpreta CoreyCunningham.
Halloween Ends vede anche il ritorno dei protagonisti Will
Patton nei panni dell’agente Frank Hawkins, Kyle
Richards nei panni di Lindsey Wallace e James Jude
Courtney nei panni di Michael Myers. Il film è scritto da
Paul Brad Logan, Chris Bernier,
Danny McBride e David Gordon
Green ed è basato sui personaggi creati da John
Carpenter e Debra Hill.
La trama del
film
Il franchise horror più acclamato e
venerato della storia del cinema raggiunge la sua epica e
terrificante conclusione quando Laurie Strode (Jamie Lee Curtis)
affronta per l’ultima volta l’incarnazione del male, Michael Myers.
Michael non si vede da quattro anni dopo gli eventi di Halloween
Kills. Laurie vive con sua nipote Allyson (Andi Matichak) e ha
scelto di liberarsi dalla paura e dalla rabbia e abbracciare la
vita. Quando un giovane viene accusato di aver ucciso il ragazzo a
cui faceva da babysitter, si innesca una cascata di violenza e
terrore con uno scontro finale tra Laurie e Michael diverso da
qualsiasi altro mai mostrato sullo schermo. Solo uno di loro
sopravviverà.
SKY CINEMA
HALLOWEEN
HALLOWEEN ENDS fa
parte dei titoli proposti da SKY CINEMA HALLOWEEN,
che da sabato 21 a martedì 31 ottobre, sul
canale 303 di Sky e su NOW, proporràoltre 70
titoli “da paura” che spaziano nei generi: avventure a
tinte dark, titoli per tutta la famiglia e horror.
Sul canale saranno proposte altre
due prime visioni: si tratta del fanta-horror tratto dalla celebre
serie a fumetti italiana della Sergio Bonelli Editore DAMPYR
(sabato 21 ottobre alle 21.15 su Sky Cinema Uno e alle 21.45 su Sky
Cinema Halloween), e dell’horror-thriller di M. Night Shyamalan con
Dave Bautista, tratto da un romanzo di Paul Tremblay, BUSSANO ALLA PORTA (lunedì 30 ottobre alle
21.15 su Sky Cinema Uno e alle 21.45 su Sky Cinema Halloween).
Inoltre, tra i titoli che
animeranno il canale, anche il sesto capitolo della saga horror
SCREAM VI con Melissa Barrera, Jenna Ortega e
Courteney Cox; il fanta-thriller rivelazione sull’intelligenza
artificiale M3GAN; il cult degli anni 90 che ha
consegnato alla leggenda Brandon Lee, IL CORVO – THE
CROW; e il film sulle origini del vampiro più famoso, fra
storia e leggenda, DRACULA UNTOLD.
E ancor i film cult per tutta la
famiglia, come GHOSTBUSTERS – ACCHIAPPAFANTASMI
con Bill Murray, Dan Aykroyd e Harold Ramis; l’avventura da brivido
nel primo capito della saga LA MUMMIA con il
premio Oscar 2023 Brendan Fraser; la commedia fantastica su un
tenero spettro, CASPER con Christina Ricci e Bill
Pulman; e la divertente avventura PICCOLI BRIVIDI
con Jack Black nei panni dello scrittore fantasy Robert L.
Stine.
I Marvel Studios hanno rilasciato un
nuovo promo per il prossimo sequel di Captain
Marvel di Nia DaCosta, The
Marvels, e il nuovo contributo contiene un bel
po’ di nuovi filmati nei suoi 30 secondi.
Lo spot mira a mostrare che i tre eroi sono “proprio come noi”
quando non stanno salvando il mondo, con Carol Danvers che ascolta
musica, Kamala Khan che disegna il suo idolo e Monica Rambeau che
sta per festeggiare con un aperitivo. Quindi, dopo vediamo il team
in azione mentre usano i loro poteri per eliminare alcuni degli
scagnozzi Kree di Dar-Benn, e proprio alla fine, Nick Fury dice a
Capitan Marvel che potrebbe essere una buona idea “mostrarne alcuni
con moderazione.” Danvers risponde che “non è proprio il suo
genere”.
The
Marvels, il sequel del cinecomic Captain Marvel con
protagonista il premio Oscar Brie
Larson che ha incassato 1 miliardo di dollari al
box office mondiale, sarà sceneggiato da Megan McDonnell,
sceneggiatrice dell’acclamata serie WandaVision.
Sfortunatamente, Anna
Boden e Ryan Fleck, registi del
primo film, non torneranno dietro la macchina da presa: il sequel,
infatti, sarà diretto da Nia DaCosta, regista
di Candyman.
Nel cast ci saranno
anche Iman Vellani(Ms.
Marvel, che vedremo
anche nell’omonima serie tv in arrivo su Disney+)
e Teyonah Parris (Monica Rambeau, già
apparsa in WandaVision). L’attrice Zawe
Ashton, invece, interpreterà il villain principale, del
quale però non è ancora stata rivelata l’identità. Il film, salvo
modifiche, arriverà in sala il 8 novembre
2023.
I primi due episodi della
seconda stagione di
Loki presentavano un paio di scatti
che molti fan hanno percepito come Easter Eggs sugliX-Men, che
potrebbero aver suggerito l’imminente arrivo degli iconici eroi
mutanti nell’MCU.La premiere della
serie includeva quello che sembrava un cenno piuttosto palese alla
“Porta di Cerebro” che era un appuntamento fisso dei
film X-Mendella 20th Century Fox.
Quindi, in “Breaking Brad”,
Loki e Mobius viaggiano in una linea temporale in cui Hunter B-5 è
diventato un ladro e sta vivendo la sua vita migliore come attore
di nome Brad Wolfe. Quando il dio
dell’inganno raggiunge “Zaniac”, sul muro si possono intravedere
alcuni graffiti che recitano: “Tutti gli M sono
fratelli”.
Questi potrebbero essere
stati aggiunti Easter Eggs sugli X-Men, ma secondo il regista Dan
DeLeeuw, non erano qualcosa che aveva pianificato di includere come
un modo per suggerire l’arrivo della super squadra.
“Questo è il
dipartimento artistico, Kasra [Farahani, che ha anche diretto
l’episodio 3], il nostro scenografo, è un genio con tutti i
set”, ha spiegato il regista
a Screen
Rant. “Con i
poster nella TVA puoi vedere che se lasci che il dipartimento
artistico si occupi di qualcosa, verranno fuori con idee
straordinarie che hanno una storia dietro di
loro.”
“Ma è qualcosa che
non ti saresti mai aspettato di trovare sul set. Non era davvero
pianificato.”DeLeeuw ha poi ricordato come
il suo tutor di materie umanistiche all’università spesso diceva
alla classe: “Beh, se è lì, è lì“, se aveva un’idea o una
prospettiva diversa su un libro che stavano
studiando. “È come, ‘Okay, non penso che
fosse questa l’intenzione, ma, se volevano che fosse lì,
certo.'”
Tom Hiddleston è tornato nel ruolo del dio del
male nella seconda stagione di Loki,
insieme alle star della prima stagione come
Owen Wilson, Gugu Mbatha-Raw, Sophia Di Martino, Tara Strong e
la nuova aggiunta Ke Huy Quan.
Eric Martin è il capo sceneggiatore e
produttore esecutivo della seconda stagione. Hiddleston è anche
produttore esecutivo insieme al capo dei Marvel Studios Kevin Feige
e Stephen Broussard, Louis D’Esposito, Victoria Alonso, Brad
Winderbaum, Kevin R. Wright, Justin Benson e Aaron Moorhead e
Michael Waldron. Trevor Waterson è co-produttore
esecutivo. Benson & Moorhead, Dan Deleeuw e Kasra Farahani
sono stati i registi della stagione. I nuovi episodi di Loki
debuttano giovedì alle 21:00 ET/18:00 PT su Disney+.
Nel primo film di Aquaman, Arthur
Curry (Jason
Momoa) si è scontrato con il suo malvagio
fratellastro, Orm (Patrick
Wilson), ma nel prossimo sequel questi personaggi
avranno una dinamica molto diversa.Il recente
trailer di Aquaman
2 ha confermato che Aquaman unirà le forze con un
Ocean Master imprigionato per combattere la minaccia
comune di Black Manta, e sembra che la loro
collaborazione sarà l’obiettivo principale del Aquaman e il
Regno Perduto.
“Fin dall’inizio, ho
pensato che il primo film sarebbe stato un film in stile Romancing
The Stone – una commedia romantica di azione e avventura – mentre
il secondo sarebbe stato una vera e propria commedia tra amici”,
dice il regista James Wan a
Empire . “Volevo
fare Tango & Cash!”
“Jason interpreta
Arthur in modo straordinario; Patrick interpreta l’uomo
etero”, continua
Wan. “Non è diverso da quello che hanno
fatto Will Smith e Tommy Lee Jones in Men In Black: come Tommy,
Patrick interpreta il tutto in modo asciutto, ma molto
divertente.”
Non essendo riuscito a
sconfiggere Aquaman la prima volta, Black Manta, ancora spinto dal
bisogno di vendicare la morte di suo padre, non si fermerà davanti
a nulla pur di sconfiggere Aquaman una volta per tutte. Questa
volta Black Manta è più formidabile che mai, poiché brandisce il
potere del mitico Tridente Nero, che scatena una forza antica e
malvagia. Per sconfiggerlo, Aquaman si rivolgerà al fratello Orm,
l’ex re di Atlantide e imprigionato alla fine del primo film, per
stringere un’improbabile alleanza. Insieme, dovranno mettere da
parte le loro differenze per proteggere il loro regno e salvare la
famiglia di Aquaman e il mondo dalla distruzione
irreversibile.
Jason Momoa è atteso di
nuovo nei panni dell’eroe in Aquaman e il
Regno Perduto, sequel del film che ha rilanciato in
positivo le sorti dell’universo cinematografico DC. In questo
seguito, diretto ancora una volta da James
Wan(Insidious, The Conjuring),
torneranno anche Patrick
Wilson nei panni di Ocean Master, Amber
Heard, nei panni di Mera, Dolph Lundgren che sarà ancora una volta
Re Nereus, il padre di Mera, e ancora Yahya
Abdul-Mateen II nei panni di Black Manta,
che abbiamo visto riapparire nella scena post-credit del primo
film.David Leslie Johnson-McGoldrick,
collaboratore ricorrente di Wan, scriverà la
sceneggiatura del film, mentre il regista e Peter
Safran saranno co-produttori. Il film arriverà al cinema
il 20 dicembre.
Widow Clicquot, il nuovo film di Thomas Napper, ci porta a Champagne dove
Barbe-Nicole Clicquot, rimasta vedova deve affrontare un mondo
governato da soli uomini, ereditando l’azienda di famiglia del
marito. Purtroppo, in un periodo storico dove anche le leggi sono a
suo sfavore, Barbe-Nicole (interpretata da Haley Bennett, che è anche produttrice del
film) dimostrerà grande determinazione e spirito di innovazione che
la faranno contraddistinguere ancora oggi per le sue importanti
scoperte. La protagonista ha raccontato il suo personaggio
definendolo un incontro, “come se ci si innamorasse” paragonando
questa esperienza ai suoi precedenti ruoli e sentendosi arricchita
di qualcosa di più di una semplice interpretazione.
“Il ruolo di Barbe è un ruolo
particolare perché non si parla solo di femminismo ma anche di
lutto. Ci sono pochi ruoli che cercano di raccontare questo tipo di
esperienza femminile e pochi uomini che hanno il coraggio e si
prendono le responsabilità di raccontarla. Nel personaggio c’è
tutta me stessa, ma è quello che cerco di fare con tutti i miei
personaggi. Io amo recitare ma amo ancora di più preparare e in un
certo senso innamorarmi dei ruoli che vado a fare perché quando
prepari un personaggi instauri una relazione con esso”, ha
detto Haley Bennett per poi continuare: “Ho conosciuto
la storia della vedova Clicquot mentre stavo girando un altro film.
Ero in Sicilia per le riprese di Cyrano e una mia amica, che lavora
come sommelier, mi ha dato un libro che raccontava la storia dei
Clicquot e di Barbe-Nicole. L’ho letto e sono rimasta incantata
dalla storia di questa donna che, rimasta vedova, ha preso in mano
l’azienda del marito e l’ha resa la più grande”.
Thomas Napper: “Ci sono diversi riferimenti artistici”
Quali sono i riferimenti a
cui ti sei ispirato per il film?
Thomas Napper: “Vengo da una
famiglia di pittori. La mia casa ha sempre profumato di questo
particolare aroma di pittura ad olio. Un dipinto che invece mi ha è
stato d’ispirazione è la Danza della vita di Edvard Munch. Al
centro una giovane coppia danza. Sembrano essersi fusi insieme. Il
vestito rosso della donna si avvolge intorno alla gamba dell’uomo.
Ai lati della coppia c’è una donna. Da sinistra viene verso di noi
una giovane donna vestita di bianco, luminosa e felice. A destra si
trova una donna vestita di nero, rigida e seria. Che sono le due
anime che descrivono Barbe-Nicole all’interno del film. Mi piaceva
che il film fosse “massimalista”, al contrario nella mia famiglia
sono minimalisti.”
“Mi piace che ci siano libri e
oggetti vari ma quello che abbiamo che abbiamo cercato di fare
durante le riprese del film è effettivamente togliere tutti gli
oggetti che non fossero necessari. Un’altra cosa che abbiamo voluto
portare nel film è proprio il cambiamento nella vita di
Barbe-Nicole. Inizia tutto in questa casa borghese e andando avanti
tutto assume un’estetica ben precisa, sempre più asciutta. Mi sono
accorto che più toglievo, più il personaggio risaltava. Anche il
fatto che il film si riduca a una sola ambientazione, dice molto
sul personaggio, perché volevo che tutti fossero vicini alla casa e
all’azienda, che si percepisse il legame con il
territorio”.
Tom Sturridge interpreta Francois in Widow Clicquot, un
personaggio vittima della perfezione
Dopo la prima stagione di
Sandman torni a
interpretare un personaggio complicato. Da Morfeo, il dio dei
sogni, a Francois che invece ha un sogno e cerca la perfezione.
Quali credi che siano le connessioni tra questi due
personaggi.
Tom Sturridge: “Sono entrambi connessi ai
sogni. Francois è un sognatore e ha una forte connessione con la
sua fantasia che lo disconnette dal reale che è quello che lo rende
un personaggio meraviglioso ma che, come vediamo, alle volte può
essere frustante. Diciamo che entrambi sono i custodi dei loro
sogni.”
Il ruolo di Edward Norton in L’incredibile
Hulk del 2008 è stato accolto con
recensioni contrastanti. Secondo uno stuntman che ha lavorato
al film, era difficile lavorare con l’attore. Parlando con
Joanna Robinson per il suo libro appena uscito MCU:
The Reign of Marvel Studios, lo stuntman
Terry Notary ha parlato del tempo trascorso
durante le riprese del film del 2008.
Secondo Notary, Edward Norton non ha dedicato molto in termini
di impegno quando si è trattato di realizzare il lavoro di motion
capture per Hulk. Questo, a sua volta, ha reso il
lavoro del team VFX un po’ più difficile.“[Norton] non era veramente impegnato, per quanto
riguarda Hulk, a meno che non si stesse trasformando da se stesso
in Hulk“, ha detto Notary. “Non è stato molto
presente durante tutta la faccenda.”
Terry Notary ha
elogiato Tim Roth per la sua professionalità nel film
Keith Roberts, che è stato
direttore dell’animazione di L’incredibile Hulk,
concorda con i commenti di Notary nel confermare che “Hulk non
ha le espressioni di Edward Norton, ma i due sono stranamente
simili nei tempi facciali“.
Terry Notary
ha poi elogiato Tim Roth, che nel film interpretava Emil
Blonsky/Abominio. Secondo Notary,
Roth era un “attore per eccellenza” e voleva essere coinvolto
in molte cose. “[Roth è] uno di quegli attori
per eccellenza a cui piace essere coinvolto, vuole assicurarsi che
avrà un bell’aspetto e che il suo personaggio abbia un
bell’aspetto“, ha detto Notary.
L’incredibile Hulk (The Incredible
Hulk) è il film del 2008 diretto da Louis Leterrier e reboot del
precedente Hulk del 2003 di Ang Lee e secondo film del
Marvel Cinematic Universe. Il protagonista è
interpretato da Edward Norton, il quale contribuì
anche alla stesura della sceneggiatura insieme a Zak Penn. il
supereroe è incentrato principalmente sulla versione Ultimate dove
Banner si sottopone all’esperimento di proposito, e non viene
investito dai raggi gamma nel tentativo di salvare Rick Jones come
nell’universo Marvel tradizionale.
“Con Robert siamo cresciuti
insieme, ci conosciamo fin da quando eravamo adolescenti”.
dice Martin Scorsese a Cinefilos.it – “È
l’unico attore che sa veramente da dove vengo, che tipo di persone
frequentavo. Gli anni ‘70 per il nostro rapporto sono stati un
grande banco di prova, abbiamo sperimentato tutto il possibile e
abbiamo scoperto di poterci fidare l’uno dell’altro. In quel
periodo Robert come star possedeva un potere
enorme e avrebbe potuto facilmente prendere il controllo dei nostri
film. Non ho mai avuto paura di questo. Lavoravamo in libertà,
desiderosi di sperimentare, senza alcuna paura. Anni dopo mi disse
che in un film intitolato Voglia di ricominciare
aveva recitato con un ragazzo, un certo
Leonardo DiCaprio, e mi consigliò di lavorarci un
giorno. Lo disse in maniera quasi casuale, ma non lo era
affatto”.
“Non era da Bob, uno che non dà
mai questo tipo di suggerimenti”. A continuato
Scorsese– “Così anni dopo Leo rese
possibile la realizzazione di Gangs of New York,
visto che dopo Titanic era una star mondiale. Il nostro
rapporto si è consolidato con The Aviator, ho
capito grazie a quel film che eravamo sulla stessa lunghezza
d’onda. La svolta è arrivata con The Departed, un thriller che Bill
Monahan riscriveva continuamente per stare dietro
all’interpretazione febbrile di Leo. Quello è stato il progetto che
mi ha fatto capire quanto, anche se abbiamo età diverse, possediamo
moltissime cose in comune, un’affinità umana e intellettuale. Per
The Wolf of Wall Street mi sono fidato completamente
di lui, e durante le riprese mi ha regalato momenti
incredibili”.
Oltre a dirigere, Martin Scorsese ha scritto la sceneggiatura
con Eric Roth, co-sceneggiatore di Dune e A
Star is Born. Leonardo
DiCaprio interpreta Ernest Burkhart, il nipote di un
potente allevatore locale interpretato da Robert De Niro, mentre Lily
Gladstone interpreta la moglie Osage Mollie e
Jesse Plemons è Tom White, l’agente dell’FBI
incaricato di indagare sugli omicidi. Il cast include anche
Brendan Fraser e John Lithgow.
Killers
of the Flower Moon riunisce ancora una volta Martin Scorsese con i collaboratori di lunga
data Leonardo DiCaprioe
Robert De Niro. Insieme a loro ci sono l’attore premio
Oscar
Brendan Fraser, Jesse Plemons, Lily Gladstone,
Tantoo Cardinal, Jason Isbell, Sturgill Simpson, Louis Cancelmi,
William Belleau, Tatanka Means, Michael Abbott Jr., Pat Healy,
Scott Shepherd e molti altri. La pellicola è
diretto e prodotto da Martin Scorsese. Il film è una produzione
di Apple Studios, Imperative Entertainment e Appian Way
Productions, con Dan Friedkin e Bradley Thomas come produttori.
Il fondatore di Blumhouse,
Jason Blum ha affermato che il prossimo
reboot di Spawn , che sarà interpretato da
Jamie Foxx, si distinguerà dagli altri
film di supereroi.
“Sì, porterò il tocco Blumhouse
[nel film Spawn]”, ha detto Blum durante il Comic Con di New
York della scorsa settimana (tramite Bleeding Cool
News). “Sarà innovativo e originale rispetto ad altri
film di supereroi. Sembrerà sicuramente la versione Blumhouse
di un film di supereroi.“
Cosa sappiamo del
riavvio di Spawn?
Creato dal co-fondatore della Image
Comics Todd McFarlane, Spawn ha debuttato nel
1992. Un adattamento cinematografico con Michael Jai
White nel ruolo omonimo è uscito nei cinema nel 1997. Dopo
che le voci su un sequel si sono rivelate infondate, McFarlane ha
iniziato a sviluppare un riavvio nel 2007. Il progetto ha
attraversato numerose iterazioni prima di trovare casa alla
Blumhouse nel 2017. Jamie Foxx ha firmato per interpretare Spawn
nel 2018. Jeremy Renner era stato scelto per
interpretare Twitch Williams a un certo punto, anche se non è
chiaro se l’attore di
Occhio di Falco sia ancora coinvolto nel film.
Inizialmente si prevedeva che
McFarlane dirigesse personalmente il nuovo film di Spawn, anche se
alla fine si è dimesso dalla sedia da regista. Ha anche
scritto la prima bozza della sceneggiatura, che da allora è stata
sottoposta a numerose riscritture, le più recenti da parte
di Scott Silver, Malcolm Spellman e
Matthew Mixon. All’inizio di questo mese, Blum ha confermato
che il riavvio a lunga gestazione sarebbe finalmente uscito
nel 2025. “Il 2025 è il momento in cui Spawn uscirà“,
ha detto il produttore mentre promuoveva L’esorcista – Il
credente. “Lo sostengo. Lo sostengo.”
Un gruppo di 55 eminenti artisti e
sostenitori dell’industria dell’intrattenimento hanno firmato una
lettera aperta al presidente Joe Biden,
sollecitando un appello per un cessate il fuoco a Gaza e in
Israele.Tra i firmatari figurano nomi come
Joaquin Phoenix,
Cate Blanchett, Jon Stewart,
Kristen Stewart,
Susan Sarandon,
Mahershala Ali,
Riz Ahmed, Ramy Youssef e Quinta Brunson.
“Esortiamo la vostra
amministrazione e tutti i leader mondiali a onorare tutte le vite
in Terra Santa e a chiedere e facilitare un cessate il fuoco senza
indugio, la fine dei bombardamenti su Gaza e il rilascio sicuro
degli ostaggi“, si legge nella lettera.
La dichiarazione, distribuita
dall’organizzazione Artists 4 Ceasefire, include anche un commento
del portavoce dell’UNICEF James Elder, che sottolinea la
devastazione inflitta alla popolazione di Gaza dai continui
attacchi aerei israeliani e dai blocchi di acqua ed
elettricità.
“I bambini e le famiglie di Gaza
sono praticamente rimasti senza cibo, acqua, elettricità, medicine
e accesso sicuro agli ospedali, in seguito a giorni di attacchi
aerei e tagli a tutte le vie di rifornimento“, si legge nella
dichiarazione di Elder. “L’unica centrale elettrica di
Gaza è rimasta senza carburante mercoledì pomeriggio, interrompendo
l’elettricità, l’acqua e il trattamento delle acque reflue. La
maggior parte dei residenti non può più ottenere acqua potabile dai
fornitori di servizi o acqua domestica attraverso le
condutture…. La situazione umanitaria ha raggiunto livelli
letali, eppure tutti i rapporti indicano ulteriori
attacchi. La compassione – e il diritto internazionale –
devono prevalere”.
All’inizio di questa settimana,
un’altra lettera che chiedeva un cessate il fuoco a Gaza e
l’apertura agli aiuti umanitari nella regione ha attirato numerosi
firmatari significativi. La dichiarazione,
di Artists for Palestine UK, è
stata firmata da personaggi come
Tilda Swinton, Charles Dance, Steve Coogan, Miriam Margolyes,
Michael Winterbottom, Mike Leigh e Asif Kapadia. La
lettera accusava il governo britannico di “non solo tollerare i
crimini di guerra ma anche di aiutarli e favorirli”.
Il 7 ottobre, il gruppo militante
palestinese Hamas ha lanciato un attacco senza precedenti contro
Israele, uccidendo più di 1.400 persone e prendendo più di 200
ostaggi. Il governo israeliano ha risposto lanciando un
“assedio completo” su Gaza, come descritto dal ministro della
Difesa israeliano Yoav Gallant. Secondo il Ministero della
Sanità palestinese, più di 3.800 palestinesi sono stati uccisi nel
conflitto.
Austin Butlerpensava che Tom Hardysarebbe sempre stato
serio mentre girava il loro prossimo film drammatico
The
Bikeriders, ma ha poi scoperto che Hardy
ha l’impressionante capacità di accendere e spegnere la sua intensa
emotiva. I due attori sono protagonisti del dramma di Jeff Nichols
insieme a
Jodie Comer. Il film, ispirato al libro di Danny Lyon,
segue l’ascesa e la caduta di un immaginario club motociclistico
degli anni ’60 nel Midwest. Tom Hardy interpreta una pericolosa figura che
fa da mentore al personaggio di
Austin Butler.
“Dopo lo spettacolo di ‘Elvis‘ e ‘Dune‘, e questi
personaggi che erano molto diversi da me, poter andare in qualcosa
in cui c’è un’intima sensibilità per ‘The Bikeriders'”, ha
detto recentemente Butler a Josh Brolin durante un chat per la
rivista Interview . “Sono i motori
rombanti e l’odore di grasso che dobbiamo avere intorno. È
stato bello andare in qualcosa che sembrasse più indipendente e
suonare in quello spazio per un po’. Ma una delle cose a cui
stavo pensando prima, quando parlavi di quel relax sul set, era che
Tom Hardy mi aveva sorpreso. Lo immaginavo
come un orso grizzly, sempre serio. E davvero, è una delle
persone più divertenti che abbia mai incontrato. Scherzava
finché non veniva chiamata l’azione e poi diventava il ragazzo più
intenso che avessi mai visto”.
“Mi ricorda le storie che ho
sentito di [Marlon] Brando, che parla con l’operatore della
macchina da presa fino al momento in cui viene chiamata
l’azione“, ha detto Josh Brolin.“Ho imparato
molto da Tom“, ha aggiunto
Austin Butler. “Mi ricorda te, dove puoi essere in
quel luogo rilassato in cui sei ricettivo al tuo ambiente, e poi
quando arriva il momento, puoi fare clic su ciò che la scena
richiede. Anche quello è stato fantastico perché avevo un paio
di settimane libere da “Dune”. Sono tornato e ho iniziato ad
allenarmi sulle moto ogni giorno.
Disney e 20th Century Studios
avrebbero dovuto lanciare “The
Bikeriders” nelle sale il 1 dicembre, ma per ora è
stato tolto dal calendario a causa dello sciopero
del SAG-AFTRA. Il film è stato presentato in
anteprima mondiale con ottime recensioni al Telluride Film
Festival. Michael Shannon, Mike Faist e
Norman Reedus completano il cast. Il film Segue
l’ascesa di un club motociclistico del Midwest attraverso le vite
dei suoi membri.
La disfunzionale famiglia Bardelli,
a 360° gradi, è protagonista del racconto di Adrián Saba che nel corso di due notti ci
mostra i demoni di ogni membro che si confronta con la perdita
della moglie e madre. Il vedovo Toribio (Gustavo Bueno) e i figli Sara
(Gisela Ponce de Leon), Silvestre (Rodrigo
Sánchez Patiño) e Luz (Michele Abascal)
raccolgono l’eredità di questi due genitori navigando nelle acque
torbide dell’incertezza. Una pellicola che racconta il lutto e la
reazione di una famiglia che affronta la perdita ma anche la
disperazione di una esistenza ricca di dubbi. Nel corso di due
notti, Toribio si confronta con la propria mortalità incombente,
affronta i suoi figli allontanati, che sono alla ricerca della
propria identità dopo la perdita della madre.
La trama di The Erection of Toribio Bardelli
La telecamera di Adrián Saba non si
muove, ma fissa i personaggi e ne limita i movimenti. Questo rende
la famiglia Bardelli immutabile nella sua forma, travolta da un
lutto e dalla perdita e in piena crisi. Ogni personaggio affronta
un dolore personale e questo quadro viene pienamente descritto da
Saba che inquadra sempre i personaggi al lato della scena, come se
non fossero ben centrati con la realtà. Ed effettivamente, la
famiglia Bardelli naviga un po’ in questa disfunzione, tema che non
solo fa da sfondo al titolo del film – The Erection of Toribio
Bardelli – ma che è anche una disfunzione di sentimenti.
Partiamo da Toribio, il capostipite della famiglia.
Un uomo tormentato dal peso dell’età
che avanza che cerca di nascondere in molti modi: dal mancato
rinnovo della patente allo spirito di ribellione, figlio di
un’altra epoca. Con l’età che avanza e con essa la disperata
ricerca di appagamento sessuale, la disfunzione di Toribio è quella
dell’impotenza. Dopo aver finalmente scoperto che la moglie gli era
stata infedele, Toribio perde definitivamente la bussola che
oscilla tra la mancanza e la disperazione di non potersi sentire
uomo ancora una volta. Il suo disagio si ripercuote in tutta la
famiglia anch’essa vittima di una disfunzionalità, ma più emotiva.
Non sappiamo nulla di questa famiglia, fin dall’inizio ci viene
mostrata alla luce del sole. Per la figlia Sara, cieca e
disoccupata, il dramma del lutto per la madre passa trasversalmente
per la morte del suo cane guida al quale cerca in tutti i modi di
dare un funerale dignitoso.
In modo diverso, invece, reagisce la
figlia minore, Luz. Aspirante scrittrice che finge lucidità sul
posto di lavoro quando vive travolta dai suoi stessi sentimenti per
il direttore della rivista per cui lavora. La donna che aspira alla
perfezione, nella speranza di rendere orgogliosa la madre, trova
conforto nella registrazione di queste cassette surrogato di
conversazioni che non avrà mai con la figura materna. Infine, il
fratello maggiore, Silvester, alcolizzato e attore non riconosciuto
nel suo campo. Il suo dolore, fisico ed emotivo, per la perdita
della madre si trasforma in una ricerca disperata di un’altra
madre: quella del donatore del cuore che gli ha dato una seconda
possibilità di vita. Il suo disperato tentativo di trovare pace
interiore alla fine si concretizza e una volta trovato il nido
materno, caldo e accogliente, decide che è il momento di andare
avanti.
La reazione di Toribio
Bardelli
In The Erection of Toribio
bardelli, nonostante la famiglia protagonista provi a superare
le sue disfunzionalità queste hanno comunque modo di ripresentarsi,
con gli interessi. Lo sa bene lo stesso Toribio che fa della sua
reazione all’impotenza l’ultimo atto della sua vita. Dopo essere
stato vinto anche dalla sua focosa amante, Toribio compie l’ultimo
gesto disperato per raggiungere quella erezione, che è una metafora
per la sua reazione alla vita e all’età che avanza. Dopo questo
ultimo atto, sa bene che non ci sarà il viaggio di ritorno. Per i
figli, invece, questa possibilità si concretizza ancora una volta
in modi diversi. Anche se ognuno riuscirà a superare il momento di
difficoltà, la pellicola di Saba ci ricorda quanta fragilità può
contenere un essere umano capace di ridere anche nei momenti di
difficoltà.