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 The Madison, lo spin-off di Yellostone aggiunge quattro nuovi membri al cast (tra cui uno del 1923)

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L’imminente spin-off di Yellowstone The Madison ha aggiunto quattro nuovi membri del cast al suo crescente elenco, tra cui un attore che ha un ruolo in 1923. La storia di The Madison segue Stacy Clyburn (Michelle Pfeiffer), una donna che trasferisce la sua famiglia da New York al Montana dopo la tragica morte del marito in un incidente aereo. Tra gli altri membri del cast che interpretano vari personaggi importanti figurano Patrick J. Adams, Elle Chapman, Matthew Fox, Beau Garrett, Amiah Miller e Ben Schnetzer. Al momento non è chiaro quanto sarà diretto il collegamento dello show con Yellowstone .

Ora, Variety ha confermato che quattro nuovi attori si uniranno a The Madison : Kevin Zegers, Rebecca Spence, Alaina Pollack e Danielle Vasinova. Zegers interpreta Cade, vicino di casa di Stacy e precedente custode della sua casa nel Montana. Spence interpreta Liliana Weeks, un’altra donna di New York City amica della protagonista. Polloack è Macy, la figlia di Abigail (Garrett), che ha familiarità con la vita a New York. E Vasinova è Kestrel, moglie di un ranchero del Montana con origini indigene. Tra tutti gli attori, Vasinova ha già familiarità con l’universo della serie, avendo recitato anche nella seconda stagione di 1923 nel ruolo di Ata Waipa.

Cosa significa l’ampliamento del cast di Madison per lo spinoff di Yellowstone

Vengono introdotte molte nuove prospettive

Alla fine di Yellowstone non sono stati fatti accenni al modo in cui The Madison si inserirà nel più ampio franchise, segnalando che lo show contribuirà a inaugurare un nuovo inizio per il suo universo. I nuovi personaggi mostrano quanto saranno ampie le prospettive dello spinoff, dai vicini e amici di Stacy a personaggi il cui ruolo più ampio non è ancora chiaro. Tuttavia, proprio come il numero di personaggi introdotti nella serie principale, questo spinoff potrebbe essere destinato a raccontare una moltitudine di storie complesse con i suoi nuovi arrivati.

L’aggiunta più curiosa resta comunque quella di Vasinova, il cui ruolo nella seconda stagione di 1923 sarà pienamente rivelato quando lo show tornerà nel febbraio 2025. Al momento non è chiaro se Kestrel e Ata Waipa abbiano un qualche tipo di legame l’una con l’altra, nonostante i 100 anni di distanza. Il suo personaggio potrebbe finire per essere il tessuto connettivo tra The Madison e Yellowstone, a seconda che la sua partecipazione a entrambi gli show sia stata pensata per evocare una connessione tra loro.

Barry Jenkins a Roma per Mufasa: “La leadership non è determinata dalla tua origine”

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Dopo il travolgente successo del “live action” diretto da Jon Favreau nel 2019, la Disney torna nelle Terre del Branco con Mufasa: Il Re Leone, una storia prequel sul famoso papà di Simba che questa volta vede il coinvolgimento, sulla sedia di regia, del premio Oscar Barry Jenkins.

Cosa spinge un regista noto per il cinema indie a realizzare un costoso blockbuster per la Disney? Secondo Jenkins è stata la sceneggiatura. Ecco cosa ha raccontato alla stampa romana: “Non ho ancora capito come mai la Disney ha pensato a me, in che modo il regista di Moonlight poteva essere adatto a dirigere questo film. Quando sono venuti da me la prima volta ho risposto di no. Il mio agente mi ha chiamato, dicendomi che la Disney mi voleva per un film su Il Re Leone, e io ho risposto di no, senza neanche leggere la sceneggiatura. Ma lui mi ha risposto che non si poteva dire di no alla Disney, e così è passato del tempo. E visto che loro insistevano, io ho chiesto al mio agente di leggere la sceneggiatura per dirmi se fosse valida o meno, ma lui mi ha risposto che non poteva, era del materiale top secret a cui solo io potevo avere accesso. Dopo 8 giorni, mia moglie (la regista Lulu Wang, ndr) mi ha detto che ero stupido a rifiutarlo senza leggere, e così l’ho fatto. Avete visto i primi 39 minuti e 50 secondi di film perché è a questo punto che mi sono fermato, nella lettura, e ho pensato che ci fosse qualcosa di speciale in questa storia. La sceneggiatura mi ha convinto.”

Lui, come Greta Gerwig, Ryan Coogler, Chloe Zhao, ha parte di una generazione di registi indipendenti che hanno deciso di prestare il loro occhio al cinema mainstream. Come si spiega questo fenomeno?

Barry Jenkins – Foto Cortesia @Disney

“Negli anni ’70 e ’80 questi franchise non esistevano. E credo di far parte della prima generazione di registi che è cresciuta con quei franchise e che ora si trova ad avere la possibilità di dirigerne un pezzo. Quando la possibilità di dirigere questi film arriva a me non è come un elemento esterno che entra nella mia vita, ma è come una parte diversa della mia vita. Perché io divido la mia vita di spettatore in due fasi: i film che ho visto prima della scuola di cinema e i film che ho visto dopo la scuola di cinema.”

Scardinare una storia che tutti credono di conoscere da 30 anni

Come si racconta la storia di Mufasa, un personaggio che tutti credono di conoscere da 30 anni, ma che poi si rivela sorprendente?

“In tutto il mondo, chiunque sollevi in alto un pupazzetto di peluche sa che quel gesto fa riferimento a Rafiki che presenta Simba agli animali, è un gesto universale che da 30 anni tutto il mondo condivide e per questi 30 anni tutti abbiamo pensato che Mufasa è re perché è un leone saggio e giusto e discende dai re, che Scar è cattivo perché è nato cattivo. Eppure io ho sempre creduto alla differenza tra natura e cultura. All’inizio di questo film, Mufasa perde tutta la sua famiglia e viene trovato da Taka e dalla sua famiglia. Vediamo come il papà di Taka sia un pessimo padre e come invece sua madre, a cui viene affidato il piccolo Mufasa, insegni al giovane leone i segreti e gli equilibri della natura. Poteva succedere il contrario, è un caso che i due siano stati cresciuti con due modelli di genitorialità differenti. E diventano così degli adulti completamente diversi tra loro.”

Lo scontro tra natura e cultura, nel racconto di Barry Jenkins, si fonde anche con il giusto valore al merito a scapito della predestinazione di nascita, un tema che il regista sente molto suo.

“La leadership non è determinata dalla tua origine, in questo film. Questo è uno degli aspetti che ho amato di più, perché mi rispecchia. Io sono nato in un quartiere che ricorda molto la realtà di Moonlight, era difficile per me immaginare che avrei girato il mondo promuovendo un film de Il Re Leone che avrei diretto io, eppure eccomi qui, il film esiste e io sono qui. La vita che conduci e la comunità che costruisci intorno a te fanno la differenza.”

Mufasa è un film di Barry Jenkins

In che modo Mufasa è un film di Barry Jenkins?

“Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato che poteva diventare un mio film, con tanto lavoro. Chi ha lavorato con me è stato molto paziente, dovevo capire bene come adattare questa  tecnologia al mio modo di lavorare, tenendo accanto a me il nucleo centrale della produzione, il direttore della fotografia e la montatrice. Chi ha lavorato agli effetti visivi del film è stato particolarmente paziente e gentile.”

Jenkins ha continuato spiegando come il lavoro con la motion capture non è stato possibile in questo processo di apprendimento. Mufasa: Il Re Leone infatti è stato realizzato a partire dalla colonna sonora, registrando tutte le voci dei personaggio, come fosse un radio dramma. Questa colonna è stata poi montata e storyboardata, e poi, alla fine, sui disegni, sono state realizzate le animazioni che non hanno coinvolto attori, ma animatori veri e propri che, con una tecnologia particolare hanno disegnato i personaggi con i loro movimenti. Barry Jenkins si è trovato quindi a dirigere il corpo degli animatori.

Moonlight (2016)In che modo Mufasa si connette ai suoi film precedenti?

“Credo che Mufasa e Chiron (protagonista di Moonlight, ndr) abbiamo moltissime cose in comune. Entrambi sono orfani e devono attraversare la vita da soli, per conoscere se stessi e il mondo in cui vivono, costruendosi intorno una realtà in cui sono degni di amore. Sto descrivendo sia l’uno che l’altro, e la cosa incredibile è che non l’ho scritto io Mufasa, ma è arrivato da me. La somiglianza più grande però la vedo nella sfera personale. Nel film, Mufasa incontra Taka, poi Rafiki, Sarabi e Zazu, e comincia a costruirsi una famiglia intorno con delle persone che lo amano e che lui ama. La sua vita diventa il risultato dei suoi incontri ed è quello che è successo a me, con i miei amici e i miei collaboratori che ormai sono la mia famiglia.”

Il film ha involontariamente rappresentato una preparazione a un lutto importante: “Mia madre è morta mentre facevo questo film. E non mi sono reso conto in che modo potente e folle questo film mi stava preparando al trauma della perdita di mia madre – ha raccontato Barry Jenkins – Mi è stato detto che i film che facciamo dovrebbero essere un riassunto delle nostre vite in quel momento, e guardandoli uno per uno dovresti sapere esattamente a che punto della vita eri quando lo hai girato. E con Mufasa posso farlo.”

Mufasa: Il Re Leone arriva al cinema il 19 dicembre, in tempo per le feste natalizie, e è distribuito da The Walt Disney Company Italia.

The Day Of The Jackal – stagione 1: spiegazione del finale

The Day Of The Jackal – stagione 1: spiegazione del finale

Il finale emozionante della prima stagione di The Day Of The Jackal ha concluso gran parte della trama della stagione, gettando le basi per la seconda stagione, già approvata. The Day of the Jackal è una rivisitazione moderna del film del 1973, a sua volta basato su un libro di Frederick Forsyth. La serie vede Eddie Redmayne nei panni del protagonista Jackal e Lashana Lynch in quelli della determinata agente dell’MI6 Bianca Pullman, che gli dà la caccia. Mentre le versioni precedenti sono ambientate in periodi molto precedenti alla serie TV, l’ultima versione offre una versione altamente contemporanea.

Nel corso della prima stagione, la serie ha creato una tensione incredibile, con il gioco del gatto e del topo tra lo Sciacallo e l’MI6 che si avvicinava sempre più alla conclusione. Nell’episodio 10, questa è arrivata e il destino dello Sciacallo è stato deciso, ma forse non nel modo in cui avrebbero immaginato coloro che conoscono le versioni precedenti della storia. In questo caso, The Day Of The Jackal ha un finale decisamente più luminoso, con spazio per il proseguimento della storia.

Come lo Sciacallo è sfuggito alla cattura nel finale della prima stagione

Nell’ultimo episodio della prima stagione di The Day Of The Jackal, il Sciacallo riesce a evitare la cattura. Nonostante la squadra di sicurezza di Ulle Dag Charles fosse proprio alle sue calcagna nel precedente episodio, la barca del Sciacallo riesce a seminare tutti e lui riesce a fuggire. Non è chiaro come o perché ciò sia accaduto, perché l’episodio 10 riprende con il Jackal già tornato sulla terraferma dopo aver evitato la cattura in mare.

Nonostante ciò, un superiore del capo dell’MI6 che stava dando ordini a Bianca arriva e dice loro di riaprire il caso. Con Bianca così vicina alla cattura dello Sciacallo, i potenti miliardari che lo hanno assunto per uccidere UDC stanno ora spingendo per catturarlo e ucciderlo, per evitare di dover pagare la ricompensa di 100 milioni di dollari per un lavoro ben fatto. Ma quando lo Sciacallo viene affrontato a casa sua, ha il vantaggio di giocare in casa e riesce a uccidere rapidamente ed efficacemente i suoi potenziali rapitori.

Perché la moglie dello Sciacallo è fuggita con il figlio

Tuttavia, il motivo per cui Jackal era tornato a casa era per prendere sua moglie Nuria e il loro figlio. Jackal aveva promesso che dopo questo lavoro avrebbe abbandonato la vita da assassino e avrebbe portato Nuria in qualsiasi parte del mondo. Nuria inizialmente voleva rimanere nella loro bella casa in Spagna, vicino a sua madre e suo fratello, ma quando Jackal la chiama, sente il panico nella sua voce. Non sono più al sicuro nella loro casa, il che probabilmente significa che tutti i suoi cari sono al sicuro.

Nuria ama suo marito, ma dopo la notizia bomba che Charles non era chi diceva di essere e che quello non era nemmeno il suo vero nome, ha deciso di tagliare i ponti e proteggere suo figlio. Ha preso i fondi di emergenza dalla sua cassaforte segreta e si è precipitata all’aeroporto prima che suo marito tornasse. Nonostante il suo affetto, la fiducia è andata perduta e la sicurezza di suo figlio doveva venire prima di tutto.

La spiegazione della morte di Bianca Pullman

Bianca Pullman ha lasciato il suo lavoro dopo che le è stato chiesto di rinunciare al caso Jackal. Dopo aver dedicato la sua vita a questa missione, al punto da rovinarsi la vita privata, le è stato detto di smettere. Poi è stata minacciata che, se avesse continuato, avrebbe perso il lavoro. Tuttavia, essendo testarda e ostinata, Bianca ha deciso di dimettersi prima che potessero mandarla via e cercare di ricostruire la sua vita familiare.

È riuscita a convincere il marito e la figlia a tornare a casa, ma quando il suo capo si è presentato alla sua porta dicendole che aveva ragione e che voleva rimandarla in missione, Bianca ha rifiutato. Nonostante ciò, suo marito ha capito quanto quell’offerta fosse importante per sua moglie e l’ha spinta ad andare comunque. Partì per la Spagna, cercando di seguire l’ultima pista, che la condusse proprio alla porta di casa dello Sciacallo. Dopo aver sorvegliato la casa, aver visto Nuria uscire con suo figlio e aver finalmente individuato lo Sciacallo, entrò in casa per catturarlo e affrontarlo. Tuttavia, lo Sciacallo aveva il sopravvento nella sua casa sicura e uccise Bianca rapidamente mentre lei era in piedi nella sua casa.

La vera identità dello Sciacallo svelata

Non è chiaro quanto sia sicura l’identità dello Sciacallo dopo tutti questi eventi. Bianca ha espresso la sua teoria sul fatto che lui fosse in Spagna al suo capo, che poi si è rivelato lavorare sotto l’autorità del miliardario. Ma quando ha mandato Bianca a finire il Jackal, le ha detto di farlo in modo discreto. Ciò significa che le tracce potrebbero perdersi. Tuttavia, c’è una domanda sul corpo di Bianca lasciato nella sua casa. Il Jackal non era solitamente così negligente e avrebbe potuto dare fuoco alla casa, ma con l’avvicinarsi della fine della stagione, ha corso più rischi ed è diventato imprudente nel tentativo di agire rapidamente.

Non è chiaro quanto sia sicura l’identità dello Sciacallo dopo tutti questi eventi.

Sebbene il suo nome e il suo volto siano ancora un mistero, ci sono più collegamenti che mai con lo Sciacallo, e i miliardari o l’MI6 potrebbero avere un’idea molto chiara di chi sia. Inoltre, l’MI6 ha interrogato le persone della piccola comunità di Cadice, in Spagna, dove viveva. Lo conoscevano con un nome diverso, e ora la morte e i guai sono arrivati nella loro comunità. Una potenziale fonte di informazioni è anche il fratello di Nuria, che crede che Charles sia il Sciacallo e ha accesso alle foto dell’uomo.

Come il finale della prima stagione prepara la trama della seconda stagione di The Day Of The Jackal

La seconda stagione de The Day Of The Jackal ha ancora molto da raccontare

La prima stagione di The Day Of The Jackal conclude molti dettagli, con la rivelazione della vera fedeltà dei vertici dell’MI6, l’uccisione dell’UDC e la sopravvivenza dello Sciacallo, ma c’è ancora molto da raccontare. Lo Sciacallo sta ora cercando di ritrovare sua moglie e suo figlio e ha reclutato Zina, la donna che ha fatto da intermediaria tra lui e i miliardari, per aiutarlo a trovarli. Anche Zina è ricercata, quindi collaborare è vantaggioso per entrambi.

Inoltre, lui ha un debito enorme con alcune élite aziendali disoneste che lo hanno messo in grave pericolo per il proprio tornaconto e ora stanno evitando di pagare il conto. E come se non bastasse, è più esposto che mai, con la sua identità segreta rivelata a diverse parti. Ci sono molti nodi da sciogliere e The Day of the Jackal – stagione 2 sarà sicuramente emozionante quanto la prima, se riusciranno ad affrontare bene questi elementi.

Come il finale della prima stagione di The Day Of The Jackal si confronta con il film e il libro

Tuttavia, il finale della serie The Day Of The Jackal è stato in realtà piuttosto diverso dal libro e dal film precedente. Mentre la storia è stata modernizzata, con armi, travestimenti, tecnologia e altro ancora, anche lo sciacallo è stato trasformato in un antieroe. I suoi metodi non giustificano necessariamente i mezzi, ma ci sono delle motivazioni e in generale sembra avere buone intenzioni.

Qui, i miliardari e i loro rapporti con i membri corrotti dell’MI6 sembrano essere i veri cattivi, mentre Bianca, la cui moralità era anch’essa ambigua, rimane coinvolta nella vicenda. Nelle storie originali, tuttavia, è lo Sciacallo a morire alla fine. Questo cambiamento significativo ha aperto la strada alla seconda stagione e fa sorgere la domanda: lo Sciacallo verrà ucciso nella seconda stagione di The Day Of The Jackal?

Conclave: guida al cast e ai personaggi, chi sono i Cardinali coinvolti?

Conclave è un mystery-thriller del 2024 che ruota attorno all’elezione di un nuovo Papa, e l’ensemble è completato da attori di immenso talento. Il nuovo film è diretto da Edward Berger, regista noto soprattutto per il film premio Oscar Tutto tranquillo sul fronte occidentale”. Conclave è il suo secondo adattamento di un denso testo di narrativa storica, basato sull’omonimo romanzo del 2016 dell’autore Robert Harris. Presentato in anteprima al Telluride Film Festival nell’agosto 2024, Conclave ha ricevuto recensioni positive, con un punteggio del 95% su Rotten Tomatoes e un 7,4/10 su IMDb.

Il film segue Thomas Lawrence, un cardinale incaricato di organizzare la successione di un nuovo papa dopo che il precedente è morto con misteri persistenti. Lawrence gioca un pericoloso gioco politico: i cardinali in lizza per il posto vacante cercano il suo favore, sapendo che la sua influenza sarà vitale per le loro possibilità di vincere l’elezione. Nel frattempo, continua a scoprire informazioni sui segreti del papa precedente, con conseguenti scoperte che riguardano i potenziali candidati. Conclave è nelle sale dal 19 Dicembre.

Ralph Fiennes nel ruolo del cardinale Thomas Lawrence

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Ralph Fiennes è un attore inglese che si è fatto notare per la prima volta per il ruolo dell’antagonista nel film drammatico di Steven Spielberg sulla Seconda Guerra Mondiale , Schindler’s List, che gli è valso la prima nomination all’Oscar. Poco dopo, ha recitato ne Il paziente inglese, un altro film che ha vinto come miglior film. Nel XXI secolo, Fiennes è diventato ampiamente riconoscibile per i suoi ruoli in vari film. I migliori film di Ralph Fiennes includono personaggi di franchising come Voldemort nella serie di Harry Potter e ruoli da protagonista in titoli acclamati dalla critica come Grand Budapest Hotel e Il menu.

Personaggio: Il cardinale Thomas Lawrence gestisce il processo di elezione del papa. È essenzialmente il capo dei cardinali, ma non si ritiene adatto a diventare il prossimo papa

Stanley Tucci nel ruolo del Cardinale Bellini

Stanley Tucci è un attore americano di Peekskill, New York, noto soprattutto per aver interpretato ruoli di supporto in un vasto assortimento di film e serie televisive, che gli sono valsi sei Emmy, due Golden Globe e nomination agli Oscar. Tra i suoi film più noti ricordiamo Il diavolo veste Prada, per il quale ha ricevuto una nomination all’Oscar, la serie Hunger Games , SpotlightJulie & Julia e altri ancora. Recentemente, ha condotto la popolarissima serie di documentari Stanley Tucci: Searching for Italy, che ha ricevuto ampi consensi e ammirazione.

Personaggio: Il cardinale Bellini è un amico intimo del cardinale Thomas che ha l’ambizione di diventare il nuovo papa.

John Lithgow nel ruolo del Cardinale Tremblay

Attore: John Lithgow è un attore americano di Rochester, New York, che ha costruito una carriera leggendaria nel cinema e nella televisione negli ultimi cinque decenni, interpretando numerosi personaggi iconici e apparendo in decine di opere acclamate dalla critica. All’inizio della sua carriera, Lithgow ha ricevuto consensi per essere apparso nei film di Brian De Palma, tra cui Obsession e Blow Out. In tempi più recenti, è noto per i suoi ruoli di supporto in film come Interstellar e Killers of the Flower Moon, oltre che in serie televisive come Perry Mason e The Crown.

Personaggio: Il cardinale Tremblay è uno dei contendenti per diventare il nuovo papa, ma possiede oscuri segreti.

Carlos Diehz: Cardinale Benitez

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Attore: Carlos Diehz è un attore messicano che si è cimentato nella recitazione solo di recente, il che significa che sarà un volto quasi del tutto originale per il pubblico che vedrà Conclave. Prima del film del 2024, i suoi unici crediti includevano due cortometraggi, The Vegan Vampire e It Gets Dark Too Early.

Personaggio: Il personaggio di Diehz è il Cardinale Benitez, un misterioso nuovo arrivato che continua a votare per Lawrence.

Cast e personaggi di supporto del Conclave

Isabella Rossellini nel ruolo di Suor Agnes: Isabella Rossellini ha contribuito con interpretazioni iconiche a film e spettacoli televisivi per oltre quattro decenni, tra cui un ruolo da protagonista in Velluto blu di David Lynch.

Sergio Castellitto nel ruolo del Cardinale Tedesco: Sergio Castellitto è un attore, regista e sceneggiatore italiano che ha lavorato a progetti nel suo paese d’origine per oltre quattro decenni, tra cui il film del 2004 Non ti muovere, che ha diretto e interpretato al fianco di Penelope Cruz.

Lucian Msamati nel ruolo del Cardinale Adeyemi: Lucian Msamati è un attore britannico-tanzaniano noto soprattutto per i ruoli in serie televisive come Gangs of London e Game of Thrones.

Brían F. O’Byrne nel ruolo di Monsignor Raymond O’Malley: Brían F. O’Byrne è un attore irlandese apparso in film e serie televisive come Million Dollar Baby, Before the Devil Knows You’re Dead e Mildred Pierce.

Merab Ninidze nel ruolo del Cardinale Sabbadin: Merab Ninidze è un attore georgiano noto soprattutto per aver lavorato in film e spettacoli europei, tra cui Nowhere in Africa e The Courier.

Conclave, la spiegazione del finale: cosa significa il segreto del nuovo Papa

Il finale di Conclave è memorabile e fa parlare di sé. Il film, diretto da Edward Berger su sceneggiatura di Peter Straughan, è tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris. Le recensioni di Conclave sono state estremamente positive, con un punteggio elevato su Rotten Tomatoes e con un’attenzione particolare alla stagione dei premi. Il thriller politico si conclude con il conclave che ha votato un nuovo papa – il cardinale Vincent Benitez – dopo un lungo e arduo processo pieno di rivelazioni su intenzioni, etica e comportamento. Il cardinale Thomas Lawrence sembra un po’ deluso di non essere stato scelto come papa, nonostante in precedenza non fosse interessato alla posizione. Il libro di Robert Harris è uscito nel 2016 ed è diventato un best seller.

Dopo che il cardinale Benitez viene rivelato come nuovo papa al conclave, ma non ancora al pubblico, il cardinale Lawrence gli fa visita dopo essere stato messo al corrente di una procedura che Benitez ha quasi subito. Interpellato, Benitez rivela di essersi quasi sottoposto a un’isterectomia, ma di aver deciso di non farlo perché voleva valorizzare la persona che Dio ha fatto di lui. Il cardinale Lawrence è stupito perché non ne aveva davvero idea, ma non dice nulla agli altri cardinali sulla situazione di Benitez. Il Conclave si conclude con una fumata bianca che rivela che il nuovo Papa è stato finalmente eletto dopo molti giorni di segregazione.

La spiegazione del colpo di scena del Conclave del cardinale Benitez

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Il colpo di scena del Conclave di Benitez è destinato a sorprendere, soprattutto perché il cardinale sarebbe ora il primo papa a non essere nato maschio. Benitez è una persona intersessuale che ha creduto di essere maschio fino all’età adulta. Il suo sesso non è mai stato messo in discussione ed è stato mandato in seminario molto presto. Tuttavia, solo quando è stato ferito da un’autobomba in Afghanistan, un esame medico ha rivelato la verità: Benitez aveva l’utero. Ritenendo che ciò lo squalificasse dalla sua posizione, si offrì di dimettersi, ma il Papa fece in modo che Benitez fosse sottoposto a isterectomia.

Alla fine il cardinale Benitez ha deciso di non sottoporsi all’isterectomia, scegliendo di rimanere come Dio lo ha creato. Benitez non ne parlò a nessuno, tranne che al Papa e al medico che lo visitò. La sua cartella clinica fu secretata ed egli continuò a essere un sacerdote prima che il defunto papa lo nominasse cardinale. Probabilmente Benitez continuerà a tenere segreto il fatto di avere un utero al resto dei cardinali – almeno per il momento. Ma ora che Benitez è papa, potrebbero decidere di rivelare la verità al resto dei cardinali, alla Chiesa cattolica e al mondo.

Perché Lawrence tiene nascosto il segreto di Benitez agli altri cardinali

Il cast di Conclave è composto da otto cardinali principali e dalla sorella Agnes di Isabella Rossellini, che non ha alcuna voce in capitolo nel conclave. Nel corso del film, il cardinale Lawrence scopre tutti i loro segreti e li tiene in riga per poter avere un’elezione giusta. Pur volendo rivelare ciò che gli altri cardinali nascondono, il cardinale Lawrence non rivela la verità sulla situazione del cardinale Benitez. Probabilmente perché Benitez è già papa quando Lawrence ne viene a conoscenza. Lawrence ritiene inoltre che Benitez sia sincero nella sua fede e che rivelare Benitez agli altri cardinali sarebbe un tradimento.

Credendo che questo lo squalificasse dalla sua posizione, si offrì di dimettersi, ma il papa fece in modo che Benitez fosse sottoposto a isterectomia.

Inoltre, non è un segreto di Lawrence da rivelare, e dirlo agli altri cardinali non cambierebbe l’esito dell’elezione. C’è anche il fatto che gli altri cardinali avevano a che fare con ricatti e segreti che erano altrimenti sinistri e dannosi per la loro moralità. L’intersessualità di Benitez non era un caso di etica, e aveva il potenziale per cambiare positivamente la Chiesa cattolica. E se al defunto Papa andava bene che Benitez fosse così com’era, probabilmente andava bene anche a Lawrence.

Perché le ambizioni del cardinale Lawrence di diventare Papa sono cambiate

Il cardinale Lawrence ha cercato di gestire il conclave con il massimo senso di correttezza. È per questo che non era disposto a rimanere in silenzio quando scoprì ciò che il cardinale Tremblay stava facendo, soprattutto perché non lo avrebbe ammesso. Allo stesso tempo, Lawrence non era convinto di diventare Papa, nonostante Benitez avesse sempre votato per lui. Aveva i suoi dubbi, ma il fatto di essere rimasto relativamente neutrale per tutto il tempo, a parte la sua spinta per Bellini come papa, lo metteva anche in corsa.

La fiducia di Benitez in lui e la sensazione che ha provato dopo il suo discorso ai cardinali hanno iniziato a fargli cambiare idea sulla possibilità di vedersi o meno come papa dopo aver scartato l’idea con tanto fervore in precedenza. Con i suoi continui sforzi per un’elezione giusta, volendo sempre fare ciò che è meglio, e dopo aver visto quanto gli altri cardinali avrebbero fatto per rubare l’elezione, il cardinale Lawrence si è convinto che, dopo tutto, potrebbe essere una buona scelta per il papa. Lawrence passa dall’essere uno che dubita ad essere un po’ più sicuro man mano che il Conclave va avanti.

Tutto ciò che il Papa sapeva sui cardinali prima di morire

Mentre il Papa muore all’inizio del Conclave, si scopre che sapeva molto di più sui cardinali di quanto avesse lasciato intendere. Il defunto papa sapeva che il cardinale Tremblay stava corrompendo altri cardinali nel tentativo di ottenere i loro voti. Per questo motivo chiese le dimissioni di Tremblay, che non avvennero mai perché morì poco dopo. Il Papa sapeva anche di Benitez, e lo ha nominato cardinale “in pectore” poco prima di morire, all’insaputa degli altri cardinali fino a quando Benitez non si è presentato poco prima dell’inizio del conclave. Di certo, il Papa sapeva molte cose che non aveva rivelato.

Cosa cambia il Conclave rispetto al libro

Uno dei maggiori cambiamenti riguarda il nome del cardinale Lawrence. Nel romanzo, egli è il cardinale Lomeli, ma poiché Ralph Fiennes interpreta il ruolo in Conclave, e non è italiano, è possibile che il cognome sia stato cambiato per riflettere questo fatto. Inoltre, l’arrivo di una suora dalla Nigeria mette in difficoltà il cardinale Adeyemi. Si tratta di una persona del suo passato, anche se si scopre che il cardinale Tremblay ha chiesto il trasferimento della suora in Vaticano per far arrabbiare Adeyemi e impedirgli di vincere. La suora è presente anche nel libro, ma gli eventi relativi a questa sottotrama si svolgono in modo leggermente diverso.

Per il resto, Conclave è un adattamento abbastanza fedele del libro di Harris. Dal ricatto del cardinale Tremblay all’esplorazione interiore del cardinale Lawrence sulle proprie ambizioni e al colpo di scena a sorpresa del cardinale Benitez alla fine, l’adattamento cinematografico di Berger è fedele alla storia e ai suoi dettagli. Ci sono molti adattamenti che apportano cambiamenti drastici o tralasciano molte cose, ma Conclave, come i cardinali Lawrence e Benitez, è fedele.

Il vero significato del Conclave

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Conclave parla molto di tradizioni, di cambiamenti e dell’intersezione di questi due aspetti. Concentrandosi sul conclave, il film sottolinea le usanze della Chiesa cattolica che sono state portate al presente, mentre i personaggi – i cardinali Lawrence, Benitez e Bellini – si interrogano e riflettono sulla strada da seguire e sui cambiamenti che la Chiesa cattolica deve fare per sopravvivere in un mondo in continua evoluzione. Si tratta anche del tumulto interiore e dell’inquietudine dei cardinali, che hanno tutti opinioni diverse, e di come possano essere un fronte unito per i loro parrocchiani.

Il conclave li vede a un bivio. L’isolamento dagli altri è una manifestazione fisica del loro non essere troppo coinvolti nel mondo circostante. Alcuni degli intrallazzi politici dei cardinali sono più legati alla vittoria che alla volontà di aiutare. I personaggi si interrogano sul loro ruolo, e Lawrence è particolarmente dubbioso: vorrebbe come papa qualcuno che non è sicuro delle cose, perché questo rende più disposti a cambiare e a tracciare un percorso in avanti piuttosto che rimanere rigidamente bloccati nei modi del passato. Il segreto di Benitez è forse il modo migliore e più inaspettato per far progredire completamente la Chiesa cattolica.

Siviglia 1992 di Netflix è basato su una storia vera?

Siviglia 1992 di Netflix è basato su una storia vera?

La serie Siviglia 1992 di Netflix presenta molte trame realistiche e personaggi con cui è facile identificarsi, rendendo difficile non chiedersi se sia basata su una storia vera. Quando si tratta di thriller sui serial killer, alcuni sembrano adattare direttamente le storie di persone coinvolte in crimini violenti realmente accaduti. Ad esempio, la controversa serie Netflix Monster, in ogni stagione sceglie un serial killer realmente esistito e ripercorre la serie di crimini da lui commessi e le potenziali motivazioni che lo hanno spinto a uccidere. Ci sono poi altre serie che attingono solo da eventi reali che hanno coinvolto serial killer, ma adottano narrazioni originali.

Cross di Prime Video è l’esempio perfetto di questo approccio perché, anche se contiene molti riferimenti a serial killer reali, il personaggio centrale è fittizio. L’approccio adottato da Siviglia 1992 di Netflix sembra abbastanza simile all’adattamento di Alex Cross di Prime Video perché, nonostante i molti elementi fittizi nella narrazione, la serie cerca di includere una parvenza di realismo. Sebbene sia discutibile se l’approccio di 1992 funzioni efficacemente, riesce comunque a radicare la serie in un mondo che sembra allo stesso tempo familiare e terrificante.

Siviglia 1992 non è basato su una storia vera

Siviglia 1992

La serie offre retroscena realistici ai suoi personaggi

Per quanto alcuni elementi di Siviglia 1992 possano sembrare realistici, la serie TV non è basata su una storia vera. Molti aspetti dei metodi e delle motivazioni del killer del lanciafiamme, personaggio centrale della serie, sembrano anche un po’ esagerati nella serie spagnola di Netflix. Tuttavia, la serie riesce ad aggiungere molti livelli di realismo al personaggio, sostenendo le sue azioni con una solida storia di fondo. Anche per quanto riguarda gli altri personaggi della serie, Siviglia 1992 li rende più umani e riconoscibili, dando un assaggio di come sono le loro vite al di là dei misteri centrali e degli eventi che li circondano.

Ad esempio, 1992 descrive in modo realistico come un personaggio di nome Richi perda tutto, dal lavoro alla famiglia, a causa dell’alcolismo. La serie mette in evidenza come, nonostante abbia perso tutto, Richi lotti per rompere il circolo vizioso della sua dipendenza. Ci sono persino momenti in cui decide di smettere di colpo. Purtroppo, nonostante i suoi sforzi, Richi fatica a controllare il suo alcolismo, che gli impedisce di realizzare il suo vero potenziale come investigatore. Oltre a questo, 1992 adotta in modo interessante alcuni espedienti narrativi tratti dalla vita reale per coinvolgere efficacemente gli spettatori nel suo dramma poliziesco.

L’Expo di Siviglia del 1992 e la mascotte Curro sono reali

Siviglia 1992

Siviglia 1992 di Netflix adotta un’ambientazione reale nella sua linea temporale passata

Il titolo 1992 fa riferimento all’Expo di Siviglia del 1992, un evento reale che ha celebrato il 500° anniversario dell’arrivo di Cristoforo Colombo in America dopo essere salpato dal porto di Siviglia. Come mostrato nel film, Curro era la mascotte ufficiale della fiera, che rappresentava un uccello gigante bianco con le zampe di un elefante e un becco color arcobaleno. A differenza dell’Expo raffigurata in 1992 di Netflix, tuttavia, quella reale fu un successo e i suoi padiglioni furono smantellati solo dopo la sua conclusione.

Nessuno morì durante gli eventi che circondarono la fiera originale e nessun serial killer nella vita reale ha mai usato la mascotte della fiera come maschera mentre commetteva i suoi crimini. Nella serie, un gruppo di uomini potenti usa anche l’Expo di Siviglia del 1992 come piattaforma per chiedere illegalmente denaro al governo. Il racconto di Siviglia 1992 è interamente fittizio, poiché non ci sono prove che durante la fiera si siano svolte attività corrotte di questo tipo.

Kraven – Il Cacciatore, la spiegazione del finale: come il personaggio Marvel diventa il cattivo del fumetto

Kraven – Il Cacciatore si conclude come ci si aspetterebbe considerando il resto dei film dell’universo di Spider-Man della Sony. Con Aaron Taylor-Johnson nei panni del protagonista Sergei Kravinoff, la fine del film vede Kraven diventare pienamente il cattivo dell’Uomo Ragno che è conosciuto nei fumetti e presenta anche alcune divertenti rivelazioni secondarie. Detto questo, l’evoluzione malvagia di Kraven non è così soddisfacente come molti speravano.

In Kraven – Il Cacciatore (la nostra recensione)vengono esplorate la storia e le origini di Sergei Kravinoff con suo padre Nikolai (Russell Crowe) e la sua missione nel presente per salvare il fratellastro Dimitri (Fred Hechinger) da Rhino (Alessandro Nivola). Tuttavia, il finale presenta alcune strane scelte dei personaggi in base a quanto stabilito in precedenza nel nuovo film Marvel. Per questo motivo, ecco la spiegazione del finale di Kraven – Il cacciatore e cosa potrebbe significare per il futuro.

La spiegazione del finale di Kraven – Il Cacciatore 

Un anno dopo che Sergei ha salvato il fratello e ucciso sia il Rinoceronte che Nikolai, Kraven torna a casa del padre dopo che il fratello gli ha detto che il padre gli ha lasciato qualcosa. Aprendo una scatola, Sergei scopre che Nikolai ha preso la testa del leone che lo ha quasi ucciso da bambino e l’ha fatta diventare un gilet. Per questo motivo, il Sergei di Aaron Taylor-Johnson assomiglia al Kraven dei fumetti Marvel originali quando indossa il gilet con la testa di leone e si siede, appoggiando il mento su un braccio.

Kraven – Il Cacciatore termina con Sergei che rispecchia l’aspetto e la posa classica di Kraven dei fumetti. Questo significa la sua piena evoluzione nel cattivo di Spider-Man che è conosciuto nei fumetti, dandogli il look in costume, quasi richiesto dai fumetti, nel terzo atto, che il pubblico si aspetta dal genere dei film di supereroi.

Cosa significa che Kraven – Il Cacciatore indossa la giacca del leone

Al di là del significato fumettistico, il fatto che Kraven – Il Cacciatore indossi il giubbotto significa anche una svolta più oscura per il personaggio. Il biglietto di accompagnamento del defunto padre di Sergei conteneva le affermazioni di Nikolai secondo cui lui e Kraven erano uguali, cacciatori leggendari da temere. Nonostante l’odio di Sergei per il padre, sembra che questa lettera, unita alla precedente conversazione con Dimitri (che ha espresso sentimenti simili), abbia spinto Kraven ad abbracciare la strada che il padre voleva per lui, quella del Cacciatore. A tal fine, l’apparente accettazione da parte di Sergei di non essere un brav’uomo è l’unica ragione che ha senso per cui ha indossato il giubbotto, tanto per cominciare.

Come il finale prepara il ritorno di Kraven – Il Cacciatore di Aaron Taylor-Johnson

Ora che Sergei è diventato ufficialmente il Kraven dei fumetti, in teoria potrebbe tornare come cattivo di Spider-Man. Detto questo, è stato recentemente riportato che Kraven – Il Cacciatore è l’ultimo dei film SSU della Sony a non avere come protagonista l’iconico Webslinger. Le probabilità che il Kraven di Taylor-Johnson possa mai combattere contro Spider-Man sono molto scarse, a meno che non accada qualcosa di multiversale nel MCU in cui le sue strade si incrociano con lo Spider-Man di Tom Holland, o che qualcosa come l’universo della Sony finisca per combinarsi con il MCU in seguito a Secret Wars.

La spiegazione della morte di Nikolai Kravinoff: Kraven lo ha ucciso?

Prima di indossare il giubbotto e di saltare un anno, Kraven viene mostrato mentre incontra suo padre nella foresta dopo che Rhino è stato ucciso e Dimitri salvato. Non volendo diventare l’erede del padre e prendere il controllo del suo impero criminale, Sergei rimuove di nascosto i proiettili dal fucile di Nikolai. Allo stesso modo, è fortemente implicito che Sergei abbia influenzato l’orso grizzly ad attaccare e sbranare il padre, proprio come ha influenzato la mandria di bisonti ad attaccare il convoglio durante la lotta con Rhino e il lupo durante l’evasione dalla prigione di Sergei nelle scene iniziali di Kraven – Il Cacciatore.

Perché Kraven ha attaccato suo padre

Dopo aver appreso da Rhino che era stato Nikolai a incastrarlo e a metterlo nel mirino di Aleksei Sytsevich, Sergei ha finalmente inseguito il padre dopo anni di distanza. Questo perché Nikolai ha usato consapevolmente un figlio per uccidere una minaccia che non poteva, rischiando anche l’altro figlio come danno collaterale accettabile. Per questo motivo, Kraven non poteva più sopportare l’oscurità del padre e il dolore che portava nel mondo, da cui l’attacco dell’orso.

Come Dmitri è diventato camaleonte

L’incontro tra Sergei e Dimitri nelle scene finali di Kraven – Il cacciatore rivela che Dimitri ha rilevato sia l’impero del padre che i beni di Rhino. Allo stesso modo, Dimitri rivela di aver incontrato lo stesso medico di New York che ha dato a Sytsevich la forza, le corna e la pelle indurita. Avendo ora la capacità di assumere le sembianze di chiunque a proprio piacimento, Dimitri diventa ufficialmente il classico cattivo di Spider-Man noto come il Camaleonte, un maestro del travestimento che un tempo utilizzava maschere antiquate e tecnologie avanzate prima di acquisire l’abilità intrinseca di mutare forma, proprio come il nuovo Camaleonte della Marvel sullo schermo.

La classica testa completamente bianca del Camaleonte dei fumetti può essere vista anche mentre Dimitri cambia il suo volto a piacimento. Allo stesso modo, il medico newyorkese in questione non è altro che il genetista Miles Warren, alias lo Sciacallo. Warren è famoso soprattutto per aver istigato la Saga dei Cloni di Spider-Man nei fumetti con la creazione di diversi cloni, in particolare dei Ragni Scarlatti, conosciuti come Ben Reilly e Kaine Parker.

Perché Camaleonte ha preso il controllo dell’impero criminale del padre

È davvero una strana decisione quella di Dimitri di rilevare l’impero del padre alla fine di Kraven – Il Cacciatore. Nonostante abbia accusato Sergei di essere proprio come il padre, che entrambi odiavano, Dimitri sceglie comunque di diventare come lui. Ciò è ancora più sconcertante se si considera quanto volesse diventare qualcun altro prima, e soprattutto ora con i suoi nuovi poteri. L’unica spiegazione accettabile per questa scelta è che probabilmente c’è ancora un ciclo di abusi in corso, in cui Dimitri vuole ancora rendere orgoglioso Nikolai, anche dopo la sua morte (e nonostante tutto il dolore e il tormento che gli ha causato).

Che fine ha fatto Calypso?

Durante la battaglia con Rhino e i suoi uomini, Calipso (Ariana DeBose) uccide lo Straniero (Christopher Abbott) prima di dare a Sergei un’altra pozione della sua famiglia in vista dello scontro con Sytsevich. Tuttavia, Calypso non viene più vista, rendendo il suo futuro incerto. Detto questo, si può probabilmente ipotizzare che Calypso sia tornata a lavorare a Londra e che probabilmente collaborerà di nuovo con Kraven – Il Cacciatore per aiutarlo a scovare altri bersagli in futuro. È anche logico che Sergei voglia saperne di più sulla pozione che gli ha salvato la vita per ben due volte, soprattutto dopo la conferma che Calypso aveva un altro elisir.

Il vero significato del finale di Kraven – Il Cacciatore spiegato

In definitiva, il vero significato del finale di Kraven – Il Cacciatore è piuttosto difficile da decifrare completamente, considerando la natura generale del terzo atto, così come le decisioni probabilmente inusuali di Sergei e Dimitri dopo la morte del padre. Ciò è particolarmente vero per la decisione di Kraven di non solo indossare il dono del padre, ma anche di uccidere Nikolai. Per esempio, avrebbe avuto più senso per Kraven rompere il ciclo dell’oscurità risparmiando la vita del padre.

Inoltre, avrebbe potuto avere più senso che Sergei scartasse il giubbotto dopo averlo provato, invece di abbracciare troppo rapidamente la strada che suo padre gli ha tracciato negli ultimi due minuti di Kraven – Il Cacciatore. In ogni caso, sembra proprio che il finale del film sia troppo affrettato. Semplicemente, non sfrutta appieno il potenziale che era stato creato in precedenza nel nuovo film della Marvel.

Il trailer di Kraven – Il Cacciatore

The Day Of The Jackal – Stagione 2: la prossima missione dello sciacallo anticipata dai produttori esecutivi

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Gli EP di The Day Of The Jackal anticipano le missioni della seconda stagione dello Sciacallo (Eddie Redmayne) e le sue motivazioni dopo il colpo di scena della prima stagione, che ha portato il remake televisivo su una strada diversa rispetto al film di Fred Zinnemann del 1973 e al romanzo di Frederick Forsyth del 1971. Non solo lo Sciacallo riesce a portare a termine un altro colpo quasi impossibile, ma sopravvive anche all’incontro faccia a faccia con l’agente dell’MI6 Bianca Pullman (Lashana Lynch), che avrebbe dovuto catturarlo.

Gareth Neame e Nigel Marchant, i produttori esecutivi della serie, spiegano a The Hollywood Reporter cosa succederà allo sciacallo nella seconda stagione, che ha già ricevuto il via libera. Neame rivela che “c’è una questione importante in sospeso” per lo sciacallo , con la moglie e il figlio dispersi e un debito da saldare. Marchant aggiunge che “sanno qual è la sua priorità, in termini di quale sarà la sua prossima missione”, ovvero la sua famiglia, ma se lo sciacallo avrà successo lo scopriremo nella seconda stagione. Ecco cosa hanno detto:

Neame: C’è una questione importante in sospeso.

Marchant: In realtà sappiamo qual è la sua priorità, in termini di quale sarà la sua prossima missione. Sta cercando di trovare [la sua famiglia]. Se ci riuscirà o meno, staremo a vedere.

Cosa significa questo per The Day Of The Jackal – Stagione 2

Eddie Redmayne in The Day Of The Jackal

Lo sciacallo è impegnato in una missione diversa

Sembra che la seconda stagione riprenderà da dove si è conclusa la prima. Lo sciacallo ha dovuto lottare molto durante la sua ultima missione per eliminare un miliardario del settore tecnologico, Ulle Dag Charles, alias UDC (Khalid Abdalla). Assoldato dal concorrente Dance Timothy Winthrop (Charles Dance), l’assassino avrebbe dovuto impedire il lancio di River. Tuttavia, lo sciacallo non riesce a sparare al momento del lancio. Ci riprova nel finale di due episodi e porta a termine il lavoro.

La complicazione è seguita da un altro problema quando lo sciacallo incontra Zina (Eleanor Matsuura), che dovrebbe consegnargli il resto del compenso, ma Winthrop non ha intenzione di pagare per l’omicidio e ha messo entrambi nel mirino. C’è un debito da saldare, ma lo sciacallo lascia l’incontro, lasciando intendere che prima andrà a cercare sua moglie e suo figlio. Il commento dei produttori esecutivi conferma la destinazione del soldato d’élite diventato assassino di Redwayne e il diverso tipo di missione che condurrà nella seconda stagione.

Matt Murdock è sul caso nella nuova immagine di Daredevil: Born Again

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Il ritorno di Matt Murdock (Charlie Cox) è quasi vicino. TV Line ha pubblicato una nuova immagine di Daredevil: Rinascita, la prossima serie televisiva Disney+ che segnerà il ritorno dell’eroe introdotto nello show di Netflix. La nuova immagine mostra Charlie Cox nei panni di Matt Murdock e, sebbene il personaggio possa sembrare un innocente avvocato che cerca semplicemente di rendere il mondo un posto migliore, Murdock punisce segretamente i criminali di New York City come Daredevil. L’imminente serie televisiva porterà il protagonista lungo un percorso che lo ricongiungerà al suo più grande nemico, il Kingpin (Vincent D’Onofrio).

Daredevil: Born Again ha subito un complicato processo di sviluppo da parte di Disney+. Quando Netflix ha deciso di staccare la spina a Daredevil, molti fan in tutto il mondo volevano ancora vedere altre grintose avventure del vigilante. Fortunatamente, Charlie Cox è tornato a vestire i panni di Matt Murdock durante gli eventi di Spider-Man: No Way Home. Quella che era iniziata come una piccola apparizione nel sequel guidato da Tom Holland si è trasformata in un ritorno in She-Hulk: Attorney at Law e in Echo di quest’anno. Il palcoscenico è stato preparato perché Daredevil possa divertire ancora una volta il pubblico quando salverà la città in Daredevil: Born Again.

Alcuni vecchi amici tornano in Daredevil: Born Again

Matt Murdock e Wilson Fisk non saranno gli unici personaggi della serie Netflix a tornare in televisione dopo la prima di Daredevil: Born Again. Karen Page (Deborah Ann Woll) e Foggy Nelson (Elden Henson) torneranno per aiutare Matt Murdock nella sua vita da avvocato. Oltre a riunirsi con i suoi amici, Daredevil incrocerà ancora una volta il suo rivale di sempre, il Punitore (Jon Bernthal).

Daredevil: Born Again debutterà su Disney+ il 4 marzo 2025. Fino ad allora, le prime tre stagioni di Daredevil sono disponibili in streaming su Disney+.

Iscriviti a Disney+ per guardare Daredevil: Born Again e molto altro. Dove vuoi, quando vuoi.

Dream Productions: recensione della nuova serie nel mondo di Inside Out

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Sulla scia del travolgente successo al box office di Inside Out 2, arriva Dream Productions (qui il trailer), la nuova serie animata ambientata nello stesso universo Pixar, che arricchisce il mondo di Riley. La serie, diretta da Mike Jones e prodotta da Jaclyn Simon, adotta lo stile del mockumentary per raccontare le vicende dello studio cinematografico all’interno della mente della giovane protagonista, dove i sogni prendono forma ogni notte, con un’attenzione maniacale ai dettagli ma sempre rispettando tempi e budget.

Un vero e proprio set, insomma, con tutti i pregi, i difetti, le situazioni di scontro e quelle irresistibilmente comiche. Disponibile dal 20 dicembre in esclusiva su Disney+, Dream Productions si fonda principalmente su un umorismo leggero indirizzato alla rappresentazione della vita di set, che riesce a virare su riflessioni più intime e profonde quando lo sguardo si allarga verso il mondo della protagonista.

Dream Productions propone una storia brillante e surreale

La trama si sviluppa tra gli eventi di Inside Out e Inside Out 2. Riley si sta affacciando all’adolescenza, un periodo cruciale in cui emozioni e ricordi vengono continuamente rielaborati. È qui che entra in scena la Dream Productions, il reparto che trasforma i ricordi e le emozioni in sogni: dai semplici episodi notturni alle narrazioni più elaborate che aiutano Riley a elaborare i momenti più complessi della sua vita, talvolta aiutandola a prendere delle decisioni. Al centro della serie troviamo la regista Paula Persimmon (doppiata in originale da Paula Pell), un’esperta professionista che deve affrontare una sfida impegnativa: creare un sogno di successo collaborando con Xeni (Richard Ayoade), un regista ambizioso e sperimentale proveniente dal reparto “sogni a occhi aperti”.

Questa dinamica tra Paula e Xeni rappresenta una parte importante della serie, a cui si unisce anche il viaggio personale di Janelle (Ally Maki) la brillante assistente di Paula che cerca la promozione e la sua possibilità di diventare regista dei sogni di Riley. La prima è una veterana pragmatica, abituata alle difficoltà di produzione, il secondo è un sognatore, pieno di idee stravaganti ma poco pratiche, la terza è il contraltare perfetto per Paula: giovane, aperta al cambiamento, l’ideale per accogliere i nuovi sogni da adolescente della loro bambina. L’interazione tra queste tre spinte differenti dà vita a momenti di grande comicità e rappresenta una metafora del contrasto tra creatività e realismo, tra passato e presente, un tema che risuona non solo nel mondo del cinema, ma anche nella vita quotidiana.

Il fascino dello stile mockumentary

L’approccio mockumentary permette di esplorare il mondo di Riley da un punto di vista ironico e metanarrativo. Gli spettatori sono introdotti ai dettagli dello studio di produzione, completo di dipendenti bizzarri, problemi tecnici, e pressioni lavorative che riflettono situazioni comuni nel mondo reale e nella vita di set. Questo stile dà alla serie freschezza e rende Dream Productions accessibile sia ai bambini, che apprezzeranno l’umorismo slapstick e le situazioni surreali, sia agli adulti, che coglieranno le sfumature più satiriche e riflessive.

I sogni: tra ordine e caos

Se Dream Productions soffre dello stesso “difetto” di Inside Out – ovvero il bisogno di razionalizzare qualcosa di intrinsecamente irrazionale – lo fa con una consapevolezza che rende questo limite quasi perdonabile. La narrazione non si perde mai completamente nella logica, lasciando spazio a momenti surreali e imprevedibili che mantengono viva la magia del mondo Pixar.

Uno dei punti più interessanti, ma anche più controversi, di Dream Productions è il modo in cui cerca di dare una struttura organizzata ai sogni. Questo approccio è coerente con il mondo di Inside Out, dove la mente umana è rappresentata come un sistema altamente ordinato, ma rischia di allontanarsi dall’essenza stessa del mondo onirico, che per definizione è caotico e destrutturato.

Nonostante ciò, la serie riesce a trovare una strada costruttiva, soprattutto per il pubblico più giovane. Dream Productions suggerisce che i sogni non sono solo una fuga dalla realtà, ma possono servire come strumento per affrontare e dipanare le difficoltà. Che si tratti di un’idea illuminante o di un conforto in un momento difficile, i sogni sembrano fornire un supporto che viene da dentro di noi, quasi a suggerire che abbiamo già tutte le risorse necessarie per affrontare le nostre sfide.

Il mondo di Iside Out si arricchisce

Dream Productions si inserisce con grazia nell’universo di Inside Out, arricchendolo con nuovi personaggi e un’ambientazione originale. Nonostante i design pigri dei personaggi protagonisti, persino più pigri di quelli delle “classiche” emozioni alla consolle di Riley, e qualche limite nella rappresentazione del mondo onirico, riesce a intrattenere con uno scopo costruttivo, perfetto per i più giovani ma in grado di parlare anche agli adulti. Se vi manca la mente di Riley, l’uscita su Disney+ di questa serie è provvidenziale.

Willem Dafoe: intervista a uno dei protagonisti di Nosferatu di Robert Eggers

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Ecco la nostra intervista a Willem Dafoe, l’attore che interpreta il Professor Albin Eberhart Von Franz in Nosferatu, di Robert Eggers, che racconta di nuovo la fiaba oscura del Conte Orlock, come aveva fatto Murnau prima di lui, nel 1922, e Werner Herzog dopo, nel 1979.

Tutto quello che sappiamo su Nosferatu

Nosferatu è interpretato da Bill Skarsgård, che sostituisce il trucco da clown di Pennywise con le zanne affilate del Conte Orlock, nonché da Nicholas HoultAaron Taylor-JohnsonEmma Corrin e Lily-Rose Depp. Il film riunisce inoltre Eggers con Willem Dafoe, che ha interpretato in modo memorabile un ex marinaio irascibile in The Lighthouse e che è apparso anche nel precedente film del regista, The Northman. L’epopea vichinga vedeva protagonista il fratello di Skarsgård, Alexander Skarsgård, nel ruolo di un guerriero norreno con una massa grassa impressionante e addominali formidabilmente cesellati.

Nosferatu è basato sul capolavoro espressionista tedesco del 1922 diretto da F. W. Murnau – la realizzazione di quel film ha ispirato il film del 2000, completamente fittizio, L’ombra del vampiro, che ha visto protagonista Dafoe, candidato all’Oscar, nel ruolo di un succhiasangue realmente esistito, arruolato per interpretare il ruolo di Orlock. Qui l’attore interpreta invece un assassino di vampiri. Nosferatu è stato anche rifatto nel 1979 da Werner Herzog come Nosferatu il vampiro, con il suo frequente collaboratore Klaus KinskiNosferatu arriverà al cinema a partire dal 1 gennaio.

Secret Level: recensione della serie di Tim Miller

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Secret Level: recensione della serie di Tim Miller

Secret Level, la nuova serie antologica animata di Prime Video, debutta il 10 dicembre con l’ambizioso obiettivo di omaggiare alcuni tra i videogiochi più iconici di sempre. Creata da Tim Miller (qui la nostra intervista) e prodotta dal suo Blur Studio, la serie porta in scena quindici racconti brevi, ognuno ambientato negli universi di franchise videoludici differenti, e vanta un cast stellare che include Arnold Schwarzenegger, Keanu Reeves, Temuera Morrison, e molti altri.

Secret Level propone un format familiare e un approccio variegato

Le serie antologiche si distinguono per la loro natura episodica: ogni puntata rappresenta una storia autonoma con narrazione verticale. Secret Level segue questa formula, proponendo episodi che spaziano tra generi e atmosfere, da fantasy a fantascienza, da azione ad horror, offrendo una celebrazione della varietà del medium videoludico. Tra gli universi rappresentati, troviamo Dungeons & Dragons, Warhammer 40K, Unreal Tournament, e persino un’interpretazione sorprendente e inquietante di Pac-Man. Tutto sotto la guida di Tim Miller, che ha selezionato e scelto personalmente gli universi da visitare, e affidando ognuno di essi a un gruppo di lavoro diverso e ricco di voci e punti di vista differenti.

Ciascun episodio riflette lo spirito del gioco di riferimento, grazie alla capacità del team di Miller di adattarsi alle specificità di ogni IP. Tuttavia, questa varietà è talvolta limitata da narrazioni troppo semplici e talvolta ripetitive, nel caso in cui si dovesse scegliere di fruire la serie in binge watching. La durata breve degli episodi (tra 10 e 30 minuti) non sempre consente di sviluppare trame complesse, e molte puntate si limitano a esplorare un’idea centrale senza andare oltre. Tuttavia questa carenza drammaturgica viene spesso equilibrata da uno sforzo tecnico ulteriore che arricchisce l’episodio e lo rende un’esperienza visiva impareggiabile. L’esempio perfetto è il segmento dedicato a Sifu: la breve storia ricalca il gioco originale, senza aggiungere nuove prospettive, ma visivamente presenta delle animazioni mozzafiato e una regia ricercata che fa invidia a buona parte degli action in circolazione.

L’eccellenza visiva di Blur Studio

Sul piano tecnico, Secret Level mostra tutta l’expertise di Blur Studio nella CGI. La maggior parte degli episodi utilizza animazione 3D classica, optando per il fotorealismo in diversi casi, sempre a seconda del mondo che si mette in scena. La scelta stilistica appare più cauta rispetto al precedente lavoro di Blur, Love, Death & Robots, che si spingeva più in là dal punto di vista della sperimentazione. E infatti, nei casi in cui Secret Level osa, i risultati sono notevoli: il riferimento è agli episodi dedicati a Pac-Man e Spelunky, in cui drammaturgia e linguaggio fanno un passo avanti per sviluppare la PI di partenza.

La regia, comunque, è efficace nel catturare momenti spettacolari e coreografie di combattimento mozzafiato. Le puntate con una concezione dell’azione più classica, come quelle ispirate a Unreal Tournament e Warhammer 40K, offrono un’esperienza visivamente appagante, grazie a sequenze fluide e dinamiche.

Secret Level vanta un cast stellare

Uno degli aspetti più pubblicizzati di Secret Level è il suo cast di voci, che include nomi di grande richiamo. Arnold Schwarzenegger, Keanu Reeves, Gabriel Luna sono solo alcune delle star che contribuiscono a dare vita ai personaggi della serie. Le performance sono generalmente convincenti, con momenti di spicco come la recitazione intensa di Ricky Whittle e Claudia Doumit in Crossfire. Certo, si tratta pur sempre di ruoli piccoli, quasi comparse, ma ogni dettaglio contribuisce a rendere ogni episodio un piccolo gioiello, un viaggio in un mondo affascinante che, in ogni caso, ci sembra di conoscere e che poi si rivela anche altro.

Un mosaico di proprietà intellettuali di diverso “livello”

Un aspetto molto interessante del progetto è come si è lavorato sulle diverse proprietà intellettuali a cui Miller ha avuto accesso. Secret Level sfrutta non solo titoli leggendari come Dungeons & Dragons e Warhammer 40K, ma anche franchise meno noti o che necessitano di promozione, come New World di Amazon Gaming o il cancellato Concord. Questa scelta da una parte potrebbe generare meno interesse verso gli episodi di universi più “deboli”, dall’altro però permette una maggiore libertà e creatività laddove i franchise scomodati sono meno canonizzati nelle menti degli spettatori. Il risultato è un’esperienza sempre stimolante e fresca.

Un atto d’amore verso i videogiochi

Secret Level è una serie ambiziosa che celebra il mondo dei videogiochi, e che si ingegna per sfruttare sempre al massimo il potenziale di quello che si sceglie di raccontare. Una seconda stagione potrebbe senza dubbio però spingere di più l’acceleratore sui limiti narrativi dei singoli episodi, rendendo lo show un’esperienza ancora più stimolante per lo spettatore. La serie rappresenta un punto di partenza solido, in cui si manifesta una forte volontà di sperimentazione che in questo periodo di ripetitività tecnica è un’oasi preziosa e da valorizzare.

L’Amica Geniale – Storia della bambina perduta: recensione del finale di stagione e di serie

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Volge al termine, con due episodi dolorosi e liberatori, la quarta e ultima stagione dell’adattamento della tetralogia scritta da Elena Ferrante e lette (e guardata) in tutto il mondo, L’Amica Geniale: Storia della bambina perduta. Gli ultimi due episodi”La Scomparsa” e “La Restituzione”, chiudono chiudono un quarto ciclo che, pur mantenendo alcuni dei temi centrali del romanzo, si discosta significativamente nella narrazione e nello sviluppo dei personaggi. Questo distacco, se da un lato apre nuove possibilità interpretative, dall’altro mina la coerenza emotiva e stilistica che ha caratterizzato l’opera letteraria, lasciando spesso un senso di incompiutezza.

La Scomparsa, il punto di non ritorno

Il titolo di questo quarto romanzo (e della rispettiva serie) dovrebbe aver messo gli spettatori condizione di non rimanere troppo sorpresi di fronte alla svolta drammatica che questo episodio porta al finale della serie. “La Scomparsa” si concentra su un evento tragico: la sparizione di Tina, la figlia di Lila e Enzo, che segna un punto di non ritorno per tutti i protagonisti. L’episodio inizia con una serie di tensioni familiari: la piccola Emma comincia a sentire con forza l’esigenza di avere anche lei una figura paterna, e Nino come da aspettativa non eccelle nell’essere presente per la figlia. Tuttavia, riesce a trovare il tempo di fare visita alla bambina al rione, in occasione del mercato domenicale. Mentre Lila tiene Imma in braccio e conversa rapita con Nino, Tina scompare. La bimba non si trova più: le ricerche si intensificano, ma si rivelano vane, lasciando un vuoto devastante. Che fine ha fatto la piccola e brillante Tina? 

L’episodio è così devastante per tutti i personaggi coinvolti che sembra che da quel momento le tragedie e i dolori non possano fare altro che aumentare. Gennaro, il fratello di Lila, viene trovato morto, sopraffatto dalla droga; Generino, il primogenito di Lila, anche lui preda della dipendenza, ripudia suo padre Stefano, ridotto all’ombra di se stesso, e rende complicatissima la vita della madre e di Enzo, ormai vero e proprio padre adottivo del giovane. Intanto Lila è quello che più di tutti subisce le devastanti conseguenze della scomparsa della bimba: convinta che Tina sia ancora viva, cede in una spirale di follia. Il monologo immaginato da Lenù, che tenta di ricostruire il pensiero di un’amica ormai irraggiungibile, è un tocco narrativo interessante ma poco incisivo. La serie sembra più interessata a raccontare il lento disfacimento della comunità che a soffermarsi sulle implicazioni psicologiche che non siano teatrali.

La vicinanza di Elena diventa salvifica per Lila, la mantiene ancorata alla realtà, ma l’omicidio dei fratelli Solara renderà l’ambiente del rione sempre più pericoloso e tossico per la donna che, con tre figlie, cercherà di mettersi al riparo da quella violenza, una volta per tutte.

La Restituzione (di Tina e Nu)

Arrivati all’ultimo episodio di L’Amica Geniale: Storia della bambina perduta, ci troviamo di fronte a una serie di scelte narrative che movimentano l’addio alla storia e allo stesso tempo ne viziano l’elegante fissità che aveva fatto dell’ultimo romanzo della tetralogia un piccolo capolavoro di riflessione sull’esistenza, sui dolori e le perdite, soprattutto sul tempo che passa e sui sentimenti, gli affetti che restano, pur nelle loro storture. Ebbene, per l’adattamento di un romanzo così potente si è pensato bene di abbassare il tono e di aggiungere alla storia svolte da soap opera che confondono le acque e il racconto dei personaggi. Nel decimo episodio torna alla ribalta Pasquale, che viene arrestato per aver assassinato Michele e Marcello Solara.

Parte dell’episodio è dedicato ai tentativi di Lenù di intercedere per lui tramite le conoscenze politiche di Nino, il quale, neanche a dirlo, si rivela poco utile. Più avanti nella storia, sembra che Generino e Dede, primogenita di Elena, si innamorino, tuttavia scopriamo poi che il figlio di Lila scapperà di casa con Elsa, la secondogenita di Lenù, una svolta del tutto inaspettata, sia per la madre in pena, che per gli spettatori a dir poco sorpresi. Elena parte allora con Enzo per recuperare i ragazzi a Bologna, ma scopre che sono dalla nonna. Questa importante deviazione rispetto al materiale originale da una parte genera perplessità, soprattutto per la superficialità con cui viene trattata sia la vicenda di Pasquale (lui, a differenza degli altri interpreti, non è “cresciuto” avendo sempre il volto di Eduardo Scarpetta) che quella di Gennarino e Elsa, dall’altra dà finalmente la possibilità a Enzo di emergere, con un toccante monologo che Pio Stellaccio ci regala con una grande autenticità e commozione.

L’addio al rione, che segue queste sgangherate vicende, è un momento cruciale per Lenù, come si può ben intuire, tuttavia anch’esso è poco valorizzato. Addirittura l’ultimo saluto tra lei e Lila appare freddo e convenzionale, due caratteristiche che non hanno niente a che vedere con nessuno dei due personaggi. Elena parte quindi per Torino, mentre le sue figlie maggiori prendono strade diverse: Dede va a New York dal padre, seguita anni dopo da Elsa, mentre Enzo, che capisce che non ha più un posto accanto a Lila, si trasferisce a Milano. Nino, nel frattempo, viene arrestato, per lui un epilogo che appare affrettato, ma che comunque ci regala una certa soddisfazione, qualunque siano le ragioni dell’arresto, che non vengono condivise.

L’ultima sequenza, ci riporta lì dove tutto era cominciato: un’anziana Elena viene svegliata dalla telefonata di Gennarino, spaventato perché da 48 ore “mammà non s’ trov’”. Lila decide così di sparire, disfarsi nel nulla, portando con sé tutte le fotografie, gli oggetti personali, tutto ciò che testimonia il suo passaggio nel mondo, sparisce per unirsi alla sua Tina, mai dimenticata, lasciando dietro di sé soltanto un figlio smarrito, e una vaga perplessità nella mente della sua amica. Alla quale però dedica il suo ultimo pensiero, prima di dissolversi: rientrando a casa, un giorno, Elena trova nella cassetta della posta Tina e Nu, le bambole di pezza che avevano perso da bambine.

L’Amica Geniale – Storia della bambina perduta perduta rinuncia alla poesia in favore della televisione

Con un adattamento poco fedele principalmente nello spirito del racconto, la quarta stagione de L’Amica Geniale chiude in anti-climax una delle serie che a ragione verranno ricordate come uno dei migliori prodotti televisivi della produzione italiana. E nonostante questo, la quarta stagione è senza dubbio il momento più basso di questa trasposizione quasi sempre elegante e preziosa. La tendenza constante di questo quarto ciclo è stata quella di operare un abbassamento di tono costante, una trivializzazione del materiale di partenza che, come dote principale aveva quella di rendere alti e poetici anche i discorsi più volgari e carnali. Probabilmente perché la scrittura consente l’utilizzo di metafore e sottintesi che la serie, come linguaggio di comunicazione, pretende di mostrare con le immagini. La serie perde quella capacità di Ferrante di rendere sublimi anche gli eventi più violenti, sporchi e quotidiani, scadendo talvolta in una rappresentazione ruvida che suscita più ilarità che empatia.

Ma non è solo un “problema” di tono: i personaggi secondari, in particolare Generino, le figlie di Elena e Alfonso, sono trattati con superficialità, preferendo il cliché all’approfondimento psicologico, un difetto che si riscontra esclusivamente nelle scelte di scrittura, e non nelle interpretazioni degli attori che rimangono uno dei punti forti della serie, con la sola eccezione di Alba Rohrwacher, quasi condannata a una Elena che proprio non le calza. Nonostante questa forzatura, è lei la vera protagonista della serie, non solo voce narrante ma anche punto di vista dal quale percepiamo tutto e tutti, mentre il personaggio di Lila, interpretato splendidamente da Irene Maiorino, rimane un personaggio secondario, letto attraverso il filtro dell’amica e mai (più) centro vivo, selvaggio e propulsivo dell’azione.

Il potenziale emotivo dell’opera viene solo parzialmente sfruttato, rendendo questi ultimi episodi un’occasione mancata per onorare appieno il capolavoro letterario da cui traggono origine.

Scissione: trailer della seconda stagione dal 17 gennaio 2025 su Apple TV+

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Ieri dal Thunder Stage del CCXP24 di San Paolo, Brasile, Apple TV+ ha presentato il trailer dell’attesissima seconda stagione di Scissione, con il creatore, scrittore e produttore esecutivo della serie Dan Erickson, il protagonista e produttore esecutivo Adam Scott e le star Britt Lower e Tramell Tillman che si sono uniti ai fan per condividere un’esclusiva anticipazione di ciò che ci aspetta per gli innies e gli outies delle Lumon Industries. La seconda stagione di Scissione, composta da 10 episodi, farà il suo debutto su Apple TV+ il 17 gennaio 2025 con il primo episodio seguito da nuove puntate ogni venerdì fino al 21 marzo.

Il thriller ambientato sul posto di lavoro acclamato dalla critica e vincitrice di un Emmy e di un Peabody Award, è ideato dal produttore esecutivo e regista Ben Stiller ed è interpretato dal candidato all’Emmy Adam Scott, Britt Lower, Tramell Tillman, Zach Cherry, Jen Tullock, Michael Chernus, Dichen Lachman, il vincitore dell’Emmy John Turturro, il premio Oscar Christopher Walken e la vincitrice dell’Oscar e dell’Emmy Patricia Arquette e dà il benvenuto nella seconda stagione ai nuovi series regular Sarah Bock e Ólafur Darri Ólafsson.

La trama della seconda stagione di Scissione

In Scissione Mark Scout (Adam Scott) guida un team di lavoro della Lumon Industries i cui dipendenti sono stati sottoposti a una procedura di scissione, che divide chirurgicamente i loro ricordi professionali da quelli personali. Questo audace esperimento di “equilibrio tra lavoro e vita privata” viene messo in discussione quando Mark si ritrova al centro di un mistero da svelare che lo costringerà a confrontarsi con la vera natura del suo lavoro… e di se stesso. Nella seconda stagione, Mark e i suoi amici scoprono le terribili conseguenze derivanti dall’aver giocato con la barriera della separazione, che li trascinerà ulteriormente lungo un percorso di guai e dolore.

“Scissione” è prodotta esecutivamente da Ben Stiller, che dirige anche cinque episodi della nuova stagione, alternandosi alla regia con Uta Bresiewitz, Sam Donovan e Jessica Lee Gagné. La serie è scritta, creata e prodotta esecutivamente da Dan Erickson. La seconda stagione è prodotta anche da John Lesher, Jackie Cohn, Mark Friedman, Beau Willimon, Jordan Tappis, Sam Donovan, Caroline Baron, Richard Schwartz, Nicholas Weinstock. Oltre a essere protagonisti, Adam Scott e Patricia Arquette sono anche produttori esecutivi. Fifth Season è lo studio.

La prima stagione completa di Scissione, disponibile in streaming su Apple TV+, è stata acclamata dal pubblico e dalla critica internazionale e, oltre a vincere gli AFI Awards, ha ottenuto 14 nomination agli Emmy, tra cui Outstanding Drama Series, Outstanding Directing for a Drama Series (Ben Stiller), Outstanding Lead Actor in a Drama Series (Adam Scott) e Outstanding Writing for a Drama Series, aggiudicandosi i premi nelle categorie Outstanding Music Composition for a Series e Outstanding Main Title Design. La serie ha ottenuto anche due Writers Guild of America Awards come Miglior nuova serie e Miglior serie drammatica, oltre a due nomination agli Screen Actors Guild Awards e una nomination ai Producers Guild e ai Directors Guild Awards.

Black Doves: gli eventi reali che hanno ispirato la serie di Netflix e Keira Knightley

Il creatore di Black Doves di Netflix spiega l’ispirazione reale alla base della serie. In uscita il 5 dicembre, Black Doves è una serie Netflix che racconta la storia di una donna di nome Helen che intraprende una relazione appassionata. L’unico problema è che Helen ha un’identità segreta che mette in grave pericolo il suo nuovo amante. Black Doves vanta un cast di tutto rispetto, tra cui Keira Knightley, Ben Whishaw, Andrew Koji, Tracey Ullman, Sarah Lancashire e Andrew Buchan. È stata creata da Joe Barton e avrà sei episodi nella sua prima stagione.

In un’intervista a RadioTimes, il creatore Barton spiega l’ispirazione reale dietro Black Doves. Il creatore racconta che stava “leggendo anche di quei poliziotti spia” che “si erano infiltrati in quel gruppo ambientalista.” Da lì ha tratto ispirazione per scrivere una storia su “quella doppiezza di avere un matrimonio finto che dura anni e anni e anni e poi scompare.” Sono stati questi eventi reali a diventare l’ispirazione per Black Doves. Ecco la citazione completa di Barton:

Stavo leggendo anche di quei poliziotti spia, quei tizi che si erano infiltrati in quel gruppo ambientalista e avevano finito per avere dei figli con loro. Insomma, una storia davvero orribile, molto più oscura di questa.

Ma ho pensato: OK, questa idea, questa doppiezza di un matrimonio finto che dura anni e anni e anni e poi scompare. Credo che anche questo abbia contribuito a ispirarmi.

Cosa significa questa ispirazione per Black Doves

In questa intervista, Barton fa riferimento allo scandalo dei “poliziotti spia”. Questo evento reale ha coinvolto membri della polizia britannica sotto copertura che hanno iniziato relazioni intime con gruppi di protesta. Questi scandali hanno avuto luogo principalmente nel 2010 e nel 2011 e hanno portato ad azioni legali contro questi agenti, alcuni dei quali hanno sposato o avuto figli con le persone che volevano ingannare. I principali gruppi presi di mira da questo scandalo dei poliziotti spia erano gruppi di difesa della giustizia sociale e ambientale.

Questo collegamento con la realtà potrebbe aiutare Black Doves a sembrare ancora più credibile agli occhi dei britannici o di chiunque sia a conoscenza della storia degli “spy cops”. Nella serie, la protagonista Helen è una spia nel vero senso della parola, poiché lavora per un’organizzazione di super spie chiamata Black Doves. Sarà affascinante vedere cosa succederà a Helen nella sua storia romanzata in Black Doves e come questa potrà rispecchiare o meno gli eventi reali.

The Bad Guy 2: la recensione della serie Prime Video

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The Bad Guy 2: la recensione della serie Prime Video

È bene dirlo senza mezzi termini: la seconda stagione di The Bad Guy, disponibile su Prime Video dal 5 dicembre e ancora una volta diretta dal duo Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana, conferma e supera le aspettative, offrendo un’avvincente seguito della storia di Nino Scotellaro, ex magistrato diventato spietato malavitoso. Con il suo mix di riferimenti al cinema d’azione anni ’90 e un profondo radicamento nella realtà italiana, la serie si impone come uno dei prodotti più interessanti del panorama televisivo contemporaneo.

Un omaggio al grande cinema e alla cultura pop

Era chiaro dall’inizio che The Bad Guy fosse un prodotto creato da chi ama il cinema. La passione dei registi per maestri come Tony Scott, Michael Bay, John Woo e Quentin Tarantino permea ogni episodio, donando alla serie una dimensione cinematografica che la rende unica. A questi riferimenti si aggiungono influenze pop e più contemporanee che danno alla serie il suo tono così specifico: c’è dramma e emozioni forti, ma anche ironia, gusto per il grottesco e commedia. Nino Scotellaro è proprio un Walter White che affronta una sua discesa del suo personale inferno per trasformarsi in Balduccio Remora, senza via di ritorno.

Un protagonista sempre più complesso

La seconda stagione riparte esattamente dal punto in cui si era conclusa la prima: Nino (Luigi Lo Cascio) si trova faccia a faccia con il suo nemico giurato, Mariano Suro (Antonio Catania). Ma la vendetta deve attendere. L’archivio, una cassetta contenente prove scottanti di rapporti tra Stato e mafia, diventa il fulcro della trama. Nino è sempre più combattuto tra il richiamo della sua vita precedente, rappresentata principalmente da Lui e Leo, e la crescente attrazione per il potere e il controllo che il suo nuovo ruolo gli offre. Questa evoluzione è esplorata con grande attenzione e consapevolezza: vediamo un uomo che, nonostante tutto, sembra ancora lottare per qualcosa di giusto, anche quando le sue azioni raccontano il contrario.

The Bad Guy (s): Stefano Accorsi è la grande novità

Tra le tante sorprese di questa stagione, spicca Stefano Accorsi nel ruolo di Stefano Testanuda, agente segreto dalla moralità ambigua e dall’aspetto fuori dagli schemi. Con capelli biondi e un’aria glaciale, Accorsi si diverte e diverte, rendendo il suo personaggio una scheggia impazzita: la sua entrata in scena è già un momento iconico. Si è forse sempre detto troppo poco della bravura di Accorsi, relegato per chiari meriti estetici troppo spesso al “bello della storia”: Stefano Accorsi è versatile e talentoso e soprattutto ha dimostrato che quando non si prende troppo sul serio è in grado di regalare personaggi e interpretazioni memorabili.

the bad guy 2
_LugiLoCascio_ClaudiaPandolfi_TheBadGuy2_foto di Kimberley Ross

Un mondo di donne

Ma si sa che un personaggio, per quanto caratterizzato bene, non funziona mai da solo. Deve avere delle controparti all’altezza. Il cast di The Bad Guy 2 si arricchisce di nuovi volti che aggiungono dinamismo alla storia. Ma se Lo Cascio e Accorsi sono due pilastri di questa seconda stagione, sono le donne che fanno davvero il bello e il cattivo tempo. Claudia Pandolfi è ancora una volta convincente nel ruolo di Luvi Bray, moglie di Nino e avvocata divisa tra dovere e sentimenti contrastanti, la sua interpretazione è il cuore romantico della storia che mostra in quanti modi di possa amare un uomo totalmente. Selene Caramazza, nei panni della sorella di Nino e maresciallo dei carabinieri Leonarda Scotellaro, occupa un maggiore spazio narrativo, ed è il centro emotivo, viscerale, passionale della storia, perché è tutta istinto e non comprende l’aspetto calcolatore e compromissorio che invece appartiene a Luvi. Giulia Maenza (Teresa Suro) continua a sorprendere con un’interpretazione carismatica di una donna di potere che dribbla ogni cliché e offre un ritratto fresco e autentico. La passione dei registi per la cultura pop si svela anche nella scelta di alcuni precisi volti per comparse e piccoli ruoli: Aldo Baglio, in un’inedita parte drammatica, e Carolina Crescentini, che invece compare in un piccolo ruolo, sono veramente un regalo per lo spettatore.

Un racconto che non si concede distrazioni

Una delle caratteristiche distintive di The Bad Guy è la fiducia che i suoi creatori ripongono nello spettatore. Non c’è spazio per “spiegoni” o riassunti: tutto è lasciato all’azione e ai dettagli disseminati lungo la trama. Ogni inquadratura, ogni espressione e ogni oggetto di scena raccontano qualcosa, invitando chi guarda a non distrarsi nemmeno per un secondo. Questo approccio, in un’epoca dominata dal binge-watching bulimico, premia il pubblico con una narrazione densa e avvincente, che soprattutto basa la sua fidelizzazione sul tono specifico e inconfondibile che aveva già fatto la fortuna della prima stagione.

The Bad Guy 2 conferma i motivi del successo della prima stagione, riesce a tenere alta la tensione, approfondendo al contempo la psicologia dei personaggi e offrendo momenti di grande spettacolarità e divertimento. In attesa di un (inevitabile?) terzo capitolo che concluda la storia, questa seconda stagione è uno degli appuntamenti imperdibili di dicembre su Prime Video.

Uonderbois: recensione del primo episodio della serie Disney+

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Uonderbois: recensione del primo episodio della serie Disney+

Il 6 dicembre debutta su Disney+ Uonderbois, la nuova serie originale italiana prodotta per la piattaforma che si prefigge di portare lo spettatore in un viaggio straordinario tra le strade e i sotterranei di Napoli. Ideata da Barbara Petronio e Gabriele Galli, e diretta da Andrea De Sica e Giorgio Romano, la serie si presenta come un mix avvincente di folklore, avventura e un pizzico di magia. La prima puntata, che apre le porte al mondo unico e vibrante di Uonderbois, è un’introduzione affascinante e ricca di spunti e influenze.

La trama di Uonderbois, tra leggenda e realtà

La storia segue cinque ragazzi di dodici anni che vivono nei vasci di Napoli, stretti da un legame d’amicizia e da una fervida immaginazione alimentata dalle leggende popolari. I protagonisti sono accomunati dalla convinzione che la loro città sia abitata da Uonderboi, una figura mitologica che unisce la tradizione del Munaciello a un moderno supereroe, un Robin Hood dei vicoli napoletani. Questo mito diventa il punto di partenza per un’avventura epica che intreccia realtà e fantasia.

La puntata introduce rapidamente il conflitto principale: la Vecchia, la proprietaria dei vasci, sta per vendere le case dei ragazzi in cambio di una statuetta di Maradona all’interno della quale, si dice, sia nascosta la mappa di un tesoro. Questo innesco scatena una serie di eventi che porteranno i protagonisti a immergersi nei misteri della Napoli sotterranea, alla ricerca di un tesoro leggendario. L’elemento magico si mescola a un toccante senso di comunità e appartenenza, offrendo uno spaccato emozionante della vita nei quartieri popolari napoletani, ma soprattutto di un’infanzia che non ha ancora ceduto il passo all’adolescenza e cavalca ancora l’immaginazione con spirito d’avventura.

Un cast brillante in una Napoli al suo meglio

La prima puntata di Uonderbois presenta da subito il suo cast corale che include giovani talenti e volti noti del panorama italiano. Serena Rossi (quasi irriconoscibile nel trucco della Vecchia), Massimiliano Caiazzo e Francesco Di Leva spiccano per notorietà e carisma, ma chi brilla davvero sono i giovani protagonisti: nonostante la giovinezza, offrono performance credibili e appassionate, incarnando con naturalezza lo spirito vivace e ingenuo dell’infanzia, la totalizzante dedizione all’amicizia e all’avventura.

Napoli, degradata eppure bellissima, è un personaggio a sé stante. La regia di Andrea De Sica e Giorgio Romano valorizza la città in tutta la sua complessità: dai vicoli affollati ai misteriosi cunicoli sotterranei, indugiando presso gli affacci ariosi sul golfo, ogni scena è un omaggio visivo alla cultura partenopea. L’attenta alternanza di spazi chiusi e vedute aperte permette alle immagini di alternate luci e ombre, sottolineando con equilibrio il segreto di questa storia: la magia e la realtà convivono nello stesso spazio.

Una scrittura traballante

Un equilibrio ricercato anche nella scrittura, dove però fa più fatica a emergere, nonostante le fonti di ispirazione della serie siano evidenti. La premessa di Uonderbois ricalca esattamente quella de I Goonies, affaticandosi a rintracciarne la stessa naturalezza e ingenuità. Quello che invece la serie riesce a incorporare nella sua narrazione con naturalezza e efficacia è tutto il magmatico universo di leggende e credenze della tradizione napoletana, uno scrigno ricco e vivo da cui attingere.

La colonna sonora, arricchita da due brani inediti di Geolier – Ferrari e Parl’ cu mme –, aggiunge un tocco contemporaneo al sapore tradizionale del folklore locale, e si sposa perfettamente con l’atmosfera della serie.

Un debutto promettente

Esperienza insolita nel nostro panorama ma consapevole di maneggiare dei tropi che hanno caratterizzato la struttura del cinema d’intrattenimento statunitense con una enorme influenza sulla cultura pop, Uonderbois parla principalmente a un pubblico giovane, godendo di un felice connubio tra specificità locale e linguaggio universale. La prima puntata dà effettivamente solo un’idea di quello che sarà la serie, ma gli elementi per una grande avventura ci sono tutti.

Piece by Piece: recensione della biografia musicale animata di Pharrell Williams

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Piece by Piece è una biografia musicale narrata attraverso l’animazione LEGO, un’esperienza che sfida il cinismo e abbraccia una vibrante originalità. Presentato al Toronto Film Festival, il film, che nasce dalla collaborazione tra il regista Morgan Neville e il genio creativo di Pharrell Williams, reinventa il genere documentario mescolando vivacità visiva e narrativa pop.

Piece by Piece è un connubio inaspettato

L’idea di raccontare la vita di Pharrell tramite i LEGO è insolita, ma si rivela sorprendentemente azzeccata. La carriera del musicista e produttore si distingue per la capacità di mescolare elementi incongruenti in creazioni straordinarie. È facile immaginare un giovane Pharrell costruire mondi magici con pezzi presi da set LEGO diversi, proprio come mescolava hip-hop, disco e rock per creare il suo sound unico.

Neville sfrutta questo connubio per creare un’opera visiva che trasforma episodi della vita di Pharrell in scene animate piene di colori e fantasia. Non vediamo il progetto di edilizia popolare di Virginia Beach come un quartiere grigio e difficile, ma come una realtà solare e comunitaria. La scuola che Pharrell frequentava insieme a Timbaland e Missy Elliott diventa un’esplosione di luci e musica, una capsula di creatività pronta a scoppiare. Ogni nuovo beat prodotto dai Neptunes prende forma come sfere luminose e pulsanti, che sembrano emergere direttamente dalla sinestesia di Pharrell.

Una narrazione vivace

La scelta di un approccio LEGO permette a Piece by Piece di esprimere la gioia che è al centro della musica e della personalità di Pharrell. La sua ascesa da Virginia Beach al successo globale è una storia familiare, ma Neville la racconta con un tocco così giocoso che sembra nuova e insolita. I contributi di Pharrell a brani iconici come Superthug di NORE, Drop It Like It’s Hot di Snoop Dogg e l’inno Alright di Kendrick Lamar vengono visualizzati con un brio che rende giustizia alla loro importanza culturale.

Le interviste con Missy Elliott, Jay-Z, Gwen Stefani e Pusha T arricchiscono la narrazione, creando un ritratto collettivo che celebra l’impatto di Pharrell sul mondo della musica. Ma questa componente allegra e positiva è bilanciata da aspetti più emotivi che certo non mancano in un racconto biografico: le riflessioni su sua nonna, che lo ha incoraggiato fin dall’inizio, e le difficoltà creative che ha affrontato nel bilanciare l’arte con le pressioni del business, aggiungono profondità emotiva.

Un trionfo visivo con qualche limite

Visivamente, Piece by Piece è un trionfo. L’animazione LEGO non è solo un espediente, ma una scelta narrativa che amplifica la creatività del soggetto. Tuttavia, questo approccio ha i suoi limiti. La rappresentazione LEGO, per quanto brillante, manca della capacità di catturare le espressioni umane con la stessa profondità di un documentario tradizionale. Le teste di plastica e i sorrisi stampati non riescono sempre a trasmettere le sfumature delle emozioni reali.

Inoltre, la natura profondamente giocosa del film a volte riduce il dramma intrinseco della storia di Pharrell. Sebbene le sue sfide creative e personali vengano affrontate, il tono rimane ottimistico al punto che i conflitti sembrano appena accennati.

Il peso di un successo chiamato Happy

Un capitolo interessante e ambivalente è quello dedicato a Happy, la canzone che ha definito la carriera di Pharrell. Creata per un progetto commerciale, Happy ha avuto un impatto universale in un periodo segnato dall’ascesa del movimento Black Lives Matter e dalle proteste contro la brutalità della polizia. Il film esplora questo contrasto con delicatezza, mostrando come il successo della canzone sia stato allo stesso tempo una benedizione e una fonte di riflessione.

Un esercizio di branding che funziona

Piece by Piece è un esercizio di branding mascherato da biografia, con tutto ciò che questo implica. È un branding fatto bene. Pharrell Williams emerge come un artista che vede il mondo attraverso una lente di infinita creatività e positività. Il film, con la sua estetica giocosa e i suoi ritmi coinvolgenti, prova a essere una celebrazione di quella visione. Siamo quindi di fronte a un’agiografia, più che a una biografia. E se da un lato questo punto di vista risulta poco interessante, dall’altro nulla ci impedisce di godere del film anche solo per la sua positiva e giocosa esplosione di colori. Dopotutto il “trattamento LEGO” ha il potere di rendere tutto migliore.

Black Doves: recensione della serie tv con Keira Knightley

Black Doves: recensione della serie tv con Keira Knightley

L’abbondanza di serie tv di stampo spy-action sulle piattaforme non è una cosa nuova: per definizione, la narrazioni che si muovono nel territorio dello spionaggio e contano su una marcata componente action sono tra i prodotti che più chiamano visualizzazioni. In un panorama ormai saturo all’inverosimile di queste proposte, è cosa rara incappare in un esperimento seriale che lasci, effettivamente, la sensazione di qualcosa di “fresco” allo spettatore. Per fortuna, questo è il caso di Black Doves, disponibile su Netflix dal 5 dicembre, sviluppata da Sister e Noisy Bear e con due noti attori britannici protagonisti: Keira Knightley e Ben Wishaw.

Black Doves: mia moglie è una spia

Tutto ha inizio una notte in cui tre persone vengono assassinate quasi contemporaneamente mentre parlano al telefono: chi sono e cosa stavano progettando? La serie parte da questo interrogativo concentrandosi nello specifico sulla morte di uno di loro, un certo Jason (Andrew Koji), che era l’amante di Helen (Knightley), la moglie del Ministro della Difesa (Andrew Buchan). Apprendiamo subito che Helen è in realtà una spia di un’organizzazione chiamata “Black Doves”, che risponde agli ordini di Reed (Sarah Lancashire), per cui è una sorta di insider a cui rivela tutti i segreti del marito politico.

La donna continua a ribadire che la sua relazione con Jason non nascondeva alcun sotterfugio compromettente per il suo lavoro, tutt’altro: era veramente innamorata del ragazzo, ed è per questo che decide di mettersi a indagare sulla sua morte. Lo fa con l’aiuto di un vecchio amico dell’organizzazione, Sam (Whishaw), che torna in Gran Bretagna dopo sette anni di clandestinità a causa di una storia precedente che ha avuto un impatto sulle vite di tutti e che verrà raccontata in flashback. Queste tre morti saranno l’iniziale “innesco” di un complicato conflitto internazionale poiché, in concomitanza con questi eventi, l’ambasciatore cinese in Gran Bretagna viene trovato morto: non tarda troppo tempo per capire che tutti questi eventi potrebbero essere collegati tra loro.

In Black Doves c’è tutto quello che ci aspetteremmo di trovare in una serie del genere: un’investigazione dall’assoluto grado di segretezza; una donna che, dietro la facciata della moglie perfetta, nasconde un’indole decisamente più dinamica; l’ampio respiro internazionale, con le nostre superspie in continuo movimento e, nel caso del personaggio di Whishaw, che non sembrano appartenere davvero a nessun luogo.

Una serie che sorprende

Grazie soprattutto a interpreti decisamente calati nella parte e alla scelta di incorporare un po’ di sano humor british, Black Doves regala al pubblico un’esperienza di visione soddisfacente. La serie cerca di caratterizzare al meglio i suoi volti di punta, tanto che la vita privata di questi assume un ruolo di primo piano nello sviluppo degli eventi. Anche se potrebbe sembrare che aderiscano alla fredda regola del non portare sul lavoro i conflitti casalinghi, qui non c’è intrigo internazionale in cui questi aspetti emotivi non siano almeno in parte coinvolti.

L’aspetto più problematico di Black Doves emerge a partire dalla metà della serie: i suoi personaggi di contorno sono così tanti e così poco definiti, che è molto difficile mantenere il livello di credibilità di cui questo tipo di show ha bisogno. Fortunatamente, come dicevamo, i due personaggi principali colmano le lacune, dando corpo e anima alla serie.

Il connubio tra action e comedy

Knightley, che torna sulla piattaforma dopo il film Lo strangolatore di Boston (2023), si afferma come baricentro drammatico di tutto ciò che accade, gestendo molto bene il classico conflitto dell’infiltrata che vive una doppia vita al punto da non riuscire più a distinguere chi è e di chi deve veramente fidarsi. D’altra parte, Whishaw si mette alla prova portando in scena un forte dramma emotivo personale: Sam è gay, aveva un compagno che ha dovuto lasciare per motivi di lavoro, e di cui sente ancora la mancanza. Questo profondo conflitto interiore deve coesistere con una sottotrama che coinvolge una coppia di assassini professionisti e il loro capo, un’accoppiata che sembra uscita direttamente da un film di Guy Ritchie.

Tra battute taglienti e una spiccata ironia, Knightley non vi farà mai perdere di vista la sua Helen, mentre Whishaw conferisce al suo Sam una vulnerabilità irresistibile, che vi farà pensare di non avere mai incontrato un sicario del genere nell’audiovisivo. Tra di loro, la componente comedy funziona egregiamente, ma l’incantesimo non si applica a tutti i personaggi e alle storyline secondarie che incontriamo strada facendo. Effettivamente, forse questa dispersione tonale potrebbe respingere qualche spettatore ma, per chi saprà comprendere che è parte del gioco, Black Doves promette di riservare le giuste sorprese.

LEGGI ANCHE: Black Doves è una storia vera e un’organizzazione segreta reale? Helen Webb è basata su una vera spia?

FBI – Stagione 7: data di uscita, cast, trama e tutto quello che sappiamo

Dal produttore Dick Wolf, FBI è stato uno dei più grandi successi della CBS negli ultimi tempi, e il procedurale di polizia ricco di azione tornerà per la settima stagione. Debuttata nel 2018, la serie segue gli agenti dell’ufficio dell’FBI di New York City mentre proteggono la città e il paese da varie minacce interne. Le impronte digitali di Dick Wolf sono presenti su FBI, che raggiunge un buon equilibrio tra la tipica formula del caso della settimana con il vantaggio di personaggi ben scritti e l’aggiunta della gravitas dell’FBI.

Non ci è voluto molto perché la serie ricevesse uno spinoff, e l’episodio della prima stagione “Most Wanted” è servito come episodio pilota per l’omonima serie. Negli anni successivi, il popolare procedurale della CBS è stato nuovamente scorporato e sta rapidamente diventando il prossimo franchise televisivo con più serie. Come altre creazioni di Dick Wolf, come Law and Order e la serie One ChicagoFBI funziona così bene grazie alle possibilità quasi illimitate che potrebbero facilmente vedere la serie principale estendersi per decenni. Anche con sei stagioni all’attivo, FBI non mostra segni di arresto.

Ultime notizie su FBI Stagione 7

Sebbene il cast della serie principale non sia cambiato molto in sei stagioni, le ultime notizie confermano che un membro del cast lascia l’FBI e un altro entra a farne parte. Katherine Renee Kane è entrata a far parte dello show nella terza stagione nel ruolo dell’agente speciale Tiffany Wallace, ma si prevede che se ne andrà nel corso della settima stagione. Al suo posto, Lisette Olivera si unirà al cast nel ruolo di Syd , membro dell’Unità di Analisi Comportamentale. Non è stata fornita alcuna ragione per l’uscita di scena della Kane, ma apparirà in almeno un episodio della stagione 7.

Data di uscita della stagione 7 di FBI

La stagione 7 debutterà a ottobre

La CBS ha debuttato con i suoi show sull ‘FBI nel febbraio 2024, e ci sono voluti solo pochi mesi perché la rete desse a tutti e tre gli ordini di stagioni aggiuntive. Il programma del martedì interamente dedicato all’FBI ha aiutato la CBS a dominare gli ascolti, e la rete continuerà questa tendenza quando la serie tornerà martedì 15 ottobre, a partire dalle 20:00 con FBI. Lo show di punta sarà seguito da FBI: International alle 21.00 e FBI: Most Wanted alle 22.00.

La stagione 6 di FBI si è conclusa il 21 maggio 2024.

FBI Stagione 7 Cast

Aspettatevi il ritorno dell’intero cast

I procedurali come FBI sono noti per mantenere i membri del cast per molto tempo, e non ci sono molti cambiamenti da una stagione all’altra. Anche se la sesta stagione ha visto la tragica morte del personaggio ricorrente Trevor Hobbs, interpretato da Roshawn Franklin, in genere i personaggi principali non cambiano spesso. Per questo motivo, ilcast della settima stagione dell‘FBI sarà probabilmente molto simile a quello della sesta, con il ritorno di Missy Peregrym nei panni dell’agente speciale Maggie Bell e del resto della sua squadra.

Katherine Renee Kane riprenderà il ruolo dell’agente speciale Tiffany Wallace nella stagione 7, ma lascerà il ruolo nel corso della stagione. Al suo posto ci sarà la nuova arrivata Lisette Olivera nel ruolo di Syd, un membro dell’Unità di Analisi Comportamentale. L’elenco dei ritorni previsti comprende:

  • Missy Peregrym – Agente speciale Maggie Bell
  • Zeeko Zaki -Agente speciale Omar Adom “OA” Zidan
  • John Boyd – Agente speciale Stuart Scola
  • Katherine Renee Kane – Agente speciale Tiffany Wallace
  • Alana de la Garza – SAC Isobel Castille
  • Jeremy Sisto – Assistente SAC Jubal Valentine
  • Lisette Olivera – Syd

FBI Stagione 7 – Storia

Previsto un formato caso per settimana

Il finale della stagione 6 dell’FBI non ha cambiato la traiettoria dello show, e la squadra ha eliminato con successo Hakim e ha anche dato a Wallace un po’ di chiusura emotiva dopo aver perso il suo partner sotto copertura nell’episodio 1. Detto questo, è difficile indovinare quale potrebbe essere la storia generale della prossima stagione, ammesso che ce ne sia una. Tuttavia, è quasi certo che la stagione 7 dell’FBI sarà come la maggior parte dei procedurali di successo e presenterà un formato di caso della settimana in cui gli agenti dovranno affrontare alcune delle più grandi minacce che la Grande Mela ha da offrire.

Euphoria: rivelata la data di uscita della terza stagione

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Euphoria: rivelata la data di uscita della terza stagione

La serie teen drama di successo Euphoria, con protagonista Zendaya, ha finalmente una data di uscita per la tanto attesa terza stagione su HBO. La serie, creata e scritta da Sam Levinson, è basata sulla miniserie israeliana omonima e segue Rue Bennett, un’adolescente tossicodipendente che lotta per disintossicarsi e trovare il suo posto nel mondo. Euphoria è diventato un enorme successo per HBO, ma la terza stagione ha subito diversi ritardi a causa della riscrittura della sceneggiatura da parte di Levinson e dell’impegno del cast in altri progetti. Secondo le ultime notizie, le riprese della terza stagione di Euphoria inizieranno a gennaio.

Secondo Variety, HBO ha rivelato che Euphoria – stagione 3 uscirà nel 2026. La notizia è stata data da JB Perrette, dirigente della Warner Bros. Discovery, che ha condiviso la notizia durante una conferenza tecnologica e mediatica della Wells Fargo. La serie fa parte della prossima programmazione della HBO, che prevede il debutto e il ritorno di diverse serie nel 2025 e nel 2026, tra cui A Knight of the Seven Kingdoms, The White Lotus e la seconda stagione di The Last of Us.

Cosa significa questo per la terza stagione di Euphoria

Nel gennaio 2025 saranno passati tre anni dal debutto della seconda stagione della serie e molte delle star sono diventate famose in questo periodo, tra cui Zendaya e Sydney Sweeney. Il lasso di tempo suggerisce che la terza stagione di Euphoria cercherà di esplorare nuovi territori e affrontare trame diverse da quelle a cui gli spettatori sono abituati. Secondo quanto riferito, Levinson ha faticato a trovare una nuova strada creativa da seguire, e anche Zendaya ha suggerito alcune trame che alla fine sono state scartate. Ora, però, la serie è finalmente entrata in una fase di produzione regolare.

È probabile che la serie farà un salto temporale e seguirà i personaggi da giovani adulti.

La premiere nel 2026 è in linea con l’inizio delle riprese previsto per Euphoria; con la produzione della serie che inizierà il mese prossimo, il team creativo ha tutto il 2025 per mettere a punto i nuovi episodi. Supponendo che tutto vada liscio, Euphoria potrebbe debuttare all’inizio del 2026, proprio come la seconda stagione nel 2022.

Sembra che Levinson abbia in mente di dare alla terza stagione una direzione diversa rispetto agli episodi precedenti, dato che il cast di Euphoria è ormai troppo vecchio per continuare a interpretare dei liceali. È probabile che la serie faccia un salto temporale e segua i personaggi da giovani adulti.

Star Wars: Skeleton Crew, recensione dei primi tre episodi

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Star Wars: Skeleton Crew, recensione dei primi tre episodi

Con Star Wars: Skeleton Crew, Lucasfilm propone un’interessante deviazione dal percorso tradizionale della saga stellare. Con le prime tre puntate (due delle quali disponibili su Disney+ dal 2 dicembre, mentre le altre una a settimana), questa nuova serie punta i riflettori su un gruppo di pre-adolescenti che si trovano coinvolti in un’avventura cosmica, attingendo al sentimento nostalgico di classici come I Goonies. Ma riesce davvero a essere Star Wars, o è il sintomo di un franchise che si sta adattando a un nuovo pubblico?

La trama di Star Wars: Skeleton Crew: uno spirito d’avventura senza confini

La premessa di Skeleton Crew è semplice e accattivante. Quattro ragazzi – rispettivamente interpretati da Ravi Cabot-Conyers, Ryan Kiera Armstrong, Kyriana Kratter e Robert Timothy Smith – scoprono qualcosa di misterioso sul loro apparentemente tranquillo pianeta natale. Quella che inizia come una ricerca di una semplice avventura per staccare dalla routine, si trasforma in un’odissea galattica, piena di incontri inaspettati, pericoli e scoperte. Guidati da un enigmatico Jude Law in un ruolo ancora avvolto dal mistero, i giovani protagonisti sono costretti a navigare una galassia pericolosa, in cui alleati e nemici si mescolano in modi imprevedibili.

L’aspetto che colpisce immediatamente è l’approccio visivo. Grazie alla regia alternata di Jon Watts, David Lowery, i Daniels e altri, Star Wars: Skeleton Crew offre un mix di atmosfere: dal fiabesco al surreale, con momenti che ricordano il fascino artigianale di The Mandalorian e l’intimità visiva di Andor. Tuttavia, è lo spirito da “film per ragazzi anni ‘80” che domina, regalando una sensazione di leggerezza e scoperta che si amalgama bene con la narrazione.

Un cast giovane e promettente

Il cuore della serie sono i suoi giovani protagonisti. I quattro ragazzi offrono performance genuine, catturando con autenticità lo stupore e il terrore di trovarsi in un mondo molto più grande e pericoloso di quanto avessero mai immaginato. Jude Law, nel ruolo del loro mentore (o forse qualcosa di più ambiguo?), riesce a mantenere alta la tensione drammatica senza rubare troppo spazio alla narrazione dei ragazzi, tenendo in equilibrio il mistero del suo personaggio con un sorriso sornione irresistibile. Il cast di supporto, che include Kerry Condon e Nick Frost, aggiunge profondità e tonalità variegate alla serie.

Regia e scrittura: una visione poliedrica

Uno dei punti di forza di Skeleton Crew è la sua regia diversificata. Ogni episodio ha una sua identità visiva e tonale, pur mantenendo una coerenza narrativa. I Daniels portano il loro caratteristico stile eccentrico, mentre David Lowery aggiunge una sensibilità più malinconica e poetica. Questo approccio rende ogni episodio un’esperienza unica, anche se potrebbe disorientare chi preferisce uno stile più uniforme.

Sul fronte della scrittura, Jon Watts e Christopher Ford riescono a bilanciare momenti di leggerezza con temi più profondi, come la paura dell’ignoto e il desiderio di appartenenza. Tuttavia, alcuni dialoghi rischiano di cadere nel cliché, soprattutto quando cercano di veicolare lezioni morali esplicite.

Il dilemma dell’identità: cos’è Star Wars oggi?

Le prime tre puntate di Star Wars: Skeleton Crew offrono un’esperienza fresca e originale, e la serie si presenta così come una storia di formazione travestita da avventura spaziale, strizzando l’occhio a chi cerca emozioni più intime e meno epiche. Non sarà lo Star Wars che tutti conosciamo, ma forse è quello di cui il franchise ha bisogno in questo momento.

Il fatto che Skeleton Crew sia effettivamente una serie fresca e interessante fa emergere una domanda fondamentale: questo è ancora Star Wars? I puristi della saga potrebbero storcere il naso. Non ci sono Jedi iconici o conflitti cosmici di proporzioni epiche. Non ci sono Sith che complottano né battaglie stellari mozzafiato. Piuttosto, la serie esplora un lato più intimo e personale della galassia lontana lontana. È come se Lucasfilm stesse sperimentando con il formato: cosa succede se mettiamo da parte la mitologia e lasciamo spazio a storie più piccole?

Questo spostamento potrebbe sembrare estraniante per chi associa Star Wars a un immaginario ben definito. Tuttavia, è anche un segnale di maturazione del franchise, che cerca di adattarsi a un pubblico più giovane senza rinunciare alla possibilità di raccontare qualcosa di nuovo. Lo spirito di Skeleton Crew non è quello di Una nuova speranza o L’Impero colpisce ancora, ma forse è proprio questo il punto: lo Star Wars del passato è morto, lunga vita al nuovo Star Wars.

Dune: Prophecy – Episodio 3: perché Valya fa visita a suo zio e cosa significa per il futuro?

Con l’episodio 3, Dune: Prophecy si tuffa nelle vite di Valya e Tula Harkonnen, e si conclude con una sequenza in cui Valya fa visita allo zio e al nipote. Le attrici Emily Watson e Jessica Barden interpretano Valya Harkonnen, la protagonista della serie, in momenti diversi nel tempo. L’episodio 3 ha utilizzato diversi flashback per mostrare una parte importante della vita di Valya mentre si allontanava dalla sua famiglia e legava la sua lealtà alla Madre Superiora Racquella e alla Sorellanza, preparandola a diventare in seguito il leader dell’organizzazione.

Valya Harkonnen è una figura ultra-potente a questo punto della linea temporale di Dune, poiché è la leader di un’organizzazione che ha le sue radici scavate in tutto l’Imperium. L’episodio 2 ha visto parte della sua influenza recisa, tuttavia, quando Desmond Hart ha convinto l’imperatore Javicco Corrino a estrometterla dal Palazzo Imperiale e ha anche resistito al potere della Voce. Valya ha fatto una mossa interessante nell’episodio 3, i flashback dimostrano la dualità del suo personaggio e perché tutto ciò è importante.

Valya in visita allo zio si allontana da “Sisterhood Above All”

“Sisterhood Above All” è il titolo dell’episodio 3 di Dune: Prophecy, che esamina il percorso di Valya Harkonnen da membro orgoglioso della sua casa, desiderosa di vendetta contro la Casa Atreides, a leader della Sorellanza. Una delle sue prove più significative è pronunciare la frase “Sisterhood Above All”, dichiarando che metterà sempre le esigenze dell’organizzazione al di sopra di quelle della sua persona e della sua famiglia. È destinata a lasciarsi alle spalle i legami familiari, cosa che sembra fare quando usa la Voce su Sonya e porta Tula con sé nella Sorellanza.

Questo rende il suo incontro con lo zio e il nipote nel finale dell’episodio 3 di Dune: Prophecy ancora più significativo, poiché sembra che stia tornando a tenere alla sua famiglia di provenienza. Il potere della Voce e l’influenza della Sorellanza non hanno funzionato per lei, quindi sta tornando ai suoi legami con gli Harkonnen per chiedere aiuto. Valya è disperata nell’episodio 3 e mostra quanto sia in conflitto, come personaggio. Può affermare di aver fatto sacrifici per la Sorellanza, ma è disposta a piegare le regole quando la sua posizione è minacciata.

In che modo lo zio di Valya aiutarla davvero?

La Casa Harkonnen ha sofferto negli anni precedenti agli eventi di Dune: Prophecy, poiché sono stati considerati codardi dalla Casa Atreides alla fine della Jihad Butleriana. Non hanno l’influenza che avranno durante i film di Dune, ma potrebbero comunque avere delle connessioni e un certo livello di influenza che può aiutare Valya in cambio del suo sostegno nell’aumentare la loro reputazione come casa. È difficile dire esattamente quale sia il suo gioco, ma la Casa Harkonnen non dovrebbe mai essere completamente esclusa dall’universo di Dune.

L’amica Geniale – Storia della bambina perduta: recensione degli episodi 7 e 8

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Dopo un dittico che sicuramente ha fatto discutere, a tratti sgradevole e violento nei confronti delle sue protagoniste, L’amica geniale – Storia della Bambina Perduta torna su RaiUno con le puntate 7 e 8, Il ritorno e L’indagine. Dopo decenni che le due amiche erano separate, questi due episodi le vedono tornare insieme, confidenti e collaboratrici, di nuovo vicine, mentre la loro relazione assume dei contorni nuovi che fino a quel momento non si erano mai definiti così bene. Il loro rapporto di forze si evolve ulteriormente e se Lila continua a essere quella tra le due che tende a prevaricare l’altra, Elena si conferma una donna piena di risorse, soprattutto dopo la fine della storia con Nino.

L’addio a Nino e “Il ritorno” al rione

Con il settimo episodio, dal titolo Il ritorno, la storia si immerge di nuovo nel tumulto emotivo di Elena, che torna alle sue radici e al suo inizio, prendendo di nuovo casa al rione, proprio sotto all’appartamento di Lila. La rottura definitiva con Nino è un momento di liberazione e consapevolezza: un legame tossico che viene reciso, non senza amarezza, ma con grande decisione. La scena del loro confronto nella casa di Via Petrarca però non è il trionfo della volontà di Elena, quanto piuttosto un verboso e depotenziato colloquio tra due persone che, almeno da una parte, un tempo si erano amate. Nino confessa tutte le sue piccolezze e questa volta Lenù ha gli strumenti per allontanarlo, definitivamente. La scelta degli sceneggiatori di mostrare il tradimento di Nino con una donna sformata e anziana è stato un inciampo di scrittura davvero sgradevole, come se solo vedendosi tradire con una donna così poco attraente, Lenù avesse capito che quest’uomo, che ha amato per così tanto tempo, non merita quella devozione. Il tradimento perpetrato nel tempo da Nino, la sua ostinazione a coltivare se stesso al posto della sua storia con Elena, il continuo desiderio di affermazione e conferma, l’insicurezza che mortificava l’intelligenza della compagna erano ben più gravi di una sveltita con l’attempata domestica. Ma una scelta “grafica” rispetto agli eleganti non detti allusivi del romanzo, è sembrata più adeguata alla televisione. Non sarà l’unica volta in questa coda di serie, né sarà la più sgradevole.

Archiviato finalmente Nino dal suo cuore (ma non dalla sua vita, continuano a condividere una figlia, dopotutto) Elena torna al rione, dove riafferma la propria autonomia, nonostante la difficoltà di essere una donna sola con tre bimbe. Questo ritorno alle origini diventa un catalizzatore per la sua scrittura, che finalmente trova una nuova forza e autenticità. La pubblicazione del suo libro e il successo che ne deriva trasformano Elena in una figura di spicco, ma il prezzo del suo successo diventa evidente: la distanza crescente tra lei e un ambiente che implode su sé stesso. Elena è ormai un elemento estraneo al rione e tuttavia una componente importante per il suo ecosistema, una voce narrante.

L’evento che fa seguito al ritorno di Lenù al rione è il tanto atteso matrimonio di Marcello Solara con la sorella di Elena, Elisa, una delle sequenze più cariche di tensione dell’episodio. La scena mira a sottolineare un punto in particolare, che però non viene spiegato adeguatamente: Michele Solara è definitivamente libero dall’incantesimo di Lila, ormai la disprezza soltanto e con lei disprezza anche la sua “brutta copia”, Alfonso. Vestito da donna, l’uomo fa irruzione al matrimonio, creando agitazione e tensione. Verrà cacciato e allontanato, solo Lila e Lenù gli rimarranno accanto, fino a che Michele non lo picchierà a sangue per le strade del rione, davanti all’indifferenza di tutti (tranne del buon Enzo, al quale però Lila impedirà di intervenire). Edoardo Pesce, il Michele adulto, è superbo nella messa in scena della bruta e cieca cattiveria del Solara maggiore. Il pestaggio di Alfonso è uno dei momenti più crudi e disturbanti dell’intera serie, eppure il trattamento del personaggio appare forzato rispetto alla delicatezza con cui era stato tratteggiato nei romanzi.

Punto fermo rimane l’amicizia tra Lila e Lenù, sempre in bilico tra parità e abuso, onestà e inganno, in balia degli umori della prima che continuano a influenzare e travolgere la seconda che, dopo tutto questo tempo, appare finalmente più consapevole e capace di schermarsi dalle inevitabili cattiverie dell’amica.

La scrittura come strumento di attacco al potere: L’indagine

L’ottavo episodio tira le fila di molteplici tensioni, portando alla luce l’influenza opprimente dei Solara e l’ineluttabile disgregazione del rione. La morte di Alfonso segna un punto di non ritorno: non solo per la sua brutalità, ma per il modo in cui spezza definitivamente la già fragile speranza di una resistenza al potere dei Solara. La reazione di Lila, fredda e piena di disprezzo, è un elemento di distacco che evidenzia quanto la serie scelga di calcare la mano sull’aspetto più crudo e spietato della realtà narrata. La donna è spezzata dalla morte dell’amico, eppure sceglie di reagire in maniera fredda, senza lasciarsi attraversare da quel dolore che però, lo vedremo, avrà il tempo di esplodere per altre ragioni.

Il degrado del rione e la ritrovata ispirazione di Elena si fondono come un’arma nelle mani di Lila: la donna desidera che la compagna si faccia voce della protesta e del cambiamento, vuole utilizzare le parole per distruggere la violenza dei Solara, pensiero che ne rivela la fondamentale ingenuità, soprattutto di fronte a una violenza cieca e sorda che prende corpo in Michele. La ribellione delle due amiche le vede brevemente fiorire in un nuovo afflato collaborativo: scrivono, lavorano, si confrontano, tornano a essere le due bimbe piene di speranze nel mondo delle idee, per poi scontrarsi contro una realtà ben più cruda. Le parole che mettono insieme non servono ad altro che a mettere Elena in una posizione di difficoltà all’interno del rione, mentre Michele, sempre più violento e minaccioso, si erge come un simbolo di quella brutalità sistemica che soffoca ogni tentativo di cambiamento.

Elena si trova costretta ad affrontare una querela e i problemi economici che ne derivano, trovandosi a dover difendere la propria carriera e integrità. L’episodio riflette bene la spirale di compromessi e minacce che circondano entrambe le protagoniste, mostrando una Napoli senza speranza che divora i suoi figli. Ancora una volta L’amica geniale guarda oltre i confini del privato, affacciandosi con approccio problematico alla società, al pubblico, instaurando uno stretto legame trai due aspetti della narrazione.

L’amica geniale giunge alla svolta decisiva

Gli episodi 7 e 8 segnano un passaggio cruciale nella narrazione de L’amica geniale – Storia della Bambina Perduta, confermando il talento della serie nel coniugare il dramma personale con il contesto sociale. Tuttavia, alcune scelte narrative, come il trattamento del personaggio di Alfonso, potrebbero risultare discutibili per chi ha amato la delicatezza del romanzo. Resta potente, invece, il rapporto tra Elena e Lila, sempre più sfaccettato e complesso. Questi episodi ci ricordano che il rione non è solo un luogo fisico, ma un’entità viva, un microcosmo di potere e lotte, in cui i sogni di emancipazione si scontrano con la brutalità del sistema.

Dadapolis: recensione del docufilm di Carlo Luglio e Fabio Gargano

Dadapolis è stato presentato in anteprima durante la Mostra internazionale del cinema di Venezia nella Giornate degli Autori. Questo documentario di Carlo Luglio e Fabio Gargano è in grado di rappresentare quanto Napoli sia cambiata nel bene ma anche nel male. All’interno di questo docufilm si può notare volti noti di scrittori, cantanti, attori e registi napoletani che sono stati chiamati per raccontare, anche in modo differente attraverso l’arte e la musica, la loro città.

Cosa racconta Dadapolis

Questo documentario è liberamente ispirato all’omonima antologia Dadapolis: Caleidoscopio napoletano di Fabrizio Raimondino e Andreas Friedrich Muller del 1989. Dadapolis è diviso in precise parti che sono scandite da quattro macro temi fondamentali che si racchiudono nei quattro elementi naturali: fuoco, terra, acqua ed aria.

Napoli tra fuoco, terra, acqua ed aria

Il primo è il fuoco che viene associato alla creazione della città e le sue trasformazioni ovviamente anche accennando il Vesuvio. Una sagoma identificatoria di Napoli, fonte d’ispirazione come una presenza che inquieta e rassicura come un presagio da sempre per i napoletani. Qui però non ci sofferma tanto sul vulcano ma sulle rive, dove un gruppo di conoscenti composto d’artisti, di tutti i generi e provenienze culturali, si ritrova ed espone i pensieri liberi e non scanditi da un copione. Le spiagge di Napoli sono da sempre il confine permeabile ad ogni sorta di passaggio, dalla Sirena Partenope disperata per non aver ammaliato Ulisse fino alle portaerei degli alleati americani.

Il documentario nella seconda sezione, quella della terra, affronta la creatività e il mercato  nel mondo dell’arte. Si parla di quella contemporanea fatta d’installazione, ma anche dei giovani street artist che stanno cercando un loro posto, con opere che cadono subito all’occhio sui muri abbandonati della città ma anche su vecchi pescherecci al molo. In questa parte appare anche lo psicanalista Guelfo Margherita, che induce un gruppo di ragazzi e ragazze a riflettere sulla riconoscibilità di alcuni valori ad esempio come la libertà nella produzione artistica.

La terza è quella dedicata all’acqua che rappresenta morte e rinascita di Napoli. L’elemento acquatico però è in qualche modo il fil rouge del documentario stesso. Il mare è da sempre presente fin dalla prima scena c’è per i momenti a riva, nel porto, sulle barche e nelle sirene che vengono continuamente citate anche perché Partenope è la dea protettrice della città, come quella omonima del film di Paolo SorrentinoDadapolis si conclude con l’aria, con la mobilità, l’immigrazione e uno sguardo al futuro che come dicono tutti i vari interlocutori è molto incerto.

Dadapolis un docufilm non per tutti

Napoli in questo documentario viene raccontata in modo schietto, tante volte i vari artisti affrontano il problema, sottinteso, di quello che si sta trasformando nel cosiddetto luogo di turismo che pensa, come qualsiasi località in Italia, a guadagnare e perdendo la sua essenza. La città partenopea in questi anni sta vivendo una rinascita, basta solo pensare a quanti film o serie televisive sono ambientate lì, ma diventando però tutta stereotipata perché in qualche modo il visitatore, soprattutto quello straniero, vuole e cerca questo.

Dadapolis si rivela un documentario che è riuscito a metà se si vuole pensare ad un pubblico generalista anche perché la modalità si raccontare è molto sperimentale. Interessanti le vedute dall’alto per ammirare la parte più costiera ma non si va mai all’interno, questa si vede che è una scelta specifica per non togliere l’interesse a quello che dicono i vari artisti. Per concludere, visto anche il titolo che cita il movimento dadaista, forse i due registi avrebbero dovuto più concentrarsi sull’aspetto dell’arte che rimane quello più interessante nell’insieme dei vari discorsi.

Solo Leveling: ReAwakening – la recensione del film di Shunsuke Nakashige

Il mondo di Solo Leveling, nato dalla penna di Chugong e DUBU e poi trasposto su piccolo schermo nella prima stagione dell’omonimo anime, sta per prendere vita al cinema. Grazie alla sinergia tra CrunchyrollSony Pictures Italia e Eagle Pictures, l’atteso lungometraggio animato intitolato Solo Leveling: ReAwakening arriverà infatti nelle sale italiane per un evento speciale di tre giorni, dal 2 al 4 dicembre.

La pellicola, diretta da Shunsuke Nakashige (Sword Art Online), rappresenta un momento cruciale per i fan della serie: un’occasione unica per rivivere le avventure di Sung Jin-woo, il cacciatore più debole diventato il più forte, e immergersi nuovamente nell’affascinante universo dei dungeon e delle creature sovrannaturali.

Prodotto da due dei più importanti studi di animazione giapponesi, A-1 Pictures e Production I.GSolo Leveling: ReAwakening offrirà un riassunto dettagliato della prima stagione, permettendo a tutti i fan di rinfrescarsi la memoria e di prepararsi all’esaltante anteprima dei primi due episodi della seconda stagione. E, pur vantando una speciale colonna sonora, composta dal talentuoso Hiroyuki Sawano (Attack on Titan) e dal gruppo K-Pop Tomorrow X Together, ha il difficile compito di rendere giustizia alla dinamica e spettacolare narrazione del manhwa originale.

La trama di Solo Leveling: ReAwakening

Dieci anni fa il mondo è cambiato per sempre. All’improvviso, infatti, il pianeta ha conosciuto l’apertura dei “Gate”, portali verso dimensioni oscure abitate da mostri di ogni sorta. Alcuni componenti del genere umano hanno però risvegliato sopite capacità di combattimento con le quali poter affrontare la nuova minaccia. Sono denominati cacciatori, gli Hunters, e si dividono in diverse classi di forza che vanno dalla “S”, la più potente, alla “E”. Di quest’ultima, quella riservata agli hunters di minor valore, fa parte anche Sung Jin-woo, protagonista del racconto, considerato da tutti l’arma più debole del mondo.

Il destino, tuttavia, sembra avere in serbo per Jin-woo un percorso ben diverso. E Solo Leveling – ReAwakening racconta proprio la straordinaria ascesa del protagonista, dalla sua umile condizione di cacciatore di rango E fino a quello di leggenda. Entrato in un dungeon mortale, una missione rivelatasi ben più pericolosa del previsto, il giovane ragazzo ha infatti scoperto un sistema di livellamento unico, destinato a cambiarlo per sempre. E ora, dotato di una nuova consapevolezza e fiducia nei propri mezzi, Jin-woo è ansioso di affrontare nuove sfide e pericoli per divenire l’hunter più potente del mondo. In un’adrenalinica avventura action, che lo condurrà ben oltre i limiti imposti dalla sua classe.

Solo Leveling: ReAwakening: tra struttura e semantica

Solo Leveling: ReAwakening è senza dubbio un lungometraggio bizzarro. Se infatti la sua struttura narrativa, almeno da un punto di vista prettamente contenutistico, ricalca quella di un certo numero di anime – e fa leva sulla classica storia d’evoluzione di un outsider che, mescolata a pratiche tipiche del gaming e grazie a un’animazione di alto livello, regalano due ore di coinvolgente e crudo intrattenimento – è però necessario spendere almeno qualche parola per provare a carpire quella che è la natura semantica di questo prodotto. Di un film che, come accennavamo a inizio articolo, si compone di due differenti sezioni a cavallo tra piccolo e grande schermo.

Solo Leveling: ReAwakening propone infatti un montaggio dei momenti fondanti della prima stagione dell’anime, uscita a partire dal gennaio di quest’anno, unito a un piccolo assaggio della seconda, di cui ci vengono mostrate integralmente le prime due puntate. E, pur non trattandosi di un caso isolato all’interno del proprio universo di riferimento – visto e considerato il precedente dello scorso febbraio targato Demon Slayer – è pressoché innegabile che la scelta di questo formato di distribuzione sia da considerarsi quantomeno curiosa. Specie di fronte di un panorama audiovisivo che, pur avendoci ormai abituato alla dimensione intermediale dei suoi articoli, è però sempre stato dominato da lungometraggi chiamati più che altro a portare avanti o concludere l’arco narrativo della propria controparte seriale (si pensi a Downton Abbey). O, in alternativa, a raccontare storie o frangenti che, godendo del ruolo di spin off, potessero ampliare la nostra conoscenza orizzontale del franchise di turno.

Solo Leveling: ReAwakening: porte aperte sul futuro

Ecco perché il progetto Solo Leveling: ReAwakening (precedenti ed eredi inclusi) impone una serie di domande. Soprattutto in considerazione di un modello di fruizione cine-televisiva che di giorno in giorno continua ad evolversi.

Quali porte, quali gate potrà infatti aprire un’idea di prodotto basata sul concetto di riassuntone/highlights tipico di Youtube, sul “previously on” della serialità anni 2000 e sulla modalità della “sneak peek” figlia, almeno in parte, delle famigerate post credit marvelliane? E quali risposte potrà suggerire, in ottica futura, a case di produzione (Disney su tutte) già da tempo instradate lungo il viale della costante infiltrazione? Ma soprattutto, quali parole potremo utilizzare per descrivere un prodotto che, come Solo Leveling: ReAwakening disperde le proprie anime seriale e cinematografica per assestarsi come esperienza posta all’incrocio tra nostalgia del passato e voglia di futuro? Dovremo forse inventarci nuove parole?

Una cosa è certa: freebooting e rimontaggi sono esperienze già superate. Non resta che attendere la naturale evoluzione di un sistema autonomo ormai inarrestabile.

Dune: Prophecy – Episodio 3, la spiegazione del finale

Dune: Prophecy – Episodio 3, la spiegazione del finale

Il finale dell’episodio 3 di Dune: Prophecy, dal titolo “Sisterhood Above All”, solleva diverse domande sul passato e sul futuro di Tula HarkonnenDune: Prophecy è una serie in sei parti basata sul romanzo del 2012 Sisterhood of Dune, scritto dal figlio dell’autore originale di Dune Frank HerbertBrian, e Kevin J. Anderson. La storia si svolge più di 10.000 anni prima dell’ascesa di Paul Atreidies, raccontata in Dune (2020) e Dune: Parte Due (2024) di Denis VillenueveDune: Prophecy rivela le origini della potente sorellanza ombra nota come Bene Gesserit e come hanno manipolato il destino dell’umanità.

L’episodio 1 di Dune: Prophecy “The Hidden Hand” ha presentato Valya Harkonnen (Emily Watson), una leader feroce e calcolatrice, e sua sorella biologica, Tula Harkonnen. L’episodio 2 di Dune: Prophecy rivela cosa è successo a Lila e a sua nonna, la Reverenda Madre Dorotea, dopo che Tula e Valya Harkoennen l’hanno incoraggiata a sopportare prematuramente un rituale pericoloso per la vita noto come The Agony. Nell’episodio 3 di Dune: Prophecy, Tula prende in mano la vita di Lila dopo che è apparentemente morta durante il rituale The Agony e cerca di resuscitarla tramite l’uso di Macchine Pensanti proibite, nascoste da Valya e dalle Bene Gesserit.

Cosa è successo a Griffin Harkonnen

L’episodio 3 di Dune: Prophecy presenta l’unico fratello di Valya e Tula, Griffin Harkonnen. Tornati sul loro pianeta natale di Lankiveil, la Casa Harkonnen è stata evitata dall’Imperium a causa della presunta codardia del loro antenato durante la Battaglia di Corrino contro Vorian Atredies. Mentre il popolo degli Harkonnen si è ridotto a raccogliere pellicce di balena, una Valya audace e ribelle si rifiuta di permettere che il suo cognome venga scartato dall’Imperium.

Griffin spiega alla sua famiglia che si sta dirigendo a Zimia, che è la città principale del pianeta natale dei Corrino, Salusa Secundus, perché Landsraad, ovvero l’organismo che rappresentava tutte le Grandi Casate, ha accettato la sua petizione per ottenere un accordo commerciale migliore per la pelliccia di balena. Mentre è a Zimia, Griffin si mette alla ricerca e affronta Vorian Atreides, che Valya incolpa per aver disonorato Casa Harkonnen. È implicito che Griffin abbia affrontato Vorian come Valya voleva e sia morto nello scontro.

Perché Tula Harkonnen ha ucciso Orry Atreides

Valya e Tula Harkonnen hanno dedicato le loro vite a vendicare il nome della loro famiglia e la morte del loro fratello Griffin, la cui morte ha ulteriormente alimentato il loro odio per Casa Atreides. Mentre Valya andava ad allenarsi con la Sorellanza, Tula nascose la sua vera identità e “si innamorò” di Orry Atreides sul pianeta natale degli Atriedes, Caladan. Orry e Tula si erano incontrati in un mercato dove Orry aveva iniziato una conversazione e aveva chiesto a Tula di sposarlo solo pochi mesi dopo. Tula sembra accettare la proposta di matrimonio di Orry ma solo dopo rivela di essere una Harkonnen, il che sconvolge Orry. Fa appena in tempo e vedere i suoi familiari morti quando Tula piomba su di lui e lo uccide, come aveva fatto con tutti gli altri.

Il significato del toro in Casa Harkonnen spiegato

Tula uccide Orry con un veleno relativamente indolore e rapido, ma il modo in cui più di due dozzine di membri degli Atreides siano morti è più ambiguo. Dopo che Tula uccide Orry ma risparmia un giovane ragazzo Atreides che potrebbe benissimo essere Keiran, alza lo sguardo verso la cima di una rupe e vede un mitico toro nero. Sebbene non venga mai detto nell’episodio 3 di Dune: Prophecy, sembra che il toro abbia assassinato tutti gli Atreides nell’accampamento. Il toro è un simbolo della Casa Harkonnen poiché il nome Harkonnen è basato sul nome finlandese Härkönen che significa “bue” o “persona simile a un bue”. Poiché Tula non avrebbe potuto uccidere tutti quegli Atreides da sola, il mitico toro che vede dopo aver ucciso Orry è il colpevole più probabile.

Cosa ha mostrato Raquella a Valya nei tunnel

L’episodio 3 di Dune: Prophecy rivela come la Madre Reverenda Superiora Raquella abbia mostrato un interesse speciale per un’allieva in difficoltà di nome Valya Harkonnen. Raquella ha preso Valya sotto la sua ala e ha iniziato a farle conoscere la sua grande visione per le Bene Gesserit, che era quella di stabilire un enorme indice genetico per allevare governanti ideali per l’Imperium. Raquella è colpita dall’abilità di Valya con la Voce e le affida il compito di portare avanti la sua visione delle Bene Gesserit al posto della figlia più puritana, Dorotea. Invece di imparare da Dorotea, Valya riceve una speciale guida da Raquella, che le mostra come assembla il suo indice genetico di allevamento nei tunnel usando la tecnologia proibita delle Macchine Pensanti.

Cosa è successo a Valya durante The Agony

Non è esattamente chiaro cosa abbia visto Valya durante il suo rituale auto-somministrato, a cui si è sottoposta da sola a Lankiveil. Entra nello stesso sinistro regno spirituale con tutte le sue antenate Harkonnen come Lila ha fatto con le sue antenate nell’episodio 2 di Dune: Prophecy. Valya è in grado di tornare alla realtà dopo essere sopravvissuta all’Agonia e si riunisce a Tula con una nuova visione per il futuro. Insoddisfatta della sua vita a Lankiveil e detestata dai suoi genitori, Valya giura in questo momento di dedicare tutta la sua vita alla sua nuova famiglia: la Sorellanza. Tornerà dalla Madre Reverenda Superiora Raquella per completare il suo voto di Sorellanza.

A chi fa visita Valya alla fine dell’episodio 3?

Tornando alla linea temporale presente in Dune: Prophecy, Valya fa una visita a sorpresa a suo nipote, Harrow Harkonnen, e al suo anziano padre, Evengy Harkonnen. Dice nell’ascensore mentre sale a casa di Evengy: “I sacrifici devono essere fatti. La sorellanza prima di tutto”. La scena si interrompe e l’episodio si conclude prima che possa accadere qualsiasi altra cosa. Nel contesto della linea temporale attuale della serie, Valya sta cercando ansiosamente di capire cosa fare dopo aver tentato senza successo di usare la Voce su Desmond Hart per ucciderlo ed essere stata bandita da Salusa Secundus. È possibile che possa offrire suo zio e/o suo nipote come una sorta di manovra di pacificazione o di affermazione del potere.

Come Tula progetta di riportare in vita Lila

Tula usa i computer di indicizzazione genetica di Raquella e Valya nella scena finale dell’episodio 3 di Dune: Prophecy in un ultimo disperato tentativo di riportare in vita Lila con una dose di spezia attentamente regolata. Tula ha chiaramente un cuore più grande di Valya e farà di tutto per riportarla in vita da una morte prematura ingiusta in nome della Sorellanza. Anche se Tula non è la madre di Lila, l’ha cresciuta come tale dopo che sua madre è morta durante il parto, o almeno questo è ciò che Tula afferma sia successo. La tecnologia informatica che Tula usa alla fine di Dune: Prophecy cercherà di riportare in vita Lila e di tirarla fuori dal regno in cui ha incontrato Raquella e Dorotea.

From – Stagione 4: cast, storia e tutto quello che sappiamo

From – Stagione 4: cast, storia e tutto quello che sappiamo

La serie horror soprannaturale di Paramount+ From ha già riscosso un grande successo con le sue tre stagioni e ora è stata rinnovata per una quarta stagione. Debuttata nel 2022, la serie racconta la storia di una misteriosa città dell’America centrale che intrappola chiunque vi entri ed è circondata da mostri letali che infestano i boschi fuori dalla città. Riprendendo la trama contorta di serie come Lost e aggiungendo un tocco spaventoso, From si è rapidamente affermata come una delle serie horror di punta nel mondo altamente saturo delle serie TV in streaming.

Il finale della seconda stagione di From ha preparato il terreno per una terza stagione ancora più terrificante, e ogni nuova scoperta solleva più domande invece di dare risposte. Il vero potere della serie è stato il mistero che la avvolge e, come nei migliori puzzle, ogni colpo di scena rende la trama ancora più contorta. Con From che ha ottenuto un successo quasi unanime (compresi gli elogi del maestro dell’horror Stephen King), il futuro della serie sembra roseo. Il futuro sembra ancora più roseo ora che MGM+ ha deciso di rinnovare la serie per una quarta stagione.

Ultime notizie su From – stagione 4

Diversi mesi dopo il rinnovo dello show, arrivano le ultime notizie sotto forma di un’anticipazione sulla data di uscita della stagione 4. Il produttore esecutivo Jeff Pinkner e il co-produttore/creatore della serie John Griffin hanno espresso opinioni contrastanti sulla data di ritorno della serie, anche se Griffin sembra aver avuto l’ultima parola. Anche se Pinker ha detto che c’erano grandi speranze che la serie tornasse prima della fine del 2025, Griffin ha sottolineato che “probabilmente sarà all’inizio del 2026”. Questo perché le riprese della quarta stagione non finiranno prima delle vacanze del 2025.

Un intervallo di poco più di un anno tra una stagione e l’altra non è insolito nell’era dello streaming, e tutte e tre le stagioni di From sono state rilasciate in periodi diversi dell’anno. I commenti di Pinker sull’arrivo entro la fine del 2025 erano probabilmente solo un pio desiderio, o forse aveva semplicemente dimenticato il calendario di produzione. In ogni caso, la risposta più certa di Griffin significa che l’inizio del 2026 è la data più probabile per l’uscita.

Leggi qui i commenti di Griffin e Pinker:

Griffin: “Prima di passare alla prossima domanda, vorrei intervenire, se posso, perché non voglio che Jeff o io veniamo presi di mira da persone arrabbiate. Jeff, correggimi se sbaglio, probabilmente non finiremo le riprese prima delle vacanze. Quindi, molto probabilmente, sarà all’inizio del 2026, no?”

Pinkner: “Probabilmente sarà all’inizio del 2026”.

La quarta stagione è confermata

Fin dall’inizio della terza stagione, sono iniziate le speculazioni sulla quarta stagione di From, ma MGM+ non ha lasciato i fan con il fiato sospeso a lungo. A pochi giorni dal finale della terza stagione, MGM+ ha deciso di rinnovare la serie horror per un’altra stagione. Questo conferma la fiducia della piattaforma di streaming nella serie originale, molto apprezzata, e probabilmente significa che lo show potrebbe andare avanti ancora per un bel po’. È stato anche annunciato che le riprese della quarta stagione inizieranno nel 2025 e che l’uscita è prevista per l’inizio del 2026.

Per commemorare il rinnovo, la pagina ufficiale From su X (precedentemente Twitter) ha condiviso un video del protagonista della serie Harold Perrineau che strappa una bottiglia da un albero con la scritta “From stagione 4 in arrivo”.

Dettagli sul cast della quarta stagione

Il cast della quarta stagione di From è difficile da prevedere, dato che la terza stagione eliminerà senza dubbio alcuni personaggi prima che sia tutto finito. Tuttavia, la forza costante durante l’intera serie è stata Harold Perrineau nei panni di Boyd Stevens, lo sceriffo e leader de facto della città, che dovrebbe tornare nella quarta stagione. Nonostante il suo status fosse incerto all’inizio della terza stagione, si prevede che Catalina Sandino Moreno tornerà a interpretare Tabitha Matthews.

Jim Matthews, interpretato da Eion Bailey, sembrava un altro candidato sicuro per il cast della quarta stagione, ma la sua morte scioccante nella terza stagione significa che probabilmente non tornerà. Tuttavia, con i viaggi nel tempo, quasi tutti potrebbero tornare ad un certo punto. Come negli anni precedenti, la quarta stagione probabilmente aggiungerà anche alcuni membri del cast, anche se è impossibile prevederlo finché non saranno disponibili ulteriori informazioni.

Dai dettagli della trama della quarta stagione

Come molte serie horror sconvolgenti, la trama di From è costellata da colpi di scena enormi che potrebbero portare la serie in qualsiasi direzione in un attimo. Il finale della terza stagione di From non è stato privo di sorprese scioccanti, anche se è servito principalmente a rivelare la natura ciclica del male che affligge la città. Con la rinascita di Smiley, c’è un oscuro senso di disperazione, poiché tutto sembra essere vano. Tuttavia, alcune cose sono cambiate con la morte di Jim e gli abitanti della città sono in grado di minacciare i mostri a modo loro.

Scoprire che tutto è un ciclo può sembrare disperato, ma offre anche ai sopravvissuti la possibilità di analizzare lo schema e trovare il modo di spezzarlo.

La prossima stagione vedrà probabilmente i sopravvissuti cercare di sfruttare ciò che hanno imparato e apportare modifiche. Scoprire che tutto è un ciclo può sembrare disperato, ma offre anche ai sopravvissuti la possibilità di analizzare lo schema e trovare il modo di spezzarlo. Tuttavia, più resistono al ciclo, più le loro vite sono in pericolo in From – Stagione 4.

Yellowstone è basato su una storia vera? L’ispirazione alla vita reale del western, spiegata

Yellowstone è incentrata sulla famiglia Dutton. John Dutton, il patriarca della famiglia interpretato da Kevin Costner, è una figura chiave della serie fin dalla prima stagione. Il potente proprietario di ranch e la sua famiglia controllano il più grande allevamento di bestiame contiguo del Paese, e con esso nascono conflitti con gli interessi degli indigeni e con gli sviluppatori aziendali che cercano di estendere le loro catene e i loro oscuri segreti. Anche se può essere difficile da credere, Yellowstone è il primo ruolo di Costner in una serie regolare. Sheridan aveva proposto a Costner diversi ruoli prima di John Dutton, ma è stato questo progetto a convincere l’attore a partecipare.

Sin dall’uscita di Yellowstone, le persone sono state attratte dalla rappresentazione autentica della vita nei ranch e dei problemi della vita reale. Se lo show sia basato sulla vita reale è una domanda che spesso viene posta agli spettatori. La serie western è semplicemente uno degli show che sembrano troppo reali per non esserlo, il che la dice lunga sulla qualità della narrazione di Sheridan. La verità è che sia la storia che il personaggio di Costner attingono a persone e conflitti reali.

Taylor Sheridan e Kevin Costner hanno co-creato John Dutton

Taylor Sheridan Yellowstone
Taylor Sheridan nella serie tv Yellowstone – Credit Paramount Network

John Dutton non è esattamente “un bravo ragazzo”. È il tipo di eroe che “può fare cose che non ti piacciono molto”, secondo quanto dichiarato da Sheridan in un’intervista congiunta con Costner, rilasciata al LA Times. Il creatore dello show ha ammesso che gli piace che i suoi “eroi facciano cose” che “non piacciono” alla gente, perché così gli spettatori si interrogano sulle loro decisioni. Secondo Costner, il suo Dutton “vive nel grigio”, ma non perché il patriarca della famiglia lo voglia. L’attore ritiene che Dutton non sia “una persona che nella sua mente vive nel grigio”. La sua posizione unica e il peso sulle sue spalle lo spingono a prendere decisioni “per portare a termine le cose”, il che suona molto simile a un’altra figura dell’universo di Sheridan: il Tommy Norris di Billy Bob Thorton in Landman.

Il ruolo di John Dutton è stato creato su misura per Costner, che ha anche aggiunto il suo contributo nel plasmare il personaggio. “Taylor e io abbiamo trascorso molto tempo a parlarne, perché ho dovuto mettere mano a certe cose”, ha detto Costner. Dal punto di vista di Sheridan, avere Costner a bordo significava avere un grande attore in grado di gestire le “situazioni conflittuali” in cui lo aveva gettato. Grazie a Costner, Sheridan ha potuto scrivere molto di più sul ruolo che è diventato John Dutton. Il creatore dello show ha dichiarato a Variety:

Kevin è una delle più grandi star del cinema degli ultimi 40 anni, e se lo merita. È un incredibile narratore di storie come regista, scrittore e attore, e quindi quando hai questo tipo di strumenti nella tua cassetta degli attrezzi, puoi scriverlo in alcune situazioni davvero conflittuali.

Kevin Costner ha portato suo padre in John Dutton

yellowstone kevin costner

Per la ricerca, Kevin Costner si è tuffato nella storia americana per trovare ispirazione. Ha guardato documentari, libri e momenti socioeconomici della Guerra Civile per esplorare l’origine del suo personaggio; ma è stato suo padre ad aiutarlo a entrare nel personaggio. La star del western ha spesso citato il padre come figura chiave di ispirazione. Ha raccontato a The Hollywood Reporter:

Lui [mio padre] era un duro; era un combattente; sapeva combattere e mi ha insegnato in un modo che era progettato per vincere.

L’attore ha portato con sé l’eredità del padre e del nonno attraverso la sua interpretazione del patriarca dei Dutton, in particolare il fucile di John Dutton, un calibro 30-30 che apparteneva al padre di Costner. L’attore ha rivelato questo fatto divertente al Dan Patrick Show, rivelando che il fucile era un piccolo gesto che gli ricordava la fattoria dei suoi nonni in Oklahoma. Suo padre, William Costner, è cresciuto in una fattoria di grano insieme agli altri 10 fratelli.

Quando TV Insider gli ha chiesto se avesse portato un po’ di suo padre nello show, l’attore ha rivelato che suo padre era “un duro che combatteva a pugni e con un’unica mente, uscito dalla Dust Bowl durante la Grande Depressione”, e la calibro 30-30 che ha usato a Yellowstone lo ha aiutato a entrare nel personaggio ogni volta che l’ha puntata alla guancia. “Mio padre è proprio lì”, ha detto Costner. Ha anche rivelato che , grazie a suo padre, sapeva “cosa significa essere una persona che è una specie di John Dutton, senza l’omicidio”.

È interessante notare che anche Beth Dutton ha avuto un’ispirazione nella vita reale, ma non quella che gli spettatori normalmente si aspetterebbero. La Beth di Kelly Reilly è una figlia cresciuta tra gli uomini, ma il fatto di essere una donna l’ha resa più spietata. Nell’intervista rilasciata al LA Times, Sheridan ha ammesso che “potrebbe benissimo essere la cosa migliore” che ha scritto nello show. L’ispirazione è stata la preferenza di Angelina Jolie nel capovolgere il genere dei suoi personaggi quando si tratta di interpretare un ruolo. Con Beth, l’idea centrale è che se fosse stata Ben, non sarebbe cambiato nulla.

Yellowstone è stato ispirato dalla vita reale

Anche se non esiste un John Dutton nella vita reale, chiunque abbia visto almeno un episodio di Yellowstone sa che l’autenticità è al centro della serie. Il creatore dello show, Taylor Sheridan, che è un cowboy in carne e ossa, non ha bisogno di guardare oltre per trovare ispirazione. Sheridan è cresciuto in un ranch fuori Waco, in Texas. Essendo l’attuale proprietario del 6666 Ranch e avendo vissuto in Wyoming negli ultimi anni, i cambiamenti che Sheridan ha visto intorno a sé nel corso degli anni sono l’ispirazione per Yellowstone.

Il potere, l’allevamento, lo sviluppo del territorio e le cose che la gente fa intorno ai tre sono tutti problemi e scenari reali. Anche se le storie dello show sono di fantasia, non si discostano molto dalla realtà. Nell’intervista rilasciata al LA Times, Sheridan ha anche rivelato che tutti i problemi di “sviluppo del territorio, cattiva gestione delle risorse, oppressione e povertà estrema e disuguaglianza nel governo” esistono nella vita reale, ma “quando accadono in una piccola area, in una zona rurale”, sono amplificati e più drastici. Ha detto:

Questi problemi di sviluppo del territorio, di cattiva gestione delle risorse, di oppressione, di estrema povertà e di iniquità nel governo – esistono anche qui, ma quando accadono in una piccola area, in un’area rurale… e perché c’è meno gente, le conseguenze sembrano molto più acute. Quando si inizia a vedere Costcos in un paesaggio di fattorie e ranch, è molto più drammatico che se ne inceppassero uno nella San Fernando Valley.

Le ispirazioni della vita reale sono il motivo per cui Yellowstone esiste. La serie nasce dal desiderio di Sheridan di far conoscere situazioni reali che di solito vengono affrontate solo nei documentari. In effetti, Yellowstone non era inizialmente pensato come una serie televisiva. “Non è una mossa intelligente, fare una cosa sull’allevamento moderno”, ha detto Sheridan, che ha ammesso che l’intera faccenda ha avuto delle sfide che l’hanno resa ‘non una mossa intelligente’. L’aggiunta di elementi di finzione è stata necessaria perché “se vuoi fare qualcosa senza alcuna resistenza, fai qualcosa che sa di qualcos’altro”. Con Yellowstone, parte dell’accordo è il collegamento tra la vita del ranch e il resto del mondo. Nella stessa intervista, Sheridan ha dichiarato:

Quando le persone vedranno questo film, penso che capiranno: “Anche se è un mondo così diverso, vedo molte somiglianze nei problemi, vedo molte somiglianze nei conflitti. Anche se il loro stile di vita mi è così estraneo, non siamo poi così diversi”, e non lo siamo, ma ogni volta che si riesce a ricordarlo alla gente, credo sia una buona cosa.

Yellowstone è stato girato in un vero ranch

Yellowstone 5 Beth e Rip

In tutti gli spin-off e i prequel della serie Yellowstone di Taylor Sheridan, sebbene tutti i personaggi siano per lo più di fantasia, le riprese si sono svolte in luoghi reali. Il ranch di Yellowstone della serie è un ranch storico realmente funzionante, il Chief Joseph Ranch, a Darby, nel Montana. La serie porta gli spettatori in giro per il ranch, con luoghi chiave come l’armeria, la baita di Rip (nota come baita di Ben Cook), la baita di Lee (nota come baita del pescatore) e la baita del trapper.

L’autenticità e i paesaggi mozzafiato sono il motivo per cui gli spettatori visitano spesso la serie. “Non credo che ci stancheremo mai di vedere fiumi che scorrono, valli e montagne”, ha detto Costner a CBS This Morning. Le location svolgono un ruolo fondamentale nel lavoro di Sheridan. Trovarsi in un vero ranch sullo sfondo del paesaggio del Montana fa sì che gli spettatori e gli attori comprendano la vita e le storie che sta raccontando. “Taylor [Sheridan] è un grande fan dell’autenticità e voleva che tutti noi capissimo in cosa stavamo entrando”, ha detto a Vanity Fair l’attore di Kayce Dutton, Luke Grimes. Ha spiegato che per il pubblico, la ricerca di autenticità di Sheridan è quella di “mostrare questo a persone che normalmente non capirebbero che questo è ancora un modo di vivere per molte persone”.

The Merry Gentlemen: recensione del nuovo film Netflix

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The Merry Gentlemen: recensione del nuovo film Netflix

A meno di un mese dal Natale, Netflix regala in anticipo al suo pubblico una nuova e originale commedia natalizia: stiamo parlando di The Merry Gentlemen. La pellicola leggera e divertente è diretta da Peter Sullivan e scritta dall’attrice e sceneggiatrice Marla Sokoloff (Claire in Desperate housewives). The Merry Gentlemen presenta un cast di figure già note nel panorama cinematografico internazionale. Il protagonista Luke è interpretato da una versione più adulta (e muscolosa) di Chad Michael Murray, attore divenuto noto nei primi 2000 con il ruolo di Tristan in Una mamma per amica e Charlie Todd in Dawson’s Creek. Al suo fianco l’americana Britt Robertson (Tomorrowland, The space between us) è nel ruolo della protagonista femminile Ashley.  Altre figure ricorrenti nel film sono Maria Canals-Barrera ( Camp Rock, I maghi di Waverly) e Beth Broderick (Diane in Lost, Sabrina, vita da strega), rispettivamente nei panni di Denise e Lily, madre di Ashley.

The Merry Gentlemen: un Natale a luci rosse

Ashley vive il suo sogno di quando era bambina di essere una delle Jingle belles, un gruppo di ballerine che inscenano uno spettacolo a tema natalizio in uno degli spettacolari teatri di Broadway. Tutto sembra perfetto fino all’arrivo di una nuova giovane belles: Ashley viene tristemente scaricata perché considerata troppo matura per lo spettacolo e viene liquidata brevemente dalla coreografa poche settimane prima di Natale.

Ashley fa ritorno a Sycamore Creek, la sua città Natale. Qui scopre che il Rhythm room, il locale gestito da tanti anni dai suoi genitori, ha perso fama e ha portato la sua famiglia a indebitarsi. Il Rhythm room non sembra avere altro scampo se non essere trasformato in un juice bar, per non rischiare di divenire un altro buco nel muro tra troppi buchi.

Con l’aiuto di Luke e degli altri ragazzi, Ashley riuscirà a dare una nuova chance al locale portando una ventata di novità da Broadway: uno show di varietà maschile. Lo spettacolo si traduce in un’esibizione molto osé e attraente per il pubblico femminile della città. Mentre il destino di Ashley sembra essere nella sua città d’origine, il capitolo di Broadway non sembra totalmente chiuso: la scelta tra Sycamore Creek e Luke e la città sarà molto difficile.

The Merry Gentlemen: le ingiustizie dello spettacolo

Il punto di partenza di The Merry Gentlemen è una delle tante ingiustizie che si creano in un settore come la danza o lo spettacolo in generale. Sul palco ciò che conta di più è certamente il talento e l’aspetto, ma ciò non giustifica i corpi di ballo a liquidare con tale facilità le proprie ballerine con la comparsa del primo capello bianco.

Come tutte le attività che prevedono una certa prestanza fisica, come anche gli sport, la danza non è certo una disciplina e un lavoro che può essere praticato in maniera indisturbata per tutta la vita. Ciononostante, sembra chiaro fin da subito quanto sia sbagliato che Ashley, a un età identificabile intorno ai trent’anni, venga cacciata dal proprio posto a favore di una se più giovane e soda.

Un Magic Mike versione natalizia

Come spesso accade nelle pellicole di Natale, non sempre si riesce a trovare nuovi elementi di originalità per individualizzare il film. nel caso di The merry gentlemen, l’elemento di novità dovrebbe essere la presenza di giovani e attraenti ragazzi che si esibiscono mezzi nudi per salvare il Rhythm room. Ciò comporta molte scene hot in un clima natalizio. Questo non è di certo il primo film che porta tematiche simili sul grande schermo: già solo a pensare alla serie cinematografica di Magic Mike la quale è incentrata totalmente su un gruppo di spogliarellisti. Già in partenza sembra molto strano immaginare una commedia di natale su degli pseudo spogliarellisti.

Tralasciando questo elemento, tutto il resto del film sembra essere molto standard: una storia a lieto fine con un fantastico miracolo di Natale finale, una romantica storia d’amore e un’atmosfera molto famigliare.

The Merry Gentlemen si rivela una commedia leggera, piacevole da guardare (magari non in compagnia dei propri genitori/figli per evitare un Natale un po’ cringe!). Nonostante ci sia un certo grado di originalità, la contemporanea presenza di spogliarellisti e di spirito natalizio sembra un po’ stridere, stranendo lo spettatore, più abituato alle classiche storie di Natale.