Il giovanissimo e talentuoso regista
Goran Stolevski ha presentato in anteprima a
Venezia 80 il suo Housekeeping for
Beginners, terzo lungometraggio a cui si è dedicato dopo
You Won’t Be Alone (2022) e Of an
Age (2023), passati entrambi per il Sundance Film
Festival. Con questa nuova prova registica, Stolevski
unisce uno stile da cinema verità, performance attoriali
credibilissime e un controllo dell’immagine notevolissimo per
raccontare una storia quanto mai attuale. Nel cast,
Anamaria Marinca, Alina Serban,
Samson Selim, Vladimir Tintor,
Dzada Selim, Mia Mustafa,
Sara Klimoska, Rozafa Celaj,
Ajshe Useini.
Housekeeping for Beginners: madre
in divenire
Una storia che esplora le verità
universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che quella
che ci scegliamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre, ma
le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua
ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle
Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre
continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che
deve lottare per rimanere unita.
Nonostante le molte crisi che
affrontano – morti, scomparse, abusi – Housekeeping for
Beginners non è un film guidato dalla trama, quanto più
incentrato su questo complesso intreccio di personaggi interpretati
in maniera incredibilmente verosimili. La truppa è guidata da
Marinca, che offre una performance estremamente
convincente nei panni della forte Dita, ma tutti
gli attori sono all’altezza della situazione, persino la giovane
Mia.
Cinema veritè per “non sentirsi
soli”
La scelta di uno stile veritiero,
che include dialoghi sovrapposti, camera a mano, illuminazione
naturalistica, inquadrature strette ma volutamente caotiche e
profondità ridotta, ha permesso a Stolevski di creare un’atmosfera
di grande impatto che eleva Housekeeping for
Beginners. In maniera molto simile a quanto già
sperimentato nel precedente film Of an age, è la
musica che colma i vuoti: quando i personaggi non si confrontano
con qualche canzone di sottofondo, la colonna sonora composta da
Alen e Nenad Sinkauz rievoca il conflitto razziale che emerge
costantemente ai margini della storia. Violini e fisarmoniche
suonano ritmi avvincenti, creando un mix di allegria e malinconia
che sottolinea le innumerevoli discussioni all’interno della
famiglia.
In You Won’t Be
Alone lo spirito stregonesco che è la creatura
protagonista del film non viene mai lasciato solo: diventa un
mutaforma, che si deve scontrare con le difficoltà di legami
sociali primitivi mentre tenta di elaborare una personale
concezione dell’umanità. Mutare forma, essere il corpo degli altri,
diventa il veicolo principale per la conoscenza del se.
Stolevski porta avanti un simile discorso anche in
Housekeeping for Beginners, presentandoci dei
personaggi che devono tenere in considerazione, e anche scontrarsi,
con altri punti di vista e, in questa famiglia così fluida e
composita, scoprono ancora meglio le loro individualità. Basando la
narrazione su questo dialogo così umano, Stolevski
si conferma una delle giovani voci registiche più interessanti e
promettenti della contemporaneità.
È ufficialmente iniziato
il conto alla rovescia per Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del
serpente, il nuovo capitolo della Hunger
GamesSaga che arriverà in Italia, solo al
cinema dal 22 novembre, distribuito da Notorious
Pictures.
Un film attesissimo, tanto
che secondo un sondaggio condotto e pubblicato dalla piattaforma
americana per la prevendita di biglietti cinematografici Fandango,
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpenteè in cima alla lista dei film più attesi dell’autunno da
parte del pubblico!
La road to Hunger
Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è pronta per
essere percorsa e si apre con i character poster del
film:
1 di 7
Rachel Zegler è Lucy Grey
Baird - Tributo del distretto del 12
Tom Blyth è Coriolanus Snow
- Mentore di Lucy Grey Baird
Peter Dinklage è il Decano
Casca Highbottom - Creatore degli Hunger Games
Hunter Schafer è Tigris
Snow - Cugina di Snow
Josh Andres Rivera è
Sejanus Plinth – Amico di Snow e Mentore del distretto 2
Viola Davis è la Dott.ssa
Gaul – Capo stratega degli Hunger Games
Jason Schwartzman è
Lucretius 'Lucky' Flickerman - Il primo conduttore degli Hunger
Games
Hunger Games – La
ballata dell’usignolo e del serpente è ambientato 64 anni
prima della saga. Un prequel ispirato all’omonimo romanzo di
Suzanne Collins e diretto da Francis Lawrence,
regista di tre dei quattro Hunger Games
originali.
I
protagonisti sono l’attore emergente inglese
Tom Blyth,
Rachel Zegler di West Side Story e
Hunter Schafer della serie Euphoria. Nei ruoli comprimari l’attrice
Premio Oscar e vincitrice di un Golden Globe, di un Emmy Award e di
ben due Tony Award
Viola Davis, la star de Il trono di
spade e vincitore di un Golden Globe
Peter Dinklage e Jason
Schwartzman.
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e
del serpente, la trama
Anni prima di diventare il
tirannico presidente di Panem, il diciottenne Coriolanus Snow è
l’ultima speranza per il buon nome della sua casata in declino:
un’orgogliosa famiglia caduta in disgrazia nel dopoguerra di
Capitol City. Con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger
Games, il giovane Snow teme per la sua reputazione poiché nominato
mentore di Lucy Grey Baird, la ragazza tributo del miserabile
Distretto 12. Ma quando Lucy Grey magnetizza l’intera nazione di
Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura,
Snow comprende che potrebbe ribaltare la situazione a suo favore.
Unendo i loro istinti per lo spettacolo e l’astuzia politica, Snow
e Lucy mireranno alla sopravvivenza dando vita a una corsa contro
il tempo che decreterà chi è l’usignolo e chi il serpente.
Un uomo si aggira per le strade di
Genova, riscoprendone colori, odori, sapori, ma anche luoghi,
persone, notandone i cambiamenti e manifestando un profondo senso
di nostalgia nei confronti di tutto ciò. L’uomo in questione è
Luca, protagonista del fim Con la grazia di un
Dio, il film d’esordio dell’attore Alessandro Roia
(Diabolik, …
altrimenti ci arrabbiamo!) alla regia di un lungometraggio.
Presentato alle Giornate degli Autori, il film è
un ambizioso ma umile racconto noir che si sviluppa sui temi della
nostalgia e della malinconia, emozioni provate dal protagonista a
seguito di un inaspettato confronto con il proprio passato e con la
città della sua giovinezza.
Già da queste prime parole si può
notare un’involontaria somiglianza con il recente
film Nostalgia di MarioMartone,
dove Pierfrancesco
Favino dà volto ad un uomo che torna a Napoli – più
precisamente nel Rione Sanità – dopo anni trascorsi in Egitto,
riscoprendo tutto ciò che si era dovuto lasciare alle spalle,
compresi alcuni traumi. Se da una parte risulta difficile non porre
a confronto i due film, data anche la presenza in entrambi
dell’attore Tommaso Ragno
(Luca nell’esordio di Roia, nemico del protagonista per Martone),
sarebbe scorretto ridurre solo a questo il giudizio su Con la
grazia di un Dio, opera imperfetta ma alcuni elementi
interessanti.
La trama di Con la grazia di un Dio
La vicenda si svolge dunque a
Genova, dopo venticinque anni Luca (Tommaso Ragno)
torna per partecipare ai funerali del migliore amico della sua
giovinezza. Qui ritrova i vecchi compagni di un tempo. Tutti
sembrano convinti che quella morte sia l’esito scontato di una vita
di eccessi; tutti tranne Luca, che vuole vederci chiaro, indagare,
capire. Scavando nella memoria, e in una città cambiata almeno
quanto lui, lascerà riaffiorare fantasmi e verità che sembravano
sepolte, insieme alla propria vera natura, che pensava di aver
domato per sempre.
Nei luoghi dell’anima di Genova
Le opere prime, si sà, sono
pericolose. Bisogna avere qualcosa da dire, bisogna sapere come
dirlo, altrimenti si rischia di non offrire nulla al proprio
pubblico. Alessandro Roia, consapevole di questi
rischi, sceglie di “limitarsi” alla scrittura della sceneggiatura
(insieme ad Ivano Falchin) e alla regia, non
comparendo dunque in scena. Ciò gli dà l’opportunità di
concentrarsi totalmente sulla costruzione delle immagini del suo
esordio, attingendo dal cinema di genere per fotografare una Genova
cupa e fredda dove porre i propri personaggi e seguirli nei vicoli
bui, in quelli stretti, nei locali tutti neon e musica a palla o
negli appartamenti spogli che comunicano assenza in ogni loro
stanza.
Roia lavora dunque su un’attenta
scelta di spazi evocativi, che accompagnino le emozioni di chi li
abita ed esaltino i turbamenti del loro animo e sceglie di far
parlare in questo modo le proprie immagini, prediligendo di
conseguenza una regia contenuta e che rifugge particolari
virtuosismi o sperimentazioni di vario tipo. Tutte cose che, per
quanto un neo regista potrebbe essere tentato di provare, rischiano
di distogliere l’attenzione dello spettatore da aspetti ben più
importanti, come in questo caso la costruzione di un atmosfera che
possa effettivamente suscitare gli stati d’animo del
protagonista.
Un film non esente da problemi di scrittura
Certo, non è esente da problemi
Con la grazia di un Dio, riscontrabili specialmente nella
sua scrittura. Ci sono infatti diverse occasioni in cui il mistero
che Luca cerca di risolvere sembra complicarsi salvo poi rivelarsi
meno avvincente del previsto, così come alcune situazioni gestite
troppo frettolosamente e non adeguatamente sviluppate, soprattutto
nel finale, dove gli interrogativi rimasti sono più di quelli
soddisfatti. Tutte carenze che rischiano di portare lo spettatore a
sentirsi confuso o perdere interesse nei confronti di quanto vede.
Luca, come anche alcuni degli altri personaggi, rimangono infatti
talvolta fin troppo misteriosi, rendendo difficile un avvicinamento
nei loro confronti.
A ciò si aggiungono alcune
perplessità circa il pubblico di riferimento di un film come
questo, e non rispondendo chiaramente a tale domanda si svela
ulteriormente la confusione che limita il potenziale del progetto,
che per certi aspetti lascia in ultimo un certo senso di
incompiuto. Sono ingenuità tipiche di un’opera prima, trappole a
loro modo necessarie per poter imparare per poi addrizzare il tiro
in vista di un secondo film, che si spera Roia realizzerà, avendo
in ogni caso dimostrato in Con la grazia di un Dio di
possedere una buona conoscenza tecnica del mezzo.
In merito al film il regista ha
dichiarato: “Io Capitano nasce dall’idea di raccontare il
viaggio epico di due giovani migranti senegalesi che attraversano
l’Africa, con tutti i suoi pericoli, per inseguire un sogno
chiamato Europa. Per realizzare il film siamo partiti dalle
testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo
deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per
raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in
una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati
a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar
voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha.” Ecco tutte le
foto:
Io Capitano racconta il
viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano
Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso
le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in
Libia e i pericoli del mare.
Dopo You Won’t Be
Alone e Of an Age, il
giovanissimo Goran Stolevski presenta in concorso
nella sezione parallela di
Venezia 80, “Orizzonti”, il suo nuovo film
Housekeeping for Beginners. Una storia che esplora
le verità universali della famiglia, sia quella in cui nasciamo che
quella che troviamo da soli. Dita non ha mai voluto essere madre,
ma le circostanze la costringono a crescere le due figlie della sua
ragazza, la piccola combina guai Mia e l’adolescente ribelle
Vanesa. Una battaglia di volontà si scatena quando le tre
continuano a scontrarsi e diventano una famiglia improbabile che
deve lottare per rimanere unita.
Housekeeping for Begginers: il terzo lungometraggio di Goran
Stolevski
In occasione della prima del suo
film al Festival, Stolevski si è aperto sulla
genesi del progetto: “Posso dirvi l’esatto momento in cui mi è
venuta l’ispirazione per questo soggetto. All’epoca facevo
l’interprete, stavo accompagnando una mia amica a fare una
colonscopia e mi è capitata una foto su Facebook ricondivisa da un
mio amico: era una foto degli anni ’70 di due ragazzi gay che
vivano insieme ad altri amici. Mi ha colpito molto perchè mi ha
trasmesso un senso di casa e spazio sicuro, qualcosa che io non ho
mai sentito quando mi sono trasferito in Australia“.
Alina Șerban ha poi
raccontato gli inizi della sua carriera da attrice: “Ho avuto
questa grandissima opportunità. Vengo da un passato di povertà,
sono stata la prima della mia famiglia a finire le superiori, so
cosa significa pregare per avere luce e acqua. Se non avevo
qualcosa, immaginavo di averlo, ho sempre amato ballare, questo è
come si è sviluppata la mia creatività. Ho pensato di dedicarmi
alla recitazione. C’era una voce dentro di me, a volte urlava, a
volte sussurrava, ma mi stava imponendo di provarci. Nella vita
sono stata in orfanatrofio e ho spesso cercato un posto dove stare.
Sono poi entrata all’università, dove mi sono scontrata con un
ambiente molto elitario e dove mi sono sempre sentita meno degli
altri“.
Anamaria Marinca e
Alina avevano già lavorato insieme a una scena: il
primo ruolo che Alina ha mai ottenuto è stato nella serie tv della
BBC The Last Enemy. Nessuno le aveva spiegato bene cosa
avrebbe dovuto fare e lei non aveva alcuna esperienza. “Dopo 16
anni sono qui, a recitare insieme ad Anamaria non in una sola
scena, ma in un intero film“.
Per quanto riguarda il processo di
casting, “più che fare provini, mi piace parlare con i miei
attori “ – ha svelato Stolevski. “Come prima cosa, ci
conosciamo come persone. Non sono un tipo da ordinare agli altri
cosa devono fare. Cerco di costruire un ambiente sano e,
soprattutto, di passare tanto tempo insieme, perchè ci si può
sentire davvero soli in questo ambiente. Gli incoraggio spesso a
improvvisare e per me è anche importantissimo trasferire gli stessi
valori alla crew“.
“La famiglia è quella che ci scegliamo, non per forza quella di
sangue”
Regista e attrice hanno poi messo in
relazione la loro storia famigliare con quella di Housekeeping for
Beginners, “Sono cresciuto in una grande famiglia, ho cugini e
zie che considero veri fratelli, non considerando l’effettivo grado
di parentela, è qualcosa che fa parte di un più ampio senso che io
do al concetto di famiglia. In Australia è stato molto diverso, mi
sono sentito molto isolato“, ha svelato Goran Stolevski.
“Io sono cresciuta nella
solitudine di non avere una famiglia, ma oggi sono quello che sono
grazie ai miei amici: sono stati la mia famiglia per tantissimi
anni. Ci sono persone queer, di colore, che hanno vite diverse
dalla mia, ma siamo una famiglia. Provo rabbia quando vedo i miei
amici gay discriminati e loro lo stesso con me. La mia rete di
sicurezza sono i miei amici“, ha poi aggiunto Alina
Șerban.
Goran Stolevski: tra esperienza intimista e universalità
In merito al parallelismo tra
l’esperienza trasformativa di You Won’t Be Alone,
dove la strega protagonista è una mutaforma che entra ed esce da
corpi diversi elaborando una sua idea di umanità e, al contempo,
imparando a conoscere se stessa: “Tutti i miei film partono dal
punto di vista di un outisder, che sia un disagio personale o
l’ostracismo sociale a causarlo. Non penso che le emozioni
dipendano dalla demografia, penso che siano universali. In questo
senso, è importante che ci sia anche della rabbia. I personaggi che
amo sono quelli che si arrabbiano di più. Sono stato un bambino
molto silenzioso e spaventato, i miei film esplorano questa dualità
che io percepisco in me, tra il sentirsi un outisder e
l’arrabbiarsi, il sentire di volere di più“.
Disney+ ha svelato che la
giovane donna di Fuoco Ember e il ragazzo di Acqua Wade del film
Disney e Pixar Elemental arriveranno
sulla piattaforma streaming dal 13 settembre. Lo stesso giorno
debutteranno anche il documentario sul making-of Quando c’è
Chimica: La storia dietro Elemental e il cortometraggio dei
Pixar Animation Studios L’appuntamento di Carl con
l’amatissimo cane parlante Dug. È disponibile la key art che
celebra l’imminente arrivo in streaming di
Elemental.
Dopo l’uscita al cinema
quest’estate, il lungometraggio originale Disney e Pixar Elementalè
tra i 10 film di maggior successo del 2023 a livello mondiale, con
un incasso di 480 milioni di dollari. Ambientato a Element City,
dove gli elementi – Fuoco, Acqua, Terra e Aria – vivono insieme, il
lungometraggio originale introduce Ember, la cui amicizia con un
ragazzo di nome Wade, divertente e sdolcinato, mette alla prova le
sue convinzioni sul mondo in cui vivono. Elemental è
diretto da Peter Sohn e prodotto da Denise
Ream p.g.a., mentre Pete Docter è il produttore esecutivo. La
sceneggiatura è di John Hoberg & Kat Likkel e Brenda Hsueh, con un
soggetto di Sohn, Hoberg & Likkel e Hsueh.
Nella versione italiana del film,
prestano le proprie voci
Valentina Romani nel ruolo di Ember, una brillante ragazza
di Fuoco sulla ventina con un grande senso dell’umorismo che ama la
sua famiglia ma che a volte si infiamma facilmente; Stefano
De Martino nel ruolo di Wade, un attento ed empatico
ventenne di Acqua che non ha paura di mostrare le proprie emozioni,
che sono difficili da non notare; Serra
Yilmaz nel ruolo della mamma di Ember, Cinder; e Hal
Yamanouchi nel ruolo del padre di Ember prossimo alla
pensione, Bernie. Inoltre, Francesco Bagnaia, pilota
motociclistico e campione del mondo in carica di MotoGP, interpreta
uno speciale cameo nel ruolo di “Pecco”.
Il regista Pixar Peter Sohn
accompagna gli spettatori in un viaggio personale e divertente alla
scoperta di ciò che ha ispirato la creazione del lungometraggio
Disney e Pixar Elemental. Quando c’è Chimica:
La storia dietro Elemental ripercorre il viaggio dei
suoi genitori dalla Corea a New York, esplora l’ex negozio di
alimentari del padre nel cuore del Bronx e approfondisce la sua
scelta di intraprendere una carriera nell’animazione, piuttosto che
nell’attività di famiglia. Il documentario è un piacevole
approfondimento sulle influenze inaspettate che hanno portato alla
realizzazione di Elemental.
Good Chemistry è diretto da Tony Kaplan e prodotto da
Sureena Mann.
Scritto e diretto dal candidato
all’Academy Award® e vincitore dell’Emmy® Bob Peterson e prodotto
da Kim Collins, il nuovo corto L’Appuntamento
di Carl vede Carl accettare con riluttanza di andare
a un appuntamento con un’amica, ma senza avere idea di come
funzionino gli appuntamenti al giorno d’oggi. Dug, da sempre un
amico disponibile, interviene per calmare l’agitazione di Carl
prima dell’appuntamento e per offrirgli alcuni affidabili consigli
su come fare amicizia… se sei un cane. Il nuovo cortometraggio, che
ha debuttato nelle sale il 21 giugno insieme a Elemental,
si aggiunge alla collezione di cortometraggi già disponibile su
Disney+, Una vita da Dug, che
segue le divertenti disavventure dell’adorabile cucciolo con il
collare high-tech
Netflix rilascia
il trailer della terza parte di
Lupin, svelando un primo sguardo sulla serie francese
fenomeno globale. Il gentiluomo più ricercato della Francia farà il
suo ritorno dal 5 ottobre in tutti i Paesi in cui il servizio è
attivo.
In questi nuovi 7 episodi
Omar Sy tornerà nel ruolo di Assane Diop al fianco
di Ludivine Sagnier, Antoine Gouy, Soufiane Guerrab e Shirine
Boutella. Creata da George Kay in collaborazione con François Uzan,
la serie è diretta da Ludovic Bernard, Podz (Daniel Grou) e Xavier
Gens e prodotta da Gaumont.
Lupin – parte
terza, la trama
Assane ora è in
clandestinità e deve imparare a vivere lontano dalla moglie e dal
figlio. Le sofferenze che lui stesso ha causato lo spingono a
tornare a Parigi con una folle proposta: abbandonare la Francia e
ricominciare da capo altrove. Ma gli spettri del passato sono
sempre dietro l’angolo e un ritorno inatteso sconvolgerà i suoi
piani.
Paramount+ ha annunciato oggi la terza stagione
dell’acclamata serie originale drammatica MAYOR OF KINGSTOWN(leggi la recensione della seconda stagione),
interpretata dal candidato all’Oscar Jeremy Renner. Creata dal candidato all’oscar
Taylor Sheridan insieme a Hugh Dillon, la serie
originale è prodotta da MTV Entertainment Studios e 101 Studios in
esclusiva per Paramount+.
MAYOR OF KINGSTOWN è una delle fiction originali più
performanti del servizio di streaming e, durante il periodo di
disponibilità in piattaforma, è stata terza solo alle altre serie
di successo di Sheridan, 1923 e TULSA KING.
MAYOR OF KINGSTOWN segue la famiglia McLusky, mediatori
di potere a Kingstown, Michigan, dove il business
dell’incarcerazione è l’unica industria fiorente. Affrontando i
temi del razzismo sistemico, della corruzione e dell’ineguaglianza,
la serie offre uno sguardo crudo sul loro tentativo di portare
ordine e giustizia in una città che non ha né l’uno né l’altro.
Tra i produttori esecutivi, oltre a
Sheridan e Dillon, anche Renner, Antoine Fuqua, David C. Glasser,
Ron Burkle, Bob Yari, Michael Friedman, Dave Erickson e Regina
Corrado. MAYOR OF KINGSTOWN fa parte del
palinsesto in continua crescita di Sheridan su Paramount+, che
comprende
SPECIAL OPS: LIONESS, 1923, 1883, TULSA KING e le prossime
serie LAWMEN: BASS REEVES e LAND MAN. La prima e la
seconda stagione di MAYOR OF KINGSTOWN sono disponibili in
esclusiva su Paramount+.
Chi, alla
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di
Venezia si muove in bici lungo il Lido, sa bene che venire
derubati del proprio mezzo di trasporto è una possibilità. Nel
corso degli anni sono stati tanti i report e i racconti in merito,
ma quest’anno i ladri lidensi sembrano essersi specializzati in…
poster.
Apprendiamo da Deadline che sei poster di
Maestro
e di The Killer
sono scomparsi lunedì sera dagli espositori posti di fronte
all’Excelsior, lasciando i membri dello staff di Netflix di stucco, a chiedersi se le sparizioni
fossero il risultato di un furto da parte di fan troppo zelanti o
ci fosse dietro una qualche forma di protesta non meglio
rivendicata verso i film targati N rossa presenti nella Selezione
Ufficiale. Martedì, è stata cura dello streamer aggiungere altri
poster, tuttavia il dubbio rimane.
C’è stato un tempo, ormai passato,
che i film targati Netflix non erano visti di buon occhio nel
circuito dei festival, ma è chiaro che non è il caso di Venezia,
tra le prime grandi kermesse dedicate al cinema che hanno aperto le
porte a queste produzioni. Sembra quindi più probabile che dei fan
di Bradley Cooper e di Michael
Fassbender abbiano voluto portare a casa dei souvenir
speciali da Venezia 80. L’organizzazione del festival non
ha commentato l’accaduto.
La showrunner Jasmila
Žbanić, regista nominata agli Oscar e ai
Bafta per Quo Vadis, Aida? del 2020, ha presentato oggi
fuori concorso a
Venezia 80 la sua nuova serie tv Znam Kako
Dišeš (Conosco la tua anima). Si tratta di un progetto che
la regista scrisse diversi anni fa, ma che venne rifiutato dal
Bosnian Film Fund, senza apparente motivo. Tuttavia, quando
l’emittente bosniaca BH Telecom ha annunciato l’audace intenzione
di investire nella fiction televisiva, ha intravisto la possibilità
di rilanciarla: durante la pandemia, ha avuto tempo di ripensare la
sceneggiatura come una serie tv, di cui oggi sono stati presentati
in anteprima i primi due episodi. Žbanić è showrunner della serie
insieme a Damir Ibrahimović, con Alen
Drjević e Nermin Hamzagić alla regia e
interpretata da Jasna Duricic, Lazar Dragojevic ed Ermin Bravo.
Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima), indagine su una
famiglia e una società
L’ultimo caso di
Nevena, procuratore di Sarajevo e madre single,
colpisce da vicino: un adolescente della stessa scuola di suo
scuola di suo figlio Dino si è suicidato. Nevena si attira una
cattiva pubblicità quando il padre in lutto critica la lentezza
delle sue indagini, ma si guadagna poca simpatia per il suo
dipartimento a corto di personale o per l’imminente divorzio. Ben
presto, Nevena scopre che la scuola potrebbe nascondere abusi tra i
suoi studenti e viene consumata dalla preoccupazione per Dino,
venendo colta alla sprovvista quando il padre della vittima fa il
nome di suo figlio come abusatore. Spinta dall’amore materno e
dalla responsabilità morale, Nevena cerca disperatamente delle
prove in un ambiente sempre più ostile. Sa che in una società in
cui la giustizia in cui la giustizia è controllata dalla ricchezza
e da un’élite politica maschile, i suoi unici alleati nella sua
caccia alla verità restano una vecchia fiamma e una nuova collega
che fa rapporto al suo superiore alle sue spalle. Ma la ricerca dei
fatti che rende Nevena è così brava nel suo lavoro la metteàr
contro il figlio di cui teme di non potersi più fidare.
L’intensa scrittura di Jasmila Žbanić
Fino a che punto comprendiamo
veramente i nostri figli? Quanto siamo aperti ai loro distinti
sistemi di valori? Quanto profonda è la nostra fiducia in loro?
Queste sono le domande centrali di Znam Kako Dišeš (Conosco
la tua anima), che si propone come una precisa riflessione
sul tema soprattutto nell’era attuale, in cui la fiducia nelle
istituzioni, nelle informazioni e nella verità sta progressivamente
svanendo, o forse c’è sempre stata ma si è taciuto per il desiderio
di preservare la nostra stessa dignità.
Nei primi due episodi di
Znam Kako Dišeš (Conosco la tua anima) di
Jasmila Zbanic, viene messo in primo piano il
delicato equilibrio tra le emozioni personali e le responsabilità
professionali. Diretti da Alen Drljevic, i primi due episodi
esplorano i legami familiari, alle aspettative della società e alle
ombre che i segreti proiettano sulle relazioni umane e promettono
di offrire uno sguardo approfondito sulla complessità delle
emozioni umane, le pressioni sociali gli intricati misteri che si
annidano anche tra le mura delle nostre case.
Ciò che contraddistingue in modo
particolare questo episodio pilota è la sua capacità di stimolare
la curiosità degli spettatori, lasciandoci con numerosi
interrogativi irrisolti. Al centro di tutto questo si trova
l’enigma che avvolge il personaggio di Dino. È colpevole? Sta
dicendo la verità? Questo elemento rappresenta una delle
caratteristiche più distintive dell’episodio. La trama mette in
scena un serio dilemma morale in cui Neneva si trova a dover
bilanciare l’amore per suo figlio con la sua dedizione alla ricerca
della verità. La recitazione di Djuricic e
Dragojevic nei ruoli di madre e figlio è
assolutamente credibile, e la regia di Drlijevic,
seppur semplice, riesce ad essere coinvolgente e accattivante.
Tuttavia, la vera potenza dell’opera risiede nella sua storia.
Znam Kako Dišeš (Conosco la
tua anima) si addentra profondamente nelle disuguaglianze
create dalla divisione di classe, una problematica che risuona a
livello globale, riuscendo brillantemente ad esaminare le tragedie
che emergono da queste radicate disuguaglianze sociali. Tuttavia,
al cuore della serie si trova anche un commento sul concetto di
famiglia e sulle dinamiche relazionali; mette in evidenza l’idea
che la vita è stratificata e spesso ci costringe ad affrontare la
realtà che forse non conosciamo i nostri cari così
approfonditamente come pensavamo.
Penélope Cruz è stata scelta per interpretare
la protagonista dell’adattamento de I Giorni
dell’Abbandono, di Elena Ferrante. Il
film sarà diretto da Isabel Coixet, una delle più
acclamate registe spagnole, The Bookshop, Elegy, My Life
Without Me. È stata premiata con dieci Goya, più di
qualsiasi altra regista donna nella storia della Spagna. La
sceneggiatura è affidata a Laurence Coriat,
sceneggiatrice francese, nota soprattutto per il suo lavoro con
Michael Winterbottom.
Già nel 2005, Roberto
Faenza aveva adattato il romanzo, dirigendo Margherita Buy nei panni della protagonista
della storia.
Una donna ancora giovane, serena
e appagata, tutt’altro che inattiva nel cerchio sicuro della
famiglia, viene abbandonata all’improvviso dal marito e precipita
in un gorgo scuro e antico. Rimasta con i due figli e il cane,
profondamente segnata dal dolore e dall’umiliazione, Olga, dalla
tranquilla Torino dove si è trasferita da qualche anno, è
risucchiata tra i fantasmi della sua infanzia napoletana, che si
impossessano del presente e la chiudono in una alienata e
intermittente percezione di sé. Comincia a questo punto una caduta
rovinosa che mozza il respiro, un racconto che cattura e trascina
fino al fondo più nero, più dolente dell’esperienza
femminile.
LOTUS PRODUCTION – Una
società Leone Film Group
Lotus Production è una casa di
produzione cinematografica e televisiva guidata da Raffaella Leone
e Andrea Leone e controllata da Leone Film Group, società operante
nel mercato cinematografico e audiovisivo e quotata sul mercato AIM
Italia dal 2013. Affermata e riconosciuta anche a livello
internazionale, Lotus ha prodotto negli anni film e serie TV di
successo, collaborando con alcuni tra i principali autori italiani,
tra cui Paolo Genovese, Gabriele Muccino e Paolo Virzì. Dopo aver
prodotto titoli del calibro di Perfetti sconosciuti, La pazza
gioia, e A Casa tutti bene e A casa tutti bene – La serie saranno
presto disponibili su Disney+ due importanti progetti targati
Lotus: l’adattamento televisivo del bestseller I leoni di Sicilia
di Stefania Auci, diretto da Paolo Genovese e Uonderbois, serie tv
urban fantasy diretta da Andrea De Sica e Giorgio Romano. Su Sky è
in arrivo la nuova stagione di A casa tutti bene – La serie,
diretta da Gabriele Muccino. Nell’aprile 2022 è stata aperta una
nuova divisione della società diretta da Elisa Ambanelli e dedicata
allo sviluppo di progetti di intrattenimento unscripted con focus
su documentari, docu-serie e format tv originali e d’acquisto.
Penélope
Cruz
Penélope Cruz, vincitrice di un
premio Oscar e tre volte candidata all’Oscar, è una delle attrici
più versatili dei nostri giorni. Tra i suoi ruoli passati figurano
DON’T MOVE, VOLVER, VICKY CRISTINA BARCELONA e NINE. Nel 2021 ha
recitato in Madres paralelas di Pedro Almodóvar, per il quale è
stata candidata all’Oscar per la migliore attrice e ha vinto la
Coppa Volpi per la migliore attrice alla Mostra del Cinema di
Venezia del 2021. Recentemente la Cruz è stata ha recitato nel
thriller sociale ON THE FRINGE di Juan Diego Botto e in L’IMMENSITA
di Emanuele Crialese. Prossimamente sarà protagonista di FERARRI di
Michael Mann, accanto ad Adam Driver e Shailene Woodley.
MOONLYON
Nel 2022, Penélope Cruz ha
collaborato con la CEO di MediaPro Studio, Laura Fernández Espeso,
per lanciare la sua casa di produzione chiamata Moonlyon. Questa
azienda internazionale e indipendente si concentrerà sulla
produzione di contenuti premium non fiction e drammatici.
L’obiettivo dell’azienda è quello di produrre e distribuire storie
diverse provenienti da tutto il mondo, con il supporto
dell’infrastruttura globale e della posizione internazionale di
MediaPro. Con 25 anni di esperienza nell’industria dei contenuti e
56 sedi internazionali in tutto il mondo, MediaPro ha una forte
influenza nel mercato della produzione in Spagna e in Europa e
assisterà nella distribuzione e nelle vendite.
Il primo film statunitense di
Luca
Barbareschi, The Penitent – A Rational
Man, è ispirato ad un caso di cronaca, quello
di VitaliTarasoff,
psicanalista rimasto vittima di accanimento giudiziario e della
macchina del fango causata da una comunicazione pilotata. Un caso
complesso, dove la Corte Suprema della California ha infine
stabilito che un professionista della salute mentale ha un dovere
non solo nei confronti di un paziente ma anche nei confronti degli
individui che possono essere minacciati da quel paziente. Un caso,
dunque, che solleva l’interrogativo di quando sia lecito o
necessario rompere il silenzio e scegliere di proteggere piuttosto
che rispettare il segreto professionale.
Su questa vicenda il drammaturgo e
sceneggiatore David Mamet ha
scritto un testo teatrale, lavorando a partire dalle domande
suscitate da tale caso. Un testo su cui Barbareschi ha già
lavorato, portandolo in teatro, e che ora ha scelto di adattare per
il cinema, ritenendolo quantomai attuale e urgente. Presentato
Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia, il film è infatti fortemente radicato nel
nostro contemporaneo e diventa dunque l’occasione per riflettere
sulla cancel culture, sul ruolo dei media nella sua
crescente popolarità e su dove questi e altri aspetti inerenti il
politicamente corretto stiano portando la società attuale.
The Penitent – A Rational Man, la verità di un
uomo
Ambientato in una New York, che
rimane però sempre sullo sfondo, il film ha per protagonista uno
psichiatra di nome Carlos David Hirsh
(Luca Barbareschi), che vede deragliare la sua
carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di
testimoniare a favore di un ex paziente violento e instabile che ha
causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità
LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di
notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da
un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli
elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva, che
costringerà Hirsh a dover lottare per la verità.
In completo ascolto dei personaggi
Nel raccontare questa storia,
Barbareschi vuole andare dritto al sodo, concentrandosi su poche ma
lunghe scene, ambienti unici e un massimo di due o tre attori in
scena. The Penitent – A Rational Man mantiene dunque una
forte impostazione teatrale, che porta lo spettatore a passare da
un ambiente all’altro e in esso assistere allo scontro tra il
protagonista con alcune persone a lui vicine, dalla moglie Kath
(interpretata da Catherine McCormack) all’avvocato
Richard (ruolo ricoperto da Adam James), fino al
PM (che ha il volto di Adrian Lester).
Personaggi stretti in ambienti ora
claustrofici ora ampi e asettici, ma sempre pensati secondo una
volontà di esteriorizzare ciò che si agita all’interno dell’animo
dei personaggi. Si ha modo di notare tutto ciò e il modo in cui
Barbareschi costruisce una certa distanza o freddezza tra i
personaggi grazie dunque a queste scene che si prendono il loro
tempo per raccontare quanto necessario. The Penitent – A
Rational Man non offre di certo un ritmo incalzante, cosa che
ne rende ostica la visione, ma è una scelta che trova spiegazione
nella volontà del regista di andare al cuore di questi personaggi e
delle loro vicende.
Luca Barbareschi e Adrian Lester in una scena di The Penitent – A
Rational Man. Foto di F. Di Benedetto.
Un film senz’anima, che sacrifica i propri aspetti
migliori
Esteticamente, dunque, Barbareschi
conferisce al film una precisa impronta, che può o meno piacere in
base ai propri personali gusti cinematografici. Ciò che invece
risulta obiettivamente funzionare meno è il modo in cui si sceglie
di affrontare i dialoghi, i quali troppo spesso scadono nel
didascalico o comunque difficilmente capaci di risuonare sinceri
sullo schermo cinematografico così come magari potrebbero farlo
invece a teatro. Si ha inoltre talvolta la sensazione che il
racconto non riesca a progredire come dovrebbe, perdendosi spesso e
volentieri in accuse contro la cancel culture che, al di
là della loro condivisibilità o meno, distolgono da altri ben più
interessanti aspetti del film.
Il principale tra questi è
probabilmente il rapporto di Hirsch con la fede ebbraica e con Dio,
il modo in cui si può o meno interpretare la parola divina e come
essa trova applicazione nella realtà. Aspetti complessi, che un
film che si prende i tempi necessari come questo avrebbe potuto
esplorare meglio. L’obiettivo sembra però quello di proporre
riflessioni sulla pericolosità di un pensiero che cancella ciò che
non va bene e di come in assenza di un controllo di ciò si può
rischiare una nuova dittatura. Questioni certamente attuali,
importanti e urgenti, ma che così affrontate non trovano il giusto
valore e non lasciano spazio ad altro, portando così il film ad
essere privo di una vera anima.
Scritto e diretto dalla candidata
all’Oscar Ava DuVernay, Origin
si ispira alla straordinaria vita e al lavoro della scrittrice
premio Pulitzer Isabel Wilkerson (Aunjanue
Ellis-Taylor), mentre scrive il suo libro Caste: The
Origin of Our Discontents. Alle prese con un’immane tragedia
personale, Isabel intraprende un percorso di
indagine e scoperta globale. Nonostante la portata colossale del
suo progetto, trova la bellezza e il coraggio di scrivere uno dei
libri americani più importanti del nostro tempo.
DuVernay racconta in modo emozionante la sua
storia dal forte simbolismo non solo metaforico – che scoppia nel
suo finale – ma anche nel concreto.
La premessa iniziale presenta
l’omicidio di Trayvon Martin come parte integrante
di un pensiero che la stessa regista insieme a Wilkerson hanno
portato avanti per il lungometraggio. Quella è davvero la voce
dell’assassino di Martin che chiama il 911. Si tratta di una
registrazione, usata all’inizio del film, di George
Zimmerman prima che sparasse e uccidesse il ragazzo, un
adolescente che tornava a casa da un minimarket in Florida nel
2012. A Martin, infatti, è dedicata la prima inquadratura di
Origin e anche la chiusura.
Origin, la trama
Cosa succede quando non ti uniformi
al sistema? Il lungometraggio di Ava DuVernay torna più volte sull’argomento e
vuole andare oltre alla semplice risposta: “Bisogna comportarsi
in modo da non mettersi in pericolo”. Nelle sue due ore di
storia tra perdite e lutti, l’intento di Isabel è
quello di scoprire l’origine di un mondo che fa delle diversità un
nemico da combattere. In alcuni tratti, soprattutto sul finale
molto didascalico, la ricerca di Wilkerson durante la stesura del
suo romanzo cerca una connessione tra nazismo, schiavitù e
sistema delle caste. Così come in Mangia, Prega, Ama, Isabel intraprende questo
viaggio mentre la sua vita privata si sgretola in mille pezzi.
Un viaggio dove passato e presente
si accavallano, mentre Isabel affronta momenti belli ma anche
difficili. Si parte dalla Germania e dalle trascrizioni di alcuni
incontri di soldati delle SS per cercare una connessione tra i
regimi totalitari. In una scena del film che si svolge in Germania,
Isabel ha un confronto con una amica ebrea, una conversazione per
cercare una connessione tra le forse di razzismo che diventa una
gara a chi ha sofferto di più. Gli ebrei sono stati perseguitati,
gli schiavi venduti come oggetti. Un botta e risposta che poi trova
la sua conclusione: è vero, in modo totalmente diverso, questi due
momenti storici hanno la loro connessione. Il regime totalitario si
è ispirato alle leggi di Jim Grow per collegarle all’Olocausto. A
queste immagini vengono anche contrapposti frammenti di storie
reali come per esempio la storia d’amore tra August e Irma, un
membro tedesco del Partito Nazista e una donna ebrea.
La deferenza
Ci spostiamo poi in America,
cercando ancora informazioni per il libro da scrivere. Siamo a metà
film e la ricerca inizia a dare i suoi frutti per la stesura del
romanzo. Torna allora il tema della schiavitù ma questa volta
tramite la lente di Ava DuVernay e Isabel
Wilkerson viene introdotto il tema della deferenza, la
condiscendenza rispettosa nei confronti dell’altrui volontà.
Vediamo il mondo con due lenti diverse: un poliziotto che fa la
ronda nel quartiere popolato da soli bianchi è un amico, una
autorità che protegge. Ma subito dopo vediamo la stessa scena con
occhi diversi, cambiamo quartiere e mentre dei ragazzi
afroamericani giocano a pallone la stessa ronda diventa più oscura,
lo sguardo del poliziotto si acciglia come se fiutasse il
pericolo.
Arriviamo alla parte finale di
questo viaggio, dove tutto è iniziato: in India. Il razzismo non è
un problema di razza ma di caste esclusive. Un road movie che viene
tirato avanti da due filoni: da una parte la stesura del libro che
serve allo stesso modo a Isabel per incanalare il dolore per la
perdita delle persone a lei care e riuscire ad affrontarlo. Non
esiste arma migliore, non voltare le spalle al dolore ma prenderlo
di petto.
Ecco una clip in esclusiva dal
cortometraggio DIVE di Aldo Iuliano, presentato
domani in concorso nella sezione
Orizzonti – Cortometraggi
dell’80 Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia.
https://www.youtube.com/watch?v=dsQGVRLAnrs
DIVE di Aldo Iuliano,
prodotto da NewGen Entertainment con Greif Production in
collaborazione con Rai Cinema, Mompracem, Daitona e Aldo Iuliano,
sarà in concorso domani 7 settembre nella sezione Orizzonti –
Cortometraggi dell’80 Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia. Il cortometraggio è diretto da
Aldo Iuliano (Penalty,
Space Monkeys) e interpretato dai giovani e
promettenti Danyil Kamenskyi e Veronika
Lukyanenko.
Dive è la favola di
Roman e Julia, due adolescenti contemporanei che giocano in
spiaggia desiderosi di lasciarsi andare alle proprie emozioni e ai
propri sentimenti. I loro sguardi e i loro gesti annullano il tempo
e lo spazio, il mare partecipa alla loro complicità ma l’incanto
non è eterno, e la realtà irrompe prepotente nelle loro vite,
stravolgendole per sempre.
“Volevo ritrarre un tuffo nei
sentimenti più innocenti che ognuno di noi ha provato almeno una
volta nella vita – dichiara il regista – quelli che ci rendono vivi
nel senso più positivo del termine, in un mondo che sta perdendo la
propria umanità. Dive è una stretta al cuore per ricordarci
chi siamo, nel bene e nel male”.
Il soggetto e la sceneggiatura
portano la firma di Severino Iuliano, la fotografia è di
Daniele Ciprì, il montaggio di Marco Spoletini.
Il regista Matteo Garrone
arriva per la prima volta in concorso alla Mostra del
Cinema di Venezia per presentare il suo nuovo film,
Io Capitano (qui la recensione), storia
dell’avventuroso viaggio di Seydou (Seydou
Sarr) e Moussa (Moustapha
Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di
lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con
l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel
campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie,
per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le
insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e
i pericoli del mare.
Io Capitano, una storia che arriva da lontano
“La storia mi è venuta in mente
diversi anni fa, quando mi fu raccontato di questo adolescente che
da solo aveva guidato un’imbarcazione con circa 250 persone a
bordo. – racconta Matteo Garrone – Una
volta arrivato a destinazione, travolto dall’emozione di aver
portato tutti in salvo ha iniziato a gridare “io capitano, io
capitano”. Però mi sentivo in imbarazzo, da borghese, a pensare di
raccontare quella storia e i suoi retroscena. Poi, qualche anno
dopo, ho incontrato il ragazzo che quel finale lo ha vissuto, il
cui nome è Fofanà, e quell’incontro mi ha riavvicinato a quel
racconto, motivandomi a riprenderlo in mano”
“A quel punto abbiamo deciso di
costruire questo film seguendo i canoni del racconto d’avventura e
del viaggio dell’eroe e così spero sarà accessibile anche ai più
giovani che potranno sensibilizzarsi all’argomento”, continua
Garrone. “Bisogna infatti sapere che ci sono tanti
tipi di immigrazione, quella raccontata in Io Capitano è legata al
fatto che il 70% della popolazione africana è composta da giovani e
questi giovani sono influenzati dalla globalizzazione occidentale,
di cui penso sia importante raccontare gli effetti sulle
popolazioni.” – afferma poi Matteo Garrone, aprendo la
conferenza stampa.
“Hanno dunque il desiderio
legittimo di voler accedere ad un futuro migliore, così come noi da
giovani volevamo scoprire l’America. A noi però bastava prendere un
aereo per arrivare lì, mentre loro devono affrontare un viaggio
rischioso e potenzialmente mortale. Il film affronta quindi una
parte di immigrazione di cui a volte si parla meno ma che esiste,
ovvero quella dei giovani che vogliono scoprire il mondo e avere
maggiori opportunità e che non per forza scappano da situazioni di
guerra”, conclude il regista.
La scrittura della sceneggiatura e la ricerca degli attori
Tra gli autori della sceneggiatura,
oltre a Garrone, Massimo Gaudioso e Andrea
Tagliaferri, vi è anche Massimo
Ceccherini. Il regista ha dunque speso due parole per
chiarire il ruolo avuto da quest’ultimo nella realizzazione del
progetto. “Massimo mi ha aiutato molto nella scrittura di
questo film, che è un racconto di avventure popolari. – spiega
Garrone – Massimo viene dal popolo e quindi quando abbiamo
scritto la sceneggiatura ha apportato la sua conoscenza di certe
dinamiche che a me sono estranee. In sostanza, m ha aiutato a
ricercare una purezza del racconto che si sposa con quella dei
protagonisti”.
Fondamentale però è stato anche il lavoro di ricerca sul campo,
necessario affinché si potesse raccontare la verità su ciò che
avviene durante questo viaggio verso l’Europa. “Abbiamo fatto
un grosso lavoro di documentazione, durato qualche anno, e poi per
cercare di raccontare questa storia ci siamo affidati a chi queste
vicende le ha vissute in prima persona. – racconta Garrone –
È stato un lavoro assolutamente collettivo, reso possibile
grazie a persone come Mamadou Kouassi, che mi hanno raccontato le
loro storie al servizio delle quali io ho potuto mettere le mie
conoscenze tecniche“.
La parola passa allora proprio a Kouassi, collaboratore alla
sceneggiatura, che afferma: “ho vissuto l’esperienza di quel
viaggio, delle prigioni libiche, della paura e degli orrori e tutto
questo l’ho ritrovato in Io Capitano. Matteo ci porta davvero nel
mondo dell’immigrazione e sono orgoglioso di aver potuto
contribuire a dare voce a chi non ce l’ha. Sostanzialmente,
raccontiamo la storia di ogni singolo immigrato che ha vissuto
questa avventura. Partire vuol dire andare incontro alla morte,
veramente questa è la realtà che si verifica ma scegliamo di
affrontarla perché è giusto perseguire i propri diritti. Siamo
obbligati, in un certo senso”.
Riguardo gli interpreti dei
due giovani protagonisti, Seydou Sarr e
Moustapha Fall, Garrone racconta di averli cercati
dappertutto, giungendo infine ad una consapevolezza inevitabile.
“Abbiamo cercato gli attori giusti in tutta Europa, – racconta
il regista – ma alla fine li abbiamo trovati in Senegal. Ci siamo
infatti resi conto che lo sguardo di una persona di lì ha
naturalmente una qualità diversa sull’argomento“. Parlando dei
due protagonisti, Garrone riconosce infine che “qualcosa di
Pinocchio c’è in questo film, che si sposa con la storia di questi
ragazzi. Collodi cercava di mettere in guardia i piccoli dai
pericoli del mondo circostante. I protagonisti qui inseguono il
paese dei balocchi, tradendo i propri cari e poi finiscono con lo
scontrarsi con una realtà molto dura, che richiama un po’ anche
Gomorra“.
Io Capitano, dal 7 settembre al cinema
Garrone ha infine parlato di come
abbia a lungo rimandato la realizzazione di questo film non
sentendosi sicuro di avere il diritto di raccontarla, in quanto non
avendo vissuto quel tipo di esperienza. La sua opinione è però poi
cambiata nel tempo, arrivando ora a poter affermare che “il
film nasce da un lavoro collettivo tra il mio sguardo e le loro
testimonianze e da sempre credo che l’arte sia legata a delle
contaminazioni, un artista non deve parlare solo di ciò che
riguarda la sua vita, altrimenti l’arte si impoverirebbe. Penso sia
giusto giudicare l’opera in base alla sua sincerità e non a chi
l’ha fatta. L’opera rimane, noi no”.
Non si dovrà aspettare molto prima
di poter vedere film che, dopo la prima proiezione pubblica a
Venezia il 6 settembre, uscirà nelle sale italiane, con 203 copie,
dal 7 settembre, distribuito da 01
Distribution. È stato inoltre confermato che il film non
presenterà un doppiaggio italiano, una caratteristica a lungo
valutata ed infine scelta per rispetto nei confronti dei
protagonisti di questo racconto e ai loro interpreti, i quali
meritano di essere sentiti esprimersi nella loro lingua natìa.
Presentato in
Concorso a Venezia 80, Origin di Ava DuVernay racconta in modo emozionante la
storia di Isabel Wilkerson. La scrittrice vinse un
Pulitzer per il reportage individuale per il suo lavoro sulle
inondazioni del Midwest e su un bambino di 10 anni che si prende
cura dei suoi fratelli. Durante la presentazione ha parlato della
genesi di questo progetto: “Ho letto il libro e sono rimasta
affascinata da tutto quello che Isabel Wilkerson ha messo al suo
interno. L’ho letto tre volte per capirlo realmente e già alla
seconda lettura ho iniziato a vedere lei, la donna che lo ha
costruito. Ho iniziato a pensare alla storia cercado di adattarla
nel modo in cui lui l’ha vissuta e traumatizzata. Tutto quello che
riguarda la sua storia che non è presente nel libro me l’ha
raccontato lei di persona. Abbiamo parlato per un anno, ci sono
stati così tanti incontri e si è aperta molto con me è stata
generosa”.
Ava DuVernay è la prima donna afroamericana ad
arrivare in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: “Ai
registi neri viene detto che le persone che amano i film in altre
parti del mondo non si interessano alle nostre storie e non si
interessano ai nostri film. Questo è qualcosa che ci viene detto
spesso: non potete partecipare ai festival internazionali, non
verrà nessuno“, ha detto DuVernay. “La gente non verrà
alle conferenze stampa, non verrà alle proiezioni. Non saranno
interessati a vendere i biglietti. Potreste anche non entrare in
questo festival, non fate domanda. Non so dirvi quante volte mi
hanno detto: “Non fare domanda a Venezia, non entrerai. Non
succederà”. E quest’anno è successo qualcosa che non era mai
accaduto in otto decenni: una donna afroamericana in concorso.
Quindi ora questa è una porta aperta che confido e spero che il
festival mantenga aperta“.
Il cast di Origin
Oltre a
Ellis-Taylor e Bernthal,
Origin è interpretato anche da Niecy Nash-Betts,
Vera Farmiga, Audra McDonald,
Nick Offerman, Blair Underwood, Connie Nielsen, Emily Yancy,
Jasmine Cephas-Jones, Finn Wittock,
Victoria Pedretti, Isha Blaaker e Myles
Frost. “La collisione tra gli attori e protagonisti
del mondo reale è interessante perché è stata una esperienza
lavorare con persone realmente esistite: la bibliotecaria a Berlino
per esempio. Non credo che avremmo avuto il cast che abbiamo avuto
se fosse rimasto nel sistema degli studios“, ha detto
DuVernay. “Il sistema degli studios è un luogo in cui ho
lavorato e realizzato progetti di cui sono orgogliosa, ma c’è
davvero un aspetto di controllo su chi interpreta cosa. E c’è
l’idea di chi fa soldi, di chi attira l’attenzione e a volte questo
è in contrasto con chi potrebbe essere la persona migliore per la
parte. Aunjanue Ellis-Taylor era la persona migliore per questa
parte“.
Le immagini riguardanti l’arrivo
degli immigrati africani che vediamo ogni giorno nei telegiornali
ci mostrano uomini, donne e bambini ai quali troppo facilmente si
appiccicano etichette con cui definirli senza che neanche li si
conosca. Sono persone senza nome, senza identità, la cui storia
rimane avvolta nella leggenda, nell’esagerazione o, troppo spesso,
nell’ignoranza. Con il suo nuovo film, dal titolo Io
capitano, il regista Matteo
Garrone(Gomorra, Dogman, Pinocchio) si pone dunque
l’obiettivo di fornire un’identità e una voce a chi troppo spesso
non ce l’ha. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di
Venezia, il film porta dunque lo spettatore ad
intraprendere l’odierna Odissea dei migranti.
Per Garrone si tratta quasi di un
controcampo sul suo film d’esordio, Terra di
mezzo, del 1996, articolato in tre episodi
distinti che raccontano le storie di emarginazione di alcuni
stranieri immigrati in Italia. Se lì il focus era dunque su come
queste persone vengono recepite nel nuovo contesto raggiungo, con
Io Capitano si va invece all’origine del viaggio, a ciò
che lo ha motivato, come anche a tutti gli orrori e gli ostacoli
che si è dovuto superare per poter arrivare dove desiderato.
Raccontare tutto ciò è un obiettivo ambizioso, ma Garrone sa come
approcciarsi alle sfide più ostiche, traendone il meglio.
Io Capitano, la trama del film
In
Io Capitano si racconta dunque il viaggio avventuroso di
Seydou (Seydou Sarr) e
Moussa (Moustapha Fall), due
giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar,
capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di
poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della
musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha
così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del
deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli
del mare. Quando ormai sarà troppo tardi per tornare indietro, i
due ragazzi si troveranno a dover proseguire il percorso, scoprendo
quanto quel paese dei balocchi promesso sia meno splendente e
colorato del previsto.
Odissea nel deserto
L’immigrazione è uno degli argomenti
più scottanti e delicati tra quelli presenti sul tavolo delle
discussioni odierne. Nel farlo, si può facilmente banalizzare,
fraintendere o peggio ancora distorcere ciò che lo riguarda. Ecco
perché il regista Matteo Garrone ha atteso a lungo
prima di decidersi a realizzare questo film, convinto di non avere
il diritto di raccontare una storia che non gli è propria e come la
maggior parte degli italiani e degli europei vive principalmente
attraverso le immagini proposte dai media. Fortunatamente, però, si
può scegliere di voler andare oltre le comuni convinzioni, gli
stereotipi, e svolgere ricerche necessarie a far emergere la verità
di queste situazioni.
Così ha fatto Garrone, circondatosi
di collaboratori che in prima persona hanno vissuto gli orrori di
questa Odissea nel deserto, con interminabili traversate nel
deserto, senza riparo dal sole o dalle intemperie, con il rischio
di essere catturati e posti in stato di schiavitù nei centri di
detenzione libici. A partire da queste testimonianze, Garrone segue
dunque i due personaggi protagonisti nel loro scontrarsi con queste
tappe di cui poco o nulla si sa fino a quando non ci si scontra
personalmente con esse. Avviene dunque una vera e propria
trasformazione nel corso di Io Capitano, con i due
protagonisti che passano dall’essere spensierati giovani a
sopravvissuti ormai privati della loro innocenza.
A sua volta, anche il film si
trasforma, passando da una prima parte più colorata, allegra,
spensierata nei toni e nelle atmosfere, coerentemente con lo stato
di Seydou e Moussa in quel dato momento. Quando però ha inizio il
viaggio, piano piano il film si incupisce sempre di più,
l’atmosfera si fa pesante, spaventosa e non c’è più posto per
quanto si era visto fino a quel momento. È a questo punto che
Garrone non si risparmia alcune immagini particolarmente crude,
ritrovabili naturalmente all’interno delle carceri libiche. Se
dunque il tutto inizia come una fiaba sulla scia di quel filone del
regista che ha prodotto fantasy come Il racconto dei
racconti e Pinocchi, ben presto si giunge in
territori più dark, propri di un film come Gomorra.
Seydou Sarr in una scena di Io Capitano. Foto di Greta De
Lazzaris.
Matteo Garrone infonde verità ed emozione nel racconto
Il modo in cui Garrone sceglie di
costruire il racconto ha dunque l’obiettivo di ricercare una certa
spontaneità e sincerità, necessarie per coinvolgere il pubblico e
renderlo partecipe di questa problematica tanto grande. Talmente
grande che non è facile dare delle risposte a riguardo, motivo per
cui al regista si rinfaccerà il suo non aver proposto una versione
più politica di tale argomento, ma di essersi tenuto invece più
dalle parti del racconto d’avventura. Un racconto che però
giustifica la propria semplicità – che talvolta può essere confusa
con un certo didascalismo – con l’intenzione di raggiungere un
pubblico molto ampio, possibilmente di ragazzi, da sensibilizzare
su tali vicende.
Per farlo il
regista si muove dunque consapevolmente sopra un confine molto
esile tra la retorica e la sincerità, riuscendo grossomodo a
rimanere nell’area di quest’ultima e portando a compimento un film
particolarmente emozionante. Il merito è da riconoscere però anche
a Seydou Sarr, il giovane protagonista esordiente,
che dà vita ad un’interpretazione convincente, che acquista
intensità di pari passo con la crescita emotiva del suo
personaggio. Seyoud ci appare inoltre come una sorta di Pinocchio
migrante, alla ricerca di una terra dei balocchi che scoprirà
essere tutt’altro che paradisiaca. E terminando lì dove iniziano le
immagini dei telegiornali, Io Capitano ci offre dunque un
controcampo a cui non si dovrebbe rimanere indifferenti.
Apple TV+ ha svelato oggi
il trailer del nuovo documentario evento in quattro parti
“The Super Models” che accende i fari sulle
straordinarie carriere di Naomi Campbell, Cindy Crawford,
Linda Evangelista e Christy
Turlington.
Ogni episodio della docuserie, in
uscita il 20 settembre su Apple
TV+, presenta contributi inediti di alcuni dei più grandi nomi
della moda e della cultura, tra cui Fabien Baron, Jeanne Beker,
Emily Bierman, Tim Blanks, Martin Brading, Paul Cavaco, Carlyne
Cerf De Dudzeele, Grace Coddington, Sante D’orazio, Charles Decaro,
Arthur Elgort, Edward Enninful, David Fincher, Tom Freston, John
Galliano, Garren, Robin Givhan, Tonne Goodman, Michael Gross,
Bethann Hardison, Marc Jacobs, Kim Jones, Donna Karan, Calvin
Klein, Michael Kors, Rocco Laspata, Suzy Menkes, Isaac Mizrahi,
Michael Musto, François Nars, Todd Oldham, Hal Rubenstein, Anna
Sui, Annie Veltri, Donatella Versace e Vivienne Westwood.
“The Super Models” ripercorre gli
anni ’80, quando quattro donne provenienti da diversi angoli del
mondo si unirono a New York. Già forti di per sé, la gravitas che
raggiunsero insieme trascendeva l’industria stessa. Il loro
prestigio era così straordinario che permise alle quattro di
superare la fama dei marchi che presentavano, rendendo i nomi di
Naomi, Cindy, Linda e Christy tanto importanti, quanto gli stilisti
che le vestivano. Oggi, le quattro supermodelle restano in prima
linea nel contributo alla cultura grazie all’attivismo, alla
filantropia e all’abilità negli affari. Mentre l’industria della
moda continua a ridefinire se stessa – e i ruoli delle donne al suo
interno – questo documentario racconta la storia di come quattro
donne si sono riunite per rivendicare il loro potere, aprendo la
strada a quelle successive.
“The Super Models” è prodotto per
Apple TV+ da Imagine Documentaries e One Story Up, con i produttori
esecutivi Brian Grazer, Ron Howard, Sara Bernstein, Justin Wilkes,
Barbara Kopple, Roger Ross Williams e Geoff Martz, insieme a Naomi
Campbell, Cindy Crawford, Linda Evangelista e Christy Turlington
Burns.
A circa sette anni dalla
sua prima apparizione nella serie e un lustro dopo l’uscita del
primo film, la Blumhouse torna a mettere al centro del
suo ultimoThe Nun 2 la suora malvagia che i fan del
The Conjuring Universe conoscono molto
bene. In sala a settembre, distribuito da Warner Bros.
Pictures, il film diretto da Michael Chaves
(The Conjuring – Per ordine del diavolo,
La llorona) si collega direttamente al The Nun – La vocazione del male del
2018 e ai suoi personaggi, di nuovo interpretati da Taissa Farmiga e Jonas
Bloquet (Io
sono tuo padre).
The
Nun 2, la trama
Sono loro la suor Irene e
il “Francese” Maurice scampati allo scontro finale del
precedente capitolo, anche se non senza conseguenze. Quelle delle
quali continuiamo a scontare gli effetti letali nella Francia del
1956, a Tarascon, dove prete muore bruciato nella sua stessa
chiesa. Ma è solo l’ennesima dimostrazione di quanto il male si
stia ormai diffondendo, uno dei casi sui quali la giovane sorella è
chiamata a investigare, seguendo una traccia che la porterà
nuovamente faccia a faccia conil demoniaco
Valak.
Il
franchise continua, un sequel con pregi e
difetti
Ormai una presenza
ricorrente e caratteristica della serie, l’apparizione della
inquietante versione ecclesiastica del demone creato da
Jason Blum era stata di tale impatto da rendere
quasi inevitabile continuare a sfruttarla. Soprattutto considerato
che The Nunè
a tutt’oggi il primo per incassi mondiali dei titoli del franchise
di The Conjuring (366 milioni di dollari
contro i 320 dei primi due capitoli). Un record che difficilmente
verrà scalfito – o anche solo impensiero – dal film con cui
continua questa deriva della serie, prossima a toccare quota dieci
film con l’annunciato The Conjuring 4.
Purtroppo, il ritorno
della Suor Irene di Taissa Farmiga difficilmente verrà ricordato.
E probabilmente i vari Gary Dauberman, Carey Hayes, David
Leslie Johnson e James Wan non lasceranno
più le loro creature agli autori (Ian Goldberg e Richard Naing, qui
affiancati da Akela Cooper, padre della storia in questione oltre
che di M3GAN e Malignant) di una sceneggiatura tanto
confusa.
NUN2
The
Dangerous Lives of Altar Boys
Questa volta sono
chierichetti e giovinette in età da collegio le vittime preferite
di questa manifestazione del Male, che resta nell’ombra più di
quanto il buon senso o l’equilibrio consiglierebbero. Una scelta
che evidentemente segue l’encomiabile intenzione di dare più
risalto alle diverse linee narrative che si intrecciano sullo
schermo (ma sarebbe bastato semplificare quelle esistenti,
soprattutto quella ‘familiare’ del Francese, la Kate di Anna
Popplewell e la piccola Sophie di Rose Downey), ma
che sul lungo fa sentire la mancanza della protagonista più attesa
(che lo stesso regista sembra accennare potremmo ritrovare nel
prossimo The Conjuring: Last Rites).
Uno dei diversi autogol
che subisce il film che, dopo un inizio promettente e intrigante,
sembra affidarsi maggiormente alla cura formale della confezione e
a una inusuale cura dell’aspetto visivo (quasi patinato) e delle
location che alla gestione equilibrata di comportamenti e azioni.
Soprattutto quelli di interpreti tendenti all’eccesso o poco
convincenti (nessuno escluso), nel primo caso, e quelle di demoni
particolarmente distratti e innocui.
Un peccato, visto che nel
“lot of fun stuff” promesso dall’onesto Chaves non mancano
scene meritevoli, dall’interessante trovata di mascherare il
necessario spiegone ‘per chi non avesse visto le puntate
precedenti’ da leggenda alle scene dello scontro a colpi di
aspersorio o dell’edicola da strada scelta da Valak per palesarsi.
Momenti rinfrancanti e illusori in un lungo combattimento con il
senso di certe scelte e gli strappi immotivati di una backstory fin
troppo fantasiosa e forzata. E che aumentano il rammarico per il
tentativo fallito di fare qualcosa di più del solito, puntando su
sogni e visioni – poco thriller e minacciose – più che le usuali
apparizioni o un abuso di jumpscare.
New Line Cinema
presenta il thriller horror The Nun
2, il secondo capitolo della saga di
The Nun, l’opera di maggior successo dell’universo
The Conjuring, che ha incassato più di 2
miliardi di dollari. Taissa Farmiga (“The Nun”,
“The Gilded Age”) torna nel ruolo di Suor
Irene, affiancata da Jonas Bloquet (“Tirailleurs”,
“The Nun”), Storm Reid (“The Last of Us”, “The Suicide Squad”), Anna Popplewell (“Fairytale”,
la trilogia de “Le cronache di Narnia”) Bonnie
Aarons (al suo ritorno in “The Nun”) e da un cast di star
internazionali.
In The Nun 2 Un
prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo. Il sequel del
film campione d’incassi segue le vicende di Suor Irene, quando
viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con Valak, la suora
demoniaca. Michael Chaves (“The Conjuring:
The Devil Made Me Do It”) dirige da una sceneggiatura di Ian
Goldberg & Richard Naing (“Eli”, “The Autopsy of Jane Doe”) e Akela
Cooper (“M3GAN”, “Malignant”). Da una storia di Akela Cooper,
basata sui personaggi creati da James Wan & Gary Dauberman.
Il film è prodotto dalla Safran
Company di Peter Safran e dalla Atomic Monster di James Wan che
danno seguito alle passate collaborazioni nei precedenti film della
saga “Conjuring”. Produttori esecutivi di “The Nun II” sono,
Richard Brener, Dave Neustadter, Victoria Palmeri, Gary Dauberman,
Michael Clear, Judson Scott e Michael Polaire. Nel team creativo
che ha affiancato il regista Michael Chaves troviamo il direttore
della fotografia Tristan Nyby (“The Conjuring: The Devil Made Me Do
It”, “The Dark and the Wicked”), lo scenografo Stéphane Cressend
(“Les Vedettes”, “The French Dispatch”), il montatore Gregory
Plotkin ( “Scream” 2022 e “Get Out”), la produttrice degli effetti
visivi Sophie A. Leclerc (“Finch”, “Lucy”), la costumista Agnès
Béziers (“Oxygen”, “The Breitner Commando”), e il compositore Marco
Beltrami ( “Scream” del 2022 e ”Venom: Let There Be Carnage”)
autore della colonna sonora.
L’universo “The
Conjuring” rappresenta la saga horror di maggior
successo nella storia al box office con un incasso complessivo
globale di 2 miliardi di dollari. A livello mondiale, quattro dei
titoli di “The Conjuring” hanno incassato ciascuno oltre 300
milioni di dollari nel mondo (“The Nun” $366 million; “The
Conjuring 2” $322 million; “The Conjuring” $320 million;
“Annabelle: Creation” $307 million), e ogni titolo della saga ha
incassato non meno di 200 milioni di dollari. “The Nun” è al
vertice di questa classifica, con i suoi oltre 366 milioni di
dollari nel mondo. New Line Cinema presenta, una produzione Atomic
Monster / Safran Company, “The Nun II” che sarà nelle sale italiane
a settembre distribuito da Warner Bros. Pictures.
Sono davvero “deludenti” gli
aggiornamenti che James
Gunn offre, di prima mano, ai suoi fan, in merito a
Superman:
Legacy e al costume del nuovo Uomo
d’Acciaio. Mentre è stato già annunciato che il film vedrà
protagonisti David
Corenswet nei panni di Clark Kent e Rachel
Brosnahan nei panni di Lois Lane e che il film
mostrerà anche altri eroi DC, molti dettagli sono ancora nascosti,
uno dei quali è il nuovo costume di Superman:
Legacy.
Su Instagram, Gunn ha rivelato che i
fan della DC dovranno aspettare ancora a lungo prima che il costume
di Superman: Legacy che indosserà Corenswet venga
svelato.
Dopo che un fan ha chiesto a Gunn se
poteva già “pubblicare la foto del costume di Superman”, lo
sceneggiatore/regista ha risposto con un aggiornamento deludente,
dicendo: “Nemmeno lontanamente vicino a farlo”. Bisognerà
aspettare ancora a lungo…
Superman: Legacy, tutto quello che sappiamo sul
film
Superman: Legacy, scritto e
diretto da James Gunn, non
sarà un’altra storia sulle origini, ma il Clark Kent che
incontriamo per la prima volta qui sarà un “giovane reporter” a
Metropolis. Si prevede che abbia già incontrato Lois Lane e,
potenzialmente, i suoi compagni eroi (Gunn ha detto che
esistono già in questo mondo e che l’Uomo di domani non è il primo
metaumano del DCU). Il casting,
come già detto, ha portato alla scelta degli attori David Corenswet
e Rachel
Brosnahan come Clark Kent/Superman e Lois Lane.
Il film è stato anche descritto come
una “storia
delle origini sul posto di lavoro“, suggerendo che una
buona parte del film si concentrerà sull’identità civile di
Superman, Clark Kent, che è un giornalista del Daily Planet.
Secondo quanto riferito, Gunn ha consegnato la prima bozza della
sua sceneggiatura prima dello sciopero degli sceneggiatori, ma ciò
non significa che la produzione non subirà alcun impatto in
futuro.
“Superman: Legacy è il vero
fondamento della nostra visione creativa per l’Universo
DC. Non solo Superman è una parte iconica della tradizione DC,
ma è anche uno dei personaggi preferiti dai lettori di fumetti,
dagli spettatori dei film precedenti e dai fan di tutto il
mondo”, ha detto Gunn durante l’annuncio della lista DCU. “Non vedo
l’ora di presentare la nostra versione di Superman, che il pubblico
potrà seguire e conoscere attraverso film, film d’animazione e
giochi”. Superman:
Legacy uscirà nelle sale l’11 luglio 2025.
Le nuove action figure dedicate a
Aquaman e il
regno perduto mostrano un assaggio di quello
che sarà il costume di Orm, ovvero Orm Marius,
noto anche come The Ocean Master, fratellastro di Aquaman e il prossimo in linea di successione al
trono di Atlantide. Nei fumetti, l’iconico elmo alettato con gli
occhi rossi di Orm lo ha sempre fatto risaltare nella galleria dei
cattivi di Aquaman, tuttavia, soltanto verso il finale del primo
film abbiamo visto il personaggio, interpretato da Patrick Wilson, indossare quel costume argento
e viola che rendeva omaggio alla sua rappresentazione nei
fumetti.
Grazie alla foto di una action figure
di Aquaman e il
regno perduto, vediamo ora che
Orm non avrà più un costume così accurato rispetto ai fumetti.
Questa figura mostra Orm che indossa un’elegante tuta da
combattimento per tutto il corpo con sfumature viola e nere. È
certamente un miglioramento rispetto all’aspetto trasandato di Orm
rivelato nelle foto dal set di Aquaman 2, l’abito scuro sembra
pratico e minaccioso, il che significa che Arthur Curry ha ancora
molto di cui preoccuparsi per quanto riguarda il suo malvagio
fratellastro.
Jason Momoa è atteso di nuovo nei panni dell’eroe in
Aquaman e il
regno perduto, sequel del film che ha rilanciato
in positivo le sorti dell’universo cinematografico DC. In questo
seguito, diretto ancora una volta da James
Wan (Insidious, The Conjuring), torneranno
anche Patrick
Wilson nei panni di Ocean Master, Amber
Heard, nei panni di Mera, Dolph Lundgren che sarà ancora una volta
Re Nereus, il padre di Mera, e ancora Yahya
Abdul-Mateen II nei panni di Black Manta,
che abbiamo visto riapparire nella scena post-credit del primo
film.David Leslie Johnson-McGoldrick,
collaboratore ricorrente di Wan, scriverà la
sceneggiatura del film, mentre il regista e Peter
Safran saranno co-produttori.
Una scena cancellata di Thor: Love and
Thunder rivela che uno dei cattivi del Marvel Cinematic Universe avrebbe
avuto la sua redenzione nel film. Il Thor di Chris
Hemsworth ha percorso un lungo viaggio nel
MCU, così come il suo franchise,
che ha modificato completamente il suo tono per arrivare a
trasformarsi del tutto, al suo quarto capitolo.
Ora, William
Groebe, l’artista dello storyboard di Love and
Thunder, ha condiviso una sequenza di storyboard
del film che includono un nuovo sguardo alla scena di Jeff
Goldblum nei panni del Gran Maestro, che purtroppo non è
sopravvissuta alla sala di montaggio.
Gli storyboard di Thor: Love and
Thunder con il Gran Maestro fanno parte
della sequenza cancellata “Moon of Shame”, che avrebbe
visto il cattivo del MCU rivelarsi dotato di appendici
robotiche. Thor, Jane Foster e Valkyrie avrebbero combattuto Gorr
il Macellatore di Dei e i suoi mostri ombra e il Gran Maestro di
Goldblum e Korg – con la testa attaccata a un piccolo carro armato
– sarebbero arrivati per aiutare gli eroi.
Si è spento a 93 anni
Giuliano Montaldo, regista, sceneggiatore e attore
genovese che ha contribuito a rendere grande il nome del cinema
italiano nel mondo. Lascia la moglie, Vera Pescarolo, la figlia
Elisabetta e i suoi due nipoti Inti e Jana Carboni.
Ha iniziato la sua carriera da
attore, negli anni Cinquanta, e all’inizio degli anni Sessante
debutta come regista con Tiro al Piccione (1961). Nel corso
della sua carriera ha diretto oltre 20 film, tra cui Gli
Intoccabili (1969), Sacco e
Vanzetti (1970), Giordano
Bruno (1973), L’Agnese Va A Morire (1976)
e Gli Occhiali d’Oro (1987).
Tuttavia, uno dei suoi più recenti
riconoscimenti è stato attribuito alle sue doti di interprete
davanti alla macchina da presa: nel 2018 ha ricevuto il
David di Donatello come miglior attore non protagonista
nel film Tutto quello che vuoi (2017),
di Francesco Bruni. Per Giuliano
Montaldo era il secondo, visto che nel 2007 gli era stato
assegnato quello alla carriera.
Succession è riuscita a diventare una
delle serie televisive più acclamate di tutti i tempi grazie alla
sua scrittura implacabile e ai suoi personaggi splendidamente
ideati e interpretati.
Di tutta la splendida quarta
stagione, un punto però è risultato oscuro tanto agli spettatori
quanto ai protagonisti. Nelle ore immediatamente successive alla
morte di Logan Roy, viene ritrovato un suo testamento
che riporta un segno sul nome di Kendall, un segno che non si
capisce se indica una sottolineatura o una cancellatura del nome.
Alla luce di tutto quello che Kendall ha tentato di fare per
detronizzare il padre mentre era ancora in vita, il magnate e
capofamiglia Roy ha deciso di punirlo estromettendolo dal
testamento oppure ha visto in lui un degno successore privo di
scrupoli?
Ebbene, la serie non dà risposte, ma
il suo creatore, Jesse Armstrong, ha rilasciato
una dichiarazione che potrebbe aver sciolto il dubbio sulle ultime
volontà di Logan Roy. Durante la sua partecipazione a un evento del
Financial Times a Londra (registrato
dal giornalista Cassam Looch), ad Armstrong è stato chiesto di
valutare se il nome di Kendall fosse sottolineato o cancellato. Pur
evitando di rispondere a una domande del genere durante la messa in
onda dello spettacolo, Armstrong ha spiegato di sentirsi più libero
di commentare il significato di certe scene ora che non ci sono più
segreti da nascondere al pubblico e che la serie si è conclusa.
“Se dovessi cancellare un nome,
non inizieresti tracciando una linea dal basso, vero?” ha
detto Armstrong al pubblico, suscitando applausi quando i membri
del pubblico si sono resi conto che intendeva dire che Logan aveva
sottolineato il nome.
In effetti, sebbene lo show si sia
basato molto su colpi di scena e decisioni imprevedibili, il
sorriso beffardo di Logan Roy di fronte ai tradimenti del figlio
maggiore (sarà sempre considerato tale, con buona pace del povero
Connor) sono sempre sembrati una specie di investitura a rivale
degno. E ora ne abbiamo la conferma. Peccato che, alla fine,
nessuno dei figli di Roy avesse i nervi e la caratura (sebbene
declinata al male) del padre, tale da prendere le redini della
società.
Succession è una
delle serie con il maggior numero di nomination che gareggia ai
prossimi Emmy. Il premio verrà assegnato a gennaio
2024.
In occasione dell’uscita in sala di
Il più bel secolo della mia vita, ecco la
nostra intervista al regista Alessandro Bardani, e
ai protagonisti Valerio Lundini e Sergio Castellitto. Il più bel secolo
della mia vita esce il 7 settembre distribuito da Lucky
Red.
Nel cast anche Carla Signoris,
Antonio Zavatteri, Elena Lander, Marzio El Moety con Betti Pedrazzi
nel ruolo di Suor Grazia e con l’amichevole partecipazione di
Sandra Milo Nel film è presente il brano inedito “La vita com’è” di
Brunori SAS Una produzione Goon Films, Lucky Red con Rai Cinema In
collaborazione con Prime Video. Il film sarà presentato in anteprima
assoluta al 53 Giffoni Film Festival nella sezione Generator +18 il
prossimo 23 luglio 2023 e al cinema il 7 Settembre 2023.
La trama del film
Un’assurda legge ancora in vigore
in Italia impedisce a Giovanni, figlio non riconosciuto alla
nascita, di sapere l’identità dei suoi genitori biologici prima del
compimento del suo centesimo anno di età. Per riuscire ad attirare
l’opinione pubblica, la sua unica speranza è ottenere la complicità
di Gustavo, unico centenario non riconosciuto alla nascita in vita.
Il solo che avrebbe il diritto di avvalersi di questa normativa ma
che sembra non aver alcun interesse a farlo. Il più bel
secolo della mia vita racconta l’incontro tra un
centenario proiettato nel futuro e un giovane ancorato al passato e
del loro viaggio alla riscoperta delle proprie origini.
Cinefilos.it offre
la possibilità di vedere al cinema, gratis, NINA DEI LUPI,
presentato alle Giornate degli Autori 2023 e
diretto da Antonio Pisu, con Sergio
Rubini, Sara Ciocca, Sandra Ceccarelli, Cesare Bocci, Davide
Silvestri, in uscita il 31 agosto distribuito in Italia da
Genoma Films.
Ecco le città in cui sarà possibile
partecipare alle anteprime:
ROMA
CINEMA GIULIO CESARE
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
CINEMA GREENWICH
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
BOLOGNA
CINEMA ODEON
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
TORINO
CINEMA GIULIO NAZIONALE
venerdì 8 settembre – 10 biglietti
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
MILANO
CINEMA CENTRALE
venerdì 8 settembre – 10 biglietti
sabato 9 settembre – 10 biglietti
domenica 10 settembre – 10 biglietti
I biglietti saranno validi per qualsiasi spettacolo dall’8 al 10
settembre e potranno essere richiesti, fino ad esaurimento,
inviando una email a[email protected]in
cui andranno specificati
il giorno
in cui si intende utilizzare i biglietti e un
secondo giorno alternativo
nel caso per il giorno prescelto non ci sia più disponibilità di
posto.
I biglietti dovranno essere richiesti improrogabilmente
entro e non oltre l‘8
settembre e non saranno prese in considerazioni
eventuali richieste formulate successivamente alla suddetta data.
L’oggetto
della e-mail deve contenere il titolo del
film.
NB: riceveranno risposta solo
gli assegnatari dei biglietti.
Gli orari delle proiezioni andranno consultati direttamente sui
siti dei cinema.
È di fondamentale importanza che nell’email venga evidenziato
che si sta chiedendo l’invito via CINEFILOS.
I biglietti potranno essere ritirati direttamente alla cassa dei
cinema presentando la email di conferma ricevuta unitamente ad un
documento di identità.
Questa è la seconda collaborazione
di Liam Neeson con Robert Lorenz
dopo The Marksman nel 2019 e il primo ruolo da
protagonista importante di Kerry Condon dalla sua
nomination all’Oscar come migliore attrice non protagonista per
Gli Spiriti dell’Isola.
In the Land of Saints and
Sinners, la trama
Irlanda, anni ’70. Desideroso di
lasciarsi alle spalle il suo oscuro passato, Finbar Murphy (Liam
Neeson) conduce una vita tranquilla nella remota città costiera di
Glen Colm Cille, lontano dalla violenza politica che attanaglia il
resto del paese. Quando arriva una minacciosa banda di terroristi,
guidata da una donna spietata di nome Doireann (Kerry Condon),
Finbar scopre presto che uno di loro ha abusato di una giovane
ragazza del posto. Coinvolto in un gioco sempre più feroce del
gatto col topo, Finbar deve scegliere tra rivelare la sua identità
segreta o difendere i suoi amici e vicini.
Debuttano il 6 settembre
su
Disney+ i nuovi 5 cortometraggi che formano la
seconda stagione di I Am Groot, la serie
d’animazione in CGI ambientata nel Marvel Cinematic Universe
che ci mostra la vita del piccolo alberello alle prese con le sfide
di tutti i giorni in una galassia bizzarra, piena di animali buffi,
situazioni insolite e piccoli ostacoli da superare.
Proprio come la prima
stagione, anche in questo caso Kirsten Lepore, sceneggiatrice e
regista della prima stagione, ritorna nella stessa veste per
raccontare le nuove avventura di Baby Groot, che
questa volta agisce completamente in solitaria, senza interagire
con nessuno dei personaggi del MCU che conosciamo, con l’eccezione
per dell’Osservatore, di nuovo doppiato da Jeffrey Wright, come accaduto in What
If…?, oltre ovviamente a Vin Diesel, ormai indissolubile dalla sua
controparte arborea animata.
Il viaggio di Groot
questa volta tocca 5 luoghi (o situazioni) molto diverse che
trovano sempre il modo di mostrare un aspetto diverso della
colorata personalità del personaggio. Dall’amicizia con un pulcino
di una strana specie pennuta, fino al tentativo di comprare del
gelato nello spazio, passando per un pianeta innevato,
un’esperienza olfattiva molto intensa e un’avventura in stile
Indiana Jones, il piccolo alberello che fa parte
della squadra ufficiale di Guardiani della Galassia
dovrà affrontare molte avventure, potendo contare solo sulle sue
forze.
I Am Groot, la recensione della seconda stagione
Divertenti e con un
protagonista irrimediabilmente simpatico, data la mescolanza tra
dolcezza e furbizia con cui agisce in ogni circostanza, i
cortometraggi riscuoteranno sicuramente grande successo,
specialmente di fronte al pubblico dei più piccoli, che sono poi
anche i principali destinatari dell’infinita fabbrica di
merchandise che questo personaggio genera.
Con un preciso pubblico
di riferimento, le pillole di I Am Groot si
inseriscono senza fatica in un quadro più ampio e complesso che
fino a questo momento è stato il Marvel Cinematic Universe.
Da una parte confermando la potenza delle storie, che vanno sulle
proprie gambe anche divincolate da limiti e argini di
continuity, dall’altra smascherando in maniera impietosa
la necessità disumana della piattaforma di realizzare contenuti per
un pubblico ormai bulimico, sempre in cerca di nuovi prodotti e
imbarazzato di fronte alla scelta infinita proposta dagli streamer,
I Am Groot sembra un fiacco esercizio di stile,
senza nessun guizzo né ricercatezza tecnica, fallendo anche nella
possibilità di rappresentare un banco di prova per affinare e
arricchire gli strumenti che sono a disposizione dei Marvel Studios.
Oltre a Kirsten
Lepore, che scrive e dirige, lo staff di I Am
Groot è composto anche dal supervising producer,
Danielle Costa; i produttori, Craig
Rittenbaum e Alex Scharf; i produttori
esecutivi, Brad Winderbaum, Kevin
Feige, Louis D’Esposito, Victoria
Alonso e Kirsten Lepore, e Dana
Vasquez-Eberhardt che ricopre il ruolo di co-produttrice
esecutiva. I Am Groot
sarà disponibile su
Disney+ dal 6 settembre.
Enea
è un gangster movie senza la parte gangster. Una storia di genere
senza il genere. La componente criminale del film viaggia
silenziosa su un binario nascosto, e sopraggiunge improvvisa nelle
fessure dei rapporti quotidiani, sconvolgendo i protagonisti
ignari. L’idea era quella di creare una narrazione in cui il punto
di vista dello spettatore combaciasse con quello di chi subisce il
narcotraffico: all’improvviso si può vincere e all’improvviso si
può morire, e nessuno saprà mai il perché. I protagonisti sono
mossi dal mistero della giovinezza. Non fanno quello che fanno né
per i soldi né per il potere, ma forse per vitalità, per testare
il cuore, per capire fino a che punto ci si possa sentire vivi
oggi, all’alba di questo nuovo millennio, saturo di guerre
raccontate e di attentati soltanto visti.