L’imminente spin-off di
YellowstoneThe
Madison ha aggiunto quattro nuovi membri del cast
al suo crescente elenco, tra cui un attore che ha un ruolo in
1923. La storia di The Madison segue Stacy
Clyburn (Michelle
Pfeiffer), una donna che trasferisce la sua famiglia
da New York al Montana dopo la tragica morte del marito in un
incidente aereo. Tra gli altri membri del cast che interpretano
vari personaggi importanti figurano Patrick J. Adams, Elle Chapman,
Matthew Fox, Beau Garrett, Amiah Miller e Ben Schnetzer. Al momento
non è chiaro quanto sarà diretto il collegamento dello show con
Yellowstone .
Ora, Variety ha confermato che quattro nuovi attori si
uniranno a The Madison: Kevin Zegers, Rebecca
Spence, Alaina Pollack e Danielle Vasinova. Zegers
interpreta Cade, vicino di casa di Stacy e precedente custode della
sua casa nel Montana. Spence interpreta Liliana Weeks, un’altra
donna di New York City amica della protagonista. Polloack è Macy,
la figlia di Abigail (Garrett), che ha familiarità con la vita a
New York. E Vasinova è Kestrel, moglie di un ranchero del Montana
con origini indigene. Tra tutti gli attori, Vasinova ha già
familiarità con l’universo della serie, avendo recitato anche nella
seconda stagione di 1923 nel ruolo di Ata Waipa.
Cosa significa l’ampliamento del
cast di Madison per lo spinoff di Yellowstone
Vengono introdotte molte nuove
prospettive
Alla
fine di Yellowstone non sono stati fatti accenni al
modo in cui The Madison si inserirà nel più ampio
franchise, segnalando che lo show contribuirà a inaugurare un nuovo
inizio per il suo universo. I nuovi personaggi mostrano
quanto saranno ampie le prospettive dello spinoff, dai
vicini e amici di Stacy a personaggi il cui ruolo più ampio non è
ancora chiaro. Tuttavia, proprio come il numero di personaggi
introdotti nella serie principale, questo spinoff potrebbe essere
destinato a raccontare una moltitudine di storie complesse con i
suoi nuovi arrivati.
L’aggiunta più curiosa resta
comunque quella di Vasinova, il cui ruolo nella
seconda stagione di 1923 sarà pienamente rivelato
quando lo show tornerà nel febbraio 2025. Al momento non è
chiaro se Kestrel e Ata Waipa abbiano un qualche tipo di legame
l’una con l’altra, nonostante i 100 anni di distanza. Il
suo personaggio potrebbe finire per essere il tessuto connettivo
tra The Madison e Yellowstone, a seconda che la
sua partecipazione a entrambi gli show sia stata pensata per
evocare una connessione tra loro.
Dopo il travolgente successo del
“live action” diretto da Jon
Favreau nel 2019, la Disney torna nelle Terre del
Branco con Mufasa:
Il Re Leone, una storia prequel sul famoso papà di
Simba che questa volta vede il coinvolgimento, sulla sedia di
regia, del premio Oscar Barry Jenkins.
Cosa spinge un regista noto per il cinema indie a realizzare un
costoso blockbuster per la Disney? Secondo
Jenkins è
stata la sceneggiatura. Ecco cosa ha raccontato alla stampa
romana: “Non
ho ancora capito come mai la Disney ha pensato a me, in che modo il
regista di Moonlight poteva essere adatto a dirigere questo film.
Quando sono venuti da me la prima volta ho risposto di no. Il mio
agente mi ha chiamato, dicendomi che la Disney mi voleva per un
film su Il Re Leone, e io ho risposto di no, senza neanche leggere
la sceneggiatura. Ma lui mi ha risposto che non si poteva dire di
no alla Disney, e così è passato del tempo. E visto che loro
insistevano, io ho chiesto al mio agente di leggere la
sceneggiatura per dirmi se fosse valida o meno, ma lui mi ha
risposto che non poteva, era del materiale top secret a cui solo io
potevo avere accesso. Dopo 8 giorni, mia moglie (la regista Lulu
Wang, ndr) mi ha detto che ero stupido a rifiutarlo senza leggere,
e così l’ho fatto. Avete visto i primi 39 minuti e 50 secondi di
film perché è a questo punto che mi sono fermato, nella lettura, e
ho pensato che ci fosse qualcosa di speciale in questa storia. La
sceneggiatura mi ha convinto.”
Lui, come Greta Gerwig, Ryan Coogler, Chloe Zhao,
ha parte di una generazione di registi indipendenti che hanno
deciso di prestare il loro occhio al cinema mainstream. Come si
spiega questo fenomeno?
Barry Jenkins – Foto Cortesia @Disney
“Negli anni ’70 e ’80 questi
franchise non esistevano. E credo di far parte della prima
generazione di registi che è cresciuta con quei franchise e che ora
si trova ad avere la possibilità di dirigerne un pezzo. Quando la
possibilità di dirigere questi film arriva a me non è come un
elemento esterno che entra nella mia vita, ma è come una parte
diversa della mia vita. Perché io divido la mia vita di spettatore
in due fasi: i film che ho visto prima della scuola di cinema e i
film che ho visto dopo la scuola di cinema.”
Scardinare una storia che tutti
credono di conoscere da 30 anni
Come si racconta la storia
di Mufasa, un personaggio che tutti credono di conoscere da 30
anni, ma che poi si rivela sorprendente?
“In tutto il mondo, chiunque
sollevi in alto un pupazzetto di peluche sa che quel gesto fa
riferimento a Rafiki che presenta Simba agli animali, è un gesto
universale che da 30 anni tutto il mondo condivide e per questi 30
anni tutti abbiamo pensato che Mufasa è re perché è un leone saggio
e giusto e discende dai re, che Scar è cattivo perché è nato
cattivo. Eppure io ho sempre creduto alla differenza tra natura e
cultura. All’inizio di questo film, Mufasa perde tutta la sua
famiglia e viene trovato da Taka e dalla sua famiglia. Vediamo come
il papà di Taka sia un pessimo padre e come invece sua madre, a cui
viene affidato il piccolo Mufasa, insegni al giovane leone i
segreti e gli equilibri della natura. Poteva succedere il
contrario, è un caso che i due siano stati cresciuti con due
modelli di genitorialità differenti. E diventano così degli adulti
completamente diversi tra loro.”
Lo scontro tra natura e cultura, nel
racconto di Barry Jenkins, si fonde anche con il
giusto valore al merito a scapito della predestinazione di nascita,
un tema che il regista sente molto suo.
“La leadership non è determinata
dalla tua origine, in questo film. Questo è uno degli aspetti che
ho amato di più, perché mi rispecchia. Io sono nato in un quartiere
che ricorda molto la realtà di Moonlight, era difficile per me
immaginare che avrei girato il mondo promuovendo un film de Il Re
Leone che avrei diretto io, eppure eccomi qui, il film esiste e io
sono qui. La vita che conduci e la comunità che costruisci intorno
a te fanno la differenza.”
Mufasa è un film di Barry
Jenkins
In che modo Mufasa è un film
di Barry Jenkins?
“Quando ho letto la
sceneggiatura ho pensato che poteva diventare un mio film, con
tanto lavoro. Chi ha lavorato con me è stato molto paziente, dovevo
capire bene come adattare questa tecnologia al mio modo di
lavorare, tenendo accanto a me il nucleo centrale della produzione,
il direttore della fotografia e la montatrice. Chi ha lavorato agli
effetti visivi del film è stato particolarmente paziente e
gentile.”
Jenkins ha continuato spiegando come
il lavoro con la motion capture non è stato possibile in questo
processo di apprendimento. Mufasa: Il Re
Leone infatti è stato realizzato a partire dalla
colonna sonora, registrando tutte le voci dei personaggio, come
fosse un radio dramma. Questa colonna è stata poi montata e
storyboardata, e poi, alla fine, sui disegni, sono state realizzate
le animazioni che non hanno coinvolto attori, ma animatori veri e
propri che, con una tecnologia particolare hanno disegnato i
personaggi con i loro movimenti. Barry Jenkins si è trovato quindi
a dirigere il corpo degli animatori.
In che modo Mufasa si
connette ai suoi film precedenti?
“Credo che Mufasa e Chiron
(protagonista di Moonlight, ndr) abbiamo moltissime cose in comune.
Entrambi sono orfani e devono attraversare la vita da soli, per
conoscere se stessi e il mondo in cui vivono, costruendosi intorno
una realtà in cui sono degni di amore. Sto descrivendo sia l’uno
che l’altro, e la cosa incredibile è che non l’ho scritto io
Mufasa, ma è arrivato da me. La somiglianza più grande però la vedo
nella sfera personale. Nel film, Mufasa incontra Taka, poi Rafiki,
Sarabi e Zazu, e comincia a costruirsi una famiglia intorno con
delle persone che lo amano e che lui ama. La sua vita diventa il
risultato dei suoi incontri ed è quello che è successo a me, con i
miei amici e i miei collaboratori che ormai sono la mia
famiglia.”
Il film ha involontariamente
rappresentato una preparazione a un lutto importante: “Mia
madre è morta mentre facevo questo film. E non mi sono reso conto
in che modo potente e folle questo film mi stava preparando al
trauma della perdita di mia madre – ha
raccontato Barry Jenkins– Mi è
stato detto che i film che facciamo dovrebbero essere un riassunto
delle nostre vite in quel momento, e guardandoli uno per uno
dovresti sapere esattamente a che punto della vita eri quando lo
hai girato. E con Mufasa posso farlo.”
Mufasa: Il Re
Leone arriva al cinema il 19 dicembre, in tempo per
le feste natalizie, e è distribuito da The Walt Disney Company
Italia.
Il finale emozionante della prima
stagione di
The Day Of The Jackal ha concluso gran parte della
trama della stagione, gettando le basi per la seconda stagione, già
approvata. The Day of the Jackal è una
rivisitazione moderna del film del 1973, a sua volta basato su un
libro di Frederick Forsyth. La serie vede
Eddie Redmayne nei panni del protagonista Jackal e
Lashana Lynch in quelli della determinata agente dell’MI6 Bianca
Pullman, che gli dà la caccia. Mentre le versioni precedenti sono
ambientate in periodi molto precedenti alla serie TV, l’ultima
versione offre una versione altamente contemporanea.
Nel corso della prima stagione, la
serie ha creato una tensione incredibile, con il gioco del gatto e
del topo tra lo Sciacallo e l’MI6 che si avvicinava sempre più alla
conclusione. Nell’episodio 10, questa è arrivata e il destino dello
Sciacallo è stato deciso, ma forse non nel modo in cui avrebbero
immaginato coloro che conoscono le versioni precedenti della
storia. In questo caso, The Day Of The Jackal ha un finale
decisamente più luminoso, con spazio per il proseguimento della
storia.
Come lo Sciacallo è sfuggito
alla cattura nel finale della prima stagione
Nell’ultimo episodio della prima
stagione di The Day Of The Jackal, il Sciacallo riesce a
evitare la cattura. Nonostante la squadra di sicurezza di Ulle Dag
Charles fosse proprio alle sue calcagna nel precedente episodio,
la barca del Sciacallo riesce a seminare tutti e lui riesce
a fuggire. Non è chiaro come o perché ciò sia accaduto, perché
l’episodio 10 riprende con il Jackal già tornato sulla terraferma
dopo aver evitato la cattura in mare.
Nonostante ciò, un superiore del
capo dell’MI6 che stava dando ordini a Bianca arriva e dice loro di
riaprire il caso. Con Bianca così vicina alla cattura dello
Sciacallo, i potenti miliardari che lo hanno assunto per uccidere
UDC stanno ora spingendo per catturarlo e ucciderlo, per evitare di
dover pagare la ricompensa di 100 milioni di dollari per un lavoro
ben fatto. Ma quando lo Sciacallo viene affrontato a casa sua, ha
il vantaggio di giocare in casa e riesce a uccidere rapidamente ed
efficacemente i suoi potenziali rapitori.
Perché la moglie dello
Sciacallo è fuggita con il figlio
Tuttavia, il motivo per cui Jackal
era tornato a casa era per prendere sua moglie Nuria e il loro
figlio. Jackal aveva promesso che dopo questo lavoro avrebbe
abbandonato la vita da assassino e avrebbe portato Nuria in
qualsiasi parte del mondo. Nuria inizialmente voleva rimanere nella
loro bella casa in Spagna, vicino a sua madre e suo fratello, ma
quando Jackal la chiama, sente il panico nella sua voce. Non sono
più al sicuro nella loro casa, il che probabilmente
significa che tutti i suoi cari sono al sicuro.
Nuria ama suo marito, ma dopo la
notizia bomba che Charles non era chi diceva di essere e che quello
non era nemmeno il suo vero nome, ha deciso di tagliare i ponti e
proteggere suo figlio. Ha preso i fondi di emergenza dalla sua
cassaforte segreta e si è precipitata all’aeroporto prima che suo
marito tornasse. Nonostante il suo affetto, la fiducia è andata
perduta e la sicurezza di suo figlio doveva venire prima di
tutto.
La spiegazione della morte di
Bianca Pullman
Bianca Pullman ha lasciato il suo
lavoro dopo che le è stato chiesto di rinunciare al caso Jackal.
Dopo aver dedicato la sua vita a questa missione, al punto da
rovinarsi la vita privata, le è stato detto di smettere. Poi è
stata minacciata che, se avesse continuato, avrebbe perso il
lavoro. Tuttavia, essendo testarda e ostinata, Bianca ha deciso di
dimettersi prima che potessero mandarla via e cercare di
ricostruire la sua vita familiare.
È riuscita a convincere il marito e
la figlia a tornare a casa, ma quando il suo capo si è presentato
alla sua porta dicendole che aveva ragione e che voleva rimandarla
in missione, Bianca ha rifiutato. Nonostante ciò, suo marito ha
capito quanto quell’offerta fosse importante per sua moglie e l’ha
spinta ad andare comunque. Partì per la Spagna, cercando di seguire
l’ultima pista, che la condusse proprio alla porta di casa dello
Sciacallo. Dopo aver sorvegliato la casa, aver visto Nuria uscire
con suo figlio e aver finalmente individuato lo Sciacallo, entrò
in casa per catturarlo e affrontarlo. Tuttavia, lo Sciacallo
aveva il sopravvento nella sua casa sicura e uccise Bianca
rapidamente mentre lei era in piedi nella sua casa.
La vera identità dello
Sciacallo svelata
Non è chiaro quanto sia sicura
l’identità dello Sciacallo dopo tutti questi eventi. Bianca ha
espresso la sua teoria sul fatto che lui fosse in Spagna al suo
capo, che poi si è rivelato lavorare sotto l’autorità del
miliardario. Ma quando ha mandato Bianca a finire il Jackal, le ha
detto di farlo in modo discreto. Ciò significa che le tracce
potrebbero perdersi. Tuttavia, c’è una domanda sul corpo di Bianca
lasciato nella sua casa. Il Jackal non era solitamente così
negligente e avrebbe potuto dare fuoco alla casa, ma con
l’avvicinarsi della fine della stagione, ha corso più rischi ed è
diventato imprudente nel tentativo di agire rapidamente.
Non è chiaro quanto sia
sicura l’identità dello Sciacallo dopo tutti questi
eventi.
Sebbene il suo nome e il suo volto
siano ancora un mistero, ci sono più collegamenti che mai con lo
Sciacallo, e i miliardari o l’MI6 potrebbero avere un’idea molto
chiara di chi sia. Inoltre, l’MI6 ha interrogato le persone
della piccola comunità di Cadice, in Spagna, dove viveva. Lo
conoscevano con un nome diverso, e ora la morte e i guai sono
arrivati nella loro comunità. Una potenziale fonte di informazioni
è anche il fratello di Nuria, che crede che Charles sia il
Sciacallo e ha accesso alle foto dell’uomo.
Come il finale della prima
stagione prepara la trama della seconda stagione di The Day Of
The Jackal
La seconda stagione de The
Day Of The Jackal ha ancora molto da raccontare
La prima stagione di The Day Of
The Jackal conclude molti dettagli, con la rivelazione della
vera fedeltà dei vertici dell’MI6, l’uccisione dell’UDC e la
sopravvivenza dello Sciacallo, ma c’è ancora molto da raccontare.
Lo Sciacallo sta ora cercando di ritrovare sua moglie e suo figlio
e ha reclutato Zina, la donna che ha fatto da intermediaria tra lui
e i miliardari, per aiutarlo a trovarli. Anche Zina è ricercata,
quindi collaborare è vantaggioso per entrambi.
Inoltre, lui ha un debito enorme
con alcune élite aziendali disoneste che lo hanno messo in grave
pericolo per il proprio tornaconto e ora stanno evitando di pagare
il conto. E come se non bastasse, è più esposto che mai, con la sua
identità segreta rivelata a diverse parti. Ci sono molti nodi da
sciogliere e The Day of the Jackal – stagione 2 sarà sicuramente
emozionante quanto la prima, se riusciranno ad affrontare bene
questi elementi.
Come il finale della prima
stagione di The Day Of The Jackal si confronta con il film e il
libro
Tuttavia, il finale della serie
The Day Of The Jackal è stato in realtà piuttosto diverso
dal libro e dal film precedente. Mentre la storia è stata
modernizzata, con armi, travestimenti, tecnologia e altro ancora,
anche lo sciacallo è stato trasformato in un antieroe. I
suoi metodi non giustificano necessariamente i mezzi, ma ci sono
delle motivazioni e in generale sembra avere buone intenzioni.
Qui, i miliardari e i loro rapporti
con i membri corrotti dell’MI6 sembrano essere i veri cattivi,
mentre Bianca, la cui moralità era anch’essa ambigua, rimane
coinvolta nella vicenda. Nelle storie originali, tuttavia, è lo
Sciacallo a morire alla fine. Questo cambiamento significativo ha
aperto la strada alla seconda stagione e fa sorgere la domanda: lo
Sciacallo verrà ucciso nella seconda stagione di The Day Of The
Jackal?
Conclave è
un mystery-thriller del 2024 che ruota attorno all’elezione di un
nuovo Papa, e l’ensemble è completato da attori di immenso talento.
Il nuovo film è diretto da Edward Berger, regista noto
soprattutto per il film premio
Oscar“Tutto
tranquillo sul fronte
occidentale”. Conclave è il
suo secondo adattamento di un denso testo di narrativa storica,
basato sull’omonimo romanzo del 2016 dell’autore Robert Harris.
Presentato in anteprima al Telluride Film Festival nell’agosto
2024, Conclave ha ricevuto
recensioni positive, con un punteggio del 95% su Rotten
Tomatoes e un 7,4/10 su IMDb.
Il film segue Thomas
Lawrence, un cardinale incaricato di organizzare la successione di
un nuovo papa dopo che il precedente è morto con
misteri persistenti. Lawrence gioca un pericoloso gioco politico: i
cardinali in lizza per il posto vacante cercano il suo favore,
sapendo che la sua influenza sarà vitale per le loro possibilità di
vincere l’elezione. Nel frattempo, continua a scoprire informazioni
sui segreti del papa precedente, con conseguenti scoperte che
riguardano i potenziali candidati. Conclave è
nelle sale dal 19 Dicembre.
Ralph Fiennes nel ruolo
del cardinale Thomas Lawrence
Ralph Fiennes è un attore inglese che si è
fatto notare per la prima volta per il ruolo dell’antagonista nel
film drammatico di Steven
Spielberg sulla Seconda Guerra
Mondiale, Schindler’s
List, che gli è valso la prima nomination all’Oscar.
Poco dopo, ha recitato ne Il paziente inglese, un
altro film che ha vinto come miglior film. Nel XXI secolo, Fiennes
è diventato ampiamente riconoscibile per i suoi ruoli in vari film.
I migliori film di Ralph
Fiennes includono personaggi di franchising come
Voldemort nella serie di Harry Potter e ruoli da
protagonista in titoli acclamati dalla critica come Grand
Budapest Hotel e Il menu.
Personaggio:
Il cardinale Thomas Lawrence gestisce il processo di elezione del
papa. È essenzialmente il capo dei cardinali, ma non si ritiene
adatto a diventare il prossimo papa
Stanley Tucci nel ruolo
del Cardinale Bellini
Stanley Tucci è un attore americano di Peekskill, New York,
noto soprattutto per aver interpretato ruoli di supporto in un
vasto assortimento di film e serie televisive, che gli sono valsi
sei Emmy, due Golden Globe e nomination agli Oscar. Tra i suoi film
più noti ricordiamo Il
diavolo veste Prada, per il quale ha
ricevuto una nomination all’Oscar, la serie Hunger
Games , Spotlight, Julie &
Julia e altri ancora. Recentemente, ha condotto la
popolarissima serie di documentari Stanley Tucci:
Searching for Italy, che ha ricevuto ampi consensi e
ammirazione.
Personaggio:
Il cardinale Bellini è un amico intimo del cardinale Thomas che ha
l’ambizione di diventare il nuovo papa.
John Lithgow nel ruolo
del Cardinale Tremblay
Attore: John Lithgow è
un attore americano di Rochester, New York, che ha
costruito una carriera leggendaria nel cinema e nella televisione
negli ultimi cinque decenni, interpretando numerosi
personaggi iconici e apparendo in decine di opere acclamate dalla
critica. All’inizio della sua carriera, Lithgow ha ricevuto
consensi per essere apparso nei film di Brian De Palma, tra
cui Obsession e Blow Out. In tempi
più recenti, è noto per i suoi ruoli di supporto in film
come Interstellar e Killers of the Flower
Moon, oltre che in serie televisive come Perry
Mason e The
Crown.
Personaggio: Il
cardinale Tremblay è uno dei contendenti per diventare il nuovo
papa, ma possiede oscuri segreti.
Carlos Diehz: Cardinale
Benitez
Attore: Carlos Diehz è
un attore messicano che si è cimentato nella
recitazione solo di recente, il che significa che sarà un volto
quasi del tutto originale per il pubblico che
vedràConclave. Prima del
film del 2024, i suoi unici crediti includevano due
cortometraggi, The Vegan Vampire e It
Gets Dark Too Early.
Personaggio: Il
personaggio di Diehz è il Cardinale Benitez, un misterioso nuovo
arrivato che continua a votare per Lawrence.
Cast e personaggi di
supporto del Conclave
Isabella Rossellini nel ruolo di Suor
Agnes: Isabella Rossellini ha contribuito con
interpretazioni iconiche a film e spettacoli televisivi per oltre
quattro decenni, tra cui un ruolo da protagonista
in Velluto blu di David Lynch.
Sergio Castellitto nel ruolo del Cardinale
Tedesco: Sergio Castellitto è un attore, regista e
sceneggiatore italiano che ha lavorato a progetti nel suo paese
d’origine per oltre quattro decenni, tra cui il film del
2004 Non ti muovere, che ha diretto e interpretato al
fianco di Penelope Cruz.
Lucian Msamati nel
ruolo del Cardinale Adeyemi: Lucian Msamati è un
attore britannico-tanzaniano noto soprattutto per i ruoli in serie
televisive come Gangs of
London e Game of Thrones.
Brían F. O’Byrne nel
ruolo di Monsignor Raymond O’Malley: Brían F. O’Byrne
è un attore irlandese apparso in film e serie televisive
come Million Dollar Baby, Before the Devil Knows You’re
Dead e Mildred Pierce.
Merab Ninidze nel
ruolo del Cardinale Sabbadin: Merab Ninidze è un
attore georgiano noto soprattutto per aver lavorato in film e
spettacoli europei, tra cui Nowhere in
Africa e The Courier.
Il finale di Conclave è
memorabile e fa parlare di sé. Il film, diretto da Edward Berger su
sceneggiatura di Peter Straughan, è tratto dall’omonimo romanzo di
Robert Harris. Le
recensioni di Conclave sono state estremamente
positive, con un punteggio elevato su Rotten Tomatoes e con
un’attenzione particolare alla stagione dei premi. Il thriller
politico si conclude con il conclave che ha votato un nuovo papa –
il cardinale Vincent Benitez – dopo un lungo e arduo processo pieno
di rivelazioni su intenzioni, etica e comportamento. Il cardinale
Thomas Lawrence sembra un po’ deluso di non essere stato scelto
come papa, nonostante in precedenza non fosse interessato alla
posizione. Il libro di Robert Harris è uscito nel 2016 ed è
diventato un best seller.
Dopo che il cardinale Benitez viene
rivelato come nuovo papa al conclave, ma non ancora al pubblico, il
cardinale Lawrence gli fa visita dopo essere stato messo al
corrente di una procedura che Benitez ha quasi subito.
Interpellato, Benitez rivela di essersi quasi sottoposto a
un’isterectomia, ma di aver deciso di non farlo perché voleva
valorizzare la persona che Dio ha fatto di lui. Il cardinale
Lawrence è stupito perché non ne aveva davvero idea, ma non dice
nulla agli altri cardinali sulla situazione di Benitez. Il
Conclave si conclude con una fumata bianca che rivela che il
nuovo Papa è stato finalmente eletto dopo molti giorni di
segregazione.
La spiegazione del colpo di
scena del Conclave del cardinale Benitez
Il colpo di scena
del Conclave di Benitez è destinato a
sorprendere, soprattutto perché il cardinale sarebbe ora il primo
papa a non essere nato maschio. Benitez è una persona intersessuale
che ha creduto di essere maschio fino all’età adulta. Il suo sesso
non è mai stato messo in discussione ed è stato mandato in
seminario molto presto. Tuttavia, solo quando è stato ferito da
un’autobomba in Afghanistan, un esame medico ha rivelato la
verità: Benitez aveva l’utero. Ritenendo che
ciò lo squalificasse dalla sua posizione, si offrì di dimettersi,
ma il Papa fece in modo che Benitez fosse sottoposto a
isterectomia.
Alla fine il cardinale
Benitez ha deciso di non sottoporsi all’isterectomia,
scegliendo di rimanere come Dio lo ha creato. Benitez non ne parlò
a nessuno, tranne che al Papa e al medico che lo visitò. La sua
cartella clinica fu secretata ed egli continuò a essere un
sacerdote prima che il defunto papa lo nominasse cardinale.
Probabilmente Benitez continuerà a tenere segreto il fatto di avere
un utero al resto dei cardinali – almeno per il momento. Ma ora che
Benitez è papa, potrebbero decidere di rivelare la verità al resto
dei cardinali, alla Chiesa cattolica e al mondo.
Perché Lawrence tiene nascosto
il segreto di Benitez agli altri cardinali
Il cast di Conclave è composto da otto
cardinali principali e dalla sorella Agnes di Isabella Rossellini,
che non ha alcuna voce in capitolo nel conclave. Nel corso del
film, il cardinale Lawrence scopre tutti i loro segreti e li tiene
in riga per poter avere un’elezione giusta. Pur volendo rivelare
ciò che gli altri cardinali nascondono, il cardinale Lawrence non
rivela la verità sulla situazione del cardinale Benitez.
Probabilmente perché Benitez è già papa quando Lawrence ne viene a
conoscenza. Lawrence ritiene inoltre che Benitez sia sincero nella
sua fede e che rivelare Benitez agli altri cardinali
sarebbe un tradimento.
Credendo che questo lo
squalificasse dalla sua posizione, si offrì di dimettersi, ma il
papa fece in modo che Benitez fosse sottoposto a
isterectomia.
Inoltre, non è un segreto di
Lawrence da rivelare, e dirlo agli altri cardinali non cambierebbe
l’esito dell’elezione. C’è anche il fatto che gli altri cardinali
avevano a che fare con ricatti e segreti che erano altrimenti
sinistri e dannosi per la loro moralità. L’intersessualità di
Benitez non era un caso di etica, e aveva il potenziale per
cambiare positivamente la Chiesa cattolica. E se al
defunto Papa andava bene che Benitez fosse così com’era,
probabilmente andava bene anche a Lawrence.
Perché le ambizioni del
cardinale Lawrence di diventare Papa sono cambiate
Il cardinale Lawrence ha cercato di
gestire il conclave con il massimo senso di correttezza. È per
questo che non era disposto a rimanere in silenzio quando scoprì
ciò che il cardinale Tremblay stava facendo, soprattutto perché non
lo avrebbe ammesso. Allo stesso tempo, Lawrence non era convinto di
diventare Papa, nonostante Benitez avesse sempre votato per lui.
Aveva i suoi dubbi, ma il fatto di essere rimasto
relativamente neutrale per tutto il tempo, a parte la sua spinta
per Bellini come papa, lo metteva anche in corsa.
La fiducia di Benitez in lui e la
sensazione che ha provato dopo il suo discorso ai cardinali hanno
iniziato a fargli cambiare idea sulla possibilità di vedersi o meno
come papa dopo aver scartato l’idea con tanto fervore in
precedenza. Con i suoi continui sforzi per un’elezione giusta,
volendo sempre fare ciò che è meglio, e dopo aver visto quanto gli
altri cardinali avrebbero fatto per rubare l’elezione, il cardinale
Lawrence si è convinto che, dopo tutto, potrebbe essere una buona
scelta per il papa. Lawrence passa dall’essere uno che dubita ad
essere un po’ più sicuro man mano che
il Conclave va avanti.
Tutto ciò che il Papa sapeva sui
cardinali prima di morire
Mentre il Papa muore all’inizio
del Conclave, si scopre che sapeva molto di più sui
cardinali di quanto avesse lasciato intendere. Il defunto papa
sapeva che il cardinale Tremblay stava corrompendo altri cardinali
nel tentativo di ottenere i loro voti. Per questo motivo chiese le
dimissioni di Tremblay, che non avvennero mai perché morì poco
dopo. Il Papa sapeva anche di Benitez, e lo ha nominato cardinale
“in pectore” poco prima di morire, all’insaputa degli altri
cardinali fino a quando Benitez non si è presentato poco prima
dell’inizio del conclave. Di certo, il Papa sapeva molte cose che
non aveva rivelato.
Cosa cambia il Conclave rispetto
al libro
Uno dei maggiori cambiamenti
riguarda il nome del cardinale Lawrence. Nel romanzo, egli è il
cardinale Lomeli, ma poiché Ralph
Fiennes interpreta il ruolo in Conclave,
e non è italiano, è possibile che il cognome sia stato
cambiato per riflettere questo fatto. Inoltre, l’arrivo di
una suora dalla Nigeria mette in difficoltà il cardinale Adeyemi.
Si tratta di una persona del suo passato, anche se si scopre che il
cardinale Tremblay ha chiesto il trasferimento della suora in
Vaticano per far arrabbiare Adeyemi e impedirgli di vincere. La
suora è presente anche nel libro, ma gli eventi relativi a questa
sottotrama si svolgono in modo leggermente diverso.
Per il
resto, Conclave è un adattamento abbastanza
fedele del libro di Harris. Dal ricatto del cardinale Tremblay
all’esplorazione interiore del cardinale Lawrence sulle proprie
ambizioni e al colpo di scena a sorpresa del cardinale Benitez alla
fine, l’adattamento cinematografico di Berger è fedele alla
storia e ai suoi dettagli. Ci sono molti adattamenti che
apportano cambiamenti drastici o tralasciano molte cose,
ma Conclave, come i cardinali Lawrence e Benitez, è
fedele.
Il vero significato del
Conclave
Conclaveparla molto di
tradizioni, di cambiamenti e dell’intersezione di
questi due aspetti. Concentrandosi sul conclave, il film sottolinea
le usanze della Chiesa cattolica che sono state portate al
presente, mentre i personaggi – i cardinali Lawrence, Benitez e
Bellini – si interrogano e riflettono sulla strada da seguire e sui
cambiamenti che la Chiesa cattolica deve fare per sopravvivere in
un mondo in continua evoluzione. Si tratta anche del tumulto
interiore e dell’inquietudine dei cardinali, che hanno tutti
opinioni diverse, e di come possano essere un fronte unito per i
loro parrocchiani.
Il conclave li vede a un bivio. L’isolamento dagli
altri è una manifestazione fisica del loro non essere troppo
coinvolti nel mondo circostante. Alcuni degli intrallazzi politici
dei cardinali sono più legati alla vittoria che alla volontà di
aiutare. I personaggi si interrogano sul loro ruolo, e Lawrence è
particolarmente dubbioso: vorrebbe come papa qualcuno che non è
sicuro delle cose, perché questo rende più disposti a cambiare e a
tracciare un percorso in avanti piuttosto che rimanere rigidamente
bloccati nei modi del passato. Il segreto di Benitez è forse il
modo migliore e più inaspettato per far progredire completamente la
Chiesa cattolica.
La serie Siviglia
1992 di Netflix
presenta molte trame realistiche e personaggi con cui è facile
identificarsi, rendendo difficile non chiedersi se sia basata su
una storia vera. Quando si tratta di thriller sui serial killer,
alcuni sembrano adattare direttamente le storie di persone
coinvolte in crimini violenti realmente accaduti. Ad esempio, la
controversa serie NetflixMonster, in ogni stagione sceglie un
serial killer realmente esistito e ripercorre la serie di crimini
da lui commessi e le potenziali motivazioni che lo hanno spinto a
uccidere. Ci sono poi altre serie che attingono solo da eventi
reali che hanno coinvolto serial killer, ma adottano narrazioni
originali.
Cross di Prime Video è l’esempio perfetto di questo
approccio perché, anche se contiene molti riferimenti a serial
killer reali, il personaggio centrale è fittizio. L’approccio
adottato da Siviglia 1992 di Netflix
sembra abbastanza simile all’adattamento di Alex Cross di Prime
Video perché, nonostante i molti elementi fittizi nella narrazione,
la serie cerca di includere una parvenza di realismo. Sebbene sia
discutibile se l’approccio di 1992 funzioni efficacemente,
riesce comunque a radicare la serie in un mondo che sembra allo
stesso tempo familiare e terrificante.
Siviglia
1992 non è basato su una storia vera
La serie offre retroscena
realistici ai suoi personaggi
Per quanto alcuni elementi di
Siviglia 1992possano
sembrare realistici, la serie TV non è basata su una storia vera.
Molti aspetti dei metodi e delle motivazioni del killer del
lanciafiamme, personaggio centrale della serie, sembrano anche un
po’ esagerati nella serie spagnola di Netflix. Tuttavia, la serie
riesce ad aggiungere molti livelli di realismo al personaggio,
sostenendo le sue azioni con una solida storia di fondo. Anche per
quanto riguarda gli altri personaggi della serie,
Siviglia 1992 li rende più umani
e riconoscibili, dando un assaggio di come sono le loro vite al di
là dei misteri centrali e degli eventi che li circondano.
Ad esempio, 1992 descrive in
modo realistico come un personaggio di nome Richi perda tutto, dal
lavoro alla famiglia, a causa dell’alcolismo. La serie mette in
evidenza come, nonostante abbia perso tutto, Richi lotti per
rompere il circolo vizioso della sua dipendenza. Ci sono persino
momenti in cui decide di smettere di colpo. Purtroppo, nonostante i
suoi sforzi, Richi fatica a controllare il suo alcolismo, che gli
impedisce di realizzare il suo vero potenziale come investigatore.
Oltre a questo, 1992 adotta in modo interessante alcuni
espedienti narrativi tratti dalla vita reale per coinvolgere
efficacemente gli spettatori nel suo dramma poliziesco.
L’Expo di Siviglia del 1992 e la
mascotte Curro sono reali
Siviglia
1992 di Netflix adotta un’ambientazione reale nella
sua linea temporale passata
Il titolo 1992 fa
riferimento all’Expo di Siviglia del 1992, un evento reale che
ha celebrato il 500° anniversario dell’arrivo di Cristoforo Colombo
in America dopo essere salpato dal porto di Siviglia. Come mostrato
nel film, Curro era la mascotte ufficiale della fiera, che
rappresentava un uccello gigante bianco con le zampe di un elefante
e un becco color arcobaleno. A differenza dell’Expo raffigurata in
1992 di Netflix, tuttavia, quella reale fu un successo e i
suoi padiglioni furono smantellati solo dopo la sua
conclusione.
Nessuno morì durante gli eventi che
circondarono la fiera originale e nessun serial killer nella vita
reale ha mai usato la mascotte della fiera come maschera mentre
commetteva i suoi crimini. Nella serie, un gruppo di uomini potenti
usa anche l’Expo di Siviglia del 1992 come piattaforma per chiedere
illegalmente denaro al governo. Il racconto di Siviglia
1992 è interamente fittizio, poiché non ci sono
prove che durante la fiera si siano svolte attività corrotte di
questo tipo.
Kraven
– Il Cacciatore si conclude come ci si aspetterebbe
considerando il resto dei film dell’universo di Spider-Man della
Sony. Con Aaron Taylor-Johnson nei panni del
protagonista Sergei Kravinoff, la fine del film vede Kraven
diventare pienamente il cattivo dell’Uomo Ragno che è conosciuto
nei fumetti e presenta anche alcune divertenti rivelazioni
secondarie. Detto questo, l’evoluzione malvagia di Kraven non è
così soddisfacente come molti speravano.
In Kraven – Il
Cacciatore (la
nostra recensione)vengono esplorate la storia e le origini di
Sergei Kravinoff con suo padre Nikolai (Russell
Crowe) e la sua missione nel presente per salvare il
fratellastro Dimitri (Fred Hechinger) da Rhino
(Alessandro Nivola). Tuttavia, il finale presenta
alcune strane scelte dei personaggi in base a quanto stabilito in
precedenza nel nuovo film Marvel. Per
questo motivo, ecco la spiegazione del finaledi
Kraven – Il cacciatoree cosa potrebbe significare
per il futuro.
La spiegazione del finale di
Kraven – Il Cacciatore
Un anno dopo che Sergei ha salvato
il fratello e ucciso sia il Rinoceronte che Nikolai, Kraven torna a
casa del padre dopo che il fratello gli ha detto che il padre gli
ha lasciato qualcosa. Aprendo una scatola, Sergei scopre
che Nikolai ha preso la testa del leone che lo ha quasi ucciso da
bambino e l’ha fatta diventare un gilet. Per questo
motivo, il Sergei di Aaron Taylor-Johnson
assomiglia al Kraven dei fumetti Marvel originali
quando indossa il gilet con la testa di leone e si siede,
appoggiando il mento su un braccio.
Kraven – Il
Cacciatoretermina con Sergei che rispecchia
l’aspetto e la posa classica di Kraven dei fumetti. Questo
significa la sua piena evoluzione nel cattivo di Spider-Man che è
conosciuto nei fumetti, dandogli il look in costume, quasi
richiesto dai fumetti, nel terzo atto, che il pubblico si aspetta
dal genere dei film di supereroi.
Cosa significa che
Kraven – Il Cacciatore indossa la giacca del
leone
Al di là del significato
fumettistico, il fatto che Kraven – Il Cacciatore indossi il
giubbotto significa anche una svolta più oscura per il
personaggio. Il biglietto di accompagnamento del defunto
padre di Sergei conteneva le affermazioni di Nikolai secondo cui
lui e Kraven erano uguali, cacciatori leggendari da temere.
Nonostante l’odio di Sergei per il padre, sembra che questa
lettera, unita alla precedente conversazione con Dimitri (che ha
espresso sentimenti simili), abbia spinto Kraven ad abbracciare la
strada che il padre voleva per lui, quella del Cacciatore. A tal
fine, l’apparente accettazione da parte di Sergei di non essere un
brav’uomo è l’unica ragione che ha senso per cui ha indossato il
giubbotto, tanto per cominciare.
Come il finale prepara il
ritorno di Kraven – Il Cacciatore di Aaron
Taylor-Johnson
Ora che Sergei è diventato
ufficialmente il Kraven dei fumetti, in teoria potrebbe tornare
come cattivo di Spider-Man. Detto questo, è stato
recentemente riportato che Kraven – Il
Cacciatore è l’ultimo dei film SSU della Sony a non
avere come protagonista l’iconico Webslinger. Le probabilità che il
Kraven di Taylor-Johnson possa mai combattere contro Spider-Man
sono molto scarse, a meno che non accada qualcosa di multiversale
nel MCU in cui le sue
strade si incrociano con lo
Spider-Man di Tom Holland, o che qualcosa come l’universo della
Sony finisca per combinarsi con il MCU in seguito a
Secret
Wars.
La spiegazione della morte di
Nikolai Kravinoff: Kraven lo ha ucciso?
Prima di indossare il giubbotto e di
saltare un anno, Kraven viene mostrato mentre incontra suo padre
nella foresta dopo che Rhino è stato ucciso e Dimitri salvato. Non
volendo diventare l’erede del padre e prendere il controllo del suo
impero criminale, Sergei rimuove di nascosto i proiettili dal
fucile di Nikolai. Allo stesso modo, è fortemente implicito
che Sergei abbia influenzato l’orso grizzly ad attaccare e sbranare
il padre, proprio come ha influenzato la mandria di bisonti ad
attaccare il convoglio durante la lotta con Rhino e il
lupo durante l’evasione dalla prigione di Sergei nelle
scene iniziali di Kraven – Il Cacciatore.
PerchéKraven ha attaccato suo padre
Dopo aver appreso da Rhino che era
stato Nikolai a incastrarlo e a metterlo nel mirino di Aleksei
Sytsevich, Sergei ha finalmente inseguito il padre dopo anni di
distanza. Questo perché Nikolai ha usato consapevolmente un figlio
per uccidere una minaccia che non poteva, rischiando anche l’altro
figlio come danno collaterale accettabile. Per questo motivo,
Kraven non poteva più sopportare l’oscurità del padre e il
dolore che portava nel mondo, da cui l’attacco
dell’orso.
Come Dmitri è diventato
camaleonte
L’incontro tra Sergei e Dimitri
nelle scene finali di Kraven – Il cacciatore
rivela che Dimitri ha rilevato sia l’impero del padre che i beni di
Rhino. Allo stesso modo, Dimitri rivela di aver incontrato lo
stesso medico di New York che ha dato a Sytsevich la forza, le
corna e la pelle indurita. Avendo ora la capacità di
assumere le sembianze di chiunque a proprio piacimento, Dimitri
diventa ufficialmente il classico cattivo di Spider-Man noto come
il Camaleonte, un maestro del travestimento che un tempo
utilizzava maschere antiquate e tecnologie avanzate prima di
acquisire l’abilità intrinseca di mutare forma, proprio come il
nuovo Camaleonte della Marvel sullo
schermo.
La classica testa
completamente bianca del Camaleonte dei fumetti può essere vista
anche mentre Dimitri cambia il suo volto a piacimento.
Allo stesso modo, il medico newyorkese in questione non è altro che
il genetista Miles Warren, alias lo Sciacallo. Warren è famoso
soprattutto per aver istigato la Saga dei Cloni di Spider-Man nei
fumetti con la creazione di diversi cloni, in particolare dei Ragni
Scarlatti, conosciuti come Ben Reilly e Kaine Parker.
Perché Camaleonte ha preso il
controllo dell’impero criminale del padre
È davvero una strana
decisione quella di Dimitri di rilevare l’impero del padre alla
fine di Kraven – Il Cacciatore. Nonostante abbia accusato
Sergei di essere proprio come il padre, che entrambi odiavano,
Dimitri sceglie comunque di diventare come lui. Ciò è ancora più
sconcertante se si considera quanto volesse diventare qualcun altro
prima, e soprattutto ora con i suoi nuovi poteri. L’unica
spiegazione accettabile per questa scelta è che probabilmente c’è
ancora un ciclo di abusi in corso, in cui Dimitri vuole ancora
rendere orgoglioso Nikolai, anche dopo la sua morte (e nonostante
tutto il dolore e il tormento che gli ha causato).
Che fine ha fatto
Calypso?
Durante la battaglia con Rhino e i
suoi uomini, Calipso (Ariana
DeBose) uccide lo Straniero (Christopher
Abbott) prima di dare a Sergei un’altra pozione della sua
famiglia in vista dello scontro con Sytsevich. Tuttavia,
Calypso non viene più vista, rendendo il suo futuro
incerto. Detto questo, si può probabilmente ipotizzare che
Calypso sia tornata a lavorare a Londra e che probabilmente
collaborerà di nuovo con Kraven – Il Cacciatore
per aiutarlo a scovare altri bersagli in futuro. È anche logico che
Sergei voglia saperne di più sulla pozione che gli ha salvato la
vita per ben due volte, soprattutto dopo la conferma che Calypso
aveva un altro elisir.
Il vero significato del finale
di Kraven – Il Cacciatore spiegato
In definitiva, il vero
significato del finalediKraven
– Il Cacciatore è piuttosto difficile da
decifrare completamente, considerando la natura generale del terzo
atto, così come le decisioni probabilmente inusuali di
Sergei e Dimitri dopo la morte del padre. Ciò è particolarmente
vero per la decisione di Kraven di non solo indossare il dono del
padre, ma anche di uccidere Nikolai. Per esempio, avrebbe avuto più
senso per Kraven rompere il ciclo dell’oscurità risparmiando la
vita del padre.
Inoltre, avrebbe potuto
avere più senso che Sergei scartasse il giubbotto dopo averlo
provato, invece di abbracciare troppo rapidamente la strada che suo
padre gli ha tracciato negli ultimi due minuti di Kraven – Il
Cacciatore. In ogni caso, sembra proprio che il finale del
film sia troppo affrettato. Semplicemente, non sfrutta appieno
il potenziale che era stato creato in precedenza nel nuovo film
della Marvel.
Gli EP di The
Day Of The Jackalanticipano le missioni della
seconda stagione dello Sciacallo (Eddie
Redmayne) e le sue motivazioni dopo il colpo di scena
della prima stagione, che ha portato il remake televisivo su una
strada diversa rispetto al film di Fred Zinnemann del 1973 e al
romanzo di Frederick Forsyth del 1971. Non solo lo Sciacallo riesce
a portare a termine un altro colpo quasi impossibile, ma sopravvive
anche all’incontro faccia a faccia con l’agente dell’MI6 Bianca
Pullman (Lashana Lynch), che avrebbe dovuto catturarlo.
Gareth Neame e Nigel Marchant, i
produttori esecutivi della serie, spiegano a The Hollywood Reporter cosa succederà allo
sciacallo nella seconda stagione, che ha già ricevuto
il via libera. Neame rivela che “c’è una questione importante in
sospeso” per lo sciacallo , con la moglie e il figlio
dispersieun debito da saldare. Marchant
aggiunge che “sanno qual è la sua priorità, in termini di quale
sarà la sua prossima missione”, ovvero la sua famiglia, ma se
lo sciacallo avrà successo lo scopriremo nella seconda
stagione. Ecco cosa hanno detto:
Neame: C’è una questione
importante in sospeso.
Marchant: In realtà
sappiamo qual è la sua priorità, in termini di quale sarà la sua
prossima missione. Sta cercando di trovare [la sua famiglia]. Se ci
riuscirà o meno, staremo a vedere.
Cosa significa questo per
The Day Of The Jackal – Stagione 2
Lo sciacallo è impegnato in
una missione diversa
Sembra che la seconda stagione
riprenderàda dove si è conclusa la prima. Lo
sciacallo ha dovuto lottare molto durante la sua ultima missione
per eliminare un miliardario del settore tecnologico,Ulle
Dag Charles, alias UDC (Khalid Abdalla). Assoldato dal
concorrente Dance Timothy Winthrop (Charles Dance), l’assassino
avrebbe dovuto impedire il lancio di River. Tuttavia,lo
sciacallo non riesce a sparare al momento del lancio. Ci
riprova nel finale di due episodi e porta a termine il
lavoro.
La complicazione è seguita da un
altro problema quando lo sciacallo incontra Zina (Eleanor
Matsuura), che dovrebbe consegnargli il resto del compenso, ma
Winthrop non ha intenzione di pagare per l’omicidio e ha messo
entrambi nel mirino.C’è un debito da saldare,
ma lo sciacallo lascia l’incontro, lasciando intendere che prima
andrà a cercare sua moglie e suo figlio. Il commento dei produttori
esecutivi conferma la destinazione del soldato d’élite diventato
assassino di Redwayne eil diverso tipo di
missioneche condurrà nella seconda stagione.
Il ritorno di Matt Murdock
(Charlie
Cox) è quasi vicino. TV
Line ha pubblicato una nuova immagine
di Daredevil:Rinascita,
la prossima serie televisiva Disney+ che segnerà il ritorno dell’eroe
introdotto nello show di Netflix. La nuova immagine mostra Charlie
Cox nei panni di Matt Murdock e, sebbene il personaggio possa
sembrare un innocente avvocato che cerca semplicemente di rendere
il mondo un posto migliore, Murdock punisce segretamente i
criminali di New York City come Daredevil. L’imminente serie
televisiva porterà il protagonista lungo un percorso che lo
ricongiungerà al suo più grande nemico, il Kingpin (Vincent
D’Onofrio).
Daredevil:Born
Again ha
subito un complicato processo di sviluppo da parte
di Disney+.
Quando Netflix ha deciso di staccare la spina
a Daredevil,
molti fan in tutto il mondo volevano ancora vedere altre grintose
avventure del vigilante. Fortunatamente, Charlie Cox è tornato a
vestire i panni di Matt Murdock durante gli eventi
di Spider-Man:
No Way Home.
Quella che era iniziata come una piccola apparizione nel sequel
guidato da Tom
Holland si
è trasformata in un ritorno in She-Hulk:
Attorney at Law e
in Echo di
quest’anno. Il palcoscenico è stato preparato perché Daredevil
possa divertire ancora una volta il pubblico quando salverà la
città in Daredevil:Born
Again.
Alcuni vecchi amici tornano in
Daredevil: Born Again
Matt Murdock e Wilson Fisk non
saranno gli unici personaggi della serie Netflix a tornare in
televisione dopo la prima
di Daredevil:Born
Again. Karen Page (Deborah Ann
Woll) e Foggy Nelson (Elden
Henson) torneranno per aiutare Matt Murdock nella sua
vita da avvocato. Oltre a riunirsi con i suoi amici, Daredevil
incrocerà ancora una volta il suo rivale di sempre, il Punitore
(Jon Bernthal).
Daredevil:Born
Again debutterà su Disney+ il 4
marzo 2025. Fino ad allora, le prime tre stagioni
di Daredevil sono disponibili
in streaming su Disney+.
Sulla scia del travolgente successo
al box office di Inside
Out 2, arriva Dream Productions
(qui
il trailer), la nuova serie animata ambientata nello stesso
universo Pixar, che arricchisce il mondo di Riley. La serie,
diretta da Mike Jones e prodotta da Jaclyn Simon, adotta lo stile
del mockumentary per raccontare le vicende dello studio
cinematografico all’interno della mente della giovane protagonista,
dove i sogni prendono forma ogni notte, con un’attenzione maniacale
ai dettagli ma sempre rispettando tempi e budget.
Un vero e proprio set, insomma, con
tutti i pregi, i difetti, le situazioni di scontro e quelle
irresistibilmente comiche. Disponibile dal 20 dicembre in esclusiva
su Disney+, Dream
Productions si fonda principalmente su un umorismo leggero
indirizzato alla rappresentazione della vita di set, che riesce a
virare su riflessioni più intime e profonde quando lo sguardo si
allarga verso il mondo della protagonista.
Dream Productions propone una
storia brillante e surreale
La trama si sviluppa tra gli eventi
di Inside Out e Inside
Out 2. Riley si sta affacciando all’adolescenza, un
periodo cruciale in cui emozioni e ricordi vengono continuamente
rielaborati. È qui che entra in scena la Dream Productions, il
reparto che trasforma i ricordi e le emozioni in sogni: dai
semplici episodi notturni alle narrazioni più elaborate che aiutano
Riley a elaborare i momenti più complessi della sua vita, talvolta
aiutandola a prendere delle decisioni. Al centro della serie
troviamo la regista Paula Persimmon (doppiata in originale da
Paula Pell), un’esperta professionista che deve
affrontare una sfida impegnativa: creare un sogno di successo
collaborando con Xeni (Richard Ayoade), un regista
ambizioso e sperimentale proveniente dal reparto “sogni a occhi
aperti”.
Questa dinamica tra Paula e Xeni
rappresenta una parte importante della serie, a cui si unisce anche
il viaggio personale di Janelle (Ally Maki) la
brillante assistente di Paula che cerca la promozione e la sua
possibilità di diventare regista dei sogni di Riley. La prima è una
veterana pragmatica, abituata alle difficoltà di produzione, il
secondo è un sognatore, pieno di idee stravaganti ma poco pratiche,
la terza è il contraltare perfetto per Paula: giovane, aperta al
cambiamento, l’ideale per accogliere i nuovi sogni da adolescente
della loro bambina. L’interazione tra queste tre spinte differenti
dà vita a momenti di grande comicità e rappresenta una metafora del
contrasto tra creatività e realismo, tra passato e presente, un
tema che risuona non solo nel mondo del cinema, ma anche nella vita
quotidiana.
Il fascino dello stile
mockumentary
L’approccio mockumentary permette di
esplorare il mondo di Riley da un punto di vista ironico e
metanarrativo. Gli spettatori sono introdotti ai dettagli dello
studio di produzione, completo di dipendenti bizzarri, problemi
tecnici, e pressioni lavorative che riflettono situazioni comuni
nel mondo reale e nella vita di set. Questo stile dà alla serie
freschezza e rende Dream Productions accessibile sia ai
bambini, che apprezzeranno l’umorismo slapstick e le situazioni
surreali, sia agli adulti, che coglieranno le sfumature più
satiriche e riflessive.
I sogni: tra ordine e caos
Se Dream Productions soffre
dello stesso “difetto” di Inside Out – ovvero il bisogno
di razionalizzare qualcosa di intrinsecamente irrazionale – lo fa
con una consapevolezza che rende questo limite quasi perdonabile.
La narrazione non si perde mai completamente nella logica,
lasciando spazio a momenti surreali e imprevedibili che mantengono
viva la magia del mondo Pixar.
Uno dei punti più interessanti, ma
anche più controversi, di Dream Productions è il modo in cui cerca
di dare una struttura organizzata ai sogni. Questo approccio è
coerente con il mondo di Inside Out, dove la mente umana è
rappresentata come un sistema altamente ordinato, ma rischia di
allontanarsi dall’essenza stessa del mondo onirico, che per
definizione è caotico e destrutturato.
Nonostante ciò, la serie riesce a
trovare una strada costruttiva, soprattutto per il pubblico più
giovane. Dream Productions suggerisce che i sogni
non sono solo una fuga dalla realtà, ma possono servire come
strumento per affrontare e dipanare le difficoltà. Che si tratti di
un’idea illuminante o di un conforto in un momento difficile, i
sogni sembrano fornire un supporto che viene da dentro di noi,
quasi a suggerire che abbiamo già tutte le risorse necessarie per
affrontare le nostre sfide.
Il mondo di Iside Out si
arricchisce
Dream Productions
si inserisce con grazia nell’universo di Inside Out, arricchendolo con nuovi personaggi
e un’ambientazione originale. Nonostante i design pigri dei
personaggi protagonisti, persino più pigri di quelli delle
“classiche” emozioni alla consolle di Riley, e qualche limite nella
rappresentazione del mondo onirico, riesce a intrattenere con uno
scopo costruttivo, perfetto per i più giovani ma in grado di
parlare anche agli adulti. Se vi manca la mente di Riley, l’uscita
su
Disney+ di questa serie è provvidenziale.
Ecco la nostra intervista
a Willem
Dafoe, l’attore che interpreta
il Professor Albin Eberhart Von
Franz in Nosferatu,
di Robert Eggers, che racconta di nuovo la
fiaba oscura del Conte Orlock, come aveva
fatto Murnau prima di lui, nel 1922,
e Werner Herzog dopo, nel 1979.
Tutto quello che sappiamo
su Nosferatu
Nosferatu è
interpretato da Bill
Skarsgård, che sostituisce il trucco da clown di
Pennywise con le zanne affilate del Conte Orlock, nonché
da Nicholas
Hoult, Aaron
Taylor-Johnson, Emma
Corrin e Lily-Rose
Depp. Il film riunisce inoltre Eggers
con Willem
Dafoe, che ha interpretato in modo memorabile un ex
marinaio irascibile in The
Lighthouse e che è apparso anche nel precedente film
del regista, The
Northman. L’epopea vichinga vedeva protagonista il
fratello di Skarsgård, Alexander
Skarsgård, nel ruolo di un guerriero norreno con una massa
grassa impressionante e addominali formidabilmente cesellati.
Nosferatu è
basato sul capolavoro espressionista tedesco del 1922 diretto
da F. W. Murnau – la realizzazione di
quel film ha ispirato il film del 2000, completamente
fittizio, L’ombra del vampiro, che ha visto
protagonista Dafoe, candidato all’Oscar, nel ruolo di un
succhiasangue realmente esistito, arruolato per interpretare il
ruolo di Orlock. Qui l’attore interpreta invece un assassino di
vampiri. Nosferatu è stato anche rifatto
nel 1979 da Werner
Herzog come Nosferatu il vampiro, con
il suo frequente collaboratore Klaus
Kinski. Nosferatu arriverà
al cinema a partire
dal 1gennaio.
Secret Level, la
nuova serie antologica animata di Prime
Video, debutta il 10 dicembre con l’ambizioso
obiettivo di omaggiare alcuni tra i videogiochi più iconici di
sempre. Creata da Tim Miller (qui la nostra intervista) e prodotta dal suo Blur
Studio, la serie porta in scena quindici racconti brevi, ognuno
ambientato negli universi di franchise videoludici differenti, e
vanta un cast stellare che include
Arnold Schwarzenegger,
Keanu Reeves, Temuera Morrison, e molti altri.
Secret Level propone un format
familiare e un approccio variegato
Le serie antologiche si distinguono
per la loro natura episodica: ogni puntata rappresenta una storia
autonoma con narrazione verticale. Secret Level segue questa
formula, proponendo episodi che spaziano tra generi e atmosfere, da
fantasy a fantascienza, da azione ad horror, offrendo una
celebrazione della varietà del medium videoludico. Tra gli universi
rappresentati, troviamo Dungeons & Dragons, Warhammer 40K,
Unreal Tournament, e persino un’interpretazione sorprendente e
inquietante di Pac-Man. Tutto sotto la guida di Tim
Miller, che ha selezionato e scelto personalmente gli
universi da visitare, e affidando ognuno di essi a un gruppo di
lavoro diverso e ricco di voci e punti di vista differenti.
Ciascun episodio riflette lo spirito
del gioco di riferimento, grazie alla capacità del team di Miller
di adattarsi alle specificità di ogni IP. Tuttavia, questa varietà
è talvolta limitata da narrazioni troppo semplici e talvolta
ripetitive, nel caso in cui si dovesse scegliere di fruire la serie
in binge watching. La durata breve degli episodi (tra 10 e 30
minuti) non sempre consente di sviluppare trame complesse, e molte
puntate si limitano a esplorare un’idea centrale senza andare
oltre. Tuttavia questa carenza drammaturgica viene spesso
equilibrata da uno sforzo tecnico ulteriore che arricchisce
l’episodio e lo rende un’esperienza visiva impareggiabile.
L’esempio perfetto è il segmento dedicato a Sifu: la breve storia
ricalca il gioco originale, senza aggiungere nuove prospettive, ma
visivamente presenta delle animazioni mozzafiato e una regia
ricercata che fa invidia a buona parte degli action in
circolazione.
L’eccellenza visiva di
Blur Studio
Sul piano tecnico, Secret Level
mostra tutta l’expertise di Blur Studio nella CGI. La maggior parte
degli episodi utilizza animazione 3D classica, optando per il
fotorealismo in diversi casi, sempre a seconda del mondo che si
mette in scena. La scelta stilistica appare più cauta rispetto al
precedente lavoro di Blur,
Love, Death & Robots, che si spingeva più in là dal punto di
vista della sperimentazione. E infatti, nei casi in cui Secret
Level osa, i risultati sono notevoli: il riferimento è agli episodi
dedicati a Pac-Man e Spelunky, in cui
drammaturgia e linguaggio fanno un passo avanti per sviluppare la
PI di partenza.
La regia, comunque, è efficace nel
catturare momenti spettacolari e coreografie di combattimento
mozzafiato. Le puntate con una concezione dell’azione più classica,
come quelle ispirate a Unreal Tournament e Warhammer
40K, offrono un’esperienza visivamente appagante, grazie a
sequenze fluide e dinamiche.
Secret Level vanta un cast
stellare
Uno degli aspetti più pubblicizzati
di Secret Level è il suo cast di voci, che include nomi di grande
richiamo. Arnold Schwarzenegger, Keanu Reeves, Gabriel
Luna sono solo alcune delle star che contribuiscono a dare
vita ai personaggi della serie. Le performance sono generalmente
convincenti, con momenti di spicco come la recitazione intensa di
Ricky Whittle e Claudia Doumit in Crossfire. Certo, si tratta pur
sempre di ruoli piccoli, quasi comparse, ma ogni dettaglio
contribuisce a rendere ogni episodio un piccolo gioiello, un
viaggio in un mondo affascinante che, in ogni caso, ci sembra di
conoscere e che poi si rivela anche altro.
Un mosaico di proprietà
intellettuali di diverso “livello”
Un aspetto molto interessante del
progetto è come si è lavorato sulle diverse proprietà intellettuali
a cui Miller ha avuto accesso. Secret Level sfrutta non solo titoli
leggendari come Dungeons & Dragons e Warhammer
40K, ma anche franchise meno noti o che necessitano di
promozione, come New World di Amazon Gaming o il
cancellato Concord. Questa scelta da una parte potrebbe
generare meno interesse verso gli episodi di universi più “deboli”,
dall’altro però permette una maggiore libertà e creatività laddove
i franchise scomodati sono meno canonizzati nelle menti degli
spettatori. Il risultato è un’esperienza sempre stimolante e
fresca.
Un atto d’amore verso i
videogiochi
Secret Level è una serie
ambiziosa che celebra il mondo dei videogiochi, e che si ingegna
per sfruttare sempre al massimo il potenziale di quello che si
sceglie di raccontare. Una seconda stagione potrebbe senza dubbio
però spingere di più l’acceleratore sui limiti narrativi dei
singoli episodi, rendendo lo show un’esperienza ancora più
stimolante per lo spettatore. La serie rappresenta un punto di
partenza solido, in cui si manifesta una forte volontà di
sperimentazione che in questo periodo di ripetitività tecnica è
un’oasi preziosa e da valorizzare.
Volge al termine, con due
episodi dolorosi e liberatori, la quarta e ultima stagione
dell’adattamento della tetralogia scritta da Elena
Ferrante e lette (e guardata) in tutto il
mondo, L’Amica Geniale: Storia della bambina
perduta. Gli ultimi due
episodi, ”La Scomparsa” e “La
Restituzione”, chiudono chiudono un quarto ciclo che, pur
mantenendo alcuni dei temi centrali del romanzo, si discosta
significativamente nella narrazione e nello sviluppo dei
personaggi. Questo distacco, se da un lato apre nuove possibilità
interpretative, dall’altro mina la coerenza emotiva e stilistica
che ha caratterizzato l’opera letteraria, lasciando spesso un senso
di incompiutezza.
La Scomparsa, il
punto di non ritorno
Il titolo di questo
quarto romanzo (e della rispettiva serie) dovrebbe aver messo gli
spettatori condizione di non rimanere troppo sorpresi di fronte
alla svolta drammatica che questo episodio porta al finale della
serie. “La Scomparsa” si concentra su un evento tragico: la
sparizione di Tina, la figlia di Lila e Enzo, che segna un punto di
non ritorno per tutti i protagonisti. L’episodio inizia con una
serie di tensioni familiari: la piccola Emma comincia a sentire con
forza l’esigenza di avere anche lei una figura paterna, e Nino come
da aspettativa non eccelle nell’essere presente per la figlia.
Tuttavia, riesce a trovare il tempo di fare visita alla bambina al
rione, in occasione del mercato domenicale. Mentre Lila tiene Imma
in braccio e conversa rapita con Nino, Tina scompare. La bimba non
si trova più: le ricerche si intensificano, ma si rivelano vane,
lasciando un vuoto devastante. Che fine ha fatto la piccola e
brillante Tina?
L’episodio è così
devastante per tutti i personaggi coinvolti che sembra che da quel
momento le tragedie e i dolori non possano fare altro che
aumentare. Gennaro, il fratello di Lila, viene trovato morto,
sopraffatto dalla droga; Generino, il primogenito di Lila, anche
lui preda della dipendenza, ripudia suo padre Stefano, ridotto
all’ombra di se stesso, e rende complicatissima la vita della madre
e di Enzo, ormai vero e proprio padre adottivo del giovane. Intanto
Lila è quello che più di tutti subisce le devastanti conseguenze
della scomparsa della bimba: convinta che Tina sia ancora viva,
cede in una spirale di follia. Il monologo immaginato da Lenù, che
tenta di ricostruire il pensiero di un’amica ormai irraggiungibile,
è un tocco narrativo interessante ma poco incisivo. La serie sembra
più interessata a raccontare il lento disfacimento della comunità
che a soffermarsi sulle implicazioni psicologiche che non siano
teatrali.
La vicinanza di Elena
diventa salvifica per Lila, la mantiene ancorata alla realtà, ma
l’omicidio dei fratelli Solara renderà l’ambiente del rione sempre
più pericoloso e tossico per la donna che, con tre figlie, cercherà
di mettersi al riparo da quella violenza, una volta per tutte.
La Restituzione
(di Tina e Nu)
Arrivati all’ultimo
episodio di L’Amica Geniale: Storia della bambina
perduta, ci troviamo di fronte a una serie di scelte
narrative che movimentano l’addio alla storia e allo stesso tempo
ne viziano l’elegante fissità che aveva fatto dell’ultimo romanzo
della tetralogia un piccolo capolavoro di riflessione
sull’esistenza, sui dolori e le perdite, soprattutto sul tempo che
passa e sui sentimenti, gli affetti che restano, pur nelle loro
storture. Ebbene, per l’adattamento di un romanzo così potente si è
pensato bene di abbassare il tono e di aggiungere alla storia
svolte da soap opera che confondono le acque e il racconto dei
personaggi. Nel decimo episodio torna alla ribalta Pasquale, che
viene arrestato per aver assassinato Michele e Marcello Solara.
Parte dell’episodio è
dedicato ai tentativi di Lenù di intercedere per lui tramite le
conoscenze politiche di Nino, il quale, neanche a dirlo, si rivela
poco utile. Più avanti nella storia, sembra che Generino e Dede,
primogenita di Elena, si innamorino, tuttavia scopriamo poi che il
figlio di Lila scapperà di casa con Elsa, la secondogenita di Lenù,
una svolta del tutto inaspettata, sia per la madre in pena, che per
gli spettatori a dir poco sorpresi. Elena parte allora con Enzo per
recuperare i ragazzi a Bologna, ma scopre che sono dalla nonna.
Questa importante deviazione rispetto al materiale originale da una
parte genera perplessità, soprattutto per la superficialità con cui
viene trattata sia la vicenda di Pasquale (lui, a differenza degli
altri interpreti, non è “cresciuto” avendo sempre il volto
di Eduardo
Scarpetta) che quella di Gennarino e Elsa, dall’altra
dà finalmente la possibilità a Enzo di emergere, con un toccante
monologo che Pio Stellaccio ci regala
con una grande autenticità e commozione.
L’addio al rione, che
segue queste sgangherate vicende, è un momento cruciale per Lenù,
come si può ben intuire, tuttavia anch’esso è poco valorizzato.
Addirittura l’ultimo saluto tra lei e Lila appare freddo e
convenzionale, due caratteristiche che non hanno niente a che
vedere con nessuno dei due personaggi. Elena parte quindi per
Torino, mentre le sue figlie maggiori prendono strade diverse: Dede
va a New York dal padre, seguita anni dopo da Elsa, mentre Enzo,
che capisce che non ha più un posto accanto a Lila, si trasferisce
a Milano. Nino, nel frattempo, viene arrestato, per lui un epilogo
che appare affrettato, ma che comunque ci regala una certa
soddisfazione, qualunque siano le ragioni dell’arresto, che non
vengono condivise.
L’ultima sequenza, ci
riporta lì dove tutto era cominciato: un’anziana Elena viene
svegliata dalla telefonata di Gennarino, spaventato perché da 48
ore “mammà non s’ trov’”. Lila decide così di sparire, disfarsi nel
nulla, portando con sé tutte le fotografie, gli oggetti personali,
tutto ciò che testimonia il suo passaggio nel mondo, sparisce per
unirsi alla sua Tina, mai dimenticata, lasciando dietro di sé
soltanto un figlio smarrito, e una vaga perplessità nella mente
della sua amica. Alla quale però dedica il suo ultimo pensiero,
prima di dissolversi: rientrando a casa, un giorno, Elena trova
nella cassetta della posta Tina e Nu, le bambole di pezza che
avevano perso da bambine.
L’Amica Geniale –
Storia della bambina perduta perduta rinuncia alla poesia in favore
della televisione
Con un adattamento poco
fedele principalmente nello spirito del racconto, la quarta
stagione de L’Amica Geniale chiude in
anti-climax una delle serie che a ragione verranno ricordate come
uno dei migliori prodotti televisivi della produzione italiana. E
nonostante questo, la quarta stagione è senza dubbio il momento più
basso di questa trasposizione quasi sempre elegante e preziosa. La
tendenza constante di questo quarto ciclo è stata quella di operare
un abbassamento di tono costante, una trivializzazione del
materiale di partenza che, come dote principale aveva quella di
rendere alti e poetici anche i discorsi più volgari e carnali.
Probabilmente perché la scrittura consente l’utilizzo di metafore e
sottintesi che la serie, come linguaggio di comunicazione, pretende
di mostrare con le immagini. La serie perde quella capacità di
Ferrante di rendere sublimi anche gli eventi più violenti, sporchi
e quotidiani, scadendo talvolta in una rappresentazione ruvida che
suscita più ilarità che empatia.
Ma non è solo un
“problema” di tono: i personaggi secondari, in particolare
Generino, le figlie di Elena e Alfonso, sono trattati con
superficialità, preferendo il cliché all’approfondimento
psicologico, un difetto che si riscontra esclusivamente nelle
scelte di scrittura, e non nelle interpretazioni degli attori che
rimangono uno dei punti forti della serie, con la sola eccezione
di Alba
Rohrwacher, quasi condannata a una Elena che proprio
non le calza. Nonostante questa forzatura, è lei la vera
protagonista della serie, non solo voce narrante ma anche punto di
vista dal quale percepiamo tutto e tutti, mentre il personaggio di
Lila, interpretato splendidamente da Irene
Maiorino, rimane un personaggio secondario, letto
attraverso il filtro dell’amica e mai (più) centro vivo, selvaggio
e propulsivo dell’azione.
Il potenziale emotivo
dell’opera viene solo parzialmente sfruttato, rendendo questi
ultimi episodi un’occasione mancata per onorare appieno il
capolavoro letterario da cui traggono origine.
Ieri dal Thunder Stage del CCXP24 di
San Paolo, Brasile, Apple
TV+ ha presentato il trailer dell’attesissima
seconda stagione di Scissione,
con il creatore, scrittore e produttore esecutivo della serie Dan
Erickson, il protagonista e produttore esecutivo Adam Scott e le
star Britt Lower e Tramell Tillman che si sono uniti ai fan per
condividere un’esclusiva anticipazione di ciò che ci aspetta per
gli innies e gli outies delle Lumon Industries. La seconda stagione
di Scissione, composta da 10 episodi, farà il
suo debutto su Apple TV+ il 17
gennaio 2025 con il primo episodio seguito da nuove puntate ogni
venerdì fino al 21 marzo.
Il thriller ambientato sul posto di
lavoro acclamato dalla critica e vincitrice di un Emmy e di un
Peabody Award, è ideato dal produttore esecutivo e
regista Ben
Stiller ed è interpretato dal candidato
all’Emmy Adam Scott, Britt Lower, Tramell Tillman,
Zach Cherry, Jen Tullock, Michael Chernus, Dichen Lachman,
il vincitore dell’Emmy John Turturro, il
premio Oscar Christopher Walken e la
vincitrice dell’Oscar e dell’Emmy Patricia
Arquette e dà il benvenuto nella seconda stagione ai
nuovi series regular Sarah Bock e Ólafur Darri
Ólafsson.
La trama della seconda stagione
di Scissione
In Scissione Mark Scout (Adam Scott)
guida un team di lavoro della Lumon Industries i cui dipendenti
sono stati sottoposti a una procedura di scissione, che divide
chirurgicamente i loro ricordi professionali da quelli personali.
Questo audace esperimento di “equilibrio tra lavoro e vita privata”
viene messo in discussione quando Mark si ritrova al centro di un
mistero da svelare che lo costringerà a confrontarsi con la vera
natura del suo lavoro… e di se stesso. Nella seconda stagione, Mark
e i suoi amici scoprono le terribili conseguenze derivanti
dall’aver giocato con la barriera della separazione, che li
trascinerà ulteriormente lungo un percorso di guai e dolore.
“Scissione” è prodotta
esecutivamente da Ben Stiller, che dirige anche cinque episodi
della nuova stagione, alternandosi alla regia con Uta Bresiewitz,
Sam Donovan e Jessica Lee Gagné. La serie è scritta, creata e
prodotta esecutivamente da Dan Erickson. La seconda stagione è
prodotta anche da John Lesher, Jackie Cohn, Mark Friedman, Beau
Willimon, Jordan Tappis, Sam Donovan, Caroline Baron, Richard
Schwartz, Nicholas Weinstock. Oltre a essere protagonisti, Adam
Scott e Patricia Arquette sono anche produttori esecutivi. Fifth
Season è lo studio.
La prima stagione
completa di Scissione, disponibile in streaming su
Apple
TV+, è stata acclamata dal pubblico e dalla critica
internazionale e, oltre a vincere gli AFI Awards, ha ottenuto 14
nomination agli Emmy, tra cui Outstanding Drama Series, Outstanding
Directing for a Drama Series (Ben Stiller), Outstanding Lead Actor
in a Drama Series (Adam Scott) e Outstanding Writing for a Drama
Series, aggiudicandosi i premi nelle categorie Outstanding Music
Composition for a Series e Outstanding Main Title Design. La serie
ha ottenuto anche due Writers Guild of America Awards come Miglior
nuova serie e Miglior serie drammatica, oltre a due nomination agli
Screen Actors Guild Awards e una nomination ai Producers Guild e ai
Directors Guild Awards.
Il creatore di Black
Doves di Netflix spiega l’ispirazione reale alla base della
serie. In uscita il 5 dicembre, Black Doves è una serie
Netflix che racconta la storia di una donna di nome Helen che
intraprende una relazione appassionata. L’unico problema è che
Helen ha un’identità segreta che mette in grave pericolo il suo
nuovo amante. Black Doves vanta un cast di tutto rispetto,
tra cui Keira Knightley, Ben Whishaw, Andrew Koji, Tracey Ullman,
Sarah Lancashire e Andrew Buchan. È stata creata da Joe Barton e
avrà sei episodi nella sua prima stagione.
In un’intervista a RadioTimes, il creatore Barton spiega l’ispirazione
reale dietro Black Doves. Il creatore racconta che stava
“leggendo anche di quei poliziotti spia” che “si erano
infiltrati in quel gruppo ambientalista.” Da lì ha tratto
ispirazione per scrivere una storia su “quella doppiezza di
avere un matrimonio finto che dura anni e anni e anni e poi
scompare.” Sono stati questi eventi reali a diventare
l’ispirazione per Black Doves. Ecco la citazione completa di
Barton:
Stavo leggendo anche di quei poliziotti spia, quei tizi che
si erano infiltrati in quel gruppo ambientalista e avevano finito
per avere dei figli con loro. Insomma, una storia davvero orribile,
molto più oscura di questa.
Ma ho pensato: OK, questa idea, questa doppiezza di un
matrimonio finto che dura anni e anni e anni e poi scompare. Credo
che anche questo abbia contribuito a ispirarmi.
Cosa significa questa
ispirazione per Black Doves
In questa intervista, Barton fa
riferimento allo scandalo dei “poliziotti spia”. Questo evento
reale ha coinvolto membri dellapolizia britannica sotto
copertura che hanno iniziato relazioni intime con gruppi di
protesta. Questi scandali hanno avuto luogo
principalmente nel 2010 e nel 2011 e hanno portato ad azioni legali
contro questi agenti, alcuni dei quali hanno sposato o avuto figli
con le persone che volevano ingannare. I principali gruppi presi di
mira da questo scandalo dei poliziotti spia erano gruppi di difesa
della giustizia sociale e ambientale.
Questo collegamento con la realtà
potrebbe aiutare Black Doves a sembrare ancora più credibile agli
occhi dei britannici o di chiunque sia a conoscenza della storia
degli “spy cops”. Nella serie, la protagonista Helen è una spia nel
vero senso della parola, poiché lavora per un’organizzazione di
super spie chiamata Black Doves. Sarà affascinante vedere cosa
succederà a Helen nella sua storia romanzatain Black
Dovese come questa potrà rispecchiare o meno gli eventi
reali.
È bene dirlo senza mezzi termini: la
seconda stagione di The Bad Guy, disponibile su
Prime
Video dal 5 dicembre e ancora una volta diretta dal duo
Giuseppe
G. Stasi e Giancarlo Fontana, conferma e supera le
aspettative, offrendo un’avvincente seguito della storia di
Nino
Scotellaro, ex magistrato diventato spietato malavitoso. Con il
suo mix di riferimenti al cinema d’azione anni ’90 e un profondo
radicamento nella realtà italiana, la serie si impone come uno dei
prodotti più interessanti del panorama televisivo
contemporaneo.
Un omaggio al grande cinema e alla
cultura pop
Era chiaro dall’inizio che
The Bad Guy fosse un prodotto creato da
chi ama il cinema. La passione dei registi per maestri come
Tony Scott, Michael Bay, John Woo e
Quentin Tarantino permea ogni episodio, donando
alla serie una dimensione cinematografica che la rende unica. A
questi riferimenti si aggiungono influenze pop e più contemporanee
che danno alla serie il suo tono così specifico: c’è dramma e
emozioni forti, ma anche ironia, gusto per il grottesco e commedia.
Nino Scotellaro è proprio un Walter White che affronta una sua
discesa del suo personale inferno per trasformarsi in Balduccio Remora,
senza via di ritorno.
Un protagonista sempre più
complesso
La seconda stagione riparte
esattamente dal punto in cui si era conclusa la prima: Nino
(Luigi Lo Cascio) si trova faccia a faccia con il
suo nemico giurato, Mariano Suro (Antonio
Catania). Ma la vendetta deve attendere.
L’archivio, una cassetta contenente prove
scottanti di rapporti tra Stato e mafia, diventa il fulcro
della trama. Nino è sempre più combattuto tra il richiamo
della sua vita precedente, rappresentata principalmente da Lui e
Leo, e la crescente attrazione per il potere e il controllo che il
suo nuovo ruolo gli offre. Questa evoluzione è esplorata con grande
attenzione e consapevolezza: vediamo un uomo che, nonostante tutto,
sembra ancora lottare per qualcosa di giusto, anche quando le sue
azioni raccontano il contrario.
The Bad Guy (s): Stefano Accorsi è
la grande novità
Tra le tante sorprese di questa
stagione, spicca Stefano Accorsi nel ruolo di
Stefano
Testanuda, agente segreto dalla moralità ambigua e dall’aspetto
fuori dagli schemi. Con capelli biondi e un’aria glaciale, Accorsi
si diverte e diverte, rendendo il suo personaggio una scheggia
impazzita: la sua entrata in scena è già un momento iconico. Si è
forse sempre detto troppo poco della bravura di Accorsi, relegato
per chiari meriti estetici troppo spesso al “bello della storia”:
Stefano Accorsi è versatile e talentoso e soprattutto ha dimostrato
che quando non si prende troppo sul serio è in grado di regalare
personaggi e interpretazioni memorabili.
_LugiLoCascio_ClaudiaPandolfi_TheBadGuy2_foto di Kimberley
Ross
Un mondo di donne
Ma si sa che un personaggio, per
quanto caratterizzato bene, non funziona mai da solo. Deve avere
delle controparti all’altezza. Il cast di The Bad Guy
2 si arricchisce di nuovi volti che aggiungono dinamismo
alla storia. Ma se Lo Cascio e Accorsi sono due pilastri di questa
seconda stagione, sono le donne che fanno davvero il bello e il
cattivo tempo. Claudia Pandolfi è ancora una volta convincente nel
ruolo di Luvi
Bray, moglie di Nino e avvocata divisa tra dovere e sentimenti
contrastanti, la sua interpretazione è il cuore romantico della
storia che mostra in quanti modi di possa amare un uomo totalmente.
Selene Caramazza, nei panni della sorella di Nino e maresciallo dei
carabinieri Leonarda
Scotellaro, occupa un maggiore spazio narrativo, ed è il centro
emotivo, viscerale, passionale della storia, perché è tutta istinto
e non comprende l’aspetto calcolatore e compromissorio che invece
appartiene a Luvi. Giulia Maenza (Teresa Suro)
continua a sorprendere con un’interpretazione carismatica di una
donna di potere che dribbla ogni cliché e offre un ritratto fresco
e autentico. La passione dei registi per la cultura pop si svela
anche nella scelta di alcuni precisi volti per comparse e piccoli
ruoli: Aldo Baglio, in un’inedita parte drammatica, e
Carolina Crescentini, che invece compare in un
piccolo ruolo, sono veramente un regalo per lo spettatore.
Un racconto che non si concede
distrazioni
Una delle caratteristiche distintive
di The Bad Guy è la fiducia che i suoi creatori
ripongono nello spettatore. Non c’è spazio per “spiegoni” o
riassunti: tutto è lasciato all’azione e ai dettagli disseminati
lungo la trama. Ogni inquadratura, ogni espressione e ogni oggetto
di scena raccontano qualcosa, invitando chi guarda a non distrarsi
nemmeno per un secondo. Questo approccio, in un’epoca dominata dal
binge-watching bulimico, premia il pubblico con una narrazione
densa e avvincente, che soprattutto basa la sua fidelizzazione sul
tono specifico e inconfondibile che aveva già fatto la fortuna
della prima stagione.
The Bad Guy 2
conferma i motivi del successo della prima stagione, riesce a
tenere alta la tensione, approfondendo al contempo la psicologia
dei personaggi e offrendo momenti di grande spettacolarità e
divertimento. In attesa di un (inevitabile?) terzo capitolo che
concluda la storia, questa seconda stagione è uno degli
appuntamenti imperdibili di dicembre su Prime Video.
Il 6 dicembre debutta su
Disney+Uonderbois, la nuova serie originale
italiana prodotta per la piattaforma che si prefigge di portare lo
spettatore in un viaggio straordinario tra le strade e i
sotterranei di Napoli. Ideata da Barbara Petronio e
Gabriele Galli, e diretta da Andrea De Sica e
Giorgio Romano, la serie si presenta come un mix avvincente
di folklore, avventura e un pizzico di magia. La prima puntata, che
apre le porte al mondo unico e vibrante di Uonderbois, è
un’introduzione affascinante e ricca di spunti e influenze.
La trama di
Uonderbois, tra leggenda e realtà
La storia segue cinque
ragazzi di dodici anni che vivono nei vasci di Napoli,
stretti da un legame d’amicizia e da una fervida immaginazione
alimentata dalle leggende popolari. I protagonisti sono accomunati
dalla convinzione che la loro città sia abitata da
Uonderboi, una figura mitologica che unisce la tradizione
del Munaciello a un moderno supereroe, un Robin Hood dei vicoli
napoletani. Questo mito diventa il punto di partenza per
un’avventura epica che intreccia realtà e fantasia.
La puntata introduce
rapidamente il conflitto principale: la Vecchia, la proprietaria
dei vasci, sta per vendere le case dei ragazzi in cambio di
una statuetta di Maradona all’interno della quale, si dice, sia
nascosta la mappa di un tesoro. Questo innesco scatena una serie di
eventi che porteranno i protagonisti a immergersi nei misteri della
Napoli sotterranea, alla ricerca di un tesoro leggendario.
L’elemento magico si mescola a un toccante senso di comunità e
appartenenza, offrendo uno spaccato emozionante della vita nei
quartieri popolari napoletani, ma soprattutto di un’infanzia che
non ha ancora ceduto il passo all’adolescenza e cavalca ancora
l’immaginazione con spirito d’avventura.
Un cast brillante in una
Napoli al suo meglio
La prima puntata di
Uonderbois presenta da subito il suo cast corale che include
giovani talenti e volti noti del panorama italiano. Serena Rossi
(quasi irriconoscibile nel trucco della Vecchia), Massimiliano
Caiazzo e Francesco Di Leva spiccano per notorietà e carisma, ma
chi brilla davvero sono i giovani protagonisti: nonostante la
giovinezza, offrono performance credibili e appassionate,
incarnando con naturalezza lo spirito vivace e ingenuo
dell’infanzia, la totalizzante dedizione all’amicizia e
all’avventura.
Napoli, degradata eppure
bellissima, è un personaggio a sé stante. La regia di Andrea De
Sica e Giorgio Romano valorizza la città in tutta la sua
complessità: dai vicoli affollati ai misteriosi cunicoli
sotterranei, indugiando presso gli affacci ariosi sul golfo, ogni
scena è un omaggio visivo alla cultura partenopea. L’attenta
alternanza di spazi chiusi e vedute aperte permette alle immagini
di alternate luci e ombre, sottolineando con equilibrio il segreto
di questa storia: la magia e la realtà convivono nello stesso
spazio.
Una scrittura
traballante
Un equilibrio ricercato
anche nella scrittura, dove però fa più fatica a emergere,
nonostante le fonti di ispirazione della serie siano evidenti. La
premessa di Uonderbois ricalca esattamente quella de I
Goonies, affaticandosi a rintracciarne la stessa naturalezza e
ingenuità. Quello che invece la serie riesce a incorporare nella
sua narrazione con naturalezza e efficacia è tutto il magmatico
universo di leggende e credenze della tradizione napoletana, uno
scrigno ricco e vivo da cui attingere.
La colonna sonora,
arricchita da due brani inediti di Geolier – Ferrari e
Parl’ cu mme –, aggiunge un tocco contemporaneo al sapore
tradizionale del folklore locale, e si sposa perfettamente con
l’atmosfera della serie.
Un debutto
promettente
Esperienza insolita nel
nostro panorama ma consapevole di maneggiare dei tropi che hanno
caratterizzato la struttura del cinema d’intrattenimento
statunitense con una enorme influenza sulla cultura pop,
Uonderbois parla principalmente a un pubblico giovane,
godendo di un felice connubio tra specificità locale e linguaggio
universale. La prima puntata dà effettivamente solo un’idea di
quello che sarà la serie, ma gli elementi per una grande avventura
ci sono tutti.
Piece by
Piece è una biografia
musicale narrata attraverso l’animazione LEGO,
un’esperienza che sfida il cinismo e abbraccia una vibrante
originalità. Presentato al Toronto Film Festival, il film, che
nasce dalla collaborazione tra il regista Morgan
Neville e il genio creativo di Pharrell
Williams, reinventa il genere documentario mescolando
vivacità visiva e narrativa pop.
Piece by
Piece è un connubio inaspettato
L’idea di raccontare la
vita di Pharrell tramite i LEGO è insolita, ma si rivela
sorprendentemente azzeccata. La carriera del musicista e produttore
si distingue per la capacità di mescolare elementi incongruenti in
creazioni straordinarie. È facile immaginare un giovane Pharrell
costruire mondi magici con pezzi presi da set LEGO diversi, proprio
come mescolava hip-hop, disco e rock per creare il suo sound
unico.
Neville sfrutta questo
connubio per creare un’opera visiva che trasforma episodi della
vita di Pharrell in scene animate piene di colori e fantasia. Non
vediamo il progetto di edilizia popolare di Virginia Beach come un
quartiere grigio e difficile, ma come una realtà solare e
comunitaria. La scuola che Pharrell frequentava insieme a Timbaland
e Missy Elliott diventa un’esplosione di luci e musica, una capsula
di creatività pronta a scoppiare. Ogni nuovo beat prodotto dai
Neptunes prende forma come sfere luminose e pulsanti, che sembrano
emergere direttamente dalla sinestesia di Pharrell.
Una narrazione
vivace
La scelta di un
approccio LEGO permette a Piece by
Piece di esprimere la gioia che è al centro della
musica e della personalità di Pharrell. La sua ascesa da Virginia
Beach al successo globale è una storia familiare, ma Neville la
racconta con un tocco così giocoso che sembra nuova e insolita. I
contributi di Pharrell a brani iconici
come Superthug di NORE, Drop It Like It’s
Hot di Snoop Dogg e l’inno Alright di
Kendrick Lamar vengono visualizzati con un brio che rende giustizia
alla loro importanza culturale.
Le interviste con Missy
Elliott, Jay-Z, Gwen Stefani e Pusha T arricchiscono la narrazione,
creando un ritratto collettivo che celebra l’impatto di Pharrell
sul mondo della musica. Ma questa componente allegra e positiva è
bilanciata da aspetti più emotivi che certo non mancano in un
racconto biografico: le riflessioni su sua nonna, che lo ha
incoraggiato fin dall’inizio, e le difficoltà creative che ha
affrontato nel bilanciare l’arte con le pressioni del business,
aggiungono profondità emotiva.
Un trionfo visivo
con qualche limite
Visivamente, Piece by Piece è un trionfo.
L’animazione LEGO non è solo un espediente, ma una scelta narrativa
che amplifica la creatività del soggetto. Tuttavia, questo
approccio ha i suoi limiti. La rappresentazione LEGO, per quanto
brillante, manca della capacità di catturare le espressioni umane
con la stessa profondità di un documentario tradizionale. Le teste
di plastica e i sorrisi stampati non riescono sempre a trasmettere
le sfumature delle emozioni reali.
Inoltre, la natura
profondamente giocosa del film a volte riduce il dramma intrinseco
della storia di Pharrell. Sebbene le sue sfide creative e personali
vengano affrontate, il tono rimane ottimistico al punto che i
conflitti sembrano appena accennati.
Il peso di un
successo chiamato Happy
Un capitolo interessante
e ambivalente è quello dedicato a Happy, la canzone che
ha definito la carriera di Pharrell. Creata per un progetto
commerciale, Happy ha avuto un impatto universale
in un periodo segnato dall’ascesa del movimento Black
Lives Matter e dalle proteste contro la brutalità
della polizia. Il film esplora questo contrasto con delicatezza,
mostrando come il successo della canzone sia stato allo stesso
tempo una benedizione e una fonte di riflessione.
Un esercizio
di branding che funziona
Piece by
Piece è un esercizio di branding mascherato da
biografia, con tutto ciò che questo implica. È un branding fatto
bene. Pharrell Williams emerge come un artista che vede il mondo
attraverso una lente di infinita creatività e positività. Il film,
con la sua estetica giocosa e i suoi ritmi coinvolgenti, prova a
essere una celebrazione di quella visione. Siamo quindi di fronte a
un’agiografia, più che a una biografia. E se da un lato questo
punto di vista risulta poco interessante, dall’altro nulla ci
impedisce di godere del film anche solo per la sua positiva e
giocosa esplosione di colori. Dopotutto il “trattamento LEGO” ha il
potere di rendere tutto migliore.
L’abbondanza di serie tv di stampo
spy-action sulle piattaforme non è una cosa nuova: per definizione,
la narrazioni che si muovono nel territorio dello spionaggio e
contano su una marcata componente action sono tra i prodotti che
più chiamano visualizzazioni. In un panorama ormai saturo
all’inverosimile di queste proposte, è cosa rara incappare in un
esperimento seriale che lasci, effettivamente, la sensazione di
qualcosa di “fresco” allo spettatore. Per fortuna, questo è il caso
di Black Doves,
disponibile su
Netflix dal 5 dicembre, sviluppata da Sister
e Noisy Bear e con due noti attori britannici
protagonisti: Keira
Knightley e Ben
Wishaw.
Black Doves: mia moglie è
una spia
Tutto ha inizio una notte in cui tre
persone vengono assassinate quasi contemporaneamente mentre parlano
al telefono: chi sono e cosa stavano progettando? La serie parte da
questo interrogativo concentrandosi nello specifico sulla morte di
uno di loro, un
certo Jason (Andrew
Koji), che era l’amante
di Helen (Knightley),
la moglie del Ministro della Difesa (Andrew
Buchan). Apprendiamo subito che Helen è in realtà una spia
di un’organizzazione chiamata “Black Doves”, che risponde agli
ordini di Reed (Sarah
Lancashire), per cui è una sorta di insider a cui rivela
tutti i segreti del marito politico.
La donna continua a ribadire che la
sua relazione con Jason non nascondeva alcun sotterfugio
compromettente per il suo lavoro, tutt’altro: era veramente
innamorata del ragazzo, ed è per questo che decide di mettersi a
indagare sulla sua morte. Lo fa con l’aiuto di un vecchio amico
dell’organizzazione, Sam (Whishaw),
che torna in Gran Bretagna dopo sette anni di clandestinità a causa
di una storia precedente che ha avuto un impatto sulle vite di
tutti e che verrà raccontata in flashback. Queste tre morti saranno
l’iniziale “innesco” di un complicato conflitto internazionale
poiché, in concomitanza con questi eventi, l’ambasciatore cinese in
Gran Bretagna viene trovato morto: non tarda troppo tempo per
capire che tutti questi eventi potrebbero essere collegati tra
loro.
In Black
Doves c’è tutto quello che ci aspetteremmo di trovare
in una serie del genere: un’investigazione dall’assoluto grado di
segretezza; una donna che, dietro la facciata della moglie
perfetta, nasconde un’indole decisamente più dinamica; l’ampio
respiro internazionale, con le nostre superspie in continuo
movimento e, nel caso del personaggio di Whishaw, che non sembrano
appartenere davvero a nessun luogo.
Una serie che sorprende
Grazie soprattutto a interpreti
decisamente calati nella parte e alla scelta di incorporare un po’
di sano humor british, Black
Doves regala al pubblico un’esperienza di visione
soddisfacente. La serie cerca di caratterizzare al meglio i suoi
volti di punta, tanto che la vita privata di questi assume un ruolo
di primo piano nello sviluppo degli eventi. Anche se potrebbe
sembrare che aderiscano alla fredda regola del non portare sul
lavoro i conflitti casalinghi, qui non c’è intrigo internazionale
in cui questi aspetti emotivi non siano almeno in parte
coinvolti.
L’aspetto più problematico
di Black Doves emerge a partire dalla
metà della serie: i suoi personaggi di contorno sono così tanti e
così poco definiti, che è molto difficile mantenere il livello di
credibilità di cui questo tipo di show ha bisogno. Fortunatamente,
come dicevamo, i due personaggi principali colmano le lacune, dando
corpo e anima alla serie.
Il connubio tra action e
comedy
Knightley, che
torna sulla piattaforma dopo il film Lo
strangolatore di Boston (2023), si afferma come baricentro
drammatico di tutto ciò che accade, gestendo molto bene il classico
conflitto dell’infiltrata che vive una doppia vita al punto da non
riuscire più a distinguere chi è e di chi deve veramente fidarsi.
D’altra parte, Whishaw si mette alla
prova portando in scena un forte dramma emotivo personale: Sam è
gay, aveva un compagno che ha dovuto lasciare per motivi di lavoro,
e di cui sente ancora la mancanza. Questo profondo conflitto
interiore deve coesistere con una sottotrama che coinvolge una
coppia di assassini professionisti e il loro capo, un’accoppiata
che sembra uscita direttamente da un film di Guy Ritchie.
Tra battute taglienti e una spiccata
ironia, Knightley non vi farà mai
perdere di vista la sua Helen,
mentre Whishaw conferisce al
suo Sam una vulnerabilità irresistibile,
che vi farà pensare di non avere mai incontrato un sicario del
genere nell’audiovisivo. Tra di loro, la componente comedy funziona
egregiamente, ma l’incantesimo non si applica a tutti i personaggi
e alle storyline secondarie che incontriamo strada facendo.
Effettivamente, forse questa dispersione tonale potrebbe
respingere qualche spettatore ma, per chi saprà comprendere che è
parte del gioco, Black Doves promette di
riservare le giuste sorprese.
Dal produttore Dick
Wolf, FBI è stato uno dei più
grandi successi della CBS negli ultimi tempi, e il procedurale di
polizia ricco di azione tornerà per la settima stagione. Debuttata
nel 2018, la serie segue gli agenti dell’ufficio dell’FBI di New
York City mentre proteggono la città e il paese da varie minacce
interne. Le impronte digitali di Dick Wolf sono presenti
su FBI, che raggiunge un buon equilibrio tra la
tipica formula del caso della settimana con il vantaggio di
personaggi ben scritti e l’aggiunta della gravitas dell’FBI.
Non ci è voluto molto perché la
serie ricevesse uno spinoff, e l’episodio della prima stagione
“Most Wanted” è servito come episodio pilota per l’omonima serie.
Negli anni successivi, il popolare procedurale della CBS è stato
nuovamente scorporato e sta rapidamente diventando il prossimo
franchise televisivo con più serie. Come altre creazioni di Dick
Wolf, come Law and Order e la serie One
Chicago, FBI funziona così bene grazie alle
possibilità quasi illimitate che potrebbero facilmente vedere la
serie principale estendersi per decenni. Anche con sei stagioni
all’attivo, FBI non mostra segni di arresto.
Ultime notizie
suFBI Stagione 7
Sebbene il cast della serie
principale non sia cambiato molto in sei stagioni, le ultime
notizie confermano che un membro del cast lascia
l’FBI e un altro entra a farne parte. Katherine Renee
Kane è entrata a far parte dello show nella terza stagione nel
ruolo dell’agente speciale Tiffany Wallace, ma si
prevede che se ne andrà nel corso della settima stagione.
Al suo posto, Lisette Olivera si unirà al cast nel
ruolo di Syd , membro dell’Unità di Analisi
Comportamentale. Non è stata fornita alcuna ragione per l’uscita di
scena della Kane, ma apparirà in almeno un episodio della stagione
7.
Data di uscita della stagione 7
di FBI
La stagione 7 debutterà a
ottobre
La CBS ha debuttato con i suoi show
sull ‘FBI nel febbraio 2024, e ci sono voluti
solo pochi mesi perché la rete desse a tutti e tre gli ordini di
stagioni aggiuntive. Il programma del
martedì interamente dedicato all’FBI ha aiutato
la CBS a dominare gli ascolti, e la rete continuerà questa tendenza
quando la serie tornerà martedì 15 ottobre, a partire
dalle 20:00 con FBI. Lo show di punta
sarà seguito
da FBI:International alle 21.00
e FBI:Most
Wantedalle 22.00.
I procedurali
come FBI sono noti per mantenere i membri del
cast per molto tempo, e non ci sono molti cambiamenti da una
stagione all’altra. Anche se la sesta stagione ha visto la tragica
morte del personaggio ricorrente Trevor Hobbs, interpretato da
Roshawn Franklin, in genere i personaggi principali non cambiano
spesso. Per questo motivo, ilcast della settima stagione
dell‘FBIsarà
probabilmente molto simile a quello della sesta, con il
ritorno di Missy
Peregrym nei panni dell’agente speciale Maggie
Bell e del resto della sua squadra.
Katherine Renee
Kane riprenderà il ruolo dell’agente speciale Tiffany
Wallace nella stagione 7, ma lascerà il ruolo nel corso della
stagione. Al suo posto ci sarà la nuova arrivata Lisette Olivera
nel ruolo di Syd, un membro dell’Unità di Analisi Comportamentale.
L’elenco dei ritorni previsti comprende:
Missy Peregrym – Agente speciale Maggie Bell
Zeeko Zaki -Agente speciale Omar Adom “OA” Zidan
John Boyd – Agente speciale Stuart Scola
Katherine Renee Kane – Agente speciale Tiffany Wallace
Alana de la Garza – SAC Isobel Castille
Jeremy Sisto – Assistente SAC Jubal Valentine
Lisette Olivera – Syd
FBI Stagione 7 – Storia
Previsto un formato caso per
settimana
Il finale della stagione
6dell’FBInon
ha cambiato la traiettoria dello show, e la squadra ha
eliminato con successo Hakim e ha anche dato a Wallace un po’ di
chiusura emotiva dopo aver perso il suo partner sotto copertura
nell’episodio 1. Detto questo, è difficile indovinare quale
potrebbe essere la storia generale della prossima stagione, ammesso
che ce ne sia una. Tuttavia, è quasi certo che
la stagione 7 dell’FBI
sarà come la maggior parte dei procedurali di successo e presenterà
un formato di caso della settimana in cui gli agenti dovranno
affrontare alcune delle più grandi minacce che la Grande Mela ha da
offrire.
La serie teen drama di successo
Euphoria,
con protagonista
Zendaya, ha finalmente una data di uscita per la tanto
attesa terza stagione su HBO. La serie, creata e scritta da Sam
Levinson, è basata sulla miniserie israeliana omonima e segue Rue
Bennett, un’adolescente tossicodipendente che lotta per
disintossicarsi e trovare il suo posto nel mondo. Euphoria è
diventato un enorme successo per HBO, ma la terza stagione ha
subito diversi ritardi a causa della riscrittura della
sceneggiatura da parte di Levinson e dell’impegno del cast in altri
progetti. Secondo le ultime notizie, le riprese della
terza stagione di Euphoria inizieranno a gennaio.
Secondo Variety, HBO ha rivelato che Euphoria –
stagione 3 uscirà nel 2026. La notizia è stata data da JB
Perrette, dirigente della Warner Bros. Discovery, che ha condiviso
la notizia durante una conferenza tecnologica e mediatica della
Wells Fargo. La serie fa parte della prossima programmazione della
HBO, che prevede il debutto e il ritorno di diverse serie nel 2025
e nel 2026, tra cui A Knight of the Seven Kingdoms,
TheWhite Lotus e la seconda stagione di The Last of Us.
Cosa significa questo per la
terza stagione di Euphoria
Nel gennaio 2025 saranno passati
tre anni dal debutto della seconda stagione della serie e molte
delle star sono diventate famose in questo periodo, tra cui
Zendaya e Sydney Sweeney. Il lasso di tempo suggerisce
che la terza stagione di Euphoria cercherà di esplorare
nuovi territori e affrontare trame diverse da quelle a cui gli
spettatori sono abituati. Secondo quanto riferito, Levinson ha
faticato a trovare una nuova strada creativa da seguire, e anche
Zendaya ha suggerito alcune trame che alla fine sono state
scartate. Ora, però, la serie è finalmente entrata in una fase di
produzione regolare.
È probabile che la serie farà
un salto temporale e seguirà i personaggi da giovani
adulti.
La premiere nel 2026 è in linea con
l’inizio delle riprese previsto per Euphoria; con la
produzione della serie che inizierà il mese prossimo, il team
creativo ha tutto il 2025 per mettere a punto i nuovi episodi.
Supponendo che tutto vada liscio, Euphoria potrebbe
debuttare all’inizio del 2026, proprio come la seconda stagione
nel 2022.
Sembra che Levinson abbia in mente
di dare alla terza stagione una direzione diversa rispetto agli
episodi precedenti, dato che il cast di Euphoria è ormai troppo
vecchio per continuare a interpretare dei liceali. È probabile che
la serie faccia un salto temporale e segua i personaggi da giovani
adulti.
Con Star
Wars: Skeleton Crew, Lucasfilm propone
un’interessante deviazione dal percorso tradizionale della saga
stellare. Con le prime tre puntate (due delle quali disponibili su
Disney+ dal 2 dicembre, mentre le altre una a
settimana), questa nuova
serie punta i riflettori su un gruppo di pre-adolescenti che si
trovano coinvolti in un’avventura cosmica, attingendo al sentimento
nostalgico di classici come I Goonies. Ma riesce davvero a essere
Star Wars, o è il sintomo di un franchise che si sta adattando a un
nuovo pubblico?
La trama di Star Wars: Skeleton
Crew: uno spirito d’avventura senza confini
La premessa di Skeleton Crew è
semplice e accattivante. Quattro ragazzi – rispettivamente
interpretati da Ravi Cabot-Conyers, Ryan Kiera Armstrong,
Kyriana Kratter e Robert Timothy Smith –
scoprono qualcosa di misterioso sul loro apparentemente tranquillo
pianeta natale. Quella che inizia come una ricerca di una semplice
avventura per staccare dalla routine, si trasforma in un’odissea
galattica, piena di incontri inaspettati, pericoli e scoperte.
Guidati da un enigmatico Jude Law in un ruolo ancora avvolto dal
mistero, i giovani protagonisti sono costretti a navigare una
galassia pericolosa, in cui alleati e nemici si mescolano in modi
imprevedibili.
L’aspetto che colpisce
immediatamente è l’approccio visivo. Grazie alla regia alternata di
Jon Watts, David Lowery, i
Daniels e altri, Star Wars: Skeleton Crew
offre un mix di atmosfere: dal fiabesco al surreale, con momenti
che ricordano il fascino artigianale di The Mandalorian e
l’intimità visiva di Andor. Tuttavia, è lo spirito da “film per
ragazzi anni ‘80” che domina, regalando una sensazione di
leggerezza e scoperta che si amalgama bene con la narrazione.
Un cast giovane e promettente
Il cuore della serie sono i suoi
giovani protagonisti. I quattro ragazzi offrono performance
genuine, catturando con autenticità lo stupore e il terrore di
trovarsi in un mondo molto più grande e pericoloso di quanto
avessero mai immaginato. Jude
Law, nel ruolo del loro mentore (o forse qualcosa di
più ambiguo?), riesce a mantenere alta la tensione drammatica senza
rubare troppo spazio alla narrazione dei ragazzi, tenendo in
equilibrio il mistero del suo personaggio con un sorriso sornione
irresistibile. Il cast di supporto, che include Kerry Condon e Nick Frost, aggiunge profondità e tonalità
variegate alla serie.
Regia e scrittura: una
visione poliedrica
Uno dei punti di forza di
Skeleton Crew è la sua regia diversificata. Ogni
episodio ha una sua identità visiva e tonale, pur mantenendo una
coerenza narrativa. I Daniels portano il loro
caratteristico stile eccentrico, mentre David
Lowery aggiunge una sensibilità più malinconica e poetica.
Questo approccio rende ogni episodio un’esperienza unica, anche se
potrebbe disorientare chi preferisce uno stile più uniforme.
Sul fronte della scrittura,
Jon Watts e Christopher Ford
riescono a bilanciare momenti di leggerezza con temi più profondi,
come la paura dell’ignoto e il desiderio di appartenenza. Tuttavia,
alcuni dialoghi rischiano di cadere nel cliché, soprattutto quando
cercano di veicolare lezioni morali esplicite.
Il dilemma dell’identità: cos’è
Star Wars oggi?
Le prime tre puntate di
Star Wars: Skeleton Crew offrono
un’esperienza fresca e originale, e la serie si presenta così come
una storia di formazione travestita da avventura spaziale,
strizzando l’occhio a chi cerca emozioni più intime e meno epiche.
Non sarà lo Star Wars che tutti conosciamo, ma forse è quello di
cui il franchise ha bisogno in questo momento.
Il fatto che Skeleton
Crew sia effettivamente una serie fresca e interessante fa
emergere una domanda fondamentale: questo è ancora Star Wars? I
puristi della saga potrebbero storcere il naso. Non ci sono Jedi
iconici o conflitti cosmici di proporzioni epiche. Non ci sono Sith
che complottano né battaglie stellari mozzafiato. Piuttosto, la
serie esplora un lato più intimo e personale della galassia lontana
lontana. È come se Lucasfilm stesse sperimentando con il formato:
cosa succede se mettiamo da parte la mitologia e lasciamo spazio a
storie più piccole?
Questo spostamento potrebbe sembrare
estraniante per chi associa Star Wars a un immaginario ben
definito. Tuttavia, è anche un segnale di maturazione del
franchise, che cerca di adattarsi a un pubblico più giovane senza
rinunciare alla possibilità di raccontare qualcosa di nuovo. Lo
spirito di Skeleton Crew non è quello di Una nuova
speranza o L’Impero colpisce ancora, ma
forse è proprio questo il punto: lo Star Wars del passato è morto,
lunga vita al nuovo Star Wars.
Con l’episodio
3, Dune: Prophecy si tuffa nelle
vite di Valya e Tula Harkonnen, e si conclude con una sequenza in
cui Valya fa visita allo zio e al nipote. Le
attrici Emily
Watson e Jessica Barden
interpretano Valya Harkonnen, la protagonista della serie, in
momenti diversi nel tempo. L’episodio 3 ha utilizzato diversi
flashback per mostrare una parte importante della vita di Valya
mentre si allontanava dalla sua famiglia e legava la sua lealtà
alla Madre Superiora Racquella e alla Sorellanza, preparandola a
diventare in seguito il leader dell’organizzazione.
Valya Harkonnen è una figura
ultra-potente a questo punto della linea temporale
di Dune, poiché è la leader di
un’organizzazione che ha le sue radici scavate in tutto l’Imperium.
L’episodio 2 ha visto parte della sua influenza recisa, tuttavia,
quando Desmond
Hart ha convinto l’imperatore Javicco Corrino a estrometterla
dal Palazzo Imperiale e ha anche resistito al potere della Voce.
Valya ha fatto una mossa interessante nell’episodio 3, i flashback
dimostrano la dualità del suo personaggio e perché tutto ciò è
importante.
Valya in visita allo zio si
allontana da “Sisterhood Above All”
“Sisterhood Above All” è il titolo
dell’episodio 3 di Dune: Prophecy, che esamina il percorso di Valya
Harkonnen da membro orgoglioso della sua casa, desiderosa di
vendetta contro la Casa Atreides, a leader della Sorellanza. Una
delle sue prove più significative è pronunciare la frase
“Sisterhood Above All”, dichiarando che metterà sempre le esigenze
dell’organizzazione al di sopra di quelle della sua persona e della
sua famiglia. È destinata a lasciarsi alle spalle i legami
familiari, cosa che sembra fare quando usa la Voce su Sonya e porta
Tula con sé nella Sorellanza.
Questo rende il suo incontro con lo
zio e il nipote nel finale dell’episodio 3 di Dune:
Prophecy ancora più significativo, poiché sembra che
stia tornando a tenere alla sua famiglia di provenienza. Il potere
della Voce e l’influenza della Sorellanza non hanno funzionato per
lei, quindi sta tornando ai suoi legami con gli Harkonnen per
chiedere aiuto. Valya è disperata nell’episodio 3 e mostra quanto
sia in conflitto, come personaggio. Può affermare di aver fatto
sacrifici per la Sorellanza, ma è disposta a piegare le regole
quando la sua posizione è minacciata.
In che modo lo zio di Valya
aiutarla davvero?
La Casa
Harkonnen ha sofferto negli anni precedenti agli
eventi di Dune: Prophecy, poiché sono stati
considerati codardi dalla Casa Atreides alla fine della Jihad
Butleriana. Non hanno l’influenza che avranno durante i film
di Dune, ma potrebbero comunque avere delle
connessioni e un certo livello di influenza che può aiutare Valya
in cambio del suo sostegno nell’aumentare la loro reputazione come
casa. È difficile dire esattamente quale sia il suo gioco, ma la
Casa Harkonnen non dovrebbe mai essere completamente esclusa
dall’universo di Dune.
Dopo un dittico che sicuramente ha
fatto discutere, a tratti sgradevole e violento nei confronti delle
sue protagoniste, L’amica geniale – Storia della Bambina
Perduta torna su RaiUno con le puntate 7 e 8, Il
ritorno e L’indagine. Dopo decenni che le due amiche erano
separate, questi due episodi le vedono tornare insieme, confidenti
e collaboratrici, di nuovo vicine, mentre la loro relazione assume
dei contorni nuovi che fino a quel momento non si erano mai
definiti così bene. Il loro rapporto di forze si evolve
ulteriormente e se Lila continua a essere quella tra le due che
tende a prevaricare l’altra, Elena si conferma una donna piena di
risorse, soprattutto dopo la
fine della storia con Nino.
L’addio a Nino e “Il ritorno” al
rione
Con il settimo episodio, dal titolo
Il ritorno, la storia si immerge di nuovo nel
tumulto emotivo di Elena, che torna alle sue radici e al suo
inizio, prendendo di nuovo casa al rione, proprio sotto
all’appartamento di Lila. La rottura definitiva con Nino è un
momento di liberazione e consapevolezza: un legame tossico che
viene reciso, non senza amarezza, ma con grande decisione. La scena
del loro confronto nella casa di Via Petrarca però non è il trionfo
della volontà di Elena, quanto piuttosto un verboso e depotenziato
colloquio tra due persone che, almeno da una parte, un tempo si
erano amate. Nino confessa tutte le sue piccolezze e questa volta
Lenù ha gli strumenti per allontanarlo, definitivamente. La scelta
degli sceneggiatori di mostrare il tradimento di Nino con una donna
sformata e anziana è stato un inciampo di scrittura davvero
sgradevole, come se solo vedendosi tradire con una donna così poco
attraente, Lenù avesse capito che quest’uomo, che ha amato per così
tanto tempo, non merita quella devozione. Il tradimento perpetrato
nel tempo da Nino, la sua ostinazione a coltivare se stesso al
posto della sua storia con Elena, il continuo desiderio di
affermazione e conferma, l’insicurezza che mortificava
l’intelligenza della compagna erano ben più gravi di una sveltita
con l’attempata domestica. Ma una scelta “grafica” rispetto agli
eleganti non detti allusivi del romanzo, è sembrata più adeguata
alla televisione. Non sarà l’unica volta in questa coda di serie,
né sarà la più sgradevole.
Archiviato finalmente Nino dal suo
cuore (ma non dalla sua vita, continuano a condividere una figlia,
dopotutto) Elena torna al rione, dove riafferma la propria
autonomia, nonostante la difficoltà di essere una donna sola con
tre bimbe. Questo ritorno alle origini diventa un catalizzatore per
la sua scrittura, che finalmente trova una nuova forza e
autenticità. La pubblicazione del suo libro e il successo che ne
deriva trasformano Elena in una figura di spicco, ma il prezzo del
suo successo diventa evidente: la distanza crescente tra lei e un
ambiente che implode su sé stesso. Elena è ormai un elemento
estraneo al rione e tuttavia una componente importante per il suo
ecosistema, una voce narrante.
L’evento che fa seguito
al ritorno di Lenù al rione è il tanto atteso matrimonio di
Marcello Solara con la sorella di Elena, Elisa, una delle sequenze
più cariche di tensione dell’episodio. La scena mira a sottolineare
un punto in particolare, che però non viene spiegato adeguatamente:
Michele Solara è definitivamente libero dall’incantesimo di Lila,
ormai la disprezza soltanto e con lei disprezza anche la sua
“brutta copia”, Alfonso. Vestito da donna, l’uomo fa irruzione al
matrimonio, creando agitazione e tensione. Verrà cacciato e
allontanato, solo Lila e Lenù gli rimarranno accanto, fino a che
Michele non lo picchierà a sangue per le strade del rione, davanti
all’indifferenza di tutti (tranne del buon Enzo, al quale però Lila
impedirà di intervenire). Edoardo Pesce, il
Michele adulto, è superbo nella messa in scena della bruta e cieca
cattiveria del Solara maggiore. Il pestaggio di Alfonso è uno dei
momenti più crudi e disturbanti dell’intera serie, eppure il
trattamento del personaggio appare forzato rispetto alla
delicatezza con cui era stato tratteggiato nei romanzi.
Punto fermo rimane l’amicizia tra
Lila e Lenù, sempre in bilico tra parità e abuso, onestà e inganno,
in balia degli umori della prima che continuano a influenzare e
travolgere la seconda che, dopo tutto questo tempo, appare
finalmente più consapevole e capace di schermarsi dalle inevitabili
cattiverie dell’amica.
La scrittura come strumento di
attacco al potere: L’indagine
L’ottavo episodio tira le fila di
molteplici tensioni, portando alla luce l’influenza opprimente dei
Solara e l’ineluttabile disgregazione del rione. La morte di
Alfonso segna un punto di non ritorno: non solo per la sua
brutalità, ma per il modo in cui spezza definitivamente la già
fragile speranza di una resistenza al potere dei Solara. La
reazione di Lila, fredda e piena di disprezzo, è un elemento di
distacco che evidenzia quanto la serie scelga di calcare la mano
sull’aspetto più crudo e spietato della realtà narrata. La donna è
spezzata dalla morte dell’amico, eppure sceglie di reagire in
maniera fredda, senza lasciarsi attraversare da quel dolore che
però, lo vedremo, avrà il tempo di esplodere per altre ragioni.
Il degrado del rione e la ritrovata
ispirazione di Elena si fondono come un’arma nelle mani di Lila: la
donna desidera che la compagna si faccia voce della protesta e del
cambiamento, vuole utilizzare le parole per distruggere la violenza
dei Solara, pensiero che ne rivela la fondamentale ingenuità,
soprattutto di fronte a una violenza cieca e sorda che prende corpo
in Michele. La ribellione delle due amiche le vede brevemente
fiorire in un nuovo afflato collaborativo: scrivono, lavorano, si
confrontano, tornano a essere le due bimbe piene di speranze nel
mondo delle idee, per poi scontrarsi contro una realtà ben più
cruda. Le parole che mettono insieme non servono ad altro che a
mettere Elena in una posizione di difficoltà all’interno del rione,
mentre Michele, sempre più violento e minaccioso, si erge come un
simbolo di quella brutalità sistemica che soffoca ogni tentativo di
cambiamento.
Elena si trova costretta ad
affrontare una querela e i problemi economici che ne derivano,
trovandosi a dover difendere la propria carriera e integrità.
L’episodio riflette bene la spirale di compromessi e minacce che
circondano entrambe le protagoniste, mostrando una Napoli senza
speranza che divora i suoi figli. Ancora una volta L’amica geniale
guarda oltre i confini del privato, affacciandosi con approccio
problematico alla società, al pubblico, instaurando uno stretto
legame trai due aspetti della narrazione.
L’amica geniale giunge alla svolta
decisiva
Gli episodi 7 e 8
segnano un passaggio cruciale nella narrazione de L’amica
geniale – Storia della Bambina Perduta, confermando il
talento della serie nel coniugare il dramma personale con il
contesto sociale. Tuttavia, alcune scelte narrative, come il
trattamento del personaggio di Alfonso, potrebbero risultare
discutibili per chi ha amato la delicatezza del romanzo. Resta
potente, invece, il rapporto tra Elena e Lila, sempre più
sfaccettato e complesso. Questi episodi ci ricordano che il rione
non è solo un luogo fisico, ma un’entità viva, un microcosmo di
potere e lotte, in cui i sogni di emancipazione si scontrano con la
brutalità del sistema.
Dadapolis è
stato presentato in anteprima durante la Mostra internazionale del
cinema di Venezia nella Giornate
degli Autori. Questo documentario di Carlo
Luglio e Fabio Gargano è
in grado di rappresentare quanto Napoli sia
cambiata nel bene ma anche nel male. All’interno di questo docufilm
si può notare volti noti di scrittori, cantanti, attori e registi
napoletani che sono stati chiamati per raccontare, anche in modo
differente attraverso l’arte e la musica, la loro città.
Cosa racconta Dadapolis
Questo documentario è liberamente
ispirato all’omonima antologia Dadapolis:
Caleidoscopio napoletano di Fabrizio Raimondino e
Andreas Friedrich Muller del
1989. Dadapolis è diviso in precise
parti che sono scandite da quattro macro temi fondamentali che si
racchiudono nei quattro
elementi naturali: fuoco, terra, acqua
ed aria.
Napoli tra fuoco, terra, acqua ed
aria
Il primo è
il fuoco che viene associato alla
creazione della città e le sue trasformazioni ovviamente anche
accennando il Vesuvio. Una sagoma identificatoria di Napoli, fonte
d’ispirazione come una presenza che inquieta e rassicura come un
presagio da sempre per i napoletani. Qui però non ci sofferma tanto
sul vulcano ma sulle rive, dove un gruppo di conoscenti composto
d’artisti, di tutti i generi e provenienze culturali, si ritrova ed
espone i pensieri liberi e non scanditi da un copione. Le spiagge
di Napoli sono da sempre il confine permeabile ad ogni sorta di
passaggio, dalla Sirena Partenope disperata per non aver ammaliato
Ulisse fino alle portaerei degli alleati americani.
Il documentario nella seconda
sezione, quella della terra, affronta la
creatività e il mercato nel mondo dell’arte. Si parla di
quella contemporanea fatta d’installazione, ma anche dei giovani
street artist che stanno cercando un loro posto, con opere che
cadono subito all’occhio sui muri abbandonati della città ma anche
su vecchi pescherecci al molo. In questa parte appare anche lo
psicanalista Guelfo Margherita, che induce un
gruppo di ragazzi e ragazze a riflettere sulla riconoscibilità di
alcuni valori ad esempio come la libertà nella produzione
artistica.
La terza è quella dedicata
all’acqua che rappresenta morte e rinascita
di Napoli. L’elemento acquatico però è in qualche modo il fil rouge
del documentario stesso. Il mare è da sempre presente fin dalla
prima scena c’è per i momenti a riva, nel porto, sulle barche e
nelle sirene che vengono continuamente citate anche
perché Partenope è
la dea protettrice della città, come
quella omonima del film di Paolo
Sorrentino. Dadapolis si conclude
con l’aria, con la mobilità, l’immigrazione e
uno sguardo al futuro che come dicono tutti i vari interlocutori è
molto incerto.
Dadapolis un docufilm non per
tutti
Napoli in
questo documentario viene raccontata in modo schietto, tante volte
i vari artisti affrontano il problema, sottinteso, di quello che si
sta trasformando nel cosiddetto luogo di turismo che pensa, come
qualsiasi località in Italia, a guadagnare e perdendo la sua
essenza. La città partenopea in questi
anni sta vivendo una rinascita, basta solo pensare a quanti film o
serie televisive sono ambientate lì, ma diventando però tutta
stereotipata perché in qualche modo il visitatore, soprattutto
quello straniero, vuole e cerca questo.
Dadapolis si
rivela un documentario che è riuscito a metà se si vuole pensare ad
un pubblico generalista anche perché la modalità si raccontare è
molto sperimentale. Interessanti le vedute dall’alto per ammirare
la parte più costiera ma non si va mai all’interno, questa si vede
che è una scelta specifica per non togliere l’interesse a quello
che dicono i vari artisti. Per concludere, visto anche il titolo
che cita il movimento dadaista, forse i due registi avrebbero
dovuto più concentrarsi sull’aspetto dell’arte che rimane quello
più interessante nell’insieme dei vari discorsi.
Il mondo di Solo
Leveling, nato dalla penna
di Chugong e DUBU e
poi trasposto su piccolo schermo nella prima stagione dell’omonimo
anime, sta per prendere vita al cinema. Grazie alla sinergia
tra Crunchyroll, Sony Pictures
Italia e Eagle Pictures,
l’atteso lungometraggio animato intitolato Solo
Leveling: ReAwakening arriverà infatti nelle sale italiane
per un evento speciale di tre giorni, dal 2 al 4 dicembre.
La pellicola, diretta
da Shunsuke Nakashige (Sword Art
Online), rappresenta un momento cruciale per i fan della
serie: un’occasione unica per rivivere le avventure di Sung
Jin-woo, il cacciatore più debole diventato il più forte, e
immergersi nuovamente nell’affascinante universo dei dungeon e
delle creature sovrannaturali.
Prodotto da due dei più importanti
studi di animazione giapponesi, A-1
Pictures e Production
I.G, Solo Leveling:
ReAwakening offrirà un riassunto dettagliato della
prima stagione, permettendo a tutti i fan di rinfrescarsi la
memoria e di prepararsi all’esaltante anteprima dei primi due
episodi della seconda stagione. E, pur vantando una speciale
colonna sonora, composta dal talentuoso Hiroyuki
Sawano (Attack on
Titan) e dal gruppo K-Pop Tomorrow X
Together, ha il difficile compito di rendere giustizia
alla dinamica e spettacolare narrazione del manhwa originale.
La trama di Solo Leveling:
ReAwakening
Dieci anni fa il mondo è cambiato
per sempre. All’improvviso, infatti, il pianeta ha conosciuto
l’apertura dei “Gate”, portali verso dimensioni oscure abitate da
mostri di ogni sorta. Alcuni componenti del genere umano hanno però
risvegliato sopite capacità di combattimento con le quali poter
affrontare la nuova minaccia. Sono denominati cacciatori, gli
Hunters, e si dividono in diverse classi di forza che vanno dalla
“S”, la più potente, alla “E”. Di quest’ultima, quella riservata
agli hunters di minor valore, fa parte anche Sung Jin-woo,
protagonista del racconto, considerato da tutti l’arma più debole
del mondo.
Il destino, tuttavia, sembra avere
in serbo per Jin-woo un percorso ben diverso. E Solo
Leveling – ReAwakening racconta proprio la
straordinaria ascesa del protagonista, dalla sua umile condizione
di cacciatore di rango E fino a quello di leggenda. Entrato in un
dungeon mortale, una missione rivelatasi ben più pericolosa del
previsto, il giovane ragazzo ha infatti scoperto un sistema di
livellamento unico, destinato a cambiarlo per sempre. E ora, dotato
di una nuova consapevolezza e fiducia nei propri mezzi, Jin-woo è
ansioso di affrontare nuove sfide e pericoli per divenire l’hunter
più potente del mondo. In un’adrenalinica avventura action, che lo
condurrà ben oltre i limiti imposti dalla sua classe.
Solo Leveling: ReAwakening: tra
struttura e semantica
Solo Leveling:
ReAwakening è senza dubbio un lungometraggio
bizzarro. Se infatti la sua struttura narrativa, almeno da un punto
di vista prettamente contenutistico, ricalca quella di un certo
numero di anime – e fa leva sulla classica storia d’evoluzione di
un outsider che, mescolata a pratiche tipiche del gaming e grazie a
un’animazione di alto livello, regalano due ore di coinvolgente e
crudo intrattenimento – è però necessario spendere almeno qualche
parola per provare a carpire quella che è la natura semantica di
questo prodotto. Di un film che, come accennavamo a inizio
articolo, si compone di due differenti sezioni a cavallo tra
piccolo e grande schermo.
Solo Leveling:
ReAwakening propone infatti un montaggio dei momenti
fondanti della prima stagione dell’anime, uscita a partire dal
gennaio di quest’anno, unito a un piccolo assaggio della seconda,
di cui ci vengono mostrate integralmente le prime due puntate. E,
pur non trattandosi di un caso isolato all’interno del proprio
universo di riferimento – visto e considerato il precedente dello
scorso febbraio targato Demon
Slayer – è pressoché innegabile che la scelta di
questo formato di distribuzione sia da considerarsi quantomeno
curiosa. Specie di fronte di un panorama audiovisivo che, pur
avendoci ormai abituato alla dimensione intermediale dei suoi
articoli, è però sempre stato dominato da lungometraggi chiamati
più che altro a portare avanti o concludere l’arco narrativo della
propria controparte seriale (si pensi a Downton Abbey).
O, in alternativa, a raccontare storie o frangenti che, godendo del
ruolo di spin off, potessero ampliare la nostra conoscenza
orizzontale del franchise di turno.
Solo Leveling: ReAwakening: porte
aperte sul futuro
Ecco perché il
progetto Solo Leveling:
ReAwakening (precedenti ed eredi inclusi) impone una
serie di domande. Soprattutto in considerazione di un modello di
fruizione cine-televisiva che di giorno in giorno continua ad
evolversi.
Quali porte, quali gate potrà
infatti aprire un’idea di prodotto basata sul concetto di
riassuntone/highlights tipico di Youtube, sul
“previously on” della serialità anni 2000 e sulla modalità della
“sneak peek” figlia, almeno in parte, delle famigerate post credit
marvelliane? E quali risposte potrà suggerire, in ottica futura, a
case di produzione (Disney su tutte) già da
tempo instradate lungo il viale della costante infiltrazione? Ma
soprattutto, quali parole potremo utilizzare per descrivere un
prodotto che, come Solo Leveling:
ReAwakening disperde le proprie anime seriale e
cinematografica per assestarsi come esperienza posta all’incrocio
tra nostalgia del passato e voglia di futuro? Dovremo forse
inventarci nuove parole?
Una cosa è certa: freebooting e
rimontaggi sono esperienze già superate. Non resta che attendere la
naturale evoluzione di un sistema autonomo ormai inarrestabile.
Il finale dell’episodio
3 di Dune:Prophecy,
dal titolo “Sisterhood Above All”, solleva diverse domande sul
passato e sul futuro di Tula
Harkonnen. Dune: Prophecy è una serie in
sei parti basata sul romanzo del 2012 Sisterhood of
Dune, scritto dal figlio dell’autore originale
di Dune Frank
Herbert, Brian, e Kevin
J. Anderson. La storia si svolge più di 10.000 anni prima
dell’ascesa di Paul Atreidies, raccontata
in Dune (2020) e Dune: Parte Due (2024)
di Denis Villenueve. Dune:
Prophecy rivela le origini della potente sorellanza
ombra nota come Bene Gesserit e come hanno
manipolato il destino dell’umanità.
L’episodio 1 diDune:Prophecy “The
Hidden Hand” ha presentato Valya Harkonnen (Emily
Watson),
una leader feroce e calcolatrice, e sua sorella biologica, Tula
Harkonnen. L’episodio 2
di Dune:Prophecy rivela
cosa è successo a Lila e a sua nonna, la Reverenda Madre Dorotea,
dopo che Tula e Valya Harkoennen l’hanno incoraggiata a sopportare
prematuramente un rituale pericoloso per la vita noto
come The
Agony.
Nell’episodio 3 di Dune:Prophecy,
Tula prende in mano la vita di Lila dopo che è apparentemente morta
durante il rituale The
Agony e
cerca di resuscitarla tramite l’uso di Macchine
Pensanti proibite,
nascoste da Valya e dalle Bene Gesserit.
Cosa è successo a Griffin
Harkonnen
L’episodio 3 di Dune:Prophecy presenta
l’unico fratello di Valya e Tula, Griffin Harkonnen. Tornati sul
loro pianeta natale di Lankiveil, la Casa Harkonnen è stata evitata
dall’Imperium a causa della presunta codardia del loro antenato
durante la Battaglia di Corrino contro Vorian Atredies. Mentre il
popolo degli Harkonnen si è ridotto a raccogliere pellicce di
balena, una Valya audace e ribelle si rifiuta di permettere che il
suo cognome venga scartato dall’Imperium.
Griffin spiega alla sua famiglia che
si sta dirigendo a Zimia, che è la città principale del pianeta
natale dei Corrino, Salusa Secundus, perché Landsraad, ovvero
l’organismo che rappresentava tutte le Grandi Casate, ha accettato
la sua petizione per ottenere un accordo commerciale migliore per
la pelliccia di balena. Mentre è a Zimia, Griffin si mette alla
ricerca e affronta Vorian Atreides, che Valya incolpa per aver
disonorato Casa Harkonnen. È implicito che Griffin abbia affrontato
Vorian come Valya voleva e sia morto nello scontro.
Perché Tula Harkonnen ha ucciso
Orry Atreides
Valya e Tula Harkonnen hanno
dedicato le loro vite a vendicare il nome della loro famiglia e la
morte del loro fratello Griffin, la cui morte ha ulteriormente
alimentato il loro odio per Casa Atreides. Mentre Valya andava ad
allenarsi con la Sorellanza, Tula nascose la sua vera identità e
“si innamorò” di Orry Atreides sul pianeta natale degli Atriedes,
Caladan. Orry e Tula si erano incontrati in un mercato dove Orry
aveva iniziato una conversazione e aveva chiesto a Tula di sposarlo
solo pochi mesi dopo. Tula sembra accettare la proposta di
matrimonio di Orry ma solo dopo rivela di essere una Harkonnen, il
che sconvolge Orry. Fa appena in tempo e vedere i suoi familiari
morti quando Tula piomba su di lui e lo uccide, come aveva fatto
con tutti gli altri.
Il significato del toro in Casa
Harkonnen spiegato
Tula uccide Orry con un veleno
relativamente indolore e rapido, ma il modo in cui più di due
dozzine di membri degli Atreides siano morti è più ambiguo. Dopo
che Tula uccide Orry ma risparmia un giovane ragazzo Atreides che
potrebbe benissimo essere Keiran, alza lo sguardo verso la cima di
una rupe e vede un mitico toro nero. Sebbene non venga mai detto
nell’episodio 3 di Dune: Prophecy, sembra che il
toro abbia assassinato tutti gli Atreides
nell’accampamento. Il toro è un simbolo della Casa
Harkonnen poiché il nome Harkonnen è basato sul nome
finlandese Härkönen che significa “bue” o “persona simile a un
bue”. Poiché Tula non avrebbe potuto uccidere tutti quegli Atreides
da sola, il mitico toro che vede dopo aver ucciso Orry è il
colpevole più probabile.
Cosa ha mostrato Raquella a Valya
nei tunnel
L’episodio 3 di Dune:Prophecy rivela
come la Madre Reverenda Superiora Raquella abbia mostrato un
interesse speciale per un’allieva in difficoltà di nome Valya
Harkonnen. Raquella ha preso Valya sotto la sua ala e ha iniziato a
farle conoscere la sua grande visione per le Bene Gesserit, che era
quella di stabilire un enorme indice genetico per allevare
governanti ideali per l’Imperium. Raquella è colpita dall’abilità
di Valya con la Voce e le affida il compito di portare avanti la
sua visione delle Bene Gesserit al posto della figlia più puritana,
Dorotea. Invece di imparare da Dorotea, Valya riceve una speciale
guida da Raquella, che le mostra come assembla il suo indice
genetico di allevamento nei tunnel usando la tecnologia
proibita delle Macchine Pensanti.
Cosa è successo a Valya durante The
Agony
Non è esattamente chiaro cosa abbia
visto Valya durante il suo rituale auto-somministrato, a cui si è
sottoposta da sola a Lankiveil. Entra nello stesso sinistro regno
spirituale con tutte le sue antenate Harkonnen come Lila ha fatto
con le sue antenate nell’episodio 2 di Dune:
Prophecy. Valya è in grado di tornare alla realtà dopo
essere sopravvissuta all’Agonia e si riunisce a Tula con una nuova
visione per il futuro. Insoddisfatta della sua vita a Lankiveil e
detestata dai suoi genitori, Valya giura in questo momento di
dedicare tutta la sua vita alla sua nuova famiglia: la Sorellanza.
Tornerà dalla Madre Reverenda Superiora Raquella per completare il
suo voto di Sorellanza.
A chi fa visita Valya alla fine
dell’episodio 3?
Tornando alla linea temporale
presente in Dune: Prophecy, Valya fa una
visita a sorpresa a suo nipote, Harrow Harkonnen, e al suo anziano
padre, Evengy Harkonnen. Dice nell’ascensore mentre sale a casa di
Evengy: “I sacrifici devono essere fatti. La sorellanza prima di
tutto”. La scena si interrompe e l’episodio si conclude prima che
possa accadere qualsiasi altra cosa. Nel contesto della linea
temporale attuale della serie, Valya sta cercando ansiosamente di
capire cosa fare dopo aver tentato senza successo di usare la Voce
su Desmond
Hart per ucciderlo ed essere stata bandita da Salusa
Secundus. È possibile che possa offrire suo zio e/o suo nipote come
una sorta di manovra di pacificazione o di affermazione del
potere.
Come Tula progetta di riportare in
vita Lila
Tula usa i computer di
indicizzazione genetica di Raquella e Valya nella scena finale
dell’episodio 3 di Dune: Prophecy in un
ultimo disperato tentativo di riportare in vita Lila con una dose
di spezia attentamente regolata. Tula ha chiaramente un cuore più
grande di Valya e farà di tutto per riportarla in vita da una morte
prematura ingiusta in nome della Sorellanza. Anche se Tula non è la
madre di Lila, l’ha cresciuta come tale dopo che sua madre è morta
durante il parto, o almeno questo è ciò che Tula afferma sia
successo. La tecnologia informatica che Tula usa alla fine
di Dune: Prophecy cercherà di riportare
in vita Lila e di tirarla fuori dal regno in cui ha incontrato
Raquella e Dorotea.
La serie horror soprannaturale di
Paramount+Fromha già riscosso un grande successo
con le sue tre stagioni e ora è stata rinnovata per una quarta
stagione. Debuttata nel 2022, la serie racconta la storia di una
misteriosa città dell’America centrale che intrappola chiunque vi
entri ed è circondata da mostri letali che infestano i boschi fuori
dalla città. Riprendendo la trama contorta di serie come Lost e
aggiungendo un tocco spaventoso, From si è rapidamente affermata
come una delle serie horror di punta nel mondo altamente saturo
delle serie TV in streaming.
Il finale della seconda stagione di
From ha preparato il terreno per una terza stagione ancora più
terrificante, e ogni nuova scoperta solleva più domande invece di
dare risposte. Il vero potere della serie è stato il mistero che la
avvolge e, come nei migliori puzzle, ogni colpo di scena rende la
trama ancora più contorta. Con From che ha ottenuto un
successo quasi unanime (compresi gli elogi del maestro dell’horror
Stephen King), il futuro della serie sembra roseo. Il futuro sembra
ancora più roseo ora che MGM+ ha deciso di rinnovare la serie per
una quarta stagione.
Ultime notizie su From –
stagione 4
Diversi mesi dopo il rinnovo dello
show, arrivano le ultime notizie sotto forma di un’anticipazione
sulla data di uscita della stagione 4. Il produttore
esecutivo Jeff Pinkner e il co-produttore/creatore della serie John
Griffin hanno espresso opinioni contrastanti sulla data di ritorno
della serie, anche se Griffin sembra aver avuto l’ultima parola.
Anche se Pinker ha detto che c’erano grandi speranze che la serie
tornasse prima della fine del 2025, Griffin ha sottolineato che
“probabilmente sarà all’inizio del 2026”. Questo
perché le riprese della quarta stagione non finiranno prima delle
vacanze del 2025.
Un intervallo di poco più di un anno
tra una stagione e l’altra non è insolito nell’era dello streaming,
e tutte e tre le stagioni di From sono state rilasciate
in periodi diversi dell’anno. I commenti di Pinker sull’arrivo
entro la fine del 2025 erano probabilmente solo un pio desiderio, o
forse aveva semplicemente dimenticato il calendario di produzione.
In ogni caso, la risposta più certa di Griffin significa che
l’inizio del 2026 è la data più probabile per l’uscita.
Leggi qui i commenti di Griffin e
Pinker:
Griffin: “Prima di
passare alla prossima domanda, vorrei intervenire, se posso, perché
non voglio che Jeff o io veniamo presi di mira da persone
arrabbiate. Jeff, correggimi se sbaglio, probabilmente non finiremo
le riprese prima delle vacanze. Quindi, molto probabilmente, sarà
all’inizio del 2026, no?”
Pinkner:“Probabilmente sarà all’inizio del 2026”.
La quarta stagione è
confermata
Fin dall’inizio della terza
stagione, sono iniziate le speculazioni sulla quarta stagione di
From, ma MGM+ non ha lasciato i fan con il fiato sospeso a lungo. A
pochi giorni dal finale della terza stagione, MGM+ ha deciso di
rinnovare la serie horror per un’altra stagione. Questo conferma la
fiducia della piattaforma di streaming nella serie originale, molto
apprezzata, e probabilmente significa che lo show potrebbe andare
avanti ancora per un bel po’. È stato anche annunciato che le
riprese della quarta stagione inizieranno nel 2025 e che l’uscita è
prevista per l’inizio del 2026.
Per commemorare il rinnovo, la
pagina ufficialeFromsu X (precedentemente Twitter) ha condiviso un
video del protagonista della serie Harold Perrineau che strappa una
bottiglia da un albero con la scritta “From stagione 4 in
arrivo”.
Dettagli sul cast della quarta
stagione
Il cast della quarta stagione di
From è difficile da prevedere, dato che la terza stagione
eliminerà senza dubbio alcuni personaggi prima che sia tutto
finito. Tuttavia, la forza costante durante l’intera serie è stata
Harold Perrineau nei panni di Boyd Stevens, lo sceriffo e
leader de facto della città, che dovrebbe tornare nella quarta
stagione. Nonostante il suo status fosse incerto all’inizio della
terza stagione, si prevede che Catalina Sandino Moreno tornerà a
interpretare Tabitha Matthews.
Jim Matthews, interpretato da Eion
Bailey, sembrava un altro candidato sicuro per il cast della quarta
stagione, ma la sua morte scioccante nella terza stagione significa
che probabilmente non tornerà. Tuttavia, con i viaggi nel tempo,
quasi tutti potrebbero tornare ad un certo punto. Come negli anni
precedenti, la quarta stagione probabilmente aggiungerà anche
alcuni membri del cast, anche se è impossibile prevederlo finché
non saranno disponibili ulteriori informazioni.
Dai dettagli della trama della
quarta stagione
Come molte serie horror
sconvolgenti, la trama di From è costellata da colpi di
scena enormi che potrebbero portare la serie in qualsiasi direzione
in un attimo. Il finale della terza stagione di From non è
stato privo di sorprese scioccanti, anche se è servito
principalmente a rivelare la natura ciclica del male che affligge
la città. Con la rinascita di Smiley, c’è un oscuro senso di
disperazione, poiché tutto sembra essere vano. Tuttavia, alcune
cose sono cambiate con la morte di Jim e gli abitanti della città
sono in grado di minacciare i mostri a modo loro.
Scoprire che tutto è un ciclo
può sembrare disperato, ma offre anche ai sopravvissuti la
possibilità di analizzare lo schema e trovare il modo di
spezzarlo.
La prossima stagione vedrà
probabilmente i sopravvissuti cercare di sfruttare ciò che hanno
imparato e apportare modifiche. Scoprire che tutto è un ciclo può
sembrare disperato, ma offre anche ai sopravvissuti la possibilità
di analizzare lo schema e trovare il modo di spezzarlo. Tuttavia,
più resistono al ciclo, più le loro vite sono in pericolo in
From – Stagione 4.
Yellowstone è
incentrata sulla famiglia Dutton. John Dutton, il patriarca della
famiglia interpretato da Kevin
Costner, è una figura chiave della serie fin dalla
prima stagione. Il potente proprietario di ranch e la sua famiglia
controllano il più grande allevamento di bestiame contiguo del
Paese, e con esso nascono conflitti con gli interessi degli
indigeni e con gli sviluppatori aziendali che cercano di estendere
le loro catene e i loro oscuri segreti. Anche se può essere
difficile da credere, Yellowstone è il primo ruolo di Costner
in una serie regolare. Sheridan aveva proposto a Costner diversi
ruoli prima di John Dutton, ma è stato questo progetto a convincere
l’attore a partecipare.
Sin dall’uscita
diYellowstone, le
persone sono state attratte dalla rappresentazione autentica della
vita nei ranch e dei problemi della vita reale. Se lo
show sia basato sulla vita reale è una domanda che spesso viene
posta agli spettatori. La serie western è semplicemente uno degli
show che sembrano troppo reali per non esserlo, il che la dice
lunga sulla qualità della narrazione di Sheridan. La verità è che
sia la storia che il personaggio di Costner attingono a persone e
conflitti reali.
Taylor Sheridan e Kevin Costner
hanno co-creato John Dutton
Taylor Sheridan nella serie tv Yellowstone – Credit Paramount
Network
John Dutton non è esattamente “un
bravo ragazzo”. È il tipo di eroe che “può fare cose che non ti
piacciono molto”, secondo quanto dichiarato da Sheridan in
un’intervista congiunta con Costner, rilasciata al LA
Times. Il creatore dello show ha ammesso che gli piace che i
suoi “eroi facciano cose” che “non piacciono” alla gente, perché
così gli spettatori si interrogano sulle loro decisioni. Secondo
Costner, il suo Dutton “vive nel grigio”, ma non perché il
patriarca della famiglia lo voglia. L’attore ritiene che Dutton non
sia “una persona che nella sua mente vive nel grigio”. La sua
posizione unica e il peso sulle sue spalle lo spingono a prendere
decisioni “per portare a termine le cose”, il che suona molto
simile a un’altra figura dell’universo di Sheridan: il Tommy Norris
di Billy Bob Thorton in Landman.
Il ruolo di John Dutton è
stato creato su misura per Costner, che ha anche aggiunto il suo
contributo nel plasmare il personaggio. “Taylor e io
abbiamo trascorso molto tempo a parlarne, perché ho dovuto mettere
mano a certe cose”, ha detto Costner. Dal punto di vista di
Sheridan, avere Costner a bordo significava avere un grande attore
in grado di gestire le “situazioni conflittuali” in cui lo aveva
gettato. Grazie a Costner, Sheridan ha potuto scrivere molto di più
sul ruolo che è diventato John Dutton. Il creatore dello show ha
dichiarato a Variety:
Kevin è una delle più grandi
star del cinema degli ultimi 40 anni, e se lo
merita.È un incredibile narratore di storie
come regista, scrittore e attore, e quindi quando hai questo tipo
di strumenti nella tua cassetta degli attrezzi, puoi scriverlo in
alcune situazioni davvero conflittuali.
Kevin Costner ha portato suo
padre in John Dutton
Per la ricerca, Kevin
Costner si è tuffato nella storia americana per trovare
ispirazione. Ha guardato documentari, libri e momenti
socioeconomici della Guerra Civile per esplorare l’origine del suo
personaggio; ma è stato suo padre ad aiutarlo a
entrare nel personaggio. La star del western ha spesso
citato il padre come figura chiave di
ispirazione. Ha raccontato a The
Hollywood Reporter:
Lui [mio padre] era un duro;
era un combattente; sapeva combattere e mi ha insegnato in un modo
che era progettato per vincere.
L’attore ha portato con sé l’eredità
del padre e del nonno attraverso la sua interpretazione del
patriarca dei Dutton, in particolare il fucile di John
Dutton, un calibro 30-30 che apparteneva al padre di
Costner. L’attore ha rivelato questo fatto divertente
al Dan
Patrick Show, rivelando che il fucile era un piccolo gesto che
gli ricordava la fattoria dei suoi nonni in Oklahoma. Suo padre,
William Costner, è cresciuto in una fattoria di grano insieme agli
altri 10 fratelli.
Quando TV
Insider gli ha chiesto se avesse portato un po’ di suo
padre nello show, l’attore ha rivelato che suo padre era “un duro
che combatteva a pugni e con un’unica mente, uscito dalla Dust Bowl
durante la Grande Depressione”, e la calibro 30-30 che ha usato
a Yellowstone lo ha aiutato a entrare nel
personaggio ogni volta che l’ha puntata alla guancia. “Mio padre è
proprio lì”, ha detto Costner. Ha anche rivelato che ,
grazie a suo padre, sapeva “cosa significa essere una persona che è
una specie di John Dutton, senza l’omicidio”.
È interessante notare che anche Beth
Dutton ha avuto un’ispirazione nella vita reale, ma non quella che
gli spettatori normalmente si aspetterebbero. La Beth
di Kelly
Reilly è una figlia cresciuta tra gli uomini, ma il fatto
di essere una donna l’ha resa più spietata. Nell’intervista
rilasciata al LA Times, Sheridan ha ammesso che “potrebbe benissimo
essere la cosa migliore” che ha scritto nello show. L’ispirazione è
stata la preferenza di Angelina Jolie nel capovolgere il genere dei
suoi personaggi quando si tratta di interpretare un ruolo. Con
Beth, l’idea centrale è che se fosse stata Ben, non sarebbe
cambiato nulla.
Yellowstone è stato ispirato
dalla vita reale
Anche se non esiste un John Dutton
nella vita reale, chiunque abbia visto almeno un episodio
di Yellowstone sa che l’autenticità è al centro
della serie. Il creatore dello show, Taylor Sheridan, che è un
cowboy in carne e ossa, non ha bisogno di guardare oltre per
trovare ispirazione. Sheridan è cresciuto in un ranch fuori Waco,
in Texas. Essendo l’attuale proprietario del 6666
Ranch e avendo vissuto in Wyoming negli ultimi anni, i cambiamenti
che Sheridan ha visto intorno a sé nel corso degli anni sono
l’ispirazione
perYellowstone.
Il potere, l’allevamento, lo
sviluppo del territorio e le cose che la gente fa intorno ai tre
sono tutti problemi e scenari reali. Anche se le storie dello show
sono di fantasia, non si discostano molto dalla realtà.
Nell’intervista rilasciata al LA
Times, Sheridan ha anche rivelato che tutti i problemi di
“sviluppo del territorio, cattiva gestione delle risorse,
oppressione e povertà estrema e disuguaglianza nel governo”
esistono nella vita reale, ma “quando accadono in una piccola area,
in una zona rurale”, sono amplificati e più drastici. Ha detto:
Questi problemi di sviluppo del
territorio, di cattiva gestione delle risorse, di oppressione, di
estrema povertà e di iniquità nel governo – esistono anche qui, ma
quando accadono in una piccola area, in un’area rurale… e perché
c’è meno gente, le conseguenze sembrano molto più
acute.Quando si inizia a vedere Costcos in un
paesaggio di fattorie e ranch, è molto più drammatico che se ne
inceppassero uno nella San Fernando Valley.
Le ispirazioni della vita reale sono
il motivo per
cui Yellowstone esiste. La serie
nasce dal desiderio di Sheridan di far conoscere situazioni reali
che di solito vengono affrontate solo nei
documentari. In
effetti, Yellowstone non era inizialmente
pensato come una serie televisiva. “Non è una mossa intelligente,
fare una cosa sull’allevamento moderno”, ha detto Sheridan, che ha
ammesso che l’intera faccenda ha avuto delle sfide che l’hanno resa
‘non una mossa intelligente’. L’aggiunta di elementi di finzione è
stata necessaria perché “se vuoi fare qualcosa senza alcuna
resistenza, fai qualcosa che sa di qualcos’altro”.
Con Yellowstone, parte dell’accordo è il collegamento
tra la vita del ranch e il resto del mondo. Nella stessa
intervista, Sheridan ha dichiarato:
Quando le persone vedranno
questo film, penso che capiranno: “Anche se è un mondo così
diverso, vedo molte somiglianze nei problemi, vedo molte
somiglianze nei conflitti.Anche se il loro
stile di vita mi è così estraneo, non siamo poi così diversi”, e
non lo siamo, ma ogni volta che si riesce a ricordarlo alla gente,
credo sia una buona cosa.
Yellowstone è stato girato in un
vero ranch
In tutti gli spin-off e i prequel
della serie Yellowstone di Taylor Sheridan,
sebbene tutti i personaggi siano per lo più di fantasia, le riprese
si sono svolte in luoghi reali. Il ranch di
Yellowstone della serie è un ranch storico realmente funzionante,
il Chief Joseph Ranch, a Darby, nel Montana. La serie
porta gli spettatori in giro per il ranch, con luoghi chiave come
l’armeria, la baita di Rip (nota come baita di Ben Cook), la baita
di Lee (nota come baita del pescatore) e la baita del trapper.
L’autenticità e i paesaggi
mozzafiato sono il motivo per cui gli spettatori visitano spesso la
serie. “Non credo che ci stancheremo mai di vedere fiumi che
scorrono, valli e montagne”, ha detto Costner a CBS This Morning. Le
location svolgono un ruolo fondamentale nel lavoro di
Sheridan. Trovarsi in un vero ranch sullo sfondo del
paesaggio del Montana fa sì che gli spettatori e gli attori
comprendano la vita e le storie che sta
raccontando. “Taylor [Sheridan] è un grande fan
dell’autenticità e voleva che tutti noi capissimo in cosa stavamo
entrando”, ha detto a Vanity
Fair l’attore di Kayce Dutton, Luke Grimes. Ha spiegato
che per il pubblico, la ricerca di autenticità di Sheridan è quella
di “mostrare questo a persone che normalmente non capirebbero che
questo è ancora un modo di vivere per molte persone”.
A meno di un mese dal
Natale, Netflix regala in anticipo al suo
pubblico una nuova e originale commedia natalizia: stiamo parlando
di The Merry Gentlemen. La pellicola leggera
e divertente è diretta da Peter Sullivan e scritta dall’attrice e
sceneggiatrice Marla Sokoloff (Claire
in Desperate
housewives). The Merry
Gentlemen presenta un cast di figure già note nel
panorama cinematografico internazionale. Il protagonista Luke è
interpretato da una versione più adulta (e muscolosa)
di Chad
Michael Murray, attore divenuto noto nei primi 2000
con il ruolo di Tristan in Una
mamma per amica e Charlie Todd in Dawson’s
Creek. Al suo fianco l’americana Britt
Robertson (Tomorrowland,
The
space between us) è nel ruolo della protagonista femminile
Ashley. Altre figure ricorrenti nel film
sono Maria Canals-Barrera ( Camp Rock, I
maghi di Waverly) e Beth
Broderick (Diane in Lost,
Sabrina, vita da strega), rispettivamente nei panni di Denise e
Lily, madre di Ashley.
The Merry
Gentlemen: un Natale a luci rosse
Ashley vive il suo sogno di quando
era bambina di essere una delle Jingle belles, un gruppo di
ballerine che inscenano uno spettacolo a tema natalizio in uno
degli spettacolari teatri di Broadway. Tutto sembra perfetto fino
all’arrivo di una nuova giovane belles: Ashley viene tristemente
scaricata perché considerata troppo matura per lo spettacolo e
viene liquidata brevemente dalla coreografa poche settimane prima
di Natale.
Ashley fa ritorno a Sycamore Creek,
la sua città Natale. Qui scopre che il Rhythm room, il locale
gestito da tanti anni dai suoi genitori, ha perso fama e ha portato
la sua famiglia a indebitarsi. Il Rhythm room non sembra avere
altro scampo se non essere trasformato in un juice bar, per non
rischiare di divenire un altro buco nel muro tra troppi
buchi.
Con l’aiuto di Luke e degli altri
ragazzi, Ashley riuscirà a dare una nuova chance al locale portando
una ventata di novità da Broadway: uno show di varietà maschile. Lo
spettacolo si traduce in un’esibizione molto osé e attraente per il
pubblico femminile della città. Mentre il destino di Ashley sembra
essere nella sua città d’origine, il capitolo di Broadway non
sembra totalmente chiuso: la scelta tra Sycamore Creek e Luke e la
città sarà molto difficile.
The Merry
Gentlemen: le ingiustizie dello spettacolo
Il punto di partenza
di The Merry Gentlemen è una delle tante
ingiustizie che si creano in un settore come la danza o lo
spettacolo in generale. Sul palco ciò che conta di più è certamente
il talento e l’aspetto, ma ciò non giustifica i corpi di ballo a
liquidare con tale facilità le proprie ballerine con la comparsa
del primo capello bianco.
Come tutte le attività che
prevedono una certa prestanza fisica, come anche gli sport, la
danza non è certo una disciplina e un lavoro che può essere
praticato in maniera indisturbata per tutta la vita. Ciononostante,
sembra chiaro fin da subito quanto sia sbagliato che Ashley, a un
età identificabile intorno ai trent’anni, venga cacciata dal
proprio posto a favore di una se più giovane e soda.
Un Magic
Mike versione natalizia
Come spesso accade nelle pellicole
di Natale, non sempre si riesce a trovare nuovi elementi di
originalità per individualizzare il film. nel caso
di The merry gentlemen, l’elemento di novità
dovrebbe essere la presenza di giovani e attraenti ragazzi che si
esibiscono mezzi nudi per salvare il Rhythm room. Ciò comporta
molte scene hot in un clima natalizio. Questo non è di certo il
primo film che porta tematiche simili sul grande schermo: già solo
a pensare alla serie cinematografica di Magic
Mike la quale è incentrata totalmente su un
gruppo di spogliarellisti. Già in partenza sembra molto strano
immaginare una commedia di natale su degli pseudo
spogliarellisti.
Tralasciando questo elemento, tutto
il resto del film sembra essere molto standard: una storia a lieto
fine con un fantastico miracolo di Natale finale, una romantica
storia d’amore e un’atmosfera molto famigliare.
The Merry
Gentlemen si rivela una commedia leggera, piacevole
da guardare (magari non in compagnia dei propri genitori/figli per
evitare un Natale un po’ cringe!). Nonostante ci
sia un certo grado di originalità, la contemporanea presenza di
spogliarellisti e di spirito natalizio sembra un po’ stridere,
stranendo lo spettatore, più abituato alle classiche storie di
Natale.