Mona Achache
scopre il passato di sua madre in Little Girl
Blue, presentato in una proiezione speciale. Dopo la
sua morte ha lasciato lettere e registrazioni, materiale prezioso
da cui il regista attinge per dare corpo alla defunta.
A metà strada tra documentario e fiction, Little
Girl Blue cerca
di svelare i segreti rimasti dopo la scomparsa della madre di Mona
Achache. Per questo esercizio di resurrezione, la regista va
oltre la realtà e invita gli attori a interpretare i personaggi che
hanno avuto importanza nella vita di sua madre. Quest’ultima è
incarnato da
Marion Cotillardche,
subito dopo le riprese, si è deliziata a parlare di questo
“progetto creativo e mozzafiato” sul quotidiano Le
Figaro.
Attrice e regista franco-marocchina, si è fatta conoscere
attraverso cortometraggi e documentari, prima di dirigere il suo
primo lungometraggio nel 2009,
Le Hérisson,
con Josiane Balasko.
In questa 76a edizione, il Festival
di Cannes esplora i documentari in tutte le loro
forme. Ecco tutte le foto della regista e
Marion Cotillard
che accompagnano il film verso la proiezione
ufficiale.
Nel 2018, il film incisivo
di Sahra Mani, A Thousand Girls Like
Me, ha documentato una giovane donna vittima di
incesto nella ricerca di giustizia in
Afghanistan. Con Bread
and Roses, il regista afghano testimonia il
degrado dei diritti delle donne a Kabul. Una sessione speciale nel
cuore dell’inferno talebano. Arrivano al Festival
di Cannes per presentare il film tutti gli interpreti
e l’attrice premio Oscar Jennifer Lawrence in questo caso nelle vesti
di produttrice. La pellicola fa parte della selezione proiezioni
speciali.
Robert De Niro ha criticato Donald Trump
definendolo un uomo “stupido” durante la conferenza stampa del
Festival di
Cannes per Killers
of the Flower Moon, paragonando l’ex presidente al
contorto personaggio avido di potere che interpreta nell’epopea
poliziesca di
Martin Scorsese, presentato in anteprima Sabato sera.
De Niro ammette di aver faticato a entrare in
sintonia con William Hale, dicendo: “Non capisco molto
del mio personaggio. Una parte di lui è sincera. L’altra
parte, dove sta tradendo [la tribù degli Osage], c’è una sensazione
di diritto. Siamo diventati molto più consapevoli [di quella
dicotomia] dopo George Floyd con il razzismo sistemico”.
Robert De Niro, un critico dell’ex presidente,
ha tracciato parallelismi tra il suo personaggio e Trump, il cui
nome l’attore inizialmente si è rifiutato di pronunciare ad alta
voce durante la conferenza stampa. “Quel ragazzo è
stupido“, ha detto. Lily Gladstone, che interpreta il membro
della tribù Osage Mollie Burkhart, ha sottolineato che i membri di
Osage hanno ancora partecipato al funerale di William Hale, negando
il suo coinvolgimento nei brutali omicidi dei membri della tribù.
Robert De Niro, ancora una volta, ha evocato
Trump in risposta a quel tipo di lealtà cieca verso gli uomini
malvagi. “Ci sono persone che pensano ancora che possa fare un
buon lavoro. Immagina quanto sia folle”.
Killers
of the Flower Moon, uno dei film più attesi proiettati
al Festival di Cannes di quest’anno, racconta la storia degli
omicidi avvenuti nei primi anni ’20 dopo la scoperta di importanti
giacimenti petroliferi sulla terra della nazione Osage. Il film,
basato sul romanzo del 2017 di David Grann, descrive anche come
l’FBI appena formato abbia indagato sugli omicidi. Nel caso
di Killers
of the Flower Moon, il collaboratore di lunga data di
Scorsese, Leonardo DiCaprio, ha elogiato la capacità del
regista di catturare quel tipo di banalità del male. “Ciò che
Marty fa così incredibilmente bene è che è in grado di esporre
l’umanità anche dei personaggi più contorti e sinistri che tu possa
mai immaginare.”
Alla premiere costellata di stelle di sabato
sera,
Martin Scorsese è stato raggiunto sul famoso tappeto
rosso da A-list Leonardo DiCaprio,
Robert De Niro, Jesse Plemons e Gladstone, nonché
membri della nazione Osage. Prima di entrare al Palais,
DiCaprio e
Scorsese hanno diligentemente firmato autografi e
scattato selfie con i fan che erano in fila dentro e intorno alla
Croisette. Nonostante le sue indulgenti tre ore e 26 minuti,
l’epopea poliziesca è stata accolta da un
enorme applauso al Palais, mentre Scorsese e il suo cast sono
stati accolti con una standing ovation di 9 minuti.
“È stato il culmine di anni di
lavoro“, ha detto
Scorsese commentando l’accoglienza ricevuta dal film.
Gladstone, che interpreta la moglie del personaggio di Leonardo DiCaprio, Ernest Burkhart, ha
ricevuto alcuni degli applausi più convinti mentre i titoli di coda
scorrevano su Killers
of the Flower Moon. Della reazione del pubblico al
film, ha detto “Sembrava molto giusto“.
Martin Scorsese ha parlato dell’importanza di
trascorrere del tempo con le persone di Osage, oltre a girare sul
posto. “Quando mi è stato presentato il libro, ho detto che se
andiamo vicino alle nazioni indigene, dobbiamo essere molto
rispettosi“, ha detto. Il capo della Osage Nation Geoffrey
Standing Bear, che ha lavorato come consulente e si è unito al
regista e al cast alla conferenza stampa, crede che Scorsese abbia
mantenuto quella promessa. “La mia gente ha sofferto
molto. E fino ad oggi, quegli effetti sono con noi. Ma
posso dire a nome degli Osage che Marty e il suo team hanno
ristabilito la fiducia e sappiamo che la fiducia non verrà
tradita“.
Christopher Nolan ha finalmente valutato la
durata di Oppenheimer,
confermando alla rivista Total Film che
è il suo film più lungo fino ad oggi. La conferma del regista
significa che “Oppenheimerr”
dura almeno più di 2 ore e 49 minuti. Quella era la durata di
“Interstellar”, il film più lungo del regista
fino a Oppenheimer.
Rapporti precedenti fissavano il tempo di esecuzione di Oppenheimer
a tre ore, cosa che secondo Nolan è quasi vera.
“È leggermente più lungo del più lungo
che abbiamo fatto“, ha detto Nolan. “Toccate le tre
ore.” Oppenheimer
vede uno degli attori più utilizzati da Christopher Nolan, Cillian Murphy, nei panni del fisico teorico e
“padre della bomba atomica” J. Robert Oppenheimer.
Il film segue Oppenheimer mentre lancia il Progetto Manhattan e
sovrintende alla creazione della bomba atomica. “Penso di
qualsiasi personaggio con cui ho avuto a che fare, Oppenheimer è di
gran lunga il più ambiguo e paradossale”, ha detto Christopher Nolan alla rivista Total Film.
“Il che, dato che ho realizzato tre film su Batman, la dice
lunga.”
“La sceneggiatura era così emozionante,
e sembra un thriller”, ha aggiunto Emily Blunt, che interpreta la biologa e
moglie di Oppenheimer, Katherine. “È quasi come se fosse
un cavallo di Troia da un film biografico a un
thriller. È davvero un battito cardiaco accelerato,
l’intera faccenda. Sono stato completamente catturato dalla
storia, dal ritratto di quest’uomo e, immagino, dal trauma di un
cervello del genere.
Insieme a Cillian Murphy e Emily Blunt nel cast ci sono
Matt Damon nei panni del direttore del progetto Manhattan, il
generale Leslie Groves Jr. e
Robert Downey Jr. nei panni di Lewis Strauss, un commissario
fondatore della Commissione per l’energia atomica degli Stati
Uniti. Nel cast anche
Florence Pugh, Benny Safdie, Michael Angarano, Josh Hartnett,
Rami Malek e altri.
“Ti rendi conto che questa è una grande
responsabilità. Era complicato, contraddittorio e così
iconico“, ha detto in precedenza Cillian Murphy sull’interpretare il
personaggio. “Ma sai che sei con uno dei più grandi registi di
tutti i tempi. Mi sentivo fiducioso nell’affrontarlo con
Chris. Ha avuto un profondo impatto sulla mia vita,
creativamente e professionalmente. Mi ha offerto ruoli molto
interessanti e li ho trovati tutti davvero impegnativi. E
adoro stare sui suoi set”. Oppenheimer esce
nelle sale il 21 luglio dalla Universal Pictures.
In una Corea di solo deserto e
cenere, Black Knight racconta una drammatica
realtà post-apocalittica in cui si è dato vita ad una società
fortemente ingiusta e discriminatoria. Diretta da Cho
Ui-seok, la serie è ispirata all’omonimo webtoon, fumetto
digitale tipico sudcoreano, scritto da Lee
Yun-kyun. La serie è formata da una sola stagione da sei
episodi, ognuno da circa 45 minuti l’uno. Il cast è formato
prevalentemente da figure note ed affermate nel solo panorama
cinematografico nazionale: l’attore Kim Woo-bin
interpreta il leggendario corriere 5-8, mentre Song
Seung-heon è nel ruolo di Ryu Seok. Nel cast si ritrovano
anche l’attrice e modella Esom e Kang
You-seok.
Black Knight: un futuro senza
ossigeno
Dopo che una cometa colpisce la
terra, la vita di tutto il genere umano è destinato a cambiare per
sempre. Tutto il territorio della Corea del sud è divenuto un
deserto con un aria così inquinata da essere praticamente
irrespirabile. Il Cheonmyeong Group ha dato vita al nucleo d’aria,
permettendo ad alcuni cittadini coreani di poter continuare a
respirare ed a vivere senza pericoli. La società coreana viene
spaccata in varie classi sociali: tra queste la più importante
nella serie diviene quella dei rifugiati, la stragrande maggioranza
di poveri emarginati dalla società e non classificati da un codice
Qr. L’unica vera possibilità per avere una vita migliore per
i rifugiati è divenire corrieri: coloro che, contro ogni avversità
e respingendo i cacciatori, effettuano le importanti consegne di
ossigeno e viveri ai cittadini.
Yoon Sa-wol è un rifugiato che si
nasconde a casa del militare Jeong Seol-ah da ormai più di dieci
anni e sogna di divenire un corriere per non doversi più
nascondere. Dopo la morte della sorellastra per mano di
strane figure sconosciute, Sa-wol farà di tutto per
raggiungere questo suo obiettivo, grazie anche all’aiuto del
leggendario corriere 5-8.
Contemporaneamente, la Cheonmyeong
organizza insieme al governo l’apertura del nuovo distretto A, in
cui verranno trasferiti nuovi cittadini, tra cui anche gli stessi
rifugiati. Ryu Seok, figlio ed erede della Cheonmyeong, disprezza i
rifugiati e fa di tutto per escluderli dal distretto A e per
eliminarli. In una società così fortemente ingiusta gli
scontri divengono inevitabili.
Black Knight, come
abbiamo già sottolineato sopra, è una serie distopica, che
rappresenta una società in cui gli esseri umani, le vite umane
hanno un valore differente. Temi così forti, di marcata denuncia
sociale, sono stati già in parte affrontati in altre serie
distopiche sudcoreane: un esempio è Squid
Game, serie prodotta da Netflix e subito divenuta un
fenomeno mondiale.
Qui i rifugiati vengono trattati
come se la loro stessa esistenza non avesse valore: vengono privati
di tutto ciò che è necessario per sopravvivere, anche
dell’ossigeno. Ogni tentativo di rivolta viene represso nelle
maniere più brutali: ce lo mostrano i flashback di 5-8 e di Jeong
Seol-ah. Le vite dei rifugiati vengono considerate così irrilevanti
tanto da divenire sacrificabili in inquietanti esperimenti.
Altro tema focale in Black
Knight è il potere economico, e come esso in alcune
determinate condizioni, arriva a sovrastare il potere politico. La
Cheonmyeong non è altro che una società che controlla la produzione
e vendita di ossigeno, quindi fondamentalmente un’attività
economica. Per la rilevanza che il bene che produce ha, e per tutto
ciò che la società riesce a creare per i cittadini coreani, questa
arriva a sovrastare in fatto di potere lo stesso governo statale.
La Cheonmyeong arriva a controllare la vita dei cittadini sotto
ogni aspetto: le abitazioni vengono fornite ai cittadini con un Qr
code dalla Cheonmyeong e così anche tutti i viveri.
Un nuovo eroe all’azione
La serie Black
Knight è caratterizzata da una forte presenza di scene di
azione e combattimenti di vario tipo: pur non essendoci una forte e
perenne vista di sangue per gli spettatori, tutta questa
azione rende le vicende molto più avvincenti.
Facendo riferimento ad aspetti più
tecnici, possiamo notare l’utilizzo di una rappresentazione di
alcune scene a fumetto: in particolare l’antefatto nel primo
episodio ed ogni scena finale dei vari episodi è fatta in stile
fumetto.
Un elemento che, riflettendoci, può
risuonare in parte ironico è il fatto che in questa narrazione
coloro che vengono dipinti come dei combattenti formidabili, quasi
degli eroi, sono dei semplici corrieri. Nella vita di tutti i
giorni i corrieri vengono visti come dei semplici soggetti che
fanno un lavoro ordinario, quasi noioso. Di conseguenza è
interessante notare come in Black Knight si
sia totalmente trasformata una figura così banale ergendola ad eroe
della storia.
Retratos Fantasmas,
il
documentario meta-cinematografico di Kleber Mendonça
Filho presentato a Cannes 76, è un lavoro di amore verso il
cinema. Raccontare il cinema attraverso il cinema è un’arte che il
regista brasiliano porta in scena sulla Croisette con una tesi ben
specifica: il cinema è morto? Così immagini in bianco e nero si
sovrappongono alla realtà nella pellicola narrata in prima persona
dove Mendonça Filho ripercorre la sua vita e la
sua carriera, fino ad arrivare a un finale quasi
fantascientifico.
Il racconto di Retratos
Fantasmas è curato al minimo dettaglio e la voce del
regista si intervalla a quella di scene, film e ulteriori racconti
di un cinema che non c’è più. A questo si aggiunge anche una
colonna sonora dalle tinte colorate che accoglie lo spettatore alla
visione.
Retratos Fantasmas, la trama
Un ritratto della cultura
cinematografica di Recife, una città sul mare del
Brasile, cambiata e stravolta dalla modernità. Là dove prima
c’erano solo terreni incolti adesso crescono grattacieli di cui non
si vede la fine e in questi angoli Kleber Mendonça
Filho inizia a muovere i primi passi come regista. Tre
lungometraggi e moltissimi cortometraggi narrativi e sperimentali
fino alla realizzazione di Retratos Fantasmas,
documentario metacinematografico che cerca di inquadrare non solo
l’urbanizzazione della città ma anche la denuncia alla classe
politica brasiliana dagli anni ’60 in poi.
La voce di Mendonça
Filho parla direttamente allo spettatore, come un
confessionale. Quello che, infatti, rende Retrotos
Fantasmas particolare è la natura personale del racconto
anche se fondamentalmente il regista non entra mai in merito alla
sua vita privata. Il racconto è diviso in atti. Nel primo viene
descritta la genesi nel suo lavoro, tutto quello che ha ispirato –
anche solo dei semplici suoni – circoscritto all’interno delle mura
domestiche. Una specie di autobiografia cinematografica in cui
fornisce pochi dettagli sulla sua vita e molti sui suoi lavori come
Neighbouring Sounds e Aquarius,
che analizza e racconta.
Un racconto in atti
Se nella prima parte esploriamo i
retroscena del lavoro di Mendonça Filho è solo
negli atti successivi che Retratos Fantasmas
attira davvero l’attenzione dello spettatore. Il documentario offre
una retrospettiva delle sale cinematografiche nel centro di Recife,
una liberazione per chi guarda ma anche per il regista stesso. Ci
stacchiamo agli angusti e chiusi spazi di una piccola casa di
periferia e arriviamo alla sala cinematografica, sempre chiusa ma
di vedute più ampie.
Retratos Fantasmas
cerca di unire lo spettatore con quei richiami di convivialità e
spensieratezza uguali a chi aspetta fuori dalla sala l’ultimo film
in uscita. Così da Easy Rider a Victor/Victoria, il cinema di
Recife accoglie pellicole importanti e si popola di giovani creando
aggregazione, che è proprio la base del cinema dalla sua nascita. E
in un parallelismo di scene l’uscita degli spettatori dalla sala
ricorda L’uscita dalle officine Lumière e questo richiamo – forse
voluto o forse no – conferisce al documentario ancora più valore
storico.
La Settima Arte
Nuove e vecchie tecnologie si
intersecano in un racconto così come anche alcuni dei luoghi più
iconici di Retratos Fantasmas come l’Art
Palácio e il Trianon. Una lettera d’amore
alla Settima Arte e in particolare all’esperienza che il cinema
regala allo spettatore. Ma è anche un racconto nostalgico che
guarda indietro a un cinema che non c’è più e che vuole anche
denunciare la censura nei confronti di un paese intero. Le sale
cinematografiche che chiudono e che per oltre vent’anni hanno
ospitato centinaia di migliaia di spettatori. Come se fosse una
lettera a cuore aperto, trattando la sala cinematografica come un
corpo fisico che ospita un’anima.
“Tutto ciò che hai conosciuto
qui è noia“. Arriva in concorso al Festival di CannesAbout Dry
Grasses il nuovo film del celebre regista turco
Nuri Bilge Ceylan, già vincitore della Palma d’Oro
per Il regno d’inverno – Winter Sleep nel 2014.
Tra una malinconia arida come l’erba del suo titolo, scontri
dialogici e lunghe camminate nella neve, il nuovo film di Ceylan si
configura indubbiamente come una delle proposte più interessanti
del Festival, Nel cast, Deniz Celiloğlu, Musab Ekici, Merve
Dizdar.
About dry grasses, la trama: noia
imperante
Samet (Deniz Celiloğlu), un giovane
insegnante che ha prestato servizio obbligatorio nella scuola di un
piccolo villaggio della Turchia dove esistono solo due stagioni,
inverno ed estate, attende di poter procedere con il trasferimento
a Istanbul, sperando di andare incontro a nuova vita nella
cosmopolita capitale. Dopo una lunga attesa, perde ogni speranza di
sfuggire dalla sua squallida vita quando viene accusato di
comportamenti inopportuni nei confronti dei suoi studenti.
Tuttavia, l’amicizia con la sua nuova collega Nuray lo aiuta a
ritrovare una prospettiva vincente.
L’Anatolia sudorientale, agli occhi
di Samet, è un posto in cui la noia regna sovrana e da cui vorrebbe
fuggire; ecco allora che il regista Ceylan interviene in soccorso
del suo personaggio imbastendo una serie di azioni che movimentino
il tutto. Eppure, quando si tratta di giocare, Saman dimostra di
essere caratterialmente molto più simile al territorio da cui tanto
vuole evadere. Insegue una sua idea imprecisa di verità, che verrà
contrastata e anche smorzata, a riprova della futilità di un
pensiero che il personaggio ha abbozzato nella sua testa ma non è
mai diventato atto compiuto.
Uomini interrotti
Trattato sugli effetti che la
monotonia genera sulla psiche di uomini per nulla risolutivi ed
eterni adolescenti, About Dry Grasses eleva
esponenzialmente la capacità di Ceylan di inquadrare il dialogo,
centellinarlo oppure renderlo verboso per caratterizzare i suoi
personaggi, figli di un territorio in cui è la natura a imporsi
sull’uomo, ad appiattirne ancora di più le velleità o a generare un
impeto di ribellione nei loro cuori a seconda dei casi.
Kenan e Samet sono due uomini messe
alle strette da due donne in diverse fasi della vita. Una lotta
tacita tra fratelli non di sangue ma di terra, personalità distanti
che nascono e crescono da un’unica radice e, in base ai rispettivi
percorsi di vita, possono germogliare o seccarsi. Sono le donne che
attivano la riflessione negli uomini, che insinuano il dubbio nelle
loro menti e li mettono alla prova. Attraverso la conoscenza e
anche lo studio di queste figure femminili, forse è possibile
trovare qualcosa di inedito in un territorio già battuto: forse la
giovane Saman nasconde un germoglio in se, forse ancora non lo sa,
ma il solo fatto di riuscire a coglierlo dall’esterno è un regalo.
Forse Ninay potrebbe scuotere le fondamenta di un’amicizia, o
diventare il terzo uomo in questo rapporto tra uomini
interrotti.
Ruralità dei sentimenti
Sono le inquadrature fisse di
About Dry Grasses a definire i contatti, i
dialoghi, le attese che intercorrono tra i personaggi. Il tempo è
un concetto paradossale nella Turchia rurale: l’attesa del
trasferimento a Istanbul potrebbe sembrare infinita, ma un dialogo
concitato di una donna (Ninay) che interroga un uomo (Saman) sulle
sue idee politiche, può mettere talmente a disagio da estendere il
tempo del racconto fino a guidare con mano i personaggi a delle
scelte.
L’erba secca può essere calpesata
solo se prima si calpesta la neve. Anche se si è infortunati,
infreddoliti, sprovvisti di un mezzo, l’inverno turco non fa
sconti: l’aridità è già nella neve, in una distesa di bianco
tutt’altro che angelica, anche se in mezzo vi sono i bambini che
giocano. Puoi fermare l’attimo – e Ceylan lo ferma e immortala
veramente con inserti fotografici – ma la verità è che l’attimo è
già fermo e noi con lui. Allora, forse è meglio andare, percorre
distanze fisiche piuttosto che cercare di riallineare quelle
mentali. Incolpare la geografia per il nostro stato mentale,
piuttosto che accettare di essere diventati come il paesaggio.
Aridi, inconsistenti, persi.
Sabato sera, Killers
of the Flower Moon di
Martin Scorsese è stato presentato
in anteprima al Festival di
Cannes accolto con la più grande standing ovation
fino ad oggi. Il dramma di 3 ore e 26 minuti interpretato da
Leonardo DiCaprio,
Robert De Niro e Lily Gladstone racconta un capitolo
oscuro e in gran parte inesplorato della storia americana.
Nonostante il lungo minutaggio del film la folla era così estasiata
che si è alzata in piedi e ha applaudito i protagonisti per nove
minuti.
Il Festival di Cannes ama
chiaramente Leonardo DiCaprio (visto l’ultima volta sulla
croisette con “C’era una volta… a Hollywood”) e Scorsese, che è
tornato al festival per la prima volta da Fuori Orario del 1985. E
questa è una buona notizia per Apple Original Films, che ha
sborsato oltre $ 200 milioni all’autore per realizzare la sua
visione, nella speranza di regalare al pubblico una delle sue
caratteristiche esplorazioni del mondo criminale. Mentre molti dei
film classici di
Martin Scorsese si svolgono nelle cattive strade di
New York, “Killers
of the Flower Moonn”
è ambientato nel nord-est dell’Oklahoma, dove i membri della Osage
Nation vengono assassinati in modo sistematico per fini
sinistri.
Leonardo DiCaprio,
Robert De Niro e Jesse Plemons hanno
sfilato sul tappeto rosso insieme a Scorsese prima della premiere,
sfidando la pioggia. Presente alla serata anche Cate Blanchett, che ha vinto un Oscar per aver
interpretato Katharine Hepburn in “The
Aviator“, che ha salutato Scorsese in sala prima
dell’inizio della proiezione. Ma quando il film è finito, le urla
più forti sono state dirette alla scoperta del film: l’attrice
Lily Gladstone, che interpreta una donna Osage
tradita dal marito avido. La sua interpretazione ha ottenuto
recensioni entusiastiche e ha trattenuto le lacrime mentre la folla
all’interno del Palais applaudiva rumorosamente. Sui social media,
i blogger degli Oscar stanno già sfruttando la sua performance per
una possibile attenzione ai premi.
Mentre gli applausi continuavano dopo la
fine del film,
Martin Scorsese ha preso il microfono per rivolgersi
alla folla. “Grazie agli Osage”, ha commentato “Tutti collegati
con l’immagine. I miei vecchi amici Bob e Leo, e Jesse e
Lily. L’abbiamo girato un paio di anni fa in
Oklahoma. C’è voluto del tempo per cambiare idea, ma Apple è
stata bravissima con noi. C’era molta erba. Sono un
newyorkese. Ero molto sorpreso. Questa è stata
un’esperienza fantastica. Abbiamo vissuto in quel
mondo”.
L’ovazione sarebbe potuta durare ancora di
più se il regista non fosse stato chiamato a rivolgersi al teatro
gremito.
Martin Scorsese ha continuato a ringraziare mentre la
folla continuava ad esultare. E’ sembrato davvero entusiasta dalla
risposta del pubblico, anche se ha anche chiarito che non gli
piaceva che la telecamera si soffermasse su di lui (un rischio
dell’esperienza di Cannes in cui ogni movimento degli A-listers
presenti viene catturato per i posteri). In piedi intorno a
Martin Scorsese, gli attori che interpretavano i
membri di Osage visibilmente commossi e sopraffatti
dall’emozione.
Basato sul libro di David Grann del 2017
“Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the
FBI”, l’ultimo film di Scorsese è ambientato nell’Oklahoma degli
anni ’20 e si concentra su una serie di omicidi nella comunità di
Osage Nation. La neonata FBI arriva sulla scena per indagare e
scopre una sinistra operazione. Il cast di supporto include
Brendan Fraser e John Lithgow (Scorsese ha anche un
cameo che ha guadagnato un grande applauso).
In particolare, “Flower Moon” segna la prima
volta che i vincitori dell’Oscar DiCaprio e De
Niro hanno lavorato insieme in un lungometraggio dal
dramma di Michael Caton-Jones del 1993 “This Boy’s
Life”. Entrambi gli attori hanno interpretato versioni
fittizie di se stessi nel cortometraggio di Scorsese “The
Audition”. De Niro ha ottenuto le nomination
all’Oscar come miglior attore recitando in “Taxi Driver”, “Cape
Fear” e “Raging Bull” di Scorsese, vincendo per
quest’ultimo. DiCaprio è stato candidato all’Oscar per
“The Aviator” e “The Wolf of Wall Street” di
Scorsese.
Una scandalosa relazione legata alla
differenza di età è il cuore del film “May
December“, che ha debuttato sabato sera al
Festival di
Cannes. Nel dramma romantico diretto da Todd
Haynes,
Julianne Moore interpreta il “Dicembre” del molto
più giovane “May” di Charles Melton, il cui
personaggio aveva appena 13 anni quando i due si innamorarono. È
una dinamica complicata, ammette
Julianne Moore, a causa del periodo nelle loro vite in
cui si sono incontrati per la prima volta. “Una differenza di
età è una cosa, ma una relazione tra un adulto e un bambino è una
cosa completamente diversa”, ha detto Julianne
Moore e alla conferenza stampa di questa mattina di “May
December”, che è stata accolto al Grand Palais il giorno prima con
un entusiasta standing ovation di applausi lunga sei minuti.
“Quando l’età è
inappropriata? È quando le persone si trovano in
luoghi diversi in termini di sviluppo, quando qualcuno non è un
adulto.Questo è il motivo per cui abbiamo dei limiti
attorno a questo ì”, aggiunge. “Il motivo per cui
questo film sembra così pericoloso guardandolo è perché le persone
non sanno dove siano i confini di nessuno. È spaventoso”.
In “May December”,
Natalie Portman interpreta un’attrice che si reca nel
Maine per studiare la vita del personaggio di
Julianne Moore, che interpreterà in un film. Moore e
Melton interpretano una coppia sposata la cui differenza di età di
20 anni ha ispirato uno scandalo nazionale. Mentre pianificano di
mandare le loro gemelle al college, la dinamica familiare inizia a
cedere mentre
Natalie Portman scava nel loro passato.
Data l’ossessione americana per lo scandalo,
Portman afferma che non c’era carenza di materiale da cui trarre
ispirazione. “Avevamo tutti i materiali tabloid di ispirazione
che esistevano. C’era un libro con un titolo folle, come
“Punished for Love”, o qualcosa del genere“, ha
ricordato. “Avevamo queste risorse a portata di mano, il
che è stato utile per ottenere informazioni di base“.
Natalie Portman descrive il film come uno studio
dei “diversi ruoli che recitiamo in ambienti diversi“.
Osserva che la discrepanza è particolarmente evidente al
Festival di
Cannes, dove le donne sono obbligate a indossare i
tacchi sul tappeto rosso. “Anche qui, i diversi modi in cui
noi, come donne, dovremmo comportarci a questo festival anche
rispetto agli uomini… come dovremmo apparire, come dovremmo
comportarci“, ha detto. “Le aspettative su di te sono
sempre diverse. Influisce sul modo in cui ti comporti, se lo
stai accettando o rifiutando. Sei definito dalle strutture
sociali su di te. A questo proposito,
Natalie Portmane
Julianne Moore hanno espresso il loro
apprezzamento per aver interpretato donne “semplicemente
umane”.
“E’
incredibile far parte di un film come questo, che ha due personaggi
femminili complessi pieni di deliziosi conflitti”, dice la
Portman. Moore aggiunge: “Le donne non sono un gruppo di
minoranza. Siamo il 50% della popolazione. Quindi è
importante che siamo trattati come tali”.
Ieri sera oltre alla
grande premiere fuori concorso di
Killers of The Flower Moon, è stato presentato in
concorso al Festival di
CannesMay
December, del regista americano
Todd Haynes che riunisce Natalie
Portman e
Julianne Moore in un dramma romantico introspettivo
sul passato sulfureo di una coppia famosa.
Per prepararsi al suo nuovo ruolo, Elisabeth (Natalie
Portman),
una famosa attrice, incontra Gracie (Julianne
Moore),
che interpreterà sullo schermo. Quest’ultimo aveva infiammato
la stampa scandalistica e affascinato il paese due decenni prima
mantenendo una relazione con Joe (Charles Melton),
23 anni più giovane di lei.
Sotto l’impulso della sceneggiatura
di Samy Burch, Todd Haynes mette in discussione le scelte di due
donne in due momenti della loro vita. Un doloroso ritorno al
passato per un ex idolo sessantenne che vuole voltare pagina, di
fronte a una sincera e pericolosa ricerca della verità per una star
di Hollywood all’apice della sua carriera. Tra i due, il
personaggio maschile di Charles Melton intreccia
sottilmente legami tra attrici ed epoche. Sulla croisette di Cannes
ad accompagnare il film c’erano il regista
Todd Haynes e i protagonisti del film
Natalie Portman,
Julianne Moore, Cory
Michael Smith eCharles Melton. Di seguito tutte le
foto:
Questa dualità permette al regista
americano di ingaggiare Julianne Moore, per una
quarta collaborazione, con Natalie Portman, che ha
presentato A Tale of Love and Darkness Fuori
Concorso a Cannes nel 2015, come regista.
Ci sono voluti solo 23 giorni per
completare le riprese di maggio dicembre , come ha
rivelato Todd Haynes in un’intervista a
The Hollywood Reporter. Una produzione molto veloce
per l’undicesimo lungometraggio del regista, vincitore del Premio
per il miglior contributo artistico a Cannes con Velvet Goldmine nel 1998.
Sul versante musicale, le composizioni di Marcelo
Zarvos si alternano alle melodie
di Michel
Legrandcomposte per la prima volta
per Le Messenger di Giuseppe Losey. Di seguito le
foto del photocall:
Da molti anni la Rete degli
Spettatori presieduta da Valerio Jalongo,
regista e docente, si adopera per valorizzare il cinema di qualità
e favorire la sua diffusione a tutti i livelli, soprattutto con il
pubblico più giovane e nell’ottica della fruizione in sala.
“Quest’anno – dice Jalongo – ha inteso stringere
ancora di più il suo legame con il mondo della scuola, nel
convincimento che il valore culturale del cinema e
del linguaggio audiovisivo, in particolare dopo gli anni della
pandemia, debba essere difeso e promosso già dall’età
scolare.
“Il nostro progetto –
dichiara Valerio
Jalongo, – aveva tra i suoi principali obiettivi quello di
rafforzare i contatti con le scuole dei centri minori, offrendo
strumenti di didattica trasversale e di interdisciplinarietà. I
riscontri positivi che abbiamo raccolto ci invitano a ripetere
questo sforzo nel futuro. Oltre ai nostri tradizionali
collaboratori, vogliamo intensificare i rapporti con il gruppo
degli Operatori di Educazione Visiva selezionati dal Ministero,
presenti in molte realtà periferiche. Per questo alla nostra
giornata finale abbiamo invitato rappresentanti dei due Ministeri,
dell’Indire e degli Operatori di Educazione Visiva con i quali
intendiamo ragionaresui risultati ottenuti e
lavorare sulle aspettative del prossimo anno. Sottolineo che molte
scuole hanno manifestato interesse a proseguire l’esperienza che si
sta concludendo, e saremo lieti di essere ancora al loro fianco nel
nuovo anno scolastico”.
Dal mese di novembre 2022 ad oggi
gli esperti della Rete hanno affiancato i docenti e gli studenti
delle scuole partner in un percorso articolato su tre moduli.
Attraverso i moduli in
presenza svolti nelle aule ed un modulo on line di formazione
docenti, sono stati proposti percorsi teorici e pratici che hanno
avvicinato le scuole al mondo dei media e del cinema, fornendo
conoscenze e competenze sul Linguaggio Cinematografico e
Audiovisivo e suggerendo soluzioni applicabili alla didattica di
molteplici discipline. Le proiezioni programmate in sala
cinematografica, accompagnate dalla presenza di registi, critici,
esperti Operatori di Educazione Visiva, hanno riavvicinato i
ragazzi e le ragazze alla più corretta fruizione dell’opera
cinematografica e per certi versi dato respiro ad una socialità
perduta nel corso della pandemia.
Questo mondo non mi renderà cattivo, la
seconda serie di animazione per Netflix scritta e diretta da
Zerocalcare, debutterà il 9 giugno in tutti i Paesi in cui il
servizio è attivo. Nel teaser trailer che Netflix rilascia oggi, le
prime immagini dell’attesissima serie animata.
Prodotta da Movimenti
Production, società del gruppo Banijay, in collaborazione con BAO
Publishing, sarà composta da 6 episodi, da circa mezz’ora ciascuno,
che entreranno ancora più a fondo nelle tematiche care
all’autore.
In Questo mondo non mi renderà cattivo torneranno
il mondo narrativo, il linguaggio unico e i personaggi storici e
inconfondibili dell’universo di Zerocalcare. A Zero, Sarah, Secco,
l’Armadillo, l’immancabile coscienza di Zero, doppiato anche questa
volta dalla voce inconfondibile di Valerio Mastandrea, si aggiunge
un nuovo, centralissimo personaggio: Cesare.
Un vecchio amico torna
nel quartiere dopo diversi anni di assenza e fatica a riconoscere
il mondo in cui è cresciuto. Zerocalcare vorrebbe fare qualcosa per
lui ma si rende conto di non essere in grado di aiutarlo a sentirsi
di nuovo a casa e a fare la scelta giusta per trovare il suo posto
nel mondo.
Questo mondo non mi renderà cattivo racconta
la difficoltà di rimanere se stessi in mezzo alle contraddizioni
della vita. Il titolo stesso della serie, che trae ispirazione da
un brano di un cantautore romano, rappresenta una sorta di mantra,
una frase che lo stesso Zerocalcare si ripete, quasi per
auto-convincersi, nei momenti più difficili, quelli in cui diventa
più forte il rischio di fare scelte sbagliate e rinnegare i propri
ideali pur di togliersi dai guai.
Non è facile trovare nei
nostri cinema un film come l’Eureka di
Lisandro Alonso. Un film diverso da quelli ai
quali la gran parte del nostro pubblico è abituata che trova il suo
luogo naturale in una rassegna come quella dell’Un Certain
Regard del Festival di Cannes 2023. E che vanta la
presenza di due star come Viggo Mortensen e
Chiara Mastroianni nel cast di sconosciuti assemblato dal
regista e sceneggiatore argentino già noto per La
libertad (2001) e l’ultimo
Jauja (2014).
Dal
Far West di Viggo Mortensen alla riserva di Lisandro
Alonso
Sono loro i protagonisti
del western iniziale in bianco e nero, nel quale vediamo il
solitario Murphy arrivare nel più classico dei villaggi di
frontiera proprio in un momento di grandi festeggiamenti. Tra
cowboy ubriachi, gettati all’angolo della strada, e donne di
piacere seminude che se la ridono con gli indiani locali, sono in
pochi a prestargli attenzione, fino a che non si trova al cospetto
della risoluta proprietaria del saloon interpretata dall’attrice
francese di origine italiana.
La stessa che ritroviamo
in panne in tutt’altra situazione, ben più reale di quella nella
quale interpretava un ruolo, quella della riserva indiana di Pine
Ridge – tra South Dakota e Nebraska – nella quale sono costretti a
vivere Alaina e sua nipote Sadie. La prima, stanca del suo lavoro
di agente di polizia, poco considerata e ancor meno gratificata,
una sera decide di smettere di rispondere alla sua radio di
servizio, l’altra, triste, stanca di guardare inutili western in
bianco e nero in attesa del ritorno della zia e incapace di vedere
sbocchi alla sua vita, decide di iniziare il viaggio a lungo
promessole da suo nonno. Come jabiru, vola via, per portarci in un
Sud America amazzonico, dove gli indigeni locali condividono i loro
sogni, ma non tutti sembrano più felici.
Eureka: molte suggestioni, un difficile
equilibrio
Dal western alla denuncia
sociale, tra realismo e fascinazione onirica e surreale, il
racconto di Alonso sfida in continuazione la pigrizia dello
spettatore, costringendolo a cambiare le proprie coordinate e a
creare una connessione tra i diversi personaggi in scena e le
situazioni che vivono. Inizialmente più consuete, per quanto
fittizie, poi via via sempre più surreali, o fantastiche.
L’incipit affidato a
Viggo Mortensen vale da specchietto per (noi)
allodole, per catturare e insieme spiazzare lo spettatore. Che non
più distratto dallo schermo televisivo che proietta il film con
l’attore e Chiara Mastroianni è costretto a
condividere il senso di sradicamento e disperazione delle due
donne, attraverso le quali percepiamo le condizioni di vita dei
nativi nordamericani e dei loro discendenti in una riserva
indiana.
Si parla di tutto e di
niente, per far passare giornate tutte uguali, e per evitare di
farsi domande più scomode, o più fondamentali. Ma esauriti i
possibili palliativi, è inevitabile tornare alle origini per
realizzare un cambio radicale. Quello nel quale il nonno accompagna
la giovane Sadie, decisa a riscuotere la promessa fattale e volare
via, dagli Stati Uniti alla foresta brasiliana solo per scoprire
che l’Eden non esiste più.
Nella supposta civiltà e
fuori di essa ci si rifugia nei sogni e si ricorre alla violenza
per risolvere le minime controversie. La natura ci osserva, ci
parla, inascoltata. E quanto dobbiamo apparire incomprensibili al
jabiru che segue attentamente le nostre pene, i tentativi di fuga
da noi stessi nella ricerca di un avvenire migliore che sembra
accomunare tutti su questa Terra.
Il regista australiano
George Miller è noto a tutti per aver ideato e
diretto la serie cinematografica di Mad Max, unanimemente
considerata un caposaldo della fantascienza post apocalittica. Nel
corso della sua carriera, tuttavia, Miller si è cimentato anche con
racconti e generi molto diversi, passando dal drammatico L’olio
di Lorenzo al film per famiglie Babe va incittà, fino all’animazione di Happy Feet. Un
altro suo titolo particolarmente apprezzato, nonché il primo
lungometraggio da lui diretto non appartenente a Mad
Max, è Le streghe di Eastwick, con
cui Miller ha avuto modo di cimentarsi tanto con il fantasy quanto
con la commedia.
Scritto da Michael
Cristofer, il film è basato sull’omonimo romanzo del 1984
di John Updike. Uscito in sala nel 1987, il film
si affermò come un buon successo, in particolare grazie alle
interpretazioni dei quattro attori protagonisti. Le streghe di
Eastwick fu però il primo film per cui Miller si trovò a
scontrarsi con le volontà di uno studios di produzione, dovendo
dunque combattere per poter dar vita alla propria idea sul
progetto. Candidato poi agli Oscar per la miglior colonna sonora
(di John Williams) e il miglior suono, il film è
oggi ricordato come un cult del suo genere, anche grazie ad alcune
stravaganze comiche e ad effetti speciali ancora oggi
particolarmente sorprendenti.
Per tutti gli appassionati del
genere, si tratta dunque di un titolo da non perdere, anche solo
per poter vedere gli attori protagonisti alle prese con ruoli per
loro inediti e godersi gli imprevedibili colpi di scena offerti dal
racconto. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà
certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità
relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti
possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla
trama, al cast di attori e alle
differenze con il libro. Infine, si elencheranno
anche le principali piattaforme streaming
contenenti il film nel proprio catalogo.
Le streghe di Eastwick: la trama del film
La vicenda qui narrata si svolge
nella cittadina di Eastwick, dove vivono Alexandra
Medford, Jane Spofford e Sukie
Ridgemont. Tre donne che, nonostante conducano vite molto
diverse, sono legate da una profonda amicizia. Come di consueto, le
tre donne si incontrano per trascorrere una piacevole serata
insieme e fantasticano a voce alta sull’uomo dei loro sogni.
Inconsapevoli di essere dotate di innati poteri magici, le tre
donne invocano involontariamente il Diavolo nella cittadina. Sotto
le mentite spoglie dell’affascinante Daryl Van
Horne, il maligno vorrebbe ammaliarle e sedurle, poiché
desidera concepire un figlio con ognuna di loro.
Grazie al suo carisma, il Diavolo
seduce le tre streghe e decide di insegnare loro a controllare i
nuovi poteri. Dopo essere state conquistate dal corteggiamento di
Daryl, le tre amiche ne comprendono però la natura malvagia e
mostruosa e mal sopportano di essere state emarginate dal resto dei
cittadini per via di quella loro frequentazione. Alexandra, Jane e
Sukie dovranno allora unire le forze e architettare un astuto piano
grazie alle loro incredibili doti magiche. Solo così potranno avere
una speranza di sconfiggere il Diavolo, ricacciandolo da dove è
venuto. Portare a compimento il piano, però, sarà più complesso del
previsto.
Le streghe di Eastwick: il cast del film
Il tre volte premio Oscar Jack Nicholson
ha espresso interesse a interpretare il ruolo di Daryl essendone
venuto a conoscenza attraverso la sua allora fidanzata
Anjelica Huston e dopo aver saputo che
l’attore originale per il ruolo, Bill Murray, si
era ritirato. Nicholson, inoltre, sviluppò un così buon rapporto
con Miller da porsi in sua difesa contro i soprusi dei produttori,
minaccio di lasciare il film se fosse stato scelto un altro
regista. La Huston era invece in corsa per il ruolo di Alexandra
Medford. Il suo provino andò però male e la parte fu affidata a
Susan Sarandon.
L’attrice e cantante Cher, però, interessatasi al
progetto, pretese di avere per sé la parte di Alexandra.
I produttori decisero infine di
accontentarla, senza mai dare alla Sarandon il dovuto preavviso su
tale cambio. L’attrice ha infatti scoperto che il suo ruolo era
stato assegnato a Cher e che lei era invece stata scelta per
interpretare Jane Spofford solo il giorno in cui si è presentata
sul posto per iniziare le riprese. Suki Ridgemont, la terza delle
tre protagoniste femminili, è invece interpretata da Michelle
Pfeiffer. Nel cast figurano anche le attrici
Veronica Cartwright nei panni di Felicia Alden e
Carel Struycken in quelli di Fidel. L’attore
candidato all’Oscar Richard Jenkins, invece,
ricopre il ruolo del marito di Felicia, Clyde.
Le streghe diEastwick: le differenze tra il libro e il film
Sebbene il film segua la struttura
di base del romanzo, molti importanti sviluppi vengono abbandonati
o modificati. Ciò ha portato il film ad avere un tono molto meno
cupo rispetto a quello del libro. Innanzitutto, benché
l’ambientazione di entrambi sia Rhode Island, il racconto del
romanzo si svolge durante i primi anni ’70, mentre il film è
ambientato nel presente. Per quanto riguarda i personaggi, il Daryl
del libro è più simile al diavolo: meno abilitatore e più egoista,
predatore perverso e architetto del caos. Inoltre, il film omette
un episodio chiave del libro, in cui Daryl sposa inaspettatamente
una giovane ragazza innocente di nome Jenny, e le tre streghe
gelose la fanno morire magicamente di cancro. Un risvolto giudicato
troppo crudele.
Per quanto riguarda le tre streghe,
nessuna di loro rimane incinta nel libro e alla fine Daryl fugge
dalla città con il fratello minore di Jenny, Chris, apparentemente
il suo amante. Anche questo si trattava di un colpo di scena un po’
troppo ardito secondo i produttori. A cambiare sono anche alcuni
dei cognomi presenti nel libro. Il cognome di Alexandra
inizialmente era Spofford, non Medford e Jane era Jane Smart, non
Jane Spofford. Sukie, invece, era Rougemont non Ridgemont. Infine,
ci sono differenze anche nei loro capelli e nella corporatura: nel
libro Alexandra è grassoccia mentre Sukie è la rossa.
Le streghe di Eastwick: il
trailer e dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di Le
streghe di Eastwick grazie alla sua presenza su
alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in
rete. Questo è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten
TV, Chili Cinema, Google Play, Apple iTunes e Amazon Prime Video. Per vederlo, una
volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il
singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così
modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità
video. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di
sabato 20 maggio alle ore 21:10
sul canale TwentySeven.
Ottavo film in selezione per
Martin Scorsese, vincitore della Palma d’Oro con
Taxi Driver nel 1976, e miglior
regista nel 1986 con Fuori orario. Da allora
il regista, che non ha bisogno di presentazioni, non è più tornato
nella Selezione Ufficiale, ed è un vero e proprio evento quello
accaduto questa sera dove il regista e il cast è arrivato alla
croisette per presentare Fuori Concorso al Festival di
CannesKillers
of the Flower Moon. Questo dramma poliziesco in stile
western ambientato nell’Oklahoma degli anni ’20 è basato su una
storia vera, che indica l’accesso ai diritti per i nativi
americani.
Il regista è arrivato sul red
carpet accompagnato dal suo cast e una miriade di altre stelle che
lo hanno celebrato. Ecco tutte le foto della serata:
Leonardo DiCaprio, interpreta Ernest Burkhart, allevatore e
nipote del boss criminale William Hale, ritrova Martin
Scorsese undici anni dopo il suo leggendario ruolo di
cinico agente di cambio in The Wolf of Wall
Street (2012). Robert De
Niro (William Hale) intanto, mandante degli omicidi nel
film, firma, con Killers
of the Flower Moon, la sua decima collaborazione dai
tempi di Mean Streets (1973) con il regista
newyorkese.
L’attrice americana Lily Gladstone interpreta
Molly, moglie di Ernest di origine Osage, e la prima ad essere
colpita dalle conseguenze della scoperta di giacimenti petroliferi
sotto le terre dei suoi antenati. A completare questo cast a
quattro stelle c’è Jesse Plemons ( The Power of the
Dog) nei panni di un poliziotto dell’FBI incaricato di
indagare sugli omicidi nella comunità dei nativi americani.
L’adattamento del libro per il cinema è firmato Martin Scorsese
ed Eric Roth, sceneggiatore, tra tanti altri
film di successo, di The Nickel
Ride di Robert Mulligan in Concorso nel
1974, Forrest
Gump (1994), Munich (2006) o più
recentemente da Duna (2020).
Prima di arrivare a dar vita a
grandi kolossal hollywoodiani come Arrival, Blade Runner 2049 e
Dune, il regista
canadese Denis Villeneuve ha debuttato con un
film in lingua inglese grazie a Prisoners,
thriller incentrato sul disperato tentativo di un padre di
ritrovare la figlia scomparsa, arrivando anche ad utilizzare metodi
brutali. All’apparenza potrebbe sembrare una storia vista e
rivista, ma il regista dimostra da subito la sua grande capacità di
conferire più livelli di lettura, utilizzando questa storia per
parlare dell’uomo e dell’umanità, da sempre al centro del suo
cinema.
La sceneggiatura di questo film è
stata scritta da Aaron Guzikowski, attualmente
noto per essere l’ideatore della serie sci-fi Raised by Wolves. Questi si
basò su un suo cortometraggio scritto anni prima, e ispirato a sua
volta al racconto Il cuore rivelatore, di Edgar Allan Poe.
A lungo rimasto in un limbo produttivo, il film riuscì infine a
prendere vita grazie all’interessamento di Villeneuve, il quale si
era dichiarato attratto dalla possibilità di misurarsi con tale
genere. L’approccio da lui scelto è estremamente affascinante,
poiché il regista decise sin da subito di dar vita ad una messa in
scena che evidenziasse come ogni personaggio è prigioniero di
qualcosa a suo modo.
Rivelatosi un successo economico,
con un incasso globale di 122 milioni di dollari,
Prisoners è stato indicato come uno dei migliori titoli
del suo anno. Il celebre direttore della fotografia Roger
Deakins ottenne inoltre una nomination all’Oscar per il
suo lavoro sulle cupe atmosfere del film. Prima di intraprendere
una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire
alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo
qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori
dettagli relativi alla trama e al cast di
attori. Infine, si elencheranno anche le principali
piattaforme streaming contenenti il film nel
proprio catalogo.
Prisoners: la trama del
film
Protagonista del film è
Keller Dover, marito e padre amorevole con una
tranquilla vita in una cittadina della Pennsylvania. Durante i
festeggiamenti per il Giorno del ringraziamento, l’uomo si trova
però ad affrontare il peggiore incubo per un genitore. Sua figlia
di sei anni, Anna, scompare insieme alla sua amica
Joy Birches e mentre i minuti diventano ore, il
panico prende il sopravvento. Per i Dover e i Birch ha infatti
inizio un trauma senza fine, con le indagini che faticano a
rintracciare prove concrete che possano portare al ritrovamento
delle due bambine. L’unico indizio a disposizione è un camper
fatiscente parcheggiato nella loro strada, e a partire da questo
partiranno le indagini del detective che si occupa del caso.
Questi è il Detective
Loki, estremamente convinto che il colpevole sia il
proprietario del furgoncino, Alex Jones, affetto
da ritrardo mentale e sotto la custodia di sua zia
Holly. Inizialmente arrestato, la mancanza di
prove costringe al suo rilascio. Mentre la polizia segue diverse
piste, tra cui anche quella del rapimento a fini di pedofilia, la
pressione cresce e sapendo che è in gioco la vita di sua figlia, un
Dover ormai fuori di sé decide di non avere altra scelta che quella
di prendere in mano la situazione. Il percorso da lui intrapreso lo
porterà a scontarsi con i suoi demoni interiori, lasciando venire
alla luce aspetti oscuri di sé che neanche lui sapeva di
possedere.
Prisoners: il cast del
film
A dar vita a Keller Dover vi è
l’attore Hugh Jackman,
noto per aver interpretato Wolverine nella saga degli
X-Men. L’attore era da tempo legato al progetto, salvo poi
allontanarsene per divergenze creative. In seguito, dopo alcuni
cambiamenti nella storia, egli accettò di ricoprire il ruolo. Le
uniche indicazioni da lui ricevute da Villeneuve furono di lasciar
trasparire una sempre maggiore follia, cosa perfettamente
riscontrabile in alcune scene. Ad interpretare sua moglie, Grace
Dover, è invece l’attrice Maria Bello, vista
anche in A History of Violence.DylanMinnette, noto prevalentemente per la
serie Tredici, interpreta il figlio maggiore dei
Dover, Ralph. I coniugi Franklin Birch e Nancy Birch sono qui
interpretati dai noti attori Terrence
Howard e Viola
Davis.
Jake Gyllenhaal
interpreta invece il detective Loki. L’attore aveva già collaborato
con il regista per il film Enemy, e dato il buon rapporto
sviluppato, Villeneuve decise di affidargli il ruolo senza bisogno
di visionare alcun provino. L’idea di aggiungere al personaggio una
serie di tatuaggi e tic facciali fu proprio di Gyllenhaal, al fine
di conferire ulteriore particolarità al personaggio. La premi Oscar
Melissa Leo è
invece Holly Jones, la zia del problematico Alex. Per questo ruolo,
l’attrice ha richiesto una particolare trasformazione tramite
trucco prostetico. Ha infatti indossato protesi per apparire più in
carne come anche una parrucca grigia. A dar volto ad Alex, infine,
è l’attore Paul Dano, già
celebre per il film Il petroliere, e anche in questo caso
particolarmente apprezzato per la sua interpretazione.
Prisoners: il trailer e
dove vedere il film in streaming e in TV
È possibile fruire di
Prisoners grazie alla sua presenza su alcune delle più
popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è
infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Chili
Cinema, Google Play, Infinity, Apple iTunes e Tim Vision.
Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento,
basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento
generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al
meglio della qualità video. Il film è inoltre presente nel
palinsesto televisivo di sabato 20 maggio alle ore
21:00 sul canale Iris.
Dopo aver raccontato la storia di
Britney Spears e di Pamela Anderson, per Netflix è la
volta di un’altra bionda prosperosa con Anna Nicole Smith
la vera storia. Il docufilm di
Ursula MacFarlane (The Lost Sons)
cerca di fare un recap della vita della celebre
Playmate di Playboy ripercorrendo
il crollo e i dolori che hanno portato la modella alla morte
prematura per overdose, colpa di un mix di metadone, valium e altri
sedativi, sola in una camera dell’Hard Rock Hotel di Hollywood
all’età di 39 anni. Anna Nicole
Smith tra gli anni Novanta e i primi Duemila è stata la
rappresentazione del sogno americano ma anche quello che
fotografava la cultura mediatica di quel periodo fatta di scandali
ed eccessi.
La trama di Anna Nicole Smith la
vera storia
La regista di Anna Nicole
Smith la vera storia, dopo una brevissima introduzione del
docufilm, parte con gli anni difficili dell’adolescenza della
protagonista, nata come Vickie Lynn Hogan e
cresciuta nella piccola cittadina di Mexia in
Texas. Dopo aver lasciato la scuola all’età di 15
anni, poi a 17 anni si sposa con il cuoco del fast food
Jim’s Krispy Fried Chicken dove lavorava per
mantenersi. Ovviamente, come succede sempre in queste storie di
provincia americana, il marito si rivela un tipo abusivo e
possessivo, la giovane donna dopo sei mesi dalla nascita del suo
primo figlio Daniel, tanto desiderato, scappa.
Vickie cambia nome in Nickie, si rifà il seno e si
esibisce come stripper in uno dei tanti locali
notturni di Houston. Qui conoscerà una delle persone, forse l’unico
uomo che ha cercato di proteggerla, anche da se stessa, cioè il
richissimo, ma molto anziano, imprenditore petrolifero
James Howard Marshall II che sposerà nel 1994,
solo dopo essere diventata famosa nello star-sistem
hollywoodiano.
Durante il periodo della
frequentazione e il trasferimento a casa di Marshall con Daniel,
Anna Nicole dopo aver posato per un fotografo della sua zona, nel
1992 viene chiamata per apparire sulla copertina
della rivista Playboy. Tutta questa vicenda nel
documentario viene raccontato da Mo Grabowski,l’editor fotografica per la West Coast del
giornale di Hugh Hefner. Da qui la carriera nella
moda di Anne Nicole vola e posa per la campagna pubblicitaria per
la marca Guess Jeans di Paul
Marciano. Nel 1993 la modella, rinominata
da tutti “la nuova Claudia Schiffer” anche se la stessa top model
si rivedeva più come figlia o reincarnazione di Marilyn
Monroe, viene eletta Playmate dell’anno.
Nel 1994 il suo esordio al cinema prendendo parte
ai film Mister Hula Hoop e soprattutto Una pallottola spuntata 33⅓
– L’insulto finale, ma la sua carriera d’attrice cinematografica
non decollò mai.
La seconda parte di
questo docufilm, della durata di quasi due ore, da
qui diventa una sequenza dei numerosi drammi che hanno travolto,
dopo il periodo di massimo splendore, la celebre coniglietta Anna
Nicole Smith. Prima vengono mostrate, utilizzando i video
registrati durante le udienze in tribunale, le lunghe cause
legali che mettevano in dubbio la legittimità sull’eredità
del marito Marshall, morto all’età di novantanni
nel 1995. Proseguendo poi, con i suoi ultimi anni, sono stati stati
segnati dalle lotte contro le dipendenza, da i diuretici per
dimagrire, da un reality show girato nella sua residenza, dalla
tragica morte di suo figlio Daniel e per finire pure la contestata
paternità di sua figlia Dannielynn Hope fino ad
arrivare alla sua triste morte. Anna Nicole Smith la vera
storia si conclude con delle rivelazioni sull’infanzia
della protagonista, dove si scopre che non era povera e che la
madre Virgie non era violenta con lei.
Da Vickie alla diva Anna
Nicole
Questo docufilm
poteva essere una buona occasione per finalmente dare in qualche
modo giustizia al personaggio Anna Nicole Smith. Ursula MacFarlane
riesce bene nella prima parte quella più
biografica dove si parla di
Vickie, una ragazza già nata bellissima, che
capisce il potere e il suo fascino che provoca sui ragazzi e poi
gli uomini, che riesce a svoltare, passando da uno strip club alle
pagine patinate dei giornali americani. Le numerose interviste che
compogono la parte dedicata alla caduta, dopo gli anni del successo
da top model, sono prive di profondità. Vengono mostrati paparazzi,
giornalisti o fotografi che non fanno altro che ripetere quanto era
stupenda e dove passava lei, loro erano sicuri di guadagnare con
scatti, foto e notizie da vendere alle riviste di gossip. La
regista alla fine rimane sempre fedele alla sua visione sulla
protagonista che non viene mai mostrata come una vittima ma una
donna consapevole del sistema.
Anna Nicole Smith la vera
storia è la tumultosa vita tra anni di splendore e periodi
neri della defunta modella, attrice e superstar dei tabloid. Per
tutto il docufilm si sente solo che la donna “desiderava
l’attenzione”, in parte è vero ma c’era molto di più e in parte il
documentario di Netflix riesce a mostrare chi era la ragazza Vickie
Lynn Hogan in arte Anna Nicole Smith.
L’account Twitter del podcast
The Video Archives curato
da QuentinTarantino assieme a Roger
Avary (co-sceneggiatore di Pulp Fiction) ha reso
nota la scomparsa il 19 maggio dell’attore Rick
Dalton, all’età di 90 anni. “Siamo dispiaciuti
nell’annunciare la scomparsa dell’attore Rick Dalton, meglio noto
per il suo ruolo nella serie tv Bounty Law e nella trilogia The
Fireman. Rick è spirato pacificamente nella sua casa delle Hawaii e
lascia la moglie Francesca”, riporta il tweet in
questione.
I fan di Tarantino e del suo cinema
noteranno però subito la stranezza della notizia, perché
Rick Daltonnon è mai esistito.
Questi è il protagonista del film C’era una volta a…
Hollywood, dove era interpretato da Leonardo
DiCaprio. Un personaggio fittizio, dunque, però
vagamente ispirato ad alcuni attori del cinema che sul finire degli
anni Sessanta videro tramontare la propria carriera. A quattro anni
dal film in cui tale personaggio dell’universo cinematografico di
Tarantino ha fatto la sua comparsa, il regista ha dunque fornito
questo triste e ironico aggiornamento.
Per di più, il New Beverly
Cinema di Los Angeles, la sala di proprietà di Tarantino,
sfoggia ora la scritta “In memoria di Rick Dalton, 1933 – 2023.
Un attore straordinario”, come si può vedere qui. Il
motivo di tale annuncio è però presto detto: si tratta di una
trovata pubblicitaria di Tarantino per il suo nuovo libro,
The Films of RickDalton, un romanzo nel quale racconta nel
dettaglio tutti i film e le serie in cui l’attore ha recitato,
proprio come se fosse realmente esistito. Non è la prima volta che
il regista torna su quel suo film per ampliarne la narrazione,
avendovi già dedicato un vero e proprio romanzo dal titolo omonimo
pubblicato nel 2021.
We are saddened by the news of the passing
of actor Rick Dalton, best known for his roles in the hit TV series
Bounty Law and The Fireman trilogy.
Rick passed away peacefully in his home in Hawaii and is
survived by his wife Francesca.
— The Video Archives Podcast (@VideoArchives)
May 19, 2023
Cosa sappiamo di The Movie
Critic, il nuovo film di Quentin Tarantino
Nell’attesa di poter leggere questo
nuovo scritto dell’irriverente regista, sappiamo intanto che
il suo prossimo lungometraggio si intitola The Movie
Critic e le riprese sono previste per questo
autunno a Los Angeles. Il film, come confermato da Tarantino, sarà
ambientato nel 1977, un periodo che ha fatto una grande differenza
nella storia del cinema. Dato il titolo, il premio Oscar si è
trovato a dover smentire le voci secondo cui The Movie
Critic sarebbe incentrato sulla famosa critica cinematografica
Pauline Kael.
Il titolo del nuovo film di
Tarantino ci suggerisce anche che la trasformazione in atto in
quella Hollywood sarà vista attraverso gli occhi di un esterno,
colpito da ciò che vede arrivare sul grande schermo. Se ciò fosse
confermato, The Movie Critic potrebbe dunque sfoggiare un
tono malinconico e romantico sulla falsariga del titolo precedente
di Tarantino, C’era una volta a…
Hollywood. Al momento, tuttavia, non si hanno
maggiori informazioni, né sulla trama né sul cast.
Il canale ufficiale Twitter di The
Flash ha diffuso un video dal backstage del film
in cui si fa luce sul personaggio di Batman di Michael Keaton, che torna all’iconico ruolo
dopo trent’anni. Ecco di seguito il contenuto video:
In The
Flashi mondi si incontreranno quando Barry
userà i suoi superpoteri per viaggiare indietro nel tempo e
cambiare gli eventi del passato. Ma quando il tentativo di salvare
la sua famiglia altera inavvertitamente il futuro, Barry rimane
intrappolato in una realtà in cui il generale Zod è tornato,
minacciando distruzione, e senza alcun Supereroe a cui rivolgersi.
L’unica speranza per Barry è riuscire a far uscire dalla pensione
un Batman decisamente diverso per salvare un kryptoniano
imprigionato…. malgrado non sia più colui che sta cercando. In
definitiva, per salvare il mondo in cui si trova e tornare al
futuro che conosce, l’unica speranza per Barry è ‘correre per la
sua vita’. Ma questo estremo sacrificio sarà sufficiente per
resettare l’universo?
Fanno parte del cast di The
Flash l’attore Ezra Miller nei panni
del protagonista, riprendendo dunque il ruolo di Barry Allen da
JusticeLeague, ma anche l’astro nascente
Sasha Calle nel ruolo
di Supergirl,
Michael Shannon (“Bullet Train”, “Batman v Superman: Dawn of
Justice”), in quelli del Generale Zod, Ron
Livingston (“Loudermilk”, “L’evocazione – The
Conjuring”), Maribel Verdú (“Elite”, “Y
tu mamá también – Anche tua madre”), Kiersey
Clemons (“Zack Snyder’s Justice League”, “Sweetheart”),
Antje Traue (“King of Ravens”, “L’uomo
d’acciaio”) e Michael Keaton (“Spider-Man: Homecoming”,
“Batman”), che torna nel costume di Batman dopo oltre 30
anni.
La serata di ieri al Festival di
Cannes è stata tutta per
Cate Blanchett, l’attrice ha accompagnato il suo film The New
Boy, insieme al regista australiano Warwick Thornton.
Presenti molte star sulla croisette che hanno sfilato per
l’occasione, tra cui una sfavillante Cara Bruni e Natalie Portman. Ecco tutte le foto di
seguito.
The New Boy
segue i passi di un bambino aborigeno toccato dalla grazia,
nell’austerità di un monastero gestito da una suora
rinnegata.
Sceneggiatore e autore, vincitore della Camera d’or nel 2009
con Sansone e Dalila
presentato ad Au Certain Regard,
aveva già affrontato il tema degli aborigeni, mettendo in scena due
adolescenti del deserto australiano.
Il decimo e ultimo film di Quentin
Tarantino, come noto, è stato annunciato e si
intitolerà The
Movie Critic. Nel corso della sua carriera, l’autore
due volte premio Oscar ha scritto e diretto nove lungometraggi:
Le iene, Pulp Fiction, Jackie Brown, Kill Bill, A prova
di morte, Bastardi senza gloria, Django
Unchained, The Hateful
Eight e, più recentemente, C’era una volta a Hollywood. Il nuovo film,
il suo decimo, è inoltre stato indicato come il suo ultimo in
assoluto da regista. Nell’attesa di scoprire se ciò sarà o meno
vero, il regista e sceneggiatore Paul Schrader ha
fornito qualche dettaglio in più sul progetto.
Nel corso di un’intervista
rilasciata ad IndieWire, dove parla
principalmente del suo nuovo film Master
Gardener, Schrader ha trovato anche il tempo di
parlare del nuovo progetto di Tarantino. “Non so se le cose
siano cambiate, ma circa un mese fa stava preparando il film, che
ha qualcosa a che fare con il cinema negli anni ’70. E per parte di
questo userà spezzoni di film di quegli anni, ma rigirerà anche
alcune scene di quegli stessi film, e lui mi ha chiesto: “Posso
rifare il finale di Rollling Thunder?” e io ho detto: “sì, provaci.
Mi piacerebbe vederti rifare il finale di “Rolling Thunder”. Chissà
se lo farà davvero o no. Ma era qualcosa che solleticava la sua
immaginazione in un modo molto tarantiniano”.
Come noto, il film del 1977
Rolling Thunder è uno dei film a cui Tarantino dedica un
capitolo specifico nel suo libro Cinema
speculation, inoltre si tratta dei suoi film
preferiti, secondo quanto da lui stesso dichiarato. La sua pratica
di manipolare scene di film del passato si fa notare già in
C’era una volta a… Hollywood, ma chissà che con The
Movie Criticnon vada oltre, cambiando
qualche elemento rispetto all’originale. Come si evince, però,
Schrader non è al corrente se tale aspetto del nuovo lungometraggio
di Tarantino troverà effettivamente concretezza nel montaggio
finale. Non resta dunque che attendere maggiori informazioni a
riguardo.
Cosa sappiamo di The Movie Critic
Il prossimo lungometraggio di
Tarantino si intitola dunque The
Movie Critic e le riprese sono previste per
questo autunno a Los Angeles. Tuttavia, il regista e sceneggiatore
ha messo a tacere le voci secondo cui il film sarebbe incentrato
sulla famosa critica cinematografica Pauline Kael.
Le informazioni sono state fornite dallo stesso Tarantino durante
un evento di domande e risposte. Il film, come confermato da
Tarantino, sarà però ambientato nel 1977, un periodo che ha fatto
una grande differenza nella storia del cinema.
Il titolo del nuovo film di
Tarantino suggerisce anche che la trasformazione in atto in quella
Hollywood sarà vista attraverso gli occhi di un esterno, colpito da
ciò che vede arrivare sul grande schermo. Se ciò fosse confermato,
The
Movie Criticpotrebbe dunque sfoggiare
un tono malinconico e romantico sulla falsariga del titolo
precedente di Tarantino, C’era una volta a…
Hollywood. Al momento, tuttavia, non si hanno
maggiori informazioni, né sulla trama né sul cast.
La star di
Guardiani della Galassia
Vol. 3Chris Pratt ha recentemente commentato
l’iterazione di Gamora (Zoe
Saldana) apparsa nel terzo film della saga e lo ha
definito come “uno dei migliori personaggi scritti” che abbia mai
visto. In un’intervista sul sito Web della
Marvel, Pratt ha descritto la storia di Chris
Prattcome “uno degli archi più
interessanti dell’intero Marvel Cinematic
Universe“. Il protagonista ha notato che l’arco
del personaggio “capovolgerà davvero le persone”.
“È uno dei personaggi
meglio scritti che abbia mai visto, e amo l’arco narrativo che
attraversa in questo terzo capitolo“, ha dichiarato
Chris Pratt. “Farà davvero capovolgere le
persone e sfiderà le loro aspettative su come dovresti concludere
una trilogia con due persone che sono state innamorate
prima.”
Guardiani della Galassia Vol. 3 si conclude
con una scena molto emozionante, allegra ma allo stesso tempo
malinconica, con in sottofondo una canzone dei Florence &
The Machine, “Dog Days Are Over”, e la cantante
della band, Florence Welch, ha reagito a quel
momento in maniera molto emozionata. Guardiani della Galassia Vol. 3 segna la fine
della trilogia del team nell’MCU. Mentre il regista
James
Gunn e alcuni attori lasceranno il Marvel Cinematic
Universe con il film, Guardiani della Galassia Vol. 3 non è stata
una faccenda triste ma una celebrazione. Il film si conclude in
bellezza con una canzone di Florence & The Machine
perfettamente selezionata.
Harrison Ford
torna nel ruolo del leggendario eroe archeologo per l’attesissimo
ultimo capitolo dell’iconico franchise, un’epica e travolgente
avventura in giro per il mondo. Insieme a Harrison
Ford, il cast del film include Phoebe
Waller-Bridge (Fleabag), Antonio
Banderas (Dolor y gloria), John
Rhys-Davies (I predatori dell’arca perduta),
Shaunette Renée Wilson (Black Panther),
Thomas Kretschmann (Das Boot),
Toby Jones (La Talpa), Boyd
Holbrook (Logan – The Wolverine), Olivier
Richters (Black Widow), Ethann Isidore
(Mortale) e Mads Mikkelsen (Un altro
giro).
Diretto da James Mangold (Le Mans ‘66 – La
grande sfida, Logan – The Wolverine) e con
una sceneggiatura scritta da Jez Butterworth & John-Henry
Butterworth e David Koepp e James Mangold, basata sui personaggi
creati da George Lucas e Philip Kaufman, il film è prodotto da
Kathleen Kennedy, Frank Marshall e Simon Emanuel, mentre
Steven Spielberg e George Lucas
sono i produttori esecutivi. La colonna sonora è composta ancora
una volta da John Williams, che ha firmato le musiche di ogni
avventura di Indiana Jonesa
partire dall’originale I predatori dell’arca
perduta nel 1981.
Tra le tante star presenti al
Festival di
Cannes c’è anche l’attrice e modella spagnola
Ester Expósito, nota per aver interpretato il ruolo di
Carla Rosón nella serie televisiva Élite,
che accompagna il film “Perdidos En La Noche (Lost In the Night)”
presentato nella sezione Premiere della 76 edizione del
Festival di
Cannes. Di seguito tutte le foto del photocall del
film:
Nel film Emiliano vive in una
piccola città mineraria in Messico. Abitato da un profondo
senso di giustizia, cerca i responsabili della scomparsa di sua
madre, un’attivista che difendeva i posti di lavoro locali
minacciati da una compagnia mineraria internazionale. Non
ricevendo alcun aiuto dalla polizia o dal sistema giudiziario, la
sua ricerca lo porta alla ricca famiglia Aldama. Poi incontra
il padre, un famoso artista, la sua famosa moglie e la loro
attraente giovane figlia. Non gli ci vuole molto per lavorare
a casa loro ed è determinato a scoprire alcuni segreti ben
custoditi.
Jeanne du Barry,
girato e interpretato da Maïwenn e che segna
l’attesissimo ritorno al cinema di Johnny Depp dopo il controverso processo
Heard-Depp, ha aperto l’edizione 2023 del Festival di Cannes. Promettendo
un ritratto inedito della cortigiana diventata la favorita del re,
il film della regista francese inciampa tuttavia nelle sue stezze
intenzioni, aderendo fin troppo alle convezioni del dramma storico
e confezionando una storia di ascesa sociale sospesa
nell’incertezza di una regia poco ispirata e di una scrittura
sbiadita.
Jeanne du Barry: la trama
Jeanne Vaubernier,
figlia di un popolano e desiderosa di elevarsi socialmente, usa il
suo fascino per emergere al di sopra delle sue circostanze. Il suo
amante, il conte Du Barry, che si sta arricchendo grazie alla
lucrosa galanteria di Jeanne, vuole presentarla al re; organizza
dunque l’incontro tramite l’influente Duca di Richelieu e questo
evento supera di gran lunga le sue aspettative: tra Luigi XV e
Jeanne è amore a prima vista. Con la cortigiana, il Re ritrova il
gusto della vita, tanto da non poterne più fare a meno e decidere
di farne la sua favorita ufficiale. Tuttavia, lo scandalo è dietro
l’angolo: nessuno vuole una ragazza di strada a Corte.
Jeanne du Barry si
presenta come una storia di emancipazione femminile nel cuore di un
sistema fortemente patriarcale, in cui la protagonista stessa verrà
introdotta. Sempre in bilico tra il ricordarsi delle sue origini e
l’abbandonarsi agli agi di questa nuova condizione di vita, Jean
trova nella compagnia del re Luigi XV una chiave di svolta per
capire come vivere a Versailles. Malvoluta e al contempo spiata e
invidiata dai membri della corte – tra cui le esilaranti figlie del
Re, praticamente Anastasia e Genoveffa di Cenerentola traslate a
Versailles – Jean riuscirà a scavalcare chiunque grazie al suo
piglio ardito, uno stile inconfondibile e le maniere non proprio
reali, ma esilaranti.
Non vi è un disegno registico nè
narrativo
Ciò che emerge da questo racconto
pseudo biografico, di cui Maïwenn ha ridefinito i
contorni, è soprattutto una forte discordanza tra il significato di
Jeanne come icona femminista e quella veracità tanto promessa ma
che effettivamente manca al personaggio. Siamo di fronte a un
ritratto che, più che sovversivo, ricalca in toto i cliché del film
in costume, prediligendo la cornice romantica a quella più audace e
non riuscendo nemmeno a individuare un quadro registico preciso: la
regia del film è, infatti, completamente priva di uno schema che
giustifichi le azioni narrative. Non è la storia della popolana che
ci viene introdotta all’inizio: è la storia della corte più famosa
della storia, raccontata in un modo che già conosciamo.
Molto distante dagli sguardi più
eccentrici al passato delle corti, come quello del film La Favorita di Yorgos
Lanthimos o Il corsetto dell’imperatrice di
Marie Kreutzer Jean Du Barry evita di andare
sopra le righe, infrangendo le sue stesse promesse. È
Maiwenn come attrice a imporsi su
Jeanne, mai il contrario: forse la visione
femminista della regista stessa scavalca quello che avrebbe da dire
la sua donna del passato.
Il grande ritorno di Johnny
Depp?
Per quanto sia impossibile restare
indifferenti di fronte al fatto che il cinema europeo stia
concedendo a Depp uno spazio per esprimersi,
bisogna ammettere che l’ex Jack Sparrow risulta confinato nel ruolo
tanto oneroso del sovrano Luigi XV. Ben più di rilievo é stata
infatti sicuramente la sua performance nel film Il caso
Minamata (2020) di Andrew Levitas, presentato nel 2020 al
Festival Internazionale del Cinema di Berlino, in
cui Depp interpreta il fotografo documentarista statunitense
William Eugene Smith. Nei panni del sovrano
francese, infatti, Depp deve lottare con le insidie di una lingua
che non padroneggia quanto l’inglese e con un ruolo storicizzato:
non bastano i suoi riconoscibili manierismi e la sua verve comica –
il film lascia grande spazio all’ironia – per salvare il film.
In conclusione, Jeanne du
Barry è un film che punta molto sulla ricostruzione
d’epoca, sui costumi e sul trucco, ma non riesce ad allontanarsi
dalla convenzionalità. L’intervento anche attoriale di
Maïwenn sulla scena fagocita ogni possibilità
che il film avrebbe di brillare, inglobando perfino l’istrionico
Johnny Depp in un racconto confuso sulla
stregua dei tanto popolari young adult sulle famiglie reali.
Caotico, disturbante, complesso:
Black Flies di Jean-Stéphane Sauvaire con Sean Penn e Tye Sheridan arriva a Cannes 76. Nei primi minuti con le sirene che
stridono e i volti in primo piano, la trama incentrata sui
paramedici di New York segue questo filone concentrandosi sulle
complicazioni della vita. Tra sparatorie tra bande, aggressioni
domestiche e morti di senzatetto, gestire tutto questo per
Ollie (interpretato da Tye Sheridan) e Gene
Rutkovsky (interpretato da Sean Penn) è psicologicamente difficile.
Ollie sta studiando
medicina e fa questo lavoro per pagare le bollette, mentre
Rut è ormai navigato e anziano fa da mentore, o
per lo meno di prova. La prima notte di guardia come paramedico
Ollie deve avere a che fare con una brutta
sparatoria, preso dal panico Rut cercherà di guidarlo scegliendolo
poi come partner. Gli orrori a cui assiste durante le notti come
paramedico mettono a dura prova la sua anima: “Ho iniziato a
fare questo lavoro per aiutare le persone, senza considerare che
sono le persone che aiutano noi”.
Black Flies, la trama
Presentato in concorso al Festival di Cannes, Black
Flies vuole cercare di raccontare le paure e le debolezze
degli uomini unendo il tutto con dei momenti di forte denunci nei
confronti della società americana e in particolare sulla sanità.
Membri delle gang, le mogli maltrattate e picchiate, i senzatetto
accampati nelle lavanderie a gettoni, i tossicodipendenti, gli
immigrati ignorati e molto altro è quello che popola le loro notti
di turno come paramedici. Sono demoni che a volte riescono a
combattere altre volte invece ne vengono inglobati rischiando di
cadere in un vorticoso buco nero dal quale è difficile riemergere.
Anche imbattersi in cadaveri in putrefazione avvolti da mosche nere
è uno dei simboli del lavoro dei paramedici: “Le mosche nere
sono le prime a sentire l’odore della morte”. Loro non sono
altro che le mosche nere.
Un altro aspetto che emerge in
Black Flies è la totale assenza di personaggi
femminili a eccezione di tre significative presenze: la fidanzata
di Ollie (interpretata da Raquel Nave), l’ex
moglie di Rut (interpretata da Katherine Waterston) e la paziente incinta.
Tre personalità forti che ognuna a modo suo cerca portare alla
controparte maschile qualcosa. Per esempio, la fidanzata di Ollie
con suo figlio, potrebbe rappresentare quella vita semplice e
lontana dalle complicazioni.
(Dis)umanità
Black Flies nella sua complessità
porta a fondo delle tematiche complesse in maniera ragionata. Oltre
a far vedere in lavoro dall’interno lo vediamo anche dall’esterno,
dal mondo in cui i paramedici sono percepiti dai pazienti. Il caso
che scatena una concatenazione di eventi tragica è quello della
donna tossicodipendente incita. In quell’occasione Ollie si rende
conto di un potere quasi divino di cui dispongono i paramedici
quello di decidere della vita o della morte. “So cosa stai
pensando? Ne vale la pena?”, in un mondo segreto in cui i casi
considerati senza speranza vengono lasciati morire nel retro
dell’ambulanza.
Ollie, futuro
medico, non riesce a convivere con questo peso sulle spalle e al
suo personaggio è affidata la positività, verso una consapevolezza
diversa rispetto a quella di Rust. Se, infatti, il personaggio di
Sean Penn era ormai irrecuperabile nelle sue
azioni e nel suo modo di pensare, Ollie
rappresenta il cambiamento, una nuova generazione di personale
sanitario che magari non si farà corrompere dalla malvagità.
Arriva al Festival di
Cannes l’attrice
Cate Blanchett che è protagonista di The New Boy, il
film del regista australiano Warwick Thornton che segue
i passi di un bambino aborigeno toccato dalla grazia,
nell’austerità di un monastero gestito da una suora
rinnegata.
Sceneggiatore e autore, vincitore della Camera d’or nel 2009
con Sansone e Dalila
presentato ad Au Certain Regard,
aveva già affrontato il tema degli aborigeni, mettendo in scena due
adolescenti del deserto australiano.
“The new boy”, un bambino solitario (Aswan Reid) dotato di
poteri eccezionali crea fascino dopo il suo incontro spirituale con
Gesù. Ma l’interiorità di questo bambino aborigeno non si
adatta ai valori cristiani lodati al monastero. Il suo potere
misterioso è minaccioso. La storia diretta da Warwick Thornton
si svolge negli anni ’40 con, in uno dei ruoli principali,
l’attrice australianaCate
Blanchett che interpreta la sorella
Eileen. Un personaggio in bilico tra le sue convinzioni e
l’evidenza del dono di questo bambino, i cui valori profondi si
scontrano.
Questa storia mistica non è senza
rievocare l’esperienza del regista che fu convittore, fino all’età
di 13 anni e su iniziativa della madre, di una delle poche città
monastiche dell’Australia, a ovest del paese. In questa
istituzione gestita da monaci spagnoli, il giovane adolescente che
era e che non aveva mai messo piede in una chiesa, rimase
profondamente colpito dall’immagine di Cristo in croce, un’immagine
così diversa da quella che aveva conosciuto da bambino, e così
lontano dalla spiritualità aborigena di cui era imbevuto. La
trama del suo film è legata a questa profonda domanda: possono
armonizzarsi due spiritualità così opposte? Scritta
dall’autore 18 anni fa, la sceneggiatura di The
New Boy lo ha perseguitato da allora.
John Cena non
si aspettava minimamente di essere coinvolto nel film
Barbie come Ken versione Tritone e i suoi fan sono rimasti
altrettanto stupiti dalla notizia. Per Entertainment Weekly, l’ex
superstar della WWE diventata attore e attualmente in sala con
Fast X
ha spiegato come un incontro con la sua co-protagonista di
Suicide SquadMargot Robbie ha portato a
quest’imprevidibile partecipazione. “È stato un felice
caso”, ha detto Cena, “Le riprese di Fast X si svolgevano
letteralmente dall’altra parte della strada rispetto a dove si
stava girando Barbie”.
“Ho dunque incontrato Margot e
lei mi ha chiesto se avevo voglia di partecipare e le ho risposto
che avrei fatto tutto ciò che avrebbe desiderato”. Cena ha
dunque colto al volo l’opportunità di essere in Barbie
dopo aver, secondo quanto riferito, provato ad interpretare il Ken
principale, per il quale è poi stato scelto Ryan Gosling. “Ho provato e sono
stato rifiutato“, ha ricordato Cena. “Stavano organizzando
un casting aperto per il film. Ho capito, non ero un pezzo del
puzzle.“
Ci si può dunque aspettare un
divertente cameo di Cena nel film, il quale vanta un cast a dir
poco stellare. Oltre a Margot Robbie e
Ryan Gosling nei panni
di Barbie e Ken ci saranno infatti anche America Ferrera, Kate McKinnon,Michael Cera, Ariana Greenblatt, Issa Rae, Rhea Perlman e
Will
Ferrell. Fanno poi parte del cast del film anche
Ana Cruz Kayne, Emma Mackey, Hari Nef, Alexandra
Shipp, Kingsley Ben-Adi, Simu Liu, Ncuti Gatwa, Scott Evans, Jamie
Demetriou, Connor Swindells, Sharon Rooney, Nicola Coughlan, Ritu
Arya e il premio Oscar Helen Mirren.
Il film, diretto da Greta Gerwig e da lei scritto insieme a
Noah Baumbach arriverà in sala dal 21
luglio.
Dopo mesi passati a
inseguire le ipotesi nate dalle foto rubate sui set, anche
italiani, e a penare per le condizioni fisiche di
Harrison Ford (per l’infortunio subìto durante le
riprese) è finalmente arrivato il momento di Indiana
Jones e il Quadrante del Destino. Il quinto capitolo del
franchise creato da George Lucas riporta
l’avventuroso archeologo sul grande schermo per quella che potrebbe
– dovrebbe – essere la sua ultima volta, e la regia di
James Mangold (Logan-
The Wolverine) regala al pubblico un gran finale
in linea con i film precedenti, sempre diretti da Steven Spielberg. Uno spettacolo che gli
spettatori italiani scopriranno al cinema a partire dal 28 giugno,
data di uscita in sala del film distribuito da The Walt Disney
Company Italia.
Indiana Jones e il
Quadrante del Destino, l‘ultima avventura di
Indiana Jones
Durante la guerra,
catturato dai nazisti insieme all’amico Basil Shaw (Toby
Jones) mentre è alla ricerca della Lancia di Longino, il
Professor Jones si imbatte in un manufatto ancora più antico,
secondo alcuni in grado di assicurare un potere immenso a chi lo
possiede. Un oggetto sulle cui tracce è anche lo spietato Jürgen
Voller (Mads
Mikkelsen), con il quale il nostro eroe si scontra in
una sequenza iniziale emozionante che ci riporta agli anni ’40, e
ci mostra
Harrison Ford ringiovanito in digitale grazie
alle centinaia di ore di sue immagini in possesso della
Lucasfilm.
New York, 1969, a
distanza di oltre venti anni, la vita dell’archeologo e studioso è
cambiata completamente, sia quella professionale sia quella
personale, entrambe ormai non nel loro momento migliore. A scuotere
la monotonia del settantenne Indy arriva però la figlia del suo
amico, Helena Shaw (la
Phoebe Waller-Bridge di Fleabag), che
lo trascina in un’ultima avventura ai confini del fantasy in giro
per il mondo. Difficile dire se per passione, per interesse o per
riabilitare la memoria del padre, reso folle dall’ossessione per
l’Antikythera di Archimede.
Harrison Ford è sempre lui, il mito di Indy
sopravvive
Come ha
detto Mangold al Festival di
Cannes, probabilmente “non si può accontentare tutti” e
non sarebbe mai stato possibile considerati i tanti fan di un’icona
come Indiana Jones, ma se questo quinto capitolo del franchise
doveva essere un addio – e lo vedremo – probabilmente i più non
saranno delusi dall’operazione che continua a essere guidata da
Steven Spielberge
George Lucas, stavolta insieme tra i produttori
esecutivi.
A più di 40 anni da
I predatori dell’arca perduta del
1981 e a 15 dall’ultima avventura nel Regno del teschio di cristallo, del
2008, nella storia scritta dal regista con David Koepp, Jez
& John-Henry Butterworth c’è molto dello spirito e della
tradizione portata sullo schermo in tutti questi anni. C’è molto,
in generale. Al punto che ogni riferimento rischierebbe di superare
i confini dello spoiler, per quanto qualche sequenza – soprattutto
quelle più movimentate – avrebbe potuto essere asciugata un po’ (e
il costante utilizzo del tema di John Williams
ridotto).
Non tanto, non troppo,
ché dopo una sequenza d’apertura alla 007 e nonostante un pizzico
di autocompiacimento alla Tom Cruise il tono generale si avvicina a
quello del Tintin del 2011, detto senza alcuna intenzione
di sminuire questo o quello, ma con il sospetto – o la voglia – di
vederci un omaggio allo storico filmmaker di Cincinnati.
D’altronde, dal colosso cattivo ai nazisti poco reattivi, dalle
ragazze urlanti agli ambulanti travolti nell’azione tutto è fumetto
in questo film, per non parlare della svolta apertamente fantastica
(non una novità nella saga) della quale molto si è parlato nei mesi
scorsi.
Al centro di tutto una
figura della quale il suo stesso interprete ha disegnato limiti e
priorità, dimostrando di essersi saputo reinventare senza smettere
di essere fedele a un personaggio ormai immortale. In passato
dipendente “dalla sua giovinezza e il suo vigore“, oggi meno
disposto a mettersi in gioco in qualcosa non al suo livello.
Coordinate che anche la macchina da presa mostra di rispettare
nelle scene più adrenaliniche – a cavallo e in apetta, per
cielo e per mare – che Mangold costruisce alla perfezione per
evitare sforzi inutili e innaturali a Ford.
Comunque a suo agio con
inseguimenti e salvataggi, o tra insetti e mostri marini, e nelle
solite polverose camere segrete che da sempre nascondono importanti
svolte narrative. Semmai, stavolta l’accento torna spesso su un
aspetto fondamentale fin troppo tenuto in secondo piano e qui ben
evidenziato: quello dello studio, del valore della conoscenza e –
in questo caso – della matematica. Ultima e più forte tentazione
per l’anziano professore, ormai pronto ad appendere il cappello ‘al
chiodo’.
Risolta la questione
LaBeouf, citato il legame col padre scomparso, assistiamo a
qualcosa di molto simile a un passaggio di consegne a
Phoebe Waller-Bridge, che in più di una occasione
sembra interpretare scene in passato riservate a Indy. Ormai
disilluso e agguerrito, un po’ cinico e amareggiato (e acciaccato),
ma ancora in grado di riservare sorprese. Come quella che chiude il
cerchio nel finale, toccante e conciliatorio, che potrebbe –
definitivamente – accompagnarci all’uscita.
Mentre continuano le speculazioni
riguardo quali attori faranno parte del cast di Superman: Legacy,
l’atteso primo film del DC
Universe di James
Gunn, il quale sarà inoltre lo sceneggiatore e il
regista di tale film, emergono anche sempre nuovi rumor su quali
personaggi saranno presenti nel film. Oltre a Superman, Lois Lane ed un
probabile Lex Luthor, alcune
voci sostengono ora la presenza di due nuove personalità,
solitamente non facenti parte di quelle principali nelle storie
legate a Superman.
Secondo l’insider Jeff
Sneider nell’episodio di questa settimana del suo podcast
The Hot Mic, i DC Studios starebbero attualmente facendo il casting
per Mr. Terrific, personaggio dodato di grandi
doti fisiche ed umane, e un personaggio femminile chiamato
“Blitz“. Si può supporre che si tratti di
Jennifer Blitz, una potente metaumana della DC
Comics. Vi sono però anche ulteriori indiscrezioni che sostengono
la presenza nel film di Lobo, principalmente a
causa del fatto che Gunn ha recentemente pubblicato un Tweet
riguardo un solo attore ufficialmente scelto pel film, allegando
l’emoji di un tritone.
La cosa ha subito spinto i fan a
pensare che la star di Aquaman, Jason
Moma possa essere stata scelta per interpretare l’iconico
cacciatore di taglie Lobo. Naturalmente non ci sono ancora conferme
di alcun tipo circa l’effettiva presenza di tali personaggin nel
film. Gunn, dal canto suo, non sembra minimamente intenzionato a
lasciarsi sfuggire dettagli a riguardo. Poiché Superman: Legacy introdurrà gli
spettatori al nuovo universo cinematografico, è possibile
immaginare che da qui partiranno più storie e che dunque più
personaggi potrebbero essere presentati in tale lungometraggio al
fianco dell’Uomo d’acciaio.
Superman:
Legacy non sarà un’altra storia sulle origini, ma
il Clark Kent che incontriamo per la prima volta qui sarà un
“giovane reporter” a Metropolis. Si prevede che abbia già
incontrato Lois Lane e, potenzialmente, i suoi compagni
eroi (Gunn ha detto che esistono già in questo mondo e che
l’Uomo di domani non è il primo metaumano del DCU). Il casting è
attualmente in corso, con la speranza che venga fatto un annuncio
ufficiale al Comic-Con di San Diego di quest’anno.
Superman:
Legacy uscirà nelle sale l’11 luglio 2025.
Secondo quanto riferito, Gunn ha
consegnato la prima bozza della sua sceneggiatura prima dello
sciopero degli sceneggiatori, ma ciò non significa che la
produzione non subirà alcun impatto in futuro. “Superman:
Legacy è il vero fondamento della nostra visione creativa per
l’Universo DC. Non solo Superman è una parte iconica della
tradizione DC, ma è anche uno dei personaggi preferiti dai lettori
di fumetti, dagli spettatori dei film precedenti e dai fan di tutto
il mondo”, ha detto Gunn durante l’annuncio della lista
DCU. “Non vedo
l’ora di presentarti la nostra versione di Superman che
il pubblico potrà seguire e conoscere attraverso film, film
d’animazione e giochi”.